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Cain x Maeve

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    Era davvero una bella giornata, pensò Maeve, mentre si dirigeva verso le cucine del castello per sgattaiolare via senza che nessuno se ne accorgesse, come al suo solito: il sole splendeva timidamente, qualche nuvola innocua a coprirlo ogni tanto, e il suo tepore le accarezzava delicatamente la pelle, mentre si udiva in lontananza il canto di qualche uccellino, nascosto tra i rami degli alberi che si preparavano a fiorire. Era primavera, finalmente, e solo questo pensiero oscurava ogni altro problema ─ ossia Cain. Dopo l'ennesimo consiglio militare a cui non aveva presenziato, suo padre lo aveva assegnato all'esercito senza troppi complimenti, così era costretto a servire Thyandul ma senza stare dietro le sbarre. Essere ad un passo dall'essere liberi ma non poterlo essere, una condanna peggiore della prigionia. Era questo che aveva Cain al momento: un paese per cui combattere che non era il suo, un intero popolo che lo odiava e un'autonomia vigilata. Non avrebbe voluto essere al suo posto, avrebbe sicuramente provato a scappare, ad elaborare qualche piano pur di sfuggire alla condanna o a contattare qualcuno di esterno. E Cain non era docile, probabilmente aveva avuto la stessa idea. Maeve aveva così fatto un paio di calcoli e deciso di approfittare del suo alter ego per assicurarsi che il nuovo arrivato non tentasse l'evasione e per studiarlo. Voleva cercare di capirlo un po' meglio, sempre mantenendosi alla dovuta distanza. Era pur sempre un nemico. Già, un nemico dalla mente contorta e davvero antipatico. Scese velocemente i gradini che l'avrebbero condotta proprio di fronte alla porta di accesso delle cucine, che aprì fragorosamente, e gli sguardi delle persone all'interno furono su di lei. Alcuni la salutarono - tutti conoscevano Maeve, lì dentro - e si fermò ad abbracciare Anita, la figlia del capocuoco, una fanciulla dai capelli color pece e gli occhi chiari, più o meno della sua stessa età. « Dove siete diretta, principessa? » le chiese subito, saltando i convenevoli. « A leggere al fiume » rispose subito Maeve, nonostante la domanda l'aveva colta piuttosto impreparata, ma il sorriso smagliante che esibì con prontezza contagiò anche Anita, che le sorrise di rimando. « E ti ho detto più volte di chiamarmi solo Maeve » aggiunse lei, ridendo, mentre l'altra veniva richiamata dal padre per aiutarlo. Era una brava ragazza, andavano d'accordo da quando era arrivata al castello, più o meno un paio di anni prima, e ultimamente aveva chiesto alla principessa di insegnarle a tirare con l'arco, richiesta che aveva ben accettato. Ripromettendosi di parlarle ancora per mettersi d'accordo per qualche lezione segreta, si diresse verso l'uscita delle cucine, facendo attenzione a non farsi vedere da una manciata di guardie che passavano lì vicino, e corse fino alle scuderie. Erano vuote a quell'ora del mattino, solamente qualche destriero che ancora ronfava o mangiava, e lì attuò la sua trasformazione: bevve un sorso di liquido trasparente da una boccetta che aveva in tasca, e il ciondolo della collana che aveva al collo cominciò a brillare tenuemente, emanando una debole luce azzurrina. Quando smise di splendere, seppe che, ora, poteva uscire da lì senza paura di essere riconosciuta ed essere rispedita nelle sue stanze. Fece una carezza veloce ad un cavallo che si era affacciato, forse attirato dal bagliore del ciondolo, che la ragazza nascose prontamente sotto la casacca, e si diresse verso l'accampamento militare, che si trovava oltre il fiume ─ quello dove si sarebbe dovuta fermare a leggere. Lo raggiunse correndo - voleva evitare di incontrare chiunque all'interno del perimetro del castello - e si fermò giusto per sistemare i pantaloni, forse troppo larghi in vita, che le si erano abbassati. L'acqua mostrava il riflesso di una ragazza vispa, dai capelli biondicci e corti, le iridi color smeraldo e una spruzzata di lentiggini sulle guance. Dawn Finnigan, quello era il suo nome adesso, umile fanciulla di campagna che, dopo la perdita dei suoi genitori a causa di una guerra, aveva deciso di arruolarsi. Era difficile fingersi un'altra persona, fingersi più spigliata, più socievole, quando in verità le veniva spontaneo guardare dall'alto in basso qualcuno per studiarlo e capire che intenzione avesse. Dawn però non aveva nessuna responsabilità, nessun pensiero, nessuno a cui badare se non a sé stessa. Era questo il bello di Dawn: era libera, come il venticello che le spettinò i capelli. Sorrise, impaziente di tenere una qualsiasi arma in mano e sentire il fragore di due lame che si scontrano, perciò riprese a correre fino allo spazio dove si tenevano gli allenamenti, che quel giorno era all'aperto: infatti, solitamente si utilizzava la caserma, a pochi metri di distanza, ma con quel cielo sereno che non prometteva altro che sole il generale Barnes aveva deciso che sarebbe stato meglio organizzare l'allenamento dei soldati all'esterno. Molti erano già arrivati e avevano iniziato l'addestramento sotto lo sguardo attento del comandante Cox. Appena la vide arrivare, alzò gli occhi al cielo e la ignorò, ma Maeve non ci fece caso: sapeva che lui non approvava la presenza di donne nell'esercito, e riservava ad ognuna di loro - lei stessa ed altre tre ragazze - lo stesso trattamento, ossia fare finta che non esistessero. D'altro canto, aveva fatto amicizia con alcuni soldati, sebbene molti altri la pensassero esattamente come Cox. Intravide Milo e Jasper, due suoi amici, combattere tra di loro, perciò decise di non interromperli e salutarli dopo, magari una volta finito l'addestramento. Le spade da allenamento, come sempre, erano ammassate in un angolo, perciò Maeve ne prese una che non fosse troppo pesante e si mise alla ricerca di un viso amichevole, ma anziché incrociare lo sguardo di una persona che già conosceva, notò una figura che si allenava distante da tutti, fendendo l'aria con i suoi potenti attacchi, con in mano una spada che non era quella che l'esercito distribuiva a tutti durante l'addestramento. « Cain » si lasciò sfuggire sottovoce, e non poté fare a meno di notare di quanto la sua tecnica fosse pulita anche da lontano. La cosa le diede fastidio, senza alcun apparente motivo, ma doveva pur esserci un motivo se era l'ex-generale delle truppe di Erethos, lo si capiva da quei semplici ma poderosi fondenti. Strinse le dita attorno all'elsa della sua spada, così fragile in confronto alla sua, e non perse altro tempo a guardarlo da lontano: si mosse verso di lui, a passo veloce, studiando in breve tempo come presentarsi a lui e cercare di estorcergli qualche parola all'infuori di "la mia strada non prevede ritorno", "sono un assassino", "lasciami in pace" e bla, bla, bla. « Ehy », esclamò, tentando di mascherare il risentimento nei suoi confronti, « ci sai fare » aggiunse, anche se Cain non sembrava neanche ascoltarla. Avrebbe tanto voluto prendere quella spada e lanciarla via, lontano, e gridargli di dargli retta, perché per colpa sua il morale del regno era a terra e suo padre e sua madre non sapevano più che pesci pigliare, ma non era lì per litigare. Soprattutto, si era presentata a lui come Dawn, una persona che non conosceva e che doveva essere sua alleata. « Vedo che non ti piace molto chiacchierare », - Stai calma, sei Dawn, stai calma, Dawn non sa quanto sia antipatico, stai calma, Dawn ha fiducia nell'umanità -, « Sei nuovo? Non ti ho mai visto da queste parti ». Pensò di non menzionare tutta la faccenda dell'Eroe, non voleva inimicarselo ancor prima di iniziare a conoscerlo. Però, diamine, era bravo un bel po', seppur fosse difficile da ammettere. « Io sono Dawn comunque, eh » si presentò, ormai arresa all'idea che neanche l'ascoltasse. Seguì con gli occhi i movimenti del suo spadone, e, cavolo, Cain stesso stava privando il loro regno di una forza mostruosa. Sarebbe arrivata a quei livelli per proteggere il suo popolo. « Ti va di combattere un po'? ». A quella proposta, Cain sembrò degnarla di attenzione, finalmente. Rispondeva solo ai richiami della guerra, allora: doveva appuntarselo. La ragazza si mise in posizione, con la spada davanti a sé, e gli sorrise ─ sperando non apparisse troppo forzato. Doveva risultare simpatica e amichevole, il contrario di come era apparsa fino ad allora agli occhi del ragazzo. Non era Maeve, era Dawn, e Dawn non nutriva alcun rancore verso di lui, non lo conosceva. Era difficile trattenersi, davvero difficile, perciò decise di sfogarsi un po' grazie al duello. Era anche un'occasione per studiarlo un po' e capire come ragionava; se avesse potuto, si sarebbe data una pacca sulla spalla da sola. Attese che anche lui si preparasse all'incontro, per poi sfrecciare in sua direzione con un colpo diretto all'addome, che lui prontamente parò. Maeve non si diede per vinta e riprovò, stavolta alle gambe, ma evidentemente non fu abbastanza veloce, perché Cain riuscì di nuovo a difendersi. Niente male per uno che non aveva mai avuto a che fare con la sua agilità, si disse, perciò lo scartò di lato, decisa ad attaccarlo da dietro, ma per la terza volta consecutiva, il ragazzo evitò il suo colpo senza alcuna apparente fatica. Maeve non perse la calma né si innervosì, ma il fatto che fosse proprio lui a parare ogni suo attacco lo trovava davvero frustrante. Lo scontro continuò allo stesso modo: Maeve che attaccava e Cain che non faceva altro che schivare e difendersi, riuscendo così a rendere vano ogni attacco. Doveva pensare ad una strategia, anche se un guerriero così abile non mostrava alcuna debolezza. Era davvero forte, inutile negarlo, e ciò le fece salire il sangue alla testa. Un soldato così potente avrebbe potuto davvero aiutare tutti loro, ma la sua testardaggine era direttamente proporzionale alla sua forza. Perché lui? continuava a chiederselo da quando Manaar lo aveva designato come eroe di Thyandul, e la stessa domanda rimbombò nella sua testa anche mentre le loro spade si incrociavano. Era stanca, di Cain, di combattere, aveva il fiatone, ma non voleva dargliela vinta. Non era debole, lo sapeva, ma tra i due solamente Cain non mostrava alcun accenno di fatica. Avrebbe voluto essere come lui, adesso, controllato e possente, e appena si avvicinò per sferrare un attacco, Maeve si rese conto che aveva in mano lui le redini del gioco. Cadde a terra, non essendo riuscita a respingerlo, e lui le spinse via la spada, che rotolò sul pavimento, e puntò la sua alla gola della ragazza, e per un momento temette per la sua vita. Aveva perso contro l'essere che dispregiava di più al momento, una doppia sconfitta. Alzò lo sguardo verso di lui, la sua figura che si stagliava controluce ed appariva scura e minacciosa. Si rialzò appena lui allontanò la lama dal suo collo, e corse a prendere la spada poco lontana dopo essersi complimentata frettolosamente. La sconfitta bruciava, faceva male, ma allo stesso tempo nutriva una sorta di ammirazione che faceva fatica a reprimere. Aveva aspettato che lei si stancasse prima di attaccarla e farla cadere a terra, e non pensava che potesse essere così paziente. Era un avversario pericoloso, aveva dalla sua potenza, tecnica, controllo e anni di allenamento, mentre Maeve possedeva solo velocità, un decimo della sua forza e il suo cervello.
    « Insegnami » fu risoluta, perché non si trattava solo di conoscerlo meglio, ma poteva essere una possibilità di migliorare, soprattutto con la guerra alle porte. « Per favor- ehy! » il ragazzo si era già voltato, deciso a non ascoltarla, ma lei gli si mise davanti prima che potesse andarsene. « Voglio diventare più forte, ma ho bisogno del tuo aiuto. Non ti chiedo troppo, giusto un po' del tuo tempo » fece, perché voleva davvero diventare più forte, e Cain poteva aiutarla. Sarebbe bastato allenarsi insieme ogni tanto, qualche duello, nulla di più. « Nulla di più ».

