L'alba di un nuovo giorno, il tramonto di una giovane vita.
La piazza principale gremiva di una folla animata e rabbiosa. Urla e strepiti incitavano a terminare il prima possibile l'esecuzione: a quanto pare erano veramente tante le persone che avrebbero ardentemente desiderato vedere il principe Cain Noller giustiziato in pubblica piazza. Purtroppo non li biasimava, nessuno di loro, neanche quelli che, come fosse un fenomeno da baraccone, gli lanciavano uova e vegetali andati a male. Nel corso della sua giovane vita aveva ucciso talmente tante persone che, ormai, aveva perso il conto. Soldati, civili... persino donne e bambini. Tutto questo perché? Per compiacere un essere che, per lui, non provava alcun sentimento se non ciò che si prova nei confronti di un oggetto qualsiasi. Un groppo gli attanagliò la gola, costringendolo a deglutire a fatica a causa della pressione esercitata dalla corda al collo. Alzò lo sguardo all'orizzonte davanti a sé, mentre lacrime calde gli pungevano ai lati degli occhi: era
finita, e forse era giusto così.
La guardia controllò il nodo a cappio attorno al collo del ragazzo, assicurandosi che fosse ben fisso, per poi segnalare ai reali, con un gesto, che l'esecuzione poteva avere inizio.
Non era la morte a spaventare Cain: l'aveva vista in faccia innumerevoli volte in battaglia, a questo punto la vedeva come un'amica che gli avrebbe permesso di espiare i peccati di una vita vissuta seguendo, non i propri ideali, ma quelli imposti da un terzo. Gli avrebbe tolto la "seconda possibilità" esattamente come lui l'aveva tolta a centinaia di persone, ingiustamente.
L'ennesimo oggetto lanciato dalla folla inferocita gli raggiunse il viso, colpendolo e sporcandogli la guancia. Cain, del canto suo, rimase impassibile, lo sguardo fisso verso quel sole che sembrava volerlo salutare per un'ultima volta.
Re Ethelbert si alzò dal proprio trono e al contempo la guardia afferrò la leva di attivazione, pronto a tirarla.
« Fermatevi! »Una voce femminile irruppe, sovrastando il silenzio di trepidante attesa al segnale di uccisione
« Per ordine di Manaar, fermatevi! », continuò con maggiore enfasi, costringendo la folla a trattenere il fiato, spaventata e curiosa al contempo. Se la dea era stata messa in ballo, quell'interruzione doveva essere veramente allarmante.
Cosa diavolo sta succedendo? Fu il primo pensiero che attraversò la mente di Cain, mentre lo sguardo vagava spaesato tra la folla, cercando di capire chi avesse parlato. Non ci volle molto perché il suo presunto salvatore si facesse vivo perché, in pochi istanti, affannata e spettinata, una ragazza dai grandi occhi verdi e i capelli castani salì sul patibolo. Era
lei, la sguattera del giorno prima.
« Manaar mi ha mostrato il futuro del nostro regno e quest'uomo... », i loro occhi s'incrociarono per istanti che parvero durare un'eternità
« ...avrà un ruolo cruciale. »Il cuore di Cain, mancò di un battito.
Cosa significava tutto questo? Chi era lei? Stava succedendo tutto così in fretta, troppo in fretta! Sentiva la testa girare e non capiva se la causa era tutta la confusione che aveva in testa o semplicemente la mancanza di aria, dovuta alla corda troppo stretta attorno al collo.
Le persone che prima urlavano adirate insulti ora parlottavano tra di loro, visibilmente sdegnate.
La testa di Cain si annebbiò al punto che riuscì a carpire solo alcune parti del seguente discorso della ragazza, come la "prova di Yeosin". Respirò profondamente, cercando di ossigenare il cervello e riprendere il più possibile lucidità mentale. Provò a fare mente locale, facendo leva su tutte le informazioni di cui disponeva, ma inutilmente. Non aveva idea di cosa fosse questa Yeosin né di quale prova si trattasse.
« ...e lui dovrà schierarsi con Thyandul e giurare fedeltà al suo re e alla sua dea! E' questo il volere di Manaar. » Quest'ultima frase lo travolse emotivamente con la stessa violenza di uno tsunami. Come se il cappio al collo e le mani legate non bastassero si sentì un animale in gabbia, impotente sotto la possente stretta di un qualcosa ben più grande di lui. Per Cain il volere della dea Manaar poteva benissimo andare al diavolo, non avrebbe collaborato con nessuno, tanto meno sotto ordine di una dea di cui aveva sentito parlare per la prima volta.
Stava per gridarlo, lì, davanti a tutti, quando improvvisamente il brusio della folla si accese, diventando un forte vociare. Si sentì afferrare per le spalle, mentre una guardia gli allentava il cappio alla gola. Venne stretto nella possente presa di due guardie e trascinato giù dal patibolo, per poi essere accompagnato in mezzo alla folla, verso la strada principale, scortato da un seguito di guardie vigili e civili irrequieti. Forse era stato salvato da morte certa ma il futuro che lo attendeva non sembrava particolarmente roseo.
