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Cain x Maeve

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    Cain Noller
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    Sin dalla prima infanzia era sempre stato così, un bambino irruento e orgoglioso. Tendeva sempre a parlare o agire senza pensare alle conseguenze, lasciandosi guidare da quel fuoco che ardeva vigoroso dentro al suo petto da frugoletto. Più e più volte era stato redarguito dai suoi superiori, ma testone com'era pareva che gli insegnamenti avessero effetto inverso.
    «O, altrimenti, puoi mettere da parte il tuo orgoglio e metterti una di quelle. », lo spronò Dawn, indicandogli le protezioni. Il sorriso da "te l'avevo detto" che sfoggiava gli faceva ribollire il sangue. Già gli bruciava maledettamente l'idea di aver trovato una disciplina di guerra dove non brillasse, e in più si ritrovava un'istruttrice che lo guardava dall'alto in basso con quell'aria da saputa. Di tutta risposta le sorrise a sua volta, gli zigomi tesi e le labbra incurvate in un espressione infastidita. Sembrava in tutto per tutto una strana smorfia minacciosa piuttosto che un sorriso.
    « Preferisco sfondarmi il braccio. », le rispose quindi, a denti stretti, sforzandosi di mantenere la calma.
    Stizzito, tornò in posizione, regolando la presa sull'arco e controllando non una ma ben due volte l'allineamento del braccio e la spalla. Esalò un profondo respiro, socchiudendo lo sguardo: quella sarebbe stata la volta buona, lo sentiva dentro. Incoccò, tirò la corda e rilasciò. Ma qualcosa sembrò non andare secondo i piani. La freccia partì verso l'alto, seguendo un moto parabolico e conficcandosi a terra, non troppo distante dal bersaglio. Ma ciò che scioccò particolarmente Cain non fu tanto la freccia: nel momento dello scocco l'arco gli sfuggì di mano con una velocità incredibile, come se una forza esterna glielo avesse sottratto. Il punto è che quella maledettissima arma gli scivolò di mano, saltellando sugli estremi per cadere poco lontano dalla postazione di tiro. Cain, del canto suo, rimase immobile ad osservare l'arco a terra, basito, no, che dico, sconcertato! Mentre nella sua testa profilava la domanda "ma è fisicamente possibile ciò che ho appena visto?", dalla sua bocca sfuggì tuonante un'imprecazione, seguita da un ruggito che di umano aveva ben poco.
    Se prima ci vedeva rosso, adesso ci vedeva bordeaux.
    « Sono errori da principiante, piano piano migliorerai »
    Non furono tanto le parole di Dawn a spingerlo a voltarsi, scoccandole un'occhiata che lanciava coltelli. Fu probabilmente l'unione delle sue parole con quelle risatine soffocate.
    « Te lo faccio vedere io il principiante! », esclamò, caricandola con foga. Senza troppi complimenti la prese per i fianchi, sollevandola da terra e sistemandola sulla spalla destra a mo' di sacco di patate. Prima di riuscire a bloccarle le gambe come si deve, un po' per sostenerla e un po' per evitare colpi nell'addome, si prese, appunto, una serie di calci non da poco. Una volta riuscito a bloccarle la parte inferiore del corpo (perché, sì, la parte superiore era ancora libera e probabilmente, da dietro la schiena, lo stava massacrando), incurante delle eventuali urla o strepiti, prese a correre. Si diresse verso un cumulo di fieno e a pochi metri da quest'ultimo si fermò. Accadde tutto in un istante: nel momento in cui i suoi piedi interruppero la corsa le sue braccia e il suo bacino si mossero all'unisono per scaraventare la ragazza in avanti, dritta dritta sulla catasta di fieno. Poco ma sicuro, la povera Dawn avrebbe fatto un volo che non si sarebbe scordata facilmente.
    Proprio quando pensava di essere lui per una volta a guardarla dall'alto in basso, le gambe di Cain vennero sopraffatte dalla spinta. Inerme, si ritrovò a inciampare su se stesso, crollando come uno scemo. Precipitò in avanti, addosso alla figura esile di Dawn. Per evitare di caderle addosso aprì gli arti superiori, puntandoli ai lati del suo corpo per sostenersi ed evitare di schiacciarla. Funzionò, ma non esattamente come sperava: quell'ultima manovra salvò la ragazza da morte per soffocamento ma le sue mani sprofondarono nel fieno, facendoli ritrovare uno sopra l'altra, viso a viso, gambe quasi intrecciate.
    Era successo tutto talmente in fretta che Cain ci mise diversi istanti per rendersi conto realmente della situazione in cui si trovava. Quando lo fece, il suo cuore sembrò infiammarsi. Averla così vicino, vulnerabile sotto il suo corpo fece esplodere un'inaspettato calore nel suo corpo. Rimase intrappolato in quella dimensione eterea di sentimenti contrastanti per un tempo che gli parve infinito, mentre dal basso qualcosa di meno etereo si risvegliava. Voleva allontanarsi, lo voleva veramente! Ma quegli occhi, dannazione… perché non riusciva a smettere di fissarli? Furono probabilmente i tre secondi più lunghi della sua esistenza.
    Quando finalmente tornò a ossigenare il cervello con un respiro, perché, sì, nel frattempo aveva pure dimenticato come si respirava, si lanciò di lato, cadendo al suo fianco con un tonfo sordo e sollevando una nuvola di fieno. Qualche ciuffetto di erba secca gli cadde sul volto, mentre con gli occhi cerulei fissi sul cielo il suo cuore galoppava all'impazzata: era in preda all'adrenalina come se fosse reduce da una lunga corsa, quando in realtà non aveva fatto nessuno sforzo particolare.
    Rimase immobile, accanto a lei, braccia e gambe divaricate immerso in quel mare di morbidezza che era la massa di fieno. Voleva parlare e rompere il silenzio imbarazzante che li circondava, ma le sue corde vocali sembravano aver perso la capacità di permetterglielo. In quel momento sperava solo che lei non si alzasse per guardarlo in faccia: avrebbe visto soltanto due imbarazzatissimi occhi blu circondati da un viso paonazzo. Espressione che non si addiceva per niente al tanto temuto Generale di Erethos.
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 26/4/2021, 14:55
     
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    La reazione della ragazza all'ennesimo errore da parte di Cain, poco paziente e molto irritabile, fu una ferita al suo orgoglio di soldato veterano: Maeve sapeva benissimo di come trionfasse in qualsiasi disciplina militare, come ogni arma nelle sue mani esperte diventasse più pericolosa di quanto già non fosse. Tuttavia, il tiro con l'arco gli risultava complicato e vederlo in difficoltà era un'occasione più unica che rara. Il ragazzo la squadrò spazientito, e dal suo sguardo risentito capì che le risate di lei non erano state contagiose, tutt'altro: le sue sopracciglia erano corrugate, gli occhi semi-chiusi, le labbra serrate, le sue mani strette a pugno a tal punto da far diventare le nocche bianche. « Te lo faccio vedere io il principiante! » eruppe il ragazzo e, in un attimo, Maeve sentì i piedi sollevarsi da terra, ritrovandosi poi caricata a mo' di sacco di patate su una delle spalle del ragazzo, che l'aveva sollevata senza sforzi e senza troppi fronzoli. Presa alla sprovvista, dalle labbra della principessa uscì un gridolino acuto, smorzato poi dalle prime falcate di Cain: non sapeva dove fosse diretto, ma dal suo punto di vista - quindi alle spalle di lui - stava vedendo che si stavano allontanando dalla postazione di tiro. « Ehi, che ti prende?! » gridò lei, mollandogli pugni sulla schiena - che sicuramente sarebbero stati come carezze per lui, visto i muscoli e la stazza - ma Cain non sembrò dare peso alla reazione sconcertata della ragazza, continuando imperterrito a camminare sempre più veloce. « Cain! » gridò il suo nome nella speranza di ricevere una risposta, tentando di rifilargli un calcio in pieno addome per fermarlo, ma lui le bloccò le gambe e, in quell'istante, prese a correre. La ragazza sbarrò gli occhi, tentando di girarsi per vedere cosa diavolo avesse in mente e, sinceramente, aveva davvero paura: Cain era imprevedibile e seppur silenzioso e solitario si lasciava facilmente guidare dall'istinto, mettendo in difficoltà chiunque tentasse di capire cosa gli passasse per la testa. Ebbene, quello era uno di quei momenti in cui Maeve non stava capendo assolutamente niente, temeva solamente per la sua incolumità. Qualunque cosa stesse facendo lui, avrebbe preferibilmente voluto uscirne viva e vegeta. « Cain! ». Maeve urlò di nuovo il nome dell'altro, stavolta a pieni polmoni, mentre lo stomaco impattava con la spalla massiccia del ragazzo mentre correva e gli mozzava il respiro, ma lui si fermò di colpo e Maeve non poté far altro che serrare le palpebre, impotente: sentì Cain afferrarla e portarla verso il basso, e la ragazza temette seriamente che la spiaccicasse a terra senza alcuna pietà; invece, atterrò su una distesa di fieno che però non rese la caduta più morbida, dato che il suo corpo affondò nella catasta a causa dell'impatto. Di riflesso strinse la maglietta del ragazzo - ossia l'unico appiglio che aveva a disposizione - tra le dita prima di venir scaraventata giù dalle sue spalle, il che si dimostrò praticamente inutile, visto che si trattava di un appoggio inesistente se si parlava di forza bruta, e Cain, di quella, ne era sicuramente ben provvisto. La ragazza cadde accompagnata da un suo grido impaurito ed ebbe l'impressione che non avesse mai smesso di urlare da quando il soldato l'aveva tirata sollevata da terra, ma non ne era del tutto sicuro: seppe solo che fu una gran bella sensazione sentire il fieno morbido sotto il suo fondoschiena piuttosto che le dure rocce del pavimento della scuderia lì accanto - e avrebbe scommesso soldi veri sul fatto che la prima idea di Cain fosse stata quella di sfracellarla per terra appena aveva notato che lei rideva di gusto ad ogni suo errore. Maeve, una volta capito di essere ancora viva, schiuse le palpebre, la luce del sole a colpirla direttamente in viso, e tirò un grosso sospiro, molto plateale.