    « Parlato » || - Pensato -

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    Cain Noller
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    Il suono metallico dello scontro di lame rimbombava nell'aria, accompagnato da rumori di risa e parlottio di sottofondo. Sul campo di addestramento aleggiava un'atmosfera distesa, oserei dire quasi serena, tutto il contrario di ciò a cui Cain era abituato dalle sue parti. Attorno a sé giovani soldati si allenavano duramente, con il fuoco dentro ma col sorriso sempre pronto sulle labbra. Più si soffermava a osservare quei visi sorridenti più dentro sé cresceva una sensazione strana, che faceva fatica a distinguere chiaramente: era come un disagio interno, un fardello che gli pesava proprio lì, in mezzo al petto. Sospirando, si disse che, forse, ciò che provava era una certa invidia. Non aveva mai vissuto l'allenamento con tale leggerezza, gli era stato insegnato sin da piccolo a prenderlo seriamente, pena ammonizioni o, peggio, punizioni corporali. Era a questa severità che doveva il suo livello di preparazione fisica e tecnica, indubbiamente migliore della maggior parte dei soldati lì attorno, ma infondo non gli sarebbe dispiaciuta un'infanzia differente... spensierata.
    Era già il secondo fantoccio da allenamento che rompeva a suon di colpi di spada: l'ultimo era finito decapitato dopo un paio fendenti, sotto gli occhi increduli del comandante che glielo aveva appena fornito. "Se distruggi anche questo non ne avrai più", lo aveva redarguito, dopo avergli procurato l'ennesimo bersaglio. Come biasimarlo, dopotutto di questo passo avrebbe fatto spendere all'esercito di Thyandul un capitale solo di fantocci da allenamento, che, tra parentesi, non costavano neanche così poco. Dopo quest'ultimo episodio Cain optò per cambiare modalità di esercizio - o meglio, fu obbligato dagli sguardi penetranti del comandante, che tutto sembrava fuorché una persona tollerante. Cominciò quindi a sferrare una serie di colpi, concentrando la propria attenzione sulla tecnica piuttosto che sulla forza bruta, attenendosi a una sequenza ben precisa: alti, medi e bassi, per poi ripartire da capo. Ogni movimento, anche il più piccolo e impercettibile, era studiato a fondo nella mente di Cain. In quel momento esisteva solo il suo corpo e la sua spada, nient'altro.
    « Hey. »
    Improvvisamente una voce richiamò la sua attenzione, costringendolo a fermarsi. In un primo momento, non avendone distinto chiaramente il timbro, pensò subito al comandante, ma voltando appena il capo si rese conto che invece si trattava di una ragazza - dall'aspetto un po' mascolino a dirla tutta. La scorse con la coda dell'occhio, riuscendo a distinguere un paio di cangianti occhi verdi incorniciati da sbarazzini ciuffetti color paglierino. In ogni caso optò per ignorarla: non aveva alcuna voglia di socializzare. Perciò, come nulla fosse, tornò a sferrare colpi contro il fantoccio, mentre ciuffi di paglia cadevano a terra ad ogni urto. Purtroppo però, per la seconda volta in poche settimane, la tecnica "ignoriamo la ragazzina seccante" non ebbe l'effetto desiderato. Infatti la giovane continuò imperterrita il suo discorso, costringendo a un certo punto Cain a sollevare irritato gli occhi al cielo: diamine, quando parlava!
    Stava giusto per voltarsi e dirgliene quattro, quando dalle labbra della ragazza - che a quanto pareva si chiamava Dawn - sfuggì una proposta interessante: senza alcuna esitazione lo sfidò a duello. Le prime parole che balzarono in mente a Cain furono: ma è pazza? Insomma, da quando si era stabilito nell'accampamento nessun soldato si era mai sognato nemmeno di rivolgergli la parola, e ora, improvvisamente, una ragazzina, non solo gli si avvicinava, in più gli chiedeva pure di misurarsi in un combattimento. Non sapeva se sentirsi onorato oppure infastidito da quest'insolita richiesta.
    Senza dire una parola la esaminò da capo a piedi con occhio clinico: era alta e slanciata, dal fisico snello e dai muscoli allungati, non troppo tonici, tipici di qualcuno che, più che sulla forza fisica, punta all'agilità di movimento. Accettare la sfida poteva valerne la pena, oppure rivelarsi un'inutile perdita di tempo. Ci pensò su qualche istante, per poi scrollarsi nelle spalle: dopotutto non aveva nient'altro di meglio da fare se non prendere a spadate un manichino malconcio, distrarsi qualche minuto non avrebbe intaccato più di tanto il suo allenamento.
    « Mostrami cosa sai fare. », annunciò, dopo un lungo silenzio, posizionando la gamba destra avanti e le braccia vicine al busto, all'altezza dello stomaco. Quella posizione - che prendeva il nome di "posta breve" -, era principalmente una posa di studio dell'avversario, o di invito se vogliamo, che permetteva di sferrare colpi veloci ma prudenti e al tempo stesso di azzerare quasi completamente le aperture, rendendo difficile penetrare nelle difese.
    Fatto ciò concentrò la sua attenzione sulla figura della ragazza, in particolar modo sulle spalle: i loro movimenti gli avrebbero permesso di intuire direzione, intensità e inclinazione del colpo.
    Strinse le mani attorno all'elsa e attese, gli occhi color cobalto puntati in quelli della giovane donna.
    Il combattimento iniziò prima ancora che potesse rendersene conto: con uno scatto felino la ragazza partì con un affondo in avanti, costringendo Cain a schivare il colpo e arretrare. Seguirono fendenti molto rapidi, in successione, ma nessuno particolarmente efficace: di nuovo Cain riuscì ad eluderli o pararli, uno dopo l'altro.
    Improvvisamente avvenne un cambiamento nello stile schermistico della ragazza: più il duello si protraeva nel tempo, più i suoi colpi diventavano caotici, ripetitivi e poco caricati, come se le braccia si muovessero da sole, senza l'intervento della mente. Si sta innervosendo, pensò Cain. Non era stato solo quel repentino cambiamento a suggerirglielo, anche l'espressione della ragazza era drasticamente cambiata: se prima era sorridente ora pareva tesa e crucciata. Forse aveva sopravvalutato le sue possibilità.
    Dopo un paio di minuti di "schiva e para" era arrivato il momento di scrivere la parola "fine" su quell'incontro. Attese l'ennesimo colpo e parò, questa volta non limitandosi solamente a bloccare il colpo: con la rapidità di un predatore caricò un forte fendente per poi sfogarlo sul forte della spada avversaria - per capirci, la parte di lama più vicina all'elsa. L'urto fu così potente che, al momento dell'impatto, scintille di metallo esplosero nell'aria, accompagnando, come in un gran finale, la perdita di equilibrio della ragazza. Cadde sullo sterrato, alzando una nuvola di polvere. Cain, del canto suo, rimase ad osservarla per qualche istante, la lama puntata al collo in un gesto fatidico che annunciava a gran voce "fine dei giochi".
    Sinceramente? Era deluso. Quella ragazza aveva potenziale da vendere e probabilmente neppure se ne rendeva conto. La quasi totalità dei suoi colpi si basavano sulla forza fisica e resistenza, qualità che, in confronto a Cain, praticamente non possedeva. Al contrario avrebbe dovuto basare le sue strategie sulla rapidità di movimento e agilità. Ma probabilmente nessuno glielo aveva mai spiegato: dopotutto sembrava solo un soldato semplice, e, si sa, ai militi più poveri viene insegnato il minimo indispensabile per sopravvivere in battaglia, il resto lo impara solo chi può permetterselo.
    Allontanò la spada dal collo della giovane e si incamminò, avvicinando la lama al viso e constatando che l'urto l'aveva danneggiata non poco: il prima possibile necessitava di essere battuta.
    « Insegnami. »
    Non fece in tempo a fare mezzo passo che la ragazza lo interpellò di nuovo, provocando la sfuggita di uno schietto e sentito "no" dalle sue labbra. Allungò il passo con l'intento di scoraggiare la sua insistenza, ma per poco non rischiò di travolgerla: la giovane infatti gli si piazzò davanti, con i grandi occhioni verdi che brillavano di determinazione.
    « Non hai niente di meglio da fare? », ringhiò, seccato, la vena sulla tempia che cominciava a pulsare.
    "Voglio diventare più forte", gli rispose. Quella frase esplose nella mente di Cain come un fuoco d'artificio, scaturendo in una serie di immagini, di ricordi. Un bambino dagli sbarazzini capelli blu cadeva sotto i colpi di spada dell'istruttore, implorando di ripetere gli esercizi nonostante il fiato corto e i muscoli doloranti. "Voglio diventare più forte", insisteva, e l'unico modo che aveva per farlo era trovare di volta in volta la forza di rialzarsi. Per un istante rivide quel bambino nella ragazza.
    Si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato, scuotendo il capo come a dire "maledizione, come mi sono rammollito".
    « Fammi una serie di colpi base. », le intimò, accigliato, indicando col dito indice il manichino poco lontano, lo stesso che prima stava utilizzando lui stesso.
    « E sia chiaro, ragazzina, i miei insegnamenti te li devi guadagnare. », aggiunse, con tono fermo e osservandola con l'aria dura di uno che non scherza « Al primo passo falso sei fuori. », sembrava in tutto e per tutto una minaccia e forse, sì, effettivamente lo era.
    Osservandola posizionarsi davanti al bersaglio si chiese quanto avrebbe resistito: le dava al massimo mezz'ora, poi sarebbe fuggita a gambe levate.
    Studiò con lo sguardo la posizione delle sue gambe, riconoscendo subito un errore che, in alcune situazione, avrebbe potuto rivelarsi fatale.
    « Non sei stabile. », disse semplicemente, prima di portare una mano alla sua spalla e esercitare pressione. Quel semplice gesto bastò a farla oscillare pericolosamente: un colpo ben assestato le avrebbe di sicuro fatto perdere l'equilibrio - com'era poi effettivamente successo nel precedente combattimento. Senza aggiungere altro le sistemò le gambe con alcuni colpetti del piatto di lama, spingendole poi sopra il ginocchio per invitarla a molleggiare la posa.
    Era ancora imperfetta, ma per una prima lezione poteva andare.
    Si allontanò, invitandola con un gesto a proseguire con l'esercizio. Seguì ogni sua mossa con lo sguardo, notando una miriade di piccoli difetti nei colpi, gli stessi che poco prima aveva rilevato durante il combattimento e che, sul momento, aveva attribuito a nervoso e spossatezza. Scosse il capo, rassegnato all'idea che, per farle un insegnamento fatto per il verso, avrebbe dovuto partire proprio dal riguardare tutte le basi.
    « Non ci siamo. », fece, invitandola a fermarsi con un gesto di mano. Detto questo prese il suo posto davanti al manichino, mostrandole la posa che effettivamente avrebbe dovuto tenere e svariati movimenti circolari della spada. Ripeté il movimento più e più volte, assicurandosi che la giovane lo stesse effettivamente guardando, per poi, una volta averle chiesto se aveva capito, lasciarle nuovamente la postazione. Quando la ragazza tornò a ripetere gli esercizi Cain notò in lei un discreto miglioramento: approfittò della situazione continuando a farle fare serie di colpi ininterrotti, sempre gli stessi, scrutando intensamente ogni suo movimento e commentando ogni qual'ora ve ne fosse bisogno.
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 16/3/2020, 15:47
     
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    Perché era così dannatamente forte? Perché non voleva aiutarli, perché li proibiva di una tale potenza? Maeve lo guardava, e nel suo sguardo cupo non trovava risposte che la soddisfacessero. Lui la squadrava da capo a piedi con fare critico, forse sorpreso da come una cos' si trovasse nell'esercito. La principessa, dalla sua, aveva solamente tanta buona volontà e un pizzico di magia, ma lui era di tutt'altra pasta. Era evidente che fosse stato sottoposto ad un duro allenamento e che avrebbe potuto insegnare qualche trucchetto a molti soldati di Thyandul. « Non hai niente di meglio da fare? », gli rispose secco, e a dirla tutta Maeve se lo aspettava. La sua determinazione non venne scalfita dal tono burbero del ragazzo, anzi, bruciò ancora più intensamente. « Qualcosa di meglio da fare che allenarmi e diventare più forte? » scosse la testa, stringendo le dita attorno all'elsa della spada, sentendola calda e appiccicosa a causa del sudore. Si passò una mano tra i capelli - averli corti era così strano, ma erano molto più facili da sistemare, senza rompere il contatto visivo con il ragazzo, che la osservava a sua volta. Era facile capire cosa pensasse: "perché dovrei perdere tempo con una inferiore a me?". Quando lui sospirò, Maeve si preparò a tornare all'attacco, perché non gliel'avrebbe fatta vincere. Voleva allenarsi con lui, voleva migliorare e voleva capire che tipo di persona fosse. Avrebbe continuato ad insistere, non importava per quanto. « Fammi una serie di colpi base. ». La ragazza strabuzzò gli occhi, perché era impossibile che l'avesse detto davvero. Eppure Cain non sembrava scherzare e puntò un manichino poco lontano, facendole capire che voleva che si esercitasse su di esso. Maeve seguì la direzione dell'indice di lui, osservando il fantoccio come se non ne avesse mai visto uno in tutta la sua vita, ancora esterrefatta. Questa davvero non se l'aspettava. Pensava che sarebbe finito a urlarle contro, preferendo una vita in solitaria piuttosto che supervisionare gli allenamenti di una ragazzina. « E sia chiaro, ragazzina, i miei insegnamenti te li devi guadagnare. » gli occhi di lei tornarono su Cain e annuì vigorosamente alle sue parole, un sorrisetto che si faceva strada sulle sue labbra nonostante i suoi sforzi di rimanere seria. Aveva forse un cuore più tenero di quel che sembrava? Dal tono che utilizzava non l'avrebbe mai detto, ma in fin dei conti aveva accettato. Era un passo avanti, e ne era rimasta piacevolmente sorpresa, anche se la sua idea su di lui non era cambiata. « Non ti deluderò » disse, entusiasta, dirigendosi a grandi passi verso il manichino mentre lui la seguiva. Si posizionò davanti ad esso senza soffermarsi se la sua postura fosse giusta o meno, già a pensare a fare degli affondi decenti, ma la voce bassa del ragazzo le fece notare quanto essa fosse errata. Ottimo. Il suo tocco sulla spalla fu inaspettato e spiacevole: la fece sbilanciare non solo perché non era stabile sulle sue stesse gambe, ma anche perché il contatto le fece ribollire il sangue nelle vene. Non le piaceva. Si spostò appena, migliorando la posizione e accennando un sorrisetto forzato. A parlare con lui non aveva quasi nessun problema ─ avrebbe solo gradito gridargli contro una volta ogni tanto, ma poteva benissimo trattenersi, mentre toccarsi era più difficile di quanto si aspettava. Non pensava che sentire il suo tocco le avrebbe procurato così tanto fastidio. Preferiva che la toccasse con la spada, piuttosto, come aveva fatto per indicarle la posizione giusta delle gambe. - Mi devo solo abituare - ripeté quel pensiero all'infinito mentre assestava diversi colpi al fantoccio, riconoscendo di essere scoordinata e imprecisa nei movimenti. Era così nervosa, ma era difficile spiegarne il motivo. Voleva dimostrargli di non essere un soldatino alle prime armi ma stava facendo l'opposto, non si sentiva a suo agio e lui era imperscrutabile: non si lasciava andare ad una sola emozione e ciò la metteva ancora più in difficoltà. Quando lo vide scuotere il capo con la coda dell'occhio si fermò di sua spontanea volontà. « Non ci siamo. » disse, mentre Maeve si portò una mano alla nuca e alzò le spalle, conscia di aver fatto una figuraccia. Sapeva fare meglio di così. Non lo disse a voce alta, ma ne era consapevole. Non era esperta quanto la maggior parte dei soldati dell'esercito thyanduliano o quanto Cain, ma sapeva fare meglio di così. Prese un respiro profondo, evitando così troppi pensieri negativi, e si mise ad ascoltare le istruzioni del ragazzo. Era evidente che fosse un veterano e aveva tanto da poter insegnare, perciò Maeve tentò di captare tutti i suoi movimenti e replicarli subito dopo. Il suo umore migliorò leggermente quando vide che Cain non la fermò dopo un paio di esercizi, ma la lasciò continuare, segno che, forse, aveva corretto qualcosa. Le scappò un sorriso quando mise a segno un altro fendente e il ragazzo non disse una parola, tant'è che quell'esercizio che le procurava così tanta ansia adesso le stava dando molte soddisfazioni. La campana del rancio suonò, al solito, per l'ora di pranzo, ma Maeve decise di non farci caso. Finalmente una sensazione gradevole stava riaffiorando mano a mano che il silenzio di Cain si prolungava e la sua lama colpiva il manichino dopo una mattinata di rabbia e nervosismo. Già, una mattinata passata, in teoria, a leggere vicino al ruscello e poi chiusa in camera ad esercitarsi nella calligrafia: se solo i suoi genitori avessero saputo che non aveva fatto nulla di ciò che sua madre le aveva intimato sarebbero andati su tutte le furie. Questo pensiero le attraversò la mente in un lampo e la ragazza si fermò d'improvviso, gli occhi spalancati a guardare il fantoccio che aveva davanti. Doveva tornare al castello, era ora di pranzo, dovevano pranzare tutti assieme. « Devo andare, scusa » la ragazza corse verso il mucchio di spade dal quale aveva preso quella che aveva in mano e la buttò lì, senza troppi pensieri, per poi superare Cain di tutta fretta. « Ci vediamo presto, scusa ancora, ciao! » gridò mentre si allontanava, cercando di evitare di scontrarsi con gli uomini che si dirigevano in mensa. Mentre correva si rese conto che le gambe le facevano davvero male, ma doveva resistere, altrimenti sarebbe finita nei guai. Si sfilò il ciondolo solamente una volta tornata nelle stalle: le lentiggini scomparvero e i capelli si scurirono, lasciando spazio alla principessa Maeve di Thyandul, giovane con mille responsabilità a cui doveva adempiere prima che sua madre venisse a scoprire che indossava abiti sgualciti e conduceva una doppia vita solo per tornare a lottare sullo stesso campo di battaglia che aveva causato la morte del suo primo figlio. Si tolse alla velocità della luce maglietta e pantaloni, nascondendoli in un angolo, per poi rimettersi di fretta il vestito con cui era uscita quella mattina, togliendo qualche residuo di fieno, e sgattaiolò fuori facendo attenzione a non farsi vedere, percorse velocemente le cucine e arrivò in camera sua salendo i gradini delle scale a due a due, fortunatamente senza incrociare anima viva lungo il percorso ─ non le era mai capitato prima d'allora, sia lodata Manaar! Si chiuse in camera, cacciandosi il vestito sporco il più velocemente possibile, tirando fuori dall'armadio un abito dai toni bluastri, molto discreto, e prese a pettinarsi con una foga che non le apparteneva. Sistemati i capelli grazie all'aiuto di un cerchietto, uscì dalla stanza dopo aver fatto un lungo respiro, cercando di calmare il cuore che batteva all'impazzata per la corsa e la paura di essere scoperta. Si diresse a grandi passi verso la sala da pranzo, sapendo benissimo di essere in ritardo, e appena fece il suo ingresso non poté non notare che i due regnanti erano già a tavola. I loro sguardi la percorsero subito da capo a piedi mentre la principessa accennava ad una riverenza, sedendosi poi tenendo il mento alto senza imbarazzo alcuno. « Sei in ritardo » la regina Violet ruppe il silenzio, mentre suo marito faceva cenno alla servitù di portare i piatti. « Ero talmente assorbita dallo studio che ho perso la cognizione del tempo » fece di rimando Maeve, una bugia con un fondo di verità. Sua madre sembrò essere soddisfatta della risposta della figlia, cominciando a mangiare. Il profumo della carne le penetrò le narici, e nel prendere le posate la ragazza si rese conto di avere le braccia a pezzi. « Come sta andando lo studio? » chiese Ethelbert, sorridendole, e la principessa ricambiò il gesto. « Bene. Il pomeriggio pensavo di passare in biblioteca e dopo recarmi al tempio ». Entrambi i genitori annuirono, segno che approvavano i suoi piani, e finalmente anche Maeve iniziò a mangiare. I pasti, solitamente, erano molto silenziosi, ma tutti e tre avevano bisogno di quella calma familiare per riuscire ad arrivare alla fine di una giornata che, una fine, sembrava non avercela. Thyandul era sul piede di guerra e la famiglia reale non sapeva come reagire, ciò era motivo di grande stress: suo padre non si staccava mai dal generale delle sue truppe, sua madre si rinchiudeva in camera a cucire o nel tempio a pregare, e Maeve partecipava ai comizi militari, studiava strategie e fingeva di essere una ragazza del popolo per tirar di spada. Ognuno affrontava questa crisi a modo suo, tentando comunque di essere d'aiuto ed evitare la catastrofe. « E' arrivata questa, per te » Violet ruppe ancora il silenzio, passandole una lettera che portava il simbolo della casata degli Milbourne, un elmo sormontato da una corona ed un giglio. Sospirò tra sé e sé, sapendo già di cosa si trattava. « Madre, ne abbiamo già parlato » disse, esausta, ma la donna non la lasciò finire, « Con una guerra alle porte urge un'alleanza » esclamò di rimando, riprendendo a mangiare. « Le alleanze non si costruiscono per forza con i matrimoni ». Sapeva che la regina aveva ricevuto varie richieste di matrimonio da parte di famiglie reali di altri regni e ne aveva inviate a sua volta, impaziente di accasare la figlia e beneficiare delle opportunità che esso avrebbe portato. La principessa di Thyandul, essendo a capo di un continente forte e vasto, era una bella preda tra le varie famiglie nobili, ma Maeve odiava essere trattata come un mero oggetto di scambio. Aveva discusso tante volte con sua madre, ma grazie al silenzio di suo padre al riguardo era riuscita sempre a rimandare il fatidico matrimonio. Conosceva Elliot, erede al trono di Mundoor, ma il solo pensiero di un'unione forzata le faceva ribollire il sangue nelle vene. Non era un oggetto, e un'alleanza avrebbe preferito stringerla grazie alle sue capacità di futura regnante, non grazie ad uno stupido matrimonio. Il pranzo proseguì in silenzio, le posate che graffiavano i piatti e la servitù che si sbrigava a cambiare le portate erano gli unici suoni nell'enorme sala. Avrebbe voluto tornare a infilzare quel maledetto manichino, ma si limitò a stringere forte, senza volerlo, il manico della forchetta come fosse l'elsa di una spada.