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« Avvicinati e afferra la spada. », gli intimò con aria truce re Ethelbert, indicando con un ampio gesto una teca di vetro. Era ricoperta di rovi neri e intricati, a malapena si riusciva a vedere attraverso.
Cain era spaventato, confuso, non sapeva cosa stesse accadendo.
Era stato liberato da corde e manette in metallo, ma alle sue spalle un muro di guardie armate fino ai denti lo minacciavano con spade pronte a essere sfoderate. Sfidarli era un suicidio, l'unica opzione ragionavole al momento era assecondare le loro strane richieste.
Esalò un profondo respiro, per poi fare qualche passo verso la custodia ricoperta di tetra vegetazione. Improvvisamente gli parve di notare che qualcosa stava cambiando: i rovi si ritraevano a ogni suo passo, strisciando come serpenti. Si fermò con il cuore in gola.
Cosa significava? Da quando in qua la vegetazione si muoveva a proprio piacimento?Alle sue spalle tutti, persino i reali, stavano col fiato sospeso, attendendo una mossa del giovane.
Cain deglutì, cercando di eliminare quel groppo che stava attanagliandogli la gola. Fece un altro passo, poi un altro ancora, posizionandosi davanti alla teca in vetro, finalmente libera da quei rovi che ora, serpeggianti, avevano liberato la visione dell'arma divina. Era una spada bastarda a due lame, dalle fattezze eleganti e sofisticate, con una pietra celeste sul pomo che, quasi, sembrava brillare di luce propria. Osservandola nel dettaglio sull'elsa vi erano delle incisioni in una lingua che Cain non riusciva a capire. Rimase qualche istante immobile a guardare quell'arma che quasi sembrava chiamarlo. Era una sensazione strana, come se qualcosa dentro la sua testa lo stesse spronando a brandirla. Allungò la mano, e nell'istante in cui la sua pelle entrò in contatto con il freddo metallo dell'elsa una luce accecante lo travolse. Quando si spense dei rovi non vi era più traccia: erano divenuti bellissimi rami rampicanti coperti da fiori bianchi.
Spaventato, Cain abbandonò la spada, indietreggiando, mentre alle sue spalle la folla allibita tratteneva il fiato. Il giovane si voltò posando lo sguardo sulle persone che fino ad ora avevano seguito col cuore in gola ogni sua mossa. L'aria era densa di frustrazione: alcune donne, incredule, si coprivano il viso piangente, mentre altri uomini si limitavano a scrutare la figura di Cain con sguardo sconfortato, scuotendo lentamente la testa come a dire "non è possibile".
Il cuore di Cain prese a battere fortissimo. Abbassò lo sguardo sulla propria mano, quella che prima aveva afferrato la spada, chiedendosi
"Perché? Perché, tra tutti, proprio io?"⋘ ⋙
Come prevedibile la decisione di Manaar non venne presa particolarmente bene. Da nessuno. Il popolo perse fiducia nella propria dea, e persino i soldati smarrirono ogni stimolo che li spingeva ad andare avanti e a proteggere la propria cittadina. La situazione era più grave di quanto ci si potesse immaginare
Dopo la scoperta Cain era stato spedito in gattabuia. Nessuno si aspettava che fosse veramente il
"prescelto della dea", tutti, persino i consiglieri e gli strateghi più preparati erano stati presi alla sprovvista e la soluzione migliore che avevano potuto trovare era una: prendere tempo. Perciò per giorni il giovane venne lasciato a marcire in una cella della prigione, fino a quando, un giorno qualcuno si fece vivo.
« Ehi generale. »Cain, seduto a terra, con le spalle contro al muro riconobbe la voce e provò una forte sensazione di rigetto. Nonostante fossero passati giorni e avesse avuto tutto il tempo metabolizzare la cosa, provava nei confronti di quella ragazza una profonda repulsione. L'aveva salvato, sì, ma per imprigionarlo e costringerlo a lavorare per loro. Si voltò dalla parte opposta, sdegnato, mentre un "clanck" metallico risuonava nel silenzio della cella. La porta si aprì cigolando, e pochi istanti dopo Cain si sentì afferrare per le braccia, forte, e strattonare verso l'alto. Venne fatto alzare e di nuovo, com'era capitato giorni prima, i suoi occhi color ghiaccio incrociarono quelli verde smeraldo della principessa, sacerdotessa o quello che è.
La presa alle spalle si fece improvvisamente più salda, come se le guardie alle sue spalle lo tenessero con l'intenzione di bloccarlo, e non solo sostenerlo. Vide la mano della principessa avvicinarsi al suo petto e prima che riuscisse ad aprir bocca venne investito da una luce verde. Fisicamente non sentì nulla se non un lieve pizzicore in mezzo al petto, per capirci nell'esatto punto in cui era posizionata la mano di Maeve - o almeno così credeva si chiamasse.
Nell'esatto momento in cui stava per chiederle cosa gli avesse fatto, lei lo precedette
« Adesso che ti ho lanciato questo incantesimo, non ti conviene trasgredire alcuna regola... »Incantesimo? Regola? In quell'esatto istante capì cosa gli era appena accaduto e il segno sul suo petto - somigliante a una runa celtica - non fece altro che confermare la sua teoria: era stato sigillato.
« ...potrebbe rivelarsi fatale. »Quelle ultime parole risvegliarono in lui una rabbia prorompente. Non gli importava delle guardie, in quel momento voleva soltanto metterle le mani a dosso.
« MALEDETTA STREGA! », gridò, cercando di divincolarsi dalla presa delle guardie. Diavolo, quanto avrebbe pagato per poterle assestare un pugno su quel bel visino.
« Raffredda i bollenti spiriti, ragazzo! », lo riprese la guardia di destra, un uomo sulla quarantina con dei folti baffi, strattonandolo
« Colei che osi chiamare "strega" ti ha salvato dall'impiccagione. », continuò
« Mostrale il dovuto rispetto. »Le parole dell'uomo non lo toccarono minimamente. La rabbia bruciava ardente dentro al suo petto, ora forse più di prima.
« Mai. », sibilò a denti stretti, osservando la figura scura di Maeve da dietro le sbarre con gli occhi ridotti a due minacciose fessure.
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Seduto con la schiena premuta contro un albero, Cain lucidava accuratamente la sua cara, vecchia spada. La lama non era più tagliente come una volta, per quanto venisse affilata regolarmente, e in più era piena di bozzi. Piccoli pezzi di lama erano volati via e il piatto, nonostante i differenti oli utilizzati, finiva per ossidarsi sempre più spesso. Nonostante tutto però, Cain non l'abbandonava. Era la sua spada, il prolungamento del suo braccio. Probabilmente non l'avrebbe lasciata andare neanche una volta rotta: avrebbe provato a salvarla anche a costo di spendere tutti i suoi risparmi.
Rigirò l'arma alla luce, controllando il livello di lucidità: riusciva quasi a specchiarcisi, era a buon punto.
A un certo punto, una voce adirata. Sentì il sangue ribollirgli nelle vene mentre gli occhi roteavano come a dire "ci risiamo". Si impose di ignorare chiunque gli si fosse avvicinato, perciò abbassò lo sguardo e tornò alla sua lama, almeno finché una mano non lo strattonò per il colletto. Si ritrovò quindi costretto ad alzare lo sguardo e a incrociarlo con quello adirato della principessa. Non la vedeva dal giorno in cui era stato sigillato e sinceramente non aveva alcuna voglia di averci niente a che fare. Provò il forte istinto di ribellarsi alla presa ma una strana sensazione lo bloccò: era come se un macigno gli gravasse sopra. Voltò lo sguardo, notando che le guardie di turno lo stavano osservando con aria vigile e severa, come a dire "fai un passo falso e la paghi". A questo punto Cain si impose di rimanere in silenzio, magari ignorandola si sarebbe allontanata... e invece no. Pur rimanendo in silenzio la ragazza continuò a parlare, iniziando un monologo che sembrava non avere mai fine. Era arrabbiata, al punto da calciare la spada divina Yeosin.
Cain, del canto suo, rimase impassibile durante tutto il suo discorso. Non battendo ciglio neanche durante il raptus di rabbia in cui la divina Yeosin finì incastrata nell'albero, pochi centimetri sopra il suo viso.
Cain attese che Maeve sputasse il suo veleno, tutto quanto. Fatto ciò si sollevò in piedi, sbatté via le foglie dal mantello con non chalance e la guardò dritta negli occhi. Quindi si avvicinò e le porse la mano destra.
« Guarda. », fece, incitandola a osservargli il palmo. Era una mano grande, forte e callosa, tipica di un soldato.
« Le mie mani sono coperte di sangue, il sangue degli stessi innocenti che tu mi stai chiedendo di salvare. Sono mani di assassino. », nel dire la parola "assassino" le dita si chiusero a pugno, in una forte stretta.
« La mia strada non prevede ritorno, è un abisso dal quale nemmeno la tua dannata dea saprebbe salvarmi. », continuò, mettendo una certa enfasi nella parola "dannata", giusto per farle capire subito ciò che pensava nei confronti delle divinità e in particolar modo di Manaar.
Detto ciò, fece per andarsene. Superò Maeve, avviandosi verso la tenda, senza però prima togliersi lo sfizio di colpirla con una "involontaria" spallata.
« Scegliere me come eroe... tsk! », disse fra se e se, a voce alta, in modo che anche Maeve potesse sentirlo
« ...la vostra dea deve essere proprio uscita di senno. », fece poi con tono derisorio, scuotendo la testa.
THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.