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    - Evelya Sadalmelik -
    "If I had a flower for every time I thought of you, I could walk through my garden forever."

    Evelya guardava il proprio riflesso nello specchio, ma era come se ci vedesse attraverso. La sua mente era altrove mentre una serva dal tocco gentile le acconciava i capelli e fermava le ciocche con spille a forma di fiori. Erano bianchi, come il suo abito e le sue scarpe. Una triste premonizione del futuro che la attendeva.
    Fece scorrere una mano sulla pesante collana tempestata di gocce di cristallo, fredda sulla pelle, e fu presa dall'impulso di strapparla via.
    "Brillate come una stella, signorina Evelya" commentò la serva, contenta come se fosse una sua parente prossima. Era giovane e piena di entusiasmo, grata di trovarsi a quell'evento tanto chiacchierato nell'alta società. L'angelo le fece un sorriso privo di entusiasmo e tornò a rigirare intorno all'anulare sinistro l'anello che Azarel le aveva dato quella stessa mattina. Era largo, rischiava di perderlo ad ogni movimento della mano. Un'ottima scusa per liberarsene appena quella farsa fosse terminata, poteva dare la colpa alla pessima scelta del suo fidanzato di comprare un anello alla cieca. Fidanzato, già.
    Appena tornata in patria l'aveva trovato ad attenderla lì, sulla soglia di casa sua, mentre conversava amabilmente con sua madre e faceva complimenti al padre per il modo in cui l'aveva cresciuta. Le era sembrato viscido e scostante come un tempo, se non più agguerrito. Era bastata un'occhiata per rivivere tutti gli incubi legati alla figura di Azarel.
    "Visto? Vi avevo detto che l'avrei trovata."
    I genitori lo avevano applaudito per le sue gesta coraggiose, ed Evelya si era spenta come una fiamma sotto un bicchiere.

    Le giornate scorrevano a rallentatore attraverso i vetri delle grandi finestre di casa Sadalmelik, tra prove d'abito, inviti e tè pomeridiani con persone che conosceva a malapena. Alcune amiche, già sposate da anni, le avevano fatto visita per congratularsi con lei del matrimonio imminente, ed Evelya era stata sul punto di dire che non c'era niente da festeggiare, ma si era morsa la lingua appena in tempo.
    Per riempire il vuoto lasciato da Noel, dalla sua vita breve e meravigliosa nel Continente Ibrido, si ritrovava a riavvolgere i ricordi e proiettarli all'infinito nella testa, estraniandosi dalle conversazioni. Lui le avrebbe di certo strappato un sorriso anche in quelle occasioni, l'avrebbe presa per mano e portata via. Le avrebbe fatto fare un volo tra le sue braccia, offrendo la spalla come appoggio, poi sarebbero tornati nel suo appartamento, su quel piccolo divano che li costringeva a stare vicini. Ricordava la morbidezza dei capelli cremisi tra le dita, il magnetismo dei suoi occhi ametista quando la guardava per quello che era, e si sentiva subito meglio. Gli mancava, ma trascinarlo in quelle questioni fumose tra nobili era troppo. Noel doveva vivere libero, senza imposizioni.
    Senza di lei.

    Si alzò in piedi per verificare che l'abito non toccasse terra, appesantito dai fiori ricamati. Purtroppo era perfetto, cucitole addosso e ripreso più volte vista la sua tendenza a dimagrire di settimana in settimana. L'immagine nello specchio la guardò con aria costernata, sconfitta.
    "Sei pronta?" chiese Azarel entrando senza bussare. Era al massimo della sua eleganza, bello come poteva essere qualsiasi angelo con un vestito costosissimo addosso. La squadrò, compiaciuto di ciò che vedeva, e le offrì il braccio da bravo gentiluomo.
    "Non dire niente di superfluo, mi raccomando. E cerca di sorridere".
    Evelya si morse l'interno della guancia per non protestare, ma alla fine obbedì. Non aveva scelta, si trattava di mera sopravvivenza. La sua famiglia si sarebbe risollevata dalla polvere e avrebbero potuto condurre di nuovo una vita agiata grazie alle entrate del ricco fidanzato. Vincevano tutti, tranne lei.

    Entrarono nella sala dei ricevimenti tra mormorii di apprezzamento e falsi sorrisi di circostanza, incontrando gli sguardi affamati dei nobili di Dunne Peyhlra che non aspettavano altro che quell'occasione per nutrirsi di pettegolezzi. Le parole dei presenti erano lontane come echi, Evelya non riusciva a concentrarsi su niente e nessuno. Da brava bambola inanimata quale era, mantenne la stessa espressione artificiosa finché diceva grazie, grazie mille, che piacere, inchinandosi di riflesso. Azarel non la lasciò nemmeno per un istante, controllando che le sue reazioni fossero appropriate e non si lasciasse sfuggire niente di sconveniente.
    All'improvviso, qualcosa nell'aria cambiò. L'angelo avvertì un tepore familiare, una scintilla di vita che le fece battere il cuore. Davanti a lei, un giovane molto attraente dai capelli chiari porgeva i suoi omaggi. Era alto e snello, vestito di tutto punto, e nel suo sorriso scorse il profilo aguzzo di un paio di canini. Sebbene gli occhi fossero di una tonalità completamente diversa da quella di Noel, si trattava certamente di lui. Avrebbe riconosciuto quel tono allegro tra altri mille. Sentì un nodo stringerle la gola, rubarle le parole. Un misto di gioia e paura la immobilizzò mentre le labbra calde del demone le sfioravano la mano. Voleva afferrarlo, stringerlo forte, rifugiarsi nel suo abbraccio. Cosa gli era saltato in mente? Presentarsi proprio in quel momento, in territorio nemico, senza alleati. Si disse che non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male, tanto meno ad Azarel. Doveva agire in fretta prima che il fidanzato si accorgesse di qualcosa.
    "Forse la signorina Evelya se lo ricorderà, quando eravamo più piccoli ci incontravamo spesso ai balli. Sono felice di rivedervi dopo così tanto tempo."
    Lei sorrise, stavolta sul serio, e sentì la bocca dolerle per lo sforzo. "Claude, che piacevole sorpresa. Sono contenta che siate riuscito a venire."
    Erano le prime parole genuine che diceva dal suo ritorno. La voce le tremò nel pronunciare quel nome, e vi infuse tutto l'affetto che di solito riservava solo a Noel. Si inchinò aggraziata e non interruppe mai il contatto visivo tra loro, attenta a non lasciarsi tradire dall'emozione.
    "A quando il lieto evento?".
    "Tra una settimana. In quanto amico della mia Evelya consideratevi invitato, signor Gallagher" rispose asciutto Azarel, forse notando il cambiamento d'atmosfera.
    "Non volete aspettare, sarete innamoratissimi."
    Evelya strinse le labbra per non ridere a quella frecciatina, il futuro sposo invece la afferrò per la vita a mo' di conferma.
    Quando si congedò per lasciar passare gli altri invitati, la ragazza sentì il bisogno di rincorrerlo. Non voleva perderlo di nuovo, dovevano parlare, dirsi tutto prima che il corso degli eventi li separasse per sempre. Doveva dirgli che nel suo cuore c'era posto solo per lui, che lo pensava fino ad immaginarlo accanto a sé, che anche lei lo amava.
    "L'hai invitato tu?".
    "Sì, è un caro amico d'infanzia."
    Azarel mormorò un assenso privo di interesse e riportò l'attenzione sui nobili in attesa di stringergli la mano, ma Evelya aveva occhi solo per Noel. Lo cercò tra un saluto e l'altro, pregando che i festeggiamenti riprendessero quanto prima. Le parve di scorgerlo in un angolo della sala, attaccato distrattamente a un bicchiere. Adorava le sue fattezze demoniache, eppure anche come angelo attirava un sacco di sguardi.

    Voleva salvarla. Di nuovo. Alla fine ce la faceva sempre.
    Prese congedo da Azarel e raggiunse il fratello minore, scontroso come suo solito nonostante gli apprezzamenti delle giovani in sala. Parve accorgersi subito del cambiamento nel viso di lei, ora roseo per l'emozione e non per la maestria delle truccatrici, e fece schioccare la lingua.
    "Avrei preferito gettarlo in mare, ma ha insistito fino allo sfinimento."
    "Zach, cosa ti è saltato in mente? Se Azarel lo scopre..." bisbigliò allarmata, per lasciar cadere il discorso appena una giovane coppia le passò accanto, congratulandosi per il lieto evento.
    "Non ho potuto fare altrimenti. Ti sei trovata un ragazzo testardo come pochi" disse, fulminando con lo sguardo color rubino un punto ben preciso della sala. Noel riusciva ad adattarsi a qualsiasi ambiente, sembrava nato per la vita di corte. Sorrideva e chiacchierava con sconosciuti di un altro continente come se li conoscesse da sempre, un punto a suo favore se non volevano far insospettire Azarel. Ciò nonostante, si trattava di un Demone molto lontano da casa, in un territorio ostile, con i numeri a suo sfavore e un carattere impulsivo. Evelya si portò le mani al petto per calmare i battiti del cuore mentre cercava un modo per metterlo in salvo.
    "Se scappa adesso può ancora trovare qualche nave in partenza dal porto. Devi accompagnarlo subito, ti coprirò io."
    "Forse non hai capito: è qui per salvare te."
    "Non voglio essere salvata!" Il suo tono controllato s'incrinò, attirando l'attenzione della madre. Parveen era seduta al tavolo più riccamente apparecchiato della sala insieme al marito, e non perdeva occasione per tessere le lodi del futuro genero con chiunque. I suoi occhi, di un castano dorato spento dall'età, si assottigliarono come quelli di un falco durante la caccia. Avevano rotto gli equilibri della festa con un semplice baciamano ed sorriso, come potevano pensare di fuggire inosservati?
    "Questi ricevimenti sono una palla" enunciò Aidan con una drammatica entrata in scena, vestito da cavaliere delle fiabe con tanto di spada al fianco. "Ti autorizzo a dartela a gambe, sorellina."
    Evelya, sorpresa dal suo arrivo inaspettato, si gettò tra le braccia del primogenito con troppo entusiasmo, ed il vestito stretto la rimise subito al proprio posto mozzandole il respiro.
    "Non voglio che gli succeda qualcosa per colpa mia, Aidan. Non me lo perdonerei mai." Soffocò le parole nell'ampia spalla del fratello, che le carezzò la schiena intrappolata dal pizzo.
    "E io non mi perdonerei mai se ti facessi sposare un essere insopportabile come Azarel." Lo disse salutando cordialmente il soggetto in questione, poco lontano, strappando un ghigno a Zachary.
    "Al diversivo ci penso io. Una volta fuori di qui, scappa."
    "Cosa-".
    In un gesto assolutamente naturale, Aidan si volse per prendere un calice di vino dal vassoio traballante di un cameriere di passaggio, e nel voltarsi sbattè contro la sorella. Un'ampia macchia rossa iniziò ad espandersi sul vestito candido di Evelya, esterrefatta dalla piega improvvisa degli eventi, ma più lucida che mai. Si volse subito verso Azarel con aria mortificata, mentre una serie di bisbigli concitati riempivano la sala.
    "Ops, devo essere già ubriaco." Aidan finse di riparare al danno con il suo fazzoletto, inutile di fronte a quello scempio, sapendo comunque che una qualsiasi sfuriata del futuro marito era improbabile. Lo tenevano d'occhio tutti, e le loro famiglie stavano per unirsi. Un litigio in quel momento era poco auspicabile per Azarel.
    "Evie, il tuo bel vestito..." disse costernato, giungendo al suo fianco. Era furioso, glielo leggeva negli occhi.
    "Perdonami, vado subito a cambiarmi." Cercò di sembrare altrettanto preoccupata, contenta del fatto che il rossore sulle guance potesse essere scambiato per imbarazzo, anziché euforia. Dopo un inchino frettoloso e tante scuse agli invitati, Evelya corse fuori dal suntuoso salone, ma anziché imboccare il corridoio e le scale, seguì il vento che spirava dalla porta spalancata del terrazzo, lontano dai fasti del ricevimento.

    Una figura angelica dal sorriso diabolico attendeva trionfante in cima alla scalinata in pietra che conduceva ai giardini.
    Sentì le lacrime scorrere lungo le guance senza controllo, le gambe spingere per raggiungerlo. Le sembrò di tornare a respirare dopo una lunga apnea, un letargo che era durato fin troppo per il suo povero cuore. Si gettò tra le braccia di Noel e strinse forte, come a volerselo imprimere sulla pelle. Era lui, sarebbe sempre stato lui. Inspirò a fondo, senza parole, staccandosi solo quando il calore del ragazzo fu abbastanza per entrambi. Posò una mano sulla guancia calda di lui, guardandolo attraverso la patina acquosa del pianto, e sorrise.
    "Noel" sussurrò, e senza alcun ritegno, ignara di cosa stesse per dire, si alzò sulle punte dei piedi e posò le labbra sulle sue. Le sentì riprendere vita, il ghiaccio che l'aveva intrappolata si dissolse man mano che il ragazzo, superato lo sbigottimento iniziale, assecondava quel gesto. Le parve di ardere tra le fiamme che Noel controllava, ogni centimetro di pelle reagiva a quel contatto e bruciava. Aveva sognato tante volte di trovarsi stretta a Noel, persa in un lungo e tenero bacio, ma non di certo in una situazione del genere. Dopo un istante che parve infinito, Evelya si staccò dal Demone e lo prese per mano, senza fiato.
    "Vorresti volare via da qui insieme a me?".
    Le suonò solenne quanto una promessa di matrimonio, e in quel momento ne fu certa: sarebbe stato Noel o nessun altro.

    In fondo alla scalinata, nel buio del giardino, Azarel fece cenno alle sue guardie di rimanere in posizione.

    ---

    I due fratelli Sadalmelik, intenti a stordire di parole il presunto futuro parente per tenerlo occupato, si stavano divertendo un mondo. Zachary, dopo aver fatto un cenno a Noel, aveva iniziato a raccontare la dura vita accademica del soldato, e Aidan l'aveva assecondato mettendoci del suo. Era stranamente soddisfacente vedere lui e la madre nel panico più totale, umiliati ad un ricevimento su cui puntavano tutto. L'arrivo di Solomon, vestito in pietosi abiti da viaggio e senza fiato, diede l'occasione ad Azarel di allontanarsi per salutarlo. Fu uno scambio di convenevoli freddo e distaccato, Solomon non brillava per carisma e il fidanzato della sorella sembrava detestarlo in modo particolare. Una volta libero dalle formalità, Solomon raggiunse i fratelli e li trascinò da parte, lontano da orecchie indiscrete.
    "Ho scoperto una cosa, dobbiamo interrompere tutto. Dov'è Evie?". L'urgenza nella sua voce fece allarmare i fratelli.
    "A quest'ora i due piccioncino saranno già distanti" disse Aidan, "il suo cavaliere è venuto a portarla in salvo."
    "Cavaliere? Che stai dicendo?"
    Zachary si intromise a malavoglia, sempre scontento di parlare di Noel. "Vivevi con lei e non ti sei mai accorto che un Demone dai capelli rossi le gironzolava attorno?".
    Quel dettaglio parve rispondere alla sua domanda. Ricordava vagamente Noel, forse Evelya ne aveva parlato qualche volta, ma non sapeva della loro relazione. Questo complicava le cose.
    "Okay, non importa, statemi a sentire: dobbiamo disdire l'accordo matrimoniale, Azarel è un truffatore. Ha debiti con mezzo continente, se nostra sorella lo sposa ci porterà nella fossa con lui."
    Aidan cercò il suddetto truffatore nella sala, e scoprì con orrore che stava lasciando il ricevimento con un gruppo di guardie al seguito.
    "Andiamo" ordinò, con una mano pronta sull'elsa della spada.

    " Parlato Evie " - " Parlato Noel "

    Evelya Sadalmelik - Angel - 18 y/o - runaway bride - sheet
    — ‹ Halcyon Days Code by KL › —
  2. .
    Izar, Evelya, Cain.
    The slow dance of the infinite stars.

