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  1. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    A dirla tutta quella nuvola, di un cervo, aveva ben poco. Riguardandola bene sembrava un cane con le orecchie malformate, ma in quel momento a Cain non interessava. Voleva soltanto togliersi dalla mente quei pensieri che ogni volta, puntualmente, lo ferivano al petto come dardi. L'esclamazione eccitata di Dawn lo aiutò a portare l'attenzione su altro, ma soprattutto a trovare la forza si sollevare tristemente gli estremi delle labbra in un sorriso. Era davvero fantastica. Studiando i delicati lineamenti del suo viso si trovò a pensare che la invidiava, la invidiava davvero tantissimo. Avrebbe voluto possedere lo stesso entusiasmo, la stessa forza la spingeva ogni giorno ad affrontare la vita con un sorriso. Lui, al contrario, non era che un tartarugone sigillato all'interno della sua dura corazza di freddezza; sembrava tanto forte, da fuori, ma dentro celava paure, insicurezze e inquietudini. Quella ragazza invece mostrava tutte le sue emozioni, persino enfatizzandole, dimostrandosi molto più ardita di lui, il Generale di Erethos sfuggito a morte certa innumerevoli volte. Il sorriso di Cain si fece improvvisamente più caldo nel pensare che, da Dawn, avrebbe potuto imparare tanto: forse sarebbe riuscita ad insegnargli cos'era il vero coraggio.
    I suoi pensieri vennero spazzati via da un gesto improvviso e nervoso della giovane. La vide sedersi, e per un attimo, ma solo per un attimo, ebbe il timore di sentirla borbottare "scusa, devo proprio scappare" come capitava la quasi totalità delle volte che si allenavano assieme. Questa volta però Dawn non aprì bocca, si limitò invece sollevare lo sguardo color prato al cielo, le guance, solitamente coperte da un'adorabile colorazione rosata, in quel momento pallide.
    « Dawn? », la richiamò Cain, sollevandosi a mezzo busto e affondando un gomito nel fieno, allarmato.
    Un'espressione del genere non era da lei: qualcosa non andava. Stava giusto per chiederle informazioni a riguardo quando la ragazza parlò, o meglio, farfugliò a bassa voce.
    « Come hai detto? », chiese Cain, confuso, le sopracciglia aggrottate e il capo inclinato di lato.
    « La falce di luna. », la sentì correggersi, con le labbra piegate nel dipingere un sorriso, un sorriso che a Cain parve... forzato. La conosceva ancora poco, quella ragazzina, ma riusciva a riconoscere quando qualcosa non andava, dopotutto era talmente espressiva da lasciar trasparire la maggior parte dei suoi sentimenti. Commentò con un "Umh" poco convinto la descrizione del significato delle sue parole, scuotendo il capo in segno di assenso e continuando a scrutarla, come aspettando da parte sua qualche reazione, chissà, magari una richiesta di aiuto.
    Alzò quindi gli occhi al cielo, coprendosi lo sguardo col braccio e incrociando la nuvola accennata. Confuso, sbatté gli occhi, cercando di immaginarla da angolazioni diverse, ma niente, a lui quella massa di gas non ricordava affatto una falce di luna. Forse, pensò, nel frattempo il vento l'aveva sagomata diversamente.
    Improvvisamente una serie di voci si fece largo tra il cinguettio degli uccelli e il frusciare del vento. Cain senza volerlo si ritrovò sulla difensiva. Senza pensarci due volte si sollevò a sedere, lo sguardo vigile puntato un punto imprecisato del paesaggio. Mentre nella sua testa compariva il bisogno di estrarre la spada - che, tra parentesi, manco aveva a disposizione - un gruppetto di individui con la divisa da soldati leggeri faceva capolino da dietro la stalla.
    « Hei, voi due! Cosa ci fate con l'equipaggiamento degli arcieri? »
    Cain sospirò, sentendo l'adrenalina scemare. A volte il suo corpo si comportava ancora come se quel posto, per lui, fosse pericoloso. Li osservò avvicinarsi, per poi rivolgere a Dawn un'occhiata eloquente « Qualcosa mi dice che l'equipaggiamento degli arcieri non fosse esattamente "in prestito". », la schernì, divertito, imitando le virgolette con un gesto delle mani « Vero, Dawn? »
    Una giovane recluta si diresse sotto il grande albero dove avevano inizialmente appoggiato la roba, cominciando a raccogliere il materiale e sistemandolo accuratamente all'interno della scatola adibita, mentre altri, rapidamente, smontavano i bersagli per riportarli al proprio posto.
    Quello che probabilmente doveva essere il comandante degli arcieri si avvicinò ai giovani, ancora seduti sul fieno, scrutandoli con aria truce.
    « Datevi una mossa e portate tutto al suo posto! », tuonò, visibilmente in collera, indicando col dito indice gli altri arcieri che, nel frattempo, si erano portati avanti a sistemare.
    Cain si voltò verso Dawn, scuotendo la testa e guardandola come a dire "sei proprio un caso perso", per poi alzarsi e sbattersi via il fieno dai vestiti con nonchalance, sotto lo sguardo torvo del superiore. L'uomo, visibilmente infastidito da quella perdita di tempo ingiustificata, alzò il tonò, spronando entrambi, ma soprattutto Cain a sbrigarsi.
    « Muovetevi! »
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 30/5/2021, 10:55
  2. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    In quel momento si sentì un emerito imbecille. Rimase a fissare Dawn, incredulo, per qualche secondo, le parole della giovane che, una dopo l'altra, pugnalavano il suo maledetto orgoglio. Doveva sempre avere l'ultima parola d'altronde, anche a costo di parlare senza pensare, e questo era il prezzo da pagare. Aggrottò le sopracciglia, pensoso, puntando con lo sguardo ceruleo un punto fisso sul terreno. Ripensò alla propria frase, studiando a fondo il significato, per poi spalancare gli occhi, le labbra leggermente socchiuse in un'espressione meravigliata. Sei un dannatissimo idiota, pensò, stringendo le labbra stizzito. Ormai il dado era tratto, la figuraccia l'aveva fatta: non poteva altro che rimediare. Dopotutto, come aveva detto Dawn: "aveva fatto tutto da solo", e da solo adesso doveva uscirne, in modo maturo ed estremamente intelligente, come solo il Generale di Erethos sarebbe riuscito a fare « Bah! », esclamò, muovendo nervosamente una mano in aria per colpire una manciata di fieno e indirizzarla verso Dawn, un po' come fanno i bambini arrabbiati. Fortuna che avevo detto in modo maturo e estremamente intelligente.
    Di lì a poco il discorso proseguì, e la nuvola che poco prima assomigliava alla testa vuota di Cain, secondo Dawn, prese la forma di un leone. Il giovane generale seguì lo sguardo della giovane, osservando attentamente la massa gassosa in cielo e esordendo dopo qualche secondo con un « A me sembra solo una nuvola storta. », fece, il naso arricciato e le labbra ricurve in una smorfia. La fantasia non era mai stata il suo forte, tranne quando si parlava di ideare nuove tecniche militari e strategie: in quel caso era sempre il primo della classe. Diciamo che era più un tipo da cose "concrete", piuttosto che "immaginarie".
    In ogni caso, decise di stare al gioco: alzò gli occhi al cielo, spostando lo sguardo da una nuvola all'altra, cercandone una che effettivamente gli ricordasse qualcosa. In pochi istanti, la trovò: alzò una mano al cielo, indicando col dito indice un cirro dalla forma allungata, leggermente ovoidale alle estremità « Quella. », affermò, convinto, portandosi l'altra mano davanti al viso per celare lo sguardo al sole « Sembra una catena. ». Il significato di quel simbolo lo fece letteralmente sprofondare nel fieno. Alla parola "amore" il suo viso divenne paonazzo, lo stomaco che si contorceva nel suo ventre come un calzino. Provò l'inspiegabile bisogno di evitare il contatto diretto con la ragazza: in quel momento pareva che sostenere il suo sguardo fosse doloroso quanto una scheggia nell'occhio. Portò le mani dietro la testa a mo' di cuscino, guardando verso l'alto in un punto indefinito del cielo e usando i gomiti come "scudo" per non vedere la ragazza in viso « Baggianate. », esordì, con fare da duro, ma con un'espressione in viso estremamente traditrice.
    « Hai una fidanzata e non me ne hai mai parlato? »
    Si sentì morire. Il suo cuore perse un battito e la sua testa andò letteralmente nel panico. Se prima era sprofondato nel fieno, ora si trovava direttamente nei meandri più oscuri della profondità della terra. Attese qualche istante prima di rispondere alla domanda, prendendosi il tempo di raggruppare le idee e, questa volta, pensare. Non voleva ritrovarsi in una situazione scomoda come quella di prima, soprattutto se l'argomento era per lui così… inspiegabilmente disturbante.
    « U-Una fidanzata? E che me ne faccio? », esordì, serio, non riuscendo però a celare un'attimo di debolezza a inizio frase. Era come se per le sue corde vocali non avessero voluto collaborare, ma alla fine fosse riuscito a forzarle nel parlare. In ogni caso il "che me ne faccio" era da sempre la classica risposta, o scusa, a quel genere di domande. In più di un'occasione Re Greil aveva spinto per organizzare matrimoni combinati, ma Cain sembrava non dare importanza alla sfera sentimentale, dando invece massima priorità all'ambito militare. Lui viveva per combattere e servire il padre: per sposarsi e portare avanti il nome della famiglia Noller c'era tempo, e Greil, del canto suo, era più che fiero di questo suo modo di pensare. Però… perché adesso faticava così tanto a dirlo? Che, dentro di lui, stesse cambiando qualcosa? Scuotendo il capo e lasciandosi andare a un profondo sospiro ricacciò quei pensieri nei meandri della propria mente. Da qualche parte nel suo petto trovò finalmente la forza di mostrarsi a Dawn, abbassando i gomiti e voltandosi con un sorriso dispettoso « E poi la rompiscatole di turno ce l'ho già, non ho bisogno di una fidanzata. », continuò, alludendo palesemente a Dawn nel pronunciare la parola "rompiscatole".
    A seguire, il gioco "scova la nuvola", continuò. Questa volta Cain puntò un cumulonembo enorme, sottolineando la sua somiglianza a una barca. Dawn, evidentemente non d'accordo con la sua opinione, lo derise, « Secondo me assomiglia più a te appena uscito dalla mensa dopo aver ripulito almeno una decina di piatti. », scaturendo in lui, questa volta, un'inaspettata, spontanea risata cristallina. Per la prima volta, forse dopo anni, rise davvero di gusto, immaginando se stesso in una situazione simile. Okay, lo aveva insultato di nuovo, ma effettivamente era esilarante come scena!
    « Magari dopo una mangiata di fagioli! », aggiunse, divertito, lo sguardo ceruleo dal taglio duro che si addolciva, accompagnando quella risata sonora e genuina. Era talmente poco abituato a ridere che dopo pochi minuti già sentiva le guance doloranti. Quel riso però si spense molto rapidamente « Cambiamento burrascoso? », ripeté, mentre gli estremi delle labbra si abbassavano gradualmente, tornando a disegnare una linea retta. Un brivido gli percorse la schiena, mentre il ricordo del suo ultimo "cambiamento burrascoso" gli intossicava i pensieri. Ricordava come fosse ieri il giorno in cui aveva scoperto la vera natura di Greil, il giorno in cui aveva deciso di ribellarsi, e il giorno in cui la persona che doveva chiamare "padre" aveva assoldato dei mercenari per ucciderlo. A volte la notte ancora li sognava, quei giorni lì: incubi che rappresentavano la dura realtà delle cose. Si morse le labbra, lo sguardo fisso verso l'enorme nuvola a forma di barca, mentre la ferita nel cuore sembrava riaprirsi per l'ennesima volta. Sospirò, cercando di cambiare argomento « Quella… », fece, in realtà non troppo convinto, « Quella mi ricorda un cervo. »
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    Edited by rhænys` - 13/5/2021, 16:55