    • • •

    Il giorno dopo si svegliò presto, uscendo dal castello ancor prima di incrociare i suoi genitori nei corridoi. Riuscì ad eludere le guardie con la scusa di una breve passeggiata mattutina nei paraggi, entrando così indisturbata nelle stalle e diventare Dawn. Si diresse di buona lena verso il campo d'allenamento, decisa ad esercitarsi per massimo un'oretta e poi tornare ad indossare i suoi veri panni, ma nel tragitto vide una vivace attività nell'accampamento dei soldati. Incuriosita, optò per una piccola deviazione, con il pensiero di vedere se ci fosse qualche compagno disponibile ad un duello veloce. Magari sarebbe riuscita a mettere in pratica quello che aveva imparato il giorno precedente. Al suo passaggio, i soldati fuori dalle tende si scostarono o si voltarono all'improvviso dall'altra parte, chiaro segno che non volevano avere a che fare con una ragazzina. Maeve alzò gli occhi al cielo, stringendo i pugni senza dire una parola. Era stanca di quella situazione: possibile che le donne erano viste solo come un peso, alla pari di un oggetto, non meritevole di nulla? Possibile che non poteva decidere cosa fare della propria vita solo perché doveva sposarsi con un uomo ricco e portare soldi e soldati alla propria famiglia? Bazzecole. Avrebbe provato al mondo intero che era in grado di fare qualcosa di concreto per il suo paese. Una chioma ribelle di capelli cerulei attirò la sua attenzione poco lontano, e ci mancava solamente lui per iniziare la giornata nel modo migliore. Cain era intento a calare un martello su una spada, forse ne stava forgiando o riparando una. Si passò velocemente una mano sul viso, stremata, indecisa se cambiare direzione o meno. Non aveva voglia di litigare, di nuovo, ma in fondo il suo obiettivo era quello di farsi amico l'ex-generale delle truppe di Erethos e capire da che parte stava. Doveva parlarci e avvicinarsi il più possibile a lui. Si sforzò dunque di sfoggiare un sorriso, saltellando verso di lui come se fosse appena arrivata al campo. « Buongiorno! » esclamò vicino a lui, senza però urlare troppo forte per evitare di fargli prendere un accidente. Conoscendo le sue abilità l'aveva già vista da lontano e non si sarebbe comunque spaventato, ma meglio essere previdenti. « Ti ringrazio per l'addestramento di ieri, spero di allenarmi di nuovo con te prima o poi! » lui probabilmente non la stava ascoltando, quindi decise di rimanere in silenzio ed osservare ciò che il ragazzo stava facendo. Sembrava stesse riparando una spada, ma ad essere sinceri non ne era molto sicura: i soldati si prendevano spesso cura delle loro armi in quel modo, ma aveva avuto modo di osservare solo Dominic da vicino un paio di volte. Le mancava, e il soldato dallo sguardo accigliato che aveva accanto non glielo ricordava affatto. « Posso provare? » esclamò, sporgendosi con il busto in avanti in modo da farsi notare. Ormai lui aveva pitturato Dawn come una ragazzina curiosa e petulante, ne era sicura, tanto valeva approfittarne. « Dai, ti prego, vorrei tanto imparare! » riprovò, facendo leva sulla gentilezza che il ragazzo nascondeva dietro la personalità burbera.

    « Parlato » || - Pensato -

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    Edited by altäir - 11/5/2021, 00:55
     
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    Cain Noller
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    Era innegabile, il talento non le mancava. Purtroppo peccava di esperienza e prestanza, il che rendeva i suoi colpi deboli e privi di cordinazione. Nulla che però non si potesse risolvere con del sano e costante allenamento.
    Stava giusto per fermarla e spiegarle una nuova tipologia di esercizio quando, improvvisamente, un suono trillante irruppe nell'aria: a giudicare dalla folla che si stava ammassando nella zona mensa doveva trattarsi della campana del rancio.
    Prima che potesse aggiungere altro la ragazzina si allontanò a gran velocità, con un atteggiamento piuttosto ambiguo a dirla tutta: sembrava quasi aver dimenticato qualcosa, qualcosa di importante. Cain la osservò dileguarsi con scuse frettolose, alzando gli occhi al cielo come a dire "c'era da aspettarselo".
    Ormai rimasto solo lanciò un'occhiata alla sala mensa mentre un gorgoglìo eloquente gli suggeriva che i soldati non erano gli unici ad avere un certo languorino. Sbuffò, pensando all'ingente quantità di persone presenti in quella sala, promettendosi che avrebbe mangiato, sì, ma solo una volta che la ressa si sarebbe smaltita. Estrasse quindi la spada dal fodero e rincominciò ad allenarsi, mentre il suo stomaco, per l'ennesimo pranzo, si arrendeva al digiuno.

    ⋘ ⋙


    Fino a pochi minuti prima la fucina brulicava di giovani soldati chiassosi, ora l'unica anima viva rimasta era il fabbro, intento, laggiù nel suo angolino, a forgiare quelle che sembravano delle spade da allenamento. A Cain era bastato mettere un piede dentro l'edificio per causare uno scompiglio generale.
    Sospirò, prendendo posto davanti a un incudine, mentre anche il vecchio fabbro baffuto si voltava per lanciargli un'occhiata diffidente.
    Cain estrasse la spada dal fodero e cominciò a batterla, lasciando che fosse il metallo a parlare per lui.
    Improvvisamente un « Buongiorno! » trillante lo distrasse, costringendolo ad alzare lo sguardo. Incrociò due grandi occhioni verdi, purtroppo di sua conoscenza: la ragazzina petulante del giorno prima era tornata alla carica, proprio oggi che la voglia di socializzare rasentava lo zero. Non che normalmente fosse molto più alta.
    Pur sapendo che il gioco del silenzio con lei non funzionasse optò per ignorarla, tornando a terminare la battitura della vecchia spada: ormai gli mancava soltanto una piccola parte di medio -la parte di lama tra l'elsa e la punta- da rifinire, non ci avrebbe messo molto. Concentrato com'era Cain si dimenticò quasi totalmente della presenza della giovane, in quel momento sorprendentemente silenziosa, almeno fino a quando lo interpellò, curiosa « Posso provare? ». In quell'istante l'espressione di Cain divenne tutto un programma: naso e fronte corrucciati e labbra socchiuse, in una smorfia piuttosto buffa a dire il vero, che gridava a squarcia gola "stai scherzando spero". Ma a quanto pare no, non scherzava, e ne ebbe la certezza con la continuazione del suo discorso.
    « Ma che razza di soldato sei? », chiese, incredulo « Come diavolo fai a non saper battere una spada? ».
    Diamine, un soldato, seppur di basso rango, non poteva non saper battere una spada. Insomma, erano le basi! Ma che dico, le basi delle basi! Come aveva fatto a sopravvivere in accampamento fino a quel momento?
    A quel punto Cain si lasciò sfuggire un lungo, liberatorio sospiro. L'unica spiegazione era che la giovane fosse una matricola, il che avrebbe spiegato molti altri strani comportamenti, come ad esempio il fatto che fosse l'unica a non temerlo e quindi, conseguentemente, a non conoscere lui e i suoi trascorsi.
    « E va bene. », sbuffò, visibilmente seccato, « Guarda attentamente, non lo rifarò una seconda volta. ». Detto ciò riprese a battere la propria spada, rifinendo qualche punto che prima aveva lasciato indietro. Si premurò di fare movimenti più lenti e accentuati del normale, in modo da mostrare esattamente cosa andasse fatto. Non si dilungò in spiegazioni, piuttosto lasciò fossero i suoi gesti, distinti e precisi, a spiegarle. Lui, all'epoca, aveva imparato così dopotutto.
    Terminato il lavoro, controllò le condizioni della propria arma per poi, dopo uno studio clinico della lama, rinfoderarla. Se se lo stava chiedendo, no, non l'avrebbe fatta provare sulla spada su cui stava attualmente lavorando. Neanche morto avrebbe rischiato che una matricola gli rovinasse un cimelio così importante, perciò afferrò la prima arma a disposizione - una pesante spranga metallica usata come spada da allenamento - e gliela porse con pochi convenevoli, assieme al martello « Prova. », fece, indicando l'incudine. Detto ciò le si sarebbe posizionato accanto e avrebbe seguito i suoi movimenti con lo sguardo, rabbrividendo a ogni colpo sbagliato. Diamine, doveva batterla o farla a pezzi quella povera spada?
    « Non ci siamo, così rischi di rovinarla. », esordì, scossando il capo. Istintivamente le si avvicinò di un passo, posizionandosi alle sue spalle e afferrandole il polso che teneva il martello « Il movimento da fare è questo... », fece, muovendole la mano imitando, appunto, la giusta inclinazione e mossa da applicare « ...e attenzione a non metterci troppa forza. E' fondamentale per non rovinare il metallo. », aggiunse poi, lasciandola.

    ⋘ ⋙

    Era trascorso ormai quasi un mese dalla cattura del principe di Erethos. Da quel giorno il sottile filo che collegava i due regni si era spezzato, facendo crollare la situazione politica in un caos totale. Il rischio di guerra era altissimo, se non ormai una certezza. Erethos con le sue azioni aveva già messo con in chiaro la sua posizione: ora toccava al regno di Thyandul decidere come comportarsi. Fino a quel momento era stato tutto un "prendere tempo" per permettere all'eroe di ambientarsi e prendersi le proprie responsabilità, ma quella situazione di stallo - e quiete - non sarebbe durata a lungo...

    ⋘ ⋙


    Quel giorno il turno di pulizia delle stalle era stato assegnato a Cain e alcuni altri giovani soldati. Quando il comandante gli aveva proposto quella mansione quasi non ci credeva. Perciò, eccolo lì, a strigliare una giovane cavalla. Aveva il manto morbido e corto, color marrone, con una inconfondibile macchia bianca in mezzo agli occhi.
    Sorrise quando l'animale prese a strusciare animatamente il muso contro il suo viso.
    « Avanti, sta buona. », disse in un soffio, accarezzandole la setosa criniera e rispecchiandosi in quei grandi ed espressivi occhioni scuri. Attiva com'era doveva trattarsi di una puledra alle prime armi: generalmente i "cavalli da guerra", se così vogliamo chiamarli, venivano addestrati per mantenere pacatezza e freddezza in tutte le situazioni, che si trattasse del tumulto della guerra o di una semplice ma chiassosa parata in mezzo a una folla di cittadini. Ma quella cavalla era una vera e propria peperina, non ne voleva sapere di farsi strigliare senza prima aver salutato Cain a dovere.
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 16/3/2020, 15:46
     
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    « I woke up stronger than ever Driven by big waves of fire To run and yell all the way "Nothing can hurt me today" »
    Ovviamente non si aspettava che, alla sua richiesta, Cain facesse i salti di gioia, ma non pensava neanche esibisse un'espressione quasi schifata. Ci mancava solo che girasse i tacchi e il gioco era fatto. Non che ne sarebbe stata triste, meno tempo passava in sua compagnia meglio era, ma doveva a conoscerlo a fondo. Per il bene superiore. Era da quando aveva messo su questo teatrino che si ripeteva la stessa cosa. Per il bene superiore. Era complicato, soprattutto quando anche il presunto eroe si rivolgeva a lei come se pure lui preferisse essere ovunque tranne lì, con lei. « Ma che razza di soldato sei? Come diavolo fai a non saper battere una spada? ». Maeve sorrise imbarazzata, portando la mano dietro la nuca. « Sono una matricola, e non ho mai avuto una mia spada da... sì, da battere », rispose, ridendo piano, « Ho sempre preso quelle da allenamento e via, ho solo guardato gli altri farlo ». In testa le balenò l'immagine di suo fratello, la guance sporche di fuliggine perché aveva tentato di spostarsi i capelli dal viso, e il suo solito sorriso luminoso. Quanto le mancava. Ogni stramaledetto angolo del castello, dell'accampamento, di tutta Xanturion le ricordavano lui, e a distanza di anni sentiva una fitta al cuore al solo pensiero. Maeve si riprese in fretta, e al sospiro del ragazzo fece spallucce. Sapeva di essere indietro e considerarla un soldato era un'esagerazione, ma a quanto pare ogni persona lì dentro doveva sottolinearlo. In quanto donna si sentiva costantemente sotto osservazione, sempre messa alla prova, e il comandante Cox era il primo ad agire in modo così meschino e molti soldati lo seguivano a ruota. A quanto pareva, Cain non sembrava essere della stessa idea. Sperava veramente di non sbagliarsi. « E va bene. ». Maeve esibì un sorrisone a trentadue denti, tipico di Dawn - Maeve non si sarebbe sentita abbastanza a suo agio da farlo - e rimase al suo fianco ad osservare i movimenti del ragazzo. Era evidente che sapeva cosa fare: i suoi colpi erano decisi e ben mirati, la forza nel braccio ben calibrata, non sbagliava un colpo. La ragazza gli lanciò un'occhiata di sottecchi: il volto del ragazzo era corrugato in un'espressione concentrata, che, a dirla tutta, era simile a quella che esibiva da quando era arrivato a Thyandul. Dubitava che in Erethos fosse più contento. Forse ci era nato, con quella faccia antipatica e perennemente arrabbiata. « Okay, tocca a me! » esclamò, con le mani tese verso di lui per farsi passare il martello, ma Cain rinfoderò la sua arma all'istante. « Non... tocca a me? » fece subito dopo, e il ragazzo rispose alla sua domanda con un solo sguardo. Evidentemente quella era la sua spada, e no, giustamente non gliel'avrebbe fatta toccare. Comprensibile, chissà in che stato avrebbe potuto ridurgliela. Maeve afferrò prontamente la spranga e il coltello che il ragazzo gli passò senza fare complimenti, e subito tentò di replicare quel che aveva visto fare al ragazzo. Qualcosa - tipo l'improvviso sbiancamento del viso di Cain - le diceva che forse stava sbagliando qualcosa. « Troppo forte? » si voltò verso di lui, riferendosi al bozzolo che aveva accidentalmente creato. « Questo significa che non so dosare la mia mirabolante potenza » fece, facendo un sorrisetto sghembo a cui lui non fece caso., perché si mosse velocemente dietro di lei, preoccupato per quella povera spranga come se fosse la sua. Ad un certo punto, un brivido freddo le percorse la schiena ed in contemporanea il ragazzo le afferrò il polso. Maeve si irrigidì, senza volerlo, ed ebbe l'istinto di strappare la presa ed andarsene. Lo stomaco prese a farle male per il nervosismo e la repulsione, ma riuscì a controllarsi giusto il tempo che Cain le mostrasse cosa stava sbagliando. « Il movimento da fare è questo... », gli fece lui, molto, troppo vicino. Quel movimento le sembrò durasse interi ed infiniti minuti, ed appena la lasciò trattenne un sospiro di sollievo. « Va bene » riuscì a dire, sottovoce, controllando che il movimento fosse più simile possibile a quello che lui le aveva mostrato. Quel contatto prolungato non aveva avuto un buon effetto su di lei, ma ciò che fece in seguito sembrò compiacere Cain. Se non altro non erano comparsi altri crateri su quella povera spranga. « Dopo hai voglia di allenarti un po'? » chiese, tentando di apparire risoluta. Per il bene superiore. Lo avrebbe fatto avvicinare tutte le volte necessarie, l'importante è che il suo popolo fosse al sicuro e con qualcuno di sorprendentemente forte a proteggerli.