    Evelya

    La notte a Manchester sembrava non passare mai, con ragazzi che affollavano le strade, musica e schiamazzi ad oltranza, ma poco male, Evelya non riusciva comunque a dormire. Nella piccola casa di periferia del fratello, all'ultimo piano di un condominio alto e stretto, poteva vedere la città vivere e respirare, e per un attimo respirò anche lei. La moglie di Aidan, Harmonia, probabilmente le aveva rifilato una tisana dalle proprietà magiche. Riusciva a pensare con chiarezza, vedere le cose da una nuova prospettiva, ed ogni muscolo si stava finalmente rilassando.
    - Scappare ogni tanto fa bene - si disse, anche per giustificare la codardia degli ultimi giorni. Sarebbe stata la sua ultima fuga, basta negarsi la possibilità di essere felice. Ricordò la conversazione avuta con Abel un paio di giorni prima, il modo in cui entrambi esitavano ad uscire dai propri spazi per paura dell'ignoto. Per la prima volta l'amico le aveva aperto il suo cuore giusto di un piccolo spiraglio, e dentro serbava sentimenti molto simili ai suoi. Era rimasta ad ascoltare con attenzione le sue vicissitudini con Raphael, il loro rapporto traballante, segnali che non aveva colto pur frequentandoli ogni giorno. D'altronde se Abel era un muro, il suo ragazzo era una muraglia. La trattava sempre con la cortesia che si riserva agli anziani, non un commento di troppo, perciò era difficile decifrarne il carattere. Dubitava che non provasse più sentimenti per Abel. Forse qualcosa spaventava anche lui... ed in effetti il batterista degli Elysian stava mettendo in seria difficoltà il povero compagno.

    « Però sì, se potessi permettermi di essere egoista, mi piacerebbe rivederlo. ».
    « Puoi. Possiamo, di sicuro » aveva risposto lei, fiduciosa. « E se lo deluderai ci sarà qualcun altro. » Le parole di Aidan ora avevano molto più senso, oppure era l'effetto della tisana. Anche sapere dei concerti che avevano in programma le aveva trasmesso nuova speranza, seppur sul momento sentire il nome di Noel le avesse aperto una voragine nello stomaco.
    « E' tutto... a posto? ».
    « Non proprio, ma forse posso rimediare. » Gli aveva afferrato le mani, scavalcando i loro scones e le tazze vuote di tè.
    « Abel, per l'ennesima volta, ti andrebbe di accompagnarmi ad un concerto? ».

    Si erano separati con la promessa di pensarci su a mente fredda. Erano due creature ferite che necessitavano di tempo e spazio per riprendersi, per capire a cosa dare la priorità. Sentiva che il loro legame ora era un po' più saldo, e scoprire di non essere sola in questa battaglia la rincuorò.

    - E adesso diamo un'occhiata alle date dei concerti. -

    Si ritrovò di nuovo ad ammirare le foto sul profilo instagram del gruppo, prima di cercare storie in evidenza che potessero tornarle utili. Scoprì che in effetti ne avevano parecchi in programma, più o meno lontani, ma tutti a portata di macchina. Le date erano vicine al saggio scolastico, quindi il rischio di mandare su tutte le furie famiglia e professore raddoppiava. Fece uno screen e lo inviò ad Abel, scusandosi per l'orario, in attesa di uno dei suoi consigli, poi si ritrovò a vagare sul profilo personale di Noel a mo' di punizione. Non capitava spesso che qualcuno le piacesse al primo sguardo, senza sapere qualcosa sulla famiglia d'origine, la professione, i voti e altre informazioni che i Sadalmelik scandagliavano bene prima di dare confidenza a qualcuno. C'era qualcosa di autentico nel suo viso, un atteggiamento spontaneo e fuori misura che la travolgeva, una sicurezza che poteva solo sognarsi. Se voleva fare ammenda doveva sbrigarsi, vista la notorietà del cantante... ma come entrare in quel mondo caotico senza la minima esperienza in materia? Rimuginò sul da farsi con le canzoni degli Elysian nelle orecchie, appoggiata al davanzale della finestra proprio sopra il suo letto, mentre il baluginio lontano dell'alba iniziava a fare capolino.

    Cain

    Pestare su piatti e tamburi era la valvola di sfogo meno dannosa e più efficace che Cain conoscesse, forse l'unica. Non faceva male come le sigarette o il gin liscio, né come una corsa spericolata in moto di notte. Solo lui, il casino nelle orecchie e gli strumenti dei suoi compagni.

    I want a one night stand just one more time with you
    So give me one more night with you


    Noel aveva recuperato in fretta la melodia di una canzone trascurata per troppo tempo, una delle prime che avevano scritto al momento della formazione della band. All'epoca era fatta per spargere sentimentalismo spiccio tra il pubblico di adolescenti, ma ora era talmente verosimile da fare male. Con la testa che ancora cercava Abel, chiuse in bellezza e si complimentò con gli altri tre per la velocità con cui erano tornati sul pezzo.
    « Mi era mancata. Gran bella scelta Cain » commentò Altayr, nostalgica quanto lui quando si tiravano fuori certi cimeli.
    « Grazie, grazie. Spero che ci sarà una certa persona ad ascoltarla, la prossima volta. » Non si erano dati nessun appuntamento, però chissà, magari l'aveva incuriosito con la storia delle prove.
    Approfittò della breve pausa per bere un'intera bottiglietta d'acqua e controllare il cellulare, filtrando i messaggi in direct. Una notifica sul cuoricino in alto a destra dello schermo lo accese come una fiaccola, e corse a premere su quella richiesta d'amicizia accettata e ricambiata. Fu come ricevere la chiave della sua stanza, e in men che non si dica iniziò ad indagare sulla sua vita come uno stalker. Scorci di quotidianità, poche foto e persone. Il suo profilo era riservato quanto lui, ma notò che la musica era una costante.
    « Cain, senti- » lo chiamò Noel, che sembrava aver recuperato un briciolo di entusiasmo, « mi spiace per stamattina, sono stato davvero un egoista. »
    Il motivo principale per cui si era unito alla band, oltre alla voglia di spaccare, era il frontman. Si assomigliavano nel temperamento e nella durata delle incazzature. Se si scornavano non era mai niente di serio o duraturo, perché quell'amicizia si fondava sul perdono reciproco dei loro pessimi caratteri. Ascoltò le scuse di Noel con un sopracciglio alzato, il profilo di Abel che ancora lo guardava dallo schermo. Ogni volta che sbagliava nel pronunciare il nome dell'angelo albino la sua espressione si induriva, finché finalmente non lo azzeccò, strappandogli un "oh, alleluia!".
    A posteriori, comunque, era stato uno stronzo. Noel poteva avere tutte le ragazze che voleva, ricche o povere non importava, perché la sua specialità era piacere a tutti. L'aveva rimbeccato solo per essersi intromesso nel momento sbagliato, senza pensare al fatto che l'amico adorava rimuginare sui fallimenti. Non come quel corvaccio pessimista di Izar, ma abbastanza da deprimersi per un giorno o due.
    « Te l'ho detto che era destino, sai che non succede niente per caso! Dai, siamo apposto, dimentichiamoci questa giornata e basta. »
    « Però anche Noel ed Evelya suonano bene insie - »
    « Ehi, riprenditi. » Lo richiamò subito all'ordine, schioccandogli le dita davanti alla faccia trasognata. Quanto ci avrebbe messo ad uscire da quel loop? E non era nemmeno l'unico a sguazzare in un lago di problemi, vista la tensione palpabile che passava tra Izar ed Altayr quella sera. Mise il telefono in tasca e si accodò alle domande del rosso, sporgendosi oltre la grancassa per ascoltare meglio.
    Quindi il loro bassista si era deciso ad uscire dal guscio? Emise un fischio di ammirazione quando Altayr parlò dell'invito al concerto, sinceramente sorpreso dall'audacia del timido Izar, per poi dare una testata su un piatto appena la ragazza confessò di aver temporeggiato.
    « Non puoi perdere questo treno, passa una volta ogni dieci anni se va bene! » la rimproverò, con Noel che non sapeva più a che santo votarsi per appianare la questione. Capiva i timori della chitarrista, trattandosi di un'amicizia vecchia quanto loro, e capiva un po' anche Izar, così incapace di esternare i propri sentimenti da esserseli dimenticati chissà dove. Dovevano intervenire prima che i dubbi di entrambi bruciassero quella storia d'amore piena zeppa di potenziale, però sia lui che Noel non potevano spingersi oltre una certa soglia, né spingerli uno nelle braccia dell'altra... O forse sì? Scambiò una breve occhiata con il cantante, incoraggiante come sempre mentre rassicurava Altayr. Gli ingranaggi dei loro cervelli avevano iniziato a girare all'unisono, poteva sentirli cigolare.
    « Col tuo principe, invece? Che tipo è? ».
    « Un tipo piuttosto sulle sue, ma non mi sorprende che Cain si sia preso una sbandata. E' molto carino. »
    « Carino? Solo carino? Per favore, è chiaramente uscito da un sogno. Non vi specifico quale sogno perché poi divento volgare, ma insomma, ha tutte le carte in regola per diventare la mia prossima ossessione. »
    Abel non assomigliava a nessuno dei suoi ex, neanche lontanamente, ed era questo che l'aveva fatto uscire di testa. Sua madre, anni prima, in un rarissimo sprazzo di lucidità, gli aveva detto che le relazioni non erano fatte per renderti felice, ma migliore. Lui era sempre stato il solito idiota alla ricerca delle solite cose, eppure una specie di sesto senso gli suggeriva che l'albino poteva portarlo oltre, dargli di più. Che fosse prematuro scrivergli un messaggio? Sì, prematuro ed irritante. Era giunto il momento di testare la sua pazienza.
    Seguì con lo sguardo Izar, di ritorno dalla pausa, che chiamava da parte Altayr, e sussurrò un oooh di sorpresa.
    « Vecchio mio, ho un'idea. E a quei due non piacerà » disse Noel, precedendolo. Gli ingranaggi avevano fatto click.
    « Oh, a me piace già » rispose, fregandosi le mani.

    Izar

    Non si aspettava certo che Altayr reagisse a quella sorta di dichiarazione con un pollice alzato, ma girare attorno alle sue già deboli difese così era scorretto. Schiacciò la sigaretta nel posacenere appena capì il gioco, seguendo la ragazza che si avvicinava nonostante le avvertenze, finché non furono talmente vicini da sembrare equivoci agli occhi di chiunque passasse in quel momento. Come ogni volta che tentava di controllare le emozioni, Izar si fece estremamente serio, una statua con le sole pupille che seguivano i gesti della compagna per anticipare la prossima mossa. Si maledì per aver coperto il suo profumo con quello soffocante della nicotina.
    « Mi hai mai visto così vicino a Noel? O a Kevin? »
    « No » rispose freddo, inclinando un poco il capo di lato mentre i neuroni lavoravano a pieno regime per capirci qualcosa.
    « Fatti due domande, passerotto. Sei sempre stato diverso da loro. ».
    Corrugò le sopracciglia, e la sua compostezza s'incrinò fino a fargli attorcigliare la lingua, togliendogli tutte le parole. Era intelligente quando si trattava di mettere insieme formule e numeri, perché in amore non riusciva a ragionare con la stessa chiarezza? Non era diverso nel male, proprio all'opposto, quindi era... ricambiato?
    « Altayr- » mormorò, la mano tesa a raggiungere la sua guancia arrossata dal freddo della sera. In un battito di ciglia poteva essere sulle sue labbra, ma quel guastafeste di Noel, seguendo il trend della giornata, si palesò nel momento meno opportuno di tutti i momenti possibili. Si scostò alla velocità della luce, ficcando entrambe le mani nelle tasche come se fossero sempre state lì, e sperò che una saetta lo colpisse in quel preciso istante.
    « Finita la sigaretta? »
    « Giusto adesso. »
    « Datevi una mossa allora. »
    Con le spalle ricurve di un bambino contrariato, Izar seguì Altayr trascinando i piedi, esausto e francamente sconvolto dalle fatalità della giornata. Rispose alla sua linguaccia come avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione, ma fu più un riflesso incondizionato che un'intenzione. Non sapeva bene quale fosse il suo stato d'animo, cosa avrebbe dovuto dirle per convincerla che lei era stata speciale fin dal primo incontro, che la cercava, ne sentiva la mancanza quando erano distanti e teneva sempre il cellulare a portata di mano solo per i suoi messaggi. Imbracciò il basso e tirò le corde, fingendosi impegnato mentre attraverso le ciglia scure scrutava i movimenti della chitarrista. Come due pianeti che si gravitavano attorno, lui e Altayr finirono vicini e si allinearono in un istante, scambiando uno sguardo così intenso da tagliare il vetro. Attaccarono con la prima nota e tutto tornò al suo posto: erano lì, suonavano da Dio, c'era intesa e una sorta di preveggenza nell'accompagnarsi a vicenda, insieme a una tensione che faceva vibrare le corde. Noel era risalito dal baratro, Cain non perdeva un colpo. Potevano farcela.

    Al termine della serata, ormai tendente alla notte, Izar era tutto sudore e dita doloranti, striate di rosso. Fece un salto in bagno per sciacquarsi il viso e togliere le lenti a contatto, inforcando i tanto odiati occhiali. Lo imbruttivano, dandogli un'aria da secchione che giocava a fare il duro con tatuaggi e piercing all'orecchio, ma doveva vederci chiaro in ogni modo possibile. Provò a mente qualche discorso finché non fu soddisfatto, per poi dimenticarlo appena tornato in sala prove. Dedicò alla foto del nipote di Noel giusto un mezzo sorriso, infine il gruppo si spostò coeso all'esterno del Waterwitch per mettere la parola fine a quella giornata durata quarantotto ore. Altayr e Izar sparirono in fretta per raggiungere l'autobus di corsa, appesantiti dagli zaini e gli strumenti. Col fiato corto e la schiena dolorante, il ragazzo si appoggiò al palo accanto alla porta e lasciò sfuggire un "che culo", per sommo disappunto di una signora anziana lì vicino. Era troppo vecchio per certi sprint.
    « Ci sono dei posti per sedersi? »
    « No, non credo. »
    « O sennò fa niente, cioè, volevo solo... continuare il discorso di prima.»
    In tutti quegli anni di amicizia non aveva mai sentito Altayr faticare tanto con le parole, e la cosa lo lasciò spiazzato. Aveva sempre la risposta pronta, la più tagliente del repertorio, e in generale non indugiava in nessuna situazione. Era lui quello prudente, gli stava rubando il lavoro.
    « Possiamo farlo quando siamo da soli? » chiese, beccandosi un'altra occhiata disgustata dalla stessa signora che ormai aveva deciso di godersi lo spettacolo per intero. Capiva e assecondava la sua voglia di risposte, ma si trovavano sull'ultima corsa notturna, stipata di gente, ed era un argomento delicato. Furono anche interrotti da un uomo distinto con problemi di orientamento, e Altayr gli rispose piccata di cambiare linea.
    « Sbaglio o i ricchi hanno senso dell'orientamento pari a zero? »
    « I ricchi e quello stordito di Samael » puntualizzò, ricordando la tendenza del genitore adottivo di camminare a casaccio fino a perdersi del tutto.
    Riportò l'attenzione su di lei, ma ecco di nuovo il poveretto tornare sui suoi passi. A quel punto la pazienza della ragazza evaporò come neve al sole. Lo afferrò per la manica e saltò giù alla prima fermata utile, lasciandolo perplesso e a dir poco confuso.
    « So che la mia fermata era la prossima, ma quel tizio voleva parlarci di nuovo, e ne ho le palle piene di gente che continua ad interromperci. »
    « L'ho notato, tigre. Andiamo. » La apostrofò con un sorrisetto, quasi divertito dagli eventi tragicomici che si susseguivano. Almeno lì sembravano soli, un bene e un male insieme. Cos'era che voleva dirle? Che fine aveva fatto il suo vocabolario? Dunque, era speciale, no, diverso. Diverso da un amico, e ogni stadio prima dell'amicizia. Poteva considerarlo un successo dopo anni di tentativi, ma se un ragazzo ed una ragazza erano più di amici...
    « Credo di essere stata abbastanza chiara » iniziò la chitarrista, talmente seria da spaventarlo.
    - Ci siamo. - Si fermò e le rivolse tutta la sua attenzione, prendendo una lunga boccata d'aria. Rimandare l'inevitabile rischiava di compromettere il buono che era rimasto tra loro, quindi via il dente e via il dolore.
    « Mi piaci, Izar. Molto. »
    Lo zaino gli scivolò dalla spalla, e il tonfo riecheggiò per la via deserta. Izar rimase immobile, stralunato come un tossico dopo una dose di roba forte, a guardare quegli occhi determinati trapassarlo da parte a parte. L'aveva detto davvero, impossibile fraintendere.
    « C... credo di non aver sentito bene. »
    La lista di motivazioni che Altayr sciorinò in seguito, come un fiume in piena, prosciugò fino all'ultima parola dalla sua bocca. Era stato uno stupido codardo fin dall'inizio, convinto che la sua tecnica di aggirare il problema per non affrontare la verità potesse durare in eterno. Poi erano diventati famosi, i fan della ragazza la tempestavano di messaggi e allungavano le mani durante i concerti, e allora si era reso conto che quell'equilibrio era destinato a spezzarsi con l'arrivo di qualcuno migliore di lui. La loro relazione, data per scontata, poteva finire oggi, o tra un mese, ma sarebbe finita se non si fosse dato una mossa. E come ogni volta, Altayr l'aveva battuto sul tempo.

