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Cain x Abel

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    Abel Cyril Gytrash
    11 novembre - ore 10:45 - Poulton-Le-Fylde, Wyre

    Era da un po' che non tornava a casa. Sua madre, ultimamente, l'aveva tempestato di telefonate, sopratutto dopo che era venuta a sapere del piccolo - mica tanto - incidente della notte di Halloween. Il saperlo sano e salvo grazie a Cain l'aveva fatta esultare tra le lacrime, e ogni volta lo faceva rimanere attaccato alla cornetta per una buona quarantina di minuti. Abel rispondeva a monosillabi, più che altro era Sarah che parlava da sola. Aveva fatto anche qualche allegra chiacchierata con Cain, che era sempre felice di risentire, e si era assicurata che entrambi i ragazzi avrebbero fatto visita ai Gytrash il prima possibile. I due non se l'erano fatto ripetere due volte, prenotando il biglietto del primo treno disponibile per Poulton-Le-Fyre, dove la famiglia dell'albino abitava. Entrambi erano entusiasti del viaggio, solo che c'era chi lo dimostrava di più e chi meno. Non era difficile immaginare quale dei due fosse Abel.
    Il ragazzo guardava fuori dal finestrino, seduto di fronte al fratello, il gomito appoggiato al tavolino che li divideva. Nel suo borsone, sistemato nel sedile affianco, c'erano più medicine che altro: la ferita alla pancia era ancora ben visibile, ma almeno adesso riusciva a mandare giù qualcosa di commestibile e a camminare senza problemi. Aveva ricominciato a partecipare alle lezioni da pochi giorni, ma di missioni neanche l'ombra. Aveva già assistito, dall'alto della sua camera, alla partenza dei Black Dogs della classe Alpha, diretti verso chissà quale cimitero da purificare da spiriti e fantasmi. Il declassamento ad Omega non era riuscito ad accettarlo completamente, anche se con Cain non tirava mai fuori l'argomento. Era a conoscenza del fatto che il fratello pensasse che fosse colpa sua e Abel avesse, per l'ennesima volta, pagato il prezzo dei suoi gesti avventati. L'albino era di tutt'altro parere: a sua detta, Grim voleva metterli alla prova, e probabilmente anche levarseli di torno per una buona volta. Il capo dei Black Dogs li aveva visti crescere, era stato il primo ad accorgersi che l'uno senza l'altro non sapevano stare. Eppure, all'ormai ex Alpha si chiudeva lo stomaco solo a pensare ai sacrifici fatti per riuscire ad entrare nella classe più ambita tra i Marauders, ora diventati vani.
    Il treno cominciò a rallentare, mano a mano che entravano nella stazione di Preston. « La prossima è la nostra » annunciò l'albino, guardando in tralice il volto sorridente del compagno. Ci stava bene attento a non pensare a ciò che era successo la sera del suo risveglio in ospedale, ma ogni tanto gli capitava di sentire ancora la pressione delle labbra di Cain sulle sue, e diventava difficile scacciare quel pensiero. Il rosso non ricordava niente di tutto ciò, e Abel, quando lo aveva visto il mattino dopo spensierato come suo solito, non sapeva se esserne grato o meno. Non voleva rovinare il loro rapporto, e lui stesso si era imposto di accantonare ogni sentimento nei suoi confronti che andasse al di là dell'affetto fraterno, ma si trattava di un bacio. Il suo bacio, quello che aspettava da una vita, quello che avrebbe potuto cambiare le cose se solo Cain non fosse stato ubriaco e per niente consapevole di ciò che faceva. Da parte sua, l'albino si era comportato come sempre, ma ogni volta che rimaneva da solo o scorgeva la chioma brillante del fratello tra l'ammasso di studenti, gli riusciva impossibile non tornare indietro nel tempo fino ad arrivare a quella sera.
    Sentì il cellulare vibrargli nella tasca della felpa, e lo tirò fuori senza distogliere lo sguardo dal paesaggio grigio che gli scorreva sotto gli occhi. Novembre era uno dei mesi peggiori in Inghilterra, non faceva altro che piovere, piovere e piovere. E se non pioveva, c'era la nebbia. Abel non era dello stesso parere, amava quel tempo atmosferico. Abbassò lo sguardo sullo schermo del telefonino, la scritta "Mamma" sotto la casella dei messaggi.
    « Mia madre chiede cosa vuoi per pranzo » disse il ragazzo, alzando gli occhi verso Cain. L'aggeggio vibrò di nuovo, stavolta ricevendo un messaggio scritto interamente in maiuscolo e seguito da una quantità abnorme di cuoricini colorati, ovviamente firmato dalle pesti di casa. « Rispondi tu » aggiunse, dando il telefono in mano al rosso e alzando lo sguardo al cielo. Hannah e Noah, lo accoglievano ogni volta come se non si vedessero da mesi, gli occhi luccicanti e pendenti dalle sue labbra. D'altra parte, Abel andava a rifugiarsi in qualche angolo il più lontano possibile da quei tre, che in gruppo erano davvero fastidiosi e pericolosi per la tranquillità a cui ambiva.
    « Vedi di non fomentarli più di tanto » lo avvisò, appoggiando la schiena al sedile e poggiando le mani in grembo, distogliendo finalmente l'attenzione dal paesaggio e focalizzandosi su Cain, intento a scrivere il messaggio di risposta. « Hai una cattiva influenza su di loro » Il rosso faceva un brutto effetto a tutti i fratelli Gytrash, ed Abel non ne era di sicuro escluso. Si ritrovò a maledire il suo sorriso, che fosse provocatorio o meno non importava, gli causava sempre una stretta allo stomaco.
    - Vacci piano - si rimproverò, ricordandosi che non doveva lasciarsi sopraffare dai sentimenti. Si era impegnato fino a quel momento per dimenticarlo, non poteva farsi distrarre dall'immagine di un semplice bacio che continuava a balenargli davanti agli occhi. A Cain non glielo avrebbe sicuramente detto, non gliene sarebbe importato nulla e gli avrebbe offerto l'occasione per prenderlo un po' in giro. Se lo sarebbe tenuto solo per sé.
    Era stranamente di buonumore quella mattina, anche se dall'esterno pareva il contrario. Stava tornando a casa, e finalmente avrebbe passato un po' di tempo con Cain. Per quanto la cosa lo mettesse in agitazione, la contentezza riusciva ad arginare il nervosismo.

    Cain Asriel Skriker
    Non c'era niente di più deprimente del paesaggio incolto oltre il finestrino, tutto erba secca, pietre appuntite e un cielo plumbeo a incombere su di loro, eppure Cain non riusciva a smettere di sorridere. Era da un secolo che non vedeva i Gytrash, praticamente sua famiglia adottiva, con il clima accogliente che li circondava ed i deliziosi manicaretti di Sarah. Sua madre, unica parente ancora in vita, aveva l'istinto materno di un cespuglio di rovi, e non si era mai curata troppo di lui. Il rosso aveva imparato a racimolare affetto dai vicini, per così dire, che erano legati agli Skriker da una lunga tradizione di Black Dogs. Il padre di Abel e il suo erano stati grandissimi amici, all'epoca, così come le rispettive famiglie. Dalla morte di entrambi, insieme alla disgrazia di aver perso uno dei due gemelli, Eva Skriker si era completamente isolata dal mondo, trascinando Cain con sé. Chissà come stava, a proposito. Non la sentiva dal suo compleanno. « La prossima è la nostra » lo informò il fratello, seduto composto di fronte a lui. Anche se cercava di non darlo a vedere, era chiaro come il sole che fosse felice di tornare a casa. Lo si notava dall'assenza di quelle rughe d'espressione che aveva di solito sulla fronte, causate dalle sopracciglia sempre aggrottate. Se Abel era contento, a lui non serviva altro. Poteva anche mettersi a grandinare. « Per fortuna. Sto morendo di fame ». La pancia gli brontolava già da un po', dato che aveva saltato la colazione per non perdere il treno. Il suo nuovo lavoro di badante lo teneva molto impegnato, e passava le notti a vegliare sul sonno dell'albino. Da quando gli avevano permesso di alzarsi dal letto, Cain era diventato la sua ombra (beh, più di prima), trattandolo alla stregua di una donna incinta. Si era occupato personalmente di spostare tutte le cose del fratello nella loro nuova stanza, situata sulla torre che un tempo fungeva da punto d'osservazione. Niente di ché, quattro mura cedenti, alcuni fori nel soffitto, un bagno dove faticava ad arrivare acqua calda... la furia di Grim si era riversata su di loro in modo inaspettato, alla fine. Doveva far parte della punizione, insieme al declassamento ad Omega. Comunque il Black Dog non aveva detto una parola, facendosi carico dei bisogni di Abel a cuor leggero. Gli portava i libri da una classe all'altra, faceva compere al posto suo e si occupava delle pulizie, cosa in cui non era mai stato un granché. Prima di salire sul treno aveva persino portato i bagagli dell'altro fino al loro posto, per evitare che facesse sforzi. Il cellulare del fratello vibrò un paio di volte, e lui gli riferì il messaggio. « Wow, posso scegliere io? Dammi qua! ». Prese il telefono e lesse la bella trovata di Sarah, replicando con un: - Garlic bread, Shepherd's pie e una torta al limone ❤ -. Notò anche il messaggio lasciato dagli adorabili fratellini, pieno di cuori e scritte in maiuscolo, e gli lasciò un bacio a stampo e qualche frase melensa. Chissà come stavano, e quanto erano cresciuti nel frattempo. « Vedi di non fomentarli più di tanto » lo ammonì il maggiore dei tre. Cain continuò a scrivere come niente fosse, un sorrisetto compiaciuto nel leggere la risposta della piccola Hannah. Era adorabile, niente a che vedere con il carattere scorbutico di Abel.
    « Tranquillo, abbiamo già fatto tutti i piani la settimana scorsa. Andremo al cinema, a quel nuovo ristorante che hanno aperto e al centro commerciale ». Vide la reazione schifata dell'altro e scoppiò a ridere, già consapevole che si sarebbe opposto a qualsiasi attività in loro compagnia. Peccato che non avesse scelta, poverino.
    « Hai una cattiva influenza su di loro ».
    « Come sarebbe? Da quando Noah segue i miei consigli le cose con la sua ragazza vanno a gonfie vele! » Fece il finto offeso, restituendogli il telefono dopo aver adocchiato il numero di Raphael di sfuggita. Non era il caso di fare una scenata di gelosia proprio ora che erano insieme, senza Alpha molesti a catturare l'attenzione. Doveva sfruttare il tempo che avevano a disposizione e divertirsi un po'.
    « E ricorda che io e te abbiamo una bevuta in sospeso, fratellino. Voglio vederti ubriaco marcio come ai vecchi tempi. Scommetto che hai anche dimenticato la canzone ». Si mise a fischiettare The Drunken Sailer mentre frugava nel borsone alla ricerca della sua bottiglietta d'acqua. Con il giusto ammontare di alcool in circolo, Abel diventava un bambino capriccioso e chiacchierone. Pretendeva di salirgli in spalla, faceva lo strafottente e rideva per ogni cosa. In poche parole, un amore. A differenza sua, che capitava nel pub vicino all'istituto a sere alterne, lui ultimamente non si lasciava molto andare, causa studio e quel tumore di nome Raphael. Era arrivato il momento di tornare in pista. Il treno si fermò alla stazione di Poulton-Le-Fylde appena in tempo, dato che il rosso stava già pianificando di mangiarsi il sedile per la fame, e prima che Abel potesse anche solo pensare di portare il bagaglio, lui gli passò accanto e lo acciuffò subito, caricandoselo in spalla assieme al suo. « Non ci provare » lo minacciò, con un sorriso a smontare tutta la cattiveria. In realtà era contento di rendersi utile, soprattutto se serviva a farlo stare meglio. E poi stava per assaggiare i piatti favolosi di Sarah! In forma di Black Dog si sarebbe messo a scodinzolare. « Andiamo, chèrie. La mamma ci aspetta ». Agì in base all'abitudine e sostenne il ragazzo per un braccio finché si metteva in piedi, tastando le ossa sporgenti. Sarah l'avrebbe sicuramente messo all'ingrasso per quella settimana di soggiorno dai Gytrash, poco ma sicuro. La carrozza frenò bruscamente prima di fermarsi del tutto, e Cain tenne stretto l'albino di riflesso, conscio che non fosse al massimo della sua forma fisica. Era diventato la sua fata madrina, ormai. Lo sguardo ricadde sul viso imperturbabile di lui, dove un lieve rossore si era propagato sulle guance senza apparente motivo. « Non dirmi che ti è tornata la febbre » disse, mentre entrambi percorrevano il corridoio e smontavano dal mezzo. Faceva freddo fuori dall'abitacolo, ragione per cui cedette la sua sciarpa al fratello, rigirandogliela attorno al collo senza chiedere il permesso. « Devi essere in forma per la nostra bevuta, non puoi mandarmi al pub da solo ». Un'ottimo motivo per non ammalarsi, almeno per lui. I due si incamminarono per le strade di quartiere, attorniati da villette vecchio stile e locali fuori moda, e all'Omega sembrò di essere tornato bambino. Aveva tutto un ché di nostalgico, l'unica cosa che il tempo non gli aveva portato via era Abel, il suo punto fisso. Lo scrutò di sottecchi con aria compiaciuta, notando la gioia malcelata che emanava all'idea di essere a casa. Aveva una gran voglia di stritolarlo in un abbraccio mortale, ma doveva trattenersi fino all'ora della nanna, dove li attendeva il letto a due piazze che aveva fatto da cornice a un sacco di notti insonni della loro infanzia, passate a leggere libri dell'orrore o mangiare di nascosto. Peccato che ora nessuna di quelle idee lo attirasse quanto il bisogno di coccolarlo un po'. - Posso usare la scusa dell'amore fraterno, in fondo -. Già, peccato che le immagini che gli frullavano per la testa non avessero niente di fraterno.
    La loro meta fu visibile poco dopo, rivelando due bambini esagitati sull'uscio ed una donna che si sbracciava per salutarli. « Casa dolce casa » disse ad Abel, prima di precipitarsi di corsa incontro a Noah ed Hannah per abbracciarli. Lasciò cadere i due borsoni e li sostituì con il peso delle piccole pesti, ridacchiando dell'eccessivo affetto che gli dimostravano. Il ragazzino riservò lo stesso trattamento al fratello maggiore, mentre Hannah rimase tra le sue braccia più a lungo, avvinghiata a lui come un koala al suo albero. « Ma guardati, sei sempre più bella ». La frase che seguì gliela bisbigliò all'orecchio, in modo che i familiari non potessero sentire e dargli del pervertito.
    « Ancora qualche anno e potremmo uscire insieme ».
    Lo sguardo assassino di Abel gli ricordò che quelli come loro avevano un'udito molto sviluppato, quindi si affrettò a rimettere a terra la fanciulla perché potesse salutare anche lui. Per Sarah riservava sempre un baciamano con tutti gli onori, insieme a tanti apprezzamenti su quanto sembrasse giovanile ed incantevole. Qualsiasi cosa pur di mendicare un pasto dalla sua cucina, ed il profumo che passava attraverso la porta era paradisiaco.

    Abel Cyril Gytrash
    Cinema? Shopping? Ristoranti? Baccano? Uscire di casa? Abel assunse di riflesso un'espressione schifata al solo pensiero, mentre il fratello se la rideva. Era risaputo quanto l'albino fosse schivo e solitario, e l'idea di dover passare il pomeriggio lontano dai suoi amati libri insieme a tre uragani quali Cain, Hannah e Noah non lo faceva sentire molto tranquillo. Voleva loro un bene dell'anima, ma le loro personalità estroverse cozzavano alla grande con la sua, e gli scontri erano inevitabili. Si coalizzavano contro di lui, giocandogli scherzi e costringendolo a partecipare ad attività che non rientravano nei suoi interessi. Cain fece finta di essersela presa, tirando fuori la vita sentimentale di Noah. Il fratello minore era riuscito a trovarsi una fidanzata prima del tempo a causa dei consigli del rosso, facendo maturare così il suo lato da Don Giovanni. « Appunto » sospirò Abel, rimettendo il cellulare in tasca senza preoccuparsi di leggere i messaggi inviati dal rosso a sua madre. Sarah lo trattava come un figlio, e il rapporto che Cain aveva con la sua famiglia aveva contribuito a rafforzare l'idea dell'essere fratelli in tutto e per tutto. Era sempre stato così, fin da quando ne aveva memoria. Non aveva bisogno dei racconti della madre per ricordarsi del primo sorriso comparso sulle sue labbra dopo la morte di Gabriel grazie al rosso. Lo aveva considerato uno di famiglia praticamente da sempre. Che poi uno dei due fratelli si innamorasse dell'altro era tutt'altra storia, un qualcosa che non poteva andare avanti, da estirpare sul nascere. Lui ci provava, sul serio, ma non riusciva a rimanere impassibile di fronte alla generosità di Cain o alle sue risate spontanee. Eppure ne era stato immune fino a qualche tempo prima, non sapeva dire quando tutto fosse cambiato. Magari confondeva l'amore con l'affetto fraterno, ci poteva stare, ma raccontarsi le favolette e tentare di convincersi che siano vere non si era dimostrata la scelta giusta.
    « E io ti ricordo che devi pagarmi la birra » effettivamente, la prospettiva di una bevuta in compagnia non lo faceva rabbrividire, anzi, peccato che il suo compito fosse riportare a casa Cain sano e salvo. E quando gli ubriachi diventavano due, beh, poteva essere un problema. Il ragazzo lo guardò con la coda dell'occhio mentre fischiettava allegramente la loro canzone preferita, ignaro dello sguardo dell'albino su di lui. Aveva mai guardato Raphael in quel modo? Lo sguardo tornò sulle mani pallide intrecciate all'altezza del grembo in men che non si dica: doveva mantenere la guardia alta, un passo falso e sarebbe andato tutto in fumo. E per salvaguardare il rapporto che avevano era disposto a tutto. Osservò il treno entrare nella stazione della capitale del distretto di Wyre, e Abel fece subito per alzarsi e issarsi in spalla il bagaglio, ma non fece in tempo a far nulla. Cain sradicò le sue intenzioni sul nascere, afferrando il borsone prima che il compagno potesse muovere un solo dito verso di esso. « Non ci provare » gli fece, ed Abel gli rispose con uno sguardo rassegnato. Da quando aveva messo piede fuori dal letto d'ospedale, il rosso lo aveva aiutato in ogni attività quotidiana, standogli accanto e impedendogli di affaticarsi ogni qualvolta ne avesse bisogno. Il senso di protezione che già aveva nei suoi confronti sembrava essere aumentato a dismisura. L'albino ci aveva fatto l'abitudine, ma mal sopportava il fatto che Cain dovesse addossarsi un peso in più. Lui poteva farcela da solo - anche se, sì, una mano gli faceva comodo -, non c'era bisogno che il rosso si preoccupasse, ma era inutile cercare di farglielo capire. Si lasciò aiutare nell'alzarsi in piedi, azione che gli risultava ancora un po' problematica senza alcun sostegno, e i due si avviarono verso l'uscita della carrozza.
    Il treno si fermò all'improvviso e senza alcuna gentilezza, ed Abel si affrettò ad afferrare un qualsiasi appiglio nei paraggi pur di non cadere, ma le dita non si chiusero attorno a nulla. Bensì, fu il rosso ad impedire che finisse a gambe all'aria, e sulle guance dell'albino si propagò all'istante un leggero rossore. Abbassò lo sguardo, preoccupandosi di evitare quello del fratello. Era difficile non avere alcuna reazione una volta accorciate le distanze. O meglio, gli era sempre risultato facile celarlo, ma da quella notte in ospedale si era rivelato giusto un po' più difficile. Riuscì a fermare l'immagine del famigerato bacio tra loro due prima che potesse comparirgli davanti agli occhi, mentre seguiva il compagno per scendere dal treno. L'aria fredda di novembre gli pizzicò le guance, facendole raffreddare in men che non si dica, e ne fu grato. Appena poggiò entrambi i piedi a terra, Cain lo avvolse nel calore della sua sciarpa, preoccupato che potesse avere la febbre. Per fortuna, si disse, almeno non si sarebbe dovuto inventare alcuna scusa. « Già » disse solamente, incamminandosi al fianco del rosso per la strada che li avrebbe portati a casa. I Gytrash vivevano in una villetta poco lontana dal centro, distante appena un quarto d'ora dalla stazione. Non era un'abitazione sfarzosa, anzi, tra quelle che possedevano era una delle meno imponenti, ma soddisfaceva appieno i bisogni della famiglia. Aveva percorso quel viale molteplici volte insieme a Cain, eppure ogni volta gli sembrava di essere tornato nel passato. Affondò metà viso nella sciarpa del fratello, inspirando involontariamente il suo profumo, la casa candida che si stagliava all'orizzonte. Tornare a casa era una bella sensazione, seppur si ostinasse a non darlo a vedere. Seppur fosse ligio al dovere e mai avrebbe tradito l'Ordine, Abel non aveva mai considerato i Marauders come una famiglia, salvo poche eccezioni quali Cain, Grim e Dianne. Non l'avevano mai trattato come uno di loro, il cinismo dei Black Dogs nei confronti dell'albino era palese, soprattutto dopo il suo declassamento ad Omega. Abel alzò lo sguardo verso l'alto, e subito lo mosse verso la figura del fratello, neanche lo attirasse come una calamita. Il tempo di percorrere la linea delle labbra e salire al livello dell'occhio smeraldino, e tornò a focalizzarsi sulla strada. Doveva piantarla con quella storia dei sentimenti, del bacio e doveva smetterla di guardarlo di sottecchi.
    Il cammino venne riempito dalla voce calda del rosso, mentre Abel si limitava a rispondergli a monosillabi e a rimproverarlo con un semplice sguardo, e quando sull'uscio di casa comparirono i fratelli e la madre dell'albino, Cain non ci pensò su due volte a correre verso di loro. Abel non lo imitò, seguendolo a passo lento e le mani ficcate in tasca, ma Noah lo agguantò prima che potesse ribellarsi. Il fratello gli circondò il busto con le braccia, il viso nascosto nelle pieghe del cappotto.
    « Attento Noah, fa male » lo rimproverò subito l'albino, nascondendo una smorfia di dolore. Era andato a stringerlo proprio dove aveva la ferita, e solo sfiorarla gli faceva vedere le stelle. « Ma siete a casa, finalmente! » ribatté il ragazzino, una zazzera di capelli castani e un sorriso a trentadue denti. Abel alzò gli occhi al cielo, regalandogli una carezza sfuggente sulla testa, per poi cercare di toglierselo di dosso sotto lo sguardo divertito della madre. Vicino a loro, Hannah era ancora tra le braccia di Cain, e sapeva quanto tenessero l'una al'altro, non c'era nulla di strano. Se non una frase che udì uscire dalle labbra del ragazzo grazie al suo udito sviluppato, e subito l'Omega gli indirizzò uno sguardo molto poco amichevole. Era pur sempre sua sorella, dannazione, perché non riusciva mai a darsi una regolata? Il rosso sembrò afferrare il messaggio, dato che liberò Hannah dalla stretta. La sorella gli si attaccò al collo, senza nascondere il suo entusiasmo, ed Abel gli appoggiò una mano alla base della schiena per ricambiare l'abbraccio.
    « Come state? La scuola, le missioni? » la ragazza cominciò subito a tempestarlo di domande, e l'albino si affrettò a varcare la soglia di casa sotto lo sguardo benevolo di Sarah. L'albino mugolò un "Tutto okay", e passò dalla cucina attratto dal profumo che regnava nella stanza.
    « Sono riuscita a procurarmi il necessario per la Shepherd's pie » la voce gentile di Sarah risuonò alle sue spalle, e si voltò verso di lei. Sorrideva verso Cain, palesemente affamato. « La torta al limone la lasciamo per stasera » il Black Dog sembrò ugualmente soddisfatto, e nella stanza fecero irruzione i due fratelli, che subito placcarono il rosso. La madre si avvicinò ai fornelli, facendo cenno ad Abel di seguirla. « Tu hai fame? » domandò lei pacatamente, controllando le pentole sul fuoco. « Mica tanta » l'albino fece spallucce, lo sguardo puntato sulle spalle ricurve della donna. La superava in altezza di una decina di centimetri, e a vederli nessuno avrebbe detto che fossero imparentati. Tra tutti i componenti della famiglia, era lui quello strano, ma la madre e i fratelli sembravano non averci mai fatto caso. « Sei dimagrito troppo per i miei gusti » lo rimproverò lei con una risatina, ma Abel non rispose. Sua madre non gli vrebbe fatto saltare nemmeno un pasto, lo sapeva. « Ti sei rimesso meglio di quanto mi aspettassi, comunque. Ne sono felice » Sarah interruppe il suo lavoro giusto il tempo di scompigliare i capelli del figlio maggiore, che se li rimise a posto appena uscì in corridoio. Cercò con lo sguardo Cain, dato che si era impossessato del suo bagaglio, e non si sorprese a vederlo in compagnia di Hannah e Noah. Sembravano essere piuttosto presi dalla conversazione, e a dirla tutta non era curioso di sapere cosa stessero architettando. Hannah lo adocchiò appena mise piede in salotto, la mano tesa verso la tracolla del borsone.
    « Stasera andiamo al cinema? » esclamò la ragazza, balzando in piedi vicino a lui, e l'albino aggrottò le sopracciglia. « Oh, certo » lo sguardo della moretta si illuminò a giorno, e neanche Noah sembrava credere alle sue orecchie. « E' uscito da poco un thriller, abbiamo visto la pubblicità in TV stamattina, e »
    « E ci andrete senza di me » Abel non la fece finire, troncando il discorso con la sua solita scortesia, issandosi il bagaglio in spalla celando una leggera fatica e una fitta che lo colse all'altezza dello stomaco. « Non pensate di coinvolgermi in una delle vostre attività » fece, e Noah rispose con un sibilo scontento. Hannah, d'altro canto, si mise le mani sui fianchi, una smorfia infastidita a deturparle il bes viso, ma uno sguardo complice con Cain le bastò a farle sfoggiare un sorriso furbo. Abel stette in silenzio, sedendosi sul divano più lontano da loro e più vicino alla mensola piena di libri, ma con quei tre vicino non si sentiva granché al sicuro.

    Cain Asriel Skriker
    Il piano era perfetto, senza la minima sbavatura: Cain ed i fratelli minori avrebbero attirato il musone fuori casa con il pretesto di comprare un libro ad Hannah, e approfittando della vicinanza con il minuscolo cinema di paese, Abel si sarebbe ritrovato con il sedere sulla poltrona ed un sacchetto di pop-corn in grembo. Non poteva resistere al richiamo dei libri, dopotutto. Il malvagio trio finì di confabulare appena l'albino entrò in salotto, cambiando argomento e parlando della vita scolastica dei piccoli Gytrash. In quella famiglia erano tutti portati per lo studio, chi più e chi meno, un bel vantaggio. « Non pensate di coinvolgermi in una delle vostre attività » puntualizzò subito Abel, e gli altri si scambiarono uno sguardo complice come a voler dire "ma certo che no". Povero illuso, non aveva idea di che pomeriggio lo attendesse. Cain si caricò i bagagli di entrambi in spalle, e passando di fianco al divano scompigliò i capelli bianchissimi del compagno. « Tranquillo, fratellino. Ti lasceremo riposare, visto che sei ancora convalescente ». Noah trattenne una risata, subito interrotto dalla gomitata di Hannah, che fra i due era l'attrice migliore. Si sarebbe infuriato come non mai, però il film sembrava promettente, e non uscivano insieme da troppo tempo. Si incaricò di portare i bagagli in camera prima di iniziare a pranzare, salendo i gradini a due a due verso il piano di sopra. Conosceva ogni meandro della casa, tanto vi era vissuto.
    - Per assurdo non ricordo più come sia fatta la mia - pensò, vagamente amareggiato. Dopo il lungo corridoio ed una seconda rampa di gradini, molto più stretta della precedente, Cain giunse al terzo piano, che comprendeva l'immensa camera da letto, uno studio ed un bagno. Era stata pensata per due persone fin dall'inizio: Abel e Gabriel. Il maggiore dei Gytrash era venuto a mancare prima che potesse conoscerlo. Era lui l'originario portatore dell'occhio maledetto, poi passato al secondogenito. Gabriel era sempre stato un argomento taboo, preferiva non fare troppe domande su di lui, ma sapeva che Abel gli era legato in modo particolare. Lasciò i due pesanti borsoni ai piedi del letto, lo stesso su cui aveva fatto un sacco di dormite e sparso cibo di ogni genere, conscio del fatto che Sarah avesse messo delle lenzuola fresche di bucato per il loro soggiorno. Poteva lavare le coperte quanto voleva, restava sempre l'odore inconfondibile di Abel. La sua traccia olfattiva era ovunque nella stanza, un dettaglio che lo metteva a suo agio. Di solito i Black Dogs erano molto territoriali, delineavano i propri spazi, avevano delle personali zone di caccia e così via, ma Cain e l'albino non si facevano problemi a stare uno nella proprietà dell'altro. - In effetti non permetterei a nessun altro di mettere piede nella mia camera -. Abel era l'eccezione ad ogni regola, in fondo: alla sede dei Marauders nessuno poteva permettersi di rubargli il cibo, entrare nel suo alloggio o rispondergli a tono come faceva lui senza beccarsi un morso, e al fratello non aveva mai torto nemmeno un capello. La voce di Sarah lo richiamò al piano di sotto, insieme al formidabile profumo della Shepherd's Pie, e si affrettò a scendere in sala da pranzo prima che Noah prendesse la porzione più grande. « Ehi, avevamo un accordo! » disse al castano, appena scoprì che la sua porzione era quella più abbondante. Gli ultimi consigli su cosa regalare alla fidanzata per il compleanno in cambio della razione da due persone, un patto semplice da mantenere, no? « Visto che non arrivavi mi sono sacrificato io » ribatté l'altro, che aveva preso la risposta pronta da Abel. Lui pareva già stanco del caos creatosi a tavola, con il rosso e Noah che battagliavano per l'ultimo pezzo di sformato, Hannah che rideva e Sarah che mangiava spensierata. L'Omega si accorse della lentezza con cui mandava giù ogni boccone (era evidente che stesse facendo un grande sforzo), e decise di mettersi tranquillo per invogliarlo a rimanere seduto un altro po'. Le acque si calmarono quando Cain si arrese, masticando la "misera" parte di sformato che trasbordava dal piatto. Hannah, allora, chiese dettagli sulla missione di salvataggio accaduta il mese prima, curiosa di conoscere la vicenda.
    « Chi è stato a fare del male al mio fratellone? Voglio nome e cognome! » disse, infervorata dal tipico spirito battagliero. A volte ricordava Dianne per certi atteggiamenti, ed era una gran cosa. « Ormai non importa, gli ho staccato la testa con un unico morso ». Sarah si schiarì la gola, un messaggio indiretto che voleva persuaderlo dal dare certi dettagli a tavola, e Cain fece un cenno di scuse, nonostante i piccoli Gytrash lo guardassero con gli occhi che brillavano. « Comunque, quando sono arrivato Abel l'aveva già ridotto parecchio male. Era un Demone alto... boh, almeno due metri, con le corna lunghe così ». Spiegò che si trattava di un'evocazione mal riuscita, uno dei soliti scherzetti di Hallooween. Tutti i membri della famiglia erano in grado di vedere le creature sovrannaturali, e godevano di una particolare immunità contro i loro attacchi. Sebbene non potessero trasformarsi in Black Dog, i due bambini non erano esseri umani comuni, e dovevano prestare attenzione. « Per fortuna il principe azzurro è accorso appena in tempo per salvare la sua principessa. Non avevo un cavallo e sono caduto giù dalle scale, ma questo dettaglio deve rimanere tra noi ».
    « Davvero hai fatto un errore così stupido? » domandò Noah, che se la rideva insieme alla sorella.
    « Giuro, mi sono quasi rotto il naso! Ho barlado ber una settibana così ». Si chiuse entrambe le narici perchè l'imitazione risultasse veritiera, tra le risate sguaiate dei due e quelle più contenute di Sarah, ed intercettò lo sguardo di Abel su di lui. Stava sorridendo, grazie a Dio.
    « Come facevi a sapere che era in pericolo? Non ti avevano messo in punizione? ». La moretta non si faceva fregare facilmente, era troppo sveglia. E poi Grim aveva provveduto a riferire alla famiglia adottiva le ultime vicende, menzionando il comportamento sovversivo di Cain nell'ultimo periodo. « Dev'essere stato il mio sesto senso » rispose evasivo lui, sfiorando la benda sull'occhio sinistro. La donna a capotavola s'irrigidì impercettibilmente, ma fu brava a nasconderlo. Disapprovava che i ragazzi usassero le loro maledizioni alla leggera, poiché aveva visto cos'era accaduto al marito e ad Isaac Skriker. Per fortuna la conversazione deviò altrove, mentre la Shepherd's Pie veniva spazzolata in fretta. Al termine del pranzo si spostarono tutti in salotto per una pennichella, dopo aver aiutato Sarah a sparecchiare e lavare i piatti come di consuetudine. Cain prese posto sul grande divano, subito accerchiato dai fratelli che volevano aggiornarlo sulle loro vicende, e Abel si rifugiò sulla poltrona libera vicino alla libreria. Il rosso ascoltò entrambi con grande entusiasmo, sentendosi come un nonno che riempie di complimenti i nipotini, poi la scorpacciata parve mettere sonno alle due pesti: Noah si addormentò disteso, con le gambe sopra a quelle dell'Omega, ed Hannah rimase accoccolata sotto il suo braccio. Erano troppo teneri perchè potesse spostarli, quindi accettò di buon grado il ruolo di cuscino ed ingannò il tempo leggendo il quotidiano di due giorni prima, abbandonato sul tavolo basso lì davanti. Le visite al cimitero della chiesa di St. Thomas non erano mai cessate dal fatidico giorno di Hallooween. Anzichè esserne spaventate, molte persone erano andate a vedere da vicino i resti della cripta, e la notte gruppi di fanatici vi tenevano strani riti di magia. Nulla di allarmante, per ora, ma aveva sentito che Grim se ne lamentava. « Crescono in fretta, vero? » disse ad Abel, già immerso nella lettura di qualcosa di difficile e pieno di simboli strani. Accarezzò distrattamente la testolina di Hannah, che mugugnava frasi sconnesse nel sonno come lui. « Mi fanno sentire vecchio ».
    Quando l'albino entrava nel magico mondo della conoscenza non c'era modo di schiodarlo da dove si trovava, ma poteva usare la cosa a suo vantaggio per guardarlo indisturbato. Il cibo di Sarah aveva fatto miracoli, donandogli un po' di colore in viso, ed ora che regnava il silenzio era la serenità fatta a persona. Non lo vedeva così da secoli. Il ruolo di Alpha, le missioni a ritmo serrato, le lezioni e la compagnia di Mr. Perfezione Mauthe lo avevano debilitato come tante piccole sanguisughe.
    Per fortuna il fidanzato era distante e non poteva mettersi tra loro. D'un tratto, l'Omega rivide una sorta di flashback, un ricordo che non sapeva di avere che fece seguito al filo di pensieri. « E sai, prima pensavo... e se ti facessi io da ragazzo? ». Era un'alternativa che aveva vagliato un sacco di volte nella sua testa, specie nell'ultima settimana. E poi ci si era messo anche quello strano sogno, una costante che compariva ogni volta che chiudeva gli occhi: l'odore di disinfettante mischiato a quello di Abel, il cigolio di molle arrugginite, la sua bocca sulle labbra fredde di lui... Da quando faceva fantasie del genere? Okay, Dianne gli aveva dato un indizio, ma stava ancora indagando su quali fossero i veri sentimenti del fratello. Pensare addirittura di baciarlo era troppo, anche per un pervertito come lui.
    « Oggi Hannah deve cercare un libro per la scuola. Vieni con noi? » chiese, cercando di sembrare spontaneo. Gli sembrò che la fanciulla sorridesse nel sonno, e dovette trattenersi anche lui per non far saltare tutti i piani.

