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Cain x Maeve

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    « I woke up stronger than ever Driven by big waves of fire To run and yell all the way "Nothing can hurt me today" »
    Vedere Cain sollevarsi dal cumulo di fieno quasi insieme a lei non la fece sentire meglio: anche lui aveva capito che c'era qualcosa che non andava, e si maledisse più e più volte per questo. Era una maestra nel nascondere ciò che provava davvero, nel fingere, nel non far capire cosa stesse architettando, e invece aveva appena commesso un grosso errore. Gli occhi cerulei del ragazzo la scrutarono in attesa di una risposta, di una motivazione che arrivò, seppur forzata ed improvvisata, e Cain non sembrò essere pienamente convinto dal suo mediocre tentativo di salvare il salvabile: lo vide alzare gli occhi al cielo dopo un "uhm" che la fece preoccupare, perché sembrava sul punto di voler chiedere altro e approfondire la questione. Non poteva dargli torto, anche lei al suo posto si sarebbe preoccupata: la giovane si era alzata di scatto, senza alcun preavviso, e di colpo era diventata pallida e sudava. Per cosa, per una falce di luna? Poteva essere una geniale scappatoia se non avesse avuto quella reazione esagerata pochi attimi prima. Tentò lentamente di riprendere il controllo di sé stessa mentre teneva lo sguardo fisso sulla nuvola a forma di falce, che in quel momento tanto ad una falce non assomigliava più: in poco tempo si era deformata fino a diventare irriconoscibile, eppure nella sua mente essa si era impressa come un fermo immagine. Un brivido di paura, di terrore, le percorse la schiena per tutta la sua lunghezza, lento ed infausto, costringendola a portare le ginocchia al petto e ad abbracciarle, in modo da incurvare la schiena e toglierselo di dosso. Un presagio di morte era l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento: sentiva di avere già abbastanza pensieri per la testa ed in più doveva anche sperare che quella falce non sarebbe caduta sulla testa di nessuna delle persone che amava. Andare in guerra significava perdere qualcuno, era inevitabile: molti soldati sarebbero morti, quelli che si allenavano con lei quel giorno non li avrebbe mai più rivisti perché caduti per mano nemica, li avrebbe salutati prima di una battaglia per poi scoprire che non avrebbero più fatto ritorno. E seppur l'idea di subire qualsiasi perdita le faceva stringere il cuore, quella di perdere uno dei suoi cari la faceva sentir male. L'immagine della falce si insinuò ancora nei suoi pensieri, prendendo ancora la forma del viso dei suoi genitori e dei suoi amici in un carosello così veloce da farle venire la nausea nonostante stesse ferma, e si passò entrambe le mani sul viso nel tentativo di scacciare quel pensiero una volta per tutte, almeno per un po', e respirando, finalmente, a pieni polmoni, per poi cercare, una volta tolte le mani dal volto, di concentrarsi e mettere a fuoco qualcosa, qualsiasi cosa, per calmarsi e riuscire a pensare ad altro. Il suo sguardo passò dal poligono di tiro, sistemato alla bell'e meglio, agli archi che giacevano per terra nel punto in cui prima Cain stava cercando di mettere in pratica le dritte di lei, per poi abbandonare ogni cosa e finire nella gigantesca massa di fieno in cui si trovavano in quel momento. Riuscì a regolarizzare il respiro poco alla volta mentre il ricordo delle espressioni comiche di Cain che provava a tirare una freccia rimpiazzavano qualsiasi pensiero negativo - o, meglio, sgomitavano per rimpiazzarli, perché doveva assolutamente pensare ad altro -, facendola così riacquistare il controllo del proprio corpo e della propria mente.