    « Mi hai fatto prendere un colpo! » esclamò, ancora distesa, mentre la voragine all'altezza dello stomaco le faceva ancora male per la paura, ma le ci sarebbero voluti pochi minuti per riprendersi. Tirò su un braccio per ripararsi dal sole, alto nel cielo a mezzogiorno proprio sopra di loro - Cain non riusciva a farle ombra per una questione di pochi centimetri, gli sarebbe bastato spostarsi leggermente col busto per riuscirci -, e fu allora che vide il ragazzo piombarle sopra. D'istinto portò anche l'altro braccio all'altezza del viso e se lo coprì, rannicchiandosi per quanto possibile su sé stessa - scelta molto intelligente per un soldato, visto che se avesse reagito così sul campo di battaglia sarebbe sicuramente morta -, ma non sentì nulla, nessun dolore, se non il suono del fieno che si sollevava ai lati della propria testa e qualcosa - o meglio, qualcuno - che ci sprofondava dentro. Pensando di essere fuori pericolo, scoprì il volto per vedere cosa fosse successo e, nel vedere Cain sovrastarla col proprio corpo, perse un battito. Fuori pericolo, eh? Per nulla. Ora che il sole non le offuscava più la vista, Cain lo vedeva fin troppo bene. Le iridi cerulee di lui catturarono le sue, e d'improvviso si sentì la gola secca, qualsiasi parola le moriva in gola prima che riuscisse a scivolarle sulla lingua e qualsiasi tentativo di formulare dei pensieri sensati sfumava dopo pochi secondi, il tempo di vagare sul viso del ragazzo, che non era mai stato così vicino come in quel momento. O forse sì, magari mentre si allenavano, ma non ci aveva mai fatto caso. In quel momento invece, che le loro gambe erano semi intrecciate e riuscivano a guardarsi direttamente negli occhi, se ne era accorta eccome. E si stava accorgendo anche del tempo che passava, così come Cain, che in men che non si dica si spostò con la grazia che lo contraddistingueva, buttandosi al suo fianco e dandole un attimo di respiro. Maeve non seguì con lo sguardo i movimenti che fece l'altro, anzi, dovette tornare a concentrarsi su sé stessa per accorgersi che aveva trattenuto il respiro fino a quel momento, e la prima cosa che le venne in mente fu il toccarsi i capelli per controllare se avesse del fieno in quella zazzera bionda che si ritrovava quando assumeva le sembianze di Dawn. Fu un pensiero sciocco, perché ovviamente era piena di fieno tra i capelli e nei vestiti, e l'universo doveva avercela con lei se nell'unico momento in cui Cain l'aveva guardata per più di due secondi di fila senza pensare agli allenamenti, o al cibo, o a lucidare la sua amatissima spada si ritrovava con la chioma in disordine e piena di paglia. - Cielo, no, che vado a pensare? -. Sospirò piano, chiedendosi il perché le fregasse così tanto di che aspetto avesse in quel momento, il cuore che stava pian piano riprendendo a battere a ritmo regolare col passare dei minuti, passati in rigoroso silenzio. E per tutto il tempo, Maeve non fu in grado neanche di voltarsi in direzione di Cain, tormentandosi le punte dei capelli mentre cercava un argomento qualsiasi per fare conversazione, visto che nessuno dei due si decideva a parlare e la situazione stava diventando... strana. Maeve continuava a vederlo sopra di lei, robusto e possente, gli occhi sbarrati e lo sguardo confuso quanto quello della ragazza, e al solo pensiero sentiva il petto esplodere. E non le piaceva. Non era la prima volta che lo stomaco le si contorceva appena lui si avvicinava o si sentiva le gambe di gelatina quando Cain sosteneva il suo sguardo per qualche secondi di troppo. Era un brutto segno, ma non sapeva più cosa fare, se non combattere e rifuggire queste sensazioni appena si presentavano. Per la prima volta, tuttavia, le sembrò di non avere scampo. « Non solo bisognerà lavorare sulla tua abilità con l'arco » fece, approfittando di un'ondata di coraggio nonostante fosse nervosa per la situazione, ma se non avesse parlato in quel momento non ce l'avrebbe più fatta. « ma anche sulla tua pazienza. » lo disse mentre si tirava su col busto, mettendosi seduta e togliendo i residui di fieno dalla camicia con colpi decisi della mano, ben conscia di quanto quella procedura fosse inutile, dato che era circondata da fieno: bastava il minimo movimento per far sì che esso ritornasse a decorarle - si fa per dire - i vestiti. Visto il silenzio di lui, prese a rigirarsi tra le dita qualche stelo di paglia, non trovando nient'altro di meglio da fare. Ormai la lezione di tiro con l'arco sembrava finita: Cain non sembrava intenzionato a spiccicare parola e la tensione tra di loro era palpabile. « Affronti i problemi in maniera molto... diretta. », non le veniva in mente un aggettivo migliore, « E non sempre è un bene. ». Non per lei almeno, che rimuginava anche troppo sul da farsi prima di prendere una decisione, analitica e razionale com'era: forse entrambi avrebbero dovuto sciogliersi un po' ed imparare l'uno dall'altra, lo riconosceva. Il ragazzo continuava a non abboccare all'amo che Maeve gli stava disperatamente tirando, nella speranza di spezzare l'atmosfera pesante, e così facendo le sembrava di star parlando con un muro. Non la stava aiutando, per nulla. « E ti arrabbi fin troppo facilmente. » esclamò, come se fosse un'innocente osservazione, e, senza pensarci due volte, buttò in faccia al ragazzo un mucchietto di fieno. Forse stuzzicarlo non era la migliore delle idee, ma sicuramente l'unica per ottenere una reazione da Cain: ormai lo conosceva abbastanza da poter dire che gli piacevano le sfide e non sopportava la gente che gli faceva notare quali fossero le sue mancanze. E Maeve, in quel momento, gli stava offrendo entrambe le cose. Non l'avrebbe di certo ignorata. Nel peggiore dei casi si sarebbe arrabbiato, l'avrebbe presa a parole e se ne sarebbe andato, poi lei si sarebbe ripresentata il giorno dopo con la spada in mano e sarebbe finita lì. « Sei arrabbiato, per caso? » domandò retorica, sapendo benissimo la risposta, sporgendosi lievemente in sua direzione per buttargli un altro po' di biada dritta sul viso. Lo sentì lamentarsi e anche se non colse le parole precise sapeva che stava imprecando e le stava chiedendo di smetterla. Ridacchiò sommessamente, lanciandogli ancora del fieno, incurante di quanto potesse dargli fastidio, anzi, lo trovava divertente, o almeno fino a quando non vide Cain alzarsi e sollevare un'enorme catasta di fieno. Maeve stava ancora sorridendo quando l'altro era in piedi di fronte a lei, furioso, con un ammasso di paglia tra le braccia pronto a sommergerla, e quando realizzò gli intenti di Cain - non ci volle molto, a dirla tutta - le labbra si schiusero in un'espressione alquanto preoccupata, le dita si fermarono a mezz'aria, lasciando scivolare quel che voleva essere l'ennesimo mazzetto di fieno da lanciargli, e sbiancò, come se sapesse di andare incontro a morte certa. « Oh no... » mormorò, inerme, rendendosi conto che , finalmente aveva avuto una reazione da parte sua, e era riuscita nel suo intento, ma no, non era quello che sperava. Tentò di allontanarsi, sebbene la morbidezza del fieno non aiutasse, ma non fu abbastanza veloce: Cain scaraventò quella che era un'arma impropria in piena regola su di lei senza alcuna - apparente - pietà, finendo per mandarla nuovamente a terra ricoperta di paglia da capo a piedi. Si tirò su togliendosi dei ciuffetti di erba secca dalla bocca, squadrandolo con uno sguardo ricolmo di rancore. « E ricorri sempre alle maniere forti! » fece, alzando la voce, mentre si metteva a sedere a gambe incrociate e a togliersi il fieno di dosso, rifilando un'occhiataccia al compagno quando lo vide sedersi accanto a lei. « Ma che ti è passato per la testa? » esclamò di colpo, sollevando nuvolette di fieno muovendo le braccia in maniera visibilmente nervosa ed infastidita. L'aveva trovata una reazione piuttosto esagerata, a dire il vero: insomma, lei stava solo cercando di farlo parlare per alleggerire l'atmosfera, non credeva avesse reagito così male... Se lo sarebbe appuntata per le prossime volte. Una volta pulita la maglia alla bell'e meglio guardò di nuovo Cain in viso, non troppo scosso da ciò che era appena successo, e sollevò gli occhi al cielo senza preoccuparsi di sostenere il suo sguardo per più di qualche secondo. « Oh, guarda! » fece ad un tratto, indicando col braccio teso una nuvola alle spalle di Cain. Quel giorno il cielo era terso, ma ora stava cominciando a riempirsi di nuvole candide e morbide, cosa che gli occhi chiari di Maeve apprezzarono molto visto la luce del sole che quasi le impediva di aprirli. « Quella nuvola assomiglia alla tua zucca vuota! » esclamò, scandendo bene le ultime parole e togliendosi l'ennesimo filo di erba secca che le era finito sul viso.