    Abel Cyril Gytrash
    La risata di Noah non gli sfuggì, e nemmeno il rude tentativo della sorella di farlo smettere, ma Cain fu furbo nel distrarlo, scompigliandogli i capelli prima di salire al piano superiore per sistemare le borse. Tentò di sistemarli alla bell'e meglio, ma la verità era che non doveva permettersi di fraintendere quel gesto puramente amichevole. Da quando lo aveva baciato, la situazione gli stava sfuggendo di mano, sebbene Abel fosse bravo a mascherare il tutto. Intento a riordinare i capelli senza l'aiuto di uno specchio, non notò che Hannah gli si fosse avvicinata con un sorriso che non faceva presagire nulla di buono.
    « Allora, come procede? » disse piano, mentre Noah usciva dalla stanza richiamato dalla madre. L'albino alzò un sopracciglio, non avendo capito a cosa si riferisse. La ragazza, dal canto suo, sembrò afferrare lo scetticismo del fratello, e le bastò puntare gli occhi verso le scale dietro le spalle di Abel, dove pochi istanti prima era scomparso il rosso. L'Omega smise di occuparsi dei capelli, e vi passò le dita giusto il tempo di pensare ad una risposta vaga ma al contempo esaustiva, in modo che la curiosità di Hannah venisse soddisfatta e non le venisse in mente di chiedere altro. « Come sempre » fece, come a dire "Cosa lo chiedi a fare?". La moretta sospirò, come se non fosse alle prese con un adulto vaccinato ma con il più piccolo della famiglia. « Dovresti darti da fare » esclamò, appoggiandosi allo schienale della poltrona ed Abel le indirizzò uno sguardo visibilmente scocciato. « Non mi guardare così, sai che è vero. Lo dico per te » Oh, al diavolo. Non poteva farsi avanti, nonostante desiderasse che il rapporto fraterno che li legava potesse trasformarsi in qualcos'altro, ma anche questo era una fantasia da cancellare. Era in aperta lotta contro sé stesso, e fare appello alla maschera di indifferenza che indossava ogni giorno era la sua unica salvezza. Tutte le volte che si ricordava di catalogare Cain come un fratello, ripensava a quel maledetto bacio in ospedale. E no, non andava affatto bene. « Lasciami stare » disse, rivolto alla sorella, alzandosi e dandole le spalle, alla ricerca di un libro qualunque, giusto per tenersi occupato e pensare ad altro. Qualsiasi cosa, ma non Cain.
    La voce di Sarah giunse alle orecchie appena poggiò un volume sul cuscino della poltrona, e Hannah lo affiancò mentre si dirigevano in cucina. La Shepherd's Pie di sua madre emanava un ottimo odore, ma il ragazzo aveva ugualmente lo stomaco chiuso. Noah si era già sistemato a tavola, vicino alla madre, gli occhi che brillavano nell'osservare l'enorme porzione di cibo nel suo piatto. Abel non sarebbe riuscito a mandarne giù neppure la metà. Indirizzò al piccolo di casa un'occhiataccia, che gli rispose con una linguaccia, e afferrò il piatto che la madre gli porse. Per fortuna gli aveva lasciato un pezzo piccolo. Cain, al contrario, li raggiunse sbraitando, cominciando a litigare con Noah per agguantarsi la porzione più grande di stufato, che a quanto pareva era capitato al piccolo. Abel li ignorò volutamente, mettendo in bocca il primo boccone che faticò a mandare giù. Sentiva le tempie pulsare, il calore familiare che tanto gli era mancato suonava alle sue orecchie solamente come un caos insopportabile. Aggrottò le sopracciglia quando Hannah cominciò a ridere forte, la voce alta di Cain accanto a lui mischiata a quella più squillante di Noah. Aveva solamente una gran voglia di alzarsi e andarsene in camera, rifugiandosi nel silenzio. Il rosso, grazie al cielo, sembrò accorgersi della sua insofferenza mal celata e abbassò il tono, facendo sì che anche Noah la smettesse di urlare. Appena ne ebbe l'occasione, la sorella chiese subito della missione della notte di Halloween, la fatidica notte in cui aveva seriamente rischiato di restarci secco, se non fosse stato per qualcuno di sua conoscenza. Guardò Cain di sottecchi appena mandò giù il quarto o il quinto boccone, che si divertiva a raccontare le peripezie a cui era andato incontro l'utimo giorno di ottobre. « Per fortuna il principe azzurro è accorso appena in tempo per salvare la sua principessa. » Abel alzò un sopracciglio al sentirlo, invece i due fratellini parevano un sacco entusiasti. Hannah e Noah si sentivano sempre molto coinvolti nelle avventure dei giovani Omega, sognando una vita entusiasmante proprio come la loro. Peccato che questa potesse risultare tanto eccitante quanto terrificante, non avrebbe augurato loro la sua stessa sorte per nulla al mondo.
    « Non avevo un cavallo e sono caduto giù dalle scale, ma questo dettaglio deve rimanere tra noi » a quelle parole, sul viso di Abel nacque spontaneo un sorriso, e scosse leggermente la testa. Non sorrideva spesso, anzi, era più probabile che nel frattempo Cain e Raphael imparassero a sopportarsi, ma quando accadeva era sempre grazie a lui. Il rosso sembrò notare la sua silenziosa contentezza nel mare di risate dei fratelli, e non si impegnò nel celarla. Stette ad osservarlo per un po', i capelli color fuoco scompigliati come sempre, le mani che muoveva per accompagnare il discorso, la linea delle labbra. No, quel punto no, era critico. Risalì fino all'occhio smeraldino, per poi focalizzare l'attenzione sullo sformato che aveva nel piatto e che non sarebbe mai riuscito a finire. Quando il giovane Skriker alluse all'utilizzo della maledizione, Hannah e Noah sembrarono non capire, credendo alla storia del sesto senso, ma l'impercettibile movimento della madre non gli sfuggì. Come Abel, era sempre stata contraria all'utilizzo dell'occhio maledetto, avendo sperimentato sulla sua pelle la morte prematura del primogenito proprio per l'uso sconsiderato che ne faceva, e ormai Sarah considerava il rosso alla pari di un figlio.
    « Posso prendere la tua Shepherd's pie? » la richiesta del fratello minore lo fece tornare con i piedi per terra. Il ragazzo annuì in sua direzione, passandogli il piatto semi-pieno. Questo fece deviare il discorso su quanto Noah fosse ingordo, facendo sì che il pranzo terminasse senza nessun muso lungo, fatta eccezione per il suo, dato che sembrava esserci nato. Una volta aiutata Sarah a sistemare la cucina, tutti e quattro i ragazzi si rifugiarono in salotto. Hannah e Noah erano ancora pieni di energia, tanto che accerchiarono il rosso impazienti di continuare a parlare con lui. Dal canto suo, l'albino si sistemò sulla poltrona dove era seduto prima, e aprì il libro che aveva lasciato sul cuscino. Era un volume piuttosto usurato, la copertina rischiava di staccarsi e leggendo il titolo si accorse di averlo già avuto tra le mani in precedenza, ma i libri presenti in casa sua li aveva già divorati per la maggior parte: gliene mancavano alcuni che si trovavano nello studio di suo padre nel reparto di fisica, il suo preferito, ma non se la sentiva di percorrere le scale. Quello che aveva tra le mani era un trattato di astronomia, e gli andava più che bene.
    « Crescono in fretta, vero? » Abel sollevò appena lo sguardo dalle pagine in direzione di Cain, notando come i suoi fratelli si fossero beatamente addormentati tra le sue braccia. Davanti agli occhi, gli balenò la figura del padre scomparso insieme a lui e Gabriel in tenera età, ma la scacciò in fretta prima che si perdesse nelle memorie del passato. « Mi fanno sentire vecchio »
    « Parli come se fossi loro padre » lo prese in giro l'albino, tornando a focalizzarsi sulle pagine inchiostrate. Gli piaceva quel silenzio, dopo il putiferio a pranzo era rigenerante. Dalla cucina proveniva una canzone che Sarah cantava sottovoce, anche se non seppe riconoscere la melodia. Nel leggere, dovette avvicinare il libro al viso, visto che aveva lasciato gli occhiali da lettura nel borsone, e questo sì che lo fece sentire quasi un nonnetto.
    « Oggi Hannah deve cercare un libro per la scuola. Vieni con noi? » Sentir pronunciare le parole "libro" e "scuola" da Cain era un evento più unico che raro, ma non si riferiva alla sua vita scolastica, bensì a quella della sorella. Con i sensi in allerta, Abel poggiò il libro aperto sulle gambe, uno sguardo sospetto in direzione del trio.
    « Devo temere per la mia incolumità? » in circostanze normali non avrebbe esitato a rifiutare, ma si parlava di libri. Stavano andando in una libreria, diretti in paradiso praticamente. Poteva permettersi di comprare qualche libro da portare con sé in collegio, si sentiva in dovere di riempire la libreria completamente vuota che aveva trovato nella loro nuova camera nella torre di osservazione. Si trattava pur sempre di Cain e dei suoi fedeli seguaci, però, non poteva abbassare la guardia.
    « A patto che torniamo a casa prima delle cinque » dichiarò, come se si fosse trattato di un affare di stato, e con un gesto della mano stroncò sul nascere qualsiasi reazione troppo euforica. Un paio d'ore sarebbero bastate e avanzate, più il tempo per arrivare in centro e tornare a casa... Sì, sarebbe riuscito ad evitare ogni piano malefico che quei tre avevano in serbo per lui, e si sarebbe anche fatto una bella scorpacciata di libri. Si preannunciava un pomeriggio niente male.

    • • •

    Venti minuti erano volati per arrivare in centro città, all'inizio del viale pieno di negozi dove avrebbero trovato ciò che cercavano. Sentiva il richiamo della libreria della sua città natale da quando aveva messo piede fuori casa, e non poteva più aspettare oltre. All'esterno, appariva comunque sempre calmo e composto, seguendo i tre fratelli. Fortunatamente non c'era molta gente in giro, quella era la sua giornata fortunata. Alzò lo sguardo verso Cain, che sembrava particolarmente euforico: non l'aveva mai visto così allegro per andare a comprare dei libri. Sicuramente era la presenza di Hannah e Noah a renderlo di buon'umore. « Se non ci diamo una mossa, chiuderà prima che arriviamo » si lamentò Abel, mal celando la voglia di entrare in libreria paragonabile a quella di un bambino in cerca del negozio di caramelle.

    Cain Asriel Skriker
    Possibile che Abel ci fosse cascato davvero? Non dava nessun segno di squilibrio, seguiva Cain e le due pesti in tutta calma, incitandoli a non perdere tempo. Voleva rientrare prima delle cinque, in fondo. « Gli dirò che la mamma ci ha chiesto di comprare gli ingredienti per la torta di stasera. Brontolerà un sacco, ma vuole mangiarla anche lui, quindi... ». Hannah era un genietto del male. Aveva progettato tutto per filo e per segno. « Ottimo. Se prova a scappare lo placco io ». Noah ebbe l'accortezza di far notare ad entrambi che l'albino poteva insospettirsi nel vederli a borbottare fitto, così il Black Dog prese a braccetto entrambi e finse di ridere ad una battuta mai detta. Non potevano permettersi di sbagliare. La vecchia libreria di paese li accolse con il tipico odore di carta stampata che aveva preso troppa umidità, e le scaffalature sembravano sul punto di cedere da un momento all'altro. L'angolo delle nuove uscite era microscopico, per il resto si trattava di volumi troppo antichi per interessare ai più. Beh, Abel era uno dei pochi ad apprezzarli. La sezione di scienze lo attirò come una calamita, altro fattore che avrebbe contribuito a far abbassare le sue difese.
    « Cerchiamo il tuo libro? » propose il rosso ad Hannah, che si era già dimenticata il motivo del loro giro turistico. Finsero di guardare con aria interessata i titoli della parte di storia, mentre Noah seguiva il fratello maggiore e lo teneva sotto osservazione. Ad Abel brillavano gli occhi, era quasi un peccato rovinargli la giornata per trascinarlo in un cinema di seconda categoria a guardare qualcosa che non gli piaceva. « Non ci perdonerà mai » sussurrò la ragazzina dai capelli neri, nascosta da un tomo vecchio di cent'anni. Cain le fece segno di non preoccuparsi, dato che sapeva benissimo come rabbonire l'Omega. Si era rifornito di caramelle al bar della stazione per un motivo, e avevano quel giro al pub in programma. Magari era la volta buona per ubriacarsi insieme. Da qualche parte nel negozio suonò qualcosa che assomigliava ad un vecchio pendolo, lo stesso dell'infermeria che sapeva per certo essere stregato, e i due complici si scambiarono uno sguardo d'intesa: meno venti minuti all'inizio del film. Il rosso fece un segnale a Noah dall'altra parte dello scaffale, che il moro interpretò come un "ha inizio la missione". « Andiamo? Mamma ci ha chiesto di fare la spesa per la torta, rischiamo di far tardi » disse ad Abel, che annuì con aria riluttante. Stavano praticamente togliendo un animale dal suo habitat naturale. Hannah gli disse di non aver trovato quello che cercava, e che se lo sarebbe fatto prestare da un'amica per correre ai ripari, quindi il gruppetto uscì ed imboccò la via principale per far visita al minimarket. Si vedeva già in lontananza, mentre il cinema stava ben nascosto in una stradina secondaria, e quando furono vicini al bivio, Cain scivolò alle spalle del compagno con naturalezza, come se avesse semplicemente rallentato il passo. « Sai che Emily abita qui? In quel palazzo, al secondo piano ». Il minore prese Abel per una manica e lo guidò con entusiasmo nella viuzza soffocata da alti condomini, uno dei quali adibito a cinema di paese. All'esterno era appesa solo una locandina di un film poco recente, nessuna insegna ad indicare cosa fosse, e prima che l'albino potesse accorgersi dell'errore compiuto, il rosso lo spinse all'interno finché Noah gli teneva aperta la porta. Aveva l'aria di voler radere al suolo la città intera, si dibatteva come un pesce nella rete, ma Cain era un osso duro. Lo strinse in qualcosa di simile ad un abbraccio da dietro, una tenaglia che non lasciava vie di fuga. « Quattro biglietti per Shutter Island, per favore! » disse Hannah al bigliettaio, trattenendo le risate. Il tizio dall'altra parte del bancone guardò stranito il quadretto che gli si presentava davanti, chiedendosi cosa mai avesse fatto di male il ragazzo dai capelli bianchi per meritarsi una simile tortura. Nel vedere i quattro talloncini, Abel si lasciò sfuggire un ringhio di frustrazione, che il fratello mise a tacere con una minaccia velata. « Puoi provare a scappare, se vuoi, ma sappiamo tutti e due che non sei bravo in questo gioco » gli sussurrò all'orecchio, mentre con una spintarella lo costringeva a camminare verso la zona bar. I due ragazzini presero pop corn per un esercito, oltre ad un sacchetto di caramelle gommose per mettere tranquillo l'ostaggio, e Cain lasciò libero il Black Dog solo quando furono davanti alle porte dell'unica sala disponibile. « Buono, cuccioletto. Sono appena due ore di film, poi sarai libero di fare il secchione quanto vorrai ».
    Hannah precedette gli uomini verso la fila centrale in alto, illuminando la strada con il display del cellulare. Non c'erano molte persone, una trentina al massimo, ragion per cui potevano stare larghi e poggiare i piedi sui sedili davanti senza beccarsi qualche rimprovero. Abel si sedette vicino alla sorella, e Cain gli chiuse la strada occupando il posto subito dopo, un ghigno trionfante in viso. Erano mai stati al cinema insieme? Forse da bambini, non aveva un ricordo preciso. Quel che contava era passare del tempo tra fratelli e svagarsi per l'unica settimana concessa da Grim. Iniziò una sfilata di pubblicità infinita (Noah e Cain avevano già spazzolato metà delle patatine), durante la quale il rosso si accomodò e sprofondò nella poltrona, l'occhio sinistro che vagava sul profilo incazzatissimo dell'Omega lì accanto. Ogni tanto digrignava i denti, mettendo in mostra i canini, tamburellava le dita sul bracciolo e sbuffava a ripetizione. « Dai Trash, il tuo cervello ha bisogno di qualcosa di diverso dai numeri » lo punzecchiò, finché Hannah gli rifilava il sacchetto di caramelle. Avrebbe tenuto il muso per ore, se non giorni. Il film iniziò in ritardo, ma si dimostrò da subito parecchio avvincente. Un ospedale psichiatrico su un'isola abbandonata prometteva bene, e riuscì a tenere tutti con il fiato sospeso. I piccoli Gytrash erano un teatrino di espressioni, subito stupiti, poi spaventati, poi ansiosi di scoprire dove volesse arrivare Teddy con le sue indagini sui pazienti, tutto il contrario di Abel. Se si stava divertendo, faceva attenzione a non darlo a vedere. « Lo so che ti piace » bisbigliò il compare, una mano affondata nel sacchetto di caramelle che teneva in grembo. I pop corn erano finiti da un pezzo. « Domani facciamo quello che vuoi tu, okay? ». C'era poco da fare nel paesino sperduto tra i campi, in realtà. Il film terminò con una rivelazione scioccante che sollevò critiche da parte del gruppetto, albino imbronciato escluso, e i tre continuarono a commentare fino a metà strada, sulla via del ritorno. Avevano cenato a suon di schifezze, ma l'idea della torta ad attenderli fece aumentare il passo un po' a tutti. Cain lasciò i piccoletti a battibeccare su chi avesse ucciso chi, portandosi a fianco al fratello e affondando le mani nelle tasche del cardigan. Faceva freddo per essere novembre, di solito l'umidità del luogo teneva a bada le temperature. Per fortuna aveva lasciato la sua sciarpa al Black Dog convalescente. « Tutto bene, incazzatura a parte? ». All'Istituto si erano raccomandati di tenerlo al caldo e non fargli fare sforzi eccessivi, in fondo. A casa aveva comunque un paio di ore per poter riposare, prima della fatidica bevuta. Una volta arrivati, Sarah ascoltò con interesse il racconto dei due figli, che le giravano attorno come avvoltoi mentre posava la torta al centro del tavolo da pranzo. Cain la riempì di complimenti, quasi sul punto di piangere. Non amava particolarmente i dolci, ma quella torta era paradisiaca. Noah rinunciò all'ultima fetta per farsi perdonare dell'incidente con la Shepherd's Pie, puntando comunque quella finita per metà nel piattino di Abel. - Forse dovrei lasciarlo a casa - ponderò il rosso. L'alcool non rientrava nella dieta ferrea imposta dal medico. Attese fino alle nove e mezza, chiacchierando con la madre dei Gytrash davanti a una tazza di caffé e la televisione a volume basso di sottofondo, poi lo raggiunse in salotto e sequestrò il libro in cui era immerso. « Ho sentito che bere birra rende più intelligenti. Io sono l'esempio, come vedi ». Indossò il cardigan che aveva posato sul bracciolo del divano e gettò ad Abel la sua sciarpa, sfidandolo apertamente. « Su, tanto offro io ». L'albino era abbastanza tirchio da farsi tentare, e alle dieci meno un quarto erano entrambi sulla porta, uno scodinzolante e l'altro palesemente seccato. Tempo qualche boccale e perfino il più diligente degli Alpha si sarebbe lasciato andare, lo sapeva per esperienza. Doveva solo stare attento a non esagerare a sua volta, visto il ruolo di guardia del corpo che si era auto-affibbiato.

    Abel Cyril Gytrash
    Lo scampanellio all'apertura della porta della libreria e l'odore di libri antichi ebbero il potere di rendere Abel la persona più felice di tutto il mondo, uniti alla quantità abnorme di tomi che celava quel luogo e la polvere sottile che aleggiava tutt'intorno. La velocità con la quale si tuffò nel il reparto di scienze ebbe dell'incredibile. Iniziò a sfogliare ogni titolo che non ricordava fosse presente nella sua raccolta, meravigliandosi dello stato di conservazione e quanta conoscenza racchiudessero. Il commesso, un trentenne dall'aria annoiata, lo guardò palesemente sorpreso: la piccola libreria di paese non ospitava chissà quanti clienti al giorno, e i pochi che venivano avevano tutti una certa età. Il giovane Gytrash era uno dei pochi ragazzi veramente interessati ai volumi che si trovavano in quegli scaffali, e nonostante la solita inespressività del viso gli brillavano gli occhi. Poche cose erano capaci di farlo reagire così, e tra queste figuravano i libri e il rosso che confabulava alle sue spalle, a cui però l'Omega non diede bado, rapito com'era dai segreti che le pagine dei libri che teneva in mano nascondevano. « Andiamo? » Abel non si accorse subito del fratello alle sue spalle, ma la sua voce squillante, non ancora da adulto, attirò la sua attenzione, e Noah si beccò per tutta risposta uno sguardo ben poco affettuoso. « Hannah ha già fatto? » domandò scortese, ma il fratello non si lasciò intimidire. Tutti in casa erano abituati alla cattiveria dell'albino, ci avevano fatto il callo con il passare degli anni. Sapevano che, in parte, non era effettivamente voluta, e se preso per il verso giusto Abel poteva rivelarsi tutto il contrario. Il ragazzino gli spiegò che Sarah aveva chiesto loro di andare a fare la spesa, e Abel alzò gli occhi al cielo. « Andateci voi, tanto mi trovate qua » sentenziò, per poi abbassare la testa per riprendere la fugace lettura del volume che aveva in mano, un trattato di un qualche scienziato inglese di cui non aveva mai sentito il nome, rimasto tra quegli scaffali per chissà quanto tempo. Noah mise subito il broncio, cominciando a parlare a voce troppo alta come suo solito - una delle tante cose che mandava l'albino in bestia - a cui si aggiunsero anche Cain e Hannah nel tentativo di farlo uscire da quel buco. Alla fine, Abel si vide costretto ad arrendersi, mettendo i libri al loro posto e avanzò verso l'uscita con aria riluttante. I tre fratelli lo precedettero sulla strada per il minimarket, e l'albino controllò l'ora sul display del cellulare. Le quattro erano passate da poco, e la cosa non lo rincuorò. Magari sarebbero riusciti a perdere tempo nel fare la spesa, non doveva lasciare loro lo spazio per mettere in atto qualsiasi cosa avessero in serbo per lui. Non gli serviva alcuna prova, li conosceva troppo bene. Quando Noah lo afferrò per la manica della giacca costringendo il maggiore a seguirlo, non si era accorto che Cain era nascosto alle sue spalle.
    « Sai che Emily abita qui? » Abel sbuffò impercettibilmente, non tentando certo di nascondere quanto poco gli importasse di questa rivelazione. Anche perché glielo aveva già detto tempo fa.
    « E con questo? » esclamò, notando di come il minimaket si trovasse da tutt'altra parte. Fece caso troppo tardi a come Noah fosse impegnato a tenere aperta la porta del cinema di fronte, e un campanello d'allarme suonò nella sua testa senza che il suo corpo potesse agire da per sé. Il rosso lo bloccò sul posto, troncando ogni sua iniziativa, e dimenarsi si rivelò inutile: per quanto ci provasse, Cain era molto più forte dell'albino, e non si faceva di certo intimidire dai suoi ringhi come avrebbe fatto un comune essere umano. Il ragazzo lo trascinò all'interno con l'aiuto dei fratellini, che sembravano spassarsela un sacco a vederlo in quello stato. Lo sapeva, diamine, lo avevano colto impreparato e il suo piano era fallito miseramente.
    « Puoi provare a scappare, se vuoi » sentire il respiro di Cain sul collo lo bloccò per un attimo, l'aria a mancargli per qualche secondo. « ma sappiamo tutti e due che non sei bravo in questo gioco » Certo che lo sapeva, ne era pienamente consapevole, e questo contribuiva a fargli salire il sangue al cervello. La vicinanza del rosso non aiutava di certo a calmarlo, ma prima che riuscisse a liberarsi, i quattro ragazzi furono nella sala adibita alla proiezione, Abel intrappolato tra Cain e la sorella. Il suo umore migliorò di poco quando gli piazzarono un sacchetto di caramelle in grembo - purtroppo erano a conoscenza di ogni suo punto debole - ma appena le luci si spensero e lo schermo si accese, l'albino ringhiò sommessamente, ignorando gli sguardi scettici della coppietta che aveva di fronte, in fondo non c'era molta gente quel pomeriggio. Andare al cinema non gli dispiaceva: si guardava un film e le persone erano costrette a rimanere in silenzio per poterne seguire la trama. Ad Abel piaceva starsene fermo, zitto, e se gli si presentava una pellicola dalla trama complessa era facile ammansirlo e catturare la sua attenzione. All'infuori di cartoni animati e film romantici, Abel guardava veramente di tutto. Il film che aveva scelto - d'altronde l'unico disponibile - il trio malefico era un thriller interessante, anche se trovava che il protagonista non fosse il personaggio più sveglio e intelligente del pianeta. Tutto sommato, il film gli stava piacendo, ma data la rabbia sempre presente, seppur in minor quantità rispetto a prima, gli imponeva di non darlo a vedere. « Lo so che ti piace » il fratello sembrò accorgersene comunque, ma Abel non gli diede ragione. Si limitò a indirizzargli uno sguardo assassino, per poi prendere in mano una manciata di caramelle. Nel farlo, incontrò la mano di Cain e l'albino si affrettò a ritirare la sua, non dopo averla riempita di schifezze. Il rosso era del tutto preso dal film, come i suoi fratelli del resto, ed Abel, complice il buio, ne approfittava per guardarlo di sottecchi. Lo schermo gli illuminava il viso, e non poté fare a meno di non notare le molteplici espressione che assumeva nel seguire la pellicola. Di film, a casa sua, ne avevano visti a bizzeffe, ma al cinema ci erano stati ben poche volte. Forse mai. Gli occhi grigi caddero sulle mani del ragazzo, che tenevano una quantità industriale di caramelle rubate dal sacchetto che Abe teneva in grembo. In confronto, le sue sembravano le mani di una donna, era sicuro che avrebbe potuto inglobarle completamente. - Vacci piano con le fantasie - si rimproverò, riportando l'attenzione sul film. Ora che aveva saltato qualche passaggio, gli ci volle un po' per recuperare terreno, ma riuscì a risolvere il mistero del paziente Geroge prima che Teddy potesse farlo.
    Il film finì con l'evidente disappunto dei tre diavoli, che nella strada verso casa non fecero altro che discutere su cosa potesse accadere dopo. Abel li lasciò proseguire, osservando come il suo respiro si trasformasse in condensa. « Tutto bene, incazzatura a parte? » alzò lo sguardo su Cain, sebbene metà del viso fosse coperta dalla sciarpa che il rosso gli aveva lasciato. Abel aggrottò le sopracciglia e fece spallucce. « Non ne sono sicuro » disse, continuando nella sua scenata. In fondo non era stato male, tra la compagnia e la trama intricata e avvincente del film, ma non lo avrebbe mai ammesso. Una volta a casa, Sarah si presentò con la torta al limone richiesta al mattino dal figliastro, il profumo a spargersi per tutta la casa. La famiglia si radunò velocemente intorno al tavolo, continuando a parlare del film appena visto, e l'amore per i dolci convinse Abel a mangiarne una fetta. Non riuscì a finirla, com'era prevedibile, e Noah subito adocchiò la sua porzione. L'abino gliela cedette con un sospiro, alzandosi da tavola per rifugiarsi in salotto. Nessuno lo raggiunse lì per due, santissime e tranquillissime ore, e riuscì a godersi una sana lettura e anche un veloce pisolino. I passi di qualcuno risuonarono sul pavimento di legno, e sollevando gli occhi dalle pagine inchiostrate delineò la figura imponente di Cain. « Ho sentito che bere birra rende più intelligenti » il fratello gli tolse il volume di mano senza fare complimenti, ed Abel si lasciò sfuggire un « Hey! » alquanto stizzito, ma lui non vi diede bado. « Io sono l'esempio, come vedi »
    « Confortante » Dove voleva andare a parare? Alludeva forse alla rinominata bevuta al pub a cui si erano rimpromessi di andare? Non pensava potesse proporlo la sera stessa, in fondo era ancora in convalescenza. L'albino afferrò al volo la sciarpa che gli lanciò, un'espressione scettica a studiare il fratello. « L'alcool non era previsto » cercò di frenarlo, ma la verità era che la prospettiva di bere qualche birra tentava anche lui. « Su, tanto offro io » il rosso riuscì a persuaderlo, e nel tragitto casa-pub si rimpromise di non alzare il gomito. Non gli avrebbe fatto bene, doveva tenere sotto controllo Cain e la sua resistenza all'alcool non era la stessa di prima, quando era cliente fisso dell'Hold Mill insieme al rosso. Probabilmente aveva perso colpi da allora, da quando Raphael era entrato nelle loro vite le uscite tra fratelli si erano fatte più rare. Quella era la loro settimana di libertà, dovevano approfittarne. Appena varcarono la porta del pub di paese, Abel notò che se lo ricordava più pieno di quel che effettivamente era. C'erano un paio di uomini seduti al bancone, qualche ragazzo appoggiato al muro con un boccale in mano e tanti tavoli vuoti. Nelly, la barista, si voltò verso di loro sorridendo raggiante: li conosceva bene, quando tornavano a casa non rinunciavano ad una visita al pub di paese. « Era da un po' che non vi si vedeva, ragazzi! Pronti per una bevuta? » esclamò lei, già pronta a tirar fuori i bicchieri dallo scomparto sotto il bancone. Nelly era una donna allegra e socievole, sempre con la battuta pronta, dai fluenti capelli neri e gli occhi da cerbiatta, la ragione che spingeva molti uomini a giungere in quel luogo.
    « Una birra » ordinò l'albino, sistemandosi di fronte al bancone accanto al rosso. « La prima di molte altre » gli fece di rimando lei, mostrando al ragazzo un boccale pieno fino all'orlo. Non poteva permettersi sgarri quella sera, altrimenti poteva dire addio al suo stomaco. Eppure, la birra gli scivolava giù in gola che era una meraviglia. - Una birra e poi basta - si disse, arrivato ormai quasi a fine bicchiere. Non gli dava fastidio come mangiare, anzi, si sentiva la testa un po' più leggera. Non era un buon segno, ma ragionava ancora lucidamente, nulla di allarmante. « Attento a non esagerare, io non ti ci riporto a casa in spalle » ricordò al fratello, già pronto ad ordinare la seconda. L'albino prese ad agitare un po' il boccale, osservando come la birra si muovesse nel fondo del bicchiere, la voce melliflua di Nelly mischiata a quella di Cain e altri timbri maschili gli arrivavano alle orecchie. Lui ascoltava, rintanato dietro la schiena del rosso ad osservare ciò che lo circondava. Pian piano il locale si stava riempiendo, sebbene i tavoli non fossero ancora tutti occupati come si sarebbe aspettato. Il secondo boccale arrivò senza che lui aprisse bocca, Nelly glielo piazzò davanti appena vide che aveva prosciugato il primo. « Non dovresti incoraggiarmi » disse lui, guardando il boccale come se fosse qualcosa da cui tenersi alla larga. « E' il mio lavoro » la donna glielo avvicinò, e Abel fece appello a tutte le sue forze fisiche affinché potesse resistere ad un'altra birra formato gigante. Se lo avesse visto sua madre, sarebbe andata su tutte le furie. E se avesse voluto essere irresponsabile per una sera? Insomma, chissà quando gli sarebbe ricapitato di tornare al pub con Cain. Era da secoli che non si riunivano per una bevuta in ricordo dei vecchi tempi, ed Abel, anche se non lo aveva mai esternato, ne aveva sentito la mancanza. Era tutto sotto controllo, finché non cominciò a sentirsi la testa un po' troppo leggera e iniziò a parlare a sproposito. Ricordava di dover arrivare almeno a metà del terzo bicchiere prima di manifestare i sintomi dell'ubriachezza, ma a quanto pare era fuori allenamento. « Cain, toglimi la birra dalle mani » esclamò, allungando il boccale, vuoto per metà, verso di lui. « Anzi, no » disse poi, riportandolo vicino al petto e bevendone un altro sorso. « Ti ricordavo più resistente, signorino » la barista appoggiò il mento sui palmi delle mani, mettendosi ad un soffio dal suo viso, e ad Abel sfuggì una risata. « Anche io. Ma non sono così andato, giuro » Nelly rise insieme a lui, scuotendo la testa in direzione di Cain, che mostrava di essere più lucido di Abel. Era un momento da immortalare, di solito era Abel a dover riportare a casa Cain in preda agli effetti dell'alcool. « Devo portare a casa questo qui, sto a posto » diede una pacca sulla spalla del compagno, e Nelly li lasciò soli per servire altri clienti. Quei due, anche se ubriachi, non erano pericolosi, in genere cantavano vecchie canzoni di marinai e si buttavano a terra per le risate. Fuori dai pub, si davano alla pazza gioia attraversando parchi saltellando e facendo a gara a chi cadeva prima. Abel, sempre silenzioso e schivo, quando si lasciava andare diventava fin troppo onesto e chiacchierone, e riusciva a rendersene conto anche in quello stato. Forse doveva cucirsi la bocca, smetterla di bere nonostante i liquidi, apparentemente, fossero le uniche cose che riusciva a inserire nello stomaco, ma si rifiutò di dare ascolto a quel briciolo di buon senso che gli era rimasto. « Mi ero quasi scordato il sapore della birra » esclamò, guardando il bicchiere quasi vuoto. « Torniamoci più spesso. Raphael o no, non me ne frega un accidente » fece una smorfia disgustata, ma se ne rese conto solo dopo. Mascherò l'improvvisata finendo anche l'ultima goccia, prendendo a cantare sotto voce la canzone che stava passando per la radio. Lo stomaco non gli faceva male e non rifiutava nulla, andava bene. Non si sentiva male, andava tutto a meraviglia. Davvero il medico gi aveva sconsigliato di esagerare con l'alcool? Era perfettamente nella norma, stava alla grande.
    « Cain, perché non canti? » l'albino si voltò verso il fratello, ma lui sembrava impegnato a conversare con qualcun'altro. Il tipo in questione era un ragazzo smilzo, dalla folta chioma castana e un filo di barba sotto il mento. Sicuramente era appena entrato, prima non c'era. Abel lo squadrò da capo a piedi e un'innaturale ondata di gelosia gli fece indurire lo sguardo. Sembravano essere troppo in confidenza, e la cosa non gli piaceva affatto. « Giù le mani » gli intimò appena lo sconosciuto poggiò una mano sulla spalla di Cain. A guardarlo meglio, gli pareva un viso conosciuto. Che fosse un amico del rosso? Ne aveva a bizzeffe in fondo, poteva essere. Il moro lo osservò scettico, e l'Omega mostrò la possessività tipica dei Black Dogs circondando il busto dell'amico con le braccia. « E' mio » aggiunse, e il tipo sembrò afferrare il concetto. Scambiò qualche altra battuta con Cain, che però l'albino non afferrò. Era concentrato a tenere salda la presa sul maglione del fratello, che lasciò solamente quando vide lo sconosciuto allontanarsi. « Ti tengo d'occhio » sospirò, e sorrise inconsciamente. Se avesse chiesto un altro bicchiere, avrebbe potuto rischiare grosso. E infatti, fu quello che fece. Abel, in quello stato, era imprevedibile e incontrollabile, se poi si aggiungeva la convalescenza all'insieme di cose e il fatto che si sarebbe potuto far sfuggire qualche parola di troppo, rischiava grosso.