    « Sono innamorata di te, lo sono sempre stata. »

    Registrò quella frase con qualche secondo di ritardo, perso a cercare l'ombra di una bugia sul suo viso risoluto. Si aspettava che da un momento all'altro i due rossi diabolici sbucassero da una siepe urlando "scherzone!", ma nei momenti che seguirono non accadde nulla.
    Per assicurarsi che fosse tutto reale cercò la sua mano, ancora aggrappata alla manica della divisa, e la strinse fino ad assorbirne il calore. Era vera e bellissima ed innamorata di lui, cos'altro poteva chiedere all'universo?
    « Sei la stella più luminosa di tutte. »
    Doveva essere arrossito, si sentiva la faccia in fiamme fino alla punta delle orecchie. Maledizione, gli aveva rubato la scena, non poteva certo riciclare le stesse frasi ora.
    Condusse quella mano dalle dita sottili sul suo petto, nel punto in cui il cuore cercava di sfondare la cassa toracica a suon di pugni.
    « Vuoi farmi morire di felicità? Perché ci stai riuscendo. Chiudi quella bocca prima che mi prenda un colpo. »
    Riuscì a sorriderle davvero, le labbra rilassate e nessuna ruga di apprensione sulla fronte mentre riprendeva il gesto da dove l'aveva interrotto durante la pausa, circondandole la guancia e passando il pollice sullo zigomo.
    « Fammi ricominciare da capo: sono innamorato di te, lo sono sempre stato. » Ripeté le sue parole con la gravità di un voto nuziale, finalmente senza interruzioni. « Mi sei piaciuta da subito, e ogni giorno un po' di più. »
    Scese sul suo labbro inferiore e ne tracciò il profilo, ipnotizzato.
    « Quindi, per tagliare corto... vuoi metterti con me, Altayr? ».
    In quelle occasioni, ammise, era un tipo vecchio stampo. Gli piaceva fare le cose con ordine, chiedere il permesso, formalizzare l'atto. Niente ma o se, perché a quel punto aveva bisogno di almeno una certezza nella vita. Era anche certo che sarebbe morto se non si fossero baciati nei prossimi dieci secondi. Attese che recepisse il messaggio, che si avvicinasse di sua spontanea volontà per essere certo di non provocare altri incidenti diplomatici tra loro. La incontrò a metà strada e chiuse gli occhi, posando la bocca esitante sulla sua finché tutte le stelle si allineavano, davano un senso a quella storia. Aveva immaginato quella scena così tante volte da renderla un falso ricordo, ma nulla batteva la realtà del momento, il suo profumo, la sua morbidezza, il bagliore delle iridi acquose sotto le palpebre a mezz'asta che lo cercavano tra un respiro e l'altro. Potevano concedersi solo questo visto il luogo e la situazione, con gli strumenti in spalla a ridurre i movimenti ed il timore di essere interrotti da qualche passante. Izar non vedeva comunque nulla che non fosse Altayr, occupava tutto il suo campo visivo.

    Non appena si separarono crollò a terra come un palloncino sgonfio, sedendosi sui talloni e prendendosi la faccia tra le mani. Gli sfuggì una mezza risata, e forse aveva anche gli occhi lucidi. Espirò a lungo per buttare fuori tutta l'ansia accumulata, sentendosi improvvisamente leggero.
    « Mi sento così stupido per non avertelo detto prima » mugugnò, « a quest'ora saremmo tipo al decimo anniversario. »
    Alzò il mento e l'ammirò in tutto il suo fiero splendore, ancora incredulo. Era lì per lui, e ci sarebbe stata anche il giorno dopo, quando svegliandosi avrebbe creduto che si trattasse di uno dei soliti sogni.
    « Meglio se ti riporto a casa, uccellino. Devo fare bella figura con Mira. »

    Il viaggio di ritorno fu una lunga camminata sulle nuvole, per Izar. Guardava in continuazione le loro mani intrecciate e ogni tanto dava una stretta per assicurarsi che Altayr fosse davvero accanto a lui, sorridendo come un idiota appena la ragazza ricambiava il gesto. Avrebbe realizzato la cosa in una settimana o due, giusto il tempo di smaltire lo shock.
    La lasciò andare davanti al cancelletto di casa Windstorm, posando un ultimo bacio a fior di labbra prima di darsi la buonanotte.
    « Ci vediamo domani. Se ti faccio domande strane sopportami, sono ancora un po' fuori fase » la raccomandò, sentendosi lontano anni luce dal pianeta Terra anche in quel momento. Aveva bisogno di un cazzotto e una doccia gelida, proprio in quell'ordine, e forse dopo aver raccontato la storia al suo tutore se ne sarebbe beccato qualcuno.

    « Izar » « Evie » « Cain »


    — ‹ Finally Together Code BY KL › —
  3. .
    CAIN ASRIEL SKRIKER

    Era sempre stato così, fin dalla prima volta in cui aveva posato gli occhi su di lui: un calore al petto, una sensazione nostalgica che gli inumidiva gli occhi per un istante, e l'irrefrenabile voglia di corrergli incontro. Da bambino spiegava quel legame con la parola fratello perché amico era riduttivo, era solitario. Un termine che aveva fatto suo in mancanza d'altro, e che ora sentiva svanire mentre le mani di Abel lo cercavano, fresche contro la sua pelle bollente. Si adattava così bene a lui, lo seguiva in quella follia e si fidava dei suoi gesti, assecondandolo anche troppo. Cain non era stato addestrato all'autocontrollo, poiché i Beta erano la carne da cannone del branco e il più delle volte dovevano agire d'istinto, senza fermarsi a pensare, invece Abel teneva a bada il suo Black Dog senza sforzo. Lo guardava con occhi languidi, appannati dal piacere, e se era un sogno non voleva svegliarsi mai più.
    Si concessero un istante d'aria, e il rosso inspirò a fondo per riacquistare la calma. Doveva essere migliore di così. Migliore per lui.
    « A saperlo, ti avrei baciato molto prima ».
    Per l'ennesima volta, quella sera, il suo cuore si sciolse sotto il calore del timido sorriso di Abel. Dietro alla barriera d'indifferenza stava lo stesso bambino che aveva conosciuto anni prima, e capì che quelle mura erano servite a lasciarlo fuori, a nascondere ciò che provava.
    « Sei tutto ciò di cui ho bisogno ».
    « Abel... ». Non Gytrash, non fiocco di neve, non principessa. Gustò il sapore di quel nome finché il fratello lo reclamava, trascinandolo sopra di lui. Inizialmente rimase a carponi, con un istante di riguardo per la ferita dell'albino, poi seguì la bocca affamata di Abel e scese giù, ancora abbastanza in sé da tenere il bacino distante dal suo. Troppe informazioni, troppo in fretta. Stava ancora navigando in acque inesplorate e non voleva bruciare tutte le tappe solo perché era uno stupido adolescente in preda agli ormoni. Con lui voleva che fosse diverso, andava assaporata ogni piccola scoperta. Trattenne il respiro appena le dita di Abel si intrufolarono sotto la sua maglietta, lasciando una scia infuocata sulla pelle e nel suo stomaco. Sentì un morso tra spalla e collo, e il gemito che gli sfuggì non poteva essere frainteso.
    Lo guardò leccarsi le labbra, la vista più erotica che gli fosse mai capitata davanti, e la sua mano destra scivolò dal fianco snello al bordo dell'elastico dei pantaloni. Parlando di bruciare le tappe.
    « Cazzo, mi sento un idiota ». Alle parole di Abel si fermò, ridendo di sé stesso e della situazione.
    « Io mi sento drogato, ubriaco e completamente perso ». Si infilò appena sotto la cinta, sfiorando l'osso del bacino.
    « Non ci capisco niente, ma so che non voglio smettere ».
    Ascoltò le sue parole come fossero un sussurro nel vento, indistinte e lontane, concentrato sull'inscenare la migliore notte di tutta una vita per entrambi, finché un lamento di Abel lo riportò sulla Terra. La ferita era tornata a dargli il tormento, che tempismo perfetto.
    « Oh merda, scusa » disse, lasciandogli spazio e guardandosi attorno nel panico alla ricerca delle sue medicine. I canini si ritirarono all'istante, le iridi misero a fuoco l'intera scena: il letto era un disastro, i vestiti anche, le loro facce pure. Aiutò Abel a mettersi seduto con la schiena poggiata alla testiera del letto, tornando nei panni del fratello premuroso ed apprensivo.
    « Non è colpa tua, sono io che ho sfiga ».
    « Certo che è colpa mia, anche se tu hai contribuito. »
    Lo vide rabbrividire e si avvicinò subito, sbrogliando la coperta dall'intreccio delle loro gambe per avvolgerlo in un abbraccio. L'albino sembrò esitare. Ora che la bolla di passione era scoppiata restavano solo due fratelli con delle confessioni da fare, ed era difficile. Gli mostrò un mezzo sorriso incoraggiante e lo circondò con braccia e coperte, affondando il viso nei morbidi capelli arruffati. Probabilmente da quel contatto Abel poteva sentire l'effetto che gli faceva, però ormai era abbastanza palese, no? Non era neanche il tipo che si faceva problemi per simili sciocchezze. Lasciò un bacio leggero sulla nuca di Abel quando si appoggiò alla sua spalla e lì rimase, contemplando l'atmosfera di onirica calma che era scesa nella stanza.
    « Come... com'è stato? » gli chiese, così teneramente da farlo sentire un pervertito approfittatore.
    « Come una prima volta » ammise. Nulla di ciò che era accaduto gli sembrava paragonabile alle esperienze avute in passato, e con i partner precedenti non aveva mai rischiato di trasformarsi in Black Dog e sfondare il letto. C'era sempre stato qualcosa in lui che lo faceva scattare, che gli accendeva la miccia, nel bene e nel male. I litigi tra i due facevano tremare le mura del collegio, anche se era Cain il più teatrale. Ripensò alla prima volta che aveva trovato una traccia di Raphael sul cappotto di Abel e l'abbraccio si fece più stretto.
    « Non te la cavi male coi baci » disse a bruciapelo, e il rosso sghignazzò.
    « Già, beh, ho un degno avversario. » Lo guardò di sottecchi prima che si nascondesse di nuovo nell'incavo della sua spalla. Si vergognava? Che sensazione nuova e appagante vederlo arrossire. Gli faceva venire voglia di stuzzicarlo ancora.
    « Da quando non sono più solo un fratello, per te? »
    Cain mise il mento sulla sua testa e ci pensò, mentre si girava attorno all'indice una ciocca di capelli argentei.
    « Non so dirti il giorno preciso. Credo che questa cosa ci sia sempre stata e sia cresciuta con me » iniziò, finalmente tranquillo. « Ti credevo qualcosa di sacro e intoccabile, poi ti sei... allontanato, ed è stato come farsi accoltellare cento volte ogni notte, quando andavo a letto e tu non c'eri. »
    Il termine brotherzone gli strappò una risatina, anche se a ripensarci avevano sofferto entrambi per quel motivo. Per via dei loro caratteri agli antipodi i risultati erano stati molto diversi: Cain aveva usato tante persone come tappabuchi, Abel si era consumato il cervello sui suoi amati libri e il resto del tempo c'era Raphael a distrarlo. Già, quello era un problema irrisolto. Un fastidiosissimo problema. Gli salì alla gola un ringhio e lo mascherò con un colpo di tosse, allontanando brevemente il fratello.
    « Meglio sistemare la ferita. Dove hai messo il kit di salvataggio? »
    Abel gli indicò il borsone ai piedi del letto e lui ripescò un blister con quattro pastiglie mancanti su sei. La vacanza stava finendo, ancora un paio di giorni e sarebbero dovuti rientrare per la convalescenza dell'albino e le missioni del rosso.
    Nello spostarsi trovò anche la maglietta che poco prima gli aveva strappato via, lacerata sul colletto, e rimase a fissarla con aria colpevole.
    « Uh... spero non fosse la tua preferita. »
    Scese dal letto e barcollò, ancora frastornato dai baci bollenti e i respiri corti, completamente inebriato dal profumo di Abel. Provava un senso di intontimento piacevole, come se fosse stato stregato dal canto di una sirena. Aprì il grande armadio che odorava di polvere e vecchi ricordi e prese una t-shirt slavata, porgendola al fratello.
    « Copriti, svergognato » gli disse, usando il tono autoritario di Sarah.
    Si sedette sul bordo del materasso, in attesa che Abel sistemasse il danno allo stomaco, e per un istante il suo sguardo si perse oltre la finestra, dove si vedevano alberi e distese di campi. L'avevano fatto davvero. Loro due, proprio lì, insieme.
    L'ondata di adrenalina si ritirò, distendendo i muscoli e rallentando i pensieri. Prese una lunga boccata d'aria, portandosi una mano sul cuore per sentire i battiti regolari. Tutto sotto controllo.
    « E tu da quando... insomma, so di essere irresistibile, ma non credevo fino a questo punto. » Cercò di sdrammatizzare, ma la curiosità lo uccideva. Soprattutto, moriva dalla voglia di scoprire cosa sarebbe successo da quel momento in poi. C'era una certa persona a cui non vedeva l'ora di ridere in faccia, però in cuor suo sapeva che non si trattava di una questione facile. Gli Alpha erano territoriali ed orgogliosi, in più Cain e Raphael non si erano mai sopportati. Già una volta erano arrivati alle zanne, e il rosso era pronto a rifarlo. Non c'erano alternative, se non tenere nascosta la loro relazione.
    - Non ci penso nemmeno - si disse, ammirando il profilo regale di Abel illuminato dalla luna. Dopo anni di attesa era suo, avrebbe combattuto contro Grim in persona piuttosto che rinunciare a lui.

    ...

    Quando la stanchezza si impadronì di entrambi, Cain recuperò un paio di bicchieri d'acqua, una coperta extra e sgusciò vicino ad Abel, nella parte sinistra del letto. Al piano di sotto sentì la porta aprirsi e i passi leggeri di Sarah sul parquet.
    Cercò Abel nel buio, attento a dove toccava, e distese un braccio sotto la sua nuca a mo' di cuscino. Non gli pesava affatto, era morbido e caldo come un cucciolo rannicchiato su di lui.
    « Buonanotte Abel. Se è un sogno lasciami dormire per sempre. »
    Gli diede un bacio leggero sulla fronte e lasciò cadere le palpebre pesanti. Fuori non imperversava nessun temporale, eppure eccoli vicini nello stesso giaciglio. La felicità aveva i contorni della sua sagoma nel buio di una camera da letto, aveva il suo viso.

    Omega Black Dog | 19 y/o | Eye of the Future
    Clueless Dogs code by KL | vietata la copia anche parziale
  4. .
    Un <3 per la te del passato più <3 <3 <3 e tanti altri per la te del presente e del futuro, forza sempre <3

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  6. .
    Izar, Evelya, Cain.
    The slow dance of the infinite stars.

    Evelya

    Non ho fatto altro che pensare a te da quando ti ho vista.

    Evelya si gettò altra acqua fredda sul viso. Sperava di cancellare l'umiliazione insieme al rossore delle guance e degli occhi, ma non le si scrollava di dosso. Il riflesso allo specchio rimandò l'immagine di una ragazzina dall'aria affranta, debole e commiserevole. Ancora una volta era fuggita di fronte alla prima increspatura nella sua vita piatta e calma, impreparata all'audacia di una persona come Noel. Era sincero, trasparente. Nei suoi occhi vivaci non aveva visto alcuna malizia. Si era dichiarato senza la minima esitazione, con fermezza, come se avesse le risposte a tutte le sue domande in tasca. E lei? Beh, lei era scappata.

    Sei sempre stata tu. Voglio conoscere te.

    « Non voglio costringerti a sopportarmi. Credimi Noel, non sono la persona che pensi. »

    E con il pretesto dell'inizio delle lezioni, con un patetico sorriso di scuse, aveva lasciato la caffetteria, mettendosi a correre una volta varcata la soglia. Non sarebbe tornata in aula, tra le urla del professore e le occhiate scocciate di Raphael. Il bagno per ora andava bene, era stato pulito di recente e sembrava non esserci nessuno. Abbassò la tavoletta del wc e si sedette, tamponando gli occhi con la carta igienica che aveva la stessa consistenza di un fazzoletto di cotone. Era abituata a quel genere di privilegi, li dava per scontati.
    Noel invece riusciva a malapena a resistere nella divisa scolastica, dal taglio austero e i tantissimi bottoni.

    Mi cucirei questa divisa addosso pur di stare con te.