    « Parlato » || - Pensato -

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    Edited by altäir - 8/5/2021, 12:47
     
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    Per quanto si sforzasse non riusciva a comprendere il motivo per cui il suo corpo avesse reagito in quel modo. Era come se mente e fisico avessero due opinioni opposte e non riuscissero a mettersi d'accordo. L'uno gli diceva "è solo una ragazzina" mentre l'altro ribadiva, spavaldo "se è davvero solo una ragazzina come dici, perché ti fa quest'effetto?".
    Chiuse gli occhi, lasciandosi andare a un lungo, profondo respiro: doveva calmarsi, non poteva permettere che Dawn lo vedesse in quello stato. Si impose mentalmente di pensare ad altro, di concentrare la propria attenzione su pensieri differenti e proprio in quell'istante la voce della ragazza irruppe nei suoi pensieri. La ringraziò mentalmente per aver cominciato a parlare: in quel modo fu come se la maggior parte della tensione si fosse sciolta. Non ascoltò realmente ciò che lei gli stava dicendo, sentiva più che altro un suono di sottofondo, sovrastato da quel mare di pensieri che gli affollavano la mente.
    D'improvviso, un ciuffo di fieno gli cadde in pieno viso, prendendogli in pieno l'occhio sinistro « H-Hey! », esclamò allontanandosi lo stelo con una manata veloce e stropicciandosi l'occhio. Pensando che le fosse sfuggito, magari muovendosi, non aggiunse niente, limitandosi invece a portare il braccio davanti al viso e poggiarlo sulla fronte, proteggendo gli occhi dal sole. Fissò per qualche istante il cielo, le pupille nere che si ristringevano a contatto con la luce. Quando stava giusto cominciando a rilassarsi, abbandonato in quel mare di morbidezza, altra erba secca raggiunse il suo volto, questa volta rischiando di entrargli in bocca dato che teneva le labbra leggermente socchiuse. In un gesto istintivo allontanò il fieno con un soffio stizzito, voltando il viso verso Dawn per lanciarle un'occhiata di sbieco, pur non vedendola del tutto « Oi, dacci un taglio! », fece passando velocemente una mano sul viso per spostare i resti d'erba che non erano volati via. Era indubbiamente una situazione strana, e soprattutto fastidiosa, ma nonostante tutto doveva ringraziare Dawn e il suo intervento giocoso. Se era riuscito a calmarsi, a dimenticare quei magnetici occhi verdi che lo scrutavano, era solo merito suo e di quel dannatissimo fieno che continuava a lanciargli addosso.
    Per la terza e ultima volta, una manciata d'erba secca gli colpì il viso, pizzicandolo. In quel momento la vena che già da prima aveva cominciato a pulsare si chiuse definitivamente. In un movimento rapido e istintivo Cain si sollevò dalla catasta di fieno, coprendo la figura esile di Dawn, ancora stesa, con la sua massiccia ombra. Afferrò un'abbondante quantità di biada, abbastanza da coprirgli la parte bassa del viso « Vuoi la guerra? », chiese, minaccioso, gli occhi cerulei ridotti a due fessure « E guerra sia. », concluse lanciandogliela addosso e coprendo quasi per intero la sua figura.
    « Ma che ti è passato per la testa? », la sentì esclamare, stridula, annaspando in quel mare d'erba.
    Terminato il suo sporco lavoro Cain batté le mani una sull'altra per liberarsi dei residui in eccesso, per poi, con non chalance, tornare a prendere posto nel buco sul fieno che ormai aveva preso la forma del suo di dietro.
    « Fammi indovinare... », disse, scuotendo a destra e sinistra la mano per allontanare gli steli, e soprattutto la polvere. che ancora volteggiavano in aria dopo l'impatto « ...Non hai molta familiarità col detto "Non stuzzicar il can che dorme", vero? », la schernì, un sopracciglio sollevato e le labbra piegate nel dipingere un lieve sorriso.
    Inspiegabilmente adorava quel lato infantile di Dawn. Invidiava la sua capacità di trasformare una situazione seria, o come nel loro caso imbarazzante, in un gioco, e soprattutto gli piaceva quel suo sorriso, quel dannatissimo sorriso che sarebbe stato ore a fissare.
    « Oh, guarda! », esclamò la ragazza, irrompendo nei suoi pensieri. Senza pensarci due volte Cain si voltò, osservando prima la mano della ragazza, col dito puntato verso il cielo, per poi seguire con lo sguardo la direzione indicata. Non vide nulla di strano, se non un paio di nuvolette pallide e striminzite. Quando stava giusto per chiedergli spiegazioni, Maeve chiarì, aggiungendo « Quella nuvola assomiglia alla tua zucca vuota! »
    Cain, allibito, voltò lentamente il capo verso la ragazza, le labbra strette e gli occhi ridotti a due fessure. La osservò per qualche istante, probabilmente indeciso se assaltarla di nuovo o trovare un altro modo di reagire, magari più costruttivo. Optò per la seconda, rispondendole a tono con un sorrisetto infastidito « Meglio vuota che piena di segatura. » ...Cain, ho detto costruttivo!
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    Edited by rhænys` - 9/5/2021, 14:40
     
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    Maeve, ad occhio esterno, sembrava più un pupazzo di fieno che altro: ancora intenta a levarselo di dosso, dopo l'enorme ammasso di erba secca che Cain le aveva lanciato per ripicca, sbuffò contrariata e un paio di ciuffetti di fieno le scivolarono dal naso. Cain invece, d'altra parte, era praticamente immacolato: certo, qualche filo lo aveva addosso anche lui, ma nulla di preoccupante. Gli sarebbe bastato sbattere i panni all'aria un paio di volte e tutto sarebbe tornato lindo e pinto come qualche minuto prima. Lui, infatti, sembrava estremamente soddisfatto dell'opera, tanto che il solo averlo vicino con quel sorrisetto compiaciuto stampato in viso le dava estremamente fastidio, altro che batticuore. Non riusciva ad odiarlo come mesi prima, non più, ma era ancora un po' difficile andarci d'accordo, soprattutto quando se ne usciva con certe esagerazioni. La soddisfazione di averlo lasciato a bocca asciutta arrivò poco dopo, quando gli diede della zucca vuota, e lui la guardò basito: ah, sì, il dolce sapore della vittoria. Non dava tanto soddisfazione quanto vincere un duello contro di lui - dato che succedeva molto raramente -, ma vederlo lì, sbigottito, alla ricerca di qualcosa da dire per non rimanere in silenzio ed avere l'ultima parola, la faceva sentire la vera vincitrice di quello scontro. Lo vide concentrarsi, con le sopracciglia aggrottate e le labbra serrate, e lei lo guardò con un sorrisetto sghembo, come a dire che qualsiasi cosa avrebbe detto, mi dispiace, ma ormai era finita per lui: già il fatto che ci stava mettendo così tanto significava che non aveva la risposta pronta ed aumentava solo la disparità tra i due. « Meglio vuota che piena di segatura. » furono le parole che pronunciò Cain, scelte accuratamente per zittirla a quanto pareva, e Maeve, appena le udì, sollevò un sopracciglio, dubbiosa, per dire "veramente? Tutto qua?" mentre un sorriso nasceva spontaneo sulle sue labbra: le veniva da ridere, di nuovo, ma riuscì a trattenersi. « Guarda che avere una testa piena di segatura equivale ad averla vuota. E' praticamente la stessa cosa. » gli fece notare, facendosi scappare una risatina sommessa che però non intralciò il suo discorso, e si passò velocemente una mano sul viso per nascondere l'ennesimo sorriso: era un idiota. « Quindi mi hai dato ragione. » fece spallucce, continuando a ridere sommessamente, incrociando le gambe e dondolandosi un paio di volte. « Sei una zucca vuota. ». Stavolta rise più forte, ma senza lasciarsi andare: l'ira di Cain sapeva essere imprevedibile e non voleva che piombasse nuovamente su di lei. Poteva dire di averne avuta abbastanza per quel giorno, o anche per sempre: se non avessero avuto a disposizione il fieno - che era morbido, per sua fortuna - chissà cosa le avrebbe scagliato contro. Non ci teneva a scoprirlo. « Hai fatto tutto da solo! ». Alzò le mani ed esibì un sorriso infastidito in risposta al suo, manco fossero due bambini che stavano battibeccando. E le piaceva, battibeccare come mocciosi: ogni tanto poteva mostrare questa parte di lei, e rivelarla proprio a Cain sembrava quasi uno scherzo messo in piedi dall'universo per dirle che si era sbagliata sul suo conto. Non si stava rivelando il nemico che temeva potesse essere, tutt'altro: il generale di Erethos l'aveva appena catapultata dritta in una grossa mole di erba secca perché ferito nell'orgoglio e ora stava cercando di difendersi senza riuscirci granché