    Cain Asriel Skriker
    C'era un che di magico nei pub all'antica, come se si passasse attraverso ad una porta che dava sul passato. Il locale odorava di legno, di birra stantia e di una cera particolare che Nelly usava per pulire il bancone. Il rosso respirò a pieni polmoni gli odori della sua infanzia (aveva iniziato a bere prima ancora che la legge glielo permettesse), e prese posto accanto ad Abel, già accolto dalla loro barista preferita. « Buonasera, splendore. Sei bella come ricordavo » ammiccò alla donna, il braccio teso verso il primo boccale della serata. Come Nelly suggerì, non sarebbe stato l'ultimo per nessuno dei due. L'Omega controllò che il fratello bevesse il primo sorso senza problemi, dato che era la sua fata madrina durante tutto il periodo di convalescenza, ma per fortuna Abel non manifestò strani sintomi, anzi. Bevve il boccale in meno tempo di lui, cosa che lo incoraggiò a finire il primo giro tutto d'un fiato. « Attento a non esagerare, io non ti ci riporto a casa in spalle » borbottò l'altro, e Cain rispose facendo spallucce. « Ho come l'impressione che toccherà a me, stavolta ». Un'occhiata d'intesa con la barista confermò i suoi sospetti: l'avrebbe riempito di birra fino a scoppiare, altroché. Ringraziò Nelly per il secondo round, felicissimo di poter bere in compagnia di Abel e non doversi piangere addosso come faceva di solito, finché uomini di tutte le età entravano e prendevano posto. Lì per lì non riconobbe volti familiari, motivo che lo spinse a scandagliare la stanza alla ricerca di persone moleste o, ancora peggio, spiriti. Il suo istinto protettivo era aumentato a dismisura dall'incidente al cimitero, teneva sempre le orecchie ritte e l'occhio vigile nei luoghi pubblici, motivo per cui si diede un contegno con gli alcolici. Non doveva rilassarsi troppo. Il rosso mise il gomito sul bancone a mo' di appoggio, sostenendo il mento e guardando Abel con aria trasognata. Finalmente poteva svagarsi senza tanti pensieri a fare a pezzi la sua sanità mentale, per non parlare dell'odioso fidanzato molto, molto distante. L'albino ridacchiava e scambiava qualche battuta con Nelly, segno che la birra era entrata in circolo e aveva sbloccato quei maledetti freni emotivi che il Signor Secchione si era imposto all'Istituto. Sembrava ringiovanito di qualche anno, perfino. Verso metà serata chiese espressamente al fratello di togliergli la birra dalle mani, ma quando Cain ci provò lui subito la riprese, traendola a sé come fosse un tesoro prezioso. « Ti ricordavo più resistente, signorino » disse la donna, quasi più divertita del Black Dog lì accanto. « Anche io. Ma non sono così andato, giuro » A Cain sfuggì una risatina che gli mandò di traverso la birra, e dovette pulirsi le lacrime dall'occhio mentre provava a smettere di tossire. « Una tipica frase da ubriaco, Trash ». Si beccò una pacca sulla schiena dal fratello, che era ancora fermamente convinto di riaccompagnarlo a casa sulle proprie gambe, e contrattaccò scompigliandogli i capelli. Quello era il compagno che conosceva, e che gli mancava da morire. Ascoltò tutti gli sproloqui di Abel con un sorriso da guancia a guancia, per nulla ubriaco ma brillo al punto giusto da assecondare le sue scemate. Parlarono di tutto e niente, di cose idiote e perfino del film visto quel pomeriggio, i bicchieri che si svuotavano man mano e il chiacchiericcio nella sala che aumentava. Stava andando a meraviglia, meglio delle sue previsioni. « Torniamoci più spesso. Raphael o no, non me ne frega un accidente » esordì all'improvviso, lasciando Cain con il boccale sospeso sulle labbra. Di solito non si lamentava mai del fidanzato, eppure la sua faccia schifata gli suggerì che le cose non stessero andando bene tra loro. - Dovrei essere contento, ma per qualche strano motivo non ci riesco -. Abel non era stupido, se aveva scelto l'Alpha come dolce metà doveva esserci una scelta ponderata dietro, un minimo di sentimento. Se non amore, almeno attrazione fisica, visto anche il bell'aspetto del comandante. - Forse dovrei iniziare ad allenarmi di più - rifletté, tastando i muscoli dell'avambraccio attraverso la manica. Il suo lato narcisista non ammetteva rivali sul campo. « Di sicuro per Natale facciamo un salto da te ». Ah, Natale, con i manicaretti di Sarah che si sprecavano e il camino acceso ad aspettare solo i suoi sonnellini. Ogni tanto faceva visita a sua madre in quel periodo dell'anno, anche se non ne sentiva la necessità, per ora. Casa dei Gytrash andava benissimo. Beh, al terzo boccale la vescica reclamava la sua parte, quindi Cain si congedò per una visita al bagno, usando il bordo del bancone come corrimano per arrivarci sano e salvo mentre affidava il fratellino alle cure di Nelly. Grazie a Dio non c'era tantissima coda, giusto un paio di ubriachi che cercavano di far funzionare lo sciacquone. Con il passare dei minuti, il rosso scoprì che uno era abbastanza andato, e l'altro gli faceva da badante, un tono di voce stranamente familiare finché imprecava alla maniera londinese. Lo sorprese chiamando il suo nome appena fuori dal bagno, mentre il ragazzo si asciugava le mani sui pantaloni. « Cain? Ma si che sei tu! » esordì il tipo più alto dei due, con un pizzetto curato e gli occhi lucidi per l'alcool. Il Black Dog ci mise un po' a collegare i pezzi. « Uhm... ti devo dei soldi? ». A giudicare dalla grossa risata no, non aveva debiti con lui. Meno male. « Nathan, della divisione di Londra. Mi hai mollato con un messaggio il giorno del mio compleanno ».
    L'espressione di lui passò dalla confusione allo stupore, fino a precipitare in un'immensa vergogna. Era un maledetto egocentrico, motivo per cui non si legava mai a nessuno al di fuori di Abel. Purtroppo con l'adolescenza erano arrivati un certo numero di bisogni da soddisfare, e il fatto che gli uomini lo attirassero tanto quanto le donne aveva allargato il suo raggio d'azione. Durante un ritiro nella capitale (l'ennesima trovata di Raphael per allontanarlo dal fratello), Cain aveva stretto amicizia con Nathan, un Delta privo di qualsiasi capacità, ma molto divertente e pervertito al punto giusto. La frequentazione era durata per i soli due mesi che il Black Dog aveva trascorso lì, e sebbene il compagno volesse continuare a vederlo, lui pensava solo a quanto fosse bello rivedere Abel. L'aveva avvisato della sua partenza solo a metà strada, sul treno diretto a Lancaster. « Ah sì, Nate... come va? ». Il moro sospirò, guardando con occhio critico l'amico che aveva accompagnato in bagno mentre tornava al loro tavolo. « Non fare quella faccia da cane bastonato, Skriker. Eri un vero bastardo, è stato meglio così ». La situazione parve appianarsi man mano che conversavano, con Cain che tornava sul suo sgabello vicino all'albino, impegnato a canticchiare. Non considerava la storia con Nathan importante o degna di nota. Si erano divertiti, punto. Faceva parte del passato da molto tempo. Riusciva ancora a faro ridere, però, doveva dargliene atto. « Come vanno le cose lassù da Grim? Sei riuscito a farti promuovere? ».
    Cain dissentì. « Tutto il contrario, sono stato declassato, ma mi va bene così. Ho meno responsabilità ».
    « Già, quelle non ti sono mai piaciute ». Ci scherzava su, ma nel suo tono c'era una vaga nota di risentimento.
    « Senti... scusa, okay? Anche se non so quanto possa valere a distanza di quattro anni ». Nel famoso messaggio di addio, il rosso aveva nominato una "persona più importante" che lo aspettava a casa, di cui ora sentiva lo sguardo addosso. Già allora considerava il fratellino una priorità, nonostante le relazioni intrattenute con altri.
    « Tranquillo, eravamo due mocciosi senza pensieri. Non mi aspettavo certo che mi portassi sull'altare ». Posò una mano sulla sua spalla in modo confidenziale, avvicinandosi all'improvviso e con una luce diversa negli occhi.
    « Pace fatta, possiamo tornare a parlare di cose più piacevoli ». Un ringhio dietro all'ampia schiena dell'Omega catturò l'attenzione di entrambi: Abel sembrava sul punto di saltare alla gola del nuovo arrivato. « Giù le mani ».
    Nathan sgranò gli occhi, ricollegando i frammentari ricordi che aveva di uno dei migliori Alpha di Grim con la chioma color neve di lui. Tolse la mano con lentezza, forse per paura di essere morso, ed Abel rivendicò la sua proprietà abbracciando saldamente il fratello. « E' mio » dichiarò, finché Cain non riusciva a dire una parola per lo shock. La stretta attorno al suo busto nascondeva una forza che mai avrebbe attribuito all'albino, gracile com'era, e il contatto improvviso gli mandò brividi lungo tutta la schiena. - Sia benedetta la birra e i suoi miracoli - pensò, un sorrisone ebete stampato in volto. Da quanto non lo abbracciava? Anni? Nathan parve cogliere il messaggio comunque, specie dopo aver visto lo sguardo di pura adorazione che il Black Dog riservava al compagno dietro di lui.
    « Fammi indovinare, il famoso fratello che non puoi lasciare solo? Beh, non vi assomigliate granché ».
    « Lo so, lui è più carino ». Inutile temporeggiare, Cain aveva occhi solo per il ragazzino ubriaco che gli sedeva vicino. Nathan si arrese all'evidenza e prese congedo, cercando il suo tavolo nel caos di gente che beveva e cantava, e solo quando fu distante Abel mollò la presa.
    « Ti tengo d'occhio » lo minacciò, rompendo la serietà con un sorriso che avrebbe fatto sciogliere un ghiacciaio.
    « Allora starò sempre dove mi potrai vedere ». Diamine, la voglia di portarlo in qualche vicolo buio e spiegargli le sue intenzioni lo tentava, complice una birra di troppo e il lungo periodo di astinenza, ma doveva darsi un contegno. Approfittare di lui mentre era ridotto in quello stato suonava sbagliato. E perché i sogni a luci rosse su di lui tornavano a tormentarlo proprio adesso? La voce squillante di Nelly gli diede una scusa per pensare ad altro, togliendo il boccale dalle mani del fratello per scolarsi l'ultimo goccio. Erano passate le undici già da un pezzo, e l'indomani avrebbero dovuto accompagnare Hannah e Noah a scuola, quindi forse era il caso di tornare al nido.
    « Porto a casa la principessa, prima che arrivi la mezzanotte » disse alla barista, trascinando giù dallo sgabello il Black Dog con una facilità disarmante. Peccato che non si reggesse in piedi. Pagò il conto con un braccio a sostenere l'albino, gli tenne aperta la porta e ringraziò l'aria gelida della notte quando investì entrambi. Gli serviva qualcosa per spegnere il fuoco che lo divorava.
    « Okay Trash, se devi vomitare dimmelo prima di farmi buttare un paio di pantaloni » lo ammonì, reduce da altre serate simili. In realtà l'Omega sembrava abbastanza in salute, con un bel colorito ed una parlantina da non credere. Nonostante la convalescenza lo stomaco aveva retto, alla fine. Camminarono (o meglio, barcollarono), lungo le vie deserte di Poulton-Le-Fylde con la canzone dei marinai ubriachi a fare da colonna sonora, beccandosi occhiatacce dai pochi passanti che rincasavano dai pub come loro. Cain si sentiva spensierato e felicissimo, specie dopo la dichiarazione di possesso fatta dall'altro mentre si sentiva minacciato da un ex ragazzo di poco conto. Era così maledettamente tenero! Doveva imporgli una nuova dieta a base di birra, in modo da soddisfare la mancanza di attenzioni. I cancelli socchiusi del parco gli ricordarono che fungevano da scorciatoia, dimezzando tempi e distanze. Ci andavano da bambini, più d'estate che con il freddo, ma la natura in inverno aveva il suo fascino. Il rosso strinse bene la sciarpa attorno ad Abel e lo costrinse a passare per di lì, tra alberi altissimi e spogli, con un tappeto di foglie secche a coprire la stradina attorniata da panche. A ben pensarci, un po' di minuti ce li avevano.
    « Fermiamoci un attimo, mi gira la testa ». La scusa più vecchia del mondo, visto che in realtà stava benissimo. Il fratello parve riprendersi un poco a quella dichiarazione, motivo per cui si sedette accanto a lui sulla panchina dalle travi gelide ed umide. « Sono così contento che potrei mettermi a ululare ». Si stravaccò completamente, le gambe distese e le braccia ad occupare tutto lo schienale, compresa la parte dove Abel si era accomodato alla stessa maniera. La luce della luna faceva sembrare i suoi capelli quasi argentati, le iridi chiare che sfumavano verso un azzurro tenue erano lucide e vispe. Incredibile pensare che la mattina dopo sarebbe tornato il secchione di sempre. No, doveva approfittarne in qualche modo, magari sfruttando l'amnesia che sembrava cogliere entrambi dopo una sbornia. Una ventata d'aria fredda portò alle narici di Cain l'odore inconfondibile del fratellino, mischiato all'alcool e al profumo delle foglie ingiallite ai loro piedi. Lo chiamava a gran voce, sentiva ogni parte del corpo tesa e pronta a scattare, come fosse una battuta di caccia. In quel momento la sua preda se ne stava lì, ignara di tutto, a guardare il cielo. Il braccio destro passò dallo schienale alla spalla di Abel, portandolo man mano più vicino. Aveva la testa altrove, un cagnolino indifeso alla sua mercé. Il Black Dog catturò la sua traccia posando il naso sul profilo candido del collo, facendosi spazio tra le pieghe della sciarpa che ora sapeva di lui. « E' vero che sono tuo » gli sussurrò all'orecchio, « e tu sei mio ». Sghignazzò del colore che gli imporporò le guance all'istante, mentre la punta della lingua assaggiava quell'unica porzione di pelle scoperta. Fratelli o meno non aveva importanza, lo voleva come non aveva mai desiderato nulla la mondo, e adesso era lì, immobile tra le sue braccia. « Scappa finché puoi ».
    Una bella sfida, visto che non aveva la minima intenzione di lasciarlo andare. La mano che prima giaceva tranquilla sulla spalla si infilò tra i morbidi capelli di Abel, costringendolo a voltarsi nella sua direzione senza lasciargli scampo. Cain si impossessò delle sue labbra con la prepotenza di un lupo che addenta la preda, un ringhio spontaneo che risalì lungo la gola quando sentì l'altro dibattersi. - Oh no, tu resti qui -. Con uno strattone lo riportò al suo posto, l'occhio smeraldino ad intimargli di restare fermo. Lo chiuse solo quando fu sicuro che Abel avrebbe collaborato, beandosi della sensazione paradisiaca del momento. Era identica a come l'aveva sognata, se non meglio. Usò la mano libera per accarezzargli la guancia, calda solo nel punto in cui era arrossito, per poi scivolare all'altezza del petto. Poteva sentire il suo cuore martellare nella cassa toracica nonostante gli strati pesanti di vestiti, una delle tante cose che avevano in comune in quel momento, insieme al gusto di birra in bocca ed i respiri affannati. L'indomani se ne sarebbe pentito amaramente, ma ora non c'era posto per la vergogna. Contavano solo loro, incoscienti Black Dogs alle prese con dei sentimenti impossibili da comprendere, eppure tremendamente semplici. - Cazzo. Mi sa che sono innamorato di lui -.
     
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    Forse Cain aveva ragione, forse sarebbe stato lui a riportarlo a casa. Forse. Non era così ubriaco. I boccali di birra dinanzi a lui la dicevano lunga, ma riusciva ancora a comporre frasi di senso compiuto e capire dove stesse andando, no? Filava tutto liscio come l'olio. Al vedere Cain rubargli il bicchiere e finire l'utimo sorso di birra, l'albino tentò di riprenderlo inutilmente, scongiurando Nelly di dargliene un altro, ma entrambi sembravano irremovibili. Appena sentì il rosso pronuniare la parola "principessa" mentre lo aiutava a scendere dallo sgabello, Abel sollevò lo sguardo d'improvviso, apparendo quasi indignato. « Chi è la principessa? » domandò guardandolo negli occhi, aggrappandosi al braccio del fratello. Si sentiva le gambe di gelatina. « Mi hai rimpiazzato? » aggiunse, ma quest'ultimo intervento venne coperto dal tonfo della porta del pub che si chiudeva, ed Abel respirò l'aria gelida della sera autunnale. Gli fece bene, in qualche modo, e gli sembrò di tornare più stabile sulle sue gambe e più presente, anche se continuava ad avere bisogno del rosso per rimanere in piedi. « Okay Trash, se devi vomitare dimmelo prima di farmi buttare un paio di pantaloni » lo avvisò lui, trascinandolo per le vie poco illuminate di Poulton-Le-Fylde. « Mica vomito, sto bene » ridacchiò Abel, mettendo un piede davanti all'altro con il rischio di inciampare sui suoi stessi passi. Per fortuna il freddo della sera lo faceva rimanere sveglio, risvegliando quel poco di lucidità mentale che gli bastava per rendersi almeno conto di dove stessero andando e cosa stesse dicendo. « Io ti devo portare a casa sano e salvo » ripeté, ancora convinto che fosse Cain quello che necessitava di un aiuto sulla strada verso casa. Non capitava molte volte che fosse il rosso a non esagerare con l'alcool e a tenere d'occhio il fratello, solitamente questo ruolo spettava ad Abel. Lo stomaco non gli dava fastidio, sebbene avesse la testa leggera e la lingua sciolta a causa della birra. Era da un po', a dire il vero, che non si lasciava andare come ai vecchi tempi. I due cominciarono a cantare a squarciagola la loro canzone preferita in mezzo alla via, incuranti degli sguardi di rimprovero degli uomini che la attraversavano. Quand'era l'ultima volta che era entrato in un pub insieme a Cain? Neanche se lo ricordava. Forse l'anno scorso, ma non ci avrebbe scommesso. Da quando Raphael era entrato nella sua vita, i momenti di svago con il fratello erano diminuiti drasticamente, doveva godersi quella settimana di permesso finché poteva.
    « Fermiamoci un attimo, mi gira la testa » Abel annuì, lasciandosi cadere sulla panchina più vicina a peso morto, il fratello vicino a lui. « Ti avevo detto di non bere troppo » lo rimproverò ridendo, guardandosi attorno con un sorriso sornione dipinto sulle labbra. Erano in un parco, la strada coperta dalle foglie cadute dagli alberi ormai spogli e rinsecchiti, ma quando ci erano entrati? Non se ne era nemmeno accorto.
    « Ululare » disse ad un certo punto Abel, ripetendo l'ultima parola che il rosso aveva pronunciato. Prese a ripeterla un po' di volte tra sé e sé, inclinando la testa di tanto in tanto, come se il suono di quell'insieme di lettere non lo convincesse del tutto. « Che parola strana. I lupi ululano. Perché "ululare"? » alzò gli occhi verso la luna, una sfera argentata fissa nel nero del cielo notturno. Cain non gli rispose, ma non ci fece caso, forse ci stava pensando anche lui. In quel momento Abel era concentrato a studiare la forma sferica della luna, il satellite a riflettersi negli occhi grigiastri. Gli piaceva la notte. Era tranquilla, scura e piena di segreti, come il bacio in infermeria. Anche con un po' di alcool nel sangue, l'albino sapeva di non doversi lasciar sfuggire un particolare del genere, anche se la sua parlantina sembrava impossibile da fermare, mentre la lucidità raffiorava pian piano. Sentì il calore della mano di Cain sulla spalla, a contrasto con il gelo del ferro della panchina, ma non si accorse della vicinanza dei loro corpi. « E' vero che sono tuo » la sua voce gli arrivò come un sussurro all'orecchio, ed Abel percepì un brivido lungo la spina dorsale. Era ubriaco, sì, ma pur sempre innamorato, la confusione che lo catturava quando si trovava al fianco di Cain non lo abbandonava in nessuna situazione. « E tu sei mio » Le guance divennero rosse contro la sua volontà, e si irrigidì quando percepì la punta della lingua del rosso tracciare il profilo del suo collo. Possibile che lo avesse detto davvero? L'alcool gli faceva un brutto effetto, ma il bacio che lo colse di sorpresa immediatamente dopo parlava da sé. Non si stava immaginando nulla, non era un'allucinazione dovuta ai litri di birra che aveva bevuto. Non si trattava di un bacio delicato, bensì le labbra di Cain premevano sulle sue, affamate, le dita a farsi strada tra i capelli chiari del ragazzo. Preso in contropiede, Abel schiuse a malapena le labbra, tentando di allontanarsi, ma il rosso non ne volle sapere, riportandolo al suo posto con un semplice strattone. Non seppe poi perché non provò di nuovo a ribellarsi, e lo stato di ebrezza non aiutava di certo. Lo desiderava e basta, c'era poco da fare. Sentiva il cuore battergli forte, insieme allo stomaco pieno zeppo di farfalle e birra, e l'albino non poté far altro che cedere e abbandonarsi a quel contatto. Ricambiò il gesto in modo impacciato, circondando il collo di Cain con le braccia. Non era del tutto sobrio, ma si rendeva conto di quello che stava succedendo e chi stesse baciando. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, che non era giusto nei confronti di Raphael e in quelli di Cain, ma l'Abel ragionevole di tutti i giorni, quella sera, non esisteva. Il suo corpo e il suo istinto desideravano solo il ragazzo che aveva di fronte, quello che avrebbe voluto non chiamare più "fratello". Il contatto si interruppe per pochi secondi, giusto il tempo di riprendere fiato, ed Abel tornò sulla bocca di Cain per un altro bacio. Non voleva che finisse, tuttavia scivolò lentamente sul torace del compagno, fino a quando le labbra dei due giovani si allontanarono definitivamente. L'albino vi poggiò una guancia, le braccia ancora a circondargli il collo in cerca di un sostegno. Il cuore gli batteva forte, come a lui del resto. « Questo vorrei ricordarmelo, domani mattina » ridacchiò, il respiro che si trasformava in condensa per il freddo. Era felice, immensamente felice. Peccato fosse ubriaco, e di quella gioia non avrebbe ricordato nulla il mattino seguente. « Se Grim ci vede così, ci metterà in punizione » esclamò, sghignazzando al ricordo di quando il capo dei Black Dogs li beccava fuori dall'Istituto a notte fonda, entrambi prede di una sbornia. Ci mise qualche secondo a ricollegare il tutto, ricordando di non trovarsi a Lancaster. « Ah no, Grim non c'è » aggiunse, stringendo il busto del fratello tra le sue braccia, continuando a ridere piano. Chiuse gli occhi per un istante, ma la stanchezza lo colpì tutto d'un tratto e inaspettatamente. Li riaprì subito dopo, cercando di porre resistenza. « Quindi posso darti un altro bacio, giusto? » sussurrò, come se stesse parlando con sé stesso, la voce impastata dal sonno. Alzò lo sguardo sul volto di Cain, incontrando l'occhio smeraldino fisso su di lui. No, no, era sbagliato. Una vocina continuava a ripertergli quelle parole. Eppure lui lo voleva, lo voleva davvero. - E' sbagliato - si disse di nuovo, e fece forza sulle braccia per portarsi dritto con il busto, esattamente nella stessa posizione di prima. Ironico come quel pensiero lo colpisse anche quando era poco lucido. Si accasciò sullo schienale della panchina, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio. « Ti gira ancora la testa? » domandò, metà viso affondato nella sciarpa. Poteva percepire ancora una flebile traccia del profumo del fratello su di essa, così come la pressione delle sue labbra. Era un bacio che desiderava da tempo, di cui si sarebbe dimenticato appena avrebbe chiuso gli occhi. « Meno male che ci sono io con te » rise, riferendosi al doverlo accompagnarlo a casa. Era sotto la sua responsabilità, dopotutto. Non voleva tornare, eppure aveva un sonno tremendo, le gambe di gelatine e il cuore che batteva a mille all'ora.

    Cain Asriel Skriker
    Dio lo stava mettendo alla prova, così da capire se fosse pronto per il paradiso o dovesse marcire all'inferno come previsto. Abel era una mina vagante per il suo autocontrollo. Tornò spontaneamente sulle sue labbra dopo pochi secondi, le braccia ad attorniargli il collo alla ricerca di un appiglio, e lui sorrise trionfante, mettendosi d'impegno per fortificare il concetto. Se non fosse stato per il freddo e per il fastidio di una panchina contro la schiena, Cain non ci avrebbe pensato due volte ad immobilizzarlo sotto la sua presa. Il fratello interruppe il contatto dopo, beh, un sacco di tempo o pochi secondi, impossibile capirlo, l'aria trasognata e le gote accaldate.
    « Questo vorrei ricordarmelo, domani mattina » Erano due pessimi bevitori, che quando alzavano il gomito ci davano dentro come vecchi lupi di mare. Capitava spesso che si svegliassero nel giardino dell'Istituto o in infermeria, a seconda di dove i piedi li trascinavano, e non avevano la più pallida idea di cosa fosse successo loro prima di addormentarsi. « Meglio di no. Sarah mi farebbe a pezzettini se lo scoprisse ». Accarezzò i capelli bianchi di Abel con la stessa cura che riservava ai suoi gatti, mentre se ne stava accoccolato contro il suo petto e farneticava cose riguardo all'essere scoperti da Grim. Se li avesse beccati in quel momento d'intimità forse non si sarebbe intromesso, ma la sua mente era così malata che potevano aspettarsi di tutto. L'abbraccio di Abel gli mozzò il respiro, non tanto per la forza con cui strinse, quanto più per le preghiere che fu costretto a recitare per non privarlo di tutti i vestiti all'istante. Soppresse un ringhio e tenne le mani saldamente ancorate alla panchina, convinto di necessitare di una museruola. « Quindi posso darti un altro bacio, giusto? ». Non poteva dirlo con una faccia così innocente, diamine. « A cuccia, fiocco di neve. Potresti pentirtene » rispose, la voce arrochita dal desiderio. Dovevano chiudere la faccenda finché potevano, o la loro uscita si sarebbe trasformata in qualcosa di irreversibile. Abel parve intuire la situazione, lasciandolo libero di respirare normalmente. Era stato il test più difficile della sua vita quello di resistere alla tentazione di esplorare ogni centimetro del corpo dell'albino. « Ti gira ancora la testa? ». « Nah, sto benissimo ». Era vero solo in parte: l'adrenalina circolava a pieno ritmo nelle vene, i canini erano cresciuti fino a sfiorargli il labbro inferiore, e il cervello mandava di continuo stimoli difficili da ignorare. Grazie al cielo il suo istinto protettivo prese il sopravvento, specie quando vide il fratello sbadigliare. Tenerlo al freddo non era una buona idea dopo la bevuta che si era fatto, e quella piccola vacanza serviva soprattutto per dargli un po' di tregua dallo stress che la vita da Black Dog comportava. « Su, è ora della nanna » gli disse, alzandosi prima di lui e tendendogli la mano in aiuto. Peccato che Cain fosse una persona imprevedibile, e molto, molto frustrata. Appena Abel gli porse la mano, lui lo attirò a sè con uno strattone, approfittando dell'instabilità data dalla birra e dal sonno. Lo circondò in un abbraccio degno di un pitone, fino a sollevarlo da terra di qualche centimetro mentre affondava il viso nell'incavo della spalla. Stava sorridendo come un cretino, e non riusciva a smettere di cercare il calore corporeo dell'altro. La scena ricordava vagamente una cosa alla "Cenerentola": il rosso aveva tempo fino a mezzanotte per riempirlo di attenzioni, poi si sarebbe svegliato e puf, fine della magia. Costrinse Abel ad alzare il mento, gli occhi di lui a mezz'asta per la stanchezza, e scese sulle sue labbra per un bacio più contenuto rispetto ai precedenti, lento e affettuoso. Avrebbe pagato vagonate d'oro per poterlo fare ogni giorno. Allentò la stretta della sciarpa attorno al collo candido del ragazzo, posando una scia di piccoli morsi fino alla spalla, dove scostò l'orlo della giacca per farsi spazio. Era più forte di lui, non poteva lasciarlo andare senza un segno del suo passaggio addosso. L'avrebbe spacciato per una puntura d'insetto, nel caso al fratello fossero venuti dei dubbi. Ritirò i canini ed impresse sulla pelle un segno simile ad una piccola scottatura, mentre teneva Abel immobile tra le braccia. Poteva nasconderlo sotto i vestiti, ma il Black Dog sapeva che era lì, un ricordo della sera in cui non erano stati fratelli, ma semplici ragazzi senza inibizioni. « Quello che abbiamo fatto » disse in un sussurro, « lo rifarei anche da sobrio ». Cain ricoprì in fretta il segno come nulla fosse accaduto, facendo passare un braccio attorno alle spalle dell'albino per guidarlo verso casa. Era così euforico da non sentire nemmeno il freddo della notte. Restava il fatto che tra loro le cose si stessero complicando, con un legame forte a cui dovevano dare un nuovo nome. L'Omega non era mai stato innamorato, ma nei confronti dell'altro provava un'attrazione inspiegabile, una voglia di renderlo felice e proteggerlo da ogni male, e nel suo linguaggio quello significava amore. Se fosse rimasto nella cerchia dei familiari gli si sarebbe spezzato il cuore, poco ma sicuro.
    - Dovrei dirgli quello che è successo? - rifletté, osservando Abel incespicare in qualche solco nel terreno di tanto in tanto. No, l'avrebbe presa malissimo. A mente lucida si sarebbe vergognato del suo comportamento e l'avrebbe evitato per i giorni a seguire, quindi era fuori discussione. Dall'altro lato, però, la pazienza di Cain si stava esaurendo, e non poteva farlo ubriacare ogni sera per rubargli un bacio. L'interrogativo non si risolse nemmeno quando arrivarono a casa, e il rosso fu costretto a portare in braccio il compagno lungo le due rampe di scale per evitare che cadesse e facesse troppo baccano. Crollava letteralmente dal sonno, bastò farlo sedere sul bordo del letto perché ci si sdraiasse di botto. « Ti è presa la sbornia soporifera? » scherzò lui, finché armeggiava con i bottoni della giacca per aiutarlo a spogliarsi. Aveva ripetuto quell'operazione per anni, persino quando erano bambini, perché gli riusciva così difficile ora? Andò per gradi: giacca, sciarpa, scarpe, tutto normale. I vestiti che Abel usava come pigiama erano ancora nella sacca da viaggio, li prese con studiata lentezza nel tentativo di temporeggiare. Si sentiva come un maniaco che aveva avvelenato e rapito la sua vittima. - Okay, è facile. Niente che tu non abbia già visto - si disse, sbottonando i pantaloni dell'ignaro fratello. - ... Ma forse prima dovrei togliere la maglietta -. Da un punto di vista esterno, Cain sembrava il più impacciato dei pervertiti. Sudava freddo, il cuore che martellava incessante nel petto, l'animale che era in lui pronto a balzare fuori. Sollevò l'orlo della maglia fino al torace, rivelando la ferita allo stomaco e la pelle bianchissima che tanto gli faceva gola. « Abel, collabora anche tu ». Voleva essere un rimprovero, e invece gli uscì come una preghiera. Era arrivato al limite. Vedendo che ormai l'altro dormiva nella grossa, lo ricoprì e gli gettò sopra una coperta, poi radunò i suoi bagagli e scese al piano di sotto. Per quella notte il divano sarebbe stato un'ottimo espediente. Qualsiasi cosa pur di non dar retta ai bisogni impellenti che lo divoravano. Prima di provare ad addormentarsi, il rosso prese il cellulare e scrisse un messaggio che riassumeva alla perfezione tutta la serata, un po' per togliersi un peso, un po' per trovare una spalla su cui piangere.

    - Ciao Dianne. Ho fatto una cazzata -.
    - Solo una? Che novità! -.
    - Ho baciato Abel -.
    - ... sei ubriaco? -.
    - Io non tanto, ma lui sì -.
    - Per il tuo bene, Cain Asriel Skriker,
    farò finta di non aver letto questi messaggi -.
    - Sarebbe più giusto dire che abbiamo limonato su una panchina. Non è stato un bacio solo -.
    - Dì le tue ultime preghiere, cane pulcioso.
    Vengo a prenderti -.