    Riprese a singhiozzare e tirò su con il naso. Era accaduto per colpa di anni ed anni di insicurezze, una pila traballante che le era crollata addosso tutta in una volta. Prima di incontrare Noel non aveva mai messo in dubbio la sua posizione nel mondo: era nata in quella famiglia, doveva assolvere quei compiti, non sbagliare, non alzare la voce, sorridere anche quando desiderava solo urlare. Poi si era ritrovata in mezzo ad una calca di persone, a fissare un palco illuminato a giorno. Lui era al centro esatto della scena e cantava dal fondo dei polmoni con tutta la sua energia, una macchia di colori sanguigni sotto i riflettori che lo facevano brillare come un secondo sole. Evelya voleva quel tepore per sé, quegli occhi puntati nei suoi finché le diceva che voleva conoscerla, che non era stato un caso se si trovava lì. Voleva tenergli la mano e camminare accanto a lui, così alto da poterla gettare nell'ombra e proteggerla allo stesso tempo.
    « Mi dispiace tanto » sussurrò al silenzio, o forse alla Evie che aveva maltrattato per tutti quegli anni. Doveva essere gentile innanzitutto con sé stessa, lo diceva sempre Aidan. Pensò di chiamarlo, e si sorprese di trovare un messaggio di Azarel sul display.
    Che richiesta strana da parte sua. Era raro che volesse stare solo con lei in un ambiente extrascolastico. Trattandosi di lui, purtroppo, non poteva rifiutare. Rispose un lacunoso "certamente" ed ignorò la risposta in cui chiedeva dove fosse finita. Compose invece il numero di Aidan e aspettò, soffiandosi il naso per non tradire il pianto disperato appena interrotto.

    « Ehi pulcino, non sei a scuola? »
    « Sì ma... vorrei tornare a casa. »
    Il chiacchiericcio in sottofondo si fece più ovattato. A quell'ora l'intero ambulatorio faceva pausa caffè, e la sala comune diventava un porto di mare, tra medici e infermieri che smontavano dal turno del mattino e attaccavano per quello serale. Il silenzio che seguì le fece capire che Aidan aveva trovato un luogo più appartato.
    « Parla. Mi basta un nome e gli faccio sputare tutti i denti. »
    « No no no, tranquillo! Niente bulli o cose del genere.
    È stata solo una brutta giornata. »

    Aidan rise di quella risata di gola che scaldava il petto.
    « Ma se non sono nemmeno le quattro! Dai, che è successo. »
    E suo malgrado Evelya vuotò il sacco. Raccontò tutto, dalla serata del concerto ai messaggi, fino all'improvvisata alla Ripley. Non aveva modo di confidarsi spesso con il maggiore dei Sadalmelik, dato che non viveva più nella tenuta di famiglia da almeno tre anni. Dopo un divorzio scandaloso ed un secondo matrimonio altrettanto scandaloso - in segreto da tutti -, Aidan stava insieme alla "luce dei suoi occhi", per citarlo, in una casetta a Manchester, lontano dal veleno dei parenti e dall'affetto dei tre fratelli, purtroppo.
    Al termine della storia calò uno strano silenzio, ed Evelya quasi temette che fosse caduta la linea. Un lungo sospiro le riempì l'orecchio.
    « Evie, sono abbastanza sicuro che se avesse solo voluto portarti a letto non si sarebbe sprecato così tanto. Non mi sembra che racconti balle. »
    Lei arrossì fino alla punta dei capelli. « N... non l'ho mai pensato, figurati. Solo che non mi conosce nemmeno e... »
    « E vuole farlo, quindi perché no. Parlaci un po', vedi come va. Sempre che quella serpe di Azarel non si metta in mezzo come al solito. »
    L'avrebbe fatto di certo. Frequentare un ragazzo come Noel alla luce del sole significava anche gettare in disgrazia il suo buon nome. Nemmeno con la divisa impeccabile della scuola passava per un secchione figlio di papà. Era la sua aura ad essere diversa, senza artefatti.
    « Perché io sono io » rispose in tono rassegnato, sentendo nuovamente la gola serrarsi. Il fratello captò subito il cambio di umore ed addolcì la voce, come quando consolava uno dei suoi piccoli pazienti.
    « Non c'è niente meglio di te, Evie. È stato fortunato ad incontrarti. Buttati, chiedi aiuto agli altri due disgraziati di casa e qualcosa combinerete. Se non va pazienza, ne arriverà uno migliore. »
    Come replica ricevette solo un pianto a dirotto, e dopo vari tentativi per farla calmare le propose di raggiungerlo per il weekend. La pressione dei Sadalmelik e della scuola la stava rendendo paranoica, a sua detta, ed Evelya la trovò un'ottima idea.

    Lo salutò dopo una ventina di minuti di conversazione, in cui recuperò un minimo di contegno e degli occhi un po' più asciutti. Al messaggio di Abel, inaspettatamente, rispose con un moto di ribellione.

    "Torniamo adesso? Non me la sento più di stare qui."

    Sperò in una risposta positiva. Aveva bisogno di stare con qualcuno che non annunciasse catastrofi imminenti ogni momento.
    Guardò un'ultima volta la pagina instagram degli Elysian, dove fino a poco prima poteva solo fantasticare. Noel era esattamente come appariva in foto: stesse espressioni, stessi sguardi di sfida e sorrisi a tutta faccia. Doveva averlo ferito parecchio con le sue parole, e soprattutto con i suoi silenzi. Spense il telefono e si alzò, puntando all'uscita sul retro dell'istituto. Se esisteva una possibilità di redenzione doveva coglierla prima che fosse troppo tardi.

    -

    Le parve che Abel, una volta arrivato, avesse l'espressione colpevole di un ladro. Era stato così gentile da portarle la cartella, per fortuna.
    Si scusò subito per la proposta che rischiava di mettere entrambi nei guai, dopo aver finto uno svenimento in corridoio ed ottenuto il l'esonero dalle lezioni pomeridiane. Abel era ligio al dovere come lei, sotto pressione e intenzionato ad uscire con i migliori voti. Azarel si sarebbe ricordato di questa negligenza.
    « Perdonami, preferisco te ad un professore asfissiante » ammise, rivolgendogli un sorriso affettato, ancora segnata dai pianti precedenti. Gli avrebbe offerto un caffè sulla via del ritorno come ringraziamento, era il minimo. Propose di fermarsi al bar di Greaves Park, così tranquillo ed immerso nel verde da rinfrancarle lo spirito dopo ogni giornataccia. Era il luogo di ritrovo preferito della borghesia di Lancaster, perciò incrociò le dita e pregò di non incontrare nessun conoscente.
    Sedettero nella lussuosa sala in stile coloniale, ad un tavolo dove li aspettava già dell'acqua versata e dei salatini. La cameriera fu ossequiosa come al solito, fin troppo, nel chiedere la temperatura del tè e quale dei quindici ripieni volessero negli scones, ma alla fine riuscirono ad avere il loro spuntino e un po' di pace.
    « Hai incontrato il ragazzo della batteria alla fine? » Abel era abbastanza inquieto da presupporre che qualcosa fosse successo mentre lei combatteva la sua, di battaglia, e anche Raphael era più scontroso del solito. Da osservatrice esterna non li aveva mai compresi del tutto, come coppia: avevano un modo pacato di dimostrare affetto, per quanto fosse ovvio che si volessero bene, e non si prodigavano in smancerie, parole dolci o effusioni in pubblico. Abel amava in un modo sottinteso, mentre il ragazzo della band era un libro aperto, senza segreti. Che fossero i famosi "opposti che si attraggono"? Evelya ascoltò il suo bizzarro racconto con le mani a coppa attorno alla tazza di tè, imbarazzata dall'audacia di quel tale Cain. Si erano scontrati contro un mondo alieno, a quel concerto.
    « Mi chiedo se non dovremmo tentare... sai, rivederli. » Lo disse in tono sommesso, pensierosa, e attese la reazione di Abel con gli occhi fissi nei suoi, oro e argento alla ricerca di risposte. Forse entrambi avevano bisogno di un cambiamento, e quel cambiamento era rosso come il fuoco.

    -

    Azarel, impeccabile nel suo abito da sera, le aprì lo sportello della macchina e l'aiutò a scendere. Evelya accettò la mano dell'insegnate solo perché si trovavano ad una serata di gala, circondati da sguardi indiscreti nonché spie di sua madre, ne era certa. La cena si era trasformata in un evento del country club con cena all'aperto, e nella grande casa dei Peterson donne indaffarate correvano a destra e manca per riempire bicchieri vuoti o ciotole di noccioline. Le conversazioni si assomigliavano tutte: come stai, cara? E i tuoi genitori? E la scuola? Emberthorn è sempre così premuroso!
    Evelya sorrideva a tutti, seppur stordita dalla stanchezza. Si era preparata in fretta, infilandosi in un vestito stretto e in tacchi alti e dolorosi. Sedette alla prima sedia disponibile e lì rimase, sorseggiando un analcolico con l'entusiasmo di uno zombie. Continuava a comparare i momenti della giornata al concerto, e non vi era paragone. Avrebbe pagato per ritrovarsi di nuovo al Black Dog.
    -Noel saprebbe come svegliare questa gente- pensò, immaginando il ragazzo che prendeva possesso del microfono e faceva scattare sull'attenti tutte le vegliarde che parlottavano in giardino.
    « Le feste dei Peterson attirano sempre molta gente » disse Azarel, sedendo di fronte a lei. Era al secondo bicchiere di vino, e la stanchezza della giornata pesava anche su di lui. I capelli ricadevano mollemente sulla fronte, e il colletto della camicia era sbottonato fino al terzo bottone. Si tolse gli occhiali per stropicciare il viso.
    « Sono bravi ad intrattenere gli ospiti » convenne Evelya, riferendosi alla parlantina infinita della signora Peterson.
    « Tranquilla, non facciamo tardi. Tua madre ha insistito perché ci facessimo vedere un po' in giro. »
    Con gli impegni scolastici e lo studio nessuno dei due metteva piede ad una festa da mesi, in effetti, ma quel "ci" le parve strano. Loro insieme, nell'alta società, a pochi mesi dal diploma di lei... Oh, no.
    Sperò di sbagliarsi, anche se tutti gli indizi suggerivano che fosse una trappola della capofamiglia per iniziare a diffondere chiacchiere di un futuro matrimonio. Era stato lo stesso per le sue conoscenti più grandi, che a vent'anni erano già accasate e sistemate per la vita. Era sorpresa solo in parte, però. Fin da bambina Parveen le aveva insegnato quali caratteristiche cercare in un buon marito, usando sempre come esempio Azarel. Di buon carattere, elegante, rispettoso delle tradizioni, intelligente, qualità che Evelya non considerava affatto importanti.
    L'insegnante si schiarì la voce e tentò di assumere un tono meno distaccato. « Ti sei ripresa? Gytrash mi ha detto che sei svenuta. »
    « Sì, ora sto bene, grazie. »
    « Niente crolli di nervi prima del concerto, mi raccomando. »
    Evelya faticò così tanto a sorridere che temette di non averlo proprio fatto. « Faccio del mio meglio. »
    « Ci mancavano solo i teppisti a fare irruzione nella scuola, oggi. »
    La ragazza bevve un lungo sorso del drink e guardò altrove. Teppisti.
    La banda che suonava al centro del giardino attaccò con un valzer molto lieve, ed Azarel si alzò lentamente, tendendole la mano.
    « Balliamo e mettiamo da parte i problemi, almeno per stasera. »
    Avrebbe voluto dirgli che lui era parte dei suoi problemi, se non un ostacolo alla sua felicità. Invece mise la mano fredda nella sua e si diresse al centro della scena, dove bisbigli e risatine si perdevano tra le note.


    Cain
    Avrebbe potuto evitare tante domande, e invece Abel scelse di non rispondere proprio a quella. Brutto segno. Lo lasciava in un limbo tra "sono impegnato, non provarci" e "sono libero ma non devi saperlo". La questione si stava facendo complicata per il suo cervello, che di solito non girava mai attorno ad un problema e ci si fiondava direttamente in mezzo. Lo vide tentennare solo per un attimo prima di tornare alla solita maschera di ferro, mentre considerava l'idea di un'uscita di gruppo. Okay, gli Elysian non erano il coro della messa domenicale, però non davano nemmeno fuoco ai cassonetti per strada. Noel era un cucciolo di labrador che faceva la voce grossa, Izar un emo d'altri tempi e Altayr se ne stava quasi sempre tranquilla finché non la provocavi. Aveva visto di peggio nel loro ambiente, eccome.
    « Certo, si vede che non sei un tipo che se la prende per delle sciocchezze simili. »
    « Nah, figurati. Però non mi dispiacerebbe. » Cercò di mantenersi vago, attirandolo nella sua ragnatela un poco alla volta. Quel "ci penserò" fu una piccola vittoria, e si concesse un lungo sospiro con la mano sul petto. Ora, come spiegare agli altri che dovevano lasciarli soli con qualche scusa? Magari potevano mangiare un boccone e casualmente ricordarsi di impegni già presi. A quel punto, con le strade buie e i mezzi pubblici pieni di gentaglia restava solo la sua moto e un casco in più.
    - Sì, perfetto - pensò, immaginando quelle braccia esili sulla schiena mentre sfrecciavano nella notte.
    « Ma sappi che non mi fido dei Don Giovanni come te- »
    Lo guardò stralunato, controllando se alle sue spalle ci fosse qualcuno che meritasse davvero l'appellativo. No, stava parlando di lui.
    « Abel, se cercassi un premio non sarei qui, credimi. » In una situazione normale lo avrebbe preso per mano, visto che lo considerava uno dei gesti più intimi che ci fossero, ma si fermò appena in tempo. Mise entrambe le mani dietro la schiena come un prigioniero legato e proseguì. « È solo che per quanto sembri assurdo ci credo nel destino, e tutta questa cosa non la vedo come una coincidenza. Potevi essere in mille altri posti l'altra sera, invece eri lì e non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso. » Non ci riusciva nemmeno adesso, anche se continuavano a sfuggirgli e lo trovava molto ingiusto.
    « E la cosa più assurda è che non mi è mai successo prima, capisci? Per questo sono insopportabile. »
    Si raddrizzò assumendo un'aria seriosa, i pugni stretti sulle ginocchia.
    « Quindi se basta non toccarti e non dirti in ogni momento quanto tu sia un problema per il mio autocontrollo okay, sono disposto a farlo. »
    Sperava di ottenere qualcosa di più da quel giuramento, peccato che le cose non andassero mai come programmava.