bene, proprio come un qualsiasi ragazzo della sua età. Altro che mostro, altro che assassino. Non era sicuramente il prescelto che si era sempre immaginata, ma non era neanche così male. La ragazza scrocchiò la schiena mentre allungava le braccia verso l'alto, per poi puntarle nella paglia dietro di sé, in modo da dirigere lo sguardo verso il cielo terso, dove vagava qualche nuvola e la luce del sole le faceva quasi male agli occhi. Il suo sguardo finì involontariamente - ... forse - sulla nuvola che aveva indicato prima a Cain: l'aveva fatto in modo casuale, giusto per avere una scusa per schernirlo, ma ora che la guardava più attentamente riuscì quasi a trovarle una forma ben distinta. « Quella nuvola mi sembra un leone. » fece, indicandogliela con un cenno del capo, « Guarda, quello è il muso, e quella lì è la criniera! Non sembra anche a te? » aggiunse sorridendogli appena, per poi tornare a fissare il cielo, stavolta coprendosi la fronte con una mano a causa della luce accecante: forse era tutto frutto della sua immaginazione, ma vedere il re degli animali fare capolino tra le nuvole le riempì l'animo di rinnovata speranza. Il leone era sempre un buon simbolo e una delle sue interpretazioni preferite: era simbolo di onore e rispetto, qualità che sapeva di possedere e che avrebbe sempre voluto dimostrare a chi la circondava. Doveva solo trovare l'occasione giusta, dato che la nobiltà era convinta che il ruolo delle donne fosse dietro le quinte e i soldati si divertivano a ridere di lei quando finiva a terra disarmata. O, almeno, fino a quando non aveva incontrato Cain, che l'aveva sempre trattata come una sua pari: nessun trattamento di riguardo, nessuna presa in giro per via del suo sesso, solo duri allenamenti. « Se vedi qualche nuvola particolare dimmelo. So interpretarne la forma, sai? ». La sua attenzione passò momentaneamente al ragazzo che aveva di fronte, mentre un sorrisetto soddisfatto incurvava gli angoli delle sue labbra: aveva trovato un vecchio libricino di sua madre, pieno di appunti, nella biblioteca del palazzo qualche anno fa, e non le ci era voluto tanto a divorare ogni pagina e a memorizzarne il contenuto. « Il leone simboleggia l'onore, e ci dice che si presenterà un'occasione per dimostrare il proprio valore. » spiegò, sperando fosse davvero portatore di buone nuove: aveva il disperato bisogno di autodeterminarsi all'interno del suo stesso paese, e vedere il leone lassù, proprio di fronte a lei, le infondeva un po' di coraggio. Gli occhi vagarono alla ricerca di altre forme, pregando di leggere qualcosa riguardo la guerra imminente contro Erethos: purtroppo, per quanto sperava di sbagliarsi, sapeva benissimo che di lì a poco sarebbe cominciato uno scontro senza pari per tentare di sconfiggere Greil che, giorno dopo giorno, avanzava sempre più verso i territori confinanti, tra cui Thyandul. Aveva già attaccato diverse città più o meno importanti che si trovavano vicino ad Erethos e re Ethelbert aveva già provveduto a mandare diversi soldati a far fronte alla minaccia, ma era oramai chiaro che non sarebbe bastato: l'esercito di Thyandul sarebbe partito a breve per raggiungere Erethos e porre fine alla guerra imminente. La ricerca di Maeve si fece quasi ossessiva, ma le nuvole non le davano le risposte che cercava: non vedeva forme, non vedeva indizi, non vedeva presagi.
    Le parole di Cain la riportarono alla realtà in maniera brusca, facendole rendere conto che alienarsi in quel modo non avrebbe portato a nulla di buono, soprattutto in sua compagnia. « La catena è simbolo di amore, o addirittura matrimonio. » spiegò, e subito dopo lo colpì con il gomito in maniera amichevole. « Hai una fidanzata e non me ne hai mai parlato? » ridacchiò, accorgendosi solo in seguito di quanto un pensiero del genere la facesse sentire... male. Non le aveva mai dato fastidio immaginarlo con una ragazza: in fondo era un bel ragazzo ed era sicura di aver sentito delle domestiche parlare di quanto fosse avvenente e tenebroso, se ne era già fatta una ragione. Ma ora che ripensava a quel che era successo qualche momento prima le si aprì una voragine all'altezza dello stomaco: la catena era palesemente un simbolo romantico, segno che due innamorati sarebbero stati legati per l'eternità, ed adesso quel pensiero la nauseava. « Una barca? Quella? Secondo me assomiglia più a te appena uscito dalla mensa dopo aver ripulito almeno una decina di piatti. » rise di nuovo e gli fece una piccola linguaccia, poi si distese completamente sul cumulo di fieno. « La barca significa cambiamento burrascoso. » spiegò, esaminando i bordi della nuvola che il ragazzo gli aveva indicato: si trattava di una nuvola cicciotta, ma poteva benissimo tracciare i contorni della figura che Cain aveva visto in essa. Che si riferisse al futuro che lo attendeva? O faceva ormai parte del suo passato? In fondo la sua vita era già stata stravolta, cosa lo attendeva in futuro? Sospirò piano, alla ricerca di qualche altra nuvola per lei.

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    In quel momento si sentì un emerito imbecille. Rimase a fissare Dawn, incredulo, per qualche secondo, le parole della giovane che, una dopo l'altra, pugnalavano il suo maledetto orgoglio. Doveva sempre avere l'ultima parola d'altronde, anche a costo di parlare senza pensare, e questo era il prezzo da pagare. Aggrottò le sopracciglia, pensoso, puntando con lo sguardo ceruleo un punto fisso sul terreno. Ripensò alla propria frase, studiando a fondo il significato, per poi spalancare gli occhi, le labbra leggermente socchiuse in un'espressione meravigliata. Sei un dannatissimo idiota, pensò, stringendo le labbra stizzito. Ormai il dado era tratto, la figuraccia l'aveva fatta: non poteva altro che rimediare. Dopotutto, come aveva detto Dawn: "aveva fatto tutto da solo", e da solo adesso doveva uscirne, in modo maturo ed estremamente intelligente, come solo il Generale di Erethos sarebbe riuscito a fare « Bah! », esclamò, muovendo nervosamente una mano in aria per colpire una manciata di fieno e indirizzarla verso Dawn, un po' come fanno i bambini arrabbiati. Fortuna che avevo detto in modo maturo e estremamente intelligente.
    Di lì a poco il discorso proseguì, e la nuvola che poco prima assomigliava alla testa vuota di Cain, secondo Dawn, prese la forma di un leone. Il giovane generale seguì lo sguardo della giovane, osservando attentamente la massa gassosa in cielo e esordendo dopo qualche secondo con un « A me sembra solo una nuvola storta. », fece, il naso arricciato e le labbra ricurve in una smorfia. La fantasia non era mai stata il suo forte, tranne quando si parlava di ideare nuove tecniche militari e strategie: in quel caso era sempre il primo della classe. Diciamo che era più un tipo da cose "concrete", piuttosto che "immaginarie".
    In ogni caso, decise di stare al gioco: alzò gli occhi al cielo, spostando lo sguardo da una nuvola all'altra, cercandone una che effettivamente gli ricordasse qualcosa. In pochi istanti, la trovò: alzò una mano al cielo, indicando col dito indice un cirro dalla forma allungata, leggermente ovoidale alle estremità « Quella. », affermò, convinto, portandosi l'altra mano davanti al viso per celare lo sguardo al sole « Sembra una catena. ». Il significato di quel simbolo lo fece letteralmente sprofondare nel fieno. Alla parola "amore" il suo viso divenne paonazzo, lo stomaco che si contorceva nel suo ventre come un calzino. Provò l'inspiegabile bisogno di evitare il contatto diretto con la ragazza: in quel momento pareva che sostenere il suo sguardo fosse doloroso quanto una scheggia nell'occhio. Portò le mani dietro la testa a mo' di cuscino, guardando verso l'alto in un punto indefinito del cielo e usando i gomiti come "scudo" per non vedere la ragazza in viso « Baggianate. », esordì, con fare da duro, ma con un'espressione in viso estremamente traditrice.
    « Hai una fidanzata e non me ne hai mai parlato? »
    Si sentì morire. Il suo cuore perse un battito e la sua testa andò letteralmente nel panico. Se prima era sprofondato nel fieno, ora si trovava direttamente nei meandri più oscuri della profondità della terra. Attese qualche istante prima di rispondere alla domanda, prendendosi il tempo di raggruppare le idee e, questa volta, pensare. Non voleva ritrovarsi in una situazione scomoda come quella di prima, soprattutto se l'argomento era per lui così… inspiegabilmente disturbante.
    « U-Una fidanzata? E che me ne faccio? », esordì, serio, non riuscendo però a celare un'attimo di debolezza a inizio frase. Era come se per le sue corde vocali non avessero voluto collaborare, ma alla fine fosse riuscito a forzarle nel parlare. In ogni caso il "che me ne faccio" era da sempre la classica risposta, o scusa, a quel genere di domande. In più di un'occasione Re Greil aveva spinto per organizzare matrimoni combinati, ma Cain sembrava non dare importanza alla sfera sentimentale, dando invece massima priorità all'ambito militare. Lui viveva per combattere e servire il padre: per sposarsi e portare avanti il nome della famiglia Noller c'era tempo, e Greil, del canto suo, era più che fiero di questo suo modo di pensare. Però… perché adesso faticava così tanto a dirlo? Che, dentro di lui, stesse cambiando qualcosa? Scuotendo il capo e lasciandosi andare a un profondo sospiro ricacciò quei pensieri nei meandri della propria mente. Da qualche parte nel suo petto trovò finalmente la forza di mostrarsi a Dawn, abbassando i gomiti e voltandosi con un sorriso dispettoso « E poi la rompiscatole di turno ce l'ho già, non ho bisogno di una fidanzata. », continuò, alludendo palesemente a Dawn nel pronunciare la parola "rompiscatole".
    A seguire, il gioco "scova la nuvola", continuò. Questa volta Cain puntò un cumulonembo enorme, sottolineando la sua somiglianza a una barca. Dawn, evidentemente non d'accordo con la sua opinione, lo derise, « Secondo me assomiglia più a te appena uscito dalla mensa dopo aver ripulito almeno una decina di piatti. », scaturendo in lui, questa volta, un'inaspettata, spontanea risata cristallina. Per la prima volta, forse dopo anni, rise davvero di gusto, immaginando se stesso in una situazione simile. Okay, lo aveva insultato di nuovo, ma effettivamente era esilarante come scena!
    « Magari dopo una mangiata di fagioli! », aggiunse, divertito, lo sguardo ceruleo dal taglio duro che si addolciva, accompagnando quella risata sonora e genuina. Era talmente poco abituato a ridere che dopo pochi minuti già sentiva le guance doloranti. Quel riso però si spense molto rapidamente « Cambiamento burrascoso? », ripeté, mentre gli estremi delle labbra si abbassavano gradualmente, tornando a disegnare una linea retta. Un brivido gli percorse la schiena, mentre il ricordo del suo ultimo "cambiamento burrascoso" gli intossicava i pensieri. Ricordava come fosse ieri il giorno in cui aveva scoperto la vera natura di Greil, il giorno in cui aveva deciso di ribellarsi, e il giorno in cui la persona che doveva chiamare "padre" aveva assoldato dei mercenari per ucciderlo. A volte la notte ancora li sognava, quei giorni lì: incubi che rappresentavano la dura realtà delle cose. Si morse le labbra, lo sguardo fisso verso l'enorme nuvola a forma di barca, mentre la ferita nel cuore sembrava riaprirsi per l'ennesima volta. Sospirò, cercando di cambiare argomento « Quella… », fece, in realtà non troppo convinto, « Quella mi ricorda un cervo. »
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    Sorrise tra sé e sé quando udì la voce di Cain quasi tremare per rispondere alla sua domanda, posta chiaramente per scherzo, ma il ragazzo sembrava voler giustificarsi a tutti i costi: una fidanzata, lui? Giammai, neanche a pagarlo! Era così che lo vedeva, preso alla sprovvista e forse un po' in imbarazzo, dato che, in effetti, non avevano mai toccato l'argomento ragazze. E, a dirla tutta, la reazione di Cain era tutt'altro che inaspettata: era perennemente sotto l'occhio vigile delle guardie, lei gli aveva imposto un sigillo che gli impediva di scorrazzare liberamente dove gli pareva ed era davvero ossessionato dall'arte del combattimento, ma capiva anche le chiacchiere che correvano nei corridoi del palazzo sul suo conto. Le domestiche non facevano altro che guardare lui quando passeggiavano nei giardini intorno all'accampamento dei soldati, sorridendo tra di loro quando lo vedevano fendere l'aria con un colpo deciso di spada o quando si annodava la fascia che portava tra i capelli in un momento di pausa: Cain era tenebroso e misterioso e, oggettivamente, un bel ragazzo, e a quanto pare, nonostante non avesse dato chiari segni di volersi schierare dalla loro parte, qualcuno della servitù, visto il suo comportamento ligio alle regole degli ultimi tempi, non aveva più così tanta paura di lui come qualche tempo fa. O, semplicemente, le ragazze si dimenticavano per qualche attimo che egli non era altro che il figlio di colui che stava muovendo guerra contro Thyandul e in lui vedevano solo un bel manzo - esatto, inutile girarci tanto intorno - da ammirare da lontano. « Guarda che con una fidanzata ci puoi fare un sacco di cose, non è mica un oggetto. » alzò gli occhi al cielo, senza riuscire ad innervosirsi davvero nonostante stesse dipingendo le donne come... merce. Conosceva bene l'origine di questo suo pensiero, per quanto quella frase non fosse stata detta per offendere: anche Cain era in età da marito, e sicuramente avrà partecipato a feste, banchetti, visite ed incontri premeditati, e avrà parlato coi suoi genitori per parlare di un futuro matrimonio, e avrà visto principesse, duchesse e contesse inchinarsi ai suoi piedi nella speranza di essere scelte come futura consorte del re di Erethos. Una noia mortale, un peso schiacciante, una responsabilità per il quale non si sentiva pronto e che non gli interessava davvero. Forse si era sentito anche lui così, forse anche lui ogni volta che vedeva una lettera nelle mani del padre sospirava stanco, e anche lui andava a dormire con un senso di irrequietezza sapendo che un matrimonio combinato, in quel momento, non era ciò che gli serviva. Lui non si sarà sentito trattare come mera merce di scambio tra due famiglie per ottenere un'alleanza, ma forse aveva trovato un altro punto in comune con il presunto eroe di Thyandul. E poi, ad essere completamente sincera, sapere che non avesse una compagna la faceva sentire meglio, un po' più leggera. « Deve essere bello essere amati da qualcuno. Non parlarne come se fosse una brutta cosa. », « E poi la rompiscatole di turno ce l'ho già, non ho bisogno di una fidanzata. ». Il discorso di Maeve venne interrotto dalle parole di Cain, rivolgendole un sorriso affatto cordiale, facendole così capire che la rompiscatole alla quale alludeva non era nient'altro che lei. Aprì la bocca in un'espressione fintamente scandalizzata, finendo poi per ridere, e lo colpì giocosamente su un braccio, senza fargli alcun male. Una volta distesa al suo fianco posò i palmi delle mani sotto il seno, le gambe stese in una posizione rilassata, piuttosto principesca nonostante non stesse ricoprendo il ruolo di futura erede al trono in quel momento e riprese a guardare il cielo, tentando di non pensare a quanto Cain le stesse vicino: le era sempre stato vicino, anche più di così, quindi perché si sentiva così agitata e la sua mente era un vero e proprio caos? Tutte quelle sensazioni, tutte insieme, tutte mischiate, le davano un gran fastidio: lo stomaco le faceva male, non riusciva a concentrarsi su nulla che non fossero i centimetri che dividevano i loro corpi e si accorse di star trattenendo il respiro per riuscire ad ascoltare quello di lui, e quella realizzazione le fece ancora più male di quanto già ne sentiva. La voce di lui la fece distrarre un poco, indicandogli la nuvola a forma di barca, e al commento che seguì da parte della ragazza Cain rise di gusto, e lì, in quel preciso istante, Maeve capì che c'era qualcosa che non andava: era la prima volta che lo sentiva ridere. Non una risatina di scherno, non un sorriso infastidito, non un sogghigno mal celato, ma una risata. Si voltò a guardarlo senza sapere bene come reagire, se ridere anche lei o rimanere lì, a guardarlo sorpresa, mentre lui sembrava non riuscire più a respirare per la battuta. Eppure, un sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra a vederlo così contento, così leggero, senza freni, e non poté fare a meno di formulare un pensiero che le fece una gran paura: avrebbe voluto sentire la sua risata ancora, ancora e ancora. Avrebbe voluto vederlo sempre così spensierato, avrebbe volentieri alleggerito il suo peso per riuscire a strappargli una risata. E in quel momento capì di essere senza ritorno, e ne fu terrorizzata. « Magari dopo una mangiata di fagioli! », « Per Manaar, no! Che schifo! » commentò poi, stavolta ridendo anche lei, per poi vedere gli occhi di lui spegnersi tutto d'un colpo, il suono cristallino della sua risata interrompersi per lasciare spazio ad un'espressione sinceramente preoccupata e tormentata. Come immaginava, Cain aveva già vissuto diversi cambiamenti burrascosi, e non ne voleva affrontare un altro. Maeve accarezzò un'ultima volta i lineamenti duri del ragazzo prima di