    Abel Cyril Gytrash
    Cain sembrava star bene, e meno male, perché Abel aveva un sonno terribile e lo stomaco sottosopra: se fosse a causa dell'alcool o dei baci appena ricevuti non lo sapeva con certezza, restava il fatto che si sarebbe addormentato volentieri disteso sulla panchina se solo Cain non lo avesse incoraggiato ad alzarsi per andare a casa. Tornare indietro, effettivamente, non suonava affatto male come proposta, e già immaginava la morbidezza e il calore delle coperte a contatto con il suo corpo. D'altra parte, avrebbe preferito di gran lunga passare altro tempo con il rosso, senza parenti e Black Dogs alle calcagna. Per questo, quando il compagno gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi esitò. Ci stava con la testa - beh, all'incirca -, sapeva dove lo avrebbe portato. E non voleva. « Uffa » brontolò, proprio come un bambino capriccioso. Facendo un confronto tra il dignitoso e scostante Abel Gytrash di tutti i giorni e quello sornione e chiacchierone che ne prendeva il posto quando ingoiava qualche litro di birra di troppo, la cosa faceva quasi ridere. Nonostante tutto, l'albino accettò l'aiuto offertogli dal fratello, facendo leva sul braccio di questo per rialzarsi. Ormai le sue gambe erano fuori uso, era un miracolo che si stesse tenendo ancora in piedi. Contro ogni sua previsione, il rosso lo accolse in un forte abbraccio, il suo rassicurante tepore a circondarlo interamente. Ci mise qualche attimo a ricambiare il gesto, stordito com'era, e una volta incrociate le braccia dietro la schiena del ragazzo, sul suo volto si disegnò un largo sorriso. Da quanto non gli capitava di essere così felice? Una vita. Eccola la sua casa, non villa Gytrash o l'Istituto. Potevano restare anche lì, così, che male c'era? Gli scappò una risatina flebile, poco prima che Cain posasse le labbra sulle sue. Stavolta non trattenne il respiro, bensì ringraziò il cielo che il rosso lo avesse baciato di nuovo. Era un contatto nuovo, non aveva niente a che fare con i baci roventi di poco prima o quello breve e impacciato in infermeria. Il cuore cominciò a battergli più forte senza che potesse farci nulla, le labbra a cercare quelle del compagno come se non avesse alcuna intenzione di lasciarlo andare. Alla fine dovette farlo, seppur a malincuore, e un soffio di aria fredda si insinuò sotto la sua sciarpa in contemporanea al tocco caldo di Cain che percorse il profilo del suo collo. Quel gesto lo inebriò completamente e chiuse gli occhi d'istinto, perdendosi in quella piccola tortura. In alcuni punti gli venne da ridere, dato che soffriva il solletico come poche altre cose al mondo, ma il morso successivo reinstaurava il clima di intimità che si era creato tra i due appena usciti dal pub. Era il paradiso, decisamente, nonostante a quelli come lui posseduti dallo spirito del Black Dog fosse stato promesso l'inferno. L'albino si morse involontariamente il labbro inferiore a sentire l'Omega scendere lungo la spalla e restarvi per qualche secondo di troppo, e una volta interrotto il contatto, più profondo dei precedenti, catturò un baluginio della pelle arrossata prima che il compagno potesse coprirla di nuovo. « Quello che abbiamo fatto lo rifarei anche da sobrio » Le guance si colorarono, ancora, dello stesso rosso dei capelli di Cain, e si lasciò sfuggire l'ennesima risatina della serata. Forse aveva rovinato il momento, ma il compagno non sembrò farci caso, circondandogli le spalle con un braccio e guidandolo sulla via del ritorno. Tra il sonno, l'alcool che gli circolava nelle vene e la felicità che lo pervadeva, Abel non faceva altro che sbadigliare e inciampare sui suoi stessi piedi durante il tragitto, ma Cain non lo rimproverò neppure una volta, anzi, sembrava essere preda di chissà quali pensieri. Era sicuro che fosse felice quanto lui, dato il sorriso che aveva stampato in volto, a tratti intervallato da un'espressione più concentrata. Il viso di Raphael gli apparve in un istante di fronte agli occhi, ma lo scacciò in un battibaleno. Non c'era posto per il rimpianto o la vergogna, anzi, in quel momento gli sembrò di aver fatto la cosa più giusta del mondo. L'affetto con cui lo stringeva, le rapide occhiate che gli dedicava, la pressione e il sapore delle sue labbra, tutto ciò non poteva essere sbagliato. A seguire l'istinto, una volta ogni tanto, ci aveva guadagnato.
    Non gli sembrava facesse nemmeno tanto freddo, ma una volta in casa il cambio di temperatura si fece sentire. La stanchezza si abbatté su di lui in un colpo solo, non dovendo più concentrarsi per restare in piedi e non cadere a faccia a terra. Sbadigliò per l'ennesima volta, mentre il fratello lo prendeva in braccio per portarlo al piano superiore. Appena lo adagiò sul materasso, Abel vi si buttò a peso morto con un sorrisetto soddisfatto, anche se doveva fare uno sforzo immane per tenere gli occhi aperti. « Ti è presa la sbornia soporifera? » udì la voce di Cain poco distante da lui, ma ormai gli sembrava di stare in un altro mondo. « A quanto pare » mugulò, riuscendo ad articolare solo quella breve risposta. Udì Cain armeggiare con i bottoni della sua giacca e imprecazioni a bassa voce. Aveva un sonno tremendo, ma i rumori sommessi tutt'attorno lo tennero sveglio. « Abel, collabora anche tu » al sentir pronunciare il suo nome, l'albino venne strappato dallo stato di dormiveglia dove si era rifugiato, per poi tornarci immediatamente dopo. Troppo tardi, Cain sembrava essere uscito dalla stanza, perché il silenzio che lo circondava lo incoraggiò a precipitare in un sonno profondo.

    • • •

    Aprì un occhio, poi un altro, e subito li corpì con il palmo della mano. Sua madre aveva dovuto lasciare le persiane aperte la sera prima, perché un flebile raggio di luce lo colpiva in pieno viso. Strano per essere novembre. Infatti, scomparì all'improvviso, esattamente com'era apparso, la luce smorzata da dense nubi grigie. Abel chiuse gli occhi di nuovo e si rigirò nel letto, sforzandosi di prendere sonno di nuovo. Non ce la fece, quindi si decise a rimanere sveglio. Non aveva alcun cuscino sotto la testa, ed era disteso orizzontalmente sul materasso, occupando l'intero letto a due piazze. Sembrava che Cain non avesse dormito con lui quella notte, e lo trovò un fatto piuttosto curioso. Non si lasciava mai sfuggire l'occasione di poter condividere il letto con il fratello. Si tirò su con il busto, rimanendo seduto sul bordo del letto, e rimase sorpreso nel vedere che avesse adosso i vestiti del giorno precedente, il pigiama a terra vicino al letto. Gli venne spontaneo aggrottare lievemente le sopracciglia. Cosa era successo la sera prima? Ah, giusto, la bevuta al pub. A quanto pare nessuno dei due si era dato una regolata, come al solito. Era evidente di come avesse preso una pausa forzata dall'alcool, perché un leggero senso di nausea gli attenagliò lo stomaco. Farsi fuori qualche boccale di birra nel periodo di convalescenza non era stata una delle trovate più geniali della sua vita. Non aveva voglia neanche di fare colazione con i suoi soliti sette biscotti porta fortuna. Controllò l'ora sullo schermo del cellulare, e questo segnava le sette passate, oltre alla notifica di un nuovo messaggio. Lo aprì senza pensarci, e notò che il mittente era Raphael. Il messaggio era un semplice "Buonanotte", ma stette qualche secondo ad osservarlo per poi chiudere la schermata. Lo aveva inviato alle dieci di sera e qualche minuto, proprio mentre si trovava al pub. Altro che buonanotte. Sbuffò, di cattivo umore già di primo mattino, e si alzò definitivamente dal letto alla ricerca di qualcosa da mettersi. Fu allora che, passando davanti allo specchio a figura intera vicino alla porta, notò una strana macchia sulla spalla, poco prima di infilarsi il maglione. L'albino la esaminò con occhio critico, avvicinandosi allo specchio in un secondo momento. Cosa diavolo era quello? Una ferita, forse. O una reazione allergica. Non gli faceva male, ma era sicuro di non avercelo fino al giorno prima. L'unica cicatrice ben evidente era quella sullo stomaco, ma nient'altro, altrimenti se ne sarebbe accorto. Era successo qualcosa quella notte? Abel sbuffò sonoramente, mettendosi un maglione grigio e over-size, in pendant con il suo umore. Pescò dal borsone i primi pantaloni che trovò per poi infilarseli in tutta fretta, i calzini già ai piedi mentre scendeva con fare grave le scale. Forse avrebbe dovuto fare qualche domanda a Cain, sperando che almeno lui si ricordasse qualcosa della notte precedente. Nel vedere i vestiti sul divano, dedusse che il fratello avesse dormito in salotto. Un vociare concitato all'ingresso attirò la sua attenzione, ma Noah gli tagliò la strada correndo. « Attento a dove metti i piedi, poppante » gli disse acido, ma il fratellino parve non sentirlo, sparendo dietro la porta della cucina. « Che bella giornata, eh Abel? » Hannah comparve dietro di lui, rifilandogli un'amichevole pacca sulla spalla. Si sedette sul divano per allacciarsi le scarpe, blu scuro come la giacca. La sua divisa giocava sui toni del blu e del grigio, ed Hannah si era sempre lamentata di quanto fosse brutta e antiquata. Glielo ricordò anche quella mattina mentre si sistemava la gonna sopra il ginocchio, anche se andava contro il regolamento indossarla in quel modo. Quella di Noah era ancora più oscena, data la cravatta rossa e la giacca verde che era costretto a mettere.Chiunque con un minimo di buon gusto avrebbe impedito l'esistenza di quelle divise. Appena i fratelli scomparvero su per le scale, intenzionati a recuperare le ultime cose prima di uscire di casa, Abel si diresse a grandi passi verso l'ingresso, da cui provenivano ancora delle voci che gli erano familiari. La figura robusta di Cain svettava su un'altra più minuta e che, a dirla tutta, pareva fosse una donna. Che si trattasse di sua madre? Ne dubitava, ma si avvicinò cercando di fare meno rumore possibile. Fu tutto inutile, dato che beccò proprio un listello di parquet fuori posto, producendo un fastidioso rumore, per quanto sommesso. Entrambi si girarono verso di lui, e nel vedere il viso di Cain il cuore perse un battito - come sempre del resto, ma ormai era un maestro a nasconderlo. Fu sorpreso invece nell'incontrare gli occhi ametista di Dianne, sul cui viso si disegnò un gioioso sorriso. « Dianne? » disse tra sé e sé, alquanto confuso. Perché si trovava a casa sua? « Abel! » non fece in tempo a fare nulla che la ragazza gli gettò le braccia al collo con enorme sopresa dell'albino. Ancora non si era spiegato la sua presenza nello Wyre. Ricambiò la stretta velocemente, senza troppa enfasi, ansioso di parlarle a tu per tu. « E' successo qualcosa a Lancaster? » beh, indubbiamente il suo era proprio un caloroso benvenuto. Per fortuna Dianne ci era abituata, tutti quelli che lo circondavano erano avvezzi alle sue rarissime dimostrazioni d'affetto. « Si tratta solo di una veloce visita di piacere. Ti dispiace così tanto vedermi? » la ragazza rise, ed Abel scosse la testa.
    « Affatto. Mi sembra strano che ti manchiamo già, siamo partiti solo ieri » osservò l'Omega con tono piatto, ma a parte la sorpresa iniziale non gli dispiaceva averla lì con loro. La sua era una presenza rassicurante. Incrociò lo sguardo del rosso su di loro, ed Abel lo sostenne senza problemi. O quasi, dato che percepì un brivido corrergli lungo la schiena. Chissà per quanto ancora sarebbe riuscito a fingere di non provare nulla per il fratello senza dare di matto. Era meglio rimanere da soli per parlare della scorsa notte, a sapere come l'avevano passata Dianne avrebbe potuto seriamente riportarli all'Istituto e chiedere a Grim di non concedergli un solo giorno di pausa.
    « Siamo pronti! Andiamo? » i passi veloci di Noah risuonarono in corridoio, e in men che non si dica fu ai piedi di Cain, lo sguardo adorante che viaggiava dal viso del rosso a quello del fratello maggiore. Pochi istanti dopo fu la volta di Hannah, che salutò Dianne con un sorriso raggiante, presentando sé stessa e il fratello. Abel non ci stava capendo niente. Prima la macchia, poi Dianne, ora i fratelli cosa volevano? Hannah notò lo sguardo perso dell'Omega. « Dovevate accompagnarci a scuola » gli rinfrescò la memoria, ed Abel alzò subito gli occhi al cielo. Era una mattinata fin troppo movimentata per i suoi gusti. Forse avrebbe fatto meglio a rimanersene a letto.

    Cain Asriel Skriker
    La voce di Hannah fu la prima cosa che sentì, seguita dal fischio del bollitore per il té ed il profumo di uova e pancetta. Aprì l'occhio scoperto per focalizzare il viso radioso della ragazzina, fintanto che i pezzi della sera precedente si incastravano per completare il puzzle.
    « Cosa fai sul divano? » gli chiese. Lui scrollò le spalle come a dire "non è niente", ed un concerto di ossa scricchiolanti gli ricordarono che dormire in spazi angusti non era il massimo per una persona alta un metro e ottantasette.
    « Che ore sono? ». Hannah mostrò l'orologio da polso che segnava un quarto alle sette, e il rosso mugugnò per il disappunto, tirandosi la coperta fin sopra al naso.
    « Non voglio andare a scuola ». La piccola Gytrash ridacchiò, scompigliando la massa aggrovigliata di capelli color sangue. « E dai, devi solo accompagnarci. L'avevi promesso ». Si, ora tutto tornava al suo posto. Le scuole dei due fratellini distavano venti minuti a piedi, uno sforzo fattibile, ma la nausea che lo colse appena buttò giù i piedi dal divano gli impedì di prendere la cosa con filosofia. Voleva solo poltrire a letto per tutto il giorno, senza pensare a niente. « Faccio una doccia al volo e ci sono » bofonchiò, sbadigliando tipo leone della savana. L'intontimento lo accompagnò fin sotto il getto di acqua bollente, dove rischiò di addormentarsi per ben due volte. I ricordi dell'uscita al pub riaffioravano man mano, insieme ai baci scambiati con Abel e quel suo adorabile visetto innocente ed ubriaco. Beh, aveva esaurito le possibilità di lasciarsi andare, con lui. Da sobrio doveva mantenere le distanze e comportarsi da fratello responsabile. - Oppure potrei dirgli la verità, chiedere la sua mano e portarlo al mio castello incantato. E vissero per sempre felici e contenti -. Era consapevole di quali fossero i suoi sentimenti, e Abel... beh, non pareva esattamente contrariato al loro scambio di effusioni, però il fatto che avesse bevuto più birra di un vecchio marinaio la diceva lunga. Uscì dal bagno con un cardigan nero a coprire la t-shirt su cui troneggiava la scritta "beware of the wolf", i capelli ancora umidi e la bocca sporca di dentifricio. Ci pensò Hannah a ripulirla, passandogli poi un piatto di solo bacon. « Così imparate a fare tardi » lo rimproverò, ridendo poi della sua faccia offesa. Per fortuna Sarah non sembrava preoccupata. Anni prima lui e il fratello rincasavano all'alba e collassavano sui gradini d'ingresso, quindi poteva dirsi un sollievo vederli ancora interi e svegli prima di mezzogiorno. In un attimo di lucidità, mentre la televisione mandava in onda il meteo, Cain avvertì dei passi all'esterno della casa. Passi leggeri e svelti, un piccolo tacco a battere sui ciottoli. Si alzò qualche secondo prima che il campanello suonasse, per sorpresa dei Gytrash riuniti a tavola, e annusò l'aria alla ricerca di una traccia olfattiva conosciuta. Diamine, la conosceva eccome. Aprì piano la porta, incontrando lo sguardo iracondo di Dianne, e fece subito per richiuderla. Peccato che la ragazza vi infilò uno stivale in mezzo, agguantandolo per il colletto della maglia e trascinandolo sul pianerottolo. « Buongiorno, signor maniaco. Hai già scritto il testamento? ». Il Black Dog iniziò a sudare freddo. « Ascolta, parliamone. E' meno grave di quel che sembra. Non gli ho neanche tolto i vestiti, stavamo solo... ».
    « Risparmiami i dettagli ». Grazie a Dio la medium non possedeva la forza di uno del branco, o se la sarebbe vista brutta. Doveva tenere a mente, comunque, che era riuscita a mettere in riga Grim, e questo faceva di lei una creatura ugualmente spaventosa. Uno scricchiolio fece voltare entrambi, rivelando la figura di Abel sull'uscio. Era confuso, ovviamente, e Dianne non aiutò correndo ad abbracciarlo senza preavviso. Smarrimento a parte, l'albino pareva solo stanco morto, per fortuna. Cain fu grato del fatto che il maglione del fratello coprisse il piccolo segno che gli aveva lasciato, almeno aveva qualche speranza di sopravvivere all'ira di Dianne. La suddetta visita di piacere altro non era che un modo per tenere d'occhio il suo adorato Abel, quando in realtà non vi era nulla di cui preoccuparsi. L'arrivo dei ragazzini alleggerì l'atmosfera, che precipitò non appena la medium dichiarò di volersi unire alla combriccola verso la via di scuola. Oltre al danno, la beffa. E poi stava sempre appiccicata all'albino, non era ancora riuscito a dargli il buongiorno. Camminò dietro al gruppetto allegro, con in fratelli in testa che sommergevano Dianne di domande e tiravano Abel per il braccio. Era sempre stato così irresistibile ai suoi occhi? No, non negli ultimi anni. Quando erano ragazzini, Cain pensava che lui fosse attraente nel modo in cui ti attrae un cerbiatto spaventato. Voleva proteggerlo da ogni male, strappargli qualche sorriso, coccolarlo, spronarlo a fare del suo meglio, ma niente smancerie romantiche. Era scattato qualcosa nella sua testa al suo fidanzamento con Raphael, poteva giurarci. Il fatto che suo fratello appartenesse ad un altro era inammissibile, però... perchè? Intercettò lo sguardo di Abel e ci mise un po' troppo tempo a sorridergli, lo fece quasi controvoglia. Vide che lasciava Dianne alle attenzioni dei bambini, rallentando il passo per mettersi in pari con lui.
    « Sei contento che sia venuta a trovarci? » chiese di getto, fissandosi sulle labbra sottili che aveva tormentato la notte prima. « Comunque, beh, complimenti. Al bar hai dato un bello spettacolo ». Certo, anche Cain aveva fatto la sua parte. Pregò di non farsi sfuggire dettagli sospetti per tutto il giorno, o Dianne l'avrebbe rispedito indietro e addio vacanze.

    Abel Cyril Gytrash
    L'albino strinse intorno al collo la sciarpa che il fratello gli aveva lasciato il giorno prima, le mani ficcate in profondità nelle tasche del cappotto e Noah a penzoloni sul suo braccio. Né lui né le altre due ragazze sembravano volergli dare tregua, e a quanto pare i suoi eloquenti sguardi assassini non avevano funzionato. Sentiva di essersi alzato col piede sbagliato, quel giorno. Il semplice "Buonanotte" che Raphael gli aveva inviato il giorno prima non gli era ancora andato giù - per quale motivo ancora non si sapeva, ma bastava poco per metterlo di cattivo umore -, Noah e Hannah non la finivano di urlargli nelle orecchie, in casa erano finiti i biscotti - e quindi niente colazione porta fortuna - e, come se non bastasse, Cain non gli aveva ancora rivolto la parola. Oh, e aveva pestato pure la merda di un cane, grandioso. La presenza di Dianne non bastava a far scomparire la luna storta, seppur averla lì fosse di gran consolazione. « Spero che oggi a mensa servino qualcosa di commestibile » il fratellino continuava a parlare a ruota libera, convinto che qualcuno lo ascoltasse. Probabilmente le ragazze lo stavano facendo, mentre l'attenzione di Abel vacillava, preso com'era a sopprimere la nausea e il mal di testa che lo tormentavano da quando aveva aperto gli occhi. « L'ultima volta c'era una sbobba terribile » « Si vociferava che l'avessero preparata con la verdura scaduta di tre mesi » Noah enfatizzò il tutto facendo una smorfia che parlava da sé, mentre Hannah e Dianne lo seguivano a ruota con una fragorosa risata. La compagna di Grim sembrava a suo agio, come se avesse sempre fatto parte della famiglia. Sarebbe potuta essere una bella immagine, se non fosse stato per i conati di vomito che gli tenevano la mente occupata. « Non pensavo ci fossero donne, nell'Ordine. Insomma, è risaputo che il Black Dog si reincarna solamente in corpi maschili » aspetta, fino ad un attimo prima stavano parlando del pranzo. Aveva perso il filo del discorso. O meglio, non aveva mai cominciato neppure a seguirlo, limitandosi a farsi strattonare da una parte all'altra. « Ci vorrà pur qualcuno a tenere a bada 'sti cagnacci » rise la moretta, il braccio della sorella sotto il suo. Pareva fossero amiche da una vita, tutte sorrisi e carezze, mentre Noah non faceva altro che strattonargli la manica e rendere incerto ogni suo passo. « Va' avanti con loro, nanetto » fece il maggiore, alzando il braccio per sfuggire alla presa del fratello. « La prossima volta ti lascio a letto, sei una palla » si lamentò l'altro, ma i pensieri di Abel ormai si focalizzavano solamente sul ragazzo alle sue spalle. A causa del passo svelto del quartetto lo avevano lasciato indietro, ma gli bastava un colpo d'occhio per capire che non era giornata. Lo conosceva bene, e Cain non pimpante e invadente di prima mattina non era il solito Cain. Incrociò il suo sguardo stranamente assente, le labbra tese in un sorriso quasi forzato. Vederlo in quello stato era terribilmente anormale, e quasi straziante, a dirla tutta. Già gli mancavano le sue risate rumorose alle otto di mattina. « Sei contento che sia venuta a trovarci? » domandò il rosso appena Abel lo affiancò, la figura di Dianne a trionfare tra quelle più basse dei fratelli Gytrash. L'albino fece spallucce, osservando come gli abiti scuri che indossava la donna facessero contrasto con la nebbia e il paesaggio uniformemente grigiastro. « Diciamo di sì » rispose alla fine, le mani gelide ficcate nelle profondità delle tasche, « anche se ho paura che Grim voglia tenerci sotto controllo » sospettava che il capo dei Black Dogs potesse aver spedito la sua dolce metà nello Wyre giusto per dare un'occhiata ai due Omega, affinché non combinassero qualche disastro o non dormissero sugli allori. O forse era lui che se ne stava sempre sull'attenti ed era fin troppo sospettoso, ma non riusciva ad accantonare quel pensiero. D'altra parte, sapeva che Dianne teneva davvero a lui, dunque si poteva realmente trattare di una semplice visita. La verità era che non lo sapeva, non sapeva cosa pensare, e quella stramaledetta nausea non gli permetteva di pensare lucidamente come al solito. Avrebbe solo voluto dormire ancora per ore, fino al mattino del giorno seguente. « Comunque, beh, complimenti. Al bar hai dato un bello spettacolo » al sentire quelle parole, Abel inarcò un sopracciglio, spostando lo sguardo da Dianne al ragazzo di fianco a lui. La mancanza di alcool nel sangue per troppo tempo gli aveva fatto perdere la testa per sua sciagura, e non poteva giustificarsi in alcun modo. « Sono sicuro che ero in buona compagnia » disse di rimando, ma lo sguardo di Cain non gli fece intuire nulla di buono. « Non ero in buona compagnia? » sospirò, anche se più che una domanda suonava come un'affermazione vera e propria. Voleva dire che solamente lui era ubriaco la sera prima, fantastico. Succedeva di rado, ma quando succedeva non era mai nulla di buono. « Se ho fatto qualche cazzata, non voglio sapere nulla » ma cosa lo precisava a fare, era ovvio che avesse combinato qualcosa. Non voleva ascoltare tutta la storia, ad essere sincero. Non credeva che Cain fosse del tutto sobrio, ma abbastanza da assecondare le stronzate che l'albino era in vena di fare in preda ad una sbronza colossale. Nascose metà viso nell'enorme sciarpa che il fratello gli aveva prestato, guardandolo con la coda dell'occhio attento a non farsi vedere. C'era da dire che era bello anche con l'umore sotto i piedi e i ciuffi ribelli sfuggiti al pettine all'altezza della nuca. « "Attenti al lupo" » lesse la scritta sulla maglietta dell'altro con un sorriso a fior di labbra ben nascosto. Quel genere di t-shirt lo faceva sempre ridere, e guarda caso erano le preferite di Cain. « Non fai troppa paura, così. Che ti è successo? » fece poi, con un tono disinteressato a mascherare la sua preoccupazione. Non che potesse essere di gran sostegno morale o che i suoi consigli fossero magistrali, anzi, tutt'altro, ma sfogarsi gli avrebbe fatto bene. Odiava vederlo in quello stato. Gli sembrava di rivedere sé stesso,e non era un buon segno, per quanto Abel fosse a tutt'altro livello di inespressività e scontrosità. Era Cain quello che faceva comparire il sole anche nelle giornate grigie, e avrebbe tanto voluto essergli di qualche sostegno, non solo un'ulteriore responsabilità da coricarsi sulle spalle.
    La loro conversazione non durò a lungo, perché l'edificio scolastico si rivelò più vicino di quanto pensasse. I due raggiunsero l'allegro trio, le ragazze impegnatissime a parlottare tra loro e Noah con un'espressione sofferente dipinta in viso. Era evidente come non volesse varcare il cancello della scuola, e nella sua smorfia addolorata rivide per un secondo il viso di Gabriel. Faceva la stessa, identica faccia quando veniva a sapere che bisognava mangiare le carote ad un pasto, o che il campetto da calcio vicino la scuola era già stato occupato da qualche ragazzo più grande, e di conseguenza non poteva andare a giocarci per tutto il pomeriggio. Erano anni che aveva lasciato quel mondo, eppure lo sentiva ancora tra loro quando studiava i movimenti e le abitudini dei fratelli minori. Si destò dai suoi pensieri quando Hannah lo urtò per salutare Cain prima di andarsene e trascinare un riluttante Noah con sé, verso l'oblio. Prima che potesse farlo, tuttavia, un gruppetto di ragazze - quattro, forse, o cinque? Le divise tutte uguali lo confondevano - la fermarono prima che potesse entrare, indicando con cenni del capo il ragazzo che la moretta aveva appena salutato. Abel sospirò, indietreggiando di qualche passo per appoggiarsi al muretto. Doveva aspettarselo, Cain attirava sempre l'attenzione, in qualsiasi situazione riusciva a spiccare sugli altri per la sua personalità o per il suo aspetto. Tutte le volte che accompagnavano Hannah e Noah e scuola dovevano fermarsi sempre dieci minuti dopo la campanella per tenere a bada le gallinelle che lo placcavano nella speranza di ottenere il suo numero di telefono. Se la cosa lo disturbava? Ovviamente, e non per la perdita di tempo. O almeno, non solo quello. Vederlo attorniato da scolarette con gli occhi al cuore gli mandava il sangue alla testa, a dire il vero, e non poteva neppure rivendicare la sua proprietà. Perché non ce l'aveva, e Cain era sempre contento quando era circondato da donne. Assistere a scenette del genere era peggio della sveglia la mattina presto, della mancanza di fornitura di biscotti e della nausea, perché avrebbe voluto urlare al mondo che non gli piaceva che appartenesse ad altri, ma non poteva fare nulla. Abel doveva continuare a fingere di essere interessato a qualcun'altro, e d'altra parte il rosso era libero come l'aria. Ma era abituato ad imbottigliare i sentimenti e le emozioni, non cambiava nulla. Dianne sembrò studiare le amiche di Hannah una ad una, mentre si avvicinava all'albino a passo lento, le braccia incrociate al petto. « Sembri di pessimo umore » commentò lei, affiancandolo con un sorrisetto ironico. Dianne era una delle poche persone a potergli sorridere in quel modo senza che gli desse alcun fastidio. « Forse hai dimenticato che sono sempre di cattivo umore » se avesse chiesto spiegazioni, lui si sarebbe giustificato con un banalissimo "ho sonno", e via i problemi. La gelosia se la sarebbe tenuta per sé, come tutto ciò che provava per quel testone di suo fratello, del resto.

    Cain Asriel Skriker
    Abel e Dianne erano come fratelli mancati, ovvio che fosse felice di averla lì con loro. Tuttavia, i Black Dogs condividevano gli stessi sospetti. La sua visita era stata improvvisa, e non in risposta ai messaggi di Cain. C'era qualcos'altro, un motivo che la donna stava omettendo di proposito per non rovinare l'atmosfera rilassata di quel mattino. Il discorso verté in fretta sui precedenti al bar, e il rosso trovò difficile nascondere la realtà dei fatti all'altro. Moriva dalla voglia di dirgli cos'avevano fatto, quanto gli era piaciuto, quanto avrebbe voluto rifarlo.
    « Non ero in buona compagnia? » chiese Abel, dopo il muto e sospetto silenzio di lui. « Beh, sì... cioè, no. Volevo essere un po' responsabile ». Responsabile di essergli letteralmente saltato addosso mentre era molto, molto ubriaco. Chi voleva prendere in giro? Per fortuna il fratello non volle sapere i dettagli, evitare l'argomento sembrava impossibile. Si concentrò sul suono rassicurante dei loro passi, in perfetta sintonia, e guardò un punto fisso davanti a sé senza vederlo sul serio. A volte credeva che fosse stato il destino ad accoppiarli, perchè diamine, si capivano al primo sguardo, bilanciavano punti di forza e debolezza, dove peccava uno eccelleva l'altro. Non poteva rinunciare ad una parte fondamentale della sua vita. « Non fai troppa paura, così. Che ti è successo? ». Appunto. All'albino non sfuggiva nulla. Affondato nella sua sciarpa, con l'aria smarrita di chi si era svegliato in un luogo sconosciuto, faceva una gran tenerezza. Cain distese le labbra in un sorriso più sincero del precedente, allungando una mano per arruffargli i capelli. E dire che quelle stesse dita si erano intrecciate alle ciocche argentee con foga, la sera prima, fino a posarsi sul collo e... « E' che ho dormito poco. Il divano era scomodo ». Bella mossa. Ora doveva giustificare anche perchè fosse rimasto lì a dormire, anzichè approfittare del letto gigante al piano di sopra, avvinghiato ad Abel com'era solito fare. « Sai che quando bevo mi metto a parlare nel sonno. Non volevo svegliarti » concluse, riportando le mani in tasca appena la scuola di Hannah e Noah fu visibile all'orizzonte. C'era un bel clima frizzante, nonostante la cittadina fosse piccola e poco abitata, eppure Noah non sembrava entusiasta come la sorellina all'idea di varcare i cancelli. Il rosso gli diede una pacca d'incoraggiamento alla schiena, spingendolo verso Hannah ed un gruppetto schiamazzante di giovani studentesse. Non si ricordava il nome di nessuna, ma accompagnava i Gytrash a scuola da anni, quindi loro dovevano ricordarsi di lui. Venne sommerso in breve tempo da una valanga di domande e strattoni, mentre Hannah lo guardava come se fosse il peggior traditore del mondo e Abel se ne stava alla larga per sua buona pace.
    « Adoro la tua maglietta » cinguettò qualcuna, e Cain distribuiva sorrisi indistintamente, un po' frastornato. Quando decise che lo spettacolo era durato abbastanza, prese la sorella e l'attirò in un abbraccio - un coro di disapprovazione in sottofondo - per poi darsela a gambe tra mille scuse. Trovò i due compagni intenti a parlottare fitto, si zittirono entrambi appena lo videro arrivare.
    « Hai finito di corteggiare fanciulle innocenti? » lo appuntò, e l'altro fece spallucce, troppo avvezzo a quel genere di commenti per sentirsene offeso.
    « Cos'abbiamo fatto per meritarci quest'ispezione? ».
    Non c'entrava il fatto che il Black Dog avesse allungato le mani sul suo prezioso amichetto, Dianne era una figura fondamentale all'interno dell'Ordine e Grim non la lasciava sola un istante, quando poteva. La ragazza temporeggiò di nuovo, proponendo loro di sedersi davanti ad un caffè per sfuggire al freddo del mattino, e Cain sbuffò in risposta.
    Lì vicino c'era un bar che non aveva mai cambiato prezzi né insegna da quando i due fratelli erano bambini. Ci si rifugiavano nelle giornate in cui Sarah non era in casa e volevano mangiare qualcosa di caldo senza mettersi ai fornelli. L'anziana proprietaria li riconobbe subito, passando dall'altra parte del bancone per stritolare Abel in un abbraccio degno di una nonna affettuosa e rifilando al compare una mezza occhiata risentita. Non erano mai andati d'accordo, Cain e la signora Miller, forse per l'abitudine di lui a mettere i piedi sul tavolo e versare di nascosto il Brandy nel caffè, seppur minorenne. I tre presero posto nell'angolo più appartato, accanto ad una vecchia stufa a legna dentro cui bruciava un timido fuocherello, sotto ad una finestra che dava sul piccolo giardino interno del bar, disseminato di piante così alte da far invidia alla foresta pluviale. Il rosso rubò il posto di Dianne accanto al suo Omega preferito, tanto per rimarcare il fatto che lei era il terzo incomodo e non poteva intromettersi in qualsiasi cosa li riguardasse. La panca era lunga abbastanza da contenere tre persone, ma decise ugualmente di stare appiccicato al compagno, il ghigno spavaldo da vittorioso. La medium era arrabbiata, ovviamente, e le cose peggiorarono appena Abel tolse la sciarpa: il segno lasciato dal suo morso spiccava sulla pelle chiara, in parte nascosto dal maglione. « Ti ha punto qualcosa? » chiese sorpreso, tirando il colletto in modo che lei prendesse atto di quanto serie fossero le sue intenzioni. Dianne sbatté il menù così forte che i pochi clienti del bar si voltarono all'unisono per guardare nella loro direzione. La signora Miller accorse a prendere le ordinazioni, una scusa per controllare che non stesse succedendo il finimondo, e la moretta si calmò solo dopo una lunga sorsata di té. « Da quanto non fate visita al dottor Hickman? ». Cain rigirò la domanda al fratello, perchè davvero non se lo ricordava. Era un uomo talmente spiacevole che diamine, potendo scegliere l'avrebbe evitato come la peste. Si occupava di tenere sotto controllo il potere dei due Omega, come aveva fatto in passato con i loro padri e parenti tutti. « Un anno? No, forse due » tentò, certo che Abel avesse una memoria migliore della sua.
    « Grim vuole mandarvi all'ambulatorio. Dice che alla vostra età dovete sottoporvi ai test almeno ogni tre mesi per evitare... incidenti ». Sentì lo sguardo severo su di sé, e passò un dito sulla benda di riflesso. Gli importava rimanere in vita, ma ancor di più voleva che Abel sopravvivesse. Isaac, il padre, aveva abusato del potere dell'occhio sinistro perchè sentiva di non avere nulla da perdere, perchè non amava Eva come Cain amava il fratello. « Inoltre, dato il vostro nuovo grado di Omega, ci tiene a farvi sapere che non vi sarà perdonato nulla, quindi fate attenzione ». Le solite raccomandazioni. Le avrebbero sentite da lì all'infinito, ogni giorno, quindi tanto valeva ignorarle. Dianne si fece meno seria quando passò a complimentarsi con l'albino della sua bellissima casa, della dolcezza dei piccoli Gytrash e l'innegabile somiglianza tra loro. Nessuno aveva i capelli chiari di Abel, in quanto erede della maledizione, eppure li accomunavano molti tratti del viso, il modo di stringere gli occhi con fare sospettoso, la piega delle labbra mentre provavano a trattenere una risata. Ancora una volta, il Black Dog si perse ad osservare l'altro, consapevole di stare facendo la figura del ragazzino invaghito. Non poteva farci nulla, era attratto da lui e tanti saluti alla discrezione. La giovane medium dovette accorgersene, poiché usò la parola proibita per riportarlo con i piedi per terra. « Allora, come vanno le cose tra te e Raph? Lui non mi dice mai niente ». L'occhiataccia che si scambiarono pareva sprigionare scintille. I canini del ragazzo cozzarono contro la fine ceramica della tazzina mentre cercava di annegare il dispiacere nel caffè. Raphael era uno dei tanti problemi da eliminare, se non il primo. Ucciderlo a suon di morsi era un'idea allettante e di facile attuazione, peccato che le conseguenze lo avrebbero allontanato dall'Ordine, e non poteva permetterlo.
     