    • • •

    Dall'altro lato del tavolo, vide il re appoggiare la testa sul palmo della mano, visibilmente esausto. Lo sguardo di Maeve passò dal volto provato del padre a quello attento del generale Gyfford al tavolo, accerchiato da pezzi grossi dell'esercito e vari consiglieri, dove era stata stesa una mappa rappresentante l'intera penisola di Surturas e vari segnalini da utilizzare all'occorrenza. La pressione era palpabile, e la visione del generale Barnes aveva totalmente senso: Greil avrebbe attaccato. Si era già fatto strada nella regione di Alturath qualche settimana prima, sicuramente deciso a conquistare Vearakir, grande città dell'ovest di Surturas, importantissima per il commercio marittimo e la presenza di una potente flotta militare. Se fosse riuscito a conquistarla in breve tempo, questa guerra, non ancora iniziata, sarebbe finita ancor prima di cominciare. Ethelbert era stremato: era risaputo che il re non volesse una guerra, ma di fronte a quella situazione come potevano agire se non imbracciando le armi? La testa di Maeve non si era fermata dall'inizio del consiglio, tentando di trovare una soluzione disperata. Presto o tardi, sarebbe scoppiata una guerra. Il problema era l'imprevidibilità delle azioni di Greil: avrebbe potuto attaccare quella sera stessa così come tra mesi, non riuscivano a capirlo. Potevano giocare d'anticipo, ma significava fare il primo passo: avevano abbastanza fondi, gli alleati sarebbero scesi in battaglia, le truppe erano pronte? L'eroe di certo non lo era. « Una guerra è inevitabile, padre » la principessa ruppe il silenzio, e i presenti si girarono verso di lei. Suo padre la guardò con occhi tristi, stanchi, di un re che non voleva più saperne nulla di manie di conquista altrui. « L'unica cosa che possiamo fare è giocare d'anticipo » diede voce ai suoi pensieri, e il primo a girarsi da tutt'altra parte fu Cox, deciso a non ascoltarla. - Fanculo. -. « Ma i soldati non sono pronti, abbiamo un sacco di matricole, li manderemmo incontro a morte certa » fece subito Barnes, e Maeve si morse il labbro. Lo sapeva bene, molti dei suoi colleghi erano poco più che novizi, compresa lei, anche se era passato ormai un mese dall'arrivo di Cain. L'ultima cosa che voleva era mandare il suo popolo dritto nelle braccia del nemico. « Prepariamo i soldati migliori ad un attacco imminente, più soldati e vedette ai confini, convincerò Mundoor e Naultheras ad inviarci quanti più soldati possibili, e nel frattempo tempriamo i soldati novizi » la ragazza puntò le mani sul tavolo mentre parlava con voce autoritaria, guardando tutti dritti negli occhi. Non doveva dimostrare a nessuno che aveva la stoffa per essere una brava regnante, ma alcuni in quella stanza ancora ne dubitavano. Non l'avrebbero fermata. Nessuno lo avrebbe fatto. « Tutto nel minor tempo possibile ». Se fossero riusciti a fermare Greil al confine, già sarebbero arrivati a metà dell'opera. Avrebbero avuto il tempo così di attendere altri soldati e far finire tutto nel minor tempo possibile, in modo da non danneggiare né gli abitanti né l'economia di Thyandul. Però il re e i generali dovevano darle fiducia, e quella era la cosa più difficile da ottenere. « E l'eroe? ». Quella domanda arrivò come un fulmine a ciel sereno. Già, l'eroe. Si allenava con lui da tempo ormai, e seppur fosse riuscita a scalfire la sua corazza, era evidente che ancora non si fidasse di lei. Seppur lei aveva imparato ad avere più pazienza con lui e cercare di mettersi nei suoi panni, Cain non badava a quante vite avesse sulle spalle a causa della decisione presa da Manaar. Non poteva costringerlo, ma erano in una situazione delicata, e la sua forza, combinata a quella della sacra spada Yeosin, poteva cambiare le carte in tavola. Ma lui non voleva saperne.
    « Andasse al diavolo » fece piano, stringendo i pugni. In una situazione come quella, dove le vite dei suoi cittadini erano appese ad un filo, dove gli occhi di tutti i presenti erano puntati su di lei e molti desideravano solo che stesse zitta, si sentì ribollire il sangue nelle vene. « Thyandul dovrà rispondere, con o senza di lui. Non possiamo permetterci nessuna esitazione ». Doveva mettere ciò a cui teneva di più al primo posto, e per la sua terra era pronta a sacrificare sé stessa.

    • • •

    Maeve si assicurò che i soldati uscissero dalle scuderie prima di entrare per, finalmente, tornare alle sue fattezze da principessa. Quella giornata era stata sfiancante, voleva solo ritirarsi nelle sue stanze e riposare fino all'ora di cena, e per di più nessun messaggero aveva fatto ritorno a palazzo. Giorni fa aveva inviato delle lettere ai loro storici alleati, avvertendoli della situazione e domandando delle truppe, ma non avevano ancora ricevuto risposte. Greil, d'altro canto, non si era più mosso. Cosa sarebbe successo? Quell'interrogativo la faceva impazzire, e neanche stare sui libri o tirare di spada la faceva rilassare. Se solo Cain si fosse deciso a collaborare, se solo lei fosse riuscita a capire cosa pensava quel ragazzo di quella situazione... Sarebbe stato tutto più semplice, per tutti. La ragazza varcò l'entrata della scuderia sospirando, avviandosi verso il box dove solitamente lasciava i suoi vestiti, ma all'interno trovò un'inaspettata sorpresa: una cavalla dal manto candido nitrì appena la vide, strofinando il muso contro il viso della ragazza e prendendola alla sprovvista. « Araluen, stai buona, piccola! » esclamò, accarezzandola vigorosamente sul collo e facendo combaciare la sua fronte e quella dell'animale. Araluen non era altro che la sua cavalla, erano cresciute praticamente insieme, e l'aveva riconosciuta nonostante avesse un aspetto diverso dal solito. Maeve sorrise appoggiando la guancia sul muso del cavallo, continuando ad accarezzarlo. « Brava piccola » le sussurrò, mentre un altro nitrito attirò la sua attenzione. Una figura familiare era intenta a cercare di strigliare una puledra alquanto vivace, e appena capì di chi si trattava la ragazza si allontanò velocemente dal suo destriero - sia mai che Cain sapesse che quello era il cavallo della principessa. La ragazza si avvicinò cauta, il necessario per ammirare la tenera scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi: Cain era alle prese con un'esuberante puledra che pretendeva coccole da tutti, e lui non faceva eccezione. Infatti, la stava accarezzando con una delicatezza che mai avrebbe pensato potesse riservare a qualcuno. Sembrava un'altra persona, così diversa dal soldato burbero e scostante che conosceva. Sulle sue labbra nacque spontaneo un sorriso, mentre pensava a come un ragazzo del genere potesse nascondere un lato tenero. Dawn avanzò ancora, silenziosa, per poi convincersi a parlargli un po' prima di rinchiudersi a palazzo. « Lei è Briallen » fece, allungando una mano verso il muso della puledra. Lei sembrò apprezzare il gesto. « E' una puledra piuttosto attiva, meglio essere in due per occuparsi di lei ». Gli sorrise, ma stavolta nessun sorriso falso. A vederlo accarezzare così gentilmente quel cavallo le fece da mettere da parte ogni rancore, e gli fece segno di passarle un'altra spazzola. « Conosco ogni cavallo di questa stalla, posso aiutarti con ognuno di loro », ridacchiò, mentre Briallen si faceva strigliare senza dare segno di ribellarsi. « Ti piacciono i cavalli? Ho visto come l'accarezzavi, è stato molto tenero. » ridacchiò di nuovo, e si rese conto di come quella era la prima volta in cui si lasciava andare con lui. Nessuna facciata, di Dawn aveva solo i capelli e i vestiti. Solo Maeve.

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    Nonostante non fosse credente in quel momento Cain ringraziava Deimos, Manaar e tutti gli Dei minori esistenti: il solo pensare che la sua povera spada poteva finire nelle mani di quella ragazzina lo faceva rabbrividire. E poi, scherzi a parte, come faceva ad avere una tale forza da provocare crateri così grandi in una spranga di metallo? L'aveva affrontata in un combattimento esattamente il giorno prima e non gli era sembrato che possedesse una tale forza. Pensandoci bene poteva essere il metallo dell'arma a essere "morbido", non per niente l'aveva trovata per terra, accanto a un ammasso di ferraglia arrugginita in cui si distinguevano chiaramente elmi e parti di armature ammaccate. Sì, si trattava sicuramente di una spada difettosa destinata alla fucinatura.
    « Brava. », esordì improvvisamente, mentre le labbra si incurvavano nel disegnare un lieve sorriso « Come demolitrice di spade avresti sicuramente un futuro. »
    Volevi che fosse un complimento, eh, piccola Dawn? E invece no, ma almeno hai scoperto che l'espressività di Cain non si ferma al solo grugno imbronciato, ma anzi, a quanto pare sa pure sorridere!
    Tornando a noi, sicuramente la giovane avrebbe avuto bisogno di molta pratica prima di mettere mano su una vera spada - a meno che il suo intento non fosse stato di smantellarla, ovvio - ma il compito di Cain era ormai concluso: le aveva mostrato la tecnica e l'aveva fatta provare, ora tutto stava nella costanza e voglia di imparare della ragazzina.
    Senza aggiungere altro alzò i tacchi, allontanandosi verso la porta. Fu costretto a fermarsi sull'uscio, richiamato dalla squillante vocina della ragazza che, per l'ennesima volta, lo invitava ad allenarsi assieme. Avrebbe potuto dire di no ma, seriamente, cos'altro aveva di meglio da fare in quel luogo? Di certo guardare in cagnesco i soldati che lo fissavano non l'avrebbe aiutato a migliorare la sua tecnica di combattimento.
    « Tra un quarto d'ora al campo d'allenamento. », fece, dandole le spalle. Dal tono rigido, quasi autoritario, utilizzato era sottinteso che, se avesse ritardato, se la poteva anche scordare la sessione di scherma. Ma qualcosa gli diceva che quella ragazzina non lo avrebbe deluso, anzi, probabilmente lo avrebbe raggiunto persino in anticipo.

    ⋘ ⋙

    Quel giorno gli era stata affidata la cura dei cavalli assieme ad altri soldati. Mentre strigliava il manto alla giovane puledra gli affioravano alla mente ricordi di Meneldor. Nel suo paese i cavalli venivano selezionati apposta per sopportare lo sforzo e la fatica, non per niente spesso erano costretti a camminare giornate intere prima di raggiungere il campo di battaglia. Si trattava di animali resistenti, dal temperamento docile e masueto, ma dalla mole imponente. Ricordava che, da piccolo, lo spaventavano: erano così maestosi, muscolosi, sembrava che da un momento all'altro potessero calpestarlo. Ne ebbe timore fino al giorno in cui non gli venne affidato lui, Elvyon, un bellissimo stallone dal manto nero, lucido, con una macchia chiara sulla fronte, molto simile a quella della cavalla che stava spazzolando a dirla tutta. "Da ora in poi questo puledro sarà il tuo destriero", dissero, e la prima volta che Cain lo accarezzò si rese conto di quanto si fosse sbagliato negli ultimi anni: la paura si trasformò in rispetto e pian piano divenne un forte legame di amicizia.
    D'improvviso, un nitrito lo distaccò da suoi pensieri. Alzò il viso, ritrovandosi a posare gli occhi su una scena che, ormai, aveva vissuto mille volte: una giovane, che in un primo momento non riconobbe, stava scambiandosi effusioni con quello che, probabilmente, doveva essere il suo cavallo. Focalizzandosi sul viso si rese conto che la giovane in questione era la ragazzina petulante dell'altro giorno. Rimase ad osservarla, con una moltitudine di sentimenti che si aggrovigliavano dentro il suo petto. Cosa stava provando? Non riusciva a capirlo nemmeno lui. Quella scena gli causava inspiegabilmente un forte groppo alla gola e lo metteva maledettamente a disagio. E la situazione peggiorò quando i loro sguardi s'incrociarono. Gli occhi sembrarono prendergli fuoco: in un movimento involontario e improvviso si sottrasse dalla vista, nascondendosi dietro il lungo muso della puledra.
    Ma che diavolo stai facendo?, si chiese: ora dentro di sé distingueva chiaramente una forte vergogna. Non gli era mai capitato di agire in quel modo, dannazione. Solitamente reggeva gli sguardi tranquillamente, anzi, era il primo a mettere soggezione nell'interlocutore col suo duro sguardo di ghiaccio, ma questa volta quel maledettissimo viso l'aveva fatto vacillare.
    Continuò a spazzolare la puledra nervosamente, pregando nella sua testa che la giovane non si avvicinasse, ma le sue preghiere, a quanto pare, non vennero ascoltate.
    « Lei è Briallen »
    La sua voce, se possibile, gli causò un trauma ancora più forte. Era l'ultima cosa che voleva udire in quel momento, l'ultima!
    Le scoccò un'occhiata che gridava "vattene", ma il messaggio sembrò non essere recepito, anzi, la ragazzina si offrì pure di aiutare, allungando la mano perché Cain le passasse l'altra spazzola. Esitò a passargliela, posando lo sguardo sulla mano ma non vedendola realmente: nella mente continuava a profilargli l'immagine di lei, felice con il suo destriero, esattamente come lo era lui prima che Elvyon venisse trafitto e lasciato morire in una delle ultime battaglie. "E' solo un cavallo", gli dissero alle sue suppliche di curarlo.
    Ecco, ora riusciva a distinguere qualcosa. Un fuoco gli divampava dentro: invidia, rabbia e quelle immagini facevano da combustibile a questo incendio ormai fuori controllo.
    In un movimento rapido e istintivo le colpì la mano con uno schiaffo, spaventando la puledra che, a orecchie basse, indietreggiò, rientrando nel box.
    « Dacci un taglio, maledizione! », tuonò, gli occhi di ghiaccio che lanciavano scintille. Molti dei cavalli dentro la stalla nitrirono nervosamente, pestando a terra con i forti zoccoli.
    « Perché continui a girarmi attorno, si può sapere? », continuò, la mente annebbiata da un turbinio di profonde emozioni. Si sentiva come un'animale ferito, in trappola.
    « Hai la minima idea di chi io sia? », chiese, portandosi la mano al petto per enfatizzare la domanda « Il mio nome è Cain Noller. Figlio primogenito del re di Erethos, nonché arcinemico della tua patria. », enunciò con una fierezza che non gli apparteneva.
    Chi diavolo era che stava parlando? Non certo Cain. Non certo quel Cain che detestava il suo passato. Quel Cain non avrebbe mai fatto un vanto delle gesta di cui era famoso. Assolutamente mai.
    Improvvisamente un groppo gli attanagliò la gola, costringendolo a esalare un lungo respiro. La tempesta dentro di se sembrò cessare, lasciando spazio a una profonda e triste desolazione. Aveva fatto tutto questo per allontanarla, cosa che desiderava da tempo, ma perché ora che era riuscito nell'intento si sentiva così?
    « Devi starmi lontano. », disse in un soffio, con uno sguardo del tutto diverso da quello precedente, fiammeggiante e fiero. Questa volta sembrava implorare aiuto.
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    Edited by rhænys` - 16/3/2020, 15:45
     