abbassare lo sguardo, non riuscendo a trovare parole adatte a confortarlo, perché non credeva che ne esistevano, a dire il vero: tra poco si sarebbero ritrovati nel bel mezzo di una guerra sanguinaria e avrebbero dovuto combattere contro la sua stessa gente, contro soldati che lui conosceva, contro suo padre. Non sarebbe stato facile, e non poteva davvero addolcire una verità amara come questa. « Quella… Quella mi ricorda un cervo. ». La ragazza sollevò subito gli occhi verso il cielo, alla ricerca della nuvola che Cain le aveva indicato, bramosa di trovarla, perché almeno quella poteva significare qualcosa di positivo. « Vittoria su un rivale! » esclamò appena posò lo sguardo sul cervo, rendendosi poi conto che aveva utilizzato un tono anche troppo entusiasta, « Questa non è affatto male. » commentò poi, sorridendo debolmente, ma credendo davvero che la sua connotazione positiva potesse aiutare ad insabbiare la barca che aveva visto qualche momento prima. Sospirò lievemente, in modo da tranquillizzarsi un poco, per poi riprendere a cercare qualche nuvola che potesse dirle qualcosa in più sul suo avvenire: aveva trovato il leone, ma poi? Dopo essere riuscita a farsi valere e ad ottenere rispetto cosa sarebbe successo? Un tempo quella singola predizione le sarebbe bastata e le avrebbe riempito il cuore di coraggio e determinazione, ma con una guerra alle porte non era abbastanza. Necessitava di conoscere il destino del suo regno, e sperava di individuare anche un'infima nuvoletta, che fosse stata piccola o quasi invisibile non importava, voleva solo sapere se sarebbe successo qualcosa di brutto ed irreparabile. Manaar non le mandava indicazioni o visioni da un po', e voleva sapere se si stavano imbarcando in un'impresa più grande di loro, se ne valeva davvero la pena, se c'era qualche altra strada che non aveva ancora valutato, ma il suo sguardò si soffermò su una figura che non c'entrava nulla con quello che cercava: un coltello. Cautela nei rapporti con gli altri. Si morse il labbro per non sospirare di nuovo, stavolta molto più rumorosamente, perché, caspita, lo sapeva. Non era nulla di nuovo. Lo sapeva fin troppo bene. In fondo si ritrovava a camuffarsi per portare Cain dalla sua parte e non poteva permettersi sbagli se non voleva mandare a monte tutto. Oh, e magari farsi odiare da lui talmente tanto da ritrovarselo contro, togliere a Thyandul il proprio eroe e una delle poche speranze di vincere quella dannatissima guerra, deludere Manaar e portare il suo regno alla rovina in men che non si dica. Grazie, universo, ma quell'infimo coltellino era veramente inutile. I suoi occhi sostavano ancora sulla stessa nuvola, quando essa sembrò cominciare a trasformarsi: si era alzato una leggera brezzolina, ma all'inizio Maeve non collegò le due cose, rendendosi conto solo dopo qualche attimo che quella nube stava pian piano cambiando forma. La ragazza assottigliò lo sguardo, tentando di capire se si stesse immaginando le cose o veramente quel coltello non assomigliava più di tanto ad un coltello, e quando realizzò in cosa la nuvola si stesse trasformando ebbe un tonfo al cuore. Sollevò il busto di colpo - e con esso un poco di fieno -, improvvisamente pallida in viso, gli occhi ora spalancati ed il battito cardiaco accelerato. Maeve stette ad osservare la nuvola come se ne andasse della sua vita, pregandola di cambiare forma, ma ormai nella sua mente si era stampata la forma della falce. Non era necessario sapere interpretare la forma delle nuvole per capirne il significato, pure Cain ci sarebbe arrivato senza bisogno di molte spiegazioni: morte. Senza accorgersene il suo respiro si fece molto più pesante di prima, seppur fosse ancora seduta le vennero le vertigini, e nel suo cervello riusciva a metabolizzare un solo pensiero - anzi, solo un'immagine: quella della nuvola davanti a sé, che presagiva un futuro infausto. « La falce. » si lasciò sfuggire, con la gola secca, e un attimo dopo si rese conto di aver commesso uno sbaglio, pronunciandolo ad alta voce. « La falce di luna. » fece subito dopo, guardando in direzione di Cain, spaventata che avesse potuto sentirla, e sperando di salvarsi come poteva. « Il consiglio di un amico si rivelerà importante. » sorrise, ma sentiva di come di star cadendo in un pozzo senza fondo. Morte di chi? Chi se ne sarebbe andato? Il suo primo pensiero fu suo padre, poi sua madre, poi Gyfford, poi Cain, poi Dominic, in una giostra vorticosa che le mostrava i volti dei suoi cari fino a non distinguerli più l'uno dall'altro. Anche quando era morto suo fratello aveva visto una nuvola a forma di falce, senza dargli alcun peso, e da lì aveva iniziato a dare più peso a quelle predizioni, seppur leggere e con poco fondamento. Sperava di non doverne più vedere una, ed ora invece eccola lì, i contorni sempre più definiti, sempre più bianca e in contrasto col cielo azzurro, come a dire che non se lo stava effettivamente immaginando. Sarebbe morto qualcuno, ma riuscire a capire chi era impossibile: era una predizione legata a lei, e questo era l'unico indizio che aveva. Sarebbero morti soldati e cittadini, su questo non aveva dubbi, ma aveva paura non si riferisse solo a loro. Sarebbe morto qualcuno, e Maeve non avrebbe fatto gli stessi errori.

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    A dirla tutta quella nuvola, di un cervo, aveva ben poco. Riguardandola bene sembrava un cane con le orecchie malformate, ma in quel momento a Cain non interessava. Voleva soltanto togliersi dalla mente quei pensieri che ogni volta, puntualmente, lo ferivano al petto come dardi. L'esclamazione eccitata di Dawn lo aiutò a portare l'attenzione su altro, ma soprattutto a trovare la forza si sollevare tristemente gli estremi delle labbra in un sorriso. Era davvero fantastica. Studiando i delicati lineamenti del suo viso si trovò a pensare che la invidiava, la invidiava davvero tantissimo. Avrebbe voluto possedere lo stesso entusiasmo, la stessa forza la spingeva ogni giorno ad affrontare la vita con un sorriso. Lui, al contrario, non era che un tartarugone sigillato all'interno della sua dura corazza di freddezza; sembrava tanto forte, da fuori, ma dentro celava paure, insicurezze e inquietudini. Quella ragazza invece mostrava tutte le sue emozioni, persino enfatizzandole, dimostrandosi molto più ardita di lui, il Generale di Erethos sfuggito a morte certa innumerevoli volte. Il sorriso di Cain si fece improvvisamente più caldo nel pensare che, da Dawn, avrebbe potuto imparare tanto: forse sarebbe riuscita ad insegnargli cos'era il vero coraggio.
    I suoi pensieri vennero spazzati via da un gesto improvviso e nervoso della giovane. La vide sedersi, e per un attimo, ma solo per un attimo, ebbe il timore di sentirla borbottare "scusa, devo proprio scappare" come capitava la quasi totalità delle volte che si allenavano assieme. Questa volta però Dawn non aprì bocca, si limitò invece sollevare lo sguardo color prato al cielo, le guance, solitamente coperte da un'adorabile colorazione rosata, in quel momento pallide.
    « Dawn? », la richiamò Cain, sollevandosi a mezzo busto e affondando un gomito nel fieno, allarmato.
    Un'espressione del genere non era da lei: qualcosa non andava. Stava giusto per chiederle informazioni a riguardo quando la ragazza parlò, o meglio, farfugliò a bassa voce.
    « Come hai detto? », chiese Cain, confuso, le sopracciglia aggrottate e il capo inclinato di lato.
    « La falce di luna. », la sentì correggersi, con le labbra piegate nel dipingere un sorriso, un sorriso che a Cain parve... forzato. La conosceva ancora poco, quella ragazzina, ma riusciva a riconoscere quando qualcosa non andava, dopotutto era talmente espressiva da lasciar trasparire la maggior parte dei suoi sentimenti. Commentò con un "Umh" poco convinto la descrizione del significato delle sue parole, scuotendo il capo in segno di assenso e continuando a scrutarla, come aspettando da parte sua qualche reazione, chissà, magari una richiesta di aiuto.
    Alzò quindi gli occhi al cielo, coprendosi lo sguardo col braccio e incrociando la nuvola accennata. Confuso, sbatté gli occhi, cercando di immaginarla da angolazioni diverse, ma niente, a lui quella massa di gas non ricordava affatto una falce di luna. Forse, pensò, nel frattempo il vento l'aveva sagomata diversamente.
    Improvvisamente una serie di voci si fece largo tra il cinguettio degli uccelli e il frusciare del vento. Cain senza volerlo si ritrovò sulla difensiva. Senza pensarci due volte si sollevò a sedere, lo sguardo vigile puntato un punto imprecisato del paesaggio. Mentre nella sua testa compariva il bisogno di estrarre la spada - che, tra parentesi, manco aveva a disposizione - un gruppetto di individui con la divisa da soldati leggeri faceva capolino da dietro la stalla.