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    Vedere il fratello avvicinarsi senza le ragazzine petulanti attaccate al suo maglione, per Abel fu davvero un gran sollievo. Sarebbe volentieri andato a staccarle lui, una per una, intimando loro di allontanarsi dal rosso, se solo non avesse avuto qualche problema molto grande nell'esternare i propri sentimenti e, soprattutto, non avesse avuto un segreto da nascondere. Quella relazione con Rapahel lo stava soffocando, e aveva già sentito vibrare il telefono in tasca almeno una decina di volte da quando erano usciti di casa. Non aveva neppure voglia di vedere quante volte lo avesse chiamato. Il fatto che prima lo avesse relegato in un indifferente silenzio per poi riempirlo di chiamate e messaggi non gli andava giù. Non sopportava tutta quella storia, ad essere sinceri, e il bello era che tutto quel gran casino l'aveva creato lui. Deficiente. « Hai finito di corteggiare fanciulle innocenti? » Dianne si staccò dal muretto, le braccia incrociate al petto e un sottile tono di sfida presente nella voce. Era evidente come alla donna non andasse troppo a genio Cain, ma non riusciva a capirne il perché. La donna non glielo aveva mai spiegato chiaramente, limitandosi a dire "fa confusione". Il che era vero. Se era per questo, faceva a botte, beveva alcolici dalla tenera età, non rispettava neppure una regola, studiava poco e rispondeva a tono. Eppure, nessuna sembrava una valida ragione per detestarlo. - Forse sono di parte - pensò, mentre seguiva i due sulla strada diretta al caffè, perdendosi tra le voci dei ragazzi che lo precedevano. Cain aveva fatto tanto per lui, e lo amava, lo amava sul serio, ma ora faceva solo parte di un piano che sembrava stesse andando a rotoli. In teoria sarebbe dovuto riuscire a dimenticare ciò che provava per lui grazie alla presenza di Raphael, in pratica non era successo nulla di quel che aveva pianificato. A confessare ciò che gli passava per la testa sarebbe stato solo uno sbaglio. Cain si prendeva cura di lui come un fratello, nulla di più. Non sarebbe mai stato suo. Lo scampanellio all'entrata del negozio gli fecero sollevare lo sguardo dalla strada, notando la signora Miller affrettarsi a salutarlo, stritolandolo in uno dei suoi forti abbracci - troppo forti, per il gusto di Abel. I due fratelli e la proprietaria del caffè si conoscevano da un'infinità di tempo, sfornava i croissant più buoni di tutta l'Inghilterra, e i ragazzi si rifugiavano in quel luogo da quando ne aveva memoria, che fosse per sfuggire a qualche dovere o per la merenda. Abel e Cain si diressero, quasi simultaneamente, verso il tavolo che occupavano di solito, in un angolo del negozio. L'albino si sistemò vicino alla stufa, il caldo che emanava ad attirarlo verso di essa, e fu impossibile convincersi che il caldo alle guance fosse a causa del calore, anziché della nulla distanza tra lui e il rosso. Si era seduto proprio vicino, vicinissimo a lui, e il brutto era che non era una novità. Non gli capitava di rado di stare praticamente appiccicati, ma nell'ultimo periodo l'Omega dava peso ad ogni più misero contatto. E non andava affatto bene, stava raggiungendo il punto di non ritorno. O forse lo aveva già raggiunto da un pezzo, e se fosse stato davvero così sarebbe stata la fine. Lo sguardo del ragazzo vagava sulla maglietta del fratello, i bottoni della giacca, per poi salire al collo, al mento, ed era meglio fermarsi là. Spostò l'attenzione sul viso della medium in loro compagnia, e si accorse che non pareva affatto di buonumore. « Ti ha punto qualcosa? » domandò Cain mentre l'albino posava la sciarpa sulle ginocchia, e questo lo guardò con un sopracciglio alzato. Il rosso gli sfiorò il collo con le dita, il tocco caldo a contatto con la pelle marmorea dell'altro, e dovette di nuovo dare la colpa al fuoco della stufa, per quanto debole fosse stato. Troppo debole per procurargli due guance rosse come le aveva lui, effettivamente. « Penso di sì » rispose, abbassando gli occhi sul punto indicato da Cain, ma senza riuscire a vedere il segno nella sua interezza. « O forse un'allergia. Me ne sono accorto stamattina » Abel fece spallucce, e appena finì di parlare Dianne sbatté il menù sul tavolo, facendo allarmare perfino la signora Miller che si apprestò ad avvicinarsi a loro per controllare che tutto filasse liscio con la scusa di prendere le ordinazioni. Meglio non far sapere alla medium che la sera prima era andato con il fratello in un pub, oltrepassando di un bel po' il limite di alcool permesso. Non l'avrebbe presa affatto bene. L'albino sorrise impercettibilmente quando ebbe tra le mani l'Earl Grey che aveva ordinato, uno dei suoi preferiti, insieme ad un vassoio di biscotti da dividere con i presenti. Non aveva molta fame - dalla notte dell'incidente ne aveva anche di meno - ma non sapeva resistere al tè accompagnato da qualche dolcetto. Chiuse i palmi attorno alla tazza fumante, ascoltando ciò che aveva da dire Dianne prima di bere qualche sorso. « Da quando non fate visita al dottor Hickman? » chiese lei, e subito i due ragazzi si scambiarono un'occhiata perplessa. Quell'uomo poteva essere anche più irritante di Abel stesso alle volte, il che era veramente difficile avere la meglio su di lui in quel campo. « Due anni » confermò l'albino, e le iridi di entrambi gli Omega furono puntate sulla figura di Dianne dall'altra parte del tavolo. Hickman era un essere viscido e terribilmente permaloso, ma astuto e intelligente, suo malgrado. Tutti i Black Dogs dell'Istituto di Lancaster si facevano visitare da lui, e in più era un grande amico di Grim da quel che si vociferava. Immaginare quei due a far comunella potevano davvero mettere paura. « Grim vuole mandarvi all'ambulatorio » ottima notizia. Abel sbuffò piano, perché davvero, una visita ogni tre mesi era impensabile, con Hickman poi meglio non parlarne. Alla parola incidenti il ragazzo seguì lo sguardo di Dianne, e osservò di sottecchi la reazione del rosso. Si era toccato l'occhio bendato, e per un secondo si sentì mancare il respiro. Odiava utilizzare il suo potere, lo odiava sul serio: gli aveva portato via suo padre, suo fratello, e aveva paura che gli avrebbe portato via anche Cain, presto o tardi. Eppure, sembrava non esserci un modo per convincerlo ad usarlo in modo responsabile, meno spesso di quanto facesse. « Inoltre, dato il vostro grado di Omega, » oh, giusto, erano Omega, se lo stava quasi per dimenticare, avrebbero dovuto ricordarglielo più spesso, « ci tiene a farvi sapere che non vi sarà perdonato nulla, quindi fate attenzione » Nessuno dei due ragazzi le rispose, Abel troppo impegnato a soffiare sul tè per raffreddarlo, Cain ad ignorare la ramanzina. La donna passò dunque ad argomenti più leggeri, come la famiglia dell'albino, che si era subito dimostrata gentile e disponibile nei suoi confronti, o la casa che le era sembrata meravigliosa nonostante fosse entrata solo per dare un'occhiata. « Vi assomigliate un sacco tutti e tre, sai? » esclamò Dianne con il sorriso sulle labbra. Rispetto a qualche minuto prima sembrava tutt'altra persona. « Non sono in tanti a pensarlo » fece lui, dopo aver ingoiato uno dei deliziosi biscotti. Noah assomigliava tutto a sua madre, Hannah era la copia esatta di suo padre. Gabriel aveva gli occhi chiari di Adam, quell'incantevole azzurro ghiaccio che aveva fatto innamorare Sarah fin dal primo incontro, e i capelli castani di lei. Abel era... cos'era? Black Dog in una famiglia di Balck Dogs, ma dall'esterno nessuno avrebbe detto che facesse parte della famiglia Gytrash. Taciturno, scostante e dagli innaturali capelli chiarissimi, sembrava essere finito lì per puro caso. « Allora, come vanno le cose tra te e Raph? » a udire quella domanda, quasi gli andò il tè di traverso, ma riuscì a mandarlo giù per la gola prima che potesse succedere. Quel nome gli provocava una sensazione sgradevole, adesso. Non capiva se fosse paura, o ribrezzo, o tutto insieme. Sapeva solo che forse sarebbe stato meglio non aver accettato la proposta di fidanzamento del comandante, mesi e mesi prima. « Tutto a posto » rispose, riuscendo comunque a mantenere la sua solita compostezza. Sentiva un gran vuoto all'altezza dello stomaco, e gli venne spontaneo portarsi la tazza alle labbra per coprirsi il viso. Parlare di ciò non gli piaceva affatto, soprattutto di fronte a Cain. « Certo che tu non mi hai di certo illuminato sulla faccenda » rise l'altra, mentre Abel strinse le dita attorno alla porcellana. - Finiscila - Non andava per niente bene tra loro, e non voleva parlarne. Non avrebbe dovuto ficcarsi in quel casino, poteva benissimo dimenticare Cain senza l'aiuto di nessuno e senza giocare coi sentimenti di altri. Si sentiva un cretino, per quanto l'amore che provava nei confronti del fratello fosse sbagliato e da cancellare, aveva paura che lui o Raphael potessero scoprire la verità, aveva paura di dire tutto ad alta voce nonostante la sua voglia di gridarlo al mondo intero e liberarsi di quel peso. Niente era "tutto a posto", e far finta che lo fosse ogni volta lo stancava da morire. « Siamo tipi riservati. Perché, tu cosa risponderesti se ti chiedessi di raccontarmi come va con Grim? » sospirò l'albino, e Dianne ammutolì pochi secondi per poi lasciarsi sfuggire una risatina. Quella era stata la frase più articolata che avesse pronunciato dall'inizio della settimana, e probabilmente anche la più astiosa. E l'aveva detto proprio a Dianne. « Di farti gli affari tuoi » rise di nuovo, una risata malinconica e quasi forzata, alzando la tazzina dal tavolo e facendo roteare il poco tè che vi era rimasto con un movimento del polso, mentre Abel si tirava giù le maniche del maglione fino a coprire quasi interamente le mani. « Appunto » sbuffò, lo sguardo basso concentrato sul suo riflesso nel tè. Strinse tra le dita un lembo della sciarpa di Cain, anche se avrebbe preferito stringere la sua mano. Doveva calmarsi, rispondere male alla medium non era da lui. Seguirono attimi di silenzio interminabili, a cui Abel non fece caso, ma la voce della donna tornò a spezzarlo. « Non sono venuta qui solo a farvi la ramanzina, ma anche per assegnarvi il vostro primo incarico » esordì, e l'albino tornò a guardarla. Perché un incarico? Si erano presi una settimana di permesso proprio per non essere sommersi dalle missioni, avrebbero dovuto saperlo. « Nei pressi di Carleton Cemetery sono stati avvistati degli spiritelli proprio ieri sera, roba da poco conto. Ma visto che voi siete qui, perché non approfittarne? » Abel la guardò con un sopracciglio inarcato, incredulo. Davvero Grim gli aveva affibbiato un incarico mentre era in convalescenza? Stava ancora smaltendo i residui della sbornia della sera prima che non gli aveva affatto giovato, e la stessa mattina doveva portare a termine uno sterminio di spiriti. « Grim ha del fegato a impartire certi ordini » osservò Dianne, come se gli avesse letto nel pensiero, alzandosi dalla sedia e posando il cucchiaino accanto alla tazza. « Ti lascio il conto da pagare, Skriker » gli sguardi che si scambiarono non preannunciava niente di buono, ma Abel non disse niente. Non era di certo la prima volta che si guardavano in cagnesco. La medium si avvicinò al suo lato del tavolo, abbracciando l'albino in una morsa ferrea e posandogli un tenero bacio sui capelli, esattamente come avrebbe fatto una sorella maggiore. Si allontanò dai giovani salutandoli con una mano e un'occhiata da far accapponare la pelle dedicata a Cain - anche se di quest'ultima non ne era affatto sicuro. L'albino prese tra le mani il tè, sorseggiandolo in silenzio, per poi sospirare a bevanda quasi ultimata. « Che palle »

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    Carleton Cemetery aveva un'aria decisamente spettrale nei mesi più freddi. A primavera c'era un bel praticello, e la chiesa non sembrava tratta da un horror come invece pareva esserlo in quel momento. Riusciva a sentire la presenza degli spiriti, e non perché fossero pericolosi, ma sembravano essere tanti. Il Black Dog che ospitava nel suo corpo premeva per uscire, e storse le labbra quando lo colse una fitta allo stomaco. « Prima sbrighiamo questa faccenda, meglio è » disse, evidentemente stanco e irritato da tutta quella situazione. Solo la presenza di Cain valeva qualcosa, in quella giornata grigia e iniziata male. I fantasmi potevano nascondersi ovunque, sia nelle cripte o nelle tombe, sia nel minuscolo boschetto lì dietro, e questo non facilitava certo le cose. Sentiva la loro presenza in ogni dove, davanti e dietro di sé, non si sentiva protetto da nessuna parte. Sperava solo di uscirne con meno ferite possibili e in fretta, data la sua condizione. Con una ferita allo stomaco del genere e la testa che gli girava, non poteva di essere stato uno dei migliori Alpha di Grim fino alla settimana prima. « E dai, uscite allo scoperto » ringhiò, impaziente, mentre lasciava spazio alla sua parte demoniaca, trasformandosi nell'anomalo Black Dog dal manto grigio che tutti all'Istituto riconoscevano. Rizzò le orecchie, e qualche secondo dopo scattò alla sua sinistra, chiudendo le fauci su un paio di spettri, quelli più vicini. Delle macchie nere li seguirono a ruota, uscendo alla scoperto. Buttò uno sguardo a Cain, agguerrito e anche lui pronto a combattere. Era da tempo immemore che non combattevano l'uno al fianco dell'altro. E bisognava ammetterlo, l'idea lo esaltava.

    Cain Asriel Skriker
    L'Omega odiava sentir parlare di Raphael in qualunque contesto, però dovette ammettere che un po' gli importava sapere come procedeva quella strana relazione. Da un punto di vista esterno, lui e Abel non avevano nulla in comune, se non alcuni atteggiamenti da re dei ghiacci e la tendenza ad eludere le domande. Era un bell'uomo? Sì, solo qualcuno con gli occhi nel fondo schiena avrebbe detto il contrario, ma conosceva suo fratello abbastanza da poter affermare che non si soffermava solo all'estetica per giudicare una persona. Magari fuori dal campo di battaglia si scioglieva un po', anche se nessuno poteva dire di averlo visto sorridere nemmeno una volta. - Magari Abel sì -. E chissà cos'altro era successo mentre lui non guardava. Diamine, gli veniva voglia di sbattere la testa contro il tavolo fino a sfondarlo. Per fortuna - o sfortuna - dalla conversazione non emerse nulla di illuminante, e Dianne ripiegò appena venne fatto il nome di Grim. Passarono in fretta dalle questioni di cuore a cose ben più importanti. Era prevista una missione per loro, la prima da Omega, che ovviamente non prevedeva nulla di esaltante. « Spiriti? Andiamo, li cacciavamo da bambini! » protestò, intercettando lo sguardo apprensivo di Abel. Non si era ancora ripreso del tutto, doveva starsene a riposo per l'intera settimana, e invece quel deficiente del loro capo non si era fatto scrupoli a farli sgobbare anche in vacanza. « Ti lascio il conto da pagare, Skriker » annunciò Dianne, troppo presa da un caldo congedo con l'albino per far caso alle sue proteste. Stava spendendo una fortuna, ultimamente, ci mancava solo la fidanzata del Black Dog a svuotargli le tasche. « Che palle » sbuffò Abel, e lui ripeté le stesse identiche parole mentre contava i pochi spiccioli rimasti nel portafogli. Cacciare fantasmi era il loro lavoro, non gli pesava particolarmente, ma dopo i trascorsi della notte prima aveva serie difficoltà a concentrarsi per più di cinque minuti consecutivi, specie se il fratello era nei paraggi. L'istinto di proteggerlo stava raggiungendo livelli assurdi, al punto che avrebbe voluto ringhiare a Dianne dopo un gesto tanto avventato e innocente allo stesso tempo. Pagò il conto alla vecchia proprietaria - che ricontò i soldi due volte - e uscì per primo dal bar, guardando a destra e sinistra in cerca di eventuali minacce. Un paesino la cui popolazione era costituita dall'ottanta per cento da anziani poteva essere molto pericoloso, perché Dio solo sapeva quanto erano distratti alla guida. Adocchiò l'albino accanto a lui e prese un lembo della sciarpa, avvolgendolo stretto attorno al collo candido. « Stai attento, non costringermi a riportarti a casa in spalle anche oggi ». Bella mossa, rievocare il ricordo del suo corpicino caldo e profumato era stato proprio un colpo di genio. « Okay, facciamoci 'sta gita al cimitero ». Dove presto avrebbero dovuto seppellirlo, dato che rischiava un'autocombustione da un momento all'altro.

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    Okay, era un paradosso, ma per quanto fosse lui stesso un essere sovrannaturale, Cain aveva una fifa matta di cimiteri, chiese abbandonate, ospedali ed altre scenografie sul genere. I film horror non li digeriva proprio, di solito si copriva la faccia con un cuscino. Un brivido freddo gli percorse la schiena appena mise piede sul suolo sacro, un po' perché i Black Dogs erano considerati segugi infernali, un po' perché tutte quelle tombe non promettevano nulla di buono. Gli spiriti minori di cui parlava Dianne erano solo persone finite all'altro mondo con un sacco di rancore, che talvolta rispuntavano e facevano un gran casino. Non erano nocivi per gli umani, ma potenzialmente pericolosi se si fossero trovati nelle mani dei giusti stregoni. « Prima sbrighiamo questa faccenda, meglio è » sbottò il fratello, del suo stesso parere.
    « Farò il possibile, ma sto ancora digerendo la colazione. Non prometto niente ». Entrambi mutarono nella loro forma di cagnacci dai denti affilati, Abel flessuoso e snello, Cain massiccio e pronto all'azione, con gli occhi che ardevano come fiamme vive. Si sentiva così bene in quel corpo, creato con il solo scopo di uccidere, che ogni volta tornare umano era un trauma. Adocchiò l'altro Omega prima di azzannare la sagoma inconsistente di uno spettro che aveva tutta l'intenzione di aggrapparsi alla sua adorata pelliccia. Ogni tocco delle creature equivaleva ad una scossa elettrica parecchio fastidiosa, a volte paralizzante, perciò i fratelli sapevano di dover mettere fine a quelle patetiche esistenze prima che ciò accadesse. Grazie a Dio Abel sembrava a posto, veloce come una saetta, anche più di quanto ricordava. Non combattevano insieme da anni, divisi tra due classi diverse, perciò si stupì di quanto fosse migliorato in sua assenza. Grim ci aveva visto giusto con lui. I Black Dogs agguantarono uno spirito all'unisono, stracciandolo a metà, e il rosso sghignazzò divertito. Si stava rivelando un'esperienza niente male, al pari di un gioco. Per rimarcare il fatto che era ancora lo stesso bastardo competitivo di un tempo, Cain diede fondo alle sue energie ed iniziò ad anticipare le mosse dell'altro, rubandogli le prede da sotto il naso quando meno se lo aspettava e tenendo il conto del punteggio. L'inseguimento si spostò dalla distesa di lapidi ai margini del bosco, dove si liberò dell'ultimo fuggitivo - il numero cinquantaquattro - placcandolo tra i rovi di un cespuglio. Sentì i rami aguzzi graffiargli il muso, e pregò che non rimanessero segni troppo visibili sul viso una volta tornato umano. Preferiva che i Gytrash non sapessero della capatina al cimitero, si sarebbero preoccupati per nulla, soprattutto Sarah. Scrollate di dosso le foglie secche, Cain chiamò il fratello con un abbaio, sebbene non ve ne fosse bisogno. I Black Dogs comunicavano mentalmente tra loro, ma lui si divertiva a fare la parte dell'animaletto domestico.
    « Mi sento generoso, Trash: potrai avere la rivincita appena sarai guarito » annunciò a testa alta, pavoneggiandosi da bravo edonista qual'era. Nonostante la corsa sfrenata, non aveva esaurito tutta l'adrenalina entrata in circolo. Era abbastanza sicuro di poter disinfestare altri tre o quattro cimiteri senza farsi venire il fiatone, peccato che di spiriti non se ne vedevano più. C'era solo Abel nel suo campo visivo, illuminato dalla luce pallida del sole di novembre come un'apparizione. Con una risatina gorgogliante, il cane nero iniziò a girargli attorno in circolo senza mai perderlo di vista, la coda scodinzolante a tradire lo sguardo minaccioso.
    « Ma guarda, uno spettro è rimasto indietro ».
    Da bambini si azzuffavano quotidianamente, non alla maniera umana, ma come randagi che rotolavano nella polvere, e in quei rari momenti Abel rideva sul serio, di cuore. Beh, aveva tenuto il broncio per troppo tempo. Si fermò ad un paio di metri di distanza, piegato sulle zampe anteriori in posizione di attacco, e l'altro fece altrettanto di riflesso. Non capì se volesse stare al gioco o meno, ma che importanza aveva? Con uno scatto svelto, Cain gli balzò addosso e fece finta di morderlo alla gola, appoggiando appena i denti sulla morbida pelliccia, ottenendo una zampata alla pancia in risposta, insieme alle proteste non molto convinte dell'albino. Che si stesse divertendo, per una volta nella vita? I due si rincorsero nel boschetto al pari di cuccioli appena svezzati, e quasi si scordò della convalescenza dell'Omega. Di sicuro quel moto frenetico non giovava alla sua ferita, per quanto migliorata, perciò mise la parola fine alla disputa con un ultimo affondo, imprigionandolo sotto di sé contro il manto erboso e umido. « Ora ti sistemo io » intimò, finché il ringhio diminuiva e lui abbandonava le spoglie animali. Si ritrovò sdraiato sull'ampio petto della bestia argentata, e poggiate le mani sui fianchi lo sottopose ad una seduta di solletico con i fiocchi, uno dei tanti punti deboli di Abel. Dai guaiti ed il modo in cui si dimenava capì di aver trovato il punto perfetto, che non abbandonò finché anche il fratello tornò umano, le gote profuse di un tono rosato dopo l'inseguimento e gli occhi lucidi per le risate. Era uno spasso da osservare mentre cercava di darsi un contegno per rimproverarlo. Voleva fare l'offeso, ma Cain si rifiutava di smettere. Era un suono troppo bello da sentire perché durasse così poco. « Ti stai divertendo, mh? Come? Non ti capisco se continui a ridere! ». Doveva registrarlo, altroché. Alla fine ascoltò le sue suppliche e terminò la tortura, non prima di avergli arruffato i capelli, che Dio solo sapeva come facevano ad essere sempre così morbidi. I suoi lineamenti cambiavano quando si rilassava, gli sembrava di rivedere lo stesso ragazzino spensierato di una volta. Prima di passare al grado di Alpha, Abel sorrideva di frequente, non in modo sguaiato, ma non faceva mistero della sua contentezza. Che si trattasse di una battuta del rosso o una situazione particolarmente divertente si lasciava andare e basta. Avrebbe pagato per riavvolgere il tempo e rivivere quei momenti, quando lo considerava solo un preziosissimo fratello minore. Inconsciamente, la mano che lo aveva spettinato si era spostata sulla guancia - ne avvertiva il calore sulle dita - e per un istante si chiese se il suo corpo non stesse decidendo da solo come muoversi. Un bel problema, viste le idee che gli frullavano in testa. Da qualsiasi angolazione la si guardasse, quella era una carezza in piena regola.
    « Oh, scusa, mi sembrava che avessi... » La pelle più liscia del mondo, il viso più tenero dell'universo,
    « ... la febbre, sì ». Gli tastò in fretta la fronte e ne confrontò la temperatura con la propria, fingendosi un dottore apprensivo. Doveva darci un taglio con i flirt, si stava uccidendo da solo. « Penso che tu ne abbia un po' » decretò, alzandosi in piedi di scatto. Gli avrebbe fatto comodo un secchio di acqua gelata, stava fantasticando troppo e troppo in fretta. L'albino non era stupido, anzi, e temeva che prima o poi il suo comportamento l'avrebbe tradito, invogliandolo a fare domande sulla famosa nottata fuori dal pub. Cain prese una lunga boccata d'aria e si appoggiò ad un albero, chiedendosi quanto male avrebbe fatto prenderlo a testate fino ad abbatterlo. « Andiamo a casa? Hai tempo per dormire qualche ora prima della partita di Hannah ». E lui aveva tempo per farsi un lungo esame di coscienza, perché diamine, era stato ad un passo dal baciarlo di nuovo in meno di ventiquattr'ore, e con i suoi ex non era mai accaduto nulla del genere. - Se non glielo dico impazzisco, se glielo dico mi ammazza. Ci perdo in ogni caso -. Gli venne la malsana idea di farlo ubriacare e raccontare tutta la verità, che svanì appena incrociò quello sguardo freddo e limpido che di recente gli mandava il cuore a mille. Non aveva scampo, ormai.

    Abel Cyril Gytrash
    La ferita al ventre non faceva nemmeno troppo male, quando si trovava in forma canina. Era tutto molto più facile, a dire il vero: il suo corpo sembrava muoversi da solo, affidarsi all'istinto era più semplice anche se rischioso, e il dolore che gli attanagliava lo stomaco si attenuava, sebbene ancora presente. Era quella la sua vera forma, in fin dei conti. Non era altro che un Black Dog rinchiuso in un corpo mortale. Abel si piegò sulle zampe posteriori, in attesa di scattare appena un gruppetto di spiriti si fosse avvicinato abbastanza da eliminarlo in un sol colpo. Neanche i residui della bevuta della sera precedente intaccavano i suoi movimenti, ed era un bene, perché fino a qualche momento prima gli faceva un gran male la testa. Ora percepiva solamente una gran voglia di muoversi e scaricare l'adrenalina. Era da tempo che non combatteva - e il Black Dog dentro di lui e risentiva - e desiderava solamente mettere fine a quella missione il più presto possibile, anche se, doveva ammetterlo, da quanto tempo non combatteva al fianco di suo fratello? Anni, da quando l'albino era entrato a far parte degli Alpha e l'altro era rimasto tra i Beta. La situazione era rimasta la stessa per parecchio tempo, fino a un paio di settimane fa, quando Grim aveva avuto la brillante idea di retrocederli ad Omega. Non aveva mai sentito parlare di quel titolo, chissà se lo aveva inventato solo per loro, per deriderli e metterli in castigo. E per farli stare insieme. Conoscendo il capo dei Marauders ne sarebbe stato capace. Essere all'ultimo gradino della piramide sociale non era la sua più grande ambizione, ma era con lui, almeno. Il che non andava bene - stava ancora cercando di dimenticarlo, in fondo - ma d'altra parte andava più che bene. Appena fece fuori il gruppo di fantasmi che puntava da un po', Abel si voltò verso Cain - che corrispondeva all'immagine di un cane grosso, dal manto nero e gli occhi in fiamme - e notò con piacere che era veramente veloce e preciso, e al contempo letale e terribilmente spaventoso. A giudicare dai movimenti lesti, era evidente il suo netto miglioramento, nonostante fosse stato recluso alla classe Beta per anni, senza venire a contatto con le eccellenze che erano gli Alpha. A vederlo muoversi in quel modo avrebbero dovuto farlo entrare nella classe più alta e ambita anche prima dell'albino. Non gli sfuggiva un solo demone, evitando accuratamente di essere toccato - le scosse che trasmettevano erano maledettamente fastidiose - e riducendoli in polvere uno dopo l'altro. Con la coda dell'occhio, Abel si accorse, appena in tempo, di uno spirito venire velocemente nella sua direzione, e lo scansò evitandolo di pochi centimetri. Il contatto con uno di loro avrebbe potuto risvegliare il dolore allo stomaco, e non ci teneva particolarmente. Prese lo slancio e si lanciò su di esso in contemporanea al fratello, dilaniandolo, e vide l'ombra di un ghigno sul muso del rosso. Gatta ci covava. E infatti, neanche a dirlo, pochi secondi dopo Cain iniziò a rubargli qualsiasi preda l'altro puntasse, anticipandolo e azzannando gli spiriti ad un palmo dal suo naso. Quel giochetto, inizialmente gli diede sui nervi, ma durò poco. Gli ricordava i giochi che facevano da piccoli, quando erano entrati da poco nell'Istituto e passavano tutto il tempo assieme. Vinceva sempre Cain, ovviamente, ogni singola volta. Non l'avrebbe permesso anche in quel momento, era la sua rivincita dopo anni, e il fatto che questa convinzione si fosse insinuata nella sua mente era quasi incredibile. Era da tempo che non decideva di mettersi in gioco, ed evidentemente solo lui riusciva a spronarlo. Da una parte meglio così, tornare bambini gli mancava. Abel tentò di stargli dietro al meglio delle sue possibilità, riuscendo a restituirgli il favore una decina di volte, ma non di più. Era troppo veloce e ancora più agguerrito, quella testa calda non si smentiva mai, però si stava divertendo. Dal cimitero si spostarono verso il rado boschetto che lo circondava, all'inseguimento dell'ultimo spiritello vagante: l'albino seguì il fratello tra i rovi, il fiato corto e le fitte al ventre sempre più frequenti, ma deciso a liberarsi di quel fantasma. L'ultimo valeva tutto ma, come non detto, il rosso lo precedette, e senza nemmeno tutta questa sorpresa. Era stato sempre il migliore nelle prove fisiche, e lo aveva dimostrato per l'ennesima volta in anni di amicizia. Cain abbaiò in sua direzione - si trovava diversi metri davanti a lui - e l'Omega dal pelo innaturalmente chiaro avanzò verso di lui a passo lento, senza alcuna fretta. Doveva recuperare un po' di fiato, altrimenti in forma umana avrebbe risentito ancora di più dello sforzo. « Mi sento generoso, Trash: potrai avere la rivincita appena sarai guarito » fece, mentre cominciava a girargli attorno come se fosse un altro spirito da far fuori, un ghigno che conosceva bene disegnato sul muso. Peccato stesse scodinzolando allegramente, rovinava tutto l'atteggiamento pseudo-minaccioso. « Anche troppo generoso. Cos'è tutta questa bontà? » gli rispose lui bellamente ironico, decidendo di ignorare il soprannome che tanto lo infastidiva. « Ma guarda, uno spettro è rimasto indietro » Contro la sua volontà, lo sguardo di Cain su di lui gli faceva venire la pelle d'oca, in qualsiasi forma si trovasse, e sostenerlo era sempre una sfida con sé stesso. I suoi occhi, cremisi o verde intenso che fossero, lo inghiottivano sempre, ci ricascava ogni volta. Gli sembrò di vedere una scintilla di sfida nelle sue iridi, perciò i suoi muscoli si irrigidirono di naturale conseguenza, pronto a scattare in caso di un attacco - e da Cain se lo sarebbe aspettato. Si piegò sulle zampe posteriori, imitando i movimenti del fratello, e fu allora che gli vennero alla mente i momenti in cui, ancora bambini, si scontravano in forma demoniaca, anche se finiva sempre in risate a cuor leggero. Ultimamente, i bisticci tra loro non erano mai stati risolti con una sana zuffa tra cani, e quasi ne sentiva la mancanza. Okay, senza il quasi, ma non poteva dirlo ad alta voce. Il cane nero fu più veloce di lui, e gli fu addosso in men che non si dica, finendo per rotolare sulla terra umida. Abel tentò subito di liberarsi con scarsi risultati, e appena sentì i canini dell'altro minacciarlo alla gola gli assestò una zampata alla bocca dello stomaco, nel punto esatto in cui anche l'albino sentì una dolorosa fitta. « Levati di dosso, cagnaccio » abbaiò, il respiro di nuovo irregolare, e non si accorse che la linea di un sorriso si stava facendo strada sulla sua bocca. Era inevitabile, con Cain accanto, soprattutto se metteva in scena quei giochetti. Riuscì in qualche modo a liberarsi, e i due presero a rincorrersi tra gli alberi, esattamente come da bambini. Visti dall'esterno, parevano cani malamente addestrati invece che segugi infernali. Se non fossero stati di grandi dimensioni, potevano comodamente passare per cuccioli giocosi. Quella corsa lo stava mettendo davvero alle strette, tra il bruciore attenuato allo stomaco e l'affanno, ma si stava divertendo come non succedeva da un'eternità. Si sentiva il cuore estremamente leggero, e seppure il cervello gli consigliava di smettere di correre a perdifiato per sfuggire al fratello, lui decise di non ascoltarlo, per una buona volta. Non sarebbe successo nulla di grave, no? Voleva solo godersi quei momenti senza pensare a niente, se non a non farsi raggiungere. Troppo tardi, perché riuscì ad intrappolarlo, le spalle a terra e Cain sopra di lui a bloccargli ogni via di fuga, essendo più massiccio e pesante sarebbe stato difficile sfuggirgli. E non era detto che volesse. - No, aspetta, cazzo - si rimproverò mentalmente. Certo che voleva, lo scopo del gioco era non farsi prendere. « Ora ti sistemo io » disse l'altro, mano a mano che la pelliccia scura faceva spazio ai soliti capelli color del fuoco, e le iridi rosse facevano spazio all'unico occhio verde. Il sorriso sul volto umano di Cain era molto più evidente, e non prometteva nulla di buono. Abel decise di non trasformarsi: il dolore in forma umana sarebbe stato più insopportabile, e in quanto Black Dog aveva qualche possibilità di vittoria. Fece per scansarlo prima che mettesse in atto qualsiasi cosa avesse in mente, ma, anche stavolta, il rosso riuscì a precederlo, puntando al suo punto debole. Perché, sì, strano ma vero, Abel soffriva il solletico. E tanto. Cain lo sapeva bene, infatti non sembrava deciso a lasciarlo andare per nulla al mondo. Il cane cominciò a dimenarsi, ma il ragazzo sembrava essersi ancorato ai suoi fianchi. L'albino non riusciva neppure a spiccicare parola, perché, sul serio, stava morendo dalle risate. Non ce la faceva. La concentrazione calò senza che lui potesse evitarlo, e anche lui tornò al suo solito aspetto umano, la risata che si spanse chiara e limpida nell'ambiente, interrotta per qualche colpo di tosse. Adesso il dolore alla ferita lo sentiva bene, ma durò poco, giusto il tempo di spostare il pensiero sulle dita di Cain, che tanto si divertiva a torturarlo. « Ti stai divertendo, mh? » « Finiscila! » gridò lui tra una risata e l'altra, tentando di spostare le mani del fratello senza alcun risultato. « Come? Non ti capisco se continui a ridere! »
    « Dacci un tagl... » non riuscì a finire la frase, che le poche lettere che mancavano uscirono in un acuto dalle sue labbra, e il ragazzo tentò di rotolare da un lato per sfuggire a quel supplizio. Sembrò riuscirci, e Cain lo lasciò finalmente libero. Gli passò una mano tra i capelli per spettinarglieli in un gesto fraterno e familiare, ma Abel non si voltò verso di lui fino a quando non fu sicuro che il caldo che sentiva alle guance potesse essere scambiato per l'affanno della corsa e della sessione intensiva di solletico. « Sei un vero bastardo » lo accusò, tentando di regolarizzare il respiro e ignorare le fitte allo stomaco, che si erano fatte ben poco sopportabili. Non gli importava, ne era valsa la pena, lo avrebbe rifatto dieci, cento, mille volte. Svagarsi con Cain era ineguagliabile, e gli era mancato un sacco. Lo guardò in viso senza che il sorriso lo abbandonasse, e gli facevano male gli angoli della bocca. Da quanto tempo non si divertiva in quel modo, solo loro due. Il cuore prese a battergli fin troppo velocemente quando percepì le dita del rosso sfiorargli appena la tempia, per poi ricadere sulla sua guancia accaldata. Abel trattenne il respiro, e avrebbe voluto ritrarsi al contatto, davvero, ma non ci riuscì. E pensare che stavolta nessuno lo stava trattenendo. « Oh, scusa, mi sembrava che avessi... » anche l'altro sembrava sorpresa dal suo stesso gesto, e Abel prese a fissarlo per capire cosa gli stesse passando per la testa. Non ci riuscì. Era come se da lì a poco sarebbe potuto succedere qualcos'altro, e di riflesso l'albino ricordò il bacio in infermeria. No, Cain da sobrio non ci avrebbe mai provato, era solo un suo desiderio egoista. « ... la febbre, sì » la mano del ragazzo passò dalla guancia alla fronte, e quando affermò che probabilmente aveva davvero qualche linea di febbre si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quel momento. Che diavolo era successo? Ah, già, aveva quasi rischiato di morire d'infarto. - Era per la febbre, niente di più - ripeté mentalmente, perché stava dando troppa importanza ad ogni loro singolo contatto, e doveva piantarla. Cain non poteva essere nulla che si avvicinava ad un fidanzato, un amante, un oggetto del desiderio o altro. Fratelli. Si era ripetuto quella parole così tante volte che quasi gli dava la nausea. Si rialzò appoggiandosi con le mani sulle ginocchia, trattenendo un colpo di tosse, e guardò di sottecchi il compagno, che si era allontanato di qualche metro. A vederlo così, pareva terribilmente stanco. « Andiamo a casa? » propose, e Abel si limitò ad annuire, le fitte a smorzargli le parole in gola. Giusto, dovevano andare a guardare la partita di Hannah. Non ci capiva nulla di basket, ma l'albino era abbastanza sicuro che sua sorella fosse la più brava della squadra. Avrebbero vinto, come tutte le volte che era andato a vederla. « Cain » lo chiamò a suo rischio e pericolo, e infatti appena incrociò il suo sguardo quasi se ne pentì. Perché doveva sempre attorcigliarsi lo stomaco quando, per sbaglio o meno, si guardavano in faccia? Il fatto che i sintomi di una palese e stratosferica cotta fossero peggiorati col tempo non era affatto buon segno. « Ti vedo strano » si ricordò di dire, perché non aveva pronunciato il suo nome giusto perché gli andava. Aveva qualcosa da dirgli, giusto. « Se vuoi parlarne » disse, e fece spallucce, tentando di fargli capire che lui era lì, per lui, come Cain faceva lo stesso per Abel. Era da quella mattina che non era il solito Cain. Aveva la risposta pronta e un ghigno furbesco perennemente sulle labbra, ma gli occhi vagavano sul paesaggio intorno a lui o sui suoi stessi piedi, era distratto, e la carezza di prima... Non era uno scherzo, come faceva sempre. Attese qualche secondo per far assimilare il concetto, per poi fare un grosso respiro. « E mi prenderò la rivincita » aggiunse dopo, uno sguardo di sfida diretto al fratello, e non riuscì a trattenere un sorrisetto, « Sono ferito, ti piace vincere facile » La verità era che non era mai riuscito a spuntarla nelle prove fisiche contro di lui. Se gli si poneva di fronte un quesito di logica, ragionamento, non aveva eguali, ma purtroppo per lui bastava un alito di vento per farlo cadere a terra. Eppure, gli piaceva credere che, prima o poi, sarebbe riuscito a batterlo. La questione era aperta da quando erano bambini, di sconfitte ne aveva collezionate un bel po'. Ficcò le mani in tasca, procedendo di pochi passi il fratello per uscire dal boschetto, e con le dita passò in rassegna, sul fondo della tasca della giacca, le chiavi di casa e pochi spicci, che a contarli sarebbero potuti bastare solo per comprare qualche schifezza in un bar. Beh, un'idea niente male. « Ti andrebbe di... » si girò di scatto, ritrovandosi a pochi centimetri dal corpo del rosso, e per un attimo si sentì cedere le gambe. Ti andrebbe di andare a prendere un caffè? era questa la sua proposta, ma non riuscì a far uscire mezza sillaba. La verità era che avrebbe voluto passare più tempo con lui, senza sua madre o i suoi fratelli ad interromperli di continuo, ma poi si ricordò che stava solamente facendo un gran casino. Poteva metterla come un'uscita puramente tra fratelli, senza secondi intenti, ma era sarebbe stato Abel a proporla. E lui non lo faceva mai. Già tutto quello slancio nelle poche parole dette qualche secondo prima suonava sospetto, meglio darci un taglio. « Niente, scusa » si corresse subito dopo, stringendosi la sciarpa attorno al collo. Doveva darsi una calmata, quella azzuffata di poco prima lo aveva destabilizzato. Dov'era finito l'Abel composto di sempre? Era fin troppo euforico. Assomigliava al vecchio sé stesso, l'Abel che apparteneva ai Beta.
    « Sono sicuro che hai bisogno di dormire anche tu, avrai dormito da schifo sul divano » osservò, trattenendo una risatina. Doveva tornare come prima, come prima, o l'istinto avrebbe avuto la meglio e sarebbe stata la fine. « Ripetimi di nuovo perché hai dormito lì? Se ero tanto ubriaco come hai detto, non mi avrebbe svegliato neanche una palla di cannone » la scusa del parlare nel sonno non lo convinceva del tutto, ora che la soppesava per bene. Spesso capitava che iniziasse a blaterare mentre dormiva, ma Abel lo svegliava con qualche imprecazione intimandogli di smetterla subito e finiva lì. Sul momento poteva irritarlo, ma non lo aveva mai trovato un buon motivo per cacciarlo dalla sua stanza. C'era qualcosa sotto. Forse si era stancato di fargli da balia. Plausibile.
    « Stanotte torni di sopra, altrimenti Hannah comincia a fare domande » non perché voleva averlo vicino, assolutamente. Cazzo, doveva dimenticarlo, che diamine stava combinando? Non poteva diventare schiavo dei suoi sentimenti fino a quel punto. Doveva cucirsi la bocca. Almeno era riuscito a recuperare il solito tono neutrale che aveva di solito, ma non era quella la cosa più importante. Avrebbe voluto anche riavere indietro il suo cuore, che Cain gli aveva rubato tempo fa, maledizione, ma questo si prospettava molto più complicato.