    Il movimento repentino di Cain la fece sussultare e lo guardò mettersi a sedere fulmineo, per poi dirigere lo sguardo nello stesso punto che fissava lui. Le parve di sentire delle voci poco lontano da loro, giusto dietro l'angolo delle scuderie, e tentò di tornare completamente alla realtà il più in fretta possibile, giusto per farsi un'idea di chi potesse essere. Erano uomini, più di due sicuramente, e non sembravano troppo di buonumore. Guardò il bersaglio a qualche metro da loro, gli archi a terra e le protezioni ancora sotto l'albero, e riuscì a collegare tutti i puntini un secondo prima di sentire le urla degli arcieri in maniera molto più chiara, dato che si erano avvicinati e li avevano scovati. « Hei, voi due! ». Maeve, sentendosi chiamare, si girò di scatto verso il soldato che aveva appena parlato, mentre il cuore le saliva in gola per essere stata colta con le mani nel sacco. « Cosa ci fate con l'equipaggiamento degli arcieri? » tuonò quello che sembrava il superiore, e Maeve si sfregò le mani per togliersi i residui di fieno dai palmi sudati per poi sorridergli in maniera impacciata, non sapendo cosa inventarsi perché convinta che gli arcieri non si sarebbero fatti vedere ancora per un po', permettendogli di mettere a posto tutto l'equipaggiamento che aveva preso in prestito - più o meno - con calma. « Qualcosa mi dice che l'equipaggiamento degli arcieri non fosse esattamente "in prestito". ». Il ragazzo smorzò ogni suo tentativo di rimediare al suo errore di calcolo, attirando l'attenzione della principessa su di sé, e lei si strinse nelle spalle, colpevole. « Vero, Dawn? », « ... Ops? ». Maeve ridacchiò sottovoce, attenta a non farsi sentire se non da Cain, mentre i soldati si avvicinavano e iniziavano a sistemare, senza neanche impegnarsi a nascondere il loro disappunto, ma non si poteva biasimarli: dei ragazzini avevano appena frugato tra la loro roba e preso quello che pareva a loro senza informarli ed ora dovevano pure riportarla a posto. La ragazza si alzò appena vide che lo stesso uomo che aveva rivolto loro la parola cominciò ad avvicinarsi, togliendosi in tutta fretta il fieno che aveva ancora sui vestiti sperando bastassero poche pacche ben assestate per ripulirsi, e fece un rapido cenno del capo quando il soldato gridò di nuovo in loro direzione per esortarli ad aiutare gli altri arcieri a mettere a posto. Con la coda dell'occhio guardò Cain, intento ad alzarsi, e la lentezza con cui si stava ricomponendo cominciò a darle sui nervi: quell'uomo stava sbraitando davanti a loro manco fosse una gallina, visibilmente infuriato, e l'altro se la prendeva comoda manco avesse tutto il tempo del mondo a disposizione. Non riuscì ad aspettarlo per più di qualche secondo senza avere l'impulso di gridargli di muoversi a sua volta, perciò lo anticipò, lasciandolo nelle grinfie del soldato proprio nel momento in cui egli gridò: « Muovetevi! ». La ragazza recuperò da terra i due archi che stavano utilizzando lei e Cain senza fermarsi, issandoseli in spalla e cominciando a slacciarsi la protezione che aveva sull'avambraccio, incrociando lo sguardo ben poco divertito di due arcieri che stavano sistemando tutte le protezioni - che i due ragazzi avevano lasciato a terra senza farsi troppi problemi - nell'apposita scatola. Maeve fece giusto qualche passo in loro direzione prima che uno di loro gli strappasse le protezioni che si era tolta dalle mani senza dire una parola, per poi rifilarle al compagno e allontanarsi in direzione dell'accampamento. La giovane sospirò mentre li guardava le loro figure ridursi a due puntini lontani, affiancando poi Cain, intento anche lui a sistemare.