    « Ehy, Cain! »
    Un'espressione inadatta al luogo gli uscì tra i denti serrati mentre si girava a fulminare con lo sguardo Noel.
    « Posso sedermi qui con voi? Sono triste e dolorante, ho bisogno di un po' di compagnia. »
    « Si può sapere che cazzo stai facendo? » gli chiese in un ringhio appena si sedette in mezzo a loro senza tanti complimenti, mettendosi bello comodo a gambe distese. Voleva davvero morire lì, in mezzo a gente che se ne fregava di lui? Perché stava per accontentarlo. Attaccò con una lagna infinita sul rifiuto della ragazza, e questo significava che non avrebbe parlato di altro per il resto del mese. La band si sarebbe dovuta sorbire i suoi sospiri lunghissimi e le canzoni strappalacrime di Lewis Capaldi, monologhi su quanto l'amore fosse una menzogna e conseguenti sbronze tristi. Dovevano fare i migliori concerti della loro vita e Noel si piangeva addosso come una mocciosa delle medie. Senza contare che aveva appena mandato in pezzi un discorso accorato e la possibilità di trasformare il forse di Abel in un sì.
    « Senti, ti do cinque secondi per alzare il culo da questa panchina o giuro che- »
    « Pensate, mi ha addirittura chiesto perché sono venuto fin qui. Non è abbastanza ovvio? Io volevo... io volevo vederla di nuovo. »
    Trattenne il resto della minaccia perché, suo malgrado, si riconosceva in quelle parole. Erano gli stessi pensieri che aveva formulato lui, che continuava a rimescolare alla ricerca di una soluzione che mettesse fine alla sua agonia. Incrociò gli occhi argentati di Abel ed ebbe l'impressione che il ragazzo riuscisse a leggergli nella mente. Sbuffò e si distese come Noel, arreso all'idea che la magia tra loro fosse bella che finita, con un orecchio teso a cogliere la conversazione e la voce un po' meno seccata di Abel. Gli parve di leggere qualcosa tra le righe, specie nella parte delle attenzioni plateali, come se ci fosse una parte autobiografica nel discorso.
    - Quindi ho fatto gli stessi errori di Noel e adesso siamo tutti e due a piedi - concluse. Da quello che capì Abel era comunque un buon amico, e sensibile a modo suo. Nonostante non conoscesse bene nessuno dei due rossi cercava di trattarli con decenza e dare anche consigli al cantante dal cuore spezzato.
    « Voi, invece? Come sta andando? » chiese a tradimento, aumentando l'imbarazzo tra loro e soprattutto la frustrazione di Cain. Lo studente lo fissò per una manciata di secondi prima di rispondere che in realtà se ne stava andando, e se il rosso avesse avuto un coltello si sarebbe compiuto un omicidio. Quell'idiota piagnucolone aveva consumato il suo pochissimo e prezioso tempo a disposizione per delle cazzate ed Abel sgusciava via dalla rete come niente fosse. Maledizione.
    « Se ti va siamo nella sala prove del Waterwitch quasi tutte le sere » disse, dopo il consiglio di Abel di sparire dalla circolazione. Aveva la stessa faccia distrutta di Noel. Non tentò di fermarlo, sarebbe stato inutile ed invadente, ma gli prudevano le mani. Quel suo "a presto" mantenne viva la fiamma della speranza, per quanto piccola, e appena lo vide svoltare l'angolo espirò così a lungo da sgonfiarsi.
    « Dai, su, allora? Avete un appuntamento? Ho capito bene? »
    Pestò sulla mina antiuomo chiamata Cain e quello esplose, afferrandolo per il colletto della ridicola camicia da studente.
    « Tu, razza di samoiedo in carenza d'affetto. Se non fosse per la tua voce da sirenetta che ci fa guadagnare ti avrei già gonfiato di pugni. »
    Lo lasciò andare al primo bisbiglio allarmato, ma non aveva ancora finito con lui.
    « Non ci posso credere che ti sei ridotto così per una principessina del cazzo che neanche conosci. Sai perché le tue ex non le assomigliano? Perché hai degli standard e non li devi superare. Ma cosa ti dice il cervello? » In realtà erano parole rivolte più a sé stesso che non all'amico, lo sapeva. Difficilmente si struggeva così tanto per qualcuno che non lo considerava nemmeno un'opzione, ma c'era sempre quel destino di mezzo in cui sperare. Sbollito il momento di rabbia mormorò delle scuse e fece segno a Noel di seguirlo sul retro, dove li aspettava la sua moto. Propose di andare direttamente alle prove vista l'ora, e mangiare un boccone lungo la strada. Non che avesse molta fame, però a stomaco pieno si elaboravano meglio i traumi.
    « Scrivi alla coppia del disagio che ci vediamo lì » disse a Noel, sparendo sotto il casco. Dalla visiera oscurata la Ripley St.Thomas sembrava un castello gotico di mattoni neri, roba da film horror. Intercettò brevemente lo sguardo storto di un tizio alla finestra del primo piano che si era sporto per chiuderla, e ricordò di indossare ancora la divisa. Si sarebbe volentieri spogliato in mezzo alla strada pur di liberarsi di quella camicia di forza, e anche levarla ad Abel pareva una buona idea. Perfetto, il treno di pensieri sconvenienti era tornato in carreggiata. Si ripromise di suonare così forte da far venire il mal di testa anche ai suoi sogni erotici, quel pomeriggio.


    Izar
    Come previsto, Altayr venne irrimediabilmente contagiata dal malumore di Izar, una macchia di inchiostro che si espandeva attorno a lui e portava tutti con sé. Non si definiva un leader o un trascinatore, ma spesso le sue reazioni avevano un grande peso sul resto del gruppo.
    La ragazza si sfogò su di lui nel modo più silenzioso possibile, vista la calca di gente in autobus. Lei non capiva i suoi sentimenti, li sopportava. Lo faceva da quando si conoscevano, aveva imparato a riconoscere la tempesta di negatività quando arrivava e quando se ne andava, però non sempre lasciava correre. Era un periodo difficile per gli Elysian: stavano lottando per emergere dal numero impossibile di band inglesi che tentavano di sfondare. Mancavano i soldi, il tempo, l'equilibrio per mantenere vita privata e lavorativa sui piatti della bilancia e non far pesare troppo nessuno dei due. Anche lei, come tutti, era arrivata al limite.
    « Mi vuoi dire chiaro e tondo che ti prende? »
    Izar staccò il braccio dalla parete e guardò altrove, fulminando una coppia di ragazzini che stavano palesemente origliando. Non leggeva nel pensiero, eppure sapeva che era molto più perspicace di così. Non voleva ammetterlo perché non gli interessava? Un rifiuto categorico dopo così tanti buchi nell'acqua sarebbe stato distruttivo, anche se ci era abituato. Ascoltò le proteste sul suo silenzio ostinato e mantenne le distanze, mordendosi l'interno della guancia per la frustrazione. Arrivarono alla fermata dopo quelle che sembrarono ore, e appena la ragazza scese dal bus trovò i due rossi caotici che li attendevano con espressioni non migliori della sua. Noel era un disastro, gli occhi consumati dalle lacrime e la postura ingobbita di un vecchio malandato. Cain, al contrario, era un fascio di nervi prossimo a rompersi.
    « Noel, ti prego, non oggi » bofonchiò, mentre una canzone familiare iniziava a passargli per la testa.

    Now the day bleeds, into nightfall
    and you’re not here, to get me through it all


    Dio no, non Lewis Capaldi. Era l'ultimo ingrediente di una giornata da dimenticare. A quel punto l'unica cosa da fare era buttarsi anima e corpo nel lavoro fino ad isolare il problema per qualche ora. La scaletta non l'avevano ancora decisa, e doveva scrivere alla tizia delle foto per l'appuntamento. Poi la caparra degli strumenti, i biglietti del treno... La voce di Altayr continuava ad intromettersi nei suoi pensieri come un sasso lanciato in mezzo ad un lago tranquillo. Le increspature non sparivano mai, non riusciva a smettere di darle attenzione. Stava cercando di rimettere in sesto Noel, già deciso ad abbandonare le prove per il suo dramma, con Cain che spiegava dell'incursione nell'istituto St.Ripley's andata male per colpa del cantante e la sua tendenza a teatralizzare tutto.
    « Abel stava per accettare il mio invito, era praticamente fatta, ma tu hai deciso che quello era il momento perfetto per rompere i coglioni e così è stato. Userò la tua testa come tamburo stasera, vedrai come ti passa la depressione. »
    Invidiava Cain per due motivi: il fisico spaventoso e l'assenza di peli sulla lingua. Se avesse avuto metà del coraggio del batterista si sarebbe confessato quando, tre anni prima? Ma era solo il silenzioso, musone e serio Izar, e non parlava apertamente dei suoi sentimenti. Preferiva lavorarli finché non diventavano macigni da scaricare sui poveri innocenti che gli stavano attorno.
    « Spero che questa tortura finisca presto. »
    « Cazzo sì. »
    Izar seguì Cain all'interno del locale, e nel passare accanto ad Altayr, che teneva aperta la porta, mormorò un "scusa" così basso che dubitò l'avesse sentito.

    Imbracciò il basso mentre il resto dei membri del gruppo prendeva posto e Noel si lasciava morire su un divanetto. Il loro trascinatore, il pilastro portante degli Elysian, suggerì di piangersi addosso nelle due ore che avevano prenotato, ma Izar non gli avrebbe permesso di sprecare così le loro trenta sterline. Sempre armato di strumento si avvicinò al rosso e usò il manico per scollarlo dal suo trono del pianto, stando attento a non fare leva sulla gamba sbagliata.
    « Capo, abbiamo già buttato 20 minuti. Non siamo ancora così famosi da concederci degli sprechi. »
    Sperò che puntare sulla parte economica aiutasse, invece Noel rimase spalmato lì con la proposta di cantare canzoni tristi. Okay, ci aveva provato e no, niente canzoni tristi. Il prossimo concerto sarebbe stato decisivo in termini di visibilità prima del festival estivo, servivano i loro cavalli di battaglia e un paio di scelte audaci per tentare la fortuna.
    Suo malgrado fu costretto a rivolgersi ad Altayr, che al momento pareva sopportarlo come si sopporta un mal di testa, e propose "A love like war" e "Time-bomb" , sforzandosi di mantenere il contatto visivo.
    « Io voglio un don't you go e guai a chi protesta. » Cain fu adamantino, iniziando già a suonare il ritmo del ritornello mentre riscaldava le bacchette.
    « Come si fa a vivere dopo aver perso l'anima gemella? »
    « Cristo santo. »
    « Beh, tu hai perso tipo una trentina di anime gemelle, meglio di te non lo sa nessuno. »

    Izar lasciò che il dramma si consumasse alle sue spalle, esausto, finché prendeva un quaderno ed il cellulare, applicazione della calcolatrice alla mano. Trovò una penna sul fondo dello zaino ed iniziò ad annotare una stima delle spese della sala prove da lì a fine anno: il risultato gli fece gelare il sangue nelle vene. Appena il cantante propose di suonare qualcosa di Lewis Capaldi, di conseguenza, scattò come una molla e corse da lui, piantandogli in faccia un 128£ cerchiato in rosso. Ignorò persino l'assenso di Altayr, convinta che assecondare le sue lagne fosse una buona idea in quel momento. Premette il quaderno al centro esatto del suo viso da martire e lì rimase, ormai al limite della pazienza.
    « Li vedi questi? Non ne abbiamo neanche metà, e se non vogliamo ridurci a suonare nella topaia di Cain- »
    « Ehi! »
    « -dobbiamo fare le nostre cazzo di canzoni migliori e trovare qualcuno che ci metta una firma prima di giugno. » Lasciò cadere a terra il quaderno ed afferrò il leader per le spalle.
    « Perciò ti scongiuro, ti imploro di mettere da parte una delle tue solite delusioni d'amore per il bene della band e dei nostri portafogli. » Pregò davvero che il messaggio attraversasse il muro di depressione che circondava il cervello di Noel, perché in quanto contabile degli Elysium ci teneva che il sogno non finisse per colpa dei loro umori instabili. Voleva vivere della musica che facevano, non essere semplicemente un gruppo di quartiere che suonava per riempire il silenzio nei pub. Ci credeva così tanto da non aver pensato ad un'alternativa lavorativa o un college dopo le superiori. Dovevano spaccare, punto.

    Sussultò nel sentire la presa ferrea di Cain sul suo braccio mentre lo strattonava via, altrettanto furente.
    « So che non capisci niente perché sei bastardo senza cuore, ma guardalo bene: questi sono gli occhi di un uomo innamorato che ha perso tutto » disse, indicando la faccia da cane bastonato di Noel.
    « Quindi adesso lo aggiustiamo e poi pensiamo ai soldi, chiaro? E suoniamo before you go prima che vi prenda a calci tutti e due. »
    Suo malgrado Izar capitolò, dando una pacca di comprensione a Noel e raggiungendo Altayr per accordare gli strumenti. Si sedettero a terra in silenzio ed iniziò il supplizio strappalacrime. Chiese solo le cose essenziali alla ragazza, ma accorciò le distanze pian piano, un centimetro alla volta, fino a che le loro ginocchia si sfiorarono. Sbagliò a tendere le corde di proposito, per monitorare il livello di incazzatura di Altayr e la sua voglia di discutere. Non poteva leggergli nel pensiero, d'accordo, e nemmeno lui ci riusciva, però poteva usare la logica: passavano la giornata insieme tra scuola, lavoro part-time e prove, quindi non aveva un ragazzo, - o se lo aveva lo trascurava molto. - Aveva il lasciapassare per casa Windstorm e ci finiva spesso, che fosse per cucinare, dare ripetizioni a Saiph o guardare la tv con lei. Avevano le loro inside jokes, una serie di sguardi in codice e delle routine prestabilite, quindi perché no? Perché non provare a condividere l'1% di quello che sentiva.
    - Per non perdere tutto. -

    Alla fine della prima canzone decisero per una pausa bagno/caffè, ed Izar ne approfittò per andare a lavarsi la faccia e rinfrescare il cervello. Tornò in sala prove con un altro spirito, una scintilla di speranza negli occhi, e chiese ad Altayr di raggiungerlo un attimo fuori dal locale mentre si accendeva una sigaretta. Fu sorpreso della risposta positiva, onestamente, anche se non gli sfuggì la nota di irritazione nello sguardo freddo di lei. Doveva averne abbastanza dei suoi cambi d'umore, e come darle torto. Ci fosse stato Kevin avrebbero risolto con una parolaccia e una birra.
    - Che c'entra lui adesso. Concentrati, Izar. -
    Fece scattare l'accendino ed aspirò una lunga boccata di nicotina, posizionandosi accanto al posacenere esterno che già straripava di mozziconi. L'aria della sera sapeva di smog ed erba tagliata.
    « Scusa per oggi » tagliò corto, guardandosi la punta delle scarpe,
    « sono un coglione. » Attese una qualsiasi reazione finché poté, poi non riuscì più a trattenere le parole.
    « Però a volte fai delle cose che mi fanno credere che... cioè, se le facessi io a te sarebbe strano. » Molto chiaro, riflesso del casino che aveva in testa. Poteva spiegarsi senza giri di parole, per una volta? Sbuffò una nuvola di fumo e la guardò dritta negli occhi.
    « Non darmi false speranze se sono sullo stesso piano di Kevin o Noel. Mi mandi in confusione. » L'atmosfera si era fatta insostenibile, e decise di alleggerirla con l'accenno di un sorriso. « Da adesso ti do un ordine restrittivo, Windstorm. Resta sempre a cinque passi da me e nessuno si farà male. » Allungò una mano e le carezzò la testa, un gesto ancora tollerato in amicizia e molto lontano da zone equivoche, come la sua bella bocca contrariata.
    « A partire da domani, magari. »
    Si era esposto più del dovuto con quella dichiarazione. Le false speranze implicavano che ce ne fossero, tanto per cominciare, cosa mai detta in passato. Poi il biglietto del concerto, l'appuntamento... Praticamente girava con un'insegna luminosa sopra la testa.
    Nel rimettere la mano al suo posto trascinò una lunga ciocca di capelli con sé, facendosela scorrere tra le dita. Ne tenne l'estremità tesa e constatò che erano cresciuti molto dal loro primo incontro. Anni passati ad immaginare di affondarci il viso ed inspirare il suo shampoo, di scostarglieli e baciarla con trasporto quando il vento li metteva tra loro. Che idiota, accusava gli altri di perdersi in cazzate e il 99% della sua giornata girava intorno ad Altayr. La lasciò andare e mise la mano in tasca, un po' più leggero di quando era uscito.
    « Ora sai una piccola parte di cosa mi passa per la testa. Soddisfatta? »


    Cain, bonus
    Il numero dei follower era aumentato. Non tutti avevano un nome verosimile, ma sapeva che il suo obiettivo non era tipo da firmarsi "takemetoelysian" o cose sul genere. Scorse tra quelli più recenti lentamente, attento ad ogni lettera. Com'era? Eva... Ivy... Evelya.
    - Bingo. -
    La ragazza aveva una foto profilo così innocente da farlo sentire in colpa per averla usata. Durò poco.
    Smise di fissare i suoi occhioni da cerbiatta e passò ai follower, un numero esiguo rispetto a quello di Cain, ma comunque sorprendente. Sembrava tutta gente dell'alta società, su macchine costose, a cavallo o con uno sfondo tropicale di qualche meta turistica da ricchi. Quindi era vero che soldi chiamavano soldi. Con un bleah disgustato riprese lo scroll, trovando persino il professore che li aveva sbattuti fuori quella mattina. Come guidato da un intervento divino, il pollice si fermò su un nome inequivocabile.
    « Abelcgytrash, sei mio. »
    Una foto presa un po' da lontano. Se ne stava seduto al pianoforte, vestito di tutto punto, ed era lui. Non aveva dubbi.
    Prima di procedere a una richiesta d'amicizia che non era poi così tanto richiesta, Cain curiosò velocemente tra i follower del suo futuro ragazzo per assicurarsi che non ci fosse troppa concorrenza. Qualche bel faccino lo trovò, purtroppo, e un moto di gelosia ingiustificata gli fece digrignare i denti. Era ovvio, uno splendore come lui non poteva passare inosservato. Impresse a fuoco nella memoria le facce dei possibili rivali e premette su "segui", incrociando le dita.

    « Izar » « Evie » « Cain »


    — ‹ Finally Together Code BY KL › —
  7. .
    Izar, Evelya, Cain.
    "In the space between chaos and shape there was another chance."