    Cain Asriel Skriker
    Lui non era quello timido, né quello che si imbarazzava facilmente, quindi perchè quell'improvvisa voglia di scavarsi una fossa e non uscirne più? - Perchè sono il peggiore dei deficienti -. Fantasticare sul proprio fratello, anche se non di sangue, lo rendeva talmente spregevole da farsi schifo da solo. E come non ricordare il piccolo exploit della notte precedente? Okay, era brillo e decisamente euforico - oltre che in piena crisi d'astinenza - ma nulla lo autorizzava a mettere le zampe su una creatura innocente come Abel. Appena si sentì chiamare scattò sull'attenti, deglutendo vistosamente quando l'altro dichiarò di vederlo "strano". - Smettila di essere così perspicace, maledizione a te - pensò, forzando il sorriso più falso della storia.
    « Sono sempre strano, che domande fai? ». Bene, perfetto, non balbettava. Quello si che sarebbe stato sospetto. Prima di uscire dal boschetto diede una ripulita alla giacca e tolse dei ramoscelli rimasti tra i capelli, sfregando la manica contro la guancia dove dovevano ancora figurare parecchi graffi. Quei maledetti rovi erano peggio delle unghie dei suoi gatti. Stava per pulire anche il viso del fratello, quando un barlume di consapevolezza gli fece ritrarre la mano. « Sei sporco qui » farfugliò, un dito sul suo stesso zigomo. Non che evitare di toccarlo lo rendesse una persona migliore, quello mai, ma era meno tentato dal fare cavolate. Sfiorargli la pelle senza approfondire il contatto sembrava umanamente impossibile, al momento. Uscirono dalla macchia di alberelli striminziti in fila indiana, Cain di pochi passi indietro con gli occhi bassi, Abel ancora allegro dalle reminescenze del solletico. Che bello sarebbe stato vederlo così spensierato ogni giorno. Persino la voce aveva assunto una sfumatura più dolce. Disse di volere la rivincita, perchè in effetti il rosso giocava sporco per abitudine, e l'Omega dimenticò come respirare. Certo, una rissa era quello che ci voleva per i suoi nervi a fior di pelle. Nella migliore delle previsioni sarebbero finiti uno sopra l'altro, il novanta per cento dei vestiti a terra. « Rimandiamo a quando ti sarai sistemato ». Gli augurava una prontissima guarigione, ovviamente, ma più ritardavano quel momento meglio era. Consapevole che rimuginare sulla questione sarebbe stato dannoso per entrambi, Cain iniziò a snocciolare una lista di frasi ad effetto per introdursi al discorso, magari con la nonchalance che usava di solito, qualche casuale "ti ho sempre trovato carino" o "se non ti abbraccio subito muoio". Tanti anni passati a fare il Don Giovanni e improvvisamente si sentiva un latin lover alle prime armi. In effetti non era nemmeno sicuro che con Abel quelle tecniche funzionassero. Come aveva fatto Raphael a confessargli i suoi sentimenti? E se invece fosse stato il fratello a farsi avanti per primo? E se fosse davvero innamorato di lui, al punto da respingerlo immediatamente? Però aveva risposto ai suoi baci, gli stava piacendo mentre stavano... « Ch... che c'è? » chiese, sulla difensiva, ritrovandosi Abel davanti. Maledizione, aveva perso sette anni di vita. Fu sul punto di proporgli qualcosa - una novità per lui - e invece lo liquidò con un "niente" esasperato, girò i tacchi e riprese a camminare. Chi era lo strano, adesso? Beh, per un attimo aveva temuto che gli si leggessero i pensieri in faccia, quindi tanto meglio. Proprio quando pensava di essere al sicuro, il Black Dog ritenne necessario mettere alla prova le sue scarse abilità di bugiardo con altre domande invasive, un attacco diretto che gli mandò in pappa il cervello. « Ripetimi di nuovo perché hai dormito lì? » chiese, parlando del divano spazioso ma durissimo del soggiorno. Ecco, adesso iniziava a sudare freddo. « Pensavo volessi un po' di privacy. E poi sei pericoloso quando bevi ». Si rese conto di aver appena dato una fedele descrizione di sé stesso, perciò si affrettò a chiudere la falla prima che la nave affondasse. « N... nel senso che ti muovi un sacco e scalci come un cavallo. Figurati se potevo starti vicino! ». Abel non parve per niente convinto dalla scusa accantonata, infatti decretò che sarebbe dovuto tornare nella sua stanza in modo categorico, ignaro dei pensieri sconci che frullavano nella testa del compagno. In un momento di cieca disperazione, Cain afferrò l'albino per un braccio, fermando entrambi sul ciglio della strada. Voleva dire mille cose, tutte insensate, mentre la solita espressione bonaria si tingeva di panico.
    « Abel, non posso » dichiarò, consapevole che alle orecchie dell'altro non avrebbe avuto alcun senso. Per spiegarsi era necessario introdurlo al ragionamento contorto elaborato fino a quel momento, in cui gli spiegava che non riusciva più a vederlo come un familiare, che stringerlo tra le braccia aveva assunto un significato diverso. La stretta sull'arto di Abel racchiudeva tutto il suo nervosismo, perciò si sbrigò a liberarlo. « Non posso... dormire sul lato destro. Fammi stare dall'altra parte ». Non poteva lasciarsi sfuggire così tante dichiarazioni in una volta, il concetto andava assimilato man mano. Per ora dovevano pensare a godersi la vacanza ed ubriacarsi un po' meno, punto. Preso un lungo respiro, Cain accelerò il passo per stare al pari con l'albino, gettandogli un braccio attorno alle spalle in modo da sembrare il solito sé stesso, quello che non aveva rispetto per gli spazi o le opinioni altrui.

    All'ora di pranzo, una volta rientrati, si concessero un'abbuffata - almeno da parte del rosso - gentilmente preparata da Sarah, che era entusiasta all'idea che entrambi andassero a fare il tifo per la piccola Hannah. A causa di alcuni impegni la madre non poteva assistere alla partita, quindi i due avrebbero fatto da portavoce al suo posto, e Cain era già pronto ad urlare incoraggiamenti, al contrario del poco entusiasta Abel. Mentre aiutava la donna a sparecchiare, il Blackdog posò lo sguardo su alcune foto incorniciate in cucina, tutte dei tre Gytrash da bambini. Solo una, posta più in alto, raffigurava l'ormai deceduto primogenito. Gabriel era un argomento off-limits in famiglia, soprattutto in presenza della madre, ma avrebbe tanto voluto sapere qualcosa a riguardo. Che tipo di persona era, cosa gli piaceva fare, in che rapporti fosse con Abel... nemmeno lui ne parlava mai, più per riservatezza. Aveva il suo stesso taglio degli occhi, grandi e dalle ciglia lunghe, e sorrideva nello stesso modo.
    « Era uguale ad Adam, sai? » disse Sarah, cogliendolo di sorpresa, « anche nell'impudenza. Voi due sareste andati d'accordo ». Lui sorrise, posando il piatto che stava asciugando da dieci minuti buoni. « Io invece credo che sarei stato geloso. Abel stravedeva per suo fratello ». Per fortuna Sarah non lesse tra le righe, scompigliandogli i capelli a mo' di compatimento, e riprese a pulire le stoviglie canticchiando un motivetto allegro.

    « Non sapevo che Hannah avesse un fanclub ». Dei ragazzi si erano impegnati ad allestire una postazione piena di striscioni sugli spalti, coprendo la visuale agli ultimi arrivati. Cain ed Abel, grazie a spintoni e minacce di morte, si erano appropriati dei gradini più in basso, proprio sopra al campo da basket, ed ora le cheerleader li squadravano con fare omicida. « Che cazzo hanno da guardare? Vogliono fare a botte? » sibilò, scoprendo le zanne appena un tipetto alto un metro e venti li indicò e disse qualcosa al vicino. Scatenare una rissa alla partita dell'adorata sorellina era una pessima idea - Hannah si sarebbe arrabbiata un sacco - perciò doveva cercare di non massacrare di pugni nessuno fino alla fine. Li avrebbe aspettati fuori dai cancelli della scuola, se fosse andato storto qualcosa. Capì che la squadra della ragazza era entrata in campo quando il branco di cretini iniziò a chiamarla per nome, e in tutta risposta si alzò in piedi per sporgersi oltre la balaustra alla sua ricerca. Una volta individuata la testolina nera attirò la sua attenzione con un fischio, e fece il gesto di prendere al volo il bacio che Hannah gli soffiò per sommo disappunto del fanclub. Quei perdenti ne avevano di ossa da rompere prima di essere degni di lei, altroché. Poco dopo lo raggiunse anche Noah, palesemente fiero di avere una sorella così famosa all'interno della scuola, ed esortò Abel ad affiancarli nella gloriosa missione di fare un tifo spietato. Con il piccolo Gytrash a fare da divisorio poteva sopportare la vicinanza dell'altro, anche se il suo sguardo lo cercava per abitudine e teneva sotto controllo la gente seduta lì accanto per paura che qualche mocciosa - o moccioso - tentasse un approccio. In effetti la biondina sulla destra lo guardava con insistenza da un po', e non per il colore inusuale dei capelli. - Certo, una scenata di gelosia non lo farà insospettire, figurati -. Il problema era che Abel, nella sua ingenuità, neanche se ne rendeva conto, mentre lui ne era fin troppo consapevole. Lo distrassero solo uno strattone di Noah e il fischio d'inizio, ma mai abbastanza da fargli dimenticare che una stupida umana stesse fissando il Blackdog con gli occhi a cuore, e non aveva alcun diritto di interferire.

    Abel Cyril Gytrash
    Abel si stava strofinando lo zigomo da almeno cinque minuti, e non solo nella speranza di rimuovere lo sporco che gli aveva indicato il fratello, ma anche - e soprattutto - per avere le mani occupate, per non essere costretto a guardare Cain negli occhi con la scusa di avere altro da fare. Che poi, non sapeva neppure se quella piccola messa in scena sarebbe durata a lungo, ma finché poteva avrebbe continuato a sfregare pigramente la manica del giubbotto contro la guancia, anche se era sicuro di non avere più nulla a intaccare il candore del suo viso. Non era questo il punto, bensì che le iridi smeraldine del fratello potessero scavarlo a fondo, e aveva paura di rivelare sentimenti scomodi e verità che sarebbe stato meglio se fossero rimaste bugie. Perché era sempre la stessa, maledettissima storia, che a lungo andare lo aveva anche stancato: solo fratelli. Qualcosa di più sarebbe stato sbagliato, e il fatto che ogni volta che incrociava lo sguardo dell'altro, l'albino ripensasse al bacio in infermeria o a tutte le volte che si erano sfiorati senza alcuna malizia, beh, non era un buon segno. Non doveva arrivare al punto di rottura. Era lui quello resistente, quello taciturno, quello dal cuore di pietra. Abel alzò gli occhi al cielo quando lo sentì parlare a proposito del suo scalciare nel sonno - che poteva anche essere vero, da ubriaco ne combinava di tutti i colori purtroppo -, ma quell'affermazione puzzava terribilmente di scusa campata in aria. Forse perché lo era. Il suo cinismo gli fece studiare l'espressione nervosa sul volto del ragazzo, ma decise di lasciar correre. Avrebbe soddisfatto lo Sherlock Holmes che era in lui un'altra volta, intanto Cain sarebbe salito a dormire in camera sua, come faceva da tredici anni, un lasso di tempo lungo ma al contempo passato in uno schiocco di dita. Erano amici da così tanto tempo che gli pareva di aver sempre dormito con lui, come se non avesse condiviso la stanza con Gabriel prima di fare la conoscenza del rosso. Incredibile, quasi blasfemo nei confronti del piacevole ricordo che aveva del fratello maggiore, eppure era la verità. Cain era amico, fratello, confidente, compagno di avventure e amante tutto insieme. Anche se amante non doveva esserlo, affatto. Sospirò tra sé e sé, il respiro condensato ad uscirgli dalle labbra come una coltre di fumo, e ad un passo dall'uscita del cimitero fu bloccato da una stretta ferrea all'altezza del polso che gli fece sobbalzare inaspettatamente il cuore in petto. Si voltò cautamente, le labbra serrate e un sopracciglio alzato in un'espressione dubbiosa, e ciò che Cain disse lo lasciò perplesso per diversi istanti. « Abel, non posso » fece lui, un tentennamento lieve nella voce che solo chi lo conosceva da tempo sapeva cogliere. Pareva avesse paura, paura di cosa? O forse era preoccupato. Ma la domanda rimaneva sempre quella: di cosa? « Che? » mormorò, ma non per chiedergli di ripeterlo una seconda volta. Aveva capito benissimo. Non poteva condividere il letto con lui, ma che significava? Il Cain di tutti i giorni non avrebbe mai detto una cosa del genere, anzi, di solito era Abel a voler evitare smancerie e contatti troppo ravvicinati. Lo sguardo di Abel rimase fisso in quello dell'altro, senza lasciargli via di fuga, nel tentativo di capire cosa stesse succedendo. Cain era un libro aperto, ma non quella volta. « Non posso... dormire sul lato
    destro » ... eh? Lo stava dicendo sul serio? Non capiva se fosse una presa in giro, o se fosse impazzito tutto d'un tratto, o se ancora avesse davvero sviluppato una certa riluttanza a dormire sul lato destro. Sapendo com'era fatto, Cain ne era totalmente capace. Il lato sinistro conciliava più il suo sonno di bellezza, evidentemente. Voleva crederci, ma non vi riuscì fino in fondo. « E dormirai sul lato sinistro » sospirò, come se avesse messo a tacere i capricci di un bambino piccolo. Il lato sinistro era il suo solitamente, ma a dire il vero non capiva dove stava la differenza tra il suo e quello destro. « Robe da cagnacci vanesi » sussurrò, trattandosi più una constatazione personale, e riprese a camminare appena il fratello lo liberò dalla stretta. Essendoci state le maniche del cappotto a dividere la pelle dei due giovani non aveva percepito nulla, ma era sicurissimo che la mano del rosso fosse calda. Come sempre, del resto. Udì i passi di Cain farsi più vicini, fino a vedere la sua figura svettare accanto a lui, mingherlino e indifeso rispetto al fratello. Accolse il contatto che seguì con un mix di emozioni che ancora non riusciva a catalogare. Il suo istinto gli diceva che non sarebbe stata nemmeno una brutta idea intrecciare le dita a quella della mano di Cain, quella che gli finiva sopra la spalla, ma la ragione sconsigliava caldamente. Per il bene della loro amicizia. Sarebbe stato felice in silenzio, come aveva sempre fatto, fingendosi indifferente quando avrebbe dovuto esserlo davvero. C'era un motivo se non seguiva mai l'istinto, lo avrebbe portato alla solitudine.

    Il pranzo fu soddisfacente per gli altri, meno per lui. Mangiava sempre poco, ma complice la ferita ancora da rimarginare e i resti della sbornia che avrebbe dovuto smaltire a breve - gli veniva ancora da vomitare, vaffanculo - non aveva praticamente toccato cibo. Si era beccato molteplici sguardi assassini da parte di sua madre, che sapeva nascondere bene dietro il solito sorriso bonario, e lui li aveva ignorati tutti, dal primo all'ultimo. Attese che tutti finissero di mangiare prima di alzarsi e aiutare a sparecchiare. Cain si offrì di lavare i piatti insieme a Sarah, perciò l'albino imboccò la via del salotto, sprofondando nella sua poltrona preferita vicino allo scaffale dei libri, angolino che ormai sentiva di possedere. Afferrò uno dei trattati di fisica che aveva lasciato a metà la scorsa mattina, riprendendo la lettura di quelle pagine consumate e intrise di sapere che a lui tanto affascinavano, e sfogliandolo si accorse che in mezzo alla carta stava un segnalibro. O meglio, non era un segnalibro. Una fototessera. Aggrottò le sopracciglia, prendendola tra le dita e girandola per vedere chi fosse ritratto. Gli occhi vispi e chiari di Gabriel lo guardarono con l'allegria con cui sempre lo avevano scrutato, un angolo della bocca rivoltò all'insù nonostante sapesse che nelle fototessere non si dovesse sorridere. Probabilmente non si era neppure pettinato i capelli quel giorno, le ciocche castane intrecciate in un ammasso scuro in contrasto con la parete bianca dietro di lui. Era da tanto che non lo guardava. Lo vedeva nelle foto appese all'ingresso, nella camera di sua madre e quella che aveva conservato nella sua stanza, dove stavano i due fratelli e il padre. Lo vedeva di sfuggita, non si soffermava mai a studiare il volto del ragazzo scomparso anni prima. Sapeva a memoria come fossero i tratti del suo viso, così come ricordava le espressioni di tutte le foto che avevano in casa che lo ritraevano. Quella non gli era mai parso di notarla. E lo stava guardando, osservando, imprimendosi nella mente quel sorrisetto provocatorio che aveva spesso indosso. Assomigliava molto ad Adam, forse fin troppo, e riconoscere in una persona ben due cari era insopportabile. Girò la foto, leggendo la data scolorita scritta a penna. Dodici anni fa, niente male. Abel la alzò fino al livello degli occhi, inchiodando lo sguardo a quello di Gabriel, come se si trattasse di una sfida: chi abbassa prima gli occhi perde. Abel vinceva spesso a quel gioco, perché Gabriel guardandolo si metteva a ridere. Quanto si erano voluti bene, e quanti se ne sarebbero voluti se fosse stato ancora lì. Ma avrebbe incontrato Cain? L'albino ripose la fototessera tra le prime pagine del libro, spostandola da dove si trovava prima, e riprese a leggere come se nulla fosse, portandosi le ginocchia al petto e appoggiandovi il volume. Con Gabriel se n'era andato un pezzo di lui, gli mancava terribilmente, ma no, se fosse stato ancora lì con loro non lo avrebbe incontrato.

    Odiava i luoghi rumorosi, e il chiasso senza motivo - il chiasso in generale, ad essere sinceri -, e anche che la gente lo guardasse. Era bravo a gestire le sue emozioni, ma guardandolo in viso si poteva benissimo leggere la più pura e profonda frustrazione. « Non sapevo che Hannah avesse un fanclub » decretò il rosso che lo precedeva verso gli spalti, mentre Abel cercava di trovare suo fratello Noah in mezzo alla folla scalmanata. Era appena entrato e già gli faceva male la testa, pazzesco. « Neanche io » gli rispose con poco interesse l'albino, e al contrario suo l'Omega sembrava aver preso quella notizia come un affronto. Sapeva che Hannah fosse popolare a scuola, ma non pensava fino a quel punto. Doveva essere brava, peccato che di basket non ci capisse assolutamente nulla, e non riusciva a seguire un'azione che già ne era cominciata un'altra, senza che lui se ne rendesse conto. Non riusciva a seguire la palla, era uno sport che non lo prendeva per niente. Cain cominciò subito a ringhiare appena notò gli sguardi del suddetto fanclub e delle cheerleaders sotto gli spalti, e Abel gli rifilò una gomitata nelle costole. Il suo tocco era alla pari di quello di un ragazzino senza muscoli, già lo sapeva, ma bastava per far capire al rosso che non era il momento. « Stai calmo, per l'amor del cielo » sbuffò lui, voltandosi per evitare occhiate indiscrete. Sapeva di attirare l'attenzione a causa del colore dei capelli, in più aveva vicino Cain che non solo era un bel vedere, ma sembrava volesse iniziare una rissa col primo che gli capitava. Noah li raggiunse poco dopo che la squadra della sorella entrò in campo, e subito si unì ai fischi e ai coretti che i ragazzi avevano iniziato ad intonare. Il piccolo, ancora in divisa scolastica, si sistemò tra i due Black Dogs, e gli venne spontaneo benedirlo e maledirlo allo stesso tempo. Stare lontano da Cain era, appunto, sia una cosa buona che non. Forse più buona, almeno si sarebbe potuto concentrare su ciò che accadeva in campo invece che sui bicipiti del giovane accanto a lui. - Cazzo - si passò una mano sul viso, stremato, per poi appoggiare i gomiti sulle ginocchia, e il mento sulle mani chiuse a pugno. Quanto avrebbe pagato pur di farli stare tutti zitti. Il basket era una pagliacciata americana, e la tifoseria aveva ripreso i loro modi di fare. Dentro di sé sperava finisse in fretta, ma in fondo era contento di vedere sua sorella lì, in campo, e vederla divertirsi. In fondo, era la sua passione, come quella del ragazzo lo erano i libri. Solo che lui non ci capiva un accidente, sperava che la sua presenza potesse bastare. Dopo il fischio d'inizio, fu tutto molto veloce, confusionario e fastidiosamente rumoroso. Le tempie gli pulsavano, e fu tentato molte volte di lasciar perdere e uscire fuori, aspettando che la partita finisse, ma lo sguardo di Hannah finiva sempre su di loro, e sorrideva. Era bella un bel po'. Ora capiva il motivo dell'esistenza di un fanclub. Era anche brava, forse aveva anche fatto un po' di punti. Forse, perché non lo aveva capito bene. Noah continuava a urlare e a ripetere che la squadra della moretta stesse effettivamente vincendo, ma a differenza degli altri due l'albino non incarnava affatto l'entusiasmo e la felicità che sembrava pervadere tutti i presenti. « Che palle » bofonchiò, e il fratellino lo udì, sorprendentemente. « Ma Hannah sta giocando benissimo! » ribatté, come se lo avesse offeso personalmente. « Non ho detto che gioca male, tonto » replicò l'altro, facendolo sbilanciare leggermente all'indietro poggiandogli un dito sulla fronte e facendogli pressione, « C'è troppo casino, e non capisco che stanno facendo » distingueva solo i colori sgargianti delle divise, poi la palla la perdeva di vista. Pensava ce l'avesse in mano una ragazza, invece nel frattempo quella l'aveva passata ad un'altra, che nel mentre si era avvicinata al canestro ma la squadra avversaria gliel'aveva rubata, e... Basta, sentiva di stare per esplodere. E tutta quella gente non aiutava. Si guardò intorno, e notò con piacere che tutti erano concentrati sulla partita. Tutti, tranne una ragazza. Intercettò il suo sguardo palesemente interessato a quattro sedie di distanza, e lui lo distolse subito. Attese pochi minuti prima di girarsi ancora verso di lei, senza essere troppo ovvio, e ancora lo stava guardando. Un brivido gli salì lungo la schiena, e si rimise a guardare davanti a sé. Gli dava fastidio, molto fastidio. Soprattutto lo sguardo di una donna. Lo mettevano incredibilmente a disagio, e quella là doveva smetterla. L'albino incurvò le spalle, tirando su il colletto del maglione fino al naso, finendo per deformarlo. Quand'è che finiva, quella pagliacciata americana? Fece un lungo sospiro, e dopo aver fulminato la ragazza con lo sguardo - che ancora lo guardava - rubò il posto del fratello minore che si era alzato per fare il tifo, quindi finì vicino a Cain. Mossa azzardatissima, lo riconosceva, lo stomaco aveva cominciato a dargli un fastidio immane, ma quegli sguardi gli davano fastidio, soprattutto ora che sapeva di non poter andarsene prima che la partita potesse definirsi ultimata. E vicino al fratello, beh, era tutta un'altra storia. Si sentiva al sicuro, ecco, un po' meno in balia di tutto quello che lo circondava. Anche se sapeva che non doveva assolutamente essere così. Guardò Cain in viso, grandissimo errore, perché i loro sguardi si incrociarono e Abel si ritrovò con un nodo alla gola. Aveva avuto davvero un'idea geniale. « Super tifoso, che sta succedendo in campo? » domandò, con il tono più neutrale di cui era provvisto in quel momento, e sembrò mascherare bene l'emozione. Il problema fu doversi avvicinare un po' per farsi sentire, e seppure i loro visi stessero ancora distanti, scoprì di non riuscire a sopportare quei centimetri che li dividevano. Era troppo, decisamente. Eppure restò lì, attento a non fare alcun passo falso. Ne aveva già fatti troppi.

    Cain Asriel Skriker
    La partita proseguì in cori da stadio e passaggi niente male tra le ragazze in campo, molto più agguerrite di quanto Cain si aspettasse. Guardò la prima azione, poi Abel, poi di nuovo Hannah, poi Abel. Si perse un canestro - forse anche due - insieme alla possibilità di sbraitare il nome della sorellina per sovrastare le urla del fanclub. Era solo curiosità. Voleva vedere quanto osasse la mocciosa vicino all'albino, non stava certo pensando di caricarselo in spalle per sottrarglielo, figurarsi. Sarebbe stato un comportamento altamente non-fraterno da parte sua. Noah si agganciò alla ringhiera per guardare di sotto, beccandosi un ammonimento da una coppia di genitori che borbottarono qualcosa sulla avventatezza dei giovani eccetera eccetera, finché Cain si sporse ad afferrarlo per la maglietta e tirarlo indietro di un paio di passi. Era raro che si ritrovasse a fare il baby sitter, visto che quel ruolo di solito spettava ad Abel, il responsabile della famiglia. Prima ancora di vederlo captò il suo odore, una nota fresca e pulita nel caldo della palestra, e lo guardò di traverso quando prese posto accanto a lui.
    « Super tifoso, che sta succedendo in campo? ».
    « Stiamo vincendo, però l'altra squadra va forte. »
    Spiegare il basket ad Abel era come inculcare nel cervello del rosso delle nozioni di fisica, inutile anche solo prendersi il disturbo, ma ammirava la devozione con cui fiancheggiava i fratelli appena ne aveva l'occasione. Gli indicò Hannah giusto nel momento in cui prese la palla, sfrecciando in campo fino a portarsi vicinissima al canestro. Noah si voltò verso di loro facendo segno di avvicinarsi, suggerimento che Cain accolse ben volentieri, trascinando con sé l'altro per una manica perché davvero, il rischio che venisse perseguitato di nuovo c'era e gli dava sui nervi. Sfortuna volle che tutta la tifoseria seduta sugli spalti ebbe la medesima idea, formando così una calca urlante che si strizzava contro le transenne per vedere più da vicino. - Adesso Abel ammazza qualcuno - pensò, conscio che non sopportasse il contatto umano né il casino in generale, e lì vi era una buona percentuale di entrambi. Si mise alle sue spalle a mo' di barriera, tenendolo lontano dagli spintoni mentre si reggeva al corrimano di ferro davanti a loro, una sorta di gabbia vivente. Quella procedura comportò l'essergli appiccicato, ovviamente, con i capelli bianchi premuti sulla guancia ed il profilo del collo a portata di morso. Splendido, una mossa degna del masochista che era. Cercò di trattenere il respiro per evitare che il suo profumo lo inebriasse al punto da perdere di vista il campo, grato che non potesse vedere di che colore erano diventate le sue guance. Sudava freddo e caldo insieme, preda di una mezza tachicardia.
    « Resisti, lupacchiotto. Tra un po' finisce il tempo. »
    Lo disse ad Abel e a sé stesso, soprattutto. Non riuscì a fare a meno di appoggiarsi a quella testolina morbida e scompigliata, sperando che il fratello desse la colpa agli spintoni della gente intorno. Aveva una gran voglia di staccare le mani dalla balaustra ed abbracciarlo, ma non voleva che Noah facesse domande o commenti in merito, ed ora li guardava decisamente stranito. « Vieni anche tu? » gli propose il rosso con un sorrisetto, e dopo un attimo di esitazione l'altro gli sgusciò sotto il braccio, ancorandosi ad Abel. « Che fortuna avervi qui! Oh, guardate Hannah! ». Stava facendo dei passaggi svelti con altre due compagne, e al canestro finale esultarono tutti e tre - Abel sotto costrizione - facendo impallidire il fanclub giù di sotto. Un fischio determinò la fine della partita, perforando le orecchie sensibili dei due Black Dogs insieme agli schiamazzi degli spettatori che sciamavano via dagli spalti. Hannah li aspettava nel corridoio accanto allo spogliatoio, tutta sorrisi ed ancora senza fiato. Cain la prese al volo quando si gettò fra le sue braccia. « Sei la degna sorella dei tuoi fratelli! » esordì, includendosi nella famiglia. Era davvero orgoglio di farne parte, seppur in senso lato. Alla proposta di rimanere per una festicciola post-partita si vide costretto a rifiutare, notando subito il sollievo sul viso di Abel. L'aveva strapazzato avanti e indietro per tutto il tempo, ed una vacanza non poteva definirsi tale se non vi era un po' di riposo in mezzo. E poi, cavolo, erano tutti più giovani di loro. Si sentiva un vecchietto in mezzo a teenager scatenati. Noah poteva permettersi benissimo di fare bisboccia con la piccola Gytrash - rientrava nel range d'età - quindi gli permise di restare, facendogli promettere di avvisare Sarah. Come ultimo step, Cain si prese il disturbo di fulminare ogni singolo esemplare di sesso maschile nelle vicinanze, soffermandosi sui tipi con gli striscioni. Avrebbero capito che con il fratellone non si scherzava.