    « Perdonami, sono tornati prima del previsto e non è andata secondo i miei calcoli. » lo approcciò sottovoce, mentre seguiva i movimenti del superiore che ancora li guardava in modo truce. Le scorse volte che aveva preso in prestito la roba degli arcieri - in prestito tra molte virgolette - non erano mai tornati all'accampamento così rapidamente: di solito gli uomini amavano baruffare in mensa e perdere tempo a parlare di soldi, cibo e donne, ma a quanto pareva quel giorno non era andata così - forse anche loro erano occupati con allenamenti intesivi in vista della guerra e avevano lasciato perdere le chiacchierate futili che tanto li intrattenevano durante i pasti. « Andiamo a riportare gli archi, su. » esclamò, passandogli uno dei due archi che aveva in spalla per recidere in partenza qualsiasi lamentela da parte di lui, « Anche se un po' mi dispiace smettere: stavi andando così bene. » aggiunse in seguito, esibendo un sorrisetto sghembo che sapeva avrebbe dato fastidio al ragazzo, prima di allontanarsi velocemente da lui per evitare che potesse tirarla su di nuovo e scegliere di non essere così gentile da farla piombare in un'ammasso di fieno che, sicuramente, aveva fatto molto meno male rispetto alle dure pietre del pavimento della scuderia. Non poté fare a meno di ridere mentre si avvicinava di nuovo a lui per percorrere la strada verso l'accampamento uno di fianco all'altra, stavolta senza trattenersi per paura di risultare scortese o di innescare qualsiasi reazione. Era genuinamente serena, il nervosismo di poco prima magicamente scomparso. « Hai del fieno tra i capelli. Toglitelo, altrimenti Cox te ne dirà di tutti i colori. » ridacchiò, mentre gli indicava dove sfregare per riuscire a far cadere i fili di paglia, che col loro colore chiaro risaltavano tra le ciocche scure di lui. « Aspetta, faccio io. » fece, tirandolo per un braccio per fargli capire che doveva fermarsi, giusto il tempo di sistemargli i capelli, e col braccio sul quale non era appoggiato l'arco raggiunse il capo di Cain, riuscendo così ad eliminare gli ultimi fili che lui non era riuscito a togliere da solo. « Fatto. » disse con un sorriso, incontrando per sbaglio lo sguardo di lui ed erroneamente lo sostenne per quelli che le parvero interi minuti. Non poté fare a meno di notare come entrambi odorassero di fieno, e questo piccolo particolare che li accumunava la fece sorridere tra sé e sé mentre distoglieva lo sguardo tentando di fingere che non fosse successo nulla, come se il suo cuore non stesse già cominciando a galopparle nel petto senza che alcuna redine potesse fermarlo.

    • • •

    Qualche settimana dopo...
    All'ennesimo affondo evitato per un soffio a causa della stanchezza, Maeve stava davvero cominciando a perdere le speranze: l'ultimo esercizio della mattinata consisteva in un duello veloce - Cox aveva usato le parole "per divertirsi un po'" - con il proprio compagno prima che la campana del pranzo suonasse, e la giovane principessa si era ritrovata in coppia con Milo, uno dei suoi pochi amici all'interno dell'esercito ma anche uno dei soldati più abili ed aggressivi con il quale aveva avuto il piacere di battersi. Lo stile di scherma di Milo era potente ed impetuoso, al contrario di Maeve che faceva leva sulla sua agilità, e la giubba imbottita che stava indossando non aiutava: grazie agli allenamenti giornalieri e ai duelli che faceva con Cain stava pian piano acquisendo sempre più forza fisica, riuscendo così a stare al passo degli altri soldati, ma Milo sembrava non voler lasciarle scampo. Maeve, in risposta all'affondo di poco prima, tentò di rispondere con un colpo dall'alto che l'altro riuscì a parare, ma notò che anche lui stava cedendo alla fatica. « Stanca? » soffiò lui, ma la ragazza non gli diede corda, colpendolo in pieno stomaco con un calcio ben assestato approfittando del fatto che avesse entrambi le mani strette sull'elsa della sua spada e riuscendo finalmente ad allontanarlo.
    In quel momento la campana suonò in lontananza e Maeve appoggiò la punta della spada a terra, utilizzandola a sua volta come sostegno, riuscendo a riprendere fiato solo una volta assicuratasi che anche il suo compagno d'allenamento facesse lo stesso. « Sei migliorata molto. » esordì Milo dopo un esercizio svolto completamente in silenzio, e la ragazza gli sorrise riconoscente. « Davvero? Detto da te vale il doppio. » ringraziò lei, « Sei un combattente formidabile. ». « Cosa sono tutti questi complimenti? Per caso ti piaccio? » fece lui, passandosi una mano tra i capelli sudati ed esibendo un sorriso da sciupafemmine. « Neanche un po'. » rise lei, scuotendo la testa e togliendosi la giubba, rivelando la camicia chiara sottostante tutta raggrinzita e sudaticcia. Avrebbe dovuto farsi un bagno prima di riunirsi a tavola coi suoi genitori, e doveva anche farlo in fretta se non voleva destare sospetti. « Guarda che nessuna donna sa resistermi. » disse Milo mentre si toglieva anche lui le protezioni, dandole un'amichevole spallata mentre si avvicinava a lei. « Davvero vuoi dirmi che tra un duello e l'altro non ti sei ancora innamorata di me? ». « Sono serissima. » rispose, e dopo qualche attimo di silenzio entrambi scoppiarono a ridere all'unisono. Era abituata al modo di fare di Milo, ormai: all'inizio le sue battute quasi flirtanti le davano un gran fastidio, inutile negarlo, ma a Milo erano bastati pochi mesi per capire che Maeve non sarebbe mai diventata una sua spasimante, e quelle battutine divennero delle semplici ed innocue battutine, appunto, che si scambiavano continuamente tra di loro come fosse un gioco. « Ti tengo il posto a mensa? » le chiese una volta restituite le loro spade, accatastandole in un angolo, ma Maeve gli rispose scuotendo il capo.