    Evelya
    Scorrendo le foto del profilo instagram della band, Evelya intuì alcune cose: la fanbase era prettamente femminile - e agguerrita -, i due ragazzi dai capelli rossi amavano stare al centro dell'attenzione, quello con i capelli neri era schivo e serioso, e l'unica ragazza, Altayr, non sottostava alle regole di nessuno di loro. Era estremamente sicura di sé, almeno per come posava, ed Evelya dubitava di riuscire ad essere altrettanto sciolta e disinibita davanti a un obiettivo. La sua foto scolastica sembrava il ritratto ottocentesco di una vedova, a confronto.
    Respirò a fondo appena il profumo dei tigli entrò dalla finestra socchiusa. C'era un tepore piacevole vicino ai vetri, e fuori la primavera colorava di tinte pastello il grande cortile. Le parve di scorgere Abel, ma fu un'immagine fugace prima che il suo sguardo fosse catturato dal cremisi di una capigliatura familiare.
    « Ehi, quel posto è per me? ».
    Sobbalzò, e con lei ciò che restava nel bicchiere. La calma evaporò per lasciare il posto ad un'ondata di panico che le imporporò subito le guance, mentre Noel in persona prendeva posto di fronte a lei. Mantenne il contatto visivo per una manciata di secondi, giusto il tempo di notare quanto bene stesse la divisa su di lui e quanto vivaci fossero gli occhi che l'avevano rapita sin da subito alla luce del sole. Brillante era l'aggettivo giusto per descriverlo. Nonostante non avesse fatto nulla per attirare l'attenzione tutti i presenti sbirciarono verso il loro tavolo, incuriositi. Era l'effetto che faceva in pubblico, e sul palco il suo magnetismo si amplificava.
    « C... certo » balbettò, preda della solita insicurezza.
    « Non c'è bisogno di essere così agitata. »
    « Scusami, è... è una situazione nuova per me. » Gli rivolse un timido sorriso, facendo del suo meglio per radunare l'impassibilità propria della famiglia Sadalmelik. A casa tutti riuscivano a fingere indifferenza quando serviva, tranne lei. Era trasparente, le si leggeva ogni pensiero in faccia. Sperò che Noel non fosse un bravo lettore.
    « Spero che il caffè non si sia raffreddato mentre mi aspettavi. E scusa il poco preavviso, ma Cain ha avuto un'idea malsana e l'ho seguito a ruota. »
    « In effetti è stata una sorpresa. Non pensavo che vi avrei rivisto proprio qui. » Il caffè ormai era appena tiepido, ma non disse nulla a riguardo. Il bicchiere di carta fungeva solo da antistress, ormai.
    « Non sapevo cantassi, comunque. Hai una voce stratosferica! »
    Ogni sforzo di guardarlo in viso venne meno, e ruotò il capo verso la finestra. Ora i raggi del sole le parevano bollenti sulla pelle, come se le fosse salita improvvisamente la febbre.
    « Grazie, ma non sono niente di ché. » Le serviva un ventaglio, un sacchetto da tenere in testa, una botola in cui sprofondare. Nessuno aveva mai definito la sua voce "stratosferica". Forse soave, delicata, adatta ai canti di chiesa che Azarel le faceva ascoltare fin da quando era piccola. Fu allora che l'interruttore dell'insicurezza scattò, instillandole un pensiero malevolo: e se stesse fingendo? Se Noel dispensasse complimenti a tutte le sue seguaci? Certo, infiltrarsi in un istituto privato per conoscerne una poteva sembrare un gesto estremo, ma non così improbabile, trattandosi di lui. In fondo era una novità, una specie di animale esotico rispetto a quelli che era abituato a vedere nel suo habitat. Poteva essere solo un'esperienza da aggiungere al curriculum. - Ricordati che non sei poi così interessante. - Fece del suo meglio per non lasciare che quella tristezza trasparisse, sforzandosi di tenere gli angoli della bocca sollevati.
    « Potremo cantare insieme qualche volta, ti andrebbe? So anche suonare la chitarra, potrei accompagnarti! Anche se, beh, sei abituata a violino e pianoforte, roba di classe. »
    Il suo cuore fece una capriola. Avrebbe voluto saltare dalla gioia, prendergli entrambe le mani e urlare "Sì, lo voglio!", ignorando i compagni di scuola attorno a loro. Ma era Evelya, la posata, mite, timida Evelya.
    « Mi piacerebbe molto » disse, riportando l'attenzione su di lui. Ah, ecco l'indifferenza che cercava. Era tornata a riva e soffocava tutto l'entusiasmo, come un bicchiere calato su una candela.
    « Mi imbarazza ammetterlo ma non è un genere che conosco bene... però è stato bellissimo ascoltarvi! » Continuò su quell'onda, stringendo sempre più forte il bicchiere tra le mani. Voleva chiederglielo. La domanda era lì, sulla punta della lingua. - Puoi essere sincera, non hai nulla da perdere. -
    « Scusa, sono stato precipitoso, in fondo sono praticamente uno sconosciuto. »
    « No, non preoccuparti. Sono contenta di rivederti. » Mise il bicchiere da parte e allacciò le mani in grembo. Fece un respiro profondo e finalmente lo guardò dritto negli occhi. Noel non aveva detto una parola, eppure lesse solo genuina felicità nella sua espressione. I tratti rilassato del viso, il sorriso spontaneo, la postura spavalda, la parlantina a briglia sciolta. Non vide niente di artefatto.
    « Noel, so che è una domanda strana, però vorrei sapere se... Insomma, sei venuto fin qui e... » Ed era strano che l'avesse fatto per lei. Evelya era un numero sulla pagina della band. Una sconosciuta. Noel invece le riempiva la testa da quella fatidica sera, solo pensarlo bastava a scaldarle il petto. Se avessero messo i rispettivi sentimenti su una bilancia, il piatto della ragazza avrebbe subito toccato terra.
    « Perché io? » chiese infine, in un sussurro incerto. Attese immobile, stropicciando la gonna nei pugni serrati. Lo stava implorando di dire la verità, di darle un pizzicotto per farle capire che no, non stava sognando. Aveva le stesse possibilità di chiunque di condividere un tavolino al bar insieme a lui. « O forse qualcuno che conosci studia qui e ci siamo incontrati per caso? Mi sembra assurdo che tu... per me, che non c'entro nulla con... ».
    Si sentì una completa idiota, ed affondò il viso nei palmi aperti con uno sbuffo esasperato. Nessun ragazzo le aveva mai chiesto di prendere un caffè. Aveva fama di essere la prediletta del professore più influente della scuola, non ci si arrischiava a chiederle di uscire. Per quanto ne sapeva i genitori ed Azarel erano legati da una sorta di patto che la includeva, peccato che non ne conoscesse i dettagli. Il professore gravitava attorno alla casa dei Sadalmelik da quando Evelya aveva poco più di dieci anni, proponendosi come insegnante privato già all'epoca. Nonostante il tempo passato insieme conosceva solo il lato "scolastico" di lui, e non le piaceva.
    Riportò le mani a tormentare la gonna, lo sguardo rivolto al bordo del tavolo. « Scusa, non so che mi prende. »
    Ed era vero. Le sembrava di aver dimenticato le buone maniere ed il contegno, come se quella parte del suo carattere, costruita tanto duramente, stesse cadendo a pezzi.
    Non vide l'occhiata gelida di Azarel, passato fugacemente dal corridoio, né si preoccupò della vibrazione del cellulare all'arrivo di un messaggio che avrebbe reso quella giornata ancora più destabilizzante.

    - Possiamo cenare insieme stasera? Devo discutere con te di alcune cose. -

    Cain
    Puntò la preda con la precisione di un falco. Era strano, ma a Cain sembrava di captare la presenza di quel ragazzo esile e schivo come un sensitivo. L'aria attorno a lui cambiava in presenza di Abel, si faceva elettrica, gli pungeva la pelle. Non appena lo vide deviare in mezzo al via vai di studenti, probabilmente per far perdere le sue tracce, il rosso scattò in piedi ed imprecò sottovoce. Doveva concedergli un rifiuto più esplicito di una porta sbattuta in faccia. Gli aveva letto un conflitto interiore negli occhi, poco prima. Se poteva aggrapparsi a qualcosa - qualunque cosa - per attirarlo nella sua direzione l'avrebbe fatto. Tagliò attraverso un sentiero sterrato tra gli alberi del giardino e gli si parò davanti con un sorriso vittorioso, impedendogli ogni tentativo di fuga.
    « Non ci provare, vinco sempre a questo gioco » disse, muovendo il primo passo verso di lui.
    « Guarda, non è il momento. »
    « E' sempre il momento per me » lo rimbeccò, alludendo a qualcosa che non c'entrava affatto con il chiacchierare insieme. Gli sembrò più indisposto della sera in cui l'aveva conosciuto, rigido come un pezzo di legno e molto, molto nervoso. Conosceva alcuni modi per scaricare la tensione, peccato che non fossero nel mood giusto. Pensò di proporglielo, ma si diede un contegno appena captò i segnali che quegli occhi burrascosi gli mandavano da sotto le ciglia chiare. Un abbraccio, allora? Nah, ci teneva alla sua incolumità. Arrivò ad un soffio di distanza da Abel, che si ostinava a guardare per terra.
    « Di solito sbatti la porta in faccia a tutti quelli che ti piacciono o sono un caso speciale? Comunque la mia risposta è sì, possiamo iniziare uscendo questo weekend e poi si vedrà. »
    Niente, non abboccava proprio. Che gli fosse successo qualcosa? Aveva suonato divinamente a lezione, senza sbavature. Certo, il loro professore sembrava un gran pezzo di merda, eppure Abel non pareva il tipo di studente succube degli insegnanti. Si abbassò per guardarlo in viso, così vicino da potergli strappare un bacio, e fu allora che il ragazzo esplose.
    « Senti, ti prego, smettila. Se riesci a non flirtare per cinque minuti filati possiamo essere amici. »
    Cain abbassò subito le orecchie, come un cane ripreso dal padrone, e borbottò delle scuse non troppo sincere finché lo seguiva obbediente fino ad una panchina. Si erano allontanati dagli studenti, c'era molto più silenzio in quell'angolo del cortile. Fece per sedersi accanto a lui, ma deviò all'ultimo secondo per mettersi sul lato più assolato, impaziente di poter parlare di nuovo. D'altronde ogni sua frase era un rimorchio bello e buono, non poteva far altro che aspettare. Gli prese un tic nervoso alla gamba, ed iniziò a picchiettare le dita sul ginocchio a ritmo dei secondi che scandiva in testa. Pendeva dalle labbra di Abel, nel senso letterale del termine. Quella ricerca di intimità aveva acceso nuove speranze in lui, e nuove idee su come passare il tempo insieme. Restava solo da capire cosa l'avesse urtato tanto in quella scuola di snob. Potevano risolvere insieme qualsiasi problema e limonare come i giovani innamorati che erano per dimenticare tutto. A quanto era arrivato? Abel lo beccò mentre controllava l'ora sul cellulare, e fece un sorrisetto furbesco.
    « Stai davvero contando i minuti? »
    « Meno due e trentacinque. »
    Quasi gli faceva tenerezza. Non aveva la minima idea di quanto potesse rivelarsi tenace. Cain credeva nel colpo di fulmine, in quella freccia che ti colpiva in mezzo agli occhi e ti rendeva cieco a qualsiasi altra cosa. Era solito prendere le vittime per sfinimento, anche a costo di farsi odiare, e così sarebbe stato. Sentiva che tra loro poteva esserci qualcosa, che i contrasti dei due avessero le potenzialità per diventare un cocktail esplosivo di passione. Gli prudevano le mani.
    « Come avete fatto ad entrare qui? Siete riusciti addirittura ad eludere il personale, non male »
    « Mh? Ah, sì. Una vecchia conoscenza mi ha recuperato le uniformi. »
    « Non avevi affatto pensato che avreste potuto
    cacciarvi in un guaio serio? »

    « Sinceramente no, sai, pensavo ad altro. Ops. » Si mise una mano sulla bocca dal momento che mancava ancora meno di un minuto, simulando un'espressione dispiaciuta. Appena Abel volse gli occhi stanchi verso di lui un brivido gli percorse la schiena.
    - 45, 44, 43, 42... -
    « Sei fin troppo impulsivo per i miei gusti. »
    « Ma non mi dire. »
    « E confusionario. La batteria ti si addice perfettamente. »
    Non seppe se prenderlo come un complimento o come un insulto. Abel era molto schietto, nel senso più cinico del termine, anche se non pareva avere intenzione di attaccare briga. Era sfinito, probabilmente se ne sarebbe andato presto. Scivolò in modo impercettibile verso di lui appena finito il conto alla rovescia, percependo di nuovo quella sensazione di elettrostaticità. Forse veniva dai suoi occhi, che erano un'eterna tempesta di nubi e lampi fugaci. Intravide delle sfumature azzurre che lo intrigarono. Abel era un concentrato di dettagli bellissimi.
    « Grazie tante, sono fiero di essere un casinista » ammise infine con orgoglio, una mano sul petto e l'altra casualmente buttata sullo schienale della panchina. Guadagnò altri centimetri.
    « Come va con la tua band? »
    « A meraviglia. Ci stiamo facendo conoscere in zona e abbiamo già tre concerti programmati. Speriamo di tirare su qualche soldo con i festival di quest'estate. »
    Il braccio ora circondava Abel, seppur senza toccarlo. Era finito nella sua rete, ma Cain attese a stringere la morsa. Allargò le gambe e si stese per prendere più sole possibile, guardando le fronde degli alberi sopra di loro. Doveva apparire calmo e disinteressato, circumnavigare il malumore dell'albino fino a comprenderne la causa e poi offrirgli la miglior soluzione.
    « Quindi il pianoforte, eh? Devi essere un cazzo di genio per studiare qui. Non ho capito che avesse da urlare il tuo professore. » La St. Ripley non accettava tutti i ricchi, solo quelli talentuosi. Da lì uscivano compositori e cantanti lirici che facevano il giro del mondo, come era stato per la sua ex. Ancora una volta rifletté su quali punti d'incontro potessero trovare, perché con la musica non c'erano proprio.
    « Lo suonavo anche io da piccolo, solo che gli mancavano dei tasti e non ho mai scoperto che rumore facessero. » Lo guardò di sbieco, con un ghigno. « Magari puoi farmeli sentire tu, qualche volta. »
    Mostrò il display del cellulare, dove un timer segnava 00:00. Avrebbe dovuto chiedere più di cinque minuti per liberarsi di lui.
    « Non ci sto provando, è solo curiosità. Se non sei già impegnato, ovviamente. » Impegnato con una ragazza altrettanto dolce o un ragazzo a cui piacevano i tipi difficili. Poteva attirare entrambi gli estremi.
    - Dio, se mi senti fa che sia single perché ho promesso di non prendere a cazzotti nessuno per quest'anno. -
    Non voleva tutto subito, gli bastava un assaggio. Un piccolo morso per capire se fosse il suo genere, se fossero compatibili nonostante gli screzi degli incontri precedenti. In nessuno dei due casi si erano trovati in un posto tranquillo dove poter dialogare in pace, e Cain era parecchio su di giri dopo i concerti. Aveva bruciato la fatidica prima impressione, difficile risalire da lì. Invitarlo ad un altro live significava ripetere una brutta esperienza, però. Lasciare Abel in mezzo al casino, tra gente sudata e sbraitante, l'avrebbe certamente indotto alla fuga.
    Dopo un istante di riflessione si decise.
    « Sai, facciamo le prove in una sala qua vicino, praticamente ogni giorno. Se ti va puoi tenerci compagnia, e poi usciamo a mangiare qualcosa tutti insieme. » Ci tenne a specificarlo in modo che si sentisse a suo agio, o quantomeno non incastrato in un appuntamento. Doveva andarci cauto con lui, o sarebbe fuggito al minimo movimento brusco.
    « Se porti anche la tua amica Noel ti fa una statua, sicuro. In ogni caso è solo una proposta, puoi rifiutare e non me la legherò assolutamente al dito. » Il sorriso sardonico che seguì la fece passare come una minaccia, più che altro, e sotto sotto lo era.

    Izar
    Non si definiva uno sportivo, ma sul tavolo di air hockey ci aveva lasciato sudore, sangue e lacrime - in senso figurato. - Se in palio ci fossero stati un mucchio di soldi, tanti da sistemarsi per sempre, non avrebbe comunque giocato così bene. Aveva combattuto per l'unica risposta che valeva davvero, e ora ne usciva vittorioso. Fece un inchino teatrale al pubblico invisibile, negando la rivincita ad Altayr dopo che la sua superiorità era stata confermata più e più volte. « C'è dignità anche nel saper perdere. »
    Incassò il colpo al braccio con un sorrisone trionfante, gonfio d'orgoglio, e si stranì nel vedere altri gettoni in mano alla ragazza. Quel calvario pareva non finire mai. « Per stavolta ti accontento, ma questi punti me li segno. E adesso vediamo chi ammazza più zombie. »
    Nel passarle accanto le diede una spallata leggera, niente a che vedere con quelle che piazzava a Noel o Cain, e prese posto davanti allo schermo con due pistole giocattolo, appropriandosi di quella rossa e lasciandole la blu. Era una vecchia tradizione, una cosa solo loro. In quella sala giochi ci buttavano le giornate dai tempi delle medie, e l'unica costante in tutto quel tempo era solo l'amicizia che li legava.
    - Che parola orrenda - pensò amaramente Izar, sparando sulla parola play.