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    Le parole di Cain la colpirono come pugnali, taglienti, dritte al petto. Inaspettate. Non era riuscita a difendersi. Persino Briallen si innervosì, e la ragazza cercò di farla rimanere sul posto e calmarla, mentre osservava, confusa, l'eroe, che, gridando, sembrava si stesse liberando di un grosso peso. Da quanto tempo si stava tenendo dentro quelle cose? « Cain, aspetta, io - », « Perché continui a girarmi attorno, si può sapere? » la interruppe, la sua voce imponente che sovrastava quella di Maeve, perplessa e titubante. Già, perché gli stava accanto? Chi glielo faceva fare in fin dei conti? Cain non li avrebbe mai aiutati, mai. Un'amicizia con una ragazzina qualunque non lo avrebbe portato in battaglia al loro fianco. Non avrebbe mai brandito Yeosin come faceva con la sua spada. Perché sprecare così tante energie e tempo, effettivamente, giusto per sentirsi urlare in faccia che non aveva bisogno di nessuno? Il suo primo pensiero fu quello di mandarlo al diavolo, una volta per tutte. Avrebbe continuato ad allenarsi, sarebbe scappata per aiutare il suo esercito, avrebbero vinto la guerra e tanti saluti, Cain sarebbe tornato in Erethos senza tanti complimenti e senza essere costretto a fare nulla che non volesse fare. « Hai la minima idea di chi io sia? » Sì, un grandissimo imbecille. I cavalli continuavano a nitrire, nervosi, mentre tutto quel discorso senza senso le mandava il sangue alla testa. Cain di qua, Erethos di là. Lo sapeva, diamine, lo sapeva, perché vantarsene così? Perché dire di essere il figlio di quello squilibrato di Greil se poi il massimo che lui faceva era starsene in un angolo ad allenarsi da solo, senza dare fastidio a nessuno? Lui non era come suo padre, si aggrappava a lui per dare un senso alla sua esistenza. Aggrottò le sopracciglia, guardando il vido di Cain, e notò qualcosa al quale fino a quel momento non aveva fatto caso. Era furioso, era impetuoso, e quando finì di parlare nei suoi occhi lesse i rimasugli della sua rabbia ed una silenziosa e letale tristezza. Cosa gli stava accadendo? Da quanto si sentiva così? Maeve sostenne il suo sguardo, tentando di capire cosa gli passasse per la testa. Lui stesso si considerava un assassino, quindi perché parlarne con tanta ripugnanza? Più lo guardava, più lo vedeva stanco e solo, in una nazione che non era la sua, senza nessuno accanto - fatta eccezione per una ragazzetta petulante. Tutti lo evitavano per la sua discendenza, ma qualcuno lo aveva mai visto spazzolare gentilmente una cavalla o avere la pazienza di insegnare ad una giovane insistente come tirar di spada, senza trarne nulla in cambio? Era convinta che nascondesse una gentilezza senza pari, nonostante la celasse dietro un muso scorbutico e una lingua tagliente, così come era convinta che avesse tutte le carte in tavola per cambiare il suo destino. Era strano provare quelle cose per uno come Cain, un tizio che aveva maledetto giorno e notte per la sua testardaggine ed insolenza. Era strano tentare di comprenderlo ed, effettivamente, riuscirci. Eppure erano così diversi, incompatibili, opposti. « Devi starmi lontano. », no, non lo avrebbe fatto. Per il bene superiore, per dargli una mano, perché neanche lui voleva stare davvero da solo. « No » rispose, decisa, appena lui finì di parlare. Non poteva, non dopo aver visto quegli occhi, non con una guerra alle porte. « Smettila di lamentarti, tu non vuoi rimanere da solo » continuò, stringendo i pugni. Voleva una mano, vero? Gliel'avrebbe data. « Non m'importa chi tu sia, siamo entrambi soldati » avrebbe voluto avvicinarsi, ma aveva paura che potesse andarsene. Non voleva che scappasse, non anche da lei. Dawn era l'unica possibilità per avvicinarlo, per tentare di rendergli il soggiorno a Thyandul un po' più piacevole. Cain non era solamente l'eroe di Thyandul, era un ragazzo abbandonato a sé stesso, con i propri dubbi e timori, perché se ne rendeva conto solo ora? Si diede della stupida, e più lo guardava più pensava che la causa del suo dolore potesse essere lei.
    « Mi hai sempre aiutata, e hai avuto molteplici occasioni per farci del male. Occasioni che non hai mai sfruttato » e avrebbe avuto molti motivi per farlo. Sapeva cosa si provava ad avere tutti contro, ad essere ignorato, a sentire qualcuno sussurrare qualcosa al proprio passaggio. Forse erano più simili di quel che credeva. « Che arcinemico temibile, eh? » ridacchiò, ma subito dopo rialzò lo sguardo su di lui, condividendo la sua tristezza. Si sentì come quando Dominic era scomparso, sola e spaesata, senza nessun punto di riferimento, solo tante responsabilità da cui avrebbe voluto scappare. Forse anche lui stava provando qualcosa di simile. « Tu sei molto più che un principe di una nazione nemica, il nostro destino lo costruiamo noi ogni giorno » lasciò per un attimo da parte la faccenda dell'eroe, quello che avrebbe dovuto salvare il regno, colui che avrebbe sconfitto il male una volta per tutte. Era solo un ragazzo, e lei era solo una ragazza, entrambi con responsabilità più grandi di loro. « Io non ti lascerò solo » gli sorrise, utilizzando il tono più pacato e rassicurante possibile. Avrebbe protetto il suo popolo, ma sentiva di voler provare ad andare d'accordo con Cain a prescindere dall'esito della guerra. D'improvviso, si era sentita sola ed affranta, come anni fa. Non voleva che lui si sentisse così.

    « Parlato » || - Pensato -

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    Un calore inaspettato gli riempì il petto. Questa volta non si trattava di un incendio indomabile, ma una flebile fiamma. Per un attimo, ma solo per un attimo, ebbe il terrore che potesse spegnersi da quanto pareva debole. Ma quella frase, pronunciata assieme a quel sorriso, la alimentò, rendendola ancora più vigorosa: « Io non ti lascerò solo ».
    Improvvisamente fu come se tutto il peso che gli gravava sulle spalle fosse sparito in un colpo. Si sentiva leggero, quasi come se da un momento all'altro potesse spiccare il volo con un salto. Perché questa sensazione? Era maledettamente piacevole, ma al contempo gli provocava un certo disagio. Più i suoi occhi si soffermavano su quel viso, su quello sorriso, più l'emozione si faceva profonda e indistinta. Non si impegnò più di tanto a cercare di riconoscerla, dopotutto, pensò, probabilmente era data dal fatto che la sua mente era ancora annebbiata dalla sfuriata precedente. Piuttosto, ripensandoci, si sentiva veramente uno schifo. Aveva ascoltato cosa gli suggeriva l'istinto e aveva finito per prendersela con l'unica persona che al momento lo sopportava.
    A proposito, a pensarci bene non ricordava nemmeno il suo nome. Le aveva sempre dato talmente poca importanza che non gli era mai passato neanche lontanamente per l'anticamera del cervello di chiamarla per nome. Com'è che aveva detto di chiamarsi? Daisy? Dean? No, aspetta, Dean è un nome da uomo. Vabbé. in ogni caso non aveva senso scervellarsi quando poteva chiederglielo direttamente.
    « Come hai detto che ti chiami? », chiese di punto in bianco, senza troppi fronzoli.
    « Dawn. »
    Inaspettatamente le sorrise, un sorriso appena accennato ma pieno di significato.
    « Dawn... grazie. », disse in un soffio.
    Senza aggiungere altro si avviò verso Briallen, la puledra che, nel frattempo, approfittando della quiete, stava gustandosi un po' di fieno all'interno del suo box. Le passò lentamente una mano sul dorso muscoloso, sentendo il pelo morbido scivolargli sotto le dita. Afferrò la prima spazzola a disposizione e senza troppo preavviso la lanciò verso Dawn, esclamando « Al volo! ». Che l'avesse afferrata o meno non gli importava, sperava solo che accettasse quell'invito indiretto: dopotutto era stata lei per prima a chiedere di aiutarlo, il suo voleva essere un modo per farle capire che, sì, finalmente, dopo tanti sforzi, l'aveva accettata.
    « Muoviti, i cavalli non si strigliano da soli. »

    ⋘ ⋙

    Dal fatidico incontro alla stalla il rapporto fra Cain e Dawn aveva preso una piega differente. Cain, del canto suo, si era liberato di parte parte della pesante corazza che si trascinava dietro da sempre, mentre Dawn aveva mantenuto il solito atteggiamento, solare e ottimista.
    Avevano deciso di vedersi tutti i giorni, stessa ora, stesso posto, per continuare ad allenarsi assieme.
    Nel complesso Cain doveva ammettere di aver notato grandi miglioramenti nella tecnica di Dawn. Si vedeva che, nonostante le difficoltà, l'addestramento stava dando i suoi frutti.
    Perciò, eccoli lì, a bastonarsi come se non ci fosse un domani con le spade d'allenamento: dopo diversi giorni di esercizi individuali per perfezionare la tecnica del colpo, Cain aveva finito per cedere alle richieste di Dawn, accettando la sua sfida a duello. Doveva ammetterlo, le piaceva il suo stile. Era rapida, agile ed elegante, pareva quasi una ballerina impegnata ad esibirsi nella sua danza letale. Che fosse portata per la scherma era ormai scontato, ma le sue difese peccavano di forza e i suoi riflessi non erano dei migliori: c'era ancora molto su cui lavorare.
    « Dawn! »
    Parlando del diavolo spuntano le corna come si suol dire, o in questo caso si beccano delle spadate in faccia.
    Un colpo al volto finì per raggiungere il viso di Dawn, scalfendole lo zigomo e provocandole un taglio. La parata debole non era riuscita a resistere alla forza del fendente causando quindi l'inevitabile avanzamento della lama. Fortunatamente Cain era riuscito a controllare il colpo per tempo, riducendo l'entità della botta a una piccola ferita. Ripeto, fortunatamente: un colpo del genere, se assestato a dovere, avrebbe aperto la testa della povera Dawn in due.
    Cain abbassò rapidamente la spada, avanzando a rapide falcate verso la ragazza. Un rivolo di sangue scendeva lungo la sua guancia rosata e i bordi della contusione stavano prendendo un malsano colore giallo-verdastro: doveva assolutamente essere disinfettata il prima possibile, altrimenti sarebbe peggiorata.
    Istintivamente le appoggiò una mano sulla guancia, spostandole il viso per osservare meglio la ferita: era brutta, sì, ma per fortuna niente di grave. Muovendo il pollice ne approfittò per portarle via la colata di sangue in eccesso.
    « Non sembra niente di serio... », commentò, sovrappensiero, cercando gli occhi di Dawn e ritrovandoli a breve distanza dal suo viso. Si sentì avvampare: era talmente concentrato ad assicurarsi che la ferita non fosse grave da non accorgersi del brusco accorciamento di distanze. Si allontanò di scatto, quasi come quel contatto visivo lo avesse scottato, mentre un lieve rossore prendeva a pervadergli le guance.
    Con lo stomaco in subbuglio, manco avesse mangiato fagioli per tre giorni di fila, cercò di ricomporsi tornando a focalizzare la sua attenzione sulla lesione « ...ma andiamo comunque in infermeria. »
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    Edited by rhænys` - 18/3/2020, 11:32
     
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    I due giovani stettero a guardarsi per quelli che a Maeve parvero secoli. Non riuscì a decifrare l'espressione sul viso di Cain, non capiva se le sue parole erano riuscite a smuovere qualcosa. Se ciò non fosse accaduto, doveva ammetterlo, non ne sarebbe rimasta sorpresa: quel ragazzo era testardo come un mulo. Si preparò psicologicamente ad una risposta fredda, tipo "Ti ho detto di andartene", oppure una risposta assente, che non sarebbe mai arrivata, perché se ne sarebbe andato. Era pronta a tutto, ma non a lui che le domandava come si chiamasse. Ci mise qualche secondo a rispondere, il tempo di processare la domanda. Veramente? Non sapeva il suo nome? Eppure si era presentata, più di un mese fa!
    - Ah, giusto, mi aveva bellamente ignorata - aggiunse tra sé e sé, ricomponendosi il più in fretta possibile. « Dawn. » fece, ma stavolta il ragazzo diede segno di averla ascoltata. « Dawn... grazie. » ecco, a questo non si era minimamente preparata. Si sarebbe aspettata una risposta scortese, un'occhiata penetrante, un altro monologo alla "io sono il cattivo", ma non un sorriso e una parola gentile. Maeve ebbe l'impressione di avere la gola secca, così, all'improvviso, e sul momento non riuscì a rispondere, esterrefatta. Cain non le diede neanche il tempo di farlo, visto che si avvicinò a Briallen, ormai tranquilla, e la ragazza lo seguì con lo sguardo. L'aveva ringraziata. Non lo pensava capace di un gesto simile, almeno fino a quel momento. Da quando era arrivato non si era mostrato molto garbato, né nei modi né nelle parole, ma quel semplice grazie, più unico che raro, le aveva scaldato il cuore e un sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra mentre lo osservava accarezzare la puledra. Benché burbero e diffidente, in fondo la sua era un'anima gentile. « Al volo! » la voce del ragazzo la riportò alla realtà, e Maeve riuscì ad afferrare la spazzola per miracolo, prima che la colpisse, rischiando però di farla cadere dalle sue stesse mani. « Muoviti, i cavalli non si strigliano da soli. » fece lui, notando che ancora non si era mossa. Maeve alzò gli occhi al cielo, ma sapeva che quella spazzola valeva più di mille parole. La ragazza sbuffò in direzione di Cain mentre si avvicinava a Briallen, dal lato opposto al suo, accarezzandole il manto scuro. La principessa cominciò a strigliare la puledra in silenzio, guardando il ragazzo di sottecchi di tanto in tanto, godendosi la sua compagnia. Stavolta stare insieme a lui non lo sentiva come una costrizione, bensì la sua presenza la metteva di buonumore. Forse perché, finalmente, era riuscita a farlo aprire un po'. Si godette quel silenzio senza sentire il bisogno di riempirlo, perché già tutto era stato detto: lei non l'avrebbe lasciato solo e lui l'aveva ringraziata.