  3. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    Per quanto si sforzasse non riusciva a comprendere il motivo per cui il suo corpo avesse reagito in quel modo. Era come se mente e fisico avessero due opinioni opposte e non riuscissero a mettersi d'accordo. L'uno gli diceva "è solo una ragazzina" mentre l'altro ribadiva, spavaldo "se è davvero solo una ragazzina come dici, perché ti fa quest'effetto?".
    Chiuse gli occhi, lasciandosi andare a un lungo, profondo respiro: doveva calmarsi, non poteva permettere che Dawn lo vedesse in quello stato. Si impose mentalmente di pensare ad altro, di concentrare la propria attenzione su pensieri differenti e proprio in quell'istante la voce della ragazza irruppe nei suoi pensieri. La ringraziò mentalmente per aver cominciato a parlare: in quel modo fu come se la maggior parte della tensione si fosse sciolta. Non ascoltò realmente ciò che lei gli stava dicendo, sentiva più che altro un suono di sottofondo, sovrastato da quel mare di pensieri che gli affollavano la mente.
    D'improvviso, un ciuffo di fieno gli cadde in pieno viso, prendendogli in pieno l'occhio sinistro « H-Hey! », esclamò allontanandosi lo stelo con una manata veloce e stropicciandosi l'occhio. Pensando che le fosse sfuggito, magari muovendosi, non aggiunse niente, limitandosi invece a portare il braccio davanti al viso e poggiarlo sulla fronte, proteggendo gli occhi dal sole. Fissò per qualche istante il cielo, le pupille nere che si ristringevano a contatto con la luce. Quando stava giusto cominciando a rilassarsi, abbandonato in quel mare di morbidezza, altra erba secca raggiunse il suo volto, questa volta rischiando di entrargli in bocca dato che teneva le labbra leggermente socchiuse. In un gesto istintivo allontanò il fieno con un soffio stizzito, voltando il viso verso Dawn per lanciarle un'occhiata di sbieco, pur non vedendola del tutto « Oi, dacci un taglio! », fece passando velocemente una mano sul viso per spostare i resti d'erba che non erano volati via. Era indubbiamente una situazione strana, e soprattutto fastidiosa, ma nonostante tutto doveva ringraziare Dawn e il suo intervento giocoso. Se era riuscito a calmarsi, a dimenticare quei magnetici occhi verdi che lo scrutavano, era solo merito suo e di quel dannatissimo fieno che continuava a lanciargli addosso.
    Per la terza e ultima volta, una manciata d'erba secca gli colpì il viso, pizzicandolo. In quel momento la vena che già da prima aveva cominciato a pulsare si chiuse definitivamente. In un movimento rapido e istintivo Cain si sollevò dalla catasta di fieno, coprendo la figura esile di Dawn, ancora stesa, con la sua massiccia ombra. Afferrò un'abbondante quantità di biada, abbastanza da coprirgli la parte bassa del viso « Vuoi la guerra? », chiese, minaccioso, gli occhi cerulei ridotti a due fessure « E guerra sia. », concluse lanciandogliela addosso e coprendo quasi per intero la sua figura.
    « Ma che ti è passato per la testa? », la sentì esclamare, stridula, annaspando in quel mare d'erba.
    Terminato il suo sporco lavoro Cain batté le mani una sull'altra per liberarsi dei residui in eccesso, per poi, con non chalance, tornare a prendere posto nel buco sul fieno che ormai aveva preso la forma del suo di dietro.
    « Fammi indovinare... », disse, scuotendo a destra e sinistra la mano per allontanare gli steli, e soprattutto la polvere. che ancora volteggiavano in aria dopo l'impatto « ...Non hai molta familiarità col detto "Non stuzzicar il can che dorme", vero? », la schernì, un sopracciglio sollevato e le labbra piegate nel dipingere un lieve sorriso.
    Inspiegabilmente adorava quel lato infantile di Dawn. Invidiava la sua capacità di trasformare una situazione seria, o come nel loro caso imbarazzante, in un gioco, e soprattutto gli piaceva quel suo sorriso, quel dannatissimo sorriso che sarebbe stato ore a fissare.
    « Oh, guarda! », esclamò la ragazza, irrompendo nei suoi pensieri. Senza pensarci due volte Cain si voltò, osservando prima la mano della ragazza, col dito puntato verso il cielo, per poi seguire con lo sguardo la direzione indicata. Non vide nulla di strano, se non un paio di nuvolette pallide e striminzite. Quando stava giusto per chiedergli spiegazioni, Maeve chiarì, aggiungendo « Quella nuvola assomiglia alla tua zucca vuota! »
    Cain, allibito, voltò lentamente il capo verso la ragazza, le labbra strette e gli occhi ridotti a due fessure. La osservò per qualche istante, probabilmente indeciso se assaltarla di nuovo o trovare un altro modo di reagire, magari più costruttivo. Optò per la seconda, rispondendole a tono con un sorrisetto infastidito « Meglio vuota che piena di segatura. » ...Cain, ho detto costruttivo!
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    Edited by rhænys` - 9/5/2021, 14:40
  4. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    Sin dalla prima infanzia era sempre stato così, un bambino irruento e orgoglioso. Tendeva sempre a parlare o agire senza pensare alle conseguenze, lasciandosi guidare da quel fuoco che ardeva vigoroso dentro al suo petto da frugoletto. Più e più volte era stato redarguito dai suoi superiori, ma testone com'era pareva che gli insegnamenti avessero effetto inverso.
    «O, altrimenti, puoi mettere da parte il tuo orgoglio e metterti una di quelle. », lo spronò Dawn, indicandogli le protezioni. Il sorriso da "te l'avevo detto" che sfoggiava gli faceva ribollire il sangue. Già gli bruciava maledettamente l'idea di aver trovato una disciplina di guerra dove non brillasse, e in più si ritrovava un'istruttrice che lo guardava dall'alto in basso con quell'aria da saputa. Di tutta risposta le sorrise a sua volta, gli zigomi tesi e le labbra incurvate in un espressione infastidita. Sembrava in tutto per tutto una strana smorfia minacciosa piuttosto che un sorriso.
    « Preferisco sfondarmi il braccio. », le rispose quindi, a denti stretti, sforzandosi di mantenere la calma.
    Stizzito, tornò in posizione, regolando la presa sull'arco e controllando non una ma ben due volte l'allineamento del braccio e la spalla. Esalò un profondo respiro, socchiudendo lo sguardo: quella sarebbe stata la volta buona, lo sentiva dentro. Incoccò, tirò la corda e rilasciò. Ma qualcosa sembrò non andare secondo i piani. La freccia partì verso l'alto, seguendo un moto parabolico e conficcandosi a terra, non troppo distante dal bersaglio. Ma ciò che scioccò particolarmente Cain non fu tanto la freccia: nel momento dello scocco l'arco gli sfuggì di mano con una velocità incredibile, come se una forza esterna glielo avesse sottratto. Il punto è che quella maledettissima arma gli scivolò di mano, saltellando sugli estremi per cadere poco lontano dalla postazione di tiro. Cain, del canto suo, rimase immobile ad osservare l'arco a terra, basito, no, che dico, sconcertato! Mentre nella sua testa profilava la domanda "ma è fisicamente possibile ciò che ho appena visto?", dalla sua bocca sfuggì tuonante un'imprecazione, seguita da un ruggito che di umano aveva ben poco.
    Se prima ci vedeva rosso, adesso ci vedeva bordeaux.
    « Sono errori da principiante, piano piano migliorerai »
    Non furono tanto le parole di Dawn a spingerlo a voltarsi, scoccandole un'occhiata che lanciava coltelli. Fu probabilmente l'unione delle sue parole con quelle risatine soffocate.
    « Te lo faccio vedere io il principiante! », esclamò, caricandola con foga. Senza troppi complimenti la prese per i fianchi, sollevandola da terra e sistemandola sulla spalla destra a mo' di sacco di patate. Prima di riuscire a bloccarle le gambe come si deve, un po' per sostenerla e un po' per evitare colpi nell'addome, si prese, appunto, una serie di calci non da poco. Una volta riuscito a bloccarle la parte inferiore del corpo (perché, sì, la parte superiore era ancora libera e probabilmente, da dietro la schiena, lo stava massacrando), incurante delle eventuali urla o strepiti, prese a correre. Si diresse verso un cumulo di fieno e a pochi metri da quest'ultimo si fermò. Accadde tutto in un istante: nel momento in cui i suoi piedi interruppero la corsa le sue braccia e il suo bacino si mossero all'unisono per scaraventare la ragazza in avanti, dritta dritta sulla catasta di fieno. Poco ma sicuro, la povera Dawn avrebbe fatto un volo che non si sarebbe scordata facilmente.
    Proprio quando pensava di essere lui per una volta a guardarla dall'alto in basso, le gambe di Cain vennero sopraffatte dalla spinta. Inerme, si ritrovò a inciampare su se stesso, crollando come uno scemo. Precipitò in avanti, addosso alla figura esile di Dawn. Per evitare di caderle addosso aprì gli arti superiori, puntandoli ai lati del suo corpo per sostenersi ed evitare di schiacciarla. Funzionò, ma non esattamente come sperava: quell'ultima manovra salvò la ragazza da morte per soffocamento ma le sue mani sprofondarono nel fieno, facendoli ritrovare uno sopra l'altra, viso a viso, gambe quasi intrecciate.
    Era successo tutto talmente in fretta che Cain ci mise diversi istanti per rendersi conto realmente della situazione in cui si trovava. Quando lo fece, il suo cuore sembrò infiammarsi. Averla così vicino, vulnerabile sotto il suo corpo fece esplodere un'inaspettato calore nel suo corpo. Rimase intrappolato in quella dimensione eterea di sentimenti contrastanti per un tempo che gli parve infinito, mentre dal basso qualcosa di meno etereo si risvegliava. Voleva allontanarsi, lo voleva veramente! Ma quegli occhi, dannazione… perché non riusciva a smettere di fissarli? Furono probabilmente i tre secondi più lunghi della sua esistenza.
    Quando finalmente tornò a ossigenare il cervello con un respiro, perché, sì, nel frattempo aveva pure dimenticato come si respirava, si lanciò di lato, cadendo al suo fianco con un tonfo sordo e sollevando una nuvola di fieno. Qualche ciuffetto di erba secca gli cadde sul volto, mentre con gli occhi cerulei fissi sul cielo il suo cuore galoppava all'impazzata: era in preda all'adrenalina come se fosse reduce da una lunga corsa, quando in realtà non aveva fatto nessuno sforzo particolare.
    Rimase immobile, accanto a lei, braccia e gambe divaricate immerso in quel mare di morbidezza che era la massa di fieno. Voleva parlare e rompere il silenzio imbarazzante che li circondava, ma le sue corde vocali sembravano aver perso la capacità di permetterglielo. In quel momento sperava solo che lei non si alzasse per guardarlo in faccia: avrebbe visto soltanto due imbarazzatissimi occhi blu circondati da un viso paonazzo. Espressione che non si addiceva per niente al tanto temuto Generale di Erethos.
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    Edited by rhænys` - 26/4/2021, 14:55
  5. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    Che problemi ha questo guanto? Si chiese, dubbioso, rigirandosi tra le mani quello che, appunto, pareva un guanto, ma con dita mancanti. Senza pensarci troppo lo ricacciò dentro la scatola, tornando a rovistare in quel ciarpame. Ne estrasse altri, di differente colore e grandezza, constatando con sua grande sorpresa che quella forma peculiare si ripeteva. Lanciò un'occhiata perplessa a Dawn, impegnata a legarsi ben strette le protezioni. Possedeva due tipologie di guanti, uno intero e l'altro con alcune dita mancanti, in particolar modo l'anulare e il mignolo. Spostando lo sguardo sul guanto sgualcito tra le sue mani si chiese il perché di quella strana forma; insomma, non bastavano due guanti interi? Che bisogno c'era di tagliarne uno a metà? Confuso, decise di non porsi troppe domande, cominciando a indossare le protezioni - avendo non poche difficoltà a trovare il verso giusto del guanto da arciere a dirla tutta. Arrivato il turno del copri-avambraccio si rese conto che qualcosa non andava. Le cinghie di chiusura erano troppo corte, riusciva a malapena a far toccare le due estremità, figuriamoci a infilare l'ardiglione della fibbia nei fori. Si strinse nelle spalle, lanciando la protezione nella scatola senza troppi complimenti - per giunta mancandola. Dopotutto era da sempre abituato ad avere a che fare con armi ben più pericolose di un arco, cosa mai sarebbe potuto succedergli?
    « Pronto? »
    « Non sto nella pelle. », rispose con evidente sarcasmo.
    In realtà, pensò, osservandola sollevare un dito all'altezza del viso, era curioso di vedere come se la sarebbe cavata. Per non parlare poi del fatto che gli facesse veramente piacere vedere quell'espressione sul suo viso. Sembrava estremamente soddisfatta, come se stesse realizzando il sogno di una vita.
    Ascoltò in silenzio la spiegazione sull'occhio dominante, eseguendo le mosse che Dawn gli suggeriva. Allungò il braccio, puntando lo sguardo sul centro del bersaglio davanti a sé e chiuse l'occhio sinistro. Nulla, la visuale non cambiava. Chiuse l'altro occhio e... bingo! Quasi magicamente la punta del dito si spostò di lato, permettendogli di vedere il cerchio rosso del bersaglio prima nascosto alla vista. Incredulo, ci riprovò un paio di volte, prima con un occhio, poi con l'altro, constatando dopo il terzo o forse quarto tentativo che il suo occhio dominante era effettivamente il destro. Osservandosi le mani si chiese se il fatto di essere destrorso centrasse qualcosa con quella storia, ma non fece in tempo a porre la domanda che Dawn gli rivolse uno sguardo preoccupato, interpellandolo.
    « Non c'era neanche una protezione per l'avambraccio che ti stesse bene? »
    In un primo momento Cain, preso dai suoi pensieri, non intuì a cosa si stesse riferendo, poi seguendo il suo sguardo capì. Parlava del copri-avambraccio, quello che aveva malamente scartato e gettato via. Al suo "guarda che ti farai male" non riuscì a non lasciarsi sfuggire una risata di scherno.
    « Non saranno due lividi a spaventarmi. », fece, forse un po' troppo sicuro di se.
    Con sua grande sorpresa - e piacere - Dawn non insistette troppo con la questione delle protezioni, tornando a spiegare le basi del tiro con l'arco. Gli mostrò tutti i fondamenti, muovendosi piano e spiegando con parole concise, senza troppi fronzoli. Osservò tutta la successione di movenze, in silenzio, cercando di imprimerle nella propria memoria. In meno di uno schiocco di corda la freccia incoccata nell'arco di Dawn partì rapida verso il bersaglio, finendo per conficcarsi poco lontana dal cerchio rosso centrale.
    Niente male la ragazza, pensò, mentre un sopracciglio si sollevava in un'espressione di stupore mista a ammirazione.
    Senza pensarci troppo afferrò il primo arco a disposizione, prendendo posto davanti al bersaglio. Abbassò lo sguardo sui piedi, controllando che la posizione fosse giusta, per poi afferrare saldamente l'arco con la mano dell'occhio non dominante. Fin qui tutto bene, i problemi giunsero pochi secondi dopo, quando, nel tentativo di incoccare la freccia e tendere la corda, le cose presero una piega diversa... per non dire comica. Per un qualche motivo la freccia non ne voleva sapere di stare ferma, tendeva a spostarsi sempre lateralmente. Con un piccolo scatto Cain cercava di sistemare la situazione, appoggiandola al legno dell'arco, ma in quella posizione resisteva solo pochi istanti. Quella maledettissima freccia lo stava predendo per i fondelli, e la cosa lo faceva imbestialire. Abbassò l'arco, tornando alla posizione iniziale. Si disse che, forse, ripartire da capo era la scelta migliore. Controllò i piedi, afferrò l'arco, incoccò la freccia e tese la corda: questa volta sembrava andare tutto bene. Portò la corda tesa all'altezza della bocca, sentendo la resistenza farsi sempre più forte, mirò al bersaglio e... puff! Sul momento non si rese conto di ciò che stava accadendo, sentì solo un suono sordo, quasi ovattato, accompagnato da un'esplosione di polvere acre. A quanto pareva aveva tirato più del dovuto e la corda, vecchia e danneggiata, non aveva retto la tensione, rompendosi e scaraventando la freccia a pochi metri di distanza.
    Cain, del canto suo, si ritrovò ad osservare basito l'arma tra le sue mani, chiedendosi cosa diavolo fosse successo.
    « Credo sia rotto. », disse, porgendo l'arco a Dawn, notando pezzi di corda ballonzolare dagli estremi.
    Per fortuna - o forse no - la previdente Dawn aveva preso un paio di archi in più dalle riserve degli arcieri, perciò per il momento l'allenamento poteva proseguire.
    Con in braccio la nuova arma Cain tornò in posizione, controllando di essere esattamente davanti al bersaglio. Respirò profondamente, incoccò la freccia e tese la corda, lo sguardo di ghiaccio che puntava il cerchio più piccolo della meta. Ce l'avrebbe fatta, se lo sentiva dentro! Lasciò la corda e nell'esatto momento in cui la freccia partì un dolore lancinante all'avambraccio, altezza gomito, lo sorprese. Si lasciò andare a una di quelle imprecazioni che avrebbe fatto venire a meno la stessa Dea Manaar. Sentì il travolgente impulso di prendere quel maledetto arco, spaccarlo a metà e lanciarlo il più lontano possibile, ma ricordandosi della presenza di Dawn si trattenne. Doveva rimanere composto, soprattutto dopo che aveva fatto il gradasso alla richiesta di indossare le protezioni.
    Lanciò uno sguardo alla compagna, indeciso sul da farsi. Non sapeva se fosse il caso di continuare l'allenamento come nulla fosse oppure uscirne con una battuta di spirito, in ogni caso la giovane aveva visto più di quanto avrebbe dovuto.
    « Comunque non ha fatto male, era tutta scena. », si affrettò a giustificare, pur sapendo che quella fosse la scusa più stupida che potesse trovare. Dopotutto aveva agito d'impulso, cos'altro poteva dire?
    Detto questo, lanciò uno sguardo al bersaglio, constatando che la sua freccia non era andata a segno. La cercò con lo sguardo nei dintorni, lasciandosi andare a un lungo sospiro non vedendola nei paraggi.
    La presa sull'arco si fece più forte, mentre un fuoco di determinazione ardeva dentro il suo petto: ora era chiaro, odiava quella maledettissima disciplina, ma il suo orgoglio era più forte di quell'astio. Non avrebbe gettato la spugna, non senza almeno avere colpito il bersaglio una volta.
    Stoicamente riprese la posizione di base. Incoccò la freccia, tese la corda e scoccò. La freccia partì, ondeggiante, andando a conficcarsi nel terreno poco distante, ma assieme a lei, con grandissimo stupore di Cain, partì anche l'arco.
    Cain rimase qualche istante in silenzio, osservando l'arco rotolare per terra. Lanciò uno sguardo a Dawn, l'aria di uno che ha visto un fantasma, indicando con un movimento spazientito del braccio la scena appena accaduta.
    « Stai scherzando, spero! »
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 19/4/2020, 18:01
  6. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    « Basterà un mantello. »
    In un movimento quasi involontario gli occhi di Cain rotearono al cielo. Se fosse bastato veramente solo un mantello in quel momento si sarebbe trovato dappertutto tranne che in quella maledettissima gabbia di accampamento. Si trattenne dal commentare, limitandosi a sostenere lo sguardo della compagna e ad ascoltare il suo discorso. Non riuscì a non lasciarsi sfuggire una risata di scherno al suo "ti mostrerò come si fa", riferito all'eludere le guardie. La conosceva poco, questo è certo, ma tutto sembrava fuorché una tipa furtiva: già se la immaginava a venire scoperta e ad attaccare bottone con le guardie... sì, sarebbe stato proprio da lei. Il solo pensare a quella scena gli stimolò la sfuggita di una sommessa risata, che però si affrettò a prontamente nascondere con una schiarita di gola.
    Tornò a rivolgere la propria attenzione su Dawn, constatando che il suo discorso stava prendo una piega veramente insensata. Non solo farneticava di portarlo fuori dall'accampamento, in più sembrava avere intenzione di trascinarlo ad una festa. Esatto, proprio una festa: un luogo pieno di persone dove chiunque avrebbe potuto riconoscerlo, insomma, il luogo perfetto in cui condurre un fuggitivo.
    Scosse il capo, imponendosi mentalmente di lasciarla fare: sapeva che quelle di Dawn erano solo parole di cortesia, buttate al vento. Nessuno sarebbe stato così stupido da "accompagnare" un prigioniero di guerra, potenzialmente pericoloso, verso la libertà, tanto meno un soldato di rango basso come Dawn. Rischiava grosso anche solo a rivolgergli la parola, non osava immaginare a cosa sarebbe andata incontro se l'avessero scoperta a complottare un'uscita di gruppo col ricercato di turno.
    Improvvisamente incrociò lo sguardo con quello di Dawn, rimanendo stregato, nel vero senso della parola, da quel sorriso. Le sottili labbra della compagna erano sempre incurvate nel dipingere un'espressione di genuina felicità: sotto certi aspetti la invidiava, lui non aveva mai avuto la sua spontaneità e naturalezza, probabilmente nemmeno da bambino. Si era sempre trascinato dietro quella corazza di freddezza che tutt'ora lo caratterizzava: lo faceva sentire protetto, come se nessuno avesse potuto ferirlo.
    Di punto in bianco la vocina squillante di Dawn lo riportò alla realtà.
    « Da quanto ti alleni con la spada? »
    In un primo momento Cain fu costretto a pensarci, le sopracciglia aggrottate e una mano sul mento con fare assorto.
    « Mi alleno da sempre, o almeno da quando mi ricordo. »
    Facendo mente locale in effetti era stato trasferito nel campo militare pochi anni dopo la nascita, forse cinque, sei anni. I primi tempi, ricordava, erano stati molto difficili. Nonostante la giovane età veniva sottoposto ad allenamenti estenuanti, e al primo capriccio partivano le peggio punizioni. Al solo pensiero un brivido gli corse lungo la schiena, provocandogli un'evidente pelle d'oca: meglio lasciare certi ricordi nel dimenticatoio, va.
    Nel frattempo Dawn aveva proseguito a riempirlo di domande.
    « E chi è stato il tuo insegnante? Perché sì, insomma, sei una forza. »
    ...Sei una forza.
    « Come hai detto? »
    Quelle parole scatenarono in Cain una reazione del tutto inaspettata. Percepì il viso avvampare, sentendo inaspettatamente il bisogno di distogliere lo sguardo da quello della compagna.
    Non capiva cosa gli stava accadendo, ma di una cosa era certo: Dawn si stava complimentando con lui, e di questo era dannatamente felice.
    Per anni aveva sognato che suo padre si accorgesse dei suoi sacrifici. Gli sarebbe bastata una semplice pacca sulla spalla o anche solo un sorriso, ma niente, più si distruggeva più lo sguardo del padre lo feriva con la sua gelida indifferenza. Fino a pochi anni prima avrebbe dato la vita per sentire pronunciare quelle parole da Greil, ora che le aveva finalmente udite, seppur pronunciate da una persona differente, si sentiva ugualmente appagato.
    La giovane infermiera che fino a poco prima aveva medicato Dawn apparì svelta da dietro una tenda, trasportando alcune bende e un medicinale in bottiglia. Senza troppi complimenti si posizionò accanto a Dawn, riprendendo con la medicazione.
    Cain ringraziò mentalmente il suo arrivo: grazie a lei si era risparmiato spiegazioni inutili e imbarazzanti sul suo comportamento. Anche perché, seriamente, non capiva il motivo per cui quel maledettissimo giorno non riuscisse a comportarsi normalmente. Era come se, per qualche motivo, il suo corpo agisse di testa sua, permettendogli solo in ritardo di capire cosa realmente stava accadendo.
    Respirò profondamente, rompendo il denso silenzio che era calato sull'infermeria. Confuso, lanciò una rapida occhiata a Dawn, mentre una domanda continuava a riproporsi e a rimbombare nella sua mente: Cosa diavolo mi sta succedendo?

    ⋘ ⋙

    Negli ultimi giorni Dawn aveva cominciato a fare discorsi ancora più strani del solito. Diceva di sentirsi in debito con Cain e di volere a sua volta ricambiare i suoi insegnamenti. Nonostante il giovane principe le avesse ripetuto più e più volte di non volere niente in cambio, lei insisteva. Perciò, alla fine, al limite della sopportazione, si era ritrovato ad accettare, ritrovandosi nel bel mezzo di una lezione di arco.
    Dopo la serie di domande poste in infermeria riguardo il discorso "armi" - alle quali, sul momento, Cain non aveva risposto - lo stesso argomento era tornato fuori in seguito, durante un allenamento. Dawn, aveva quindi ricevuto le sue tanto bramate risposte, intuendo che l'abilità di Cain andavano ben oltre all'uso della spada. Infatti era stato addestrato all'utilizzo di asce, lance e qualsiasi altra arma da combattimento ravvicinato, persino il corpo a corpo. In fine era giunta alla conclusione che le armi a distanza non fossero mai state per lui particolare oggetto di interesse.
    Perciò, eccolo lì, a squadrare un arco con aria dubbiosa mentre Dawn sistemava il campo di tiro.
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  7. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    Cain di certo non era noto per la sua pazienza. Al secondo rifiuto di andare in infermeria già si potevano notare un paio di venuzze pulsargli sulla tempia destra, il terzo "no" era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Senza troppi complimenti aveva afferrato la povera Dawn per il polso, trascinandola di peso attraverso l'accampamento.
    « Finiscila con tutte queste storie! », tuonò, cercando di svincolarla da quel maledetto palo a cui si era aggrappata.
    Se si fosse trattato di due bambini la scena avrebbe strappato sicuramente un sorriso divertito ai passanti che assistevano alla scena, peccato che i due interessati avessero più o meno la stessa età e fossero entrambi giovani adulti. Qualcuno li osservava con aria preoccupata, probabilmente indeciso se intervenire o meno, mentre altri scuotevano il capo, chiaramente esasperati.
    Quel patetico teatrino vide la sua fine quando Dawn, ormai giunta davanti alla porta dell'infermeria, accettò il suo destino. Non fecero in tempo a fare neanche un passo all'interno dell'edificio che una giovane infermiera li accolse, indicando a Dawn una panca dove accomodarsi per essere medicata.
    Cain, del canto suo, si appoggiò contro il muro, braccia incrociate al petto e sguardo perso in un punto indefinito del pavimento in legno. Aveva ancora il cuore che gli batteva forte e la cosa lo confondeva. Certo, aveva avuto paura di averle fatto del male, ma al tempo stesso aveva fiducia nelle proprie capacità: dopotutto era nato con la spada in mano. Allora perché il suo cuore batteva così forte?
    Si voltò, puntando lo sguardo su quello di Dawn, in quel momento impegnata a sorridere all'infermiera. Per un attimo, ma solo per un attimo, quei grandi occhioni verdi dalle lunghe ciglia gli tornarono alla mente. Erano normalissimi occhi verdi eppure... erano così belli. Che diavolo stai dicendo, Cain? Si chiese, sorpreso dai suoi stessi pensieri. Scosse il capo, come a cercare di gettare via dalla sua mente quella frase. Respirò profondamente, pensando che forse darsi un occhiata attorno l'avrebbe aiutato a cambiare aria. In effetti sì, lo aiutò, ma non positivamente: dall'altra parte della stanza una coppia di infermiere parlavano tra di loro sussurrando l'una all'orecchio dell'altra. Avevano un atteggiamento ambiguo che, purtroppo, da quando soggiornava a Thyandul, aveva imparato a riconoscere fin troppo bene. Ogni tanto gli lanciavano uno sguardo, incuranti del fatto che Cain stesso le stesse osservando, spettegolando con una mano davanti al viso, come sperando che quell'unico gesto celasse le loro vere intenzioni.
    Sentì lo stomaco rivoltarsi come un calzino, mentre le sopracciglia si aggrottavano e le mani, ancora conserte al petto, si stringevano a pugno. Scosse il capo, imponendosi mentalmente di non dare peso a quel branco di oche: era cosciente di non essere ben accetto e ogni giorno, qualcuno, a modo suo, glielo ricordava, sempre con atteggiamenti da pusillanime. Mai uno che gli avesse detto chiaramente in faccia cosa pensava.
    Rivolse quindi la sua attenzione a Dawn, restando qualche istante ad osservarla in silenzio. Sono stato fortunato, disse fra se e se, abbozzando un lieve sorriso. Dawn sembrava davvero l'unica persona a vederlo come un essere umano, e non come una bestia da tenere sotto controllo.
    Quando la giovane infermiera si allontanò, Cain ne approfittò per prendere la parola, parlando a Dawn con lo sguardo duro di uno che non scherza.
    « Cosa diavolo ti è preso, si può sapere? », chiese.
    « Perché non hai parato quel colpo? », aggiunse poi, rendendo più chiara la domanda. La risposta che ricevette dalla compagna lo irritò non poco. Diede la colpa alle sua braccia esili e a lui, che, a quanto pare, non era riuscito a contenersi. Rimase ad osservarla in silenzio per qualche istante, sentendo dentro il tremendo impulso di mostrarle chiaramente cosa significava per lui il "non contenersi". Per fortuna non aveva alcuna intenzione di farle del male, anzi, il suo intento era esattamente l'opposto: proteggerla e fare in modo che lei stessa imparasse a proteggersi. Durante tutta la sua carriera da militare aveva perso innumerevoli commilitoni, non voleva perdere anche lei.
    « Dawn... », fece, il tono era serio ma al contempo angosciato: ricordava molto quello di un padre in procinto da dare una lezione di vita ad un figlio « ...la guerra non ha pietà per nessuno. ».
    Si vedeva che quella benedetta ragazzina non aveva alcuna esperienza in materia di guerra, e la cosa, se possibile, lo impensieriva sempre di più. Per un attimo, ma solo per un attimo, si chiese se davvero valesse la pena starle accanto. E se anche lei avesse fatto la stessa fine dei suoi precedenti compagni? Se anche lei non si fosse allenata a dovere e fosse... morta in battaglia? Stare assieme a lei, affezionarsi, gli avrebbe portato solo enormi problemi. La sua testa glielo urlava, ma era come se qualcosa gli tenesse le orecchie tappate e non gli permettesse di sentire quelle grida disperate. La sua testa sapeva, ma il suo cuore non voleva sentire ragioni.
    Uno spiacevole silenzio riempì l'infermeria, rendendo improvvisamente l'atmosfera tesa. Solitamente preferiva il silenzio alle chiacchiere inutili ma in quel caso sentiva un particolare disagio. Per sua fortuna Dawn provò a iniziare una conversazione, ponendo una domanda tanto classica quanto inopportuna, almeno per Cain che era segregato in quel luogo da più di un mese. Cain ridacchiò al suo "Come ti trovi?", una risata triste a dirla tutta « Come un uccello in gabbia. », rispose, senza peli sulla lingua. Non portò avanti il discorso, né spiegò il motivo di quella risposta secca e distante. Non era una conversazione che lo metteva particolarmente a suo agio.
    Di nuovo, quella macchinetta di Dawn, se ne uscì con una domanda che questa volta prese Cain piuttosto alla sprovvista. Gli stava chiedendo se aveva mai avuto l'opportunità di visitare la Xanturion, la capitale. Il ragazzo ci pensò su, ragionando sul fatto che il giorno in cui era stato trascinato al castello come prigioniero di guerra e quello dell'impiccagione non contassero come "visite alla città".
    « Diciamo solo che non ho mai avuto l'opportunità di vederla come avrei voluto. », fece, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso, anche se da ridere c'era ben poco.
    « Allora ti ci porterò io! »
    A quell'affermazione spalancò gli occhi e le labbra in un espressione tra lo sconcertato e il dubbioso. Avrebbe voluto chiederle "stai scherzando, spero?", ma quel caldo sorriso gli suggeriva che, no, non stava affatto scherzando.
    Un tiepido calore gli scaldò il petto. Il solo pensiero che lo avesse detto, per quanto fosse impossibile, lo rendeva felice.
    « Mi ci porterai? », chiese, mentre un ghigno divertito si faceva spazio sulle sue labbra « Tu? », continuò, ridacchiando « Ma fammi il piacere. ».
    « La parola "prigioniero di guerra" ti dice niente? », chiese, alludendo al fatto che, appunto, essendo un clandestino e perdi più ricercato, non fosse per lui particolarmente facile uscire dalle mura dell'accampamento. L'ultima volta che ci aveva provato era finita piuttosto male, con una scazzottata fra lui e un paio di guardie. Per non parlare poi del maledetto sigillo che portava nel petto. In un movimento istintivo portò la mano alla camicia, stringendo il tessuto nella parte sinistra del petto, dove la runa risiedeva e lo teneva silenziosamente stretto tra le sue catene invisibili.
    « Non posso uscire dall'accampamento a mio piacimento, tanto meno per fare una passeggiata nella capitale. »
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    Edited by rhænys` - 24/3/2020, 15:09
  8. .
    Cain Noller
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    Un calore inaspettato gli riempì il petto. Questa volta non si trattava di un incendio indomabile, ma una flebile fiamma. Per un attimo, ma solo per un attimo, ebbe il terrore che potesse spegnersi da quanto pareva debole. Ma quella frase, pronunciata assieme a quel sorriso, la alimentò, rendendola ancora più vigorosa: « Io non ti lascerò solo ».
    Improvvisamente fu come se tutto il peso che gli gravava sulle spalle fosse sparito in un colpo. Si sentiva leggero, quasi come se da un momento all'altro potesse spiccare il volo con un salto. Perché questa sensazione? Era maledettamente piacevole, ma al contempo gli provocava un certo disagio. Più i suoi occhi si soffermavano su quel viso, su quello sorriso, più l'emozione si faceva profonda e indistinta. Non si impegnò più di tanto a cercare di riconoscerla, dopotutto, pensò, probabilmente era data dal fatto che la sua mente era ancora annebbiata dalla sfuriata precedente. Piuttosto, ripensandoci, si sentiva veramente uno schifo. Aveva ascoltato cosa gli suggeriva l'istinto e aveva finito per prendersela con l'unica persona che al momento lo sopportava.
    A proposito, a pensarci bene non ricordava nemmeno il suo nome. Le aveva sempre dato talmente poca importanza che non gli era mai passato neanche lontanamente per l'anticamera del cervello di chiamarla per nome. Com'è che aveva detto di chiamarsi? Daisy? Dean? No, aspetta, Dean è un nome da uomo. Vabbé. in ogni caso non aveva senso scervellarsi quando poteva chiederglielo direttamente.
    « Come hai detto che ti chiami? », chiese di punto in bianco, senza troppi fronzoli.
    « Dawn. »
    Inaspettatamente le sorrise, un sorriso appena accennato ma pieno di significato.
    « Dawn... grazie. », disse in un soffio.
    Senza aggiungere altro si avviò verso Briallen, la puledra che, nel frattempo, approfittando della quiete, stava gustandosi un po' di fieno all'interno del suo box. Le passò lentamente una mano sul dorso muscoloso, sentendo il pelo morbido scivolargli sotto le dita. Afferrò la prima spazzola a disposizione e senza troppo preavviso la lanciò verso Dawn, esclamando « Al volo! ». Che l'avesse afferrata o meno non gli importava, sperava solo che accettasse quell'invito indiretto: dopotutto era stata lei per prima a chiedere di aiutarlo, il suo voleva essere un modo per farle capire che, sì, finalmente, dopo tanti sforzi, l'aveva accettata.
    « Muoviti, i cavalli non si strigliano da soli. »

    ⋘ ⋙

    Dal fatidico incontro alla stalla il rapporto fra Cain e Dawn aveva preso una piega differente. Cain, del canto suo, si era liberato di parte parte della pesante corazza che si trascinava dietro da sempre, mentre Dawn aveva mantenuto il solito atteggiamento, solare e ottimista.
    Avevano deciso di vedersi tutti i giorni, stessa ora, stesso posto, per continuare ad allenarsi assieme.
    Nel complesso Cain doveva ammettere di aver notato grandi miglioramenti nella tecnica di Dawn. Si vedeva che, nonostante le difficoltà, l'addestramento stava dando i suoi frutti.
    Perciò, eccoli lì, a bastonarsi come se non ci fosse un domani con le spade d'allenamento: dopo diversi giorni di esercizi individuali per perfezionare la tecnica del colpo, Cain aveva finito per cedere alle richieste di Dawn, accettando la sua sfida a duello. Doveva ammetterlo, le piaceva il suo stile. Era rapida, agile ed elegante, pareva quasi una ballerina impegnata ad esibirsi nella sua danza letale. Che fosse portata per la scherma era ormai scontato, ma le sue difese peccavano di forza e i suoi riflessi non erano dei migliori: c'era ancora molto su cui lavorare.
    « Dawn! »
    Parlando del diavolo spuntano le corna come si suol dire, o in questo caso si beccano delle spadate in faccia.
    Un colpo al volto finì per raggiungere il viso di Dawn, scalfendole lo zigomo e provocandole un taglio. La parata debole non era riuscita a resistere alla forza del fendente causando quindi l'inevitabile avanzamento della lama. Fortunatamente Cain era riuscito a controllare il colpo per tempo, riducendo l'entità della botta a una piccola ferita. Ripeto, fortunatamente: un colpo del genere, se assestato a dovere, avrebbe aperto la testa della povera Dawn in due.
    Cain abbassò rapidamente la spada, avanzando a rapide falcate verso la ragazza. Un rivolo di sangue scendeva lungo la sua guancia rosata e i bordi della contusione stavano prendendo un malsano colore giallo-verdastro: doveva assolutamente essere disinfettata il prima possibile, altrimenti sarebbe peggiorata.
    Istintivamente le appoggiò una mano sulla guancia, spostandole il viso per osservare meglio la ferita: era brutta, sì, ma per fortuna niente di grave. Muovendo il pollice ne approfittò per portarle via la colata di sangue in eccesso.
    « Non sembra niente di serio... », commentò, sovrappensiero, cercando gli occhi di Dawn e ritrovandoli a breve distanza dal suo viso. Si sentì avvampare: era talmente concentrato ad assicurarsi che la ferita non fosse grave da non accorgersi del brusco accorciamento di distanze. Si allontanò di scatto, quasi come quel contatto visivo lo avesse scottato, mentre un lieve rossore prendeva a pervadergli le guance.
    Con lo stomaco in subbuglio, manco avesse mangiato fagioli per tre giorni di fila, cercò di ricomporsi tornando a focalizzare la sua attenzione sulla lesione « ...ma andiamo comunque in infermeria. »
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    Edited by rhænys` - 18/3/2020, 11:32
  9. .
    Cain Noller
    7ykf9BI
    Nonostante non fosse credente in quel momento Cain ringraziava Deimos, Manaar e tutti gli Dei minori esistenti: il solo pensare che la sua povera spada poteva finire nelle mani di quella ragazzina lo faceva rabbrividire. E poi, scherzi a parte, come faceva ad avere una tale forza da provocare crateri così grandi in una spranga di metallo? L'aveva affrontata in un combattimento esattamente il giorno prima e non gli era sembrato che possedesse una tale forza. Pensandoci bene poteva essere il metallo dell'arma a essere "morbido", non per niente l'aveva trovata per terra, accanto a un ammasso di ferraglia arrugginita in cui si distinguevano chiaramente elmi e parti di armature ammaccate. Sì, si trattava sicuramente di una spada difettosa destinata alla fucinatura.
    « Brava. », esordì improvvisamente, mentre le labbra si incurvavano nel disegnare un lieve sorriso « Come demolitrice di spade avresti sicuramente un futuro. »
    Volevi che fosse un complimento, eh, piccola Dawn? E invece no, ma almeno hai scoperto che l'espressività di Cain non si ferma al solo grugno imbronciato, ma anzi, a quanto pare sa pure sorridere!
    Tornando a noi, sicuramente la giovane avrebbe avuto bisogno di molta pratica prima di mettere mano su una vera spada - a meno che il suo intento non fosse stato di smantellarla, ovvio - ma il compito di Cain era ormai concluso: le aveva mostrato la tecnica e l'aveva fatta provare, ora tutto stava nella costanza e voglia di imparare della ragazzina.
    Senza aggiungere altro alzò i tacchi, allontanandosi verso la porta. Fu costretto a fermarsi sull'uscio, richiamato dalla squillante vocina della ragazza che, per l'ennesima volta, lo invitava ad allenarsi assieme. Avrebbe potuto dire di no ma, seriamente, cos'altro aveva di meglio da fare in quel luogo? Di certo guardare in cagnesco i soldati che lo fissavano non l'avrebbe aiutato a migliorare la sua tecnica di combattimento.
    « Tra un quarto d'ora al campo d'allenamento. », fece, dandole le spalle. Dal tono rigido, quasi autoritario, utilizzato era sottinteso che, se avesse ritardato, se la poteva anche scordare la sessione di scherma. Ma qualcosa gli diceva che quella ragazzina non lo avrebbe deluso, anzi, probabilmente lo avrebbe raggiunto persino in anticipo.

    ⋘ ⋙

    Quel giorno gli era stata affidata la cura dei cavalli assieme ad altri soldati. Mentre strigliava il manto alla giovane puledra gli affioravano alla mente ricordi di Meneldor. Nel suo paese i cavalli venivano selezionati apposta per sopportare lo sforzo e la fatica, non per niente spesso erano costretti a camminare giornate intere prima di raggiungere il campo di battaglia. Si trattava di animali resistenti, dal temperamento docile e masueto, ma dalla mole imponente. Ricordava che, da piccolo, lo spaventavano: erano così maestosi, muscolosi, sembrava che da un momento all'altro potessero calpestarlo. Ne ebbe timore fino al giorno in cui non gli venne affidato lui, Elvyon, un bellissimo stallone dal manto nero, lucido, con una macchia chiara sulla fronte, molto simile a quella della cavalla che stava spazzolando a dirla tutta. "Da ora in poi questo puledro sarà il tuo destriero", dissero, e la prima volta che Cain lo accarezzò si rese conto di quanto si fosse sbagliato negli ultimi anni: la paura si trasformò in rispetto e pian piano divenne un forte legame di amicizia.
    D'improvviso, un nitrito lo distaccò da suoi pensieri. Alzò il viso, ritrovandosi a posare gli occhi su una scena che, ormai, aveva vissuto mille volte: una giovane, che in un primo momento non riconobbe, stava scambiandosi effusioni con quello che, probabilmente, doveva essere il suo cavallo. Focalizzandosi sul viso si rese conto che la giovane in questione era la ragazzina petulante dell'altro giorno. Rimase ad osservarla, con una moltitudine di sentimenti che si aggrovigliavano dentro il suo petto. Cosa stava provando? Non riusciva a capirlo nemmeno lui. Quella scena gli causava inspiegabilmente un forte groppo alla gola e lo metteva maledettamente a disagio. E la situazione peggiorò quando i loro sguardi s'incrociarono. Gli occhi sembrarono prendergli fuoco: in un movimento involontario e improvviso si sottrasse dalla vista, nascondendosi dietro il lungo muso della puledra.
    Ma che diavolo stai facendo?, si chiese: ora dentro di sé distingueva chiaramente una forte vergogna. Non gli era mai capitato di agire in quel modo, dannazione. Solitamente reggeva gli sguardi tranquillamente, anzi, era il primo a mettere soggezione nell'interlocutore col suo duro sguardo di ghiaccio, ma questa volta quel maledettissimo viso l'aveva fatto vacillare.
    Continuò a spazzolare la puledra nervosamente, pregando nella sua testa che la giovane non si avvicinasse, ma le sue preghiere, a quanto pare, non vennero ascoltate.
    « Lei è Briallen »
    La sua voce, se possibile, gli causò un trauma ancora più forte. Era l'ultima cosa che voleva udire in quel momento, l'ultima!
    Le scoccò un'occhiata che gridava "vattene", ma il messaggio sembrò non essere recepito, anzi, la ragazzina si offrì pure di aiutare, allungando la mano perché Cain le passasse l'altra spazzola. Esitò a passargliela, posando lo sguardo sulla mano ma non vedendola realmente: nella mente continuava a profilargli l'immagine di lei, felice con il suo destriero, esattamente come lo era lui prima che Elvyon venisse trafitto e lasciato morire in una delle ultime battaglie. "E' solo un cavallo", gli dissero alle sue suppliche di curarlo.
    Ecco, ora riusciva a distinguere qualcosa. Un fuoco gli divampava dentro: invidia, rabbia e quelle immagini facevano da combustibile a questo incendio ormai fuori controllo.
    In un movimento rapido e istintivo le colpì la mano con uno schiaffo, spaventando la puledra che, a orecchie basse, indietreggiò, rientrando nel box.
    « Dacci un taglio, maledizione! », tuonò, gli occhi di ghiaccio che lanciavano scintille. Molti dei cavalli dentro la stalla nitrirono nervosamente, pestando a terra con i forti zoccoli.
    « Perché continui a girarmi attorno, si può sapere? », continuò, la mente annebbiata da un turbinio di profonde emozioni. Si sentiva come un'animale ferito, in trappola.
    « Hai la minima idea di chi io sia? », chiese, portandosi la mano al petto per enfatizzare la domanda « Il mio nome è Cain Noller. Figlio primogenito del re di Erethos, nonché arcinemico della tua patria. », enunciò con una fierezza che non gli apparteneva.
    Chi diavolo era che stava parlando? Non certo Cain. Non certo quel Cain che detestava il suo passato. Quel Cain non avrebbe mai fatto un vanto delle gesta di cui era famoso. Assolutamente mai.
    Improvvisamente un groppo gli attanagliò la gola, costringendolo a esalare un lungo respiro. La tempesta dentro di se sembrò cessare, lasciando spazio a una profonda e triste desolazione. Aveva fatto tutto questo per allontanarla, cosa che desiderava da tempo, ma perché ora che era riuscito nell'intento si sentiva così?
    « Devi starmi lontano. », disse in un soffio, con uno sguardo del tutto diverso da quello precedente, fiammeggiante e fiero. Questa volta sembrava implorare aiuto.
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    Edited by rhænys` - 16/3/2020, 15:45
  10. .
    up
  11. .
    regno di thyandul
    Città di Xanturion • Accampamento, fucina

    ☆ code by ruru



    Cain Noller
    JKpgYCY
    Era innegabile, il talento non le mancava. Purtroppo peccava di esperienza e prestanza, il che rendeva i suoi colpi deboli e privi di cordinazione. Nulla che però non si potesse risolvere con del sano e costante allenamento.
    Stava giusto per fermarla e spiegarle una nuova tipologia di esercizio quando, improvvisamente, un suono trillante irruppe nell'aria: a giudicare dalla folla che si stava ammassando nella zona mensa doveva trattarsi della campana del rancio.
    Prima che potesse aggiungere altro la ragazzina si allontanò a gran velocità, con un atteggiamento piuttosto ambiguo a dirla tutta: sembrava quasi aver dimenticato qualcosa, qualcosa di importante. Cain la osservò dileguarsi con scuse frettolose, alzando gli occhi al cielo come a dire "c'era da aspettarselo".
    Ormai rimasto solo lanciò un'occhiata alla sala mensa mentre un gorgoglìo eloquente gli suggeriva che i soldati non erano gli unici ad avere un certo languorino. Sbuffò, pensando all'ingente quantità di persone presenti in quella sala, promettendosi che avrebbe mangiato, sì, ma solo una volta che la ressa si sarebbe smaltita. Estrasse quindi la spada dal fodero e rincominciò ad allenarsi, mentre il suo stomaco, per l'ennesimo pranzo, si arrendeva al digiuno.

    ⋘ ⋙


    Fino a pochi minuti prima la fucina brulicava di giovani soldati chiassosi, ora l'unica anima viva rimasta era il fabbro, intento, laggiù nel suo angolino, a forgiare quelle che sembravano delle spade da allenamento. A Cain era bastato mettere un piede dentro l'edificio per causare uno scompiglio generale.
    Sospirò, prendendo posto davanti a un incudine, mentre anche il vecchio fabbro baffuto si voltava per lanciargli un'occhiata diffidente.
    Cain estrasse la spada dal fodero e cominciò a batterla, lasciando che fosse il metallo a parlare per lui.
    Improvvisamente un « Buongiorno! » trillante lo distrasse, costringendolo ad alzare lo sguardo. Incrociò due grandi occhioni verdi, purtroppo di sua conoscenza: la ragazzina petulante del giorno prima era tornata alla carica, proprio oggi che la voglia di socializzare rasentava lo zero. Non che normalmente fosse molto più alta.
    Pur sapendo che il gioco del silenzio con lei non funzionasse optò per ignorarla, tornando a terminare la battitura della vecchia spada: ormai gli mancava soltanto una piccola parte di medio -la parte di lama tra l'elsa e la punta- da rifinire, non ci avrebbe messo molto. Concentrato com'era Cain si dimenticò quasi totalmente della presenza della giovane, in quel momento sorprendentemente silenziosa, almeno fino a quando lo interpellò, curiosa « Posso provare? ». In quell'istante l'espressione di Cain divenne tutto un programma: naso e fronte corrucciati e labbra socchiuse, in una smorfia piuttosto buffa a dire il vero, che gridava a squarcia gola "stai scherzando spero". Ma a quanto pare no, non scherzava, e ne ebbe la certezza con la continuazione del suo discorso.
    « Ma che razza di soldato sei? », chiese, incredulo « Come diavolo fai a non saper battere una spada? ».
    Diamine, un soldato, seppur di basso rango, non poteva non saper battere una spada. Insomma, erano le basi! Ma che dico, le basi delle basi! Come aveva fatto a sopravvivere in accampamento fino a quel momento?
    A quel punto Cain si lasciò sfuggire un lungo, liberatorio sospiro. L'unica spiegazione era che la giovane fosse una matricola, il che avrebbe spiegato molti altri strani comportamenti, come ad esempio il fatto che fosse l'unica a non temerlo e quindi, conseguentemente, a non conoscere lui e i suoi trascorsi.
    « E va bene. », sbuffò, visibilmente seccato, « Guarda attentamente, non lo rifarò una seconda volta. ». Detto ciò riprese a battere la propria spada, rifinendo qualche punto che prima aveva lasciato indietro. Si premurò di fare movimenti più lenti e accentuati del normale, in modo da mostrare esattamente cosa andasse fatto. Non si dilungò in spiegazioni, piuttosto lasciò fossero i suoi gesti, distinti e precisi, a spiegarle. Lui, all'epoca, aveva imparato così dopotutto.
    Terminato il lavoro, controllò le condizioni della propria arma per poi, dopo uno studio clinico della lama, rinfoderarla. Se se lo stava chiedendo, no, non l'avrebbe fatta provare sulla spada su cui stava attualmente lavorando. Neanche morto avrebbe rischiato che una matricola gli rovinasse un cimelio così importante, perciò afferrò la prima arma a disposizione - una pesante spranga metallica usata come spada da allenamento - e gliela porse con pochi convenevoli, assieme al martello « Prova. », fece, indicando l'incudine. Detto ciò le si sarebbe posizionato accanto e avrebbe seguito i suoi movimenti con lo sguardo, rabbrividendo a ogni colpo sbagliato. Diamine, doveva batterla o farla a pezzi quella povera spada?
    « Non ci siamo, così rischi di rovinarla. », esordì, scossando il capo. Istintivamente le si avvicinò di un passo, posizionandosi alle sue spalle e afferrandole il polso che teneva il martello « Il movimento da fare è questo... », fece, muovendole la mano imitando, appunto, la giusta inclinazione e mossa da applicare « ...e attenzione a non metterci troppa forza. E' fondamentale per non rovinare il metallo. », aggiunse poi, lasciandola.

    ⋘ ⋙

    Era trascorso ormai quasi un mese dalla cattura del principe di Erethos. Da quel giorno il sottile filo che collegava i due regni si era spezzato, facendo crollare la situazione politica in un caos totale. Il rischio di guerra era altissimo, se non ormai una certezza. Erethos con le sue azioni aveva già messo con in chiaro la sua posizione: ora toccava al regno di Thyandul decidere come comportarsi. Fino a quel momento era stato tutto un "prendere tempo" per permettere all'eroe di ambientarsi e prendersi le proprie responsabilità, ma quella situazione di stallo - e quiete - non sarebbe durata a lungo...

    ⋘ ⋙


    Quel giorno il turno di pulizia delle stalle era stato assegnato a Cain e alcuni altri giovani soldati. Quando il comandante gli aveva proposto quella mansione quasi non ci credeva. Perciò, eccolo lì, a strigliare una giovane cavalla. Aveva il manto morbido e corto, color marrone, con una inconfondibile macchia bianca in mezzo agli occhi.
    Sorrise quando l'animale prese a strusciare animatamente il muso contro il suo viso.
    « Avanti, sta buona. », disse in un soffio, accarezzandole la setosa criniera e rispecchiandosi in quei grandi ed espressivi occhioni scuri. Attiva com'era doveva trattarsi di una puledra alle prime armi: generalmente i "cavalli da guerra", se così vogliamo chiamarli, venivano addestrati per mantenere pacatezza e freddezza in tutte le situazioni, che si trattasse del tumulto della guerra o di una semplice ma chiassosa parata in mezzo a una folla di cittadini. Ma quella cavalla era una vera e propria peperina, non ne voleva sapere di farsi strigliare senza prima aver salutato Cain a dovere.
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Cain Noller
    JKpgYCY
    Il suono metallico dello scontro di lame rimbombava nell'aria, accompagnato da rumori di risa e parlottio di sottofondo. Sul campo di addestramento aleggiava un'atmosfera distesa, oserei dire quasi serena, tutto il contrario di ciò a cui Cain era abituato dalle sue parti. Attorno a sé giovani soldati si allenavano duramente, con il fuoco dentro ma col sorriso sempre pronto sulle labbra. Più si soffermava a osservare quei visi sorridenti più dentro sé cresceva una sensazione strana, che faceva fatica a distinguere chiaramente: era come un disagio interno, un fardello che gli pesava proprio lì, in mezzo al petto. Sospirando, si disse che, forse, ciò che provava era una certa invidia. Non aveva mai vissuto l'allenamento con tale leggerezza, gli era stato insegnato sin da piccolo a prenderlo seriamente, pena ammonizioni o, peggio, punizioni corporali. Era a questa severità che doveva il suo livello di preparazione fisica e tecnica, indubbiamente migliore della maggior parte dei soldati lì attorno, ma infondo non gli sarebbe dispiaciuta un'infanzia differente... spensierata.
    Era già il secondo fantoccio da allenamento che rompeva a suon di colpi di spada: l'ultimo era finito decapitato dopo un paio fendenti, sotto gli occhi increduli del comandante che glielo aveva appena fornito. "Se distruggi anche questo non ne avrai più", lo aveva redarguito, dopo avergli procurato l'ennesimo bersaglio. Come biasimarlo, dopotutto di questo passo avrebbe fatto spendere all'esercito di Thyandul un capitale solo di fantocci da allenamento, che, tra parentesi, non costavano neanche così poco. Dopo quest'ultimo episodio Cain optò per cambiare modalità di esercizio - o meglio, fu obbligato dagli sguardi penetranti del comandante, che tutto sembrava fuorché una persona tollerante. Cominciò quindi a sferrare una serie di colpi, concentrando la propria attenzione sulla tecnica piuttosto che sulla forza bruta, attenendosi a una sequenza ben precisa: alti, medi e bassi, per poi ripartire da capo. Ogni movimento, anche il più piccolo e impercettibile, era studiato a fondo nella mente di Cain. In quel momento esisteva solo il suo corpo e la sua spada, nient'altro.
    « Hey. »
    Improvvisamente una voce richiamò la sua attenzione, costringendolo a fermarsi. In un primo momento, non avendone distinto chiaramente il timbro, pensò subito al comandante, ma voltando appena il capo si rese conto che invece si trattava di una ragazza - dall'aspetto un po' mascolino a dirla tutta. La scorse con la coda dell'occhio, riuscendo a distinguere un paio di cangianti occhi verdi incorniciati da sbarazzini ciuffetti color paglierino. In ogni caso optò per ignorarla: non aveva alcuna voglia di socializzare. Perciò, come nulla fosse, tornò a sferrare colpi contro il fantoccio, mentre ciuffi di paglia cadevano a terra ad ogni urto. Purtroppo però, per la seconda volta in poche settimane, la tecnica "ignoriamo la ragazzina seccante" non ebbe l'effetto desiderato. Infatti la giovane continuò imperterrita il suo discorso, costringendo a un certo punto Cain a sollevare irritato gli occhi al cielo: diamine, quando parlava!
    Stava giusto per voltarsi e dirgliene quattro, quando dalle labbra della ragazza - che a quanto pareva si chiamava Dawn - sfuggì una proposta interessante: senza alcuna esitazione lo sfidò a duello. Le prime parole che balzarono in mente a Cain furono: ma è pazza? Insomma, da quando si era stabilito nell'accampamento nessun soldato si era mai sognato nemmeno di rivolgergli la parola, e ora, improvvisamente, una ragazzina, non solo gli si avvicinava, in più gli chiedeva pure di misurarsi in un combattimento. Non sapeva se sentirsi onorato oppure infastidito da quest'insolita richiesta.
    Senza dire una parola la esaminò da capo a piedi con occhio clinico: era alta e slanciata, dal fisico snello e dai muscoli allungati, non troppo tonici, tipici di qualcuno che, più che sulla forza fisica, punta all'agilità di movimento. Accettare la sfida poteva valerne la pena, oppure rivelarsi un'inutile perdita di tempo. Ci pensò su qualche istante, per poi scrollarsi nelle spalle: dopotutto non aveva nient'altro di meglio da fare se non prendere a spadate un manichino malconcio, distrarsi qualche minuto non avrebbe intaccato più di tanto il suo allenamento.
    « Mostrami cosa sai fare. », annunciò, dopo un lungo silenzio, posizionando la gamba destra avanti e le braccia vicine al busto, all'altezza dello stomaco. Quella posizione - che prendeva il nome di "posta breve" -, era principalmente una posa di studio dell'avversario, o di invito se vogliamo, che permetteva di sferrare colpi veloci ma prudenti e al tempo stesso di azzerare quasi completamente le aperture, rendendo difficile penetrare nelle difese.
    Fatto ciò concentrò la sua attenzione sulla figura della ragazza, in particolar modo sulle spalle: i loro movimenti gli avrebbero permesso di intuire direzione, intensità e inclinazione del colpo.
    Strinse le mani attorno all'elsa e attese, gli occhi color cobalto puntati in quelli della giovane donna.
    Il combattimento iniziò prima ancora che potesse rendersene conto: con uno scatto felino la ragazza partì con un affondo in avanti, costringendo Cain a schivare il colpo e arretrare. Seguirono fendenti molto rapidi, in successione, ma nessuno particolarmente efficace: di nuovo Cain riuscì ad eluderli o pararli, uno dopo l'altro.
    Improvvisamente avvenne un cambiamento nello stile schermistico della ragazza: più il duello si protraeva nel tempo, più i suoi colpi diventavano caotici, ripetitivi e poco caricati, come se le braccia si muovessero da sole, senza l'intervento della mente. Si sta innervosendo, pensò Cain. Non era stato solo quel repentino cambiamento a suggerirglielo, anche l'espressione della ragazza era drasticamente cambiata: se prima era sorridente ora pareva tesa e crucciata. Forse aveva sopravvalutato le sue possibilità.
    Dopo un paio di minuti di "schiva e para" era arrivato il momento di scrivere la parola "fine" su quell'incontro. Attese l'ennesimo colpo e parò, questa volta non limitandosi solamente a bloccare il colpo: con la rapidità di un predatore caricò un forte fendente per poi sfogarlo sul forte della spada avversaria - per capirci, la parte di lama più vicina all'elsa. L'urto fu così potente che, al momento dell'impatto, scintille di metallo esplosero nell'aria, accompagnando, come in un gran finale, la perdita di equilibrio della ragazza. Cadde sullo sterrato, alzando una nuvola di polvere. Cain, del canto suo, rimase ad osservarla per qualche istante, la lama puntata al collo in un gesto fatidico che annunciava a gran voce "fine dei giochi".
    Sinceramente? Era deluso. Quella ragazza aveva potenziale da vendere e probabilmente neppure se ne rendeva conto. La quasi totalità dei suoi colpi si basavano sulla forza fisica e resistenza, qualità che, in confronto a Cain, praticamente non possedeva. Al contrario avrebbe dovuto basare le sue strategie sulla rapidità di movimento e agilità. Ma probabilmente nessuno glielo aveva mai spiegato: dopotutto sembrava solo un soldato semplice, e, si sa, ai militi più poveri viene insegnato il minimo indispensabile per sopravvivere in battaglia, il resto lo impara solo chi può permetterselo.
    Allontanò la spada dal collo della giovane e si incamminò, avvicinando la lama al viso e constatando che l'urto l'aveva danneggiata non poco: il prima possibile necessitava di essere battuta.
    « Insegnami. »
    Non fece in tempo a fare mezzo passo che la ragazza lo interpellò di nuovo, provocando la sfuggita di uno schietto e sentito "no" dalle sue labbra. Allungò il passo con l'intento di scoraggiare la sua insistenza, ma per poco non rischiò di travolgerla: la giovane infatti gli si piazzò davanti, con i grandi occhioni verdi che brillavano di determinazione.
    « Non hai niente di meglio da fare? », ringhiò, seccato, la vena sulla tempia che cominciava a pulsare.
    "Voglio diventare più forte", gli rispose. Quella frase esplose nella mente di Cain come un fuoco d'artificio, scaturendo in una serie di immagini, di ricordi. Un bambino dagli sbarazzini capelli blu cadeva sotto i colpi di spada dell'istruttore, implorando di ripetere gli esercizi nonostante il fiato corto e i muscoli doloranti. "Voglio diventare più forte", insisteva, e l'unico modo che aveva per farlo era trovare di volta in volta la forza di rialzarsi. Per un istante rivide quel bambino nella ragazza.
    Si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato, scuotendo il capo come a dire "maledizione, come mi sono rammollito".
    « Fammi una serie di colpi base. », le intimò, accigliato, indicando col dito indice il manichino poco lontano, lo stesso che prima stava utilizzando lui stesso.
    « E sia chiaro, ragazzina, i miei insegnamenti te li devi guadagnare. », aggiunse, con tono fermo e osservandola con l'aria dura di uno che non scherza « Al primo passo falso sei fuori. », sembrava in tutto e per tutto una minaccia e forse, sì, effettivamente lo era.
    Osservandola posizionarsi davanti al bersaglio si chiese quanto avrebbe resistito: le dava al massimo mezz'ora, poi sarebbe fuggita a gambe levate.
    Studiò con lo sguardo la posizione delle sue gambe, riconoscendo subito un errore che, in alcune situazione, avrebbe potuto rivelarsi fatale.
    « Non sei stabile. », disse semplicemente, prima di portare una mano alla sua spalla e esercitare pressione. Quel semplice gesto bastò a farla oscillare pericolosamente: un colpo ben assestato le avrebbe di sicuro fatto perdere l'equilibrio - com'era poi effettivamente successo nel precedente combattimento. Senza aggiungere altro le sistemò le gambe con alcuni colpetti del piatto di lama, spingendole poi sopra il ginocchio per invitarla a molleggiare la posa.
    Era ancora imperfetta, ma per una prima lezione poteva andare.
    Si allontanò, invitandola con un gesto a proseguire con l'esercizio. Seguì ogni sua mossa con lo sguardo, notando una miriade di piccoli difetti nei colpi, gli stessi che poco prima aveva rilevato durante il combattimento e che, sul momento, aveva attribuito a nervoso e spossatezza. Scosse il capo, rassegnato all'idea che, per farle un insegnamento fatto per il verso, avrebbe dovuto partire proprio dal riguardare tutte le basi.
    « Non ci siamo. », fece, invitandola a fermarsi con un gesto di mano. Detto questo prese il suo posto davanti al manichino, mostrandole la posa che effettivamente avrebbe dovuto tenere e svariati movimenti circolari della spada. Ripeté il movimento più e più volte, assicurandosi che la giovane lo stesse effettivamente guardando, per poi, una volta averle chiesto se aveva capito, lasciarle nuovamente la postazione. Quando la ragazza tornò a ripetere gli esercizi Cain notò in lei un discreto miglioramento: approfittò della situazione continuando a farle fare serie di colpi ininterrotti, sempre gli stessi, scrutando intensamente ogni suo movimento e commentando ogni qual'ora ve ne fosse bisogno.
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    Cain Noller
    JKpgYCY
    Credeva fermamente che quel palmo non avesse nulla di umano, se non l'aspetto. Quante volte si era sporcato le mani con il sangue di innocenti, gli stessi innocenti che ora avrebbe dovuto salvare. Bambini, donne, vecchi, non aveva mai avuto pietà per nessuno... e ora, improvvisamente, gli si chiedeva di diventare l'eroe di turno? No, non era giusto. Come aveva più volte detto anche la principessa c'erano sicuramente persone migliori, là fuori, che avrebbero potuto prendere il suo posto. Persone con la coscienza pulita e non come la sua, nera come la pece.
    « Il tuo destino è già stato scritto? Ma per favore. Beh, questa potrebbe essere una possibilità per redimerti, e guardati, non stai facendo niente. »
    Aveva appena scostato il tendaggio dell'entrata, quando quella frase lo bloccò sul posto. Per un istante pensò veramente che forse sarebbe potuto cambiare, che l'assassino avrebbe potuto davvero redimersi. Ma poi i volti delle persone a cui aveva tolto la vita cominciarono a sfilare nella sua mente, uno dopo l'altro. Come poteva un mostro del genere riscattarsi?
    Urla, lamenti e grida di dolore gli attraversarono il cervello catapultandolo in uno dei tanti ricordi dolorosi.
    « Tu hai scelto il tuo destino, non viceversa. »
    Era ancora immobile, di spalle davanti alla porta d'entrata alla tenda quando quella frase lo scaraventò violentemente fuori da quei pensieri funesti, riportandolo alla realtà. Una stretta al petto lo sorprese improvvisamente, come se, con quelle parole, gli avesse chiuso il cuore in una morsa. L'orgoglio cominciò a bruciare, mentre una frase profilava nella sua mente: ha ragione. Era stato Cain a decidere di seppellire i propri ideali per compiacere il padre, nessuno lo aveva obbligato a uccidere delle persone. Era stato il suo braccio a puntare la lama contro civili innocenti, era stato il suo cuore a dargli la forza di affondare e privarli della vita. La colpa era tutta sua.
    Per un attimo, ma solo per un attimo, pensò che morire sarebbe stata un'opzione meno dolorosa, perché tutto ciò che andava affrontando lo stava mettendo davvero a dura prova.
    Con il cuore sanguinante ed il cervello in confusione entrò in tenda. Nascosto dallo sguardo di terzi si sedette sulla branda, chinandosi e portando una mano alla fronte per massaggiarla. Bene, ora gli era pure presa una forte emicrania, maledetta ragazzina.
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    Cain Noller
    JKpgYCY

    L'alba di un nuovo giorno, il tramonto di una giovane vita.
    La piazza principale gremiva di una folla animata e rabbiosa. Urla e strepiti incitavano a terminare il prima possibile l'esecuzione: a quanto pare erano veramente tante le persone che avrebbero ardentemente desiderato vedere il principe Cain Noller giustiziato in pubblica piazza. Purtroppo non li biasimava, nessuno di loro, neanche quelli che, come fosse un fenomeno da baraccone, gli lanciavano uova e vegetali andati a male. Nel corso della sua giovane vita aveva ucciso talmente tante persone che, ormai, aveva perso il conto. Soldati, civili... persino donne e bambini. Tutto questo perché? Per compiacere un essere che, per lui, non provava alcun sentimento se non ciò che si prova nei confronti di un oggetto qualsiasi. Un groppo gli attanagliò la gola, costringendolo a deglutire a fatica a causa della pressione esercitata dalla corda al collo. Alzò lo sguardo all'orizzonte davanti a sé, mentre lacrime calde gli pungevano ai lati degli occhi: era finita, e forse era giusto così.
    La guardia controllò il nodo a cappio attorno al collo del ragazzo, assicurandosi che fosse ben fisso, per poi segnalare ai reali, con un gesto, che l'esecuzione poteva avere inizio.
    Non era la morte a spaventare Cain: l'aveva vista in faccia innumerevoli volte in battaglia, a questo punto la vedeva come un'amica che gli avrebbe permesso di espiare i peccati di una vita vissuta seguendo, non i propri ideali, ma quelli imposti da un terzo. Gli avrebbe tolto la "seconda possibilità" esattamente come lui l'aveva tolta a centinaia di persone, ingiustamente.
    L'ennesimo oggetto lanciato dalla folla inferocita gli raggiunse il viso, colpendolo e sporcandogli la guancia. Cain, del canto suo, rimase impassibile, lo sguardo fisso verso quel sole che sembrava volerlo salutare per un'ultima volta.
    Re Ethelbert si alzò dal proprio trono e al contempo la guardia afferrò la leva di attivazione, pronto a tirarla.
    « Fermatevi! »
    Una voce femminile irruppe, sovrastando il silenzio di trepidante attesa al segnale di uccisione « Per ordine di Manaar, fermatevi! », continuò con maggiore enfasi, costringendo la folla a trattenere il fiato, spaventata e curiosa al contempo. Se la dea era stata messa in ballo, quell'interruzione doveva essere veramente allarmante.
    Cosa diavolo sta succedendo? Fu il primo pensiero che attraversò la mente di Cain, mentre lo sguardo vagava spaesato tra la folla, cercando di capire chi avesse parlato. Non ci volle molto perché il suo presunto salvatore si facesse vivo perché, in pochi istanti, affannata e spettinata, una ragazza dai grandi occhi verdi e i capelli castani salì sul patibolo. Era lei, la sguattera del giorno prima.
    « Manaar mi ha mostrato il futuro del nostro regno e quest'uomo... », i loro occhi s'incrociarono per istanti che parvero durare un'eternità « ...avrà un ruolo cruciale. »
    Il cuore di Cain, mancò di un battito.
    Cosa significava tutto questo? Chi era lei? Stava succedendo tutto così in fretta, troppo in fretta! Sentiva la testa girare e non capiva se la causa era tutta la confusione che aveva in testa o semplicemente la mancanza di aria, dovuta alla corda troppo stretta attorno al collo.
    Le persone che prima urlavano adirate insulti ora parlottavano tra di loro, visibilmente sdegnate.
    La testa di Cain si annebbiò al punto che riuscì a carpire solo alcune parti del seguente discorso della ragazza, come la "prova di Yeosin". Respirò profondamente, cercando di ossigenare il cervello e riprendere il più possibile lucidità mentale. Provò a fare mente locale, facendo leva su tutte le informazioni di cui disponeva, ma inutilmente. Non aveva idea di cosa fosse questa Yeosin né di quale prova si trattasse.
    « ...e lui dovrà schierarsi con Thyandul e giurare fedeltà al suo re e alla sua dea! E' questo il volere di Manaar. »
    Quest'ultima frase lo travolse emotivamente con la stessa violenza di uno tsunami. Come se il cappio al collo e le mani legate non bastassero si sentì un animale in gabbia, impotente sotto la possente stretta di un qualcosa ben più grande di lui. Per Cain il volere della dea Manaar poteva benissimo andare al diavolo, non avrebbe collaborato con nessuno, tanto meno sotto ordine di una dea di cui aveva sentito parlare per la prima volta.
    Stava per gridarlo, lì, davanti a tutti, quando improvvisamente il brusio della folla si accese, diventando un forte vociare. Si sentì afferrare per le spalle, mentre una guardia gli allentava il cappio alla gola. Venne stretto nella possente presa di due guardie e trascinato giù dal patibolo, per poi essere accompagnato in mezzo alla folla, verso la strada principale, scortato da un seguito di guardie vigili e civili irrequieti. Forse era stato salvato da morte certa ma il futuro che lo attendeva non sembrava particolarmente roseo.

    ⋘ ⋙

    « Avvicinati e afferra la spada. », gli intimò con aria truce re Ethelbert, indicando con un ampio gesto una teca di vetro. Era ricoperta di rovi neri e intricati, a malapena si riusciva a vedere attraverso.
    Cain era spaventato, confuso, non sapeva cosa stesse accadendo.
    Era stato liberato da corde e manette in metallo, ma alle sue spalle un muro di guardie armate fino ai denti lo minacciavano con spade pronte a essere sfoderate. Sfidarli era un suicidio, l'unica opzione ragionavole al momento era assecondare le loro strane richieste.
    Esalò un profondo respiro, per poi fare qualche passo verso la custodia ricoperta di tetra vegetazione. Improvvisamente gli parve di notare che qualcosa stava cambiando: i rovi si ritraevano a ogni suo passo, strisciando come serpenti. Si fermò con il cuore in gola. Cosa significava? Da quando in qua la vegetazione si muoveva a proprio piacimento?
    Alle sue spalle tutti, persino i reali, stavano col fiato sospeso, attendendo una mossa del giovane.
    Cain deglutì, cercando di eliminare quel groppo che stava attanagliandogli la gola. Fece un altro passo, poi un altro ancora, posizionandosi davanti alla teca in vetro, finalmente libera da quei rovi che ora, serpeggianti, avevano liberato la visione dell'arma divina. Era una spada bastarda a due lame, dalle fattezze eleganti e sofisticate, con una pietra celeste sul pomo che, quasi, sembrava brillare di luce propria. Osservandola nel dettaglio sull'elsa vi erano delle incisioni in una lingua che Cain non riusciva a capire. Rimase qualche istante immobile a guardare quell'arma che quasi sembrava chiamarlo. Era una sensazione strana, come se qualcosa dentro la sua testa lo stesse spronando a brandirla. Allungò la mano, e nell'istante in cui la sua pelle entrò in contatto con il freddo metallo dell'elsa una luce accecante lo travolse. Quando si spense dei rovi non vi era più traccia: erano divenuti bellissimi rami rampicanti coperti da fiori bianchi.
    Spaventato, Cain abbandonò la spada, indietreggiando, mentre alle sue spalle la folla allibita tratteneva il fiato. Il giovane si voltò posando lo sguardo sulle persone che fino ad ora avevano seguito col cuore in gola ogni sua mossa. L'aria era densa di frustrazione: alcune donne, incredule, si coprivano il viso piangente, mentre altri uomini si limitavano a scrutare la figura di Cain con sguardo sconfortato, scuotendo lentamente la testa come a dire "non è possibile".
    Il cuore di Cain prese a battere fortissimo. Abbassò lo sguardo sulla propria mano, quella che prima aveva afferrato la spada, chiedendosi "Perché? Perché, tra tutti, proprio io?"

    ⋘ ⋙

    Come prevedibile la decisione di Manaar non venne presa particolarmente bene. Da nessuno. Il popolo perse fiducia nella propria dea, e persino i soldati smarrirono ogni stimolo che li spingeva ad andare avanti e a proteggere la propria cittadina. La situazione era più grave di quanto ci si potesse immaginare
    Dopo la scoperta Cain era stato spedito in gattabuia. Nessuno si aspettava che fosse veramente il "prescelto della dea", tutti, persino i consiglieri e gli strateghi più preparati erano stati presi alla sprovvista e la soluzione migliore che avevano potuto trovare era una: prendere tempo. Perciò per giorni il giovane venne lasciato a marcire in una cella della prigione, fino a quando, un giorno qualcuno si fece vivo.
    « Ehi generale. »
    Cain, seduto a terra, con le spalle contro al muro riconobbe la voce e provò una forte sensazione di rigetto. Nonostante fossero passati giorni e avesse avuto tutto il tempo metabolizzare la cosa, provava nei confronti di quella ragazza una profonda repulsione. L'aveva salvato, sì, ma per imprigionarlo e costringerlo a lavorare per loro. Si voltò dalla parte opposta, sdegnato, mentre un "clanck" metallico risuonava nel silenzio della cella. La porta si aprì cigolando, e pochi istanti dopo Cain si sentì afferrare per le braccia, forte, e strattonare verso l'alto. Venne fatto alzare e di nuovo, com'era capitato giorni prima, i suoi occhi color ghiaccio incrociarono quelli verde smeraldo della principessa, sacerdotessa o quello che è.
    La presa alle spalle si fece improvvisamente più salda, come se le guardie alle sue spalle lo tenessero con l'intenzione di bloccarlo, e non solo sostenerlo. Vide la mano della principessa avvicinarsi al suo petto e prima che riuscisse ad aprir bocca venne investito da una luce verde. Fisicamente non sentì nulla se non un lieve pizzicore in mezzo al petto, per capirci nell'esatto punto in cui era posizionata la mano di Maeve - o almeno così credeva si chiamasse.
    Nell'esatto momento in cui stava per chiederle cosa gli avesse fatto, lei lo precedette « Adesso che ti ho lanciato questo incantesimo, non ti conviene trasgredire alcuna regola... »
    Incantesimo? Regola? In quell'esatto istante capì cosa gli era appena accaduto e il segno sul suo petto - somigliante a una runa celtica - non fece altro che confermare la sua teoria: era stato sigillato.
    « ...potrebbe rivelarsi fatale. »
    Quelle ultime parole risvegliarono in lui una rabbia prorompente. Non gli importava delle guardie, in quel momento voleva soltanto metterle le mani a dosso.
    « MALEDETTA STREGA! », gridò, cercando di divincolarsi dalla presa delle guardie. Diavolo, quanto avrebbe pagato per poterle assestare un pugno su quel bel visino.
    « Raffredda i bollenti spiriti, ragazzo! », lo riprese la guardia di destra, un uomo sulla quarantina con dei folti baffi, strattonandolo « Colei che osi chiamare "strega" ti ha salvato dall'impiccagione. », continuò « Mostrale il dovuto rispetto. »
    Le parole dell'uomo non lo toccarono minimamente. La rabbia bruciava ardente dentro al suo petto, ora forse più di prima.
    « Mai. », sibilò a denti stretti, osservando la figura scura di Maeve da dietro le sbarre con gli occhi ridotti a due minacciose fessure.

    ⋘ ⋙

    Seduto con la schiena premuta contro un albero, Cain lucidava accuratamente la sua cara, vecchia spada. La lama non era più tagliente come una volta, per quanto venisse affilata regolarmente, e in più era piena di bozzi. Piccoli pezzi di lama erano volati via e il piatto, nonostante i differenti oli utilizzati, finiva per ossidarsi sempre più spesso. Nonostante tutto però, Cain non l'abbandonava. Era la sua spada, il prolungamento del suo braccio. Probabilmente non l'avrebbe lasciata andare neanche una volta rotta: avrebbe provato a salvarla anche a costo di spendere tutti i suoi risparmi.
    Rigirò l'arma alla luce, controllando il livello di lucidità: riusciva quasi a specchiarcisi, era a buon punto.
    A un certo punto, una voce adirata. Sentì il sangue ribollirgli nelle vene mentre gli occhi roteavano come a dire "ci risiamo". Si impose di ignorare chiunque gli si fosse avvicinato, perciò abbassò lo sguardo e tornò alla sua lama, almeno finché una mano non lo strattonò per il colletto. Si ritrovò quindi costretto ad alzare lo sguardo e a incrociarlo con quello adirato della principessa. Non la vedeva dal giorno in cui era stato sigillato e sinceramente non aveva alcuna voglia di averci niente a che fare. Provò il forte istinto di ribellarsi alla presa ma una strana sensazione lo bloccò: era come se un macigno gli gravasse sopra. Voltò lo sguardo, notando che le guardie di turno lo stavano osservando con aria vigile e severa, come a dire "fai un passo falso e la paghi". A questo punto Cain si impose di rimanere in silenzio, magari ignorandola si sarebbe allontanata... e invece no. Pur rimanendo in silenzio la ragazza continuò a parlare, iniziando un monologo che sembrava non avere mai fine. Era arrabbiata, al punto da calciare la spada divina Yeosin.
    Cain, del canto suo, rimase impassibile durante tutto il suo discorso. Non battendo ciglio neanche durante il raptus di rabbia in cui la divina Yeosin finì incastrata nell'albero, pochi centimetri sopra il suo viso.
    Cain attese che Maeve sputasse il suo veleno, tutto quanto. Fatto ciò si sollevò in piedi, sbatté via le foglie dal mantello con non chalance e la guardò dritta negli occhi. Quindi si avvicinò e le porse la mano destra.
    « Guarda. », fece, incitandola a osservargli il palmo. Era una mano grande, forte e callosa, tipica di un soldato.
    « Le mie mani sono coperte di sangue, il sangue degli stessi innocenti che tu mi stai chiedendo di salvare. Sono mani di assassino. », nel dire la parola "assassino" le dita si chiusero a pugno, in una forte stretta.
    « La mia strada non prevede ritorno, è un abisso dal quale nemmeno la tua dannata dea saprebbe salvarmi. », continuò, mettendo una certa enfasi nella parola "dannata", giusto per farle capire subito ciò che pensava nei confronti delle divinità e in particolar modo di Manaar.
    Detto ciò, fece per andarsene. Superò Maeve, avviandosi verso la tenda, senza però prima togliersi lo sfizio di colpirla con una "involontaria" spallata.
    « Scegliere me come eroe... tsk! », disse fra se e se, a voce alta, in modo che anche Maeve potesse sentirlo « ...la vostra dea deve essere proprio uscita di senno. », fece poi con tono derisorio, scuotendo la testa.
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 25/3/2020, 12:13
  15. .
    Cain Noller
    JKpgYCY
    Proprio non riusciva a scollarsela di dosso quella presunta "principessa". Nonostante le avesse palesemente detto in faccia che, di lei, non ne voleva più sapere, la giovane continuava a starsene lì, davanti alle sbarre, trafiggendolo con uno sguardo tanto truce che quasi riusciva a sentirlo a contatto con la pelle.
    Del canto suo Cain optò per ignorarla. Non aveva le energie e la voglia necessaria per stare dietro ai suoi discorsi. Perciò abbassò la bandana sugli occhi, la testa appoggiata sugli avambracci a mò di cuscino, mentre le parole della ragazza sfioravano la sua mente, senza riuscire ad entravi, come una sorta di trascurabile sottofondo musicale. Sembrava andare tutto liscio, nulla lo toccava, fino a..."voglio solo tenere al sicuro il mio popolo". Rimase folgorato da quella frase, come se la ragazza avesse scoccato una freccia che, in qualche modo, gli aveva penetrato prima il cuore poi il cervello, uno di seguito all'altro.
    Sollevò un lembo di bandana dal viso, scoprendo un occhio. Rimase ad osservarla, in silenzio, con la frase che riecheggiava facendosi prepotentemente spazio tra gli altri pensieri. Parole del genere suo padre non le avrebbe mai pronunciate, pensò, ricordando gli innumerevoli civili che avevano perso la vita a causa dei suoi infantili capricci. Il popolo, per lui, era carne da macello: alla prima ribellione non si faceva scrupoli a mandare i soldati a uccidere, governando incutendo timore nelle persone che avrebbero dovuto amarlo, non temerlo.
    Per un attimo, ma solo per un attimo, Cain credette veramente alla storiella che la ragazza fosse la principessa, ma le sue convinzioni vennero presto smentite. Un urlo echeggiò tra le mura umide e strette dalla prigione, seguito da rumore di passi rapidi e stridere di metallo. Osservando la scena della ragazza in preda a qualche istante di panico, Cain non riuscì a non lasciarsi sfuggire una risata di scherno. Diamine, gliel'aveva proprio fatta, quella sguattera. Il tono, l'atteggiamento, persino il suo sguardo trasudava determinazione. Inutile dire che se avesse continuato a recitare così sarebbe diventata sicuramente un'ottima attrice.

    ⋘ ⋙

    Nonostante fosse trascorso poco più di un giorno aveva quasi completamente perso la cognizione del tempo. L'unico fattore che gli permetteva di mantenere un minimo lucidità era il timido raggio lunare che penetrava dalla fessura sul muro. Se non fosse stato per il suono del vento e la fioca illuminazione donatagli dalla notte probabilmente in quel silenzio profondo, quasi innaturale, avrebbe perso la testa in poco tempo.
    Immerso in quella coltre oscura, seduto a terra, osservava la propria ombra proiettata a terra dallo spiraglio alle spalle. Un alito di aria fredda gli soffiava gelido sulla schiena, provocandogli una leggera pelle d'oca. Avrebbe potuto spostarsi, ma non voleva: quel fiato era una delle poche cose che, in quel momento, lo faceva sentire vivo, permettendogli di provare un emozione diversa dalla solitudine e, sì, anche dalla paura.
    Improvvisamente un suono metallico, simile a quello di una serratura che si apre, irruppe nel silenzio tombale. Un brivido percorse nuovamente la schiena di Cain, ma questa volta il freddo non c'entrava un bel niente.
    Un rumore di passi unito a voci indistinte cominciò a distinguersi in quell'eco caotico, divenendo sempre più chiaro e gradualmente più forte.
    Il cuore di Cain perse un battito nel riconoscere una delle voci, la stessa che pochi istanti dopo, pronunciò il suo nome « Principe Cain. », affermò il re in un saluto autorevole e rispettoso.
    Seguirono secondi di silenzio che parvero infiniti in cui gli occhi di Cain, seppur stanchi, scintillavano, scontrandosi con quelli severi e austeri del reale.
    « Vostro padre, Re Greil, ha rifiutato qualsiasi trattativa. », continuò Ethelbert, in tono deciso « Sapete cosa significa, vero? »
    Cain non rispose. Non aveva la forza di farlo. Quella notizia sembrava aver prosciugato tutte le sue speranze di sopravvivere e, assieme, spento anche quel barlume di luce in fondo al suo cuore, costituito dalla fiducia che suo padre almeno un po' ci tenesse a lui. Invece si sbagliava. Si sbagliava di grosso.
    Lacrime calde cominciarono a pungergli ai lati degli occhi, mentre dalla ferita nel cuore sgorgava sangue a fiotti. Abbassò il viso, con tutta l'intenzione di nascondere la propria debolezza.
    « Figliolo, ascoltami. », di nuovo il re parlò, questa volta però con tono differente, come se stesse parlando con una persona a lui cara « Ti darò un'ultima possibilità, se parlerai il consiglio valuterà se lasciarti in vita. »
    Una moltitudine di emozioni brulicava nel petto di Cain, causandogli una tremenda confusione. Sentiva la mente annebbiata, come se improvvisamente fosse incapace di pensare. Respirò, un respiro pesante e profondo.
    « Lasciarmi in vita, e a che scopo? », chiese, ancora a capo chino, lasciandosi sfuggire una risata di scherno che, nei meandri, celava un'enorme tristezza « Per marcire un'intera vita in una cella? »
    Con un immenso sforzo psicologico ricacciò dentro l'ennesime lacrime, sfidando il sovrano con tono arrogante e sguardo duro « No, grazie, preferisco morire. »
    Dopo aver pronunciato quella frase quasi di getto, Cain si rese conto di aver appena accettato il suo biglietto di sola andata per la tomba.
    Ethelbert, del canto suo, parve quasi dispiaciuto. Rispose con tono pacato, senza cedere alla provocazione, limitandosi a un lieve cenno di capo in segno di assenso « Come preferisci. », fece, incrociando lo sguardo con quello fiammeggiante del giovane generale « Domani mattina all'alba sarai giustiziato. », dichiarò prima di allontanarsi, accompagnato dalla scorta di guardie e rumore di ferraglia.
    Cain osservò la luce della torcia allontanarsi e diventare sempre più debole, fino a sparire del tutto. L'oscurità avvolse il paesaggio nella sua dolce stretta, accompagnando Cain in quella ultima, lunghissima notte.

    ⋘ ⋙

    Una tenue luce cominciò a distinguersi sulla linea dell'orizzonte, scacciando lentamente le tenebre. Cain scrutò il cielo schiarirsi, dipingendosi di tonalità via via sempre più calde. Un timido raggio di sole fece capolino da dietro un monte lontano, accarezzandogli il viso con estrema delicatezza. Alcune nuvole in lontananza si illuminarono, disegnando un paesaggio piuttosto comune ma che, quel giorno, a Cain pareva più bello di quanto non fosse mai stato. Forse perché quella sarebbe stata l'ultima volta che il giovane generale avrebbe visto un panorama simile. Sospirò, osservando un uccello, probabilmente una rondine, attraversare fluttuando la volta celeste. E' proprio vero, pensò, non ti rendi conto di quanto sia importante un momento finché non si tramuta in ricordo.
    D'improvviso una voce, seguita da un "clank" metallico « Muoviti ragazzo, è arrivato il momento. ».
    Cain si voltò, una guardia lo attendeva all'entrata della cella, tra le mani un paio di manette metalliche dalla catena piuttosto spessa. Il giovane, scoraggiato, obbedì all'ordine, avvicinandosi e porgendo le braccia. Con entrambe le braccia bloccate venne quindi scortato lungo il corridoio della prigione e accompagnato nella piazza principale di Thyandul. Sentiva addosso il peso dello sguardo delle persone, centinaia se non migliaia di persone che attendevano trepidanti la sua morte. Insulti e urla di vario genere si sollevavano dalla folla, riempiendo quell'aria già densa di odio e tensione.
    Venne accompagnato al patibolo e fatto posizionare sopra la botola. Un soldato gli strinse attorno al collo una robusta corda con nodo a cappio, avviandosi poi verso la leva di attivazione.
    Cain, del canto suo, mantenne postura e sguardo fieri, pronto ad affrontare il suo ennesimo avversario, dal quale però, questa volta, non avrebbe avuto alcuna possibilità di scampo. La morte.
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 21/11/2018, 17:15
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