    Scaricare la tensione su degli zombie, se non altro, lo aiutò a pensare con più razionalità. Se Altayr avesse voluto rifiutarlo sarebbe successo molto tempo prima. Non avrebbe avuto senso temporeggiare così, al solo scopo di buttare soldi in sala giochi. Quindi poteva escludere un "no", ma c'erano sempre i "forse" e i "vedremo" dell'incertezza. C'era sempre Kevin che le girava attorno, svariati fan tra cui scegliere, altre opzioni.
    Mentre scriveva i punteggi finali su un foglio strappato dal quaderno di matematica, - una vittoria di appena due punti per lui - iniziò a sentire la tensione farsi palpabile. Era pronto a quasi tutto, come se le delusioni fossero diventate abitudine.
    « Ti odio, profondamente. La prossima volta non avrò nessuna pietà. »
    « Certo, certo » disse lui, per nulla impressionato, con il cellulare sotto mano a recuperare i messaggi del gruppo. Gli sfuggì un gemito quando la ragazza lo colpì allo sterno, e la dichiarazione seguente si prese un altro po' del suo ossigeno. Che cosa voleva chiederle? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, impossibile dirle di no. Che fosse qualcosa di strano, tipo rapinare una banca? Il suo sguardo, solitamente inespressivo, si accese d'interesse.
    « Mi sottovaluti, come al solito » mormorò, spostando l'attenzione dal viso di Altayr al semaforo dall'altra parte della strada. Non ragionava bene a pancia vuota, meglio puntare al fast food.

    « Allora, passerotto, quando sarebbe questo concerto? Spero vivamente che tu abbia preso i biglietti per il parterre»
    Izar si bloccò sulla prima striscia pedonale, voltandosi con la lentezza di una moviola. Aggrottò le sopracciglia, come a volersi concentrare su ciò che aveva appena sentito. Allucinazioni uditive? Da sobrio? Strano.
    « Che? »
    « Hai un capito che è un sì, vero? »
    « Uh... okay. » Che fine avesse fatto il suo vocabolario non seppe dirlo. Anche articolare le parole gli riusciva difficile, mentre sbatteva gli occhi incredulo. Rimase congelato sul posto finché Altayr non gli rifilò una gomitata, e scoppiò così la sua bolla di confusione. Era un sì, cazzo. Ringraziò di non poter vedere il suo stesso sorriso ebete in quel momento, doveva essere ridicolo.
    « Saremo solo io e te, non è che è una specie di appuntamento? »
    « Il piano era quello » confermò, concentrato su ogni minima reazione dell'altra. No, non stava bluffando. Si diede mentalmente il cinque e trotterellò allegro dietro ad Altayr dopo la proposta di mangiare insieme. Quella leggerezza che sentiva ai piedi era molto simile all'ubriachezza, la gioia spensierata di non esserci con la testa.
    Entrarono nel pub ed Izar la aggiornò sul concerto e la serata degli OLN a Lancaster, con lo stesso entusiasmo ed un sorriso da scemo perennemente incollato in faccia. Okay, anche l'hype era autentico. Un altro punto per lui.
    Guardò distrattamente la lista di panini, rileggendoli più volte per la totale mancanza di concentrazione.
    « Hai scelto? Sto andando alla cassa ad ordinare ».
    Focalizzò l'attenzione sulla scritta hamburger di manzo e salsa chili e lì puntò il dito, aggiungendoci una birra scura a completare il tutto. Che importanza aveva, comunque? Non avrebbe distinto nessun sapore visto lo stato catatonico in cui versava. Avrebbe potuto mangiare manciate di sabbia e non sentire la differenza. Vista l'intenzione di Altayr di ordinare per entrambi - e la sua rinomata cocciutaggine - non protestò, dicendole che avrebbe cercato un tavolo nel mentre. Le rifilò anche un vecchio scontrino trovato nel fondo della tasca che aggiungeva uno sconto all'ordine, oltre a quello già in possesso della ragazza. Magra consolazione vista la voglia di offrirle il pasto, peccato che non gli concedesse mai di fare l'uomo della coppia.

    Izar si lasciò cadere sulla prima sedia libera, praticamente sotto al mega schermo che a quell'ora faceva passare le notizie. Un pessimo presagio di maltempo nelle settimane successive, nuovi blocchi stradali, l'inaugurazione di un centro commerciale e altri casi di molestie nello Scotch Quarry Park. Ottimo, ci passavano anche spesso da lì.
    Ringraziò Altayr per il panino e lo addentò pochi secondi dopo l'avviso della ragazza, rimanendo a bocca aperta finché il calore gli ustionava la lingua. Si fece aria con la mano a ventaglio, gli occhi lacrimanti e tante imprecazioni poco chiare. Afferrò subito la sua birra e la scontrò con quella di lei, trangugiando il liquido fresco per spegnere l'incendio.
    « Brindiamo alla speranza che Noel e Cain non ci tengano fino a tarda notte nello studio a parlare di quanto belli siano quei due ragazzi incontrati ieri al Black Dog. ».
    « Li avevo già scordati. Pensi che facciano sul serio? Perché sembravano molto diversi dal nostro solito pubblico. »
    Andava bene espandere la cerchia di fan anche tra le classi più agiate, per carità. E magari con amicizie influenti sarebbero arrivati lontano senza spaccarsi la schiena e rinunciare al tempo libero, per non parlare dello studio. Izar ci teneva a finire la scuola con voti dignitosi. Lo doveva al padre adottivo, una specie di rivalsa sulle persone che non gli avevano mai dato la minima fiducia. Altayr gli metteva i bastoni tra le ruote in questo senso, vista la picchiata del suo Q.I. ogni volta che si avvicinava, gli parlava un po' troppo vicina, mandava un messaggio con mille sottintesi nel mezzo di una sessione di studio eccetera.
    « Vuoi un morso? ».
    Di cosa? Ah, il panino. « No grazie, devo finire di lottare contro il mio. » Rispose a bocca piena, ancora lacrimante per il caldo e la salsa chili. Ne sentì il bruciore sull'angolo della bocca, ma non ci arrivò mai.
    Altayr, senza nessun riguardo per la sua tachicardia, lo ripulì con l'indice, portandolo poi alle labbra. Non seppe dire cosa lo avesse trattenuto dal rispondere a tutti gli stimoli che il cervello gli stava mandando: una vocina gli suggeriva di morderle il dito, intrappolare il polso, scattare in piedi e trascinarla sul retro, invece rimase semplicemente congelato, fissandola con l'espressione distante di un paziente sotto morfina. Quando si ricordò di avere del cibo in bocca fu troppo tardi. Gli andò di traverso e tossì nel tovagliolo, correndo alla birra per calmare gli spasmi. Al ragazzino alla cassa non era sfuggita la scena, e se la rideva sotto i baffi.
    « Ma che cazzo fai, sei impazzita? » tossicchiò, riprendendo fiato. Per qualche motivo era arrabbiato, in primis con sé stesso per la magra figura. Non capiva proprio cosa ci fosse di sbagliato nel fare certe cose con lui, agiva e basta, come se ogni tocco non fosse una scarica elettrica sui nervi. Stavolta schivò la gomitata e si alzò in piedi per ordinare un'altra birra, stritolando nel pugno quella vuota.
    - Adesso che problema ho? Non è il momento di fare il lunatico. -
    Stavano succedendo troppe cose, troppo in fretta. Accettava un appuntamento, gli ripuliva la bocca, e poi cos'altro doveva aspettarsi? Sperò davvero che non fosse tutto un gioco a chi tirava più la corda.
    Ignorò la vibrazione del cellulare in tasca, perso in mille ragionamenti, e quando tornò al tavolo Altayr stava leggendo qualcosa sul suo. Posò in modo non molto delicato la lattina tra loro e liberò un lungo sospiro alla ricerca della compostezza perduta.
    « Rosso numero uno ci ha ricordato che abbiamo un pomeriggio da trascorrere a spettegolare anziché suonare tutti insieme. »
    « Per fortuna ho già bevuto. Andiamo, c'è il bus tra un quarto d'ora. » Il tono non era esattamente allegro come avrebbe voluto, si sentiva ancora una nota di risentimento. Sperò che la ragazza non ci facesse troppo caso, abituata ai suoi sbalzi d'umore.
    Trangugiò la lattina in fretta e si caricò lo zaino su una spalla, uscendo sulla strada più trafficata in prossimità dell'ora di punta. Rimase in silenzio fino alla fermata dell'autobus, mormorando monosillabi di tanto in tanto con gli occhi persi verso un punto distante. Come si aspettavano il mezzo era pieno di persone che uscivano da uffici e negozi della zona, e dovettero farsi strada a spintoni. Izar trovò un angolo libero accanto alle porte in fondo dove sarebbe stato facile scendere di lì a poco, e si frappose tra Altayr ed il casino di gente che urtava ad ogni curva, schermandola con la schiena. Messo di fronte a lei, senza possibilità di fuga, non poté far altro che guardarla. Chissà se faceva sul serio, o se trattava tutti gli amici a quel modo. Piantò una mano a lato della sua testa per non schiacciarla quando l'autobus frenò bruscamente, ma era comunque troppo vicino.
    « Non farlo più, per favore » disse in tono cupo, forse troppo basso.
    « Non è uno scherzo con te. »