    • • •

    Cain, dal fatidico incontro nella stalla, era cambiato. Maeve, che lo incontrava ormai ogni giorno, lo aveva notato. Adesso la salutava perfino, e sembrava più entusiasta di allenarsi con lei, seppur non riuscisse ad eguagliarlo nell'arte della spada. Forse con l'arco avrebbe avuto più possibilità, ma i suoi insegnamenti erano tanto duri quanto preziosi. Il ragazzo non ci andava giù piano con lei, e seppure a fine giornata i muscoli le facessero male non poteva non ringraziarlo. Sentiva di essere migliorata, ma non era abbastanza. Non sarebbe mai stato abbastanza, se lui avesse deciso di non scendere in battaglia al loro fianco. Doveva diventare il più forte possibile prima dell'attacco di Greil. I soldati che avevano mandato al confine mandavano rapporti ogni quattro giorni, e ogni volta la situazione era sempre la stessa: stabile. Quella parola le faceva paura. Significava che nulla si muoveva, nulla destava sospetti, perché Greil era in stasi. Non si avevano notizie neanche dell'avanzata nel regno di Alturath ed una possibile conquista di Vearakir. Dal canto loro, Mundoor e Naultheras non collaboravano: inviano risposte vaghe, come se quella situazione non li riguardasse da vicino; dicevano che avrebbero mandato soldati una volta che l'attacco sarebbe diventato realtà, ma forse per quel momento sarebbe stato troppo tardi. Sua madre, ora più che mai, insisteva che sposasse Lysander di Estra: senza dubbio era di buon partito, la forza bellica del regno era niente male e le loro famiglie andavano d'accordo, senza contare il lato commerciale ed economico - decisamente vantaggioso -, ma Maeve era sempre della stessa idea. Un'alleanza la si poteva costruire anche senza un matrimonio, non era disposta a scendere a patti. Questi erano i pensieri che tormentavano la principessa di Thyandul da settimane ormai, e, ovviamente, ci stava pensando anche in quel momento. Lei e Cain si vedevano tutti i giorni, alla stessa ora e sempre al campo di allenamento, per allenarsi insieme: finalmente Cain aveva accettato la sua sfida a duello - gliel'aveva chiesto giorni fa, alla fine aveva desistito - ma non riusciva a concentrarsi quanto avrebbe voluto. Ogni volta che assestava un colpo o parava un fendente micidiale del suo avversario, l'attimo dopo era già a pensare a cosa avrebbe dovuto fare per impedire a Greil di far breccia nel suo territorio. Quella situazione incerta la stava stressando, e passare le notti a studiare strategie non avrebbe risolto nulla e -
    All'improvviso, la spada del ragazzo riuscì a rompere la sua guardia e le sembrò un po' troppo vicina al suo viso. Sì, era decisamente troppo vicina al suo viso. Maeve chiuse istintivamente gli occhi e si allontanò di scatto, ma la punta dell'arma riuscì comunque a ferirla. « Dawn! », gridò Cain, sembrava essere preoccupato. Sentì lo zigomo bruciare ed un dolore, seppur lieve, proprio a quell'altezza, e capì che non era riuscita a sfuggire del tutto al pericolo. Si toccò piano la guancia e si portò la mano davanti agli occhi: le punte dell'indice e del medio erano rosso sangue. Vide Cain avanzare verso di lei, il viso corrucciato, e, con sua grande sorpresa, appoggiò una mano sulla sua guancia ferita, facendo scorrere il pollice su di essa per ripulire il sangue. « Non sembra niente di serio... », « No, infatti, tranquillo » riuscì solo a dire lei, perché averlo così vicino non le era mai capitato prima. Non capiva se era la ferita a bruciarle o il contatto della mano calda di lui sul viso, fatto stava che era maledettamente vicino. Troppo vicino. Lo stomaco prese a farle male come se non mangiasse da giorni, e quella sensazione le fece uno strano effetto. Non le piaceva. Per fortuna Cain si allontanò repentino, e Maeve riuscì finalmente a focalizzarsi su altro che non fossero gli occhi di lui - mamma mia, di un blu strabiliante. Da quando aveva gli occhi così belli? - Eh no, eh -. Ritornò a toccare la ferita cautamente per togliere altro sangue, rassicurata dal fatto che avesse la magia bianca dalla sua. Ci avrebbe pensato dopo, curarla di nascosto in quel momento avrebbe destato sospetti. « Non è nulla di che, continuiamo » fece, raddrizzando il busto e in procinto di mettersi in posizione. « ...ma andiamo comunque in infermeria. », Maeve si immobilizzò sul posto, guardando di rimando Cain. « Ti ho detto che non è necessario » fece, alzando il tono della voce, come se lui non l'avesse ascoltata. Non poteva rivelargli il suo potere curativo - chiunque avrebbe fatto facilmente due più due -, ma non era nulla di che: un semplice taglietto non aveva bisogno di medicazioni da parte di qualche infermiera. « Posso medicarmi da sola una volta finito il duello » aggiunse, ma il ragazzo le afferrò il polso senza fare complimenti - anzi, sembrava davvero non avesse sentito neanche una parola di quello che aveva detto - e la trascinò di peso lontano dal campo, facendole cadere la spada. « Ehi, smettila! » gridò lei, tentando di puntare i piedi e fermarlo. Ovviamente non funzionò: Cain era molto più forte e muscoloso di lei, e quanto pare molto determinato a portarla nell'infermeria dell'accampamento, dedicata esclusivamente ai soldati. « Ti ho detto che... », Maeve si aggrappò inutilmente ad un palo che era riuscita a raggiungere con la mano libera, « ... non ce n'è bisogno! » sbraitò ancora, ma Cain sembrava non desistere a sua volta. Peccato che, tra i due, fosse lui quello con più forza fisica. Alla fine riuscì a farle varcare la porta dell'infermeria, e Maeve dovette arrendersi a perdere tempo lì dentro. « Mi sono ferita » fece, tentando di mostrarsi gentile e non assolutamente infastidita, e la ragazza che li accolse - lunghi capelli biondi, occhi cerulei, tantissime lentiggini - le indicò una panca per sedersi. Era un luogo piuttosto spoglio, con pochi mobili - un tavolo, una panca, qualche sedia e delle mensole - , una tenda copriva un'altra stanza collegata che probabilmente conteneva i lettini. Appena ella si voltò, Maeve lanciò un'occhiataccia a Cain, sedendosi sgraziatamente e attendendo la ragazza, che era poco lontano da lei ad armeggiare con degli unguenti. Quello era tutto tempo che potevano utilizzare per allenarsi, se solo Cain le avesse dato retta. Il ragazzo si sistemò al lato opposto della stanza, e notò solo allora altre due giovani infermiere intente a confabulare in un angolino. Seguendo i loro sguardi, sembrava stessero parlando di Cain. La ragazza aggrottò le sopracciglia, nascondendo il fastidio che provava per quella situazione. Cain non si era fatto assolutamente una buona fama fin da subito con tutta quella storia dell'eroe - qualche volta a pensarci si innervosiva ancora - e aveva un caratteraccio che lo rendeva inavvicinabile, ma aveva notato come all'accampamento solo lei gli rivolgeva la parola o era l'unica che, spontaneamente, gli chiedeva di allenarsi insieme. Aveva notato come molti soldati parlottavano al suo passaggio e lo squadravano dall'alto in basso, e molte matricole lo evitavano perché incuteva timore e per la sua brutale potenza e incomparabile abilità. Eppure, solo a vedere lo sguardo maligno e ostile che quelle due ragazze gli riservavano e come lo studiavano in lontananza, le mandava il sangue alla testa. Per quanto Cain stesse purtroppo sfuggendo alla scelta della dea Manaar, ricaduta su di lui, non si meritava questo infimo trattamento: avessero avuto almeno il coraggio di dirgli in faccia quello che pensavano. Quello era un mondo di codardi, di tutte le specie.
    La principessa sobbalzò all'inaspettato contatto con un unguento che le pizzicò la ferita, e l'infermiera ridacchiò. « Perdonami » disse, ma Maeve le fece cenno con la mano che era tutto okay. Di nuovo il suo sguardo ricadde, senza farlo apposta, sulle due ragazze che parlottavano in lontananza, ma lo distolse appena si accorsero che le stava guardando. Ultimamente era riuscita a mettersi nei panni di Cain, era riuscita in parte a capire come si sentiva, ed ora riusciva a vederlo come un ragazzo, e non solo come il presunto salvatore del suo regno. Non era solo una macchina da guerra, indispensabile per vincere e per fare il volere di Manaar, ma era anche, e soprattutto, un ragazzo. Nessuno si meritava tanta cattiveria, e a distanza di tempo dimostrargli il suo supporto era diventato sempre più importante. Gliel'aveva detto, in fondo: non l'avrebbe lasciato solo. « Vado a prendere un'altra pomata e qualche benda, torno subito ». Maeve annuì distratta, mentre la ragazza si allontanava e, con suo immenso piacere, fece cenno alle altre due di seguirla. Le sembrò che l'aria si facesse più leggera, e tirò un sospiro di sollievo. « Che diavolo ti è preso, si può sapere? » la voce bassa di Cain la fece voltare di scatto in sua direzione, e ci mise qualche secondo ad articolare la sua domanda. « In - In che senso? » chiese di rimando, sollevando un sopracciglio: non capiva a quale situazione si stesse riferendo. « Perché non hai parato quel colpo? ». Maeve si morse il labbro, alla ricerca di una mezza verità da rifilargli. Perché, ovviamente, non era il caso di dire che fosse molto preoccupata per il futuro del suo paese ed era da settimane che non riusciva a chiudere occhio nella speranza di trovare una soluzione a quella che sembrava il principio di una guerra inevitabile e crudele. « Ho le braccine esili » esclamò, tendendole verso di lui. In effetti, lei puntava molto di più sulla velocità e il predire le mosse altrui piuttosto che sulla forza bruta, senza contare che se avesse iniziato a mettere su massa muscolare sulle braccia e sulle spalle sua madre si sarebbe insospettita. Il corpo di una principessa deve essere delicato e fragile, come una farfalla. Glielo ripeteva spesso, e più glielo diceva più desiderava di possedere dei muscoli da far invidia anche all'eroe stesso. « E tu non sai contenerti » aggiunse, facendogli una linguaccia, « Non hai pietà neanche per una povera matricola come me ». Fare la parte dell'ingenua, quando si trattava di Dawn, le riusciva difficile, ma era necessario. Sapeva che non era lui a dover andarci piano, ma lei a dover rafforzare le sue difese. La ragazza prese a fissarsi le punte degli stivali, mentre il silenzio calava tra di loro. Maeve amava il silenzio: alludeva alla concentrazione, al conforto, all'autorità, a quando due persone erano talmente a loro agio che non sentivano il bisogno di parlare di continuo. Eppure, in quel momento voleva riempirlo. Continuava a pensare a quelle due ragazze e alle loro risatine di scherno. Lui cosa provava? Il suo popolo gli faceva ribrezzo, gli provocava rabbia? Com'era stata la sua vita fino a quel momento? Tante domande alle quali, già lo sapeva, Cain non avrebbe risposto. « Come ti trovi qui? » domandò alla fine, tornando a guardarlo. Stavolta non aveva tirato fuori un argomento di conversazione a caso giusto per entrarci in confidenza: voleva saperlo davvero, le importava. « Ti piace Xanturion? L'hai mai vista? » sapeva già la risposta, e sapeva anche chi era stato ad incatenarlo in un luogo dal quale avrebbe voluto scappare. « Non sono mai stata in Erethos, ma penso che qui sia completamente diverso ». I suoi occhi raccontavano storie che non le era permesso sapere. Manaar, quanto avrebbe voluto che quel peso potesse alleggerirsi.

    « Parlato » || - Pensato -

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    Edited by altäir - 11/5/2021, 00:24
     
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    Cain di certo non era noto per la sua pazienza. Al secondo rifiuto di andare in infermeria già si potevano notare un paio di venuzze pulsargli sulla tempia destra, il terzo "no" era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Senza troppi complimenti aveva afferrato la povera Dawn per il polso, trascinandola di peso attraverso l'accampamento.
    « Finiscila con tutte queste storie! », tuonò, cercando di svincolarla da quel maledetto palo a cui si era aggrappata.
    Se si fosse trattato di due bambini la scena avrebbe strappato sicuramente un sorriso divertito ai passanti che assistevano alla scena, peccato che i due interessati avessero più o meno la stessa età e fossero entrambi giovani adulti. Qualcuno li osservava con aria preoccupata, probabilmente indeciso se intervenire o meno, mentre altri scuotevano il capo, chiaramente esasperati.
    Quel patetico teatrino vide la sua fine quando Dawn, ormai giunta davanti alla porta dell'infermeria, accettò il suo destino. Non fecero in tempo a fare neanche un passo all'interno dell'edificio che una giovane infermiera li accolse, indicando a Dawn una panca dove accomodarsi per essere medicata.
    Cain, del canto suo, si appoggiò contro il muro, braccia incrociate al petto e sguardo perso in un punto indefinito del pavimento in legno. Aveva ancora il cuore che gli batteva forte e la cosa lo confondeva. Certo, aveva avuto paura di averle fatto del male, ma al tempo stesso aveva fiducia nelle proprie capacità: dopotutto era nato con la spada in mano. Allora perché il suo cuore batteva così forte?
    Si voltò, puntando lo sguardo su quello di Dawn, in quel momento impegnata a sorridere all'infermiera. Per un attimo, ma solo per un attimo, quei grandi occhioni verdi dalle lunghe ciglia gli tornarono alla mente. Erano normalissimi occhi verdi eppure... erano così belli. Che diavolo stai dicendo, Cain? Si chiese, sorpreso dai suoi stessi pensieri. Scosse il capo, come a cercare di gettare via dalla sua mente quella frase. Respirò profondamente, pensando che forse darsi un occhiata attorno l'avrebbe aiutato a cambiare aria. In effetti sì, lo aiutò, ma non positivamente: dall'altra parte della stanza una coppia di infermiere parlavano tra di loro sussurrando l'una all'orecchio dell'altra. Avevano un atteggiamento ambiguo che, purtroppo, da quando soggiornava a Thyandul, aveva imparato a riconoscere fin troppo bene. Ogni tanto gli lanciavano uno sguardo, incuranti del fatto che Cain stesso le stesse osservando, spettegolando con una mano davanti al viso, come sperando che quell'unico gesto celasse le loro vere intenzioni.
    Sentì lo stomaco rivoltarsi come un calzino, mentre le sopracciglia si aggrottavano e le mani, ancora conserte al petto, si stringevano a pugno. Scosse il capo, imponendosi mentalmente di non dare peso a quel branco di oche: era cosciente di non essere ben accetto e ogni giorno, qualcuno, a modo suo, glielo ricordava, sempre con atteggiamenti da pusillanime. Mai uno che gli avesse detto chiaramente in faccia cosa pensava.
    Rivolse quindi la sua attenzione a Dawn, restando qualche istante ad osservarla in silenzio. Sono stato fortunato, disse fra se e se, abbozzando un lieve sorriso. Dawn sembrava davvero l'unica persona a vederlo come un essere umano, e non come una bestia da tenere sotto controllo.
    Quando la giovane infermiera si allontanò, Cain ne approfittò per prendere la parola, parlando a Dawn con lo sguardo duro di uno che non scherza.
    « Cosa diavolo ti è preso, si può sapere? », chiese.
    « Perché non hai parato quel colpo? », aggiunse poi, rendendo più chiara la domanda. La risposta che ricevette dalla compagna lo irritò non poco. Diede la colpa alle sua braccia esili e a lui, che, a quanto pare, non era riuscito a contenersi. Rimase ad osservarla in silenzio per qualche istante, sentendo dentro il tremendo impulso di mostrarle chiaramente cosa significava per lui il "non contenersi". Per fortuna non aveva alcuna intenzione di farle del male, anzi, il suo intento era esattamente l'opposto: proteggerla e fare in modo che lei stessa imparasse a proteggersi. Durante tutta la sua carriera da militare aveva perso innumerevoli commilitoni, non voleva perdere anche lei.
    « Dawn... », fece, il tono era serio ma al contempo angosciato: ricordava molto quello di un padre in procinto da dare una lezione di vita ad un figlio « ...la guerra non ha pietà per nessuno. ».
    Si vedeva che quella benedetta ragazzina non aveva alcuna esperienza in materia di guerra, e la cosa, se possibile, lo impensieriva sempre di più. Per un attimo, ma solo per un attimo, si chiese se davvero valesse la pena starle accanto. E se anche lei avesse fatto la stessa fine dei suoi precedenti compagni? Se anche lei non si fosse allenata a dovere e fosse... morta in battaglia? Stare assieme a lei, affezionarsi, gli avrebbe portato solo enormi problemi. La sua testa glielo urlava, ma era come se qualcosa gli tenesse le orecchie tappate e non gli permettesse di sentire quelle grida disperate. La sua testa sapeva, ma il suo cuore non voleva sentire ragioni.
    Uno spiacevole silenzio riempì l'infermeria, rendendo improvvisamente l'atmosfera tesa. Solitamente preferiva il silenzio alle chiacchiere inutili ma in quel caso sentiva un particolare disagio. Per sua fortuna Dawn provò a iniziare una conversazione, ponendo una domanda tanto classica quanto inopportuna, almeno per Cain che era segregato in quel luogo da più di un mese. Cain ridacchiò al suo "Come ti trovi?", una risata triste a dirla tutta « Come un uccello in gabbia. », rispose, senza peli sulla lingua. Non portò avanti il discorso, né spiegò il motivo di quella risposta secca e distante. Non era una conversazione che lo metteva particolarmente a suo agio.
    Di nuovo, quella macchinetta di Dawn, se ne uscì con una domanda che questa volta prese Cain piuttosto alla sprovvista. Gli stava chiedendo se aveva mai avuto l'opportunità di visitare la Xanturion, la capitale. Il ragazzo ci pensò su, ragionando sul fatto che il giorno in cui era stato trascinato al castello come prigioniero di guerra e quello dell'impiccagione non contassero come "visite alla città".
    « Diciamo solo che non ho mai avuto l'opportunità di vederla come avrei voluto. », fece, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso, anche se da ridere c'era ben poco.
    « Allora ti ci porterò io! »
    A quell'affermazione spalancò gli occhi e le labbra in un espressione tra lo sconcertato e il dubbioso. Avrebbe voluto chiederle "stai scherzando, spero?", ma quel caldo sorriso gli suggeriva che, no, non stava affatto scherzando.
    Un tiepido calore gli scaldò il petto. Il solo pensiero che lo avesse detto, per quanto fosse impossibile, lo rendeva felice.
    « Mi ci porterai? », chiese, mentre un ghigno divertito si faceva spazio sulle sue labbra « Tu? », continuò, ridacchiando « Ma fammi il piacere. ».
    « La parola "prigioniero di guerra" ti dice niente? », chiese, alludendo al fatto che, appunto, essendo un clandestino e perdi più ricercato, non fosse per lui particolarmente facile uscire dalle mura dell'accampamento. L'ultima volta che ci aveva provato era finita piuttosto male, con una scazzottata fra lui e un paio di guardie. Per non parlare poi del maledetto sigillo che portava nel petto. In un movimento istintivo portò la mano alla camicia, stringendo il tessuto nella parte sinistra del petto, dove la runa risiedeva e lo teneva silenziosamente stretto tra le sue catene invisibili.
    « Non posso uscire dall'accampamento a mio piacimento, tanto meno per fare una passeggiata nella capitale. »
    THEY SAY THAT I MUST LEARN TO KILL BEFORE I CAN FEEL SAFE, BUT I, I'D RATHER KILL MYSELF THAN TURN INTO THEIR SLAVE.
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    Edited by rhænys` - 24/3/2020, 15:09
     