    Non era una sua impressione: Abel crollava dalla stanchezza. In quello stato rispondeva solo a monosillabi ed iniziava a fare cose stupide, come inciampare in ostacoli invisibili o lasciarsi sfuggire le cose di mano. Mangiò una fetta minuscola della torta al limone preparata da Sarah, e si accorse a malapena della porta che sbatté appena la donna uscì per far visita ai vicini. Cain lo lasciò in cucina finché recuperava dei vecchi pantaloni da ginnastica ed una maglietta bucherellata - il suo personalissimo pigiama - riflettendo sul da farsi con lo spazzolino a pendere dalla bocca piena di dentifricio. Non poteva proporre il pub, rovina di entrambi, ma non poteva nemmeno rimanere solo con lui nella stessa stanza senza valutarne le conseguenze. Magari se si fingeva malato e scappava a letto c'era una remota possibilità che i cattivi pensieri si placassero, insieme al fuoco che gli bruciava dentro da giorni.
    - Nel letto in cui dormiamo tutti e due. - Maledizione. Quando tornò ad affrontare il fratello non aveva ancora un piano preciso in mente. Cosa facevano di solito in serate come quella? Nel senso, prima che Cain si accorgesse di essere effettivamente attratto da lui. Film. Potevano vedere un film mantenendo le distanze sul lungo divano del salotto. Geniale. « Ci guardiamo qualcosa? » propose, con le mani a rovistare nello scaffale dei dvd. « Si vede che non sei a casa spesso. Non c'è niente di palloso qui. Oh, Star Wars! ». La versione inedita di George Lucas, una trilogia che avrebbe indotto al sonno l'albino in poche scene. Metterlo k.o. pareva un buon piano di riserva, anche se era tanto pericoloso da sveglio quanto da addormentato. Doveva creare l'atmosfera giusta, con luci soffuse, una coperta e il volume non troppo alto, sperando che Sarah non lo svegliasse al suo ritorno. Appena Abel prese posto gli gettò un cuscino ed un pile morbidissimo che sapeva di Hannah, stringendosi contro il bracciolo opposto mentre trafficava con il telecomando. Che vi fosse qualcosa di strano era lampante: Cain, di norma, si acciambellava contro il fratello ed usava le sue gambe come poggia testa, in occasioni simili. Ora tra loro potevano sedersi altre due persone. - Tutto normale, tutto normale - si ripeté, fintamente concentrato sull'inizio del film. Dopo dieci minuti buoni slegò la benda dell'occhio sinistro e lo stropicciò per la stanchezza, cercando di riabituarlo al mondo esterno. Non aveva paura che qualcuno dei Gytrash vedesse quell'iride rossa attorniata dal nero più profondo, ed Abel ormai ci aveva fatto l'abitudine. Nella casa della sua famiglia adottiva si sentiva al sicuro, nessuno l'avrebbe giudicato. Oltre il basso sottofondo della televisione poteva sentire il respiro dell'Omega farsi pesante. Ogni tanto pareva sul punto di chiudere gli occhi, poi li riapriva e fissava lo schermo. Il gioco non durò molto, ed Abel era davvero esausto per combattere contro il sonno. Al termine de "La Minaccia Fantasma" sonnecchiava beato in un bozzolo di coperte.
    « Ora della nanna » bisbigliò appena il rosso, ripescandolo dal divano e prendendolo in braccio senza il minimo sforzo. Era dimagrito ancora. Con che cuore poteva trascurarsi così, sapendo che Cain era in ansia per lui ventiquattr'ore su ventiquattro? Che testone. Peccato che adorasse anche questo aspetto di lui, una delle tante qualità che lo rendevano unico ed inimitabile. Era talmente caldo e morbido... gli si sarebbe avvinghiato volentieri per quella ed altre notti, ma si era fatto una promessa, giusto? - Giusto. - Gli bastava lasciarlo a letto - il loro letto - e tornare nella parte del compagno leale e disinteressato. Niente di più facile. Indugiò sulla porta della stanza dopo averlo posato sul materasso, una parte che lottava per restare e l'altra per scappare. Trovò un compromesso, alla fine. Le labbra di Abel - lisce ed invitanti - non avrebbero mai ricordato quel bacio della buonanotte. Un contatto breve, appena accennato, ma pieno di significati. Quando si ritrovò a fissare gli occhi argentei del Black Dog, Cain pensò che Dio avesse davvero un pessimo senso dell'umorismo, ed iniziò a sudare freddo.
     
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    [ Abel Cyril Gytrash ]

    Lo faceva per Hannah. Sì, lo faceva per sua sorella. Era la sua partita di basket, lui era un fratello maggiore amorevole e avrebbe tifato per lei come tutti i bravi fratelli maggiori amorevoli. - Lo sto facendo per Hannah -, era ormai diventato il suo mantra, e se lo ripeté silenziosamente mentre l'ennesimo urlo della tribuna gli sfasciava i timpani. Era una diamine di partita tra scuole, possibile che gli amici e i familiari di quelle ragazzine facessero così tanto casino? Non erano ad un match dell'NBA, maledizione. Vedeva Hannah in campo che li salutava ed Abel le sorrideva di rimando, agitando timidamente la mano, perdendola di vista subito dopo in una marea di ragazze della sua stessa età - ovviamente quasi tutte con i capelli scuri come i suoi. « Stiamo vincendo, però l'altra squadra va forte. » Cain gli rispose tenendo lo sguardo sul campo, era evidente come ci capisse molto più di lui in fatto di basket, ed Abel buttò un occhio al tabellone dei punteggi. Troppi numeri che non sapevano cosa significavano - strano per lui, appassionato di roba scientifica com'era. Era ufficiale, non capiva un cazzo. Cain lo strattonò per indicargli sua sorella, alla quale avevano appena passato la palla, e si sistemò sulla sedia, deciso a non perderla di vista durante la partita. I suoi occhi erano fissi sulla ragazza dai capelli neri e la coda di cavallo, che era certo fosse Hannah, che si avvicinò in pochissimo tempo al canestro, scartando ogni avversaria. Quando era finalmente riuscito a seguirla per tutto il tempo, Cain lo fece alzare - la ferita allo stomaco bruciò intensamente per un momento, e lo stomaco stesso si attorcigliò su sé stesso facendogli quasi salire il vomito - e si incollò alle transenne insieme a lui e a Noah, che a sua volta era eccitatissimo e gridava a gran voce il nome della sorella. Sorrise impercettibilmente nel guardarlo, così felice, e riuscì ad individuare quasi subito i capelli corvini di Hannah. Era da così tanto che non viveva un pomeriggio in tranquillità, con i suoi fratelli - incluso Cain. Più osservava il sorrisone di Noah e come le compagne si stringevano attorno ad Hannah ogni volta che faceva punto, più era felice di essere lì, a Poulton-Le-Fylde, di essere parte di quella famiglia. E Cain... Beh, Cain era diverso. Cain si era inserito così bene tra loro che non ricordava come fosse vivere prima che lo conoscesse. Cain era sempre stato con lui, da quando ne aveva memoria. Come poteva innamorarsi proprio di lui, tra tutti? I suoi pensieri malinconici furono interrotti - per l'ennesima volta - dalla folla in visibilio, e Abel sibilò diverse imprecazioni tra sé e sé, trattenendosi per miracolo. Ecco, sarebbe stato davvero un pomeriggio in tranquillità, a parte tutto quel caos. Strinse forte il metallo freddo tra le dita, l'unico modo che aveva per non cadere quando la gente vicina a loro cominciava a darsi spintoni per vedere meglio, e cercò, ancora, di seguire Hannah per il campo. Appena la perse di vista - sapeva che sarebbe capitato, era solo questione di tempo - tentò di guardarsi alle spalle senza dare nell'occhio e, sì: la ragazza che prima lo osservava era ancora seduta lì. In quel momento non lo stava guardando, era indaffarata a cercare qualcosa nella borsa, e tirò un sospiro di sollievo, per quanto ancora non si trovasse a suo agio. Tra lo sguardo di quella tizia che si sentiva costantemente addosso, la folla urlante e il malessere all'altezza dello stomaco sentiva di stare per esplodere. La testa gli faceva male, le orecchie gli fischiavano, quasi gli sembrava di non riuscire a respirare. Voleva solo uscire a prendere una boccata d'aria. Cain arrivò come una manna dal cielo - e allo stesso tempo una maledizione: il ragazzo, forse vedendolo in difficoltà, si spostò dietro di lui, le braccia comunque attaccate al corrimano, come a fargli da barriera. Percepì il calore del petto di lui sulla propria schiena anche attraverso i vestiti, e gli sembrò di sentirsi meglio. Fece un paio di respiri profondi, appoggiando momentaneamente la testa sul braccio sinistro del ragazzo, e il suo profumo lo fece distrarre per qualche istante. Quello era il suo porto sicuro. Al riparo da sguardi insistenti e persone maleducate, si sentiva infinitamente meglio. L'improvvisa vicinanza di Cain gli fece anche battere il cuore all'impazzata, ma cercò di ignorare la cosa nel tentativo di seguire la palla. « Resisti, lupacchiotto. Tra un po' finisce il tempo. » Abel annuì, senza parlare. Stare lì, così, vicini, non gli dispiaceva. Peccato il continuo senso di colpa, che non lo lasciava un attimo. Per tutta risposta, l'albino sollevò le braccia fino a punzecchiare le guance di Cain con le dita, e quando il ragazzo si ribellò al suo tocco gli venne da sorridere. Aveva le mani gelide, effettivamente. « Vieni anche tu? » fece a Noah, poco distante, che, senza farselo ripetere due volte, sgusciò sotto le braccia di entrambi ed Abel, in un moto d'affetto, gli scompigliò i capelli. Noah si mise a ridere sguaiatamente e contagiò anche l'albino, che gli sorrise pacatamente di rimando. Sì, si sentiva al sicuro tra quelle braccia, come se davvero nessuno potesse fargli del male. Si sentiva meglio, si sentiva felice. Era quasi strano, dopo mesi bui e impegnati come quelli precedenti. Cain era sempre stato il suo raggio di sole. « Che fortuna avervi qui! Oh, guardate Hannah! » il fratello indicò loro Hannah, che attraversò il campo in sincrono con altre compagne fino ad arrivare al canestro e segnare un altro punto. Da quando Cain lo aveva circondato con il suo calore il mondo gli era sembrato un posto tranquillo e sopportabile, ma appena la palla entrò nella rete e cadde a terra, producendo un rumore sordo, grida di gioia ed esultanze varie si levarono dagli spalti dietro di loro, e Noah e Cain li seguirono a ruota facendo - se possibile - ancora più casino. Spesso malediva il suo udito super sensibile, soprattutto in occasioni come questa. Abel esultò a sua volta, molto meno sguaiatamente, e notò come sua sorella, appena fatto punto, cercò loro tra la folla: appena i loro sguardi si incontrarono Hannah esibì un sorriso largo e soddisfatto. Il fischio che annunciava la fine della partita lo fece trasalire e gli venne spontaneo coprirsi le orecchie, gli occhi chiusi in una preghiera disperata, mentre il pubblico scendeva piano piano dagli spalti. Mentre si avviavano verso gli spogliatoi per salutare Hannah, notò come diversi ragazzi e ragazze le si avvicinassero per congratularsi e come la guardavano. Doveva essere popolare, a scuola. La giovane Gytrash distribuiva sorrisi a tutti, come se non avesse corso ininterrottamente per quaranta minuti da una parte all'altra del campo con una palla di almeno mezzo chilo in mano. Hannah era fatta così: una parola gentile e una battuta li donava sempre a tutti, indistintamente, e a guardarla non poté che tornargli in mente Gabriel. Sicuramente sarebbe stato il classico fratellone geloso della propria sorella minore, carina e disponibile com'era. Anche suo padre, a vedere sua figlia circondata da ragazzi, avrebbe fatto una bella scenata di fronte a tutti, ne era sicuro. Quando la raggiunsero la maggior parte del suo fan club se n'era andato e i tre ragazzi ne approfittarono per farle i complimenti. Hannah si gettò immediatamente tra le braccia di Cain e Noah esultò al loro fianco, mentre Abel si teneva in disparte. Gli sembrava quasi di rovinare un perfetto quadretto familiare. « Sei la degna sorella dei tuoi fratelli! » gridò, e Hannah rise rumorosamente, abbracciandolo ancora più forte. « Sono così contenta che siate venuti! » la ragazza non smetteva di sorridere e strattonò anche Noah, che affondò il viso nella sua divisa da basket, intrisa di sudore. Hannah cercò con gli occhi anche Abel, che gli sorrise timidamente, e si convinse ad avvicinarsi alla combriccola. « Sei stata brava, complimenti » gli fece, facendole segno con la mano di non abbracciarlo - a parte il sudore, la ferita gli faceva ancora male - « e parecchio veloce, non si riusciva a starti dietro » sorrise impercettibilmente, e Noah non cercò neanche di nascondere una risatina. « Dillo che non riuscivi a seguirla perché non capivi assolutamente nulla ». Abel gli diresse uno sguardo alquanto scocciato, ma i tre giovani ridacchiarono all'unisono. « Tra poco c'è una festa per festeggiare la vittoria, in un container qui vicino. Volete unirvi? » fece lei, ed Abel non nascose il suo desiderio di tornare a casa, nascondendo metà viso nel collo del maglione. « Io sono stanco, andate pure senza di me » disse subito, e Noah si intristì appena finì di parlare. L'albino alzò gli occhi al cielo di riflesso. « Sì, puoi restare, glielo dico io alla mamma ». Noah esultò, Hannah con lui, ed entrambi promisero di tornare ad un'ora decente. Abel proprio non se la sentiva di rimanere a fare festa e per fortuna - e sorprendentemente - Cain fu della stessa opinione: era stanco, stanchissimo, la ferita aveva bisogno di medicazioni e desiderava solo buttarsi sul letto e rialzarsi domani mattina. Sul tardi, preferibilmente. Salutò Hannah e Noah con un cenno della mano, mentre osservava Cain fulminare ogni ragazzo che sembrava volersi avvicinare a sua sorella una volta che loro due fossero andati via. Gli venne da sorridere, trascinandolo per la giacca per fargli capire che stava esagerando. Che vita sarebbe stata, la sua, senza quello scalmanato di Cain?

    • • •

    Capì che era davvero stanco quando si scordò quante scale c'erano davanti alla porta di casa ed inciampò sull'ultimo gradino, rischiando di finire con la faccia a terra e qualche dente in meno. Cain lo riacciuffò giusto in tempo, e una volta entrato in casa salutò la madre con un bacio fugace e si sedette sul divano, scivolando lentamente verso il basso, fino ad appoggiare la testa sulla parte alta dello schienale. Gli occhi gli si chiudevano da soli, ma al contempo la ferita bruciava talmente tanto da tenerlo sveglio. Aiutò sua madre e Cain ad apparecchiare, e per cena riuscì a mandare giù solamente una fetta sottile di torta al limone. E pensare che andava matto per i dolci. Sarah gli consigliò di andare subito a dormire, affidandolo a Cain prima di uscire per andare a far visita ai vicini. Abel neanche sentì la porta chiudersi mentre cercava nel borsone la pomata che avrebbe dovuto spalmare sulla cicatrice e le pillole da prendere prima di andare a dormire. Rischiò di scambiare le medicine della sera con quelle della mattina e con uno sforzo immane si diresse nella propria camera per infilarsi il pigiama, per poi riscendere al piano terra. Pensava di trovare Cain stravaccato sul divano, come tutte le sere, a fare segno di avvicinarsi, ma non c'era. Forse era di là e non lo aveva notato. Si strofinò gli occhi, stremato, e si sistemò sul divano in attesa dell'amico. Voleva almeno sapere cosa aveva intenzione di fare prima di augurargli la buonanotte, ma non se la sentiva di lasciare quei cuscini morbidi alla sua ricerca in giro per casa. Dov'era sua madre, a proposito? La chiamò a gran voce, ma nessuno gli rispose. Si ricordò dopo che era uscita per andare a trovare i vicini, i coniugi Rubadue, e si avvicinò le ginocchia al viso, nel tentativo di trattenere un po' di calore anche senza coperta. Questo significava che erano a casa da soli. Non che potesse capitare chissà cosa, ma per qualche motivo l'albino si emozionò all'idea, e al solo pensiero tentò di calmarsi appoggiando la fronte sulle ginocchia. Tanto aveva un sonno atroce, non sarebbe comunque riuscito a godersi il tempo speso con Cain senza nessuno a disturbarli. Magari potevano bere un tè insieme, o guardare un po' la tv rannicchiati sul divano, o parlare un po' sotto le coperte e scivolare nel sonno senza accorgersene. Cose che facevano sempre, ma bastava averlo intorno. Eppure, perché non desiderava altro che Sarah tornasse il prima possibile? Abel sospirò, i soliti pensieri negativi che affollavano la sua mente, distruggendo ogni cosa che potesse renderlo vagamente felice. Voleva solo non essere innamorato di un ragazzo che lo avrebbe considerato per sempre suo fratello minore, alla stregua di Hannah e Noah. Avrebbe voluto essere davvero innamorato di Raphael, in modo da evitare ogni complicazione, ma lui non rendeva facile la cosa non cercandolo e rispondendo a monosillabi ogni volta che lo sentiva. Controllò velocemente i messaggi, ma nella cronologia messaggi che si erano scambiati i due da quella mattina figuravano solo due nuvolette: "Buongiorno", da parte di Raphael, e "Ehi, come va?", la risposta di Abel. Da lì, silenzio. Sospirò nuovamente, chiudendo la chat e appoggiando il telefono a testa in giù sul cuscino. La risposta era così semplice, lo sapeva, ma non poteva accettarla. Non sembrava la cosa giusta da fare. E se anche Cain lo avesse ricambiato - e chi se lo scordava quel bacio in infermeria? -, cosa avrebbe potuto dargli in cambio? Era sempre lui quello più debole, sempre lui quello noioso. Lo era sempre stato. Cain era gioia, era esagerazione, era caos. Non poteva chiedergli più di quanto non gli stesse già donando. Non erano fatti per stare insieme, non come lui avrebbe voluto. « Devo smetterla » bofonchiò, ad occhi chiusi, la fronte di nuovo sulle ginocchia, in attesa che il fratello lo degnasse della sua presenza. Quanto avrebbe voluto smettere di pensarci, sul serio. Immaginare Cain a tenergli la mano, a guardarlo come se al mondo ci fosse solo lui, a baciarlo teneramente, poi con passione, a mettergli le mani sotto la maglietta, tra i capelli - avrebbe dato qualsiasi cosa. « Ci guardiamo qualcosa? » la voce del rosso gli fece alzare il viso, riportandolo sul pianeta Terra. Il ragazzo era già a cercare qualcosa tra i dvd che avevano in casa, ed Abel acconsentì con ben poca convinzione. Era stanco, ma almeno erano insieme. Cain alla fine decise per Star Wars e l'albino condivise la scelta: quella saga era una delle sue preferite, anche se era certo che non sarebbe riuscito a reggere per l'intera durata del film. Cain gli passò un cuscino ed una coperta pesante, che si buttò subito addosso. Sistemò il cuscino sulle sue gambe - il fratello finiva sempre per addormentarsi con la testa sulle sue cosce - ma, con sua grande sorpresa, Cain si andò a sedere all'altro capo del divano. Tra di loro sarebbero potuti benissimo sedersi l'intera famiglia Gytrash. Abel lo guardò stranito mentre l'altro armeggiava con il telecomando alla ricerca del comando per far partire il film, senza girarsi verso di lui neanche per sbaglio. « Sei sicuro di star bene? » gli fece, un lieve tono canzonatorio, ma non ricevette risposta dato che la colonna sonora del film partì in quell'esatto momento. L'albino, con un sospiro, prese il cuscino e lo strinse tra le braccia, sotto la coperta, domandandosi che diavolo fosse preso a Cain per comportarsi in quel modo, tutto d'un tratto. Era tentato di fermare il film e affrontare il discorso senza tanti complimenti, ma non riusciva a seguire la pellicola, figurarsi una discussione. Non riusciva proprio a tenere gli occhi aperti, e mentre il film si avviava verso la conclusione cadde definitivamente nel mondo dei sogni. Gli mancava il calore di Cain vicino a sé, doveva ammetterlo: si sarebbe addormentato molto più in fretta e con meno pensieri.

    • • •

    Il momento in cui Cain lo poggiò sul lenzuolo freddo del letto in cui avevano dormito fin da piccoli, dopo averlo sollevato dal divano sul quale si era addormentato, Abel si rese conto di essere, appunto, nel letto. Non aprì gli occhi, deciso a voler continuare a dormire come aveva fatto fino a quel momento. Udì i passi leggeri del ragazzo avviarsi verso la porta, e nel dormiveglia si chiese come mai non si fermasse anche lui a dormire lì. Forse lo odiava. Sì, insomma, freddo e scostante com'era. Oppure si era ricordato del bacio in infermeria e si vergognava. Forse si era pentito di averglielo dato, perché per lui Abel non voleva dire niente. Forse si era stancato di prendersi cura di lui. Forse -
    Dormiveglia o meno, le labbra di Cain sulle sue le sentì benissimo. Spalancò gli occhi, giusto per assicurarsi che quello che stava succedendo fosse vero. Non aveva il coraggio di toccarlo per assicurarsi che quello non fosse un segno. La testa era leggera, assente, come se, appunto, si fosse appena svegliato. Non capiva bene costa stesse succedendo, ma allo stesso tempo sapeva che Cain lo stava baciando. Lo stava baciando. Quando gli occhi chiari di Abel incrociarono l'unico sano di Cain fu terribile. Il rosso sembrava voler scappare via, mentre l'altro avrebbe voluto porgli una marea di domande, ma non riusciva a collegare il cervello alla bocca. Che cazzo era appena successo? Il cuore gli batteva all'impazzata, si sentiva la gola secca, e nonostante fosse sdraiato sul letto si sentiva le gambe debolissime. « Cain » chiamò piano il suo nome, perché non era ancora sicuro stesse accadendo davvero. Si portò una mano alla bocca, e fece un respiro profondo. Lo sguardo vagava sul suo viso, non riuscendo a smettere di guardarlo. « Cos'era - Cos'era quello? ». Si tirò su a fatica, lentamente, aiutandosi con le braccia. Le parole gli morirono in gola, e temeva seriamente che il suo cuore battesse così sonoramente che Cain potesse udirlo. L'aveva baciato di proposito? Cioè, gli piaceva? Ma fino a poco fa sembrava volere prendere le distanze, non capiva. Il suo era solo amore platonico, non mancava mai di rimarcare quanto fosse grato di essere suo fratello. Erano sempre stati fratelli, nulla di più. Non poteva ricambiare i suoi sentimenti, sarebbe stato sbagliato, sarebbe stato sprecato. Ma non voleva che andasse via. Non voleva che lo abbandonasse. Voleva solo sentire dalle sue labbra il motivo di quel gesto, perché sembrava così semplice, ma non capiva, non se ne capacitava. O forse era lui a non voler capire. Si sentiva come alla partita di basket di quel pomeriggio: non capiva un cazzo. Abel afferrò il lembo della maglietta del ragazzo, come a volerlo pregare a rimanere. Non poteva evitarlo, non dopo quel che era successo. « Perché prima ti metti a metri di distanza da me, e poi mi baci? » gli chiese, aggrottando le sopracciglia. Dalla voce sembrava essere sul punto di piangere, ma non si sentiva gli occhi lucidi. Tutto quel casino lo stava mandando fuori di testa. Ora sentiva il bisogno di baciarlo di nuovo, senza necessitare di spiegazioni. A Raphael non pensò neanche per un attimo. Erano solo loro due, in casa, da soli. « Perché » cominciò, ma si interruppe per guardarlo ancora negli occhi. Passò alle labbra, le stesse che l'avevano sfiorato quella sera, e strinse il tessuto della maglietta di lui tra le dita. « Perché non ci capisco più un cazzo? » sussurrò tra sé e sé, poggiando la testa sul petto di Cain. Quella era la definizione migliore del suo stato mentale in quel momento, e non sapeva perché stesse reagendo così. Sentiva tutto - battiti accelerati, stomaco sottosopra, la gola secca, il cervello in panne, le gote in fiamme, toccava il cielo con un dito - e nulla allo stesso tempo. Era arrabbiato con sé stesso, con Cain, con Dio, se esisteva. Sollevò ancora lo sguardo, il viso vicino a quello di Cain. Avrebbe tanto voluto baciarlo, troppo, avrebbe voluto passare le dita tra i suoi capelli e togliergli quella maledetta maglietta che aveva sempre odiato - piena di buchi, cosa la teneva a fare? Avrebbe voluto urlargli in faccia che lo aveva sempre amato, che Raphael doveva fargli passare quella tremenda cotta che si era preso per lui, che non aveva mai amato nessuno se non lui. Eppure, lo guardava negli occhi e tutto si spegneva. Non sapeva cosa dire, nonostante avesse l'imbarazzo della scelta. « Mi hai mandato in pappa il cervello » rise piano, ma aveva paura. Aveva paura cosa quel bacio gli aveva provocato, aveva paura dell'effetto che Cain gli faceva. « Ti prego, dimmi una volta per tutte cosa sono io per te. Almeno mi metto l'anima in pace ». Detto da una creatura infernale faceva quasi ridere, ed Abel continuò a guardarlo dritto negli occhi. Non lo avrebbe lasciato scappare stavolta, e lui era bravo in quel gioco. Non abbassava mai lo sguardo per primo. Cain gli avrebbe detto che lo vedeva solo come un fratello, lui avrebbe fatto pace con i suoi sentimenti e sarebbe tornato tutto come prima. Avrebbe perfino dimenticato il bacio in infermeria, il suo più grande tesoro. - e smetterò finalmente di sperare invano -

    « Parlato » - Pensato -

    Alpha Omega Black Dog - 19 anni - scheda
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    Edited by altäir - 27/3/2020, 13:32
     
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    Rimase immobile, completamente pietrificato, finché il panico del suo sguardo si rifletteva negli occhi esterrefatti di Abel. Uno scatto e fu subito in piedi, con la bocca nascosta nella piega del gomito e le gambe traballanti come quelle di un cerbiatto appena nato. - E adesso... E adesso? -. Non si era preparato nessuna brillante scusa, perché fino ad un secondo prima era convinto che non gli servissero. Ora la realtà dei fatti era lì, aleggiava tra loro, e non aveva parole. Sentir chiamare il proprio nome ebbe l'effetto di un proiettile in pieno petto, gli tolse quel poco di respiro rimasto e fece un passo indietro, sconvolto dalla sua stessa stupidità. Ovvio che se ne fosse accorto, maledizione. Aveva il sonno leggero e dei dannati sensi di lupo. Quelli come loro non si prendevano alla sprovvista. Mai. Era stato un gesto istintivo, forse addirittura voluto. Forse desiderava che Abel si svegliasse e capisse che faceva sul serio, in modo da mettere fine a quell'inseguimento. Forse doveva uscire a prendere aria.
    « Cos'era - Cos'era quello? ».
    Cain fece per rispondere, ma gli uscì solo un guaito spezzato. Gli prudeva la pelle e i canini si facevano più appuntiti dietro le labbra serrate. Il Black Dog scalpitava per uscire e non sapeva perché. Non sapeva niente. Non capiva niente. Faceva caldo ma sudava freddo. Doveva chiudere la questione prima che il silenzio diventasse una risposta.
    « Perché prima ti metti a metri di distanza da me, e poi mi baci? ».
    Abel era spietato, sconvolto. Non si guardavano negli occhi così a lungo da quando Raphael si era intromesso nelle loro vite.
    « Abel, ascolta. Dammi un attimo, devo - ».
    « Perché ». Lo afferrò per la maglietta e lo ebbe completamente in pugno. Il magnetismo di quelle iridi argentate lo costrinse a non abbassare mai lo sguardo, anche se avrebbe tanto voluto farlo. Si vergognava di sé stesso.
    Inspirò a denti stretti appena Abel lo attirò a sé, poggiandosi sul suo petto con aria sconfitta. Ah certo, lui non capiva un cazzo, invece Cain era padrone della situazione, aveva tutte le soluzioni in tasca. D'altronde era talmente facile ragionare con il fratello così vicino che non poteva essere altrimenti. Mise le mani sulle fragili spalle di Abel per cercare di allontanarlo, eppure non fece nessun tipo di pressione. Rimase con le unghie conficcate nella carne, concentrato sul tenere a bada gli artigli ed un gorgoglio sinistro che gli ribolliva in gola.
    - Respira, Cain. Respira. - si disse, mentre Abel abbatteva ogni barriera ed arrivava dritto al suo cuore con quella risatina disperata, come se fosse certo che si trattasse di uno dei suoi soliti scherzi.
    « Dico sul serio, rischio di farti male » tentò di nuovo, con una voce troppo greve per essere fraintesa. Però non gli stava rispondendo, ed Abel non lo avrebbe lasciato andare. Improvvisamente stavano giocando alle regole del fratello, intenzionato a farlo impazzire.
    « Ti prego, dimmi una volta per tutte cosa sono io per te.
    Almeno mi metto l'anima in pace. »

    Per l'ennesima volta quella notte, spense il cervello. Una mano si spostò dietro la schiena ossuta, l'altra afferrò la nuca e si arpionò ai capelli bianchi, costringendo Abel ad incontrare la sua bocca. Era così tante cose per lui. Il sole del mattino, la luna piena, l'ossigeno nei polmoni, l'appiglio quando rischiava di cadere. Dimenticò l'abituale delicatezza con cui lo toccava di solito, spingendolo contro il materasso che odorava di entrambi. « Sei... sei tutto » disse con il fiato corto, tra un bacio e l'altro, per permettere ad entrambi di riprendere aria. « Sei quello che ho sempre voluto, ma non potevo avere. »
    Gli sfilò la maglietta del pigiama con uno strattone impaziente, e nemmeno ricordando la medicazione sullo stomaco riuscì a darsi un contegno. Non ci vedeva bene, il campo visivo era sfocato attorno alla faccia arrossata di Abel, come se lui fosse l'unica cosa importante. Erano appena emersi gli occhi del Black Dog, quelli fatti per la caccia, fissi sulla preda ingabbiata sotto al ragazzo. Lo voleva divorare, e con quella precisa intenzione ne assaggiò il sapore, facendo scorrere la lingua dallo sterno fino al collo, sulla giugulare, dove chiuse i denti quel tanto che bastava per lasciare il segno. Poteva fare qualsiasi cosa. Ormai era uscito allo scoperto, nessuna scusa a giustificare le sue azioni. Rimase sospeso sopra le labbra di Abel, guardando il capolavoro che era.
    « Senza di te posso anche morire. »
    E per evitare un rifiuto scese nuovamente su di lui, avvinghiato a quel corpo fragile che lo scaldava come un incendio.
    Aveva rovinato qualcosa coltivato con cura per anni, che non sarebbe mai più tornato come prima. Loro non erano gli stessi ragazzi entrati in quella casa di campagna la mattina stessa, né quelli che litigavano al quartier generale. Erano qualcosa di nuovo su cui nessuno avrebbe mai scommesso.

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    ccadde tutto in meno di un secondo, o almeno gli parve che Cain fosse tornato sulle sue labbra appena ebbe finito di parlare. Non era stato in grado neanche di capire cosa stesse succedendo: il ragazzo lo avvicinò a sé, facendogli capire che non aveva alcuna via di scampo, e in un attimo lo baciò, di nuovo. Abel fu preso alla sprovvista e trattenne momentaneamente il fiato, giusto il tempo di tentare di capire cosa stesse succedendo. Non riusciva a pensare a nulla di sensato mentre chiudeva gli occhi di scatto, impulsivamente, ricambiando il bacio che via via si faceva più intenso. Era diverso dal bacio che Cain gli aveva dato in infermeria la sera dopo la fatidica missione di Halloween: intanto non era ubriaco, e ciò si rifletteva nel modo in cui lo toccava. Quello non era un bacio dettato dall'alcol, non era maldestro e non sapeva neanche lontanamente di birra. Quel bacio glielo stava dando nel pieno delle sue facoltà fisiche e mentali, e premeva per averne sempre di più. Era avido, era affamato, ed Abel quasi non riusciva a stare al suo passo. Ma lo desiderava come non aveva desiderato nulla prima, e non ci volle molto prima di decidere di abbandonare ogni freno inibitore e lasciarsi trasportare dall'euforia del momento. Ad occhi chiusi, gli sembrava di aver perso la cognizione del tempo e di aver staccato momentaneamente il cervello. Se Cain si fosse staccato in quel momento e gli avesse chiesto il suo nome, probabilmente avrebbe dovuto pensarci qualche secondo prima di rispondere, inebriato dal suo odore com'era. I due finirono sul materasso del letto che avevano condiviso fin da bambini, senza alcuna malizia, ma santo cielo, quel bacio era meglio di ogni fantasia avuta fino a quel momento. « Sei... sei tutto ». Cain glielo disse tra un bacio e l'altro, tentando di riprendere aria ma sprecandola sussurrandogli parole che mai avrebbe pensato potesse sentir uscire dalle sue labbra. Era convinto che in ogni suo gesto, in ogni suo tocco, in ogni suo sguardo era racchiusa l'essenza di quelle frasi, che quindi gliele aveva ripetute infinite volte ma lui non era riuscito a captarle, troppo occupato a cercare di eliminare quei sentimenti che reputava sbagliati. In quel momento non lo sembravano, neanche lontanamente. Tutti i dubbi che si era fatto fino ad allora parvero insignificanti e immotivati appena riascoltò la voce di Cain, a pochi centimetri dal suo viso, e si accorse che i suoi occhi erano mutati in quelli da Black Dog: non umani, ma messaggeri degli inferi. E se all'inferno ci fossero dovuti andare comunque, tanto valeva rimanere aggrovigliato a quel corpo per tutta la vita. Lo stomaco era un casino, gli faceva male, il petto gli ardeva, le dita di Cain quasi gli tiravano i capelli, ma si beava di quelle sensazioni mentre il fratello gli sfilava la maglietta di fretta, per poi tornare a baciarlo subito dopo. E pensare che qualche minuto prima lo aveva adagiato sul letto attento a non svegliarlo, ed ora si impadroniva delle sue labbra senza alcuna delicatezza. Anche per lui Cain significava tutto, era sempre stato vicino a lui, nel bene e nel male, e non gliel'aveva mai detto come il rosso stava facendo ora, non aveva mai osato tanto. Non gli aveva mai detto che sperava sempre ci fossero dei temporali notturni, in modo da ritrovarselo nel letto; non gli aveva mai detto che custodiva nel cuore le loro serate a bere, come non gli aveva mai detto che avrebbe sempre voluto fermarlo quando lo vedeva uscire da solo, perché sapeva che sarebbe tornato nella propria camera in compagnia di qualcuno che non fosse Abel, e che ancora si ricordava l'odore di pioggia del giorno in cui l'aveva visto la prima volta. Le dita della mano sinistra dell'albino si intrecciarono alle ciocche rosso sangue di Cain, mentre l'altra salì fino alla sua guancia, arrivando infine alla nuca per fare pressione. Tutti i suoi sforzi per dimenticarlo stavano andando in fumo mano a mano che le mani calde di Cain lo esploravano, tutto quel tempo passato a maledirsi per essersi innamorato di un uomo che non lo avrebbe mai ricambiato gli sembrò sprecato, quando avrebbe potuto benissimo baciarlo in quel modo fin dal principio. Si sentiva così bene, così libero, e quando avvertì la lingua del ragazzo scorrere fino alla gola gli sembrò di impazzire. - Oh, porca puttana. - imprecò tra sé e sé, senza che Cain potesse ascoltare che effetto gli provocava, ma sicuramente poteva immaginarlo. Quasi si vergognò di farsi vedere così da qualcuno: senza difese, totalmente invaghito e con la mente annebbiata, ma era lui, finalmente. Era di Cain che si trattava, e solo Dio sapeva quante volte aveva sognato trovarlo sopra di sé, a baciarlo fino a fargli mancare l'aria, e la luce del corridoio che entrava dalla porta socchiusa ad illuminarlo in parte. Per un istante si chiese se davvero gli aveva detto che era tutto per lui, ma la voce roca del fratello gliene diede conferma. « Senza di te posso anche morire. ». Il cuore saltò un battito e se lo sentì in gola mentre i suoi occhi vagavano sul quel viso che tante volte aveva ammirato ma non aveva mai visto così famelico. Percepiva i suoi tremolii - stava forse trattenendo la bestia infernale? - e i gorgoglii che gli morivano in gola ogni volta che lo baciava, e si rese conto che fino a quel momento era stato in silenzio - fatta eccezione per qualche gemito ogni tanto, non era riuscito a rispondere in modo decente. Non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto, non si era mai immaginato nessuna dichiarazione in grande stile perché non pensava che quel momento sarebbe mai arrivato. Ed ora come non mai aveva desiderato avere la lucidità e l'ardore di dirgli che Cain, per lui, era il sole, la luna, tutte le stelle, meglio di ogni saggio di fisica che aveva letto. Si limitò a guardarlo, la vista appannata, e lui la cosa più bella dell'intero universo, in attesa che il cervello gli suggerisse qualcosa di sensato da dire. Cain non gli diede il tempo di far nulla che fu ancora sulle sue labbra, stringendolo come se potesse scappare, con una forza che gli fece mancare il fiato, il calore del corpo del rosso sul suo petto nudo e attraversato da continui brividi. Le dita di Abel scesero all'altezza delle spalle dell'altro, stringendo la maglietta per tirarlo verso di sé, per fargli capire che non doveva azzardarsi a staccarsi. Lo desiderava, ora più che mai, e sperava solo che fosse riuscito a farglielo capire, senza bisogno di troppe parole, con le quali l'albino non aveva mai avuto molta dimestichezza. Aveva una paura folle che tutto quello finisse, che all'alba Cain non fosse rimasto a dormire con lui, e non poteva permettersi di sprecare un solo attimo di quel momento magico. I due si staccarono momentaneamente per riprendere fiato, ed Abel tentò di rimettere in ordine i pensieri nonostante quegli occhi e il respiro affannoso del ragazzo lo mandassero su di giri. « A saperlo, ti avrei baciato molto prima » fece, sorridendo timidamente, « Sei tutto ciò di cui ho bisogno », lo disse in un sospiro quasi vergognandosi, e alzò leggermente il collo per catturare, per l'ennesima volta quella sera, le labbra di Cain, cingendo la sua schiena con le braccia e portandolo giù con sé, perché sentirlo vicino era diventato vitale, mentre le mani si infilavano sotto la maglietta - che gli avrebbe strappato volentieri, a dirla tutta, senza tanti complimenti. Più lo baciava, più si chiedeva cosa lo avesse trattenuto fino a quel momento: la paura di un rifiuto, Raphael, il fatto che fossero cresciuti insieme e che lui avesse sempre dei partner di cui, presumeva, si invaghiva, erano tutte grandissime cazzate. Non seppe quanto tempo passò prima di staccarsi ancora, ma aveva sperato non arrivasse. Lo voleva solo per sé, e l'improvviso pensiero che qualcuno lo avesse toccato prima di lui gli fece salire il sangue alla testa. A sua volta, fece passare la lingua dalla clavicola di Cain alla base del collo, mordendolo dove un maglione, i giorni a seguire, avrebbe potuto nascondere il misfatto. Si staccò da lui con un sorriso trionfante, passandosi la lingua sulle labbra, e posò un altro bacio intenso sulla bocca del rosso, ormai conscio che fossero arrivati ad un punto di non ritorno. Il diavolo in persona avrebbe potuto benissimo richiamarlo a sé in quel momento, non gliene importava, non avrebbe avuto alcun rimpianto. « Cazzo, mi sento un idiota » disse ridacchiando, appena i due si concessero un'altra pausa - che sapeva sarebbe durata pochi secondi. Abel percepiva come Cain si stesse trattenendo, con le iridi dello stesso colore del fuoco e i canini che gli sfioravano il labbro inferiore, e anche lui stesso non si stava impegnando troppo a nascondere il fatto che volesse ricominciare il più presto possibile. « Ho cercato di vederti sotto un'altra luce per tutto questo tempo, e alla fine » la frase venne spezzata a metà da un dolore lancinante allo stomaco, e gli mancò il fiato. Fece cenno a Cain di aspettare mentre la mano correva a controllare la ferita, che in quel momento bruciava quanto le fiamme degli inferi. Deglutì, accartocciandosi su sé stesso - o almeno, quanto si poteva permettere dato che Cain gli limitava i movimenti - e imprecando in lingue ancora sconosciute. La pelle gli prudeva e non gli sembrò che la cicatrice gli avesse mai fatto così male come in quel momento da quando lo avevano dimesso dall'infermeria dei Marauders. Doveva darsi una calmata, perché quella scarica di adrenalina non gli aveva fatto bene a quanto pare, ed era come se la bestia che albergava in lui scalpitasse per uscire. « E' tutto a posto » fece dopo un paio di minuti, respirando piano, mettendosi a sedere a fatica, la faccia scocciata di chi era stato interrotto sul più bello. Aspettava quel momento da una vita, e ovviamente la sfiga doveva colpirlo. « Qualcuno ci avrà mandato qualche maledizione » alzò il viso verso l'alto in cerca di aria, mentre il dolore si attenuava pian piano. Ora Cain non l'avrebbe più sfiorato per l'eternità, lo sapeva. « Non è colpa tua » disse subito, onde evitare che si sentisse in colpa perché, per una volta che non lo aveva toccato con le dovute attenzioni, era finita così, « Sono io che ho sfiga » sospirò, facendo cenno a Cain di avvicinarsi, mentre un brivido gelido gli saliva lungo la schiena. Rimanere a petto nudo senza il fratello a riscaldarlo, seppur per pochi minuti, era stata una pessima idea, e sperava solo di non svegliarsi con il raffreddore il mattino dopo, dato che nelle camere da letto l'impianto di riscaldamento non funzionava granché bene. « Che palle » sbuffò sonoramente, senza nascondere il nervosismo, mentre si accostava al ragazzo, con l'intento di chiedergli un abbraccio, ma esitò. Lo guardò per qualche secondo, chiedendosi se davvero sarebbe riuscito a smettere di pensare che non si meritava tanto affetto. Il suo amore, a quanto pareva, era ricambiato, perché continuava a far sì che degli insulsi dubbi si insinuassero nella sua mente e rovinassero ogni cosa? Serrò le palpebre, tentando di scacciare quei pensieri, avvicinandosi a Cain fino a quando non fu tra le sue braccia, e vi si accoccolò, come ai vecchi tempi, le ginocchia al petto nel tentativo di nascondere l'eccitazione e farsi più piccolo possibile. Gli sembrò che si fossero trattatati a vicenda come due innamorati, ma se ne fosse reso conto solo ora. Cain lo abbracciava di continuo - ed Abel non si lamentava -, dormivano spesso insieme, si proteggevano a vicenda e conoscevano tutto l'uno dell'altro: effettivamente, mancava solamente un bacio - uno serio, dato da sobri.
    « Come » disse, ma si interruppe subito dopo, e arrossì di botto. Sospirò impercettibilmente, perché vergognarsi adesso non aveva alcun senso.
    « Com'è stato? » domandò, appoggiando la testa sulla spalla del rosso, tentando di nascondere in parte il viso in fiamme. Ora aveva inaspettatamente caldo, e il dolore alla ferita non riusciva a farlo respirare regolarmente. « Non te la cavi male coi baci » ridacchiò di nuovo, un enorme peso sulle spalle che stava scomparendo, e alzò lo sguardo verso il viso di Cain, e la poca distanza che c'era fra di loro gli fece ripercorrere con la mente i baci di poco prima. Toccava il cielo con un dito, tanto si sentiva leggero e senza pensieri. Si sentiva in grado di fare qualunque cosa, come parlare a sproposito, sorridere un po' di più - fino a quel momento era stata un'impresa - e anche, finalmente, lasciare Raphael una volta per tutte, perché quella storia non era mai davvero cominciata, ma accantonò velocemente il pensiero appena sistemò il viso nell'incavo del collo di Cain, che sembrava essere stato fatto su misura per lui. « Da quando non sono più solo un fratello, per te? » chiese, interrompendo quel silenzio confortevole e in cui si stava crogiolando, il respiro che si stabilizzava lentamente e il battito del cuore di Cain in sincronia col suo. « Sai, pensavo di rimanere confinato nella brotherzone in eterno ». Meno male che erano da soli, e che la visita ai coniugi Rubadue si stava protraendo più di quel che pensava.
    « omega black dog / 19 y/o / eye of the past »

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    Era sempre stato così, fin dalla prima volta in cui aveva posato gli occhi su di lui: un calore al petto, una sensazione nostalgica che gli inumidiva gli occhi per un istante, e l'irrefrenabile voglia di corrergli incontro. Da bambino spiegava quel legame con la parola fratello perché amico era riduttivo, era solitario. Un termine che aveva fatto suo in mancanza d'altro, e che ora sentiva svanire mentre le mani di Abel lo cercavano, fresche contro la sua pelle bollente. Si adattava così bene a lui, lo seguiva in quella follia e si fidava dei suoi gesti, assecondandolo anche troppo. Cain non era stato addestrato all'autocontrollo, poiché i Beta erano la carne da cannone del branco e il più delle volte dovevano agire d'istinto, senza fermarsi a pensare, invece Abel teneva a bada il suo Black Dog senza sforzo. Lo guardava con occhi languidi, appannati dal piacere, e se era un sogno non voleva svegliarsi mai più.
    Si concessero un istante d'aria, e il rosso inspirò a fondo per riacquistare la calma. Doveva essere migliore di così. Migliore per lui.
    « A saperlo, ti avrei baciato molto prima ».
    Per l'ennesima volta, quella sera, il suo cuore si sciolse sotto il calore del timido sorriso di Abel. Dietro alla barriera d'indifferenza stava lo stesso bambino che aveva conosciuto anni prima, e capì che quelle mura erano servite a lasciarlo fuori, a nascondere ciò che provava.
    « Sei tutto ciò di cui ho bisogno ».
    « Abel... ». Non Gytrash, non fiocco di neve, non principessa. Gustò il sapore di quel nome finché il fratello lo reclamava, trascinandolo sopra di lui. Inizialmente rimase a carponi, con un istante di riguardo per la ferita dell'albino, poi seguì la bocca affamata di Abel e scese giù, ancora abbastanza in sé da tenere il bacino distante dal suo. Troppe informazioni, troppo in fretta. Stava ancora navigando in acque inesplorate e non voleva bruciare tutte le tappe solo perché era uno stupido adolescente in preda agli ormoni. Con lui voleva che fosse diverso, andava assaporata ogni piccola scoperta. Trattenne il respiro appena le dita di Abel si intrufolarono sotto la sua maglietta, lasciando una scia infuocata sulla pelle e nel suo stomaco. Sentì un morso tra spalla e collo, e il gemito che gli sfuggì non poteva essere frainteso.
    Lo guardò leccarsi le labbra, la vista più erotica che gli fosse mai capitata davanti, e la sua mano destra scivolò dal fianco snello al bordo dell'elastico dei pantaloni. Parlando di bruciare le tappe.
    « Cazzo, mi sento un idiota ». Alle parole di Abel si fermò, ridendo di sé stesso e della situazione.
    « Io mi sento drogato, ubriaco e completamente perso ». Si infilò appena sotto la cinta, sfiorando l'osso del bacino.
    « Non ci capisco niente, ma so che non voglio smettere ».
    Ascoltò le sue parole come fossero un sussurro nel vento, indistinte e lontane, concentrato sull'inscenare la migliore notte di tutta una vita per entrambi, finché un lamento di Abel lo riportò sulla Terra. La ferita era tornata a dargli il tormento, che tempismo perfetto.
    « Oh merda, scusa » disse, lasciandogli spazio e guardandosi attorno nel panico alla ricerca delle sue medicine. I canini si ritirarono all'istante, le iridi misero a fuoco l'intera scena: il letto era un disastro, i vestiti anche, le loro facce pure. Aiutò Abel a mettersi seduto con la schiena poggiata alla testiera del letto, tornando nei panni del fratello premuroso ed apprensivo.
    « Non è colpa tua, sono io che ho sfiga ».
    « Certo che è colpa mia, anche se tu hai contribuito. »
    Lo vide rabbrividire e si avvicinò subito, sbrogliando la coperta dall'intreccio delle loro gambe per avvolgerlo in un abbraccio. L'albino sembrò esitare. Ora che la bolla di passione era scoppiata restavano solo due fratelli con delle confessioni da fare, ed era difficile. Gli mostrò un mezzo sorriso incoraggiante e lo circondò con braccia e coperte, affondando il viso nei morbidi capelli arruffati. Probabilmente da quel contatto Abel poteva sentire l'effetto che gli faceva, però ormai era abbastanza palese, no? Non era neanche il tipo che si faceva problemi per simili sciocchezze. Lasciò un bacio leggero sulla nuca di Abel quando si appoggiò alla sua spalla e lì rimase, contemplando l'atmosfera di onirica calma che era scesa nella stanza.
    « Come... com'è stato? » gli chiese, così teneramente da farlo sentire un pervertito approfittatore.
    « Come una prima volta » ammise. Nulla di ciò che era accaduto gli sembrava paragonabile alle esperienze avute in passato, e con i partner precedenti non aveva mai rischiato di trasformarsi in Black Dog e sfondare il letto. C'era sempre stato qualcosa in lui che lo faceva scattare, che gli accendeva la miccia, nel bene e nel male. I litigi tra i due facevano tremare le mura del collegio, anche se era Cain il più teatrale. Ripensò alla prima volta che aveva trovato una traccia di Raphael sul cappotto di Abel e l'abbraccio si fece più stretto.
    « Non te la cavi male coi baci » disse a bruciapelo, e il rosso sghignazzò.
    « Già, beh, ho un degno avversario. » Lo guardò di sottecchi prima che si nascondesse di nuovo nell'incavo della sua spalla. Si vergognava? Che sensazione nuova e appagante vederlo arrossire. Gli faceva venire voglia di stuzzicarlo ancora.
    « Da quando non sono più solo un fratello, per te? »
    Cain mise il mento sulla sua testa e ci pensò, mentre si girava attorno all'indice una ciocca di capelli argentei.
    « Non so dirti il giorno preciso. Credo che questa cosa ci sia sempre stata e sia cresciuta con me » iniziò, finalmente tranquillo. « Ti credevo qualcosa di sacro e intoccabile, poi ti sei... allontanato, ed è stato come farsi accoltellare cento volte ogni notte, quando andavo a letto e tu non c'eri. »
    Il termine brotherzone gli strappò una risatina, anche se a ripensarci avevano sofferto entrambi per quel motivo. Per via dei loro caratteri agli antipodi i risultati erano stati molto diversi: Cain aveva usato tante persone come tappabuchi, Abel si era consumato il cervello sui suoi amati libri e il resto del tempo c'era Raphael a distrarlo. Già, quello era un problema irrisolto. Un fastidiosissimo problema. Gli salì alla gola un ringhio e lo mascherò con un colpo di tosse, allontanando brevemente il fratello.
    « Meglio sistemare la ferita. Dove hai messo il kit di salvataggio? »
    Abel gli indicò il borsone ai piedi del letto e lui ripescò un blister con quattro pastiglie mancanti su sei. La vacanza stava finendo, ancora un paio di giorni e sarebbero dovuti rientrare per la convalescenza dell'albino e le missioni del rosso.
    Nello spostarsi trovò anche la maglietta che poco prima gli aveva strappato via, lacerata sul colletto, e rimase a fissarla con aria colpevole.
    « Uh... spero non fosse la tua preferita. »
    Scese dal letto e barcollò, ancora frastornato dai baci bollenti e i respiri corti, completamente inebriato dal profumo di Abel. Provava un senso di intontimento piacevole, come se fosse stato stregato dal canto di una sirena. Aprì il grande armadio che odorava di polvere e vecchi ricordi e prese una t-shirt slavata, porgendola al fratello.
    « Copriti, svergognato » gli disse, usando il tono autoritario di Sarah.
    Si sedette sul bordo del materasso, in attesa che Abel sistemasse il danno allo stomaco, e per un istante il suo sguardo si perse oltre la finestra, dove si vedevano alberi e distese di campi. L'avevano fatto davvero. Loro due, proprio lì, insieme.
    L'ondata di adrenalina si ritirò, distendendo i muscoli e rallentando i pensieri. Prese una lunga boccata d'aria, portandosi una mano sul cuore per sentire i battiti regolari. Tutto sotto controllo.
    « E tu da quando... insomma, so di essere irresistibile, ma non credevo fino a questo punto. » Cercò di sdrammatizzare, ma la curiosità lo uccideva. Soprattutto, moriva dalla voglia di scoprire cosa sarebbe successo da quel momento in poi. C'era una certa persona a cui non vedeva l'ora di ridere in faccia, però in cuor suo sapeva che non si trattava di una questione facile. Gli Alpha erano territoriali ed orgogliosi, in più Cain e Raphael non si erano mai sopportati. Già una volta erano arrivati alle zanne, e il rosso era pronto a rifarlo. Non c'erano alternative, se non tenere nascosta la loro relazione.
    - Non ci penso nemmeno - si disse, ammirando il profilo regale di Abel illuminato dalla luna. Dopo anni di attesa era suo, avrebbe combattuto contro Grim in persona piuttosto che rinunciare a lui.

    ...

    Quando la stanchezza si impadronì di entrambi, Cain recuperò un paio di bicchieri d'acqua, una coperta extra e sgusciò vicino ad Abel, nella parte sinistra del letto. Al piano di sotto sentì la porta aprirsi e i passi leggeri di Sarah sul parquet.
    Cercò Abel nel buio, attento a dove toccava, e distese un braccio sotto la sua nuca a mo' di cuscino. Non gli pesava affatto, era morbido e caldo come un cucciolo rannicchiato su di lui.
    « Buonanotte Abel. Se è un sogno lasciami dormire per sempre. »
    Gli diede un bacio leggero sulla fronte e lasciò cadere le palpebre pesanti. Fuori non imperversava nessun temporale, eppure eccoli vicini nello stesso giaciglio. La felicità aveva i contorni della sua sagoma nel buio di una camera da letto, aveva il suo viso.

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    ome una prima volta, aveva detto Cain, e per quanto Abel pensasse fosse una strana definizione credeva anche che calzasse a pennello. Le prime volte lo spaventavano molto, non era una persona particolarmente intraprendente, le novità gli facevano paura ed aveva paura dell'ignoto, della novità, del fallimento che avrebbe potuto derivarne. Si ricordava tante prime volte: la prima volta che avevano dormito insieme da bambini mano nella mano, la prima volta che avevano varcato la soglia della base dei Marauders con Cain che mostrava i canini a chiunque osasse guardarlo un secondo di troppo ed Abel che gli intimava di mantenere un certo decoro, la prima notte passata in stanze separate perché l'albino era stato promosso ad Alpha, la prima serata passata a bere birra Pale Ale in sua compagnia, la prima volta che aveva realizzato che ciò che provava per lui era una semplice amicizia. Molte prime volte l'avevano intimorito, ma questa prima volta era stata un salto nel vuoto - spaventoso, infinito -, il pensiero che lo tormentava notte e giorno, ma una volta fatto il primo passo si era rivelato incredibilmente facile. I loro respiri irregolari gli rimbombavano nelle orecchie come se si stessero ancora baciando, e si diede nuovamente del coglione: a saperlo prima sarebbe stato tutto più semplice, e invece Abel aveva una passione per accantonare i suoi problemi e lasciarli marcire in un angolo della sua mente. E mentre lui si struggeva per colpe che non aveva e Cain saltava da un letto di uno sconosciuto all'altro, la soluzione stava nel silenzio della sua camera d'infanzia, nel loro abbraccio.
    Cain aveva ragione, l'albino si era allontanato come a voler scappare da un sentimento che non voleva provare, da un dolore più grande di lui, che mai se ne sarebbe andato finché i due sarebbero rimasti vicini, e quindi aveva iniziato a non rispondere ai suoi messaggi con la stessa frequenza di prima, a non frequentare le sue stesse lezioni, ad andare a trovarlo sempre meno spesso, tutto per cancellare quei sentimenti palesemente non ricambiati. Cain usciva con questa, con quello, non si poneva nessuna domanda, erano migliori amici, erano confidenti, nulla di più. Non avrebbe potuto funzionare, Abel avrebbe finito col rovinare tutto. « Pensavo fosse l'unica cosa logica da fare, non credevo potessi starci così male ». La sua risposta suonava più come una giustificazione, ma ogni volta spiegare il suo punto di vista era difficile e in quel momento più che mai. Aveva altro per la testa, a dirla tutta. « Se ti avessi rivelato ciò che provavo avrei rovinato tutto. » sospirò, accarezzandogli il dorso della mano con lo stesso timore con cui si sfiora un animale ferito, come se quello fosse un sogno e avesse paura di svegliarsi di soprassalto,
    « Non volevo perderti. ». A dirla ad alta voce sembrava una di quelle scuse inventate sul momento per sfuggire ad una situazione scomoda senza troppe conseguenze e quasi se ne vergognò, ma ora che poteva assaporare il calore di Cain sul suo corpo senza maledirsi tentando di scappare in qualsiasi modo non desiderava altro che restare lì in eterno, solo loro due, accoccolati nell'oscurità. Non sentiva nulla se non tepore.
    Quando Cain si staccò da lui all'improvviso sussultò e il freddo della sera lo colpì come una lama gelida. « Meglio sistemare la ferita. » spiegò l'altro, ed Abel piombò sul pianeta Terra dopo essersi dimenticato di trovarsi lì perché aveva rischiato di morire finché Cain gli era rimasto vicino. Il ragazzo gli indicò il borsone contenente tuto ciò che si era portato per il viaggio, tra cui le medicine che Cain gli passò. Quella ferita si stava rivelando difficile da curare nonostante le avanzate capacità di rigenerazione che i Black Dogs possedevano. L'idea di tornare da Grim e riprendere con la vita di tutti i giorni non lo entusiasmava granché, soprattutto ora che finalmente gli sembrava di vivere in un indefinito spazio tra sogno e realtà, tanto la testa gli vorticava pensando al bacio di poco prima. « Uh... spero non fosse la tua preferita. ». Abel sollevò lo sguardo su di lui e sorrise tra sé e sé. « Ne ho altre due identiche. » fece, riferendosi al suo guardaroba monocromatico - Hannah gli chiedeva continuamente di accompagnarlo a fare compere per aggiungerci un tocco di colore senza riuscire nell'intento - e prese al volo la maglietta che il fratello gli lanciò, « Copriti, svergognato », Abel ridacchiò, « Sì mammina. ». Ora che Cain non era accanto a lui sentiva piuttosto freddo, ma fortunatamente lo vide tornare a sedersi sul letto mentre Abel beveva le sue medicine. Nel silenzio tra loro trovò conforto, nessuna ansia, nessuna pesantezza. Se cinque minuti prima il cuore gli stava per esplodere in petto ora si sentiva stranamente calmo ed in pace. Aveva aspettato quel momento per tutta una vita, ma non si aspettava di poter sentire una tale pace dentro di sé. Forse stava sognando e l'indomani mattina sarebbe andato avanti con la sua vita di sempre. O forse aveva solo molto sonno, chissà qual era la verità.
    « E tu da quando... ». Abel lo guardò di sottecchi nell'oscurità, il viso del ragazzo illuminato solo dalla luce della luna, i capelli indomabili a fargli ombra sui tratti spigolosi. « Insomma, so di essere irresistibile, ma non credevo fino a questo punto. », « Abbassa la cresta, Skriker dei miei stivali ». Scosse il capo rassegnato mentre appoggiava le medicine sul comodino - non riusciva a piegarsi per rimetterle a posto nel borsone - , perché Cain riusciva ad uscirsene con battutine anche in momenti intimi come quello. Aveva un debole anche per quel lato del suo carattere, inutile lamentarsi, e aveva ragione, aveva una personalità magnetica ed era talmente bello da illuminare una stanza a giorno, come avrebbe potuto rimanere indifferente? « Sei tu da quando ne ho memoria, penso da quando eravamo bambini ». Nel silenzio le sue parole, seppur avesse usato un tono di voce normale, sembravano fare un rumore assurdo tanto da volersi coprire le orecchie. Era davvero imbarazzante, ma liberatorio, avrebbe voluto gridare ai quattro venti che quella sera aveva baciato il ragazzo che amava. « Ti ho sempre amato. Non è mai esistito nessun altro se non tu. » si accorse di aver abbassato la voce, ma Cain lo aveva sentito benissimo. Essere tanto sincero coi suoi sentimenti era un qualcosa di nuovo per lui: aveva passato tutta una vita a mentire, a nascondersi, ad essere impaurito, che sentiva di essersi perso il bello della vita. E il bello della sua vita era Cain. « Eri irresistibile anche quando eri uno stupido marmocchio » e dicendolo sorrise, tirandogli un pugno leggero - che definirlo pugno era un'esagerazione - su una coscia, quasi temendolo di guardarlo in viso, ma perché? Ormai aveva confessato che fosse innamorato di lui, di cosa si vergognava? Tutta quella sincerità era troppo da sopportare, ma stava andando tutto nella direzione giusta. Con quello che gli sembrava uno sforzo immane alzò il capo e guardò il compagno negli occhi, iridi smeraldine che brillavano anche nel buio più cupo. Già, era irresistibile, non poteva negarlo. E lui era stato il primo a cascarci.
    Il sonno arrivò poco dopo e li travolse facendoli addormentare in fretta. Abel fece sistemare Cain sotto le coperte - che al solito aveva provveduto a non fargli mancare nulla neanche mentre dormiva - e, dopo qualche attimo di esitazione, si avvicinò al suo corpo che emanava un gradevole calore. Non poté fare a meno di notare come, anche senza luci, Cain stesse attento a non toccargli la ferita, ed Abel percepì il viso farsi bollente. Nonostante la personalità irruenta, lo trattava con la più rincuorante gentilezza.
    « Buonanotte Abel. Se è un sogno lasciami dormire per sempre. ». Abel biascicò un "buonanotte" a sua volta, ma non sentì neanche sua madre rientrare che già era caduto in un sonno senza sogni.

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    Abel si avvicinò al suo riflesso nello specchio, ancora mezzo addormentato, convinto che la vista gli stesse giocando un brutto scherzo: in fondo si era svegliato da neanche dieci minuti, forse si sbagliava. In fondo quello che era convinto fosse un pizzico fino a ieri sera era davvero un pizzico di qualche strano insetto... giusto? Non ci aveva dato troppo peso, ma a guardarlo bene sembrava proprio un succhiotto. Decise di prendere gli occhiali che aveva lasciato sul comodino - in fin dei conti da vicino non ci vedeva granché, magari si era sbagliato, magari stava solo facendo mille castelli in aria per nulla: no, era davvero un succhiotto. Percorse all'indietro gli avvenimenti più recenti, e in pochi secondi giunse alla conclusione che qualcuno potesse averglielo fatto la sera in cui lui e Cain erano andati a bere. E se fosse stato proprio Cain? Non riuscì a gioire della cosa dato che quel marchio risaltava tantissimo sulla sua carnagione pallida e non era entusiasta di tornare dai Marauders con quel souvenir addosso. « Cain! » gridò, uscendo dal bagno a passo veloce dopo aver lanciato gli occhiali accanto al lavandino. Il ragazzo era ancora nel letto, sveglio o meno non gli importava, e gli strattonò la maglietta affinché si girasse verso di lui. « Sei stato tu? » domandò senza lasciargli vie di fuga e si indicò il collo. Bingo. « Bastardo » sibilò tra i denti, coprendosi come poteva con la tshirt che aveva addosso senza successo. Non ricordava se sua madre lo avesse visto, ed ora doveva stare attento anche che Grim rimanesse all'oscuro della cosa. Il suo cervello ci mise qualche secondo a fare un semplice collegamento che gli mandò a fuoco le guance: se era stato Cain, cosa era successo quando si erano ubriacati insieme? Non ricordava assolutamente nulla di quella sera, ed ora aveva quasi timore a chiederglielo. Dalle labbra gli uscì un'esclamazione poco educata mentre si risiedeva sul letto accanto al compagno, le mani a coprire metà del volto e lo sguardo rivolto verso un punto indefinito di fronte a sé. « Tu ricordi qualcosa della sera che siamo andati a bere all'Hold Mill? » domandò, impaurito della risposta che avrebbe potuto ricevere. Gli venne spontaneo ripensare a quando Cain aveva alzato il gomito mentre era in convalescenza a Lancaster, subito dopo l'incidente al cimitero, e il rosso lo aveva baciato. Il cuore prese a battergli a mille al solo ricordo e quando incontrò lo sguardo del compagno si sentì svenire. Tutte le emozioni di quella notte, che fino ad allora erano rimaste sopite, lo investirono di colpo insieme alla prepotenza dei baci di Cain e la sensazione dei loro corpi intrecciati. « Porca puttana » sussurrò tra sé e sé, consapevole ormai che non si trattava di un sogno. Gli aveva davvero detto di amarlo da una vita, lui davvero ricambiava, erano davvero arrivati quasi al punto se non fosse stato per la sua ferita. Cielo, stava per avere un mancamento - per la gioia, per la vergogna, chissà -, e ascoltare Cain sicuramente non aiutava. Gli fece segno di smettere di parlare con un gesto secco della mano e si lasciò cadere all'indietro, atterrando con un tonfo morbido sulle lenzuola vicino alle gambe del rosso. « Non berrò mai più, lo giuro » esclamò in un sospiro, dato che questa volta l'aveva combinata davvero grossa. Si erano baciati, per dio, ed Abel aveva parlato e straparlato ed ora si sentiva un povero sciocco in balia dei suoi sentimenti - cosa si faceva quando si dava retta al proprio cuore? Non ne aveva idea. Reprimere ciò che provava lo faceva sentire tranquillo, perché nessuno poteva prenderlo alla sprovvista, neppure sé stesso. Ora invece quel turbinio di emozioni che provava lo stava immobilizzando e cercare di dargli una forma e una voce era davvero impossibile. A quanto pareva era così che viveva Cain, alla giornata e dando ascolto al suo istinto, facendo ciò che gli pareva. Che vita complicata e stancante.
    « Tesoro ». La voce di sua madre proveniva da dietro la porta. La donna bussò ed Abel, d'istinto, si portò le mani attorno al collo. La maniglia della porta non si abbassò, forse Sarah lo aveva fatto solo per attirare l'attenzione. « Dimmi mamma. ». Le rispose dopo un paio di attimi di silenzio per farle capire che era sveglio, « Accompagno io Hannah e Noah a scuola stamattina, poi vado a lavoro. Riposati, d'accordo? Ci vediamo per pranzo. ». La voce di sua madre era dolce come il miele, poteva sentirla sorridere anche senza vederla in viso. Le sarebbe mancata, ora che la partenza si avvicinava sempre di più. « Va bene, a dopo » fece, senza però togliere le mani per coprire il marchio che aveva sul collo senza prima aver sentito la porta di casa chiudersi, portando con sé anche le voci entusiaste dei suoi fratelli già dal mattino. Piombò il silenzio in casa Gytrash, e solo allora Abel si sentì tranquillo nello scoprirsi. « Anche tu mi hai baciato da ubriaco, poco tempo fa. », l'albino ruppe la quiete tra di loro e si rialzò lentamente a sedere, attento a non sforzarsi per risvegliare il bruciore all'altezza dello stomaco. « E hai rischiato di uccidermi. ». Ridacchiò della reazione di Cain, e pensando a quella sera la pancia iniziò a fargli male - e non a causa della ferita. « Tranquillo, mi hai staccato qualche flebo, ma, come puoi vedere, sono vivo e vegeto. ». Quante cose erano cambiate in così poco tempo, in qualche modo si sentiva una persona diversa. « Mi fa ridere come da ubriachi ci siamo comportati allo stesso modo. ». Appoggiò il mento sul palmo della mano guardando Cain, lo sguardo che passava dai capelli arruffati all'occhio cieco, dalle guance dove era stampato il segno del cuscino alle labbra che aveva incontrato la sera prima, dal collo scoperto alla maglietta scolorita per il troppo utilizzo. E pensare che quello splendore ricambiava i suoi sentimenti. L'unico ostacolo alla felicità portava il nome del suo effettivo ragazzo, e lo stomaco gli si chiuse di colpo, provocandogli un dolore fuori dal mondo. Si costrinse a confinare quel brutto pensiero in un angolo della sua mente, perché voleva essere spensierato ancora per un po': voleva scoprire come affrontare tutta quella gioia improvvisa, voleva assaporare Cain, voleva godersi quella giornata di tiepido sole che li attendeva. Almeno per un giorno, almeno finché si trovava lontano da Lancaster e ciò che poteva fargli male.
    « Credo che ora non avremo più bisogno dell'alcol. ». Gli sorrise, conscio di aver scelto un cammino difficile da percorrere, che quando sarebbero tornati nei Marauders c'era Raphael ad attenderli. Ma insieme avrebbero superato tutto, come sempre, ed Abel era pronto a tutto.
    « omega black dog / 19 y/o / eye of the past »

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