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

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  8. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    A dirla tutta quella nuvola, di un cervo, aveva ben poco. Riguardandola bene sembrava un cane con le orecchie malformate, ma in quel momento a Cain non interessava. Voleva soltanto togliersi dalla mente quei pensieri che ogni volta, puntualmente, lo ferivano al petto come dardi. L'esclamazione eccitata di Dawn lo aiutò a portare l'attenzione su altro, ma soprattutto a trovare la forza si sollevare tristemente gli estremi delle labbra in un sorriso. Era davvero fantastica. Studiando i delicati lineamenti del suo viso si trovò a pensare che la invidiava, la invidiava davvero tantissimo. Avrebbe voluto possedere lo stesso entusiasmo, la stessa forza la spingeva ogni giorno ad affrontare la vita con un sorriso. Lui, al contrario, non era che un tartarugone sigillato all'interno della sua dura corazza di freddezza; sembrava tanto forte, da fuori, ma dentro celava paure, insicurezze e inquietudini. Quella ragazza invece mostrava tutte le sue emozioni, persino enfatizzandole, dimostrandosi molto più ardita di lui, il Generale di Erethos sfuggito a morte certa innumerevoli volte. Il sorriso di Cain si fece improvvisamente più caldo nel pensare che, da Dawn, avrebbe potuto imparare tanto: forse sarebbe riuscita ad insegnargli cos'era il vero coraggio.
    I suoi pensieri vennero spazzati via da un gesto improvviso e nervoso della giovane. La vide sedersi, e per un attimo, ma solo per un attimo, ebbe il timore di sentirla borbottare "scusa, devo proprio scappare" come capitava la quasi totalità delle volte che si allenavano assieme. Questa volta però Dawn non aprì bocca, si limitò invece sollevare lo sguardo color prato al cielo, le guance, solitamente coperte da un'adorabile colorazione rosata, in quel momento pallide.
    « Dawn? », la richiamò Cain, sollevandosi a mezzo busto e affondando un gomito nel fieno, allarmato.
    Un'espressione del genere non era da lei: qualcosa non andava. Stava giusto per chiederle informazioni a riguardo quando la ragazza parlò, o meglio, farfugliò a bassa voce.
    « Come hai detto? », chiese Cain, confuso, le sopracciglia aggrottate e il capo inclinato di lato.
    « La falce di luna. », la sentì correggersi, con le labbra piegate nel dipingere un sorriso, un sorriso che a Cain parve... forzato. La conosceva ancora poco, quella ragazzina, ma riusciva a riconoscere quando qualcosa non andava, dopotutto era talmente espressiva da lasciar trasparire la maggior parte dei suoi sentimenti. Commentò con un "Umh" poco convinto la descrizione del significato delle sue parole, scuotendo il capo in segno di assenso e continuando a scrutarla, come aspettando da parte sua qualche reazione, chissà, magari una richiesta di aiuto.
    Alzò quindi gli occhi al cielo, coprendosi lo sguardo col braccio e incrociando la nuvola accennata. Confuso, sbatté gli occhi, cercando di immaginarla da angolazioni diverse, ma niente, a lui quella massa di gas non ricordava affatto una falce di luna. Forse, pensò, nel frattempo il vento l'aveva sagomata diversamente.
    Improvvisamente una serie di voci si fece largo tra il cinguettio degli uccelli e il frusciare del vento. Cain senza volerlo si ritrovò sulla difensiva. Senza pensarci due volte si sollevò a sedere, lo sguardo vigile puntato un punto imprecisato del paesaggio. Mentre nella sua testa compariva il bisogno di estrarre la spada - che, tra parentesi, manco aveva a disposizione - un gruppetto di individui con la divisa da soldati leggeri faceva capolino da dietro la stalla.
    « Hei, voi due! Cosa ci fate con l'equipaggiamento degli arcieri? »
    Cain sospirò, sentendo l'adrenalina scemare. A volte il suo corpo si comportava ancora come se quel posto, per lui, fosse pericoloso. Li osservò avvicinarsi, per poi rivolgere a Dawn un'occhiata eloquente « Qualcosa mi dice che l'equipaggiamento degli arcieri non fosse esattamente "in prestito". », la schernì, divertito, imitando le virgolette con un gesto delle mani « Vero, Dawn? »
    Una giovane recluta si diresse sotto il grande albero dove avevano inizialmente appoggiato la roba, cominciando a raccogliere il materiale e sistemandolo accuratamente all'interno della scatola adibita, mentre altri, rapidamente, smontavano i bersagli per riportarli al proprio posto.
    Quello che probabilmente doveva essere il comandante degli arcieri si avvicinò ai giovani, ancora seduti sul fieno, scrutandoli con aria truce.
    « Datevi una mossa e portate tutto al suo posto! », tuonò, visibilmente in collera, indicando col dito indice gli altri arcieri che, nel frattempo, si erano portati avanti a sistemare.
    Cain si voltò verso Dawn, scuotendo la testa e guardandola come a dire "sei proprio un caso perso", per poi alzarsi e sbattersi via il fieno dai vestiti con nonchalance, sotto lo sguardo torvo del superiore. L'uomo, visibilmente infastidito da quella perdita di tempo ingiustificata, alzò il tonò, spronando entrambi, ma soprattutto Cain a sbrigarsi.
    « Muovetevi! »
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 30/5/2021, 10:55
  9. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    In quel momento si sentì un emerito imbecille. Rimase a fissare Dawn, incredulo, per qualche secondo, le parole della giovane che, una dopo l'altra, pugnalavano il suo maledetto orgoglio. Doveva sempre avere l'ultima parola d'altronde, anche a costo di parlare senza pensare, e questo era il prezzo da pagare. Aggrottò le sopracciglia, pensoso, puntando con lo sguardo ceruleo un punto fisso sul terreno. Ripensò alla propria frase, studiando a fondo il significato, per poi spalancare gli occhi, le labbra leggermente socchiuse in un'espressione meravigliata. Sei un dannatissimo idiota, pensò, stringendo le labbra stizzito. Ormai il dado era tratto, la figuraccia l'aveva fatta: non poteva altro che rimediare. Dopotutto, come aveva detto Dawn: "aveva fatto tutto da solo", e da solo adesso doveva uscirne, in modo maturo ed estremamente intelligente, come solo il Generale di Erethos sarebbe riuscito a fare « Bah! », esclamò, muovendo nervosamente una mano in aria per colpire una manciata di fieno e indirizzarla verso Dawn, un po' come fanno i bambini arrabbiati. Fortuna che avevo detto in modo maturo e estremamente intelligente.
    Di lì a poco il discorso proseguì, e la nuvola che poco prima assomigliava alla testa vuota di Cain, secondo Dawn, prese la forma di un leone. Il giovane generale seguì lo sguardo della giovane, osservando attentamente la massa gassosa in cielo e esordendo dopo qualche secondo con un « A me sembra solo una nuvola storta. », fece, il naso arricciato e le labbra ricurve in una smorfia. La fantasia non era mai stata il suo forte, tranne quando si parlava di ideare nuove tecniche militari e strategie: in quel caso era sempre il primo della classe. Diciamo che era più un tipo da cose "concrete", piuttosto che "immaginarie".
    In ogni caso, decise di stare al gioco: alzò gli occhi al cielo, spostando lo sguardo da una nuvola all'altra, cercandone una che effettivamente gli ricordasse qualcosa. In pochi istanti, la trovò: alzò una mano al cielo, indicando col dito indice un cirro dalla forma allungata, leggermente ovoidale alle estremità « Quella. », affermò, convinto, portandosi l'altra mano davanti al viso per celare lo sguardo al sole « Sembra una catena. ». Il significato di quel simbolo lo fece letteralmente sprofondare nel fieno. Alla parola "amore" il suo viso divenne paonazzo, lo stomaco che si contorceva nel suo ventre come un calzino. Provò l'inspiegabile bisogno di evitare il contatto diretto con la ragazza: in quel momento pareva che sostenere il suo sguardo fosse doloroso quanto una scheggia nell'occhio. Portò le mani dietro la testa a mo' di cuscino, guardando verso l'alto in un punto indefinito del cielo e usando i gomiti come "scudo" per non vedere la ragazza in viso « Baggianate. », esordì, con fare da duro, ma con un'espressione in viso estremamente traditrice.
    « Hai una fidanzata e non me ne hai mai parlato? »
    Si sentì morire. Il suo cuore perse un battito e la sua testa andò letteralmente nel panico. Se prima era sprofondato nel fieno, ora si trovava direttamente nei meandri più oscuri della profondità della terra. Attese qualche istante prima di rispondere alla domanda, prendendosi il tempo di raggruppare le idee e, questa volta, pensare. Non voleva ritrovarsi in una situazione scomoda come quella di prima, soprattutto se l'argomento era per lui così… inspiegabilmente disturbante.
    « U-Una fidanzata? E che me ne faccio? », esordì, serio, non riuscendo però a celare un'attimo di debolezza a inizio frase. Era come se per le sue corde vocali non avessero voluto collaborare, ma alla fine fosse riuscito a forzarle nel parlare. In ogni caso il "che me ne faccio" era da sempre la classica risposta, o scusa, a quel genere di domande. In più di un'occasione Re Greil aveva spinto per organizzare matrimoni combinati, ma Cain sembrava non dare importanza alla sfera sentimentale, dando invece massima priorità all'ambito militare. Lui viveva per combattere e servire il padre: per sposarsi e portare avanti il nome della famiglia Noller c'era tempo, e Greil, del canto suo, era più che fiero di questo suo modo di pensare. Però… perché adesso faticava così tanto a dirlo? Che, dentro di lui, stesse cambiando qualcosa? Scuotendo il capo e lasciandosi andare a un profondo sospiro ricacciò quei pensieri nei meandri della propria mente. Da qualche parte nel suo petto trovò finalmente la forza di mostrarsi a Dawn, abbassando i gomiti e voltandosi con un sorriso dispettoso « E poi la rompiscatole di turno ce l'ho già, non ho bisogno di una fidanzata. », continuò, alludendo palesemente a Dawn nel pronunciare la parola "rompiscatole".
    A seguire, il gioco "scova la nuvola", continuò. Questa volta Cain puntò un cumulonembo enorme, sottolineando la sua somiglianza a una barca. Dawn, evidentemente non d'accordo con la sua opinione, lo derise, « Secondo me assomiglia più a te appena uscito dalla mensa dopo aver ripulito almeno una decina di piatti. », scaturendo in lui, questa volta, un'inaspettata, spontanea risata cristallina. Per la prima volta, forse dopo anni, rise davvero di gusto, immaginando se stesso in una situazione simile. Okay, lo aveva insultato di nuovo, ma effettivamente era esilarante come scena!
    « Magari dopo una mangiata di fagioli! », aggiunse, divertito, lo sguardo ceruleo dal taglio duro che si addolciva, accompagnando quella risata sonora e genuina. Era talmente poco abituato a ridere che dopo pochi minuti già sentiva le guance doloranti. Quel riso però si spense molto rapidamente « Cambiamento burrascoso? », ripeté, mentre gli estremi delle labbra si abbassavano gradualmente, tornando a disegnare una linea retta. Un brivido gli percorse la schiena, mentre il ricordo del suo ultimo "cambiamento burrascoso" gli intossicava i pensieri. Ricordava come fosse ieri il giorno in cui aveva scoperto la vera natura di Greil, il giorno in cui aveva deciso di ribellarsi, e il giorno in cui la persona che doveva chiamare "padre" aveva assoldato dei mercenari per ucciderlo. A volte la notte ancora li sognava, quei giorni lì: incubi che rappresentavano la dura realtà delle cose. Si morse le labbra, lo sguardo fisso verso l'enorme nuvola a forma di barca, mentre la ferita nel cuore sembrava riaprirsi per l'ennesima volta. Sospirò, cercando di cambiare argomento « Quella… », fece, in realtà non troppo convinto, « Quella mi ricorda un cervo. »
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 13/5/2021, 16:55
  10. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    Per quanto si sforzasse non riusciva a comprendere il motivo per cui il suo corpo avesse reagito in quel modo. Era come se mente e fisico avessero due opinioni opposte e non riuscissero a mettersi d'accordo. L'uno gli diceva "è solo una ragazzina" mentre l'altro ribadiva, spavaldo "se è davvero solo una ragazzina come dici, perché ti fa quest'effetto?".
    Chiuse gli occhi, lasciandosi andare a un lungo, profondo respiro: doveva calmarsi, non poteva permettere che Dawn lo vedesse in quello stato. Si impose mentalmente di pensare ad altro, di concentrare la propria attenzione su pensieri differenti e proprio in quell'istante la voce della ragazza irruppe nei suoi pensieri. La ringraziò mentalmente per aver cominciato a parlare: in quel modo fu come se la maggior parte della tensione si fosse sciolta. Non ascoltò realmente ciò che lei gli stava dicendo, sentiva più che altro un suono di sottofondo, sovrastato da quel mare di pensieri che gli affollavano la mente.
    D'improvviso, un ciuffo di fieno gli cadde in pieno viso, prendendogli in pieno l'occhio sinistro « H-Hey! », esclamò allontanandosi lo stelo con una manata veloce e stropicciandosi l'occhio. Pensando che le fosse sfuggito, magari muovendosi, non aggiunse niente, limitandosi invece a portare il braccio davanti al viso e poggiarlo sulla fronte, proteggendo gli occhi dal sole. Fissò per qualche istante il cielo, le pupille nere che si ristringevano a contatto con la luce. Quando stava giusto cominciando a rilassarsi, abbandonato in quel mare di morbidezza, altra erba secca raggiunse il suo volto, questa volta rischiando di entrargli in bocca dato che teneva le labbra leggermente socchiuse. In un gesto istintivo allontanò il fieno con un soffio stizzito, voltando il viso verso Dawn per lanciarle un'occhiata di sbieco, pur non vedendola del tutto « Oi, dacci un taglio! », fece passando velocemente una mano sul viso per spostare i resti d'erba che non erano volati via. Era indubbiamente una situazione strana, e soprattutto fastidiosa, ma nonostante tutto doveva ringraziare Dawn e il suo intervento giocoso. Se era riuscito a calmarsi, a dimenticare quei magnetici occhi verdi che lo scrutavano, era solo merito suo e di quel dannatissimo fieno che continuava a lanciargli addosso.
    Per la terza e ultima volta, una manciata d'erba secca gli colpì il viso, pizzicandolo. In quel momento la vena che già da prima aveva cominciato a pulsare si chiuse definitivamente. In un movimento rapido e istintivo Cain si sollevò dalla catasta di fieno, coprendo la figura esile di Dawn, ancora stesa, con la sua massiccia ombra. Afferrò un'abbondante quantità di biada, abbastanza da coprirgli la parte bassa del viso « Vuoi la guerra? », chiese, minaccioso, gli occhi cerulei ridotti a due fessure « E guerra sia. », concluse lanciandogliela addosso e coprendo quasi per intero la sua figura.
    « Ma che ti è passato per la testa? », la sentì esclamare, stridula, annaspando in quel mare d'erba.
    Terminato il suo sporco lavoro Cain batté le mani una sull'altra per liberarsi dei residui in eccesso, per poi, con non chalance, tornare a prendere posto nel buco sul fieno che ormai aveva preso la forma del suo di dietro.
    « Fammi indovinare... », disse, scuotendo a destra e sinistra la mano per allontanare gli steli, e soprattutto la polvere. che ancora volteggiavano in aria dopo l'impatto « ...Non hai molta familiarità col detto "Non stuzzicar il can che dorme", vero? », la schernì, un sopracciglio sollevato e le labbra piegate nel dipingere un lieve sorriso.
    Inspiegabilmente adorava quel lato infantile di Dawn. Invidiava la sua capacità di trasformare una situazione seria, o come nel loro caso imbarazzante, in un gioco, e soprattutto gli piaceva quel suo sorriso, quel dannatissimo sorriso che sarebbe stato ore a fissare.
    « Oh, guarda! », esclamò la ragazza, irrompendo nei suoi pensieri. Senza pensarci due volte Cain si voltò, osservando prima la mano della ragazza, col dito puntato verso il cielo, per poi seguire con lo sguardo la direzione indicata. Non vide nulla di strano, se non un paio di nuvolette pallide e striminzite. Quando stava giusto per chiedergli spiegazioni, Maeve chiarì, aggiungendo « Quella nuvola assomiglia alla tua zucca vuota! »
    Cain, allibito, voltò lentamente il capo verso la ragazza, le labbra strette e gli occhi ridotti a due fessure. La osservò per qualche istante, probabilmente indeciso se assaltarla di nuovo o trovare un altro modo di reagire, magari più costruttivo. Optò per la seconda, rispondendole a tono con un sorrisetto infastidito « Meglio vuota che piena di segatura. » ...Cain, ho detto costruttivo!
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 9/5/2021, 14:40
  11. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    Sin dalla prima infanzia era sempre stato così, un bambino irruento e orgoglioso. Tendeva sempre a parlare o agire senza pensare alle conseguenze, lasciandosi guidare da quel fuoco che ardeva vigoroso dentro al suo petto da frugoletto. Più e più volte era stato redarguito dai suoi superiori, ma testone com'era pareva che gli insegnamenti avessero effetto inverso.
    «O, altrimenti, puoi mettere da parte il tuo orgoglio e metterti una di quelle. », lo spronò Dawn, indicandogli le protezioni. Il sorriso da "te l'avevo detto" che sfoggiava gli faceva ribollire il sangue. Già gli bruciava maledettamente l'idea di aver trovato una disciplina di guerra dove non brillasse, e in più si ritrovava un'istruttrice che lo guardava dall'alto in basso con quell'aria da saputa. Di tutta risposta le sorrise a sua volta, gli zigomi tesi e le labbra incurvate in un espressione infastidita. Sembrava in tutto per tutto una strana smorfia minacciosa piuttosto che un sorriso.
    « Preferisco sfondarmi il braccio. », le rispose quindi, a denti stretti, sforzandosi di mantenere la calma.
    Stizzito, tornò in posizione, regolando la presa sull'arco e controllando non una ma ben due volte l'allineamento del braccio e la spalla. Esalò un profondo respiro, socchiudendo lo sguardo: quella sarebbe stata la volta buona, lo sentiva dentro. Incoccò, tirò la corda e rilasciò. Ma qualcosa sembrò non andare secondo i piani. La freccia partì verso l'alto, seguendo un moto parabolico e conficcandosi a terra, non troppo distante dal bersaglio. Ma ciò che scioccò particolarmente Cain non fu tanto la freccia: nel momento dello scocco l'arco gli sfuggì di mano con una velocità incredibile, come se una forza esterna glielo avesse sottratto. Il punto è che quella maledettissima arma gli scivolò di mano, saltellando sugli estremi per cadere poco lontano dalla postazione di tiro. Cain, del canto suo, rimase immobile ad osservare l'arco a terra, basito, no, che dico, sconcertato! Mentre nella sua testa profilava la domanda "ma è fisicamente possibile ciò che ho appena visto?", dalla sua bocca sfuggì tuonante un'imprecazione, seguita da un ruggito che di umano aveva ben poco.
    Se prima ci vedeva rosso, adesso ci vedeva bordeaux.
    « Sono errori da principiante, piano piano migliorerai »
    Non furono tanto le parole di Dawn a spingerlo a voltarsi, scoccandole un'occhiata che lanciava coltelli. Fu probabilmente l'unione delle sue parole con quelle risatine soffocate.
    « Te lo faccio vedere io il principiante! », esclamò, caricandola con foga. Senza troppi complimenti la prese per i fianchi, sollevandola da terra e sistemandola sulla spalla destra a mo' di sacco di patate. Prima di riuscire a bloccarle le gambe come si deve, un po' per sostenerla e un po' per evitare colpi nell'addome, si prese, appunto, una serie di calci non da poco. Una volta riuscito a bloccarle la parte inferiore del corpo (perché, sì, la parte superiore era ancora libera e probabilmente, da dietro la schiena, lo stava massacrando), incurante delle eventuali urla o strepiti, prese a correre. Si diresse verso un cumulo di fieno e a pochi metri da quest'ultimo si fermò. Accadde tutto in un istante: nel momento in cui i suoi piedi interruppero la corsa le sue braccia e il suo bacino si mossero all'unisono per scaraventare la ragazza in avanti, dritta dritta sulla catasta di fieno. Poco ma sicuro, la povera Dawn avrebbe fatto un volo che non si sarebbe scordata facilmente.
    Proprio quando pensava di essere lui per una volta a guardarla dall'alto in basso, le gambe di Cain vennero sopraffatte dalla spinta. Inerme, si ritrovò a inciampare su se stesso, crollando come uno scemo. Precipitò in avanti, addosso alla figura esile di Dawn. Per evitare di caderle addosso aprì gli arti superiori, puntandoli ai lati del suo corpo per sostenersi ed evitare di schiacciarla. Funzionò, ma non esattamente come sperava: quell'ultima manovra salvò la ragazza da morte per soffocamento ma le sue mani sprofondarono nel fieno, facendoli ritrovare uno sopra l'altra, viso a viso, gambe quasi intrecciate.
    Era successo tutto talmente in fretta che Cain ci mise diversi istanti per rendersi conto realmente della situazione in cui si trovava. Quando lo fece, il suo cuore sembrò infiammarsi. Averla così vicino, vulnerabile sotto il suo corpo fece esplodere un'inaspettato calore nel suo corpo. Rimase intrappolato in quella dimensione eterea di sentimenti contrastanti per un tempo che gli parve infinito, mentre dal basso qualcosa di meno etereo si risvegliava. Voleva allontanarsi, lo voleva veramente! Ma quegli occhi, dannazione… perché non riusciva a smettere di fissarli? Furono probabilmente i tre secondi più lunghi della sua esistenza.
    Quando finalmente tornò a ossigenare il cervello con un respiro, perché, sì, nel frattempo aveva pure dimenticato come si respirava, si lanciò di lato, cadendo al suo fianco con un tonfo sordo e sollevando una nuvola di fieno. Qualche ciuffetto di erba secca gli cadde sul volto, mentre con gli occhi cerulei fissi sul cielo il suo cuore galoppava all'impazzata: era in preda all'adrenalina come se fosse reduce da una lunga corsa, quando in realtà non aveva fatto nessuno sforzo particolare.
    Rimase immobile, accanto a lei, braccia e gambe divaricate immerso in quel mare di morbidezza che era la massa di fieno. Voleva parlare e rompere il silenzio imbarazzante che li circondava, ma le sue corde vocali sembravano aver perso la capacità di permetterglielo. In quel momento sperava solo che lei non si alzasse per guardarlo in faccia: avrebbe visto soltanto due imbarazzatissimi occhi blu circondati da un viso paonazzo. Espressione che non si addiceva per niente al tanto temuto Generale di Erethos.
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 26/4/2021, 14:55
  12. .
    Figurati, nessun problema anzi... ti capisco: ne ho avuto uno ieri e uno tra una settimana, posso comprendere i tempi!
    In realtà non abbiamo una scadenza precisa e sappiamo che ci sono altri premi prima del nostro! Io, onestamente, preferirei che tu prenda il tempo necessario, senza troppi pesi, la fretta è cattiva consigliera.
    Massimo posso uppare se mai dovesse passare troppo tempo, ma non penso ci sarà bisogno!
  13. .
    Waaaaaaaaaaaaa 😍😍😍😍😍 ma posso chiederti altri banner? Loghi? Immagini spam? Blend? Avatar??????? NO va beh la smetto u.u sono stupendi e ti ringrazio, appena sono da computer li aggiungo e metto i credits ❤️❤️ ti ringrazio ancora tra l'altro so che ci vedremo presto mlmlml quindi non mi preoccupo XD
  14. .
    Uuuh sono molto contenta di aver vinto! (e aggiungo che ho riposto a questa discussione con la gatta che voleva le coccole e continuava a strusciarsi sulle mani)
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    Edited by altäir - 10/1/2021, 15:20
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