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    « I woke up stronger than ever Driven by big waves of fire To run and yell all the way "Nothing can hurt me today" »
    Dalla fatidica chiacchierata in scuderia, Maeve si era resa conto che tratteneva il respiro ogni volta che Cain la chiamava per nome - cioè, quello fasullo, ecco. Faceva sempre caso a come lo diceva, che tono utilizzava, come la guardava quando lo faceva. Spesso era per rimproverarla durante gli allenamenti, qualche volta perché gli faceva perdere la pazienza, altre volte - più rare - per elogiarla. Sorrideva anche, ma non troppo spesso. Stavolta no, non lo fece, e notò come quel "Dawn" fosse quasi addolorato, grave. « ...la guerra non ha pietà per nessuno. » La ragazza, a quelle parole, si fece scappare un sorrisetto triste e abbassò lentamente lo sguardo sul pavimento. Se la avesse avuta, non si sarebbe portata via suo fratello, il centro del suo mondo. Avrebbe avuto pietà per un'anima gentile e generosa come la sua, ma la guerra era spietata. Se così non fosse stato, non l'avrebbe fatto morire davanti ai suoi occhi. Cain aveva ragione, e un senso di nausea momentaneo le salì per la gola. Aveva ancora poco tempo per migliorarsi ed evitare che i suoi compagni facessero la fine di Dominic, non voleva perderli come aveva perso lui, nel bel mezzo di un combattimento perché troppo debole per cavarsela da sola.
    Alla sua domanda, Cain si fece sfuggire una risata, ma non di gioia. Sapeva che Thyandul, per lui, era alla stregua di una prigione, e chissà quanto odiava quel regno, suo padre... lei. Chissà come avrebbe reagito se avesse saputo che una delle persone che più non sopportava era proprio davanti a lui. Non sarebbero mai riusciti a parlare civilmente se non fosse stato per Dawn. « Come un uccello in gabbia. » la sua risposta non la sorprese, se lo aspettava d'altronde, ma fece male. Come dargli torto, dopotutto? Il ragazzo non aggiunse altro, e ciò contribuì all'ammassarsi di pensieri negativi nella sua testa. Più lo osservava, più capiva che non si sarebbe mai sentito a casa, lì. Non importava quanto bella fosse la regione di Thyandul, né quanto si aprisse con Dawn. Una volta finiti gli allenamenti, nella sua tenda, era da solo, e sempre da solo avrebbe dovuto combattere l'astio che il suo popolo provava nei suoi confronti. E la colpa era anche sua, la prima ad avergli detto che lui era suo nemico. Già, quel ragazzo che la stava aiutando ad allenarsi nella scherma e che non voleva rimanere da solo.
    Alla domanda seguente, Cain rispose che non aveva visto Xanturion, e a quella rivelazione raddrizzò la schiena e tentò di sorridere nel modo più allegro possibile. Dawn lo avrebbe fatto, perché non sapeva cosa si nascondeva dietro quelle parole. « Allora ti ci porterò io! » esclamò, ed il ragazzo sembrò stupito da tale affermazione. « Mi ci porterai? » fece, e lei annuì convinta. « Tu? » continuò, e la ragazza sospirò, serrando le labbra. « Sì, io » confermò, appoggiando la schiena al muro e incrociando le braccia sul petto. « Non ti fidi? », « La parola "prigioniero di guerra" ti dice niente? ». Maeve fece spallucce, quando ad ogni parola che pronunciava le sembrava di riuscire a percepire il suo dolore. « Basterà un mantello » si sporse in avanti con il busto, lui ancora non del tutto convinto. La ragazza non poté fare a meno di notare la mano di lui che saliva lungo il busto, per poi fermarsi all'altezza del petto, precisamente sul lato sinistro. Il lato del cuore, quello dove la runa, simbolo dell'incantesimo che gli aveva posto appena arrivato, era tatuata. D'un tratto si sentì mancare l'aria, e dovette spostare il suo sguardo altrove. Non riusciva a sostenere quella visione. Era colpa sua se si sentiva così, e mai come in quel momento prendere le sembianze di Dawn le parve una pessima idea. Avrebbe voluto aiutarlo, ma come, se lei stessa aveva fatto in modo che lui si sentisse perennemente sotto osservazione e in libertà vigilata? In che modo, con una guerra alle porte? Sembrava non ci si potesse godere un solo momento di pace. Riportò l'attenzione su di lui, attenta a non farsi notare, e sembrava celare una sofferenza senza confini. Si chiese da quando le importasse così tanto di lui, perché le sue intenzioni iniziali non erano quelle di affezionarsi così tanto all'eroe. Eppure, ora, ogni volta che i loro sguardi si incrociavano sperava che nascesse un sorriso sul suo volto. Voleva che si sentisse un po' più leggero, un po' più a suo agio, un po' meglio. « Il segreto è non farsi beccare dalle guardie » gli rispose, e si fece scappare un sorriso sghembo, « Ti mostrerò come si fa » ridacchiò di nuovo, sperando che non notasse che si stesse sforzando un sacco a combattere la tristezza e il nervosismo che la pervadeva. Magari una serata passata a non pensare a nulla se non a svagarsi lo avrebbe aiutato un po'. Quando si sentiva sopraffatta dalle responsabilità e giù di morale, Maeve si recava al tempio oppure, appunto, in città, giù a valle. Xanturion, con la sua vivacità e la sua bellezza, non poteva non far dimenticare ogni pensiero.
    « La prossima settimana c'è anche una festa! » esultò, stavolta senza fingere alcun sorriso. Adorava le feste a valle: si ballava, si mangiava, c'erano un sacco di bancarelle e si riusciva sempre a fare amicizia con qualcuno. Quando Dominic era ancora vivo ci andavano spesso insieme, ma da quando i suoi doveri di principessa e sacerdotessa si erano accavallati aveva avuto sempre meno occasioni di sgattaiolare fuori dal castello. Lo guardò di nuovo mentre sorrideva in sua direzione, sperando gli sorridesse a sua volta - ma non ci avrebbe scommesso. Lo sguardo le cadde poi, involontariamente, sulle sue braccia, grandi almeno il doppio delle sue. « Da quanto ti alleni con la spada? » chiese, saltando ad un altro argomento ancora. Aveva già notato quanto fosse muscoloso e sapeva anche quanta forza possedesse - all'incirca, perché non era davvero convinta che con lei usasse tutto il suo potenziale. A meno che non volesse spaccarle la testa in due, certo, in quel caso avrebbe assaggiato la sua vera forza. « Sai usare anche altre armi? » seppur non ne sapesse molto, Maeve era davvero interessata a questo mondo, e nonostante ci fosse dentro le sembrava ancora molto fuori dalla sua portata. « E chi è stato il tuo insegnante? Perché sì, insomma, sei una forza ».

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    « Basterà un mantello. »
    In un movimento quasi involontario gli occhi di Cain rotearono al cielo. Se fosse bastato veramente solo un mantello in quel momento si sarebbe trovato dappertutto tranne che in quella maledettissima gabbia di accampamento. Si trattenne dal commentare, limitandosi a sostenere lo sguardo della compagna e ad ascoltare il suo discorso. Non riuscì a non lasciarsi sfuggire una risata di scherno al suo "ti mostrerò come si fa", riferito all'eludere le guardie. La conosceva poco, questo è certo, ma tutto sembrava fuorché una tipa furtiva: già se la immaginava a venire scoperta e ad attaccare bottone con le guardie... sì, sarebbe stato proprio da lei. Il solo pensare a quella scena gli stimolò la sfuggita di una sommessa risata, che però si affrettò a prontamente nascondere con una schiarita di gola.
    Tornò a rivolgere la propria attenzione su Dawn, constatando che il suo discorso stava prendo una piega veramente insensata. Non solo farneticava di portarlo fuori dall'accampamento, in più sembrava avere intenzione di trascinarlo ad una festa. Esatto, proprio una festa: un luogo pieno di persone dove chiunque avrebbe potuto riconoscerlo, insomma, il luogo perfetto in cui condurre un fuggitivo.
    Scosse il capo, imponendosi mentalmente di lasciarla fare: sapeva che quelle di Dawn erano solo parole di cortesia, buttate al vento. Nessuno sarebbe stato così stupido da "accompagnare" un prigioniero di guerra, potenzialmente pericoloso, verso la libertà, tanto meno un soldato di rango basso come Dawn. Rischiava grosso anche solo a rivolgergli la parola, non osava immaginare a cosa sarebbe andata incontro se l'avessero scoperta a complottare un'uscita di gruppo col ricercato di turno.
    Improvvisamente incrociò lo sguardo con quello di Dawn, rimanendo stregato, nel vero senso della parola, da quel sorriso. Le sottili labbra della compagna erano sempre incurvate nel dipingere un'espressione di genuina felicità: sotto certi aspetti la invidiava, lui non aveva mai avuto la sua spontaneità e naturalezza, probabilmente nemmeno da bambino. Si era sempre trascinato dietro quella corazza di freddezza che tutt'ora lo caratterizzava: lo faceva sentire protetto, come se nessuno avesse potuto ferirlo.
    Di punto in bianco la vocina squillante di Dawn lo riportò alla realtà.
    « Da quanto ti alleni con la spada? »
    In un primo momento Cain fu costretto a pensarci, le sopracciglia aggrottate e una mano sul mento con fare assorto.
    « Mi alleno da sempre, o almeno da quando mi ricordo. »
    Facendo mente locale in effetti era stato trasferito nel campo militare pochi anni dopo la nascita, forse cinque, sei anni. I primi tempi, ricordava, erano stati molto difficili. Nonostante la giovane età veniva sottoposto ad allenamenti estenuanti, e al primo capriccio partivano le peggio punizioni. Al solo pensiero un brivido gli corse lungo la schiena, provocandogli un'evidente pelle d'oca: meglio lasciare certi ricordi nel dimenticatoio, va.
    Nel frattempo Dawn aveva proseguito a riempirlo di domande.
    « E chi è stato il tuo insegnante? Perché sì, insomma, sei una forza. »
    ...Sei una forza.
    « Come hai detto? »
    Quelle parole scatenarono in Cain una reazione del tutto inaspettata. Percepì il viso avvampare, sentendo inaspettatamente il bisogno di distogliere lo sguardo da quello della compagna.
    Non capiva cosa gli stava accadendo, ma di una cosa era certo: Dawn si stava complimentando con lui, e di questo era dannatamente felice.
    Per anni aveva sognato che suo padre si accorgesse dei suoi sacrifici. Gli sarebbe bastata una semplice pacca sulla spalla o anche solo un sorriso, ma niente, più si distruggeva più lo sguardo del padre lo feriva con la sua gelida indifferenza. Fino a pochi anni prima avrebbe dato la vita per sentire pronunciare quelle parole da Greil, ora che le aveva finalmente udite, seppur pronunciate da una persona differente, si sentiva ugualmente appagato.
    La giovane infermiera che fino a poco prima aveva medicato Dawn apparì svelta da dietro una tenda, trasportando alcune bende e un medicinale in bottiglia. Senza troppi complimenti si posizionò accanto a Dawn, riprendendo con la medicazione.
    Cain ringraziò mentalmente il suo arrivo: grazie a lei si era risparmiato spiegazioni inutili e imbarazzanti sul suo comportamento. Anche perché, seriamente, non capiva il motivo per cui quel maledettissimo giorno non riuscisse a comportarsi normalmente. Era come se, per qualche motivo, il suo corpo agisse di testa sua, permettendogli solo in ritardo di capire cosa realmente stava accadendo.
    Respirò profondamente, rompendo il denso silenzio che era calato sull'infermeria. Confuso, lanciò una rapida occhiata a Dawn, mentre una domanda continuava a riproporsi e a rimbombare nella sua mente: Cosa diavolo mi sta succedendo?

    ⋘ ⋙

    Negli ultimi giorni Dawn aveva cominciato a fare discorsi ancora più strani del solito. Diceva di sentirsi in debito con Cain e di volere a sua volta ricambiare i suoi insegnamenti. Nonostante il giovane principe le avesse ripetuto più e più volte di non volere niente in cambio, lei insisteva. Perciò, alla fine, al limite della sopportazione, si era ritrovato ad accettare, ritrovandosi nel bel mezzo di una lezione di arco.
    Dopo la serie di domande poste in infermeria riguardo il discorso "armi" - alle quali, sul momento, Cain non aveva risposto - lo stesso argomento era tornato fuori in seguito, durante un allenamento. Dawn, aveva quindi ricevuto le sue tanto bramate risposte, intuendo che l'abilità di Cain andavano ben oltre all'uso della spada. Infatti era stato addestrato all'utilizzo di asce, lance e qualsiasi altra arma da combattimento ravvicinato, persino il corpo a corpo. In fine era giunta alla conclusione che le armi a distanza non fossero mai state per lui particolare oggetto di interesse.
    Perciò, eccolo lì, a squadrare un arco con aria dubbiosa mentre Dawn sistemava il campo di tiro.
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    Cain non le credeva, era palese, e non faceva neanche nulla per nasconderlo. Anzi, vide chiaramente come alzò gli occhi al cielo e riuscì ugualmente a sentire la risatina sprezzante che trattenne a stento appena lei finì di parlare. Per tutta risposta, Maeve si limitò ad alzare un sopracciglio, in silenzio, spostando lo sguardo dal ragazzo ad un tavolino al suo fianco, dove stavano diversi intrugli dai più disparati colori, tutti racchiusi in boccette di vetro e quasi finiti, per la maggior parte. Se solo avesse saputo la verità non avrebbe riso tanto. Se Cain fosse venuto a conoscenza della sua vera identità, del fatto che la principessa sapesse come eludere la sorveglianza per recarsi in città era la stessa che lui aveva chiamato strega, che l'aveva rinchiuso in un luogo a lui estraneo, allora no, non avrebbe riso affatto. Lo guardò di sottecchi per qualche secondo, giusto il tempo di studiare l'elsa della spada che aveva sempre al suo fianco per poi risalire sul busto e le braccia conserte, soffermandocisi inevitabilmente, per poi alzare finalmente lo sguardo, incrociando quello stoico di lui. Gli sorrise, istintivamente, mentre ascoltava la risposta alla domanda che gli aveva posto. « Mi alleno da sempre, o almeno da quando mi ricordo. ». Maeve strabuzzò gli occhi, tentando di nasconderlo approfittando dello sguardo di Cain non fisso su di lei, ma pensieroso, perso in chissà quale angolo dell'infermeria. Da quel che ricordava, neanche Dominic aveva cominciato così giovane, ma l'esperienza dell'ex generale delle truppe di Greil era evidente: sapeva maneggiare perfettamente la spada, sembrava saper leggere nel pensiero dei suoi compagni per anticipare le loro mosse durante gli allenamenti, non compieva movimenti superflui e i risultati delle sue battaglie le portava impresse nella pelle e nello sguardo, pesante, come quello di un soldato che ne aveva passate di tutti i colori. Era giovane, ma pareva avere secoli di esperienza alle spalle. Significava che era nato praticamente con una spada in mano, e le venne spontaneo chiedersi se fosse riuscito a godersi un minimo di libertà prima di scoprire la crudeltà della battaglia. « Come hai detto? ». Maeve lo guardò interrogativa, chiedendosi se davvero non avesse sentito, per poi ridere quando lo vide spostare lo sguardo d'improvviso. « Sei una forza! » ripeté, stavolta più forte, e rise di nuovo. Forse si sbagliava, ma le parve di notare che le sue guance fossero leggermente rosse, e sorrise in sua direzione, anche se lui non poteva saperlo, impegnato com'era a nascondersi. Se aveva avuto una reazione del genere ad un complimento, forse significava che non era abituato a riceverne. Visto il tipo pensava il contrario: insomma, era un generale, un elemento importante dell'esercito, il figlio del re. Chi non avrebbe dovuto tessere le sue lodi? Anche solo per il suo aspetto fisico se ne meritava, di apprezzamenti. Trovò quel lato, in qualche modo, tenero ed inaspettato, e si crogiolò nell'imbarazzo di Cain fino a quando non arrivò l'infermiera che li aveva fatti accomodare - stavolta da sola - che si scusò subito per averci messo tanto. A dirla tutta, le sembrava fossero passati pochi minuti, quindi fece subito per tranquillizzarla, fino a quando la ragazza non le passò una pomata particolarmente fastidiosa sulla ferita fresca e Maeve sobbalzò, le parole che le morirono in gola per il bruciore. « Non è niente! » disse all'istante per tranquillizzare l'altra, ma in verità pensava che con la magia bianca avrebbe risolto il tutto in minor tempo e con meno dolore. La ragazza ultimò l'impacco in men che non si dica, ultimando la medicazione con una benda alquanto vistosa - fin troppo, vista la gravità del taglio - ma la ringraziò sentitamente fino a quando non uscirono dalla tenda. Se lo toccò piano, appoggiando una mano sullo zigomo, immaginando la reazione della madre se avesse potuto vederla in quel momento. Forse avrebbe avuto un mancamento, oppure sarebbe andata su tutte le furie. O magari sarebbe andata su tutte le furie e poi avrebbe avuto un mancamento. « Pronto per ricominciare? » domandò a Cain una volta raggiunto, visto che l'aveva bellamente superata per raggiungere il campo di allenamento. « Stavolta non riuscirai neanche a sfiorarmi. » fece, superandolo di qualche passo a sua volta e voltandosi verso di lui, le braccia incrociate al petto ad imitare la sua posizione in infermeria, e ridacchiò. Le rimaneva poco tempo prima che la campana del pranzo suonasse.