    « Hei, voi due! Cosa ci fate con l'equipaggiamento degli arcieri? »
    Cain sospirò, sentendo l'adrenalina scemare. A volte il suo corpo si comportava ancora come se quel posto, per lui, fosse pericoloso. Li osservò avvicinarsi, per poi rivolgere a Dawn un'occhiata eloquente « Qualcosa mi dice che l'equipaggiamento degli arcieri non fosse esattamente "in prestito". », la schernì, divertito, imitando le virgolette con un gesto delle mani « Vero, Dawn? »
    Una giovane recluta si diresse sotto il grande albero dove avevano inizialmente appoggiato la roba, cominciando a raccogliere il materiale e sistemandolo accuratamente all'interno della scatola adibita, mentre altri, rapidamente, smontavano i bersagli per riportarli al proprio posto.
    Quello che probabilmente doveva essere il comandante degli arcieri si avvicinò ai giovani, ancora seduti sul fieno, scrutandoli con aria truce.
    « Datevi una mossa e portate tutto al suo posto! », tuonò, visibilmente in collera, indicando col dito indice gli altri arcieri che, nel frattempo, si erano portati avanti a sistemare.
    Cain si voltò verso Dawn, scuotendo la testa e guardandola come a dire "sei proprio un caso perso", per poi alzarsi e sbattersi via il fieno dai vestiti con nonchalance, sotto lo sguardo torvo del superiore. L'uomo, visibilmente infastidito da quella perdita di tempo ingiustificata, alzò il tonò, spronando entrambi, ma soprattutto Cain a sbrigarsi.
    « Muovetevi! »
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    Edited by rhænys` - 30/5/2021, 10:55
     
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    « I woke up stronger than ever Driven by big waves of fire To run and yell all the way "Nothing can hurt me today" »
    Vedere Cain sollevarsi dal cumulo di fieno quasi insieme a lei non la fece sentire meglio: anche lui aveva capito che c'era qualcosa che non andava, e si maledisse più e più volte per questo. Era una maestra nel nascondere ciò che provava davvero, nel fingere, nel non far capire cosa stesse architettando, e invece aveva appena commesso un grosso errore. Gli occhi cerulei del ragazzo la scrutarono in attesa di una risposta, di una motivazione che arrivò, seppur forzata ed improvvisata, e Cain non sembrò essere pienamente convinto dal suo mediocre tentativo di salvare il salvabile: lo vide alzare gli occhi al cielo dopo un "uhm" che la fece preoccupare, perché sembrava sul punto di voler chiedere altro e approfondire la questione. Non poteva dargli torto, anche lei al suo posto si sarebbe preoccupata: la giovane si era alzata di scatto, senza alcun preavviso, e di colpo era diventata pallida e sudava. Per cosa, per una falce di luna? Poteva essere una geniale scappatoia se non avesse avuto quella reazione esagerata pochi attimi prima. Tentò lentamente di riprendere il controllo di sé stessa mentre teneva lo sguardo fisso sulla nuvola a forma di falce, che in quel momento tanto ad una falce non assomigliava più: in poco tempo si era deformata fino a diventare irriconoscibile, eppure nella sua mente essa si era impressa come un fermo immagine. Un brivido di paura, di terrore, le percorse la schiena per tutta la sua lunghezza, lento ed infausto, costringendola a portare le ginocchia al petto e ad abbracciarle, in modo da incurvare la schiena e toglierselo di dosso. Un presagio di morte era l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento: sentiva di avere già abbastanza pensieri per la testa ed in più doveva anche sperare che quella falce non sarebbe caduta sulla testa di nessuna delle persone che amava. Andare in guerra significava perdere qualcuno, era inevitabile: molti soldati sarebbero morti, quelli che si allenavano con lei quel giorno non li avrebbe mai più rivisti perché caduti per mano nemica, li avrebbe salutati prima di una battaglia per poi scoprire che non avrebbero più fatto ritorno. E seppur l'idea di subire qualsiasi perdita le faceva stringere il cuore, quella di perdere uno dei suoi cari la faceva sentir male. L'immagine della falce si insinuò ancora nei suoi pensieri, prendendo ancora la forma del viso dei suoi genitori e dei suoi amici in un carosello così veloce da farle venire la nausea nonostante stesse ferma, e si passò entrambe le mani sul viso nel tentativo di scacciare quel pensiero una volta per tutte, almeno per un po', e respirando, finalmente, a pieni polmoni, per poi cercare, una volta tolte le mani dal volto, di concentrarsi e mettere a fuoco qualcosa, qualsiasi cosa, per calmarsi e riuscire a pensare ad altro. Il suo sguardo passò dal poligono di tiro, sistemato alla bell'e meglio, agli archi che giacevano per terra nel punto in cui prima Cain stava cercando di mettere in pratica le dritte di lei, per poi abbandonare ogni cosa e finire nella gigantesca massa di fieno in cui si trovavano in quel momento. Riuscì a regolarizzare il respiro poco alla volta mentre il ricordo delle espressioni comiche di Cain che provava a tirare una freccia rimpiazzavano qualsiasi pensiero negativo - o, meglio, sgomitavano per rimpiazzarli, perché doveva assolutamente pensare ad altro -, facendola così riacquistare il controllo del proprio corpo e della propria mente.
    Il movimento repentino di Cain la fece sussultare e lo guardò mettersi a sedere fulmineo, per poi dirigere lo sguardo nello stesso punto che fissava lui. Le parve di sentire delle voci poco lontano da loro, giusto dietro l'angolo delle scuderie, e tentò di tornare completamente alla realtà il più in fretta possibile, giusto per farsi un'idea di chi potesse essere. Erano uomini, più di due sicuramente, e non sembravano troppo di buonumore. Guardò il bersaglio a qualche metro da loro, gli archi a terra e le protezioni ancora sotto l'albero, e riuscì a collegare tutti i puntini un secondo prima di sentire le urla degli arcieri in maniera molto più chiara, dato che si erano avvicinati e li avevano scovati. « Hei, voi due! ». Maeve, sentendosi chiamare, si girò di scatto verso il soldato che aveva appena parlato, mentre il cuore le saliva in gola per essere stata colta con le mani nel sacco. « Cosa ci fate con l'equipaggiamento degli arcieri? » tuonò quello che sembrava il superiore, e Maeve si sfregò le mani per togliersi i residui di fieno dai palmi sudati per poi sorridergli in maniera impacciata, non sapendo cosa inventarsi perché convinta che gli arcieri non si sarebbero fatti vedere ancora per un po', permettendogli di mettere a posto tutto l'equipaggiamento che aveva preso in prestito - più o meno - con calma. « Qualcosa mi dice che l'equipaggiamento degli arcieri non fosse esattamente "in prestito". ». Il ragazzo smorzò ogni suo tentativo di rimediare al suo errore di calcolo, attirando l'attenzione della principessa su di sé, e lei si strinse nelle spalle, colpevole. « Vero, Dawn? », « ... Ops? ». Maeve ridacchiò sottovoce, attenta a non farsi sentire se non da Cain, mentre i soldati si avvicinavano e iniziavano a sistemare, senza neanche impegnarsi a nascondere il loro disappunto, ma non si poteva biasimarli: dei ragazzini avevano appena frugato tra la loro roba e preso quello che pareva a loro senza informarli ed ora dovevano pure riportarla a posto. La ragazza si alzò appena vide che lo stesso uomo che aveva rivolto loro la parola cominciò ad avvicinarsi, togliendosi in tutta fretta il fieno che aveva ancora sui vestiti sperando bastassero poche pacche ben assestate per ripulirsi, e fece un rapido cenno del capo quando il soldato gridò di nuovo in loro direzione per esortarli ad aiutare gli altri arcieri a mettere a posto. Con la coda dell'occhio guardò Cain, intento ad alzarsi, e la lentezza con cui si stava ricomponendo cominciò a darle sui nervi: quell'uomo stava sbraitando davanti a loro manco fosse una gallina, visibilmente infuriato, e l'altro se la prendeva comoda manco avesse tutto il tempo del mondo a disposizione. Non riuscì ad aspettarlo per più di qualche secondo senza avere l'impulso di gridargli di muoversi a sua volta, perciò lo anticipò, lasciandolo nelle grinfie del soldato proprio nel momento in cui egli gridò: « Muovetevi! ». La ragazza recuperò da terra i due archi che stavano utilizzando lei e Cain senza fermarsi, issandoseli in spalla e cominciando a slacciarsi la protezione che aveva sull'avambraccio, incrociando lo sguardo ben poco divertito di due arcieri che stavano sistemando tutte le protezioni - che i due ragazzi avevano lasciato a terra senza farsi troppi problemi - nell'apposita scatola. Maeve fece giusto qualche passo in loro direzione prima che uno di loro gli strappasse le protezioni che si era tolta dalle mani senza dire una parola, per poi rifilarle al compagno e allontanarsi in direzione dell'accampamento. La giovane sospirò mentre li guardava le loro figure ridursi a due puntini lontani, affiancando poi Cain, intento anche lui a sistemare.
    « Perdonami, sono tornati prima del previsto e non è andata secondo i miei calcoli. » lo approcciò sottovoce, mentre seguiva i movimenti del superiore che ancora li guardava in modo truce. Le scorse volte che aveva preso in prestito la roba degli arcieri - in prestito tra molte virgolette - non erano mai tornati all'accampamento così rapidamente: di solito gli uomini amavano baruffare in mensa e perdere tempo a parlare di soldi, cibo e donne, ma a quanto pareva quel giorno non era andata così - forse anche loro erano occupati con allenamenti intesivi in vista della guerra e avevano lasciato perdere le chiacchierate futili che tanto li intrattenevano durante i pasti. « Andiamo a riportare gli archi, su. » esclamò, passandogli uno dei due archi che aveva in spalla per recidere in partenza qualsiasi lamentela da parte di lui, « Anche se un po' mi dispiace smettere: stavi andando così bene. » aggiunse in seguito, esibendo un sorrisetto sghembo che sapeva avrebbe dato fastidio al ragazzo, prima di allontanarsi velocemente da lui per evitare che potesse tirarla su di nuovo e scegliere di non essere così gentile da farla piombare in un'ammasso di fieno che, sicuramente, aveva fatto molto meno male rispetto alle dure pietre del pavimento della scuderia. Non poté fare a meno di ridere mentre si avvicinava di nuovo a lui per percorrere la strada verso l'accampamento uno di fianco all'altra, stavolta senza trattenersi per paura di risultare scortese o di innescare qualsiasi reazione. Era genuinamente serena, il nervosismo di poco prima magicamente scomparso. « Hai del fieno tra i capelli. Toglitelo, altrimenti Cox te ne dirà di tutti i colori. » ridacchiò, mentre gli indicava dove sfregare per riuscire a far cadere i fili di paglia, che col loro colore chiaro risaltavano tra le ciocche scure di lui. « Aspetta, faccio io. » fece, tirandolo per un braccio per fargli capire che doveva fermarsi, giusto il tempo di sistemargli i capelli, e col braccio sul quale non era appoggiato l'arco raggiunse il capo di Cain, riuscendo così ad eliminare gli ultimi fili che lui non era riuscito a togliere da solo. « Fatto. » disse con un sorriso, incontrando per sbaglio lo sguardo di lui ed erroneamente lo sostenne per quelli che le parvero interi minuti. Non poté fare a meno di notare come entrambi odorassero di fieno, e questo piccolo particolare che li accumunava la fece sorridere tra sé e sé mentre distoglieva lo sguardo tentando di fingere che non fosse successo nulla, come se il suo cuore non stesse già cominciando a galopparle nel petto senza che alcuna redine potesse fermarlo.

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    Qualche settimana dopo...
    All'ennesimo affondo evitato per un soffio a causa della stanchezza, Maeve stava davvero cominciando a perdere le speranze: l'ultimo esercizio della mattinata consisteva in un duello veloce - Cox aveva usato le parole "per divertirsi un po'" - con il proprio compagno prima che la campana del pranzo suonasse, e la giovane principessa si era ritrovata in coppia con Milo, uno dei suoi pochi amici all'interno dell'esercito ma anche uno dei soldati più abili ed aggressivi con il quale aveva avuto il piacere di battersi. Lo stile di scherma di Milo era potente ed impetuoso, al contrario di Maeve che faceva leva sulla sua agilità, e la giubba imbottita che stava indossando non aiutava: grazie agli allenamenti giornalieri e ai duelli che faceva con Cain stava pian piano acquisendo sempre più forza fisica, riuscendo così a stare al passo degli altri soldati, ma Milo sembrava non voler lasciarle scampo. Maeve, in risposta all'affondo di poco prima, tentò di rispondere con un colpo dall'alto che l'altro riuscì a parare, ma notò che anche lui stava cedendo alla fatica. « Stanca? » soffiò lui, ma la ragazza non gli diede corda, colpendolo in pieno stomaco con un calcio ben assestato approfittando del fatto che avesse entrambi le mani strette sull'elsa della sua spada e riuscendo finalmente ad allontanarlo.
    In quel momento la campana suonò in lontananza e Maeve appoggiò la punta della spada a terra, utilizzandola a sua volta come sostegno, riuscendo a riprendere fiato solo una volta assicuratasi che anche il suo compagno d'allenamento facesse lo stesso. « Sei migliorata molto. » esordì Milo dopo un esercizio svolto completamente in silenzio, e la ragazza gli sorrise riconoscente. « Davvero? Detto da te vale il doppio. » ringraziò lei, « Sei un combattente formidabile. ». « Cosa sono tutti questi complimenti? Per caso ti piaccio? » fece lui, passandosi una mano tra i capelli sudati ed esibendo un sorriso da sciupafemmine. « Neanche un po'. » rise lei, scuotendo la testa e togliendosi la giubba, rivelando la camicia chiara sottostante tutta raggrinzita e sudaticcia. Avrebbe dovuto farsi un bagno prima di riunirsi a tavola coi suoi genitori, e doveva anche farlo in fretta se non voleva destare sospetti. « Guarda che nessuna donna sa resistermi. » disse Milo mentre si toglieva anche lui le protezioni, dandole un'amichevole spallata mentre si avvicinava a lei. « Davvero vuoi dirmi che tra un duello e l'altro non ti sei ancora innamorata di me? ». « Sono serissima. » rispose, e dopo qualche attimo di silenzio entrambi scoppiarono a ridere all'unisono. Era abituata al modo di fare di Milo, ormai: all'inizio le sue battute quasi flirtanti le davano un gran fastidio, inutile negarlo, ma a Milo erano bastati pochi mesi per capire che Maeve non sarebbe mai diventata una sua spasimante, e quelle battutine divennero delle semplici ed innocue battutine, appunto, che si scambiavano continuamente tra di loro come fosse un gioco. « Ti tengo il posto a mensa? » le chiese una volta restituite le loro spade, accatastandole in un angolo, ma Maeve gli rispose scuotendo il capo.
    « No, oggi non mangio con voi. Salutami Jasper. ». I due si divisero con un cenno della mano, e la ragazza si diresse verso un punto ben preciso: quello dove era seduto Cain. Aveva notato il ragazzo solamente alla fine dell'allenamento, concentrata com'era a non farsi colpire dai colpi micidiali di Milo, e doveva assolutamente dirgli una cosa che sicuramente gli avrebbe fatto storcere il naso. « Buongiorno, musone. » disse, lanciandosi - nel vero senso della parola - a sedere accanto a lui, « Stasera tieniti pronto, si va in città. » gli sussurrò con un sorriso che non presagiva nulla di buono, facendo attenzione a non farsi udire. Fortunatamente erano rimasti pochi soldati nello spiazzo in cui si allenavano, e non vi era ombra di Cox. « Ti passo a prendere dopo cena, penso io al mantello. ». Detto ciò si alzò, sistemandosi i pantaloni all'altezza dei fianchi, ed iniziò subito ad allontanarsi per evitare qualsiasi replica. « A stasera! » gli disse, calcando le parole per far capire che non avrebbe accettato una qualsiasi risposta diversa da "sì", "va bene", "certo", "ci vediamo dopo" e simili. E siccome era certa che Cain le avrebbe detto di no, si apprestò ad allontanarsi il giusto per evitare di sentire cosa aveva da dire. Xanturion di sera era mozzafiato, e per di più quella sera non era una sera qualunque: ci sarebbe stata una festa a valle, e non vedeva l'ora di mostrargli di quanto calore ed affetto fosse capace di dimostrare la sua gente. E sfoggiare la sua gonna nuova e ballare senza sosta tutta la notte, ma non poteva chiedere troppo: si trattava di un miracolo riuscire a portare Cain fuori dal palazzo, in fin dei conti.

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    Eludere le guardie non era stato difficile, oramai conosceva nascondigli ed uscite segrete a memoria: i muri del castello non avevano nulla da nasconderle in anni che sgattaiolava fuori dalla sua dimora per godersi qualche ora di libertà in mezzo alla sua gente, e seppur i turni delle guardie fossero cambiati per assicurarsi che nulla andasse storto non aveva trovato troppe difficoltà nell'aggirarle per arrivare senza problemi all'accampamento dell'esercito. Anche da lontano si potevano udire le grasse risate dei soldati ancora svegli che si raccontavano storie intorno al fuoco, e per questo motivo fu più facile per Maeve arrivare alla tenda di Cain senza essere notata. La ragazza si sistemò fuori dall'uscita, nascosta nel buio pesto della notte, e si calcò il cappuccio in testa per l'ennesima volta da quando aveva lasciato la sua stanza. « Pssst! » fece, sperando che Cain la sentisse. Non proveniva alcun rumore dall'interno della tenda, e per un momento temette se ne fosse andato a dormire, dimenticandosi di quello che gli aveva detto la mattina stessa. « Pssst! » fece ancora, stavolta leggermente più forte, visto che non aveva ricevuto ancora alcuna reazione. « Cain! » lo chiamò, e dopo qualche secondo, finalmente, il ragazzo fece capolino dalla tenda: non sapeva dire se fosse vestito o pronto per coricarsi visto il buio, ma non gli diede neanche il tempo di dire nulla che subito premette un mantello piegato sul petto di Cain, invitandolo così a metterselo. « E' ora, andiamo! » gli sussurrò, emozionata.

    « Parlato » || - Pensato -

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