    « No, oggi non mangio con voi. Salutami Jasper. ». I due si divisero con un cenno della mano, e la ragazza si diresse verso un punto ben preciso: quello dove era seduto Cain. Aveva notato il ragazzo solamente alla fine dell'allenamento, concentrata com'era a non farsi colpire dai colpi micidiali di Milo, e doveva assolutamente dirgli una cosa che sicuramente gli avrebbe fatto storcere il naso. « Buongiorno, musone. » disse, lanciandosi - nel vero senso della parola - a sedere accanto a lui, « Stasera tieniti pronto, si va in città. » gli sussurrò con un sorriso che non presagiva nulla di buono, facendo attenzione a non farsi udire. Fortunatamente erano rimasti pochi soldati nello spiazzo in cui si allenavano, e non vi era ombra di Cox. « Ti passo a prendere dopo cena, penso io al mantello. ». Detto ciò si alzò, sistemandosi i pantaloni all'altezza dei fianchi, ed iniziò subito ad allontanarsi per evitare qualsiasi replica. « A stasera! » gli disse, calcando le parole per far capire che non avrebbe accettato una qualsiasi risposta diversa da "sì", "va bene", "certo", "ci vediamo dopo" e simili. E siccome era certa che Cain le avrebbe detto di no, si apprestò ad allontanarsi il giusto per evitare di sentire cosa aveva da dire. Xanturion di sera era mozzafiato, e per di più quella sera non era una sera qualunque: ci sarebbe stata una festa a valle, e non vedeva l'ora di mostrargli di quanto calore ed affetto fosse capace di dimostrare la sua gente. E sfoggiare la sua gonna nuova e ballare senza sosta tutta la notte, ma non poteva chiedere troppo: si trattava di un miracolo riuscire a portare Cain fuori dal palazzo, in fin dei conti.

    • • •

    Eludere le guardie non era stato difficile, oramai conosceva nascondigli ed uscite segrete a memoria: i muri del castello non avevano nulla da nasconderle in anni che sgattaiolava fuori dalla sua dimora per godersi qualche ora di libertà in mezzo alla sua gente, e seppur i turni delle guardie fossero cambiati per assicurarsi che nulla andasse storto non aveva trovato troppe difficoltà nell'aggirarle per arrivare senza problemi all'accampamento dell'esercito. Anche da lontano si potevano udire le grasse risate dei soldati ancora svegli che si raccontavano storie intorno al fuoco, e per questo motivo fu più facile per Maeve arrivare alla tenda di Cain senza essere notata. La ragazza si sistemò fuori dall'uscita, nascosta nel buio pesto della notte, e si calcò il cappuccio in testa per l'ennesima volta da quando aveva lasciato la sua stanza. « Pssst! » fece, sperando che Cain la sentisse. Non proveniva alcun rumore dall'interno della tenda, e per un momento temette se ne fosse andato a dormire, dimenticandosi di quello che gli aveva detto la mattina stessa. « Pssst! » fece ancora, stavolta leggermente più forte, visto che non aveva ricevuto ancora alcuna reazione. « Cain! » lo chiamò, e dopo qualche secondo, finalmente, il ragazzo fece capolino dalla tenda: non sapeva dire se fosse vestito o pronto per coricarsi visto il buio, ma non gli diede neanche il tempo di dire nulla che subito premette un mantello piegato sul petto di Cain, invitandolo così a metterselo. « E' ora, andiamo! » gli sussurrò, emozionata.

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