    • • •

    Finalmente, per grazia di Manaar, Cain aveva accettato di allenarsi con l'arco in sua compagnia, una delle poche armi che non sapeva maneggiare tanto sapientemente quanto la spada ─ anche se aveva già potuto ammirare la sua bravura nell'ascia e nel corpo a corpo durante gli ultimi allenamenti. Mentre posizionava un bersaglio su un cumulo di fieno, rubacchiato alla postazione degli arcieri in un momento morto, in un assolato pomeriggio primaverile, le tornò in mente come, stufo delle sue continue richieste, Cain avesse accettato di imbracciare un'arma verso la quale non aveva mai provato chissà quale interesse, e un sorrisetto nacque spontaneo sulle sue labbra: abbandonare la sua fedele spada doveva essere difficile, soprattutto se a chiederlo era una ragazzina insistente. Si allontanò dalla postazione, per controllare che il bersaglio fosse messo bene, e cominciò a mettersi le protezioni - una all'altezza dell'avambraccio, una per il petto e l'ultima per le dita della mano che tendeva la corda. Le aveva prese al mercato a valle anni or sono, in una delle sue tante scappatelle, e le aveva affidate ad Anita, con la quale si esercitava nel tiro con l'arco appena possibile. Si sedette all'ombra di un albero lì vicino mentre tirava i lacci del bracciale, accanto ad un paio di archi ed altre protezioni per Cain che aveva, come il bersaglio, preso in prestito dagli arcieri. Quell'allenamento non poteva durare più di un'ora, perché avrebbe dovuto ritornare tutto ai rispettivi proprietari prima che loro si accorgessero che mancavano giusto un paio di oggetti alla loro postazione. Purtroppo, non avendo un arco suo - l'ultimo si era rotto e doveva ancora sostituirlo - era costretta a chiedere agli arcieri dell'esercito di prestargliene uno - o, come in questo caso, non chiederglielo affatto e pregare che non lo venissero a sapere. Cain, che l'aveva osservata fino a quel momento con aria visibilmente dubbiosa, gli stava accanto, squadrando prima l'arco, poi il poligono di tiro, poi lei, in successione. « Vedi se c'è qualche protezione che ti va, purtroppo non sono riuscita a prenderne altre » gli disse, indicandogli l'equipaggiamento ai piedi dell'albero, mentre lei finiva di allacciarsi la protezione all'altezza del petto. Aveva preso alcuni oggetti a caso, senza misurarli, basandosi su un'altra unità di misura: era grosso almeno il doppio di lei, quindi qualsiasi protezione che sembrava poter contenere due braccia di Maeve o il doppio del suo busto sarebbe andata bene. Diede un'ultima sistemata al bersaglio, assicurandosi che fosse stabile, infilato in una massa di fieno destinata ai cavalli - i quali nitrivano che era una meraviglia, riusciva a sentirli - e si avvicinò di nuovo a Cain, un sorriso che andava da un orecchio ad un altro. « Pronto? » fece, mettendosi le mani sui fianchi. Era così che ci si sentiva ad insegnare a qualcuno a maneggiare un'arma? Infinitamente potente e sconfinatamente superiore a tutti i presenti - solo Cain, in quel caso? Alzò l'indice a simboleggiare il numero uno vicino al suo viso, senza aspettarsi una vera e propria risposta da parte del ragazzo, che era tutto tranne che impaziente di cominciare. « Per cominciare, bisogna determinare l'occhio dominante. » spiegò, e puntò lo stesso dito verso il bersaglio davanti a loro. « Tieni lo sguardo fisso su un punto e copri prima un occhio », e gli fece vedere come faceva, portando il palmo della mano libera sull'occhio destro, « e poi l'altro. Il dito si sposta in una visuale, giusto? L'altro è il tuo occhio dominante. » ultimò la spiegazione, e quando si accertò che Cain avesse capito prese il suo arco da terra e porse l'altro al ragazzo, che lo afferrò come se non ne avesse mai visto uno prima di allora. Maeve si ritrovò costretta a nascondere una risatina, perché essere più brava di lui in qualcosa era un evento più unico che raro. « Non c'era neanche una protezione per l'avambraccio che ti stesse bene? » domandò, quando era sul punto di spiegargli come si incoccava una freccia. La risposta di Cain le fece capire che no, non ne avrebbe messa una, e la ragazza alzò gli occhi al cielo. « Guarda che ti farai male » sospirò, ma a quanto pareva lui avrebbe fatto comunque di testa sua. Beh, affari suoi, non doveva venire a piangere da lei una volta finito. « Corpo perpendicolare al bersaglio, piedi alla larghezza delle spalle, arco nella mano non dominante » spiegò velocemente, mostrandogli la posizione corretta assumendola lei stessa, con la spalla sinistra verso il bersaglio. Gli passò una freccia dalla faretra che aveva sulla schiena appena finì di posizionarsi, e si avvicinò per aiutarlo ad incoccarla. « Metti la freccia in questo modo, sì, e tienila così » fece segno a Cain di replicare i suoi movimenti, mentre lei lo osservava da vicino per fargli notare eventuali errori. Lo guardò di sottecchi mentre cercava di correggere la presa sulla freccia, e sembrava ad un passo dal mollare tutto. Non capiva se fosse confuso, o spazientito, o tutto insieme, ma la cosa la fece sorridere, contenta che, nonostante tutto, fosse lì a litigare con un arco vicino a lei. Non pensava avrebbe mai accettato, doveva essere sincera: Cain era una persona difficile e testarda, e aveva messo subito in chiaro il fatto che non fosse interessato al combattimento a distanza, quando al contrario Maeve si era avvicinato prima a quello e, successivamente, aveva provato l'ebrezza della scherma. Forse aveva insistito troppo per insegnargli a tirare con l'arco, ma era sicura di poter ricambiare tutti gli sforzi che lui stava facendo per aiutarla a migliorare nell'arte della spada. « Ora tendi la corda fino al punto di ancoraggio, miri e » Maeve incoccò la freccia a sua volta, tese la corda e alzò l'arco, mirando al bersaglio, e dopo qualche secondo scoccò la freccia, che finì poco lontano dal centro - che fortuna, doveva ammetterlo, uno dei suoi tiri migliori, e proprio davanti a Cain! « rilasci ». Forse glielo aveva fatto sembrare più semplice di quel che era, ma era sicura che sarebbe riuscita a farlo. Era un portento, aveva un talento innato per qualsiasi arma, ma a vedere a come si destreggiava con arco e frecce... Beh, forse esisteva davvero una disciplina militare in cui lei avrebbe potuto insegnargli qualcosa. Non sghignazzare sarebbe stato difficile, e già sentiva dolore all'altezza dello stomaco per le risate che aveva trattenuto fino a quel momento, ma aveva il presentimento che non sarebbero state le uniche.

    « Parlato » || - Pensato -

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    Edited by altäir - 10/4/2020, 10:42
     
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    Che problemi ha questo guanto? Si chiese, dubbioso, rigirandosi tra le mani quello che, appunto, pareva un guanto, ma con dita mancanti. Senza pensarci troppo lo ricacciò dentro la scatola, tornando a rovistare in quel ciarpame. Ne estrasse altri, di differente colore e grandezza, constatando con sua grande sorpresa che quella forma peculiare si ripeteva. Lanciò un'occhiata perplessa a Dawn, impegnata a legarsi ben strette le protezioni. Possedeva due tipologie di guanti, uno intero e l'altro con alcune dita mancanti, in particolar modo l'anulare e il mignolo. Spostando lo sguardo sul guanto sgualcito tra le sue mani si chiese il perché di quella strana forma; insomma, non bastavano due guanti interi? Che bisogno c'era di tagliarne uno a metà? Confuso, decise di non porsi troppe domande, cominciando a indossare le protezioni - avendo non poche difficoltà a trovare il verso giusto del guanto da arciere a dirla tutta. Arrivato il turno del copri-avambraccio si rese conto che qualcosa non andava. Le cinghie di chiusura erano troppo corte, riusciva a malapena a far toccare le due estremità, figuriamoci a infilare l'ardiglione della fibbia nei fori. Si strinse nelle spalle, lanciando la protezione nella scatola senza troppi complimenti - per giunta mancandola. Dopotutto era da sempre abituato ad avere a che fare con armi ben più pericolose di un arco, cosa mai sarebbe potuto succedergli?
    « Pronto? »
    « Non sto nella pelle. », rispose con evidente sarcasmo.
    In realtà, pensò, osservandola sollevare un dito all'altezza del viso, era curioso di vedere come se la sarebbe cavata. Per non parlare poi del fatto che gli facesse veramente piacere vedere quell'espressione sul suo viso. Sembrava estremamente soddisfatta, come se stesse realizzando il sogno di una vita.
    Ascoltò in silenzio la spiegazione sull'occhio dominante, eseguendo le mosse che Dawn gli suggeriva. Allungò il braccio, puntando lo sguardo sul centro del bersaglio davanti a sé e chiuse l'occhio sinistro. Nulla, la visuale non cambiava. Chiuse l'altro occhio e... bingo! Quasi magicamente la punta del dito si spostò di lato, permettendogli di vedere il cerchio rosso del bersaglio prima nascosto alla vista. Incredulo, ci riprovò un paio di volte, prima con un occhio, poi con l'altro, constatando dopo il terzo o forse quarto tentativo che il suo occhio dominante era effettivamente il destro. Osservandosi le mani si chiese se il fatto di essere destrorso centrasse qualcosa con quella storia, ma non fece in tempo a porre la domanda che Dawn gli rivolse uno sguardo preoccupato, interpellandolo.
    « Non c'era neanche una protezione per l'avambraccio che ti stesse bene? »
    In un primo momento Cain, preso dai suoi pensieri, non intuì a cosa si stesse riferendo, poi seguendo il suo sguardo capì. Parlava del copri-avambraccio, quello che aveva malamente scartato e gettato via. Al suo "guarda che ti farai male" non riuscì a non lasciarsi sfuggire una risata di scherno.
    « Non saranno due lividi a spaventarmi. », fece, forse un po' troppo sicuro di se.
    Con sua grande sorpresa - e piacere - Dawn non insistette troppo con la questione delle protezioni, tornando a spiegare le basi del tiro con l'arco. Gli mostrò tutti i fondamenti, muovendosi piano e spiegando con parole concise, senza troppi fronzoli. Osservò tutta la successione di movenze, in silenzio, cercando di imprimerle nella propria memoria. In meno di uno schiocco di corda la freccia incoccata nell'arco di Dawn partì rapida verso il bersaglio, finendo per conficcarsi poco lontana dal cerchio rosso centrale.
    Niente male la ragazza, pensò, mentre un sopracciglio si sollevava in un'espressione di stupore mista a ammirazione.
    Senza pensarci troppo afferrò il primo arco a disposizione, prendendo posto davanti al bersaglio. Abbassò lo sguardo sui piedi, controllando che la posizione fosse giusta, per poi afferrare saldamente l'arco con la mano dell'occhio non dominante. Fin qui tutto bene, i problemi giunsero pochi secondi dopo, quando, nel tentativo di incoccare la freccia e tendere la corda, le cose presero una piega diversa... per non dire comica. Per un qualche motivo la freccia non ne voleva sapere di stare ferma, tendeva a spostarsi sempre lateralmente. Con un piccolo scatto Cain cercava di sistemare la situazione, appoggiandola al legno dell'arco, ma in quella posizione resisteva solo pochi istanti. Quella maledettissima freccia lo stava predendo per i fondelli, e la cosa lo faceva imbestialire. Abbassò l'arco, tornando alla posizione iniziale. Si disse che, forse, ripartire da capo era la scelta migliore. Controllò i piedi, afferrò l'arco, incoccò la freccia e tese la corda: questa volta sembrava andare tutto bene. Portò la corda tesa all'altezza della bocca, sentendo la resistenza farsi sempre più forte, mirò al bersaglio e... puff! Sul momento non si rese conto di ciò che stava accadendo, sentì solo un suono sordo, quasi ovattato, accompagnato da un'esplosione di polvere acre. A quanto pareva aveva tirato più del dovuto e la corda, vecchia e danneggiata, non aveva retto la tensione, rompendosi e scaraventando la freccia a pochi metri di distanza.
    Cain, del canto suo, si ritrovò ad osservare basito l'arma tra le sue mani, chiedendosi cosa diavolo fosse successo.
    « Credo sia rotto. », disse, porgendo l'arco a Dawn, notando pezzi di corda ballonzolare dagli estremi.
    Per fortuna - o forse no - la previdente Dawn aveva preso un paio di archi in più dalle riserve degli arcieri, perciò per il momento l'allenamento poteva proseguire.
    Con in braccio la nuova arma Cain tornò in posizione, controllando di essere esattamente davanti al bersaglio. Respirò profondamente, incoccò la freccia e tese la corda, lo sguardo di ghiaccio che puntava il cerchio più piccolo della meta. Ce l'avrebbe fatta, se lo sentiva dentro! Lasciò la corda e nell'esatto momento in cui la freccia partì un dolore lancinante all'avambraccio, altezza gomito, lo sorprese. Si lasciò andare a una di quelle imprecazioni che avrebbe fatto venire a meno la stessa Dea Manaar. Sentì il travolgente impulso di prendere quel maledetto arco, spaccarlo a metà e lanciarlo il più lontano possibile, ma ricordandosi della presenza di Dawn si trattenne. Doveva rimanere composto, soprattutto dopo che aveva fatto il gradasso alla richiesta di indossare le protezioni.
    Lanciò uno sguardo alla compagna, indeciso sul da farsi. Non sapeva se fosse il caso di continuare l'allenamento come nulla fosse oppure uscirne con una battuta di spirito, in ogni caso la giovane aveva visto più di quanto avrebbe dovuto.
    « Comunque non ha fatto male, era tutta scena. », si affrettò a giustificare, pur sapendo che quella fosse la scusa più stupida che potesse trovare. Dopotutto aveva agito d'impulso, cos'altro poteva dire?
    Detto questo, lanciò uno sguardo al bersaglio, constatando che la sua freccia non era andata a segno. La cercò con lo sguardo nei dintorni, lasciandosi andare a un lungo sospiro non vedendola nei paraggi.
    La presa sull'arco si fece più forte, mentre un fuoco di determinazione ardeva dentro il suo petto: ora era chiaro, odiava quella maledettissima disciplina, ma il suo orgoglio era più forte di quell'astio. Non avrebbe gettato la spugna, non senza almeno avere colpito il bersaglio una volta.
    Stoicamente riprese la posizione di base. Incoccò la freccia, tese la corda e scoccò. La freccia partì, ondeggiante, andando a conficcarsi nel terreno poco distante, ma assieme a lei, con grandissimo stupore di Cain, partì anche l'arco.
    Cain rimase qualche istante in silenzio, osservando l'arco rotolare per terra. Lanciò uno sguardo a Dawn, l'aria di uno che ha visto un fantasma, indicando con un movimento spazientito del braccio la scena appena accaduta.
    « Stai scherzando, spero! »
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    Edited by rhænys` - 19/4/2020, 18:01
     
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    Osservò Cain posizionarsi davanti al bersaglio, dove fino a qualche secondo prima c'era lei, e Maeve gli gettò un'occhiata per controllare che stesse assumendo una posizione corretta: sembrava averla ascoltata mentre gli spiegava velocemente le basi - purtroppo non avevano chissà quanto tempo prima che gli arcieri dell'esercito tornassero. Lo guardò incoccare la freccia, e non poté non notare che stava avendo qualche difficoltà a farla rimanere stabile vicino al legno dell'arco. Era un errore che faceva spesso anche lei all'inizio, e si avvicinò verso di lui per dargli un consiglio. « Prova a - » iniziò Maeve, ma si interruppe quando vide Cain abbassare l'arco in modo stizzito, per poi rimettersi in posizione.
    « Prova a tenere la freccia in modo saldo ma senza esagerare, altrimenti non rimarrà ferma ». Non sapeva se l'aveva ascoltata o meno, ma la situazione sembrava essere migliorata, perciò la ragazza sospirò piano, spostando l'attenzione da Cain al bersaglio, dove si era conficcata la freccia che aveva tirato per mostrare all'eroe come tendere l'arco. Aveva avuto fortuna, molta, perché poche volte le era capitato di andare così vicina al centro, e proprio mentre Cain la guardava! Almeno gli aveva dimostrato di non essere del tutto inesperta in ogni arma che lui gli propinava per gli allenamenti. C'era ancora tanto da migliorare, e sentiva di aver fatto dei passi avanti rispetto a qualche mese prima, ma non bastava: le sue frecce avrebbero colpito il centro del bersaglio, un giorno, e non solo per una buona dose di fortuna. Strinse l'arco tra le mani, il legno levigato leggermente caldo sotto il guanto, e lo sguardo tornò su Cain, che sembrava essere riuscito nel suo intento. Lo guardò tendere la corda, la freccia finalmente incoccata, i muscoli tesi. Non sembrava fare granché fatica, e non poté fare a meno di ricordare quanto tempo ci aveva messo a trovare un arco adatto a lei: non possedeva la prestanza fisica di un comune soldato, e prima dell'arrivo di Cain, che l'aveva messa sotto torchio, si allenava come poteva. Al suo fianco c'erano sempre stati quegli angeli di Milo e Jasper, che l'avevano aiutata a tornare in carreggiata dopo mesi di pausa dopo la scomparsa di suo fratello, e non si erano fermati davanti ai pregiudizi che la maggior parte degli uomini avevano nei confronti delle donne dell'esercito ─ le donzelle dovevano starsene a casa, perché oltre a badare ad una famiglia, cos'altro erano capaci a fare? Quando si era camuffata da maschio, ambientarsi era stato molto più semplice: non facevano altro che schernirla sulla delicatezza dei suoi lineamenti o quanto fosse poco virile, ma nessuno aveva mai messo in dubbio la sua capacità di poter tenere una spada in mano. Nascere uomo in un sistema patriarcale doveva proprio essere una benedizione. Tornò coi piedi per terra, sbattendo le palpebre un paio di volte per tornare a focalizzarsi sull'arciere in erba che aveva a qualche metro da lei. Il tempo di inquadrare la situazione ─ qualche secondo ─ e la corda dell'arco che Cain stava utilizzando si spezzò, e Maeve sobbalzò, colta alla sprovvista. La freccia volò a pochi metri di distanza e si conficcò nell'erba nel silenzio più totale, i due ragazzi ad osservare la scena nel tentativo di capire cosa fosse successo. La principessa rimase con la bocca socchiusa, gli occhi che andavano dalla freccia a terra a Cain, che osservava l'arma rotta come se non fosse stato lui a renderla inutilizzabile. Maeve soffocò una risatina tossendo piano ─ più piano che poteva ─ nel vedere lo sguardo basito del ragazzo, e si ricompose in fretta appena lui si voltò nella sua direzione, porgendole l'arco. « Credo sia rotto. », fece, e lei glielo prese dalle mani osservando come la corda fosse ormai irrecuperabile. Credeva fosse rotto? Era da buttare! « Hai tirato la corda troppo forte, » gli spiegò mentre gli indicava altri archi ammassati sotto l'albero, vicino alle protezioni, « ma l'arco era anche vecchiotto ». Si rigirò l'arma tra le mani prima di poggiarla a terra, ai suoi piedi, e seguì i movimenti di Cain, più deciso di prima. A guardarlo le venne da sorridere, perché era palese che l'incidente di prima aveva ferito il suo orgoglio di soldato esperto. Vederlo in difficoltà era un'esperienza nuova, perché sembrava avere del talento in ogni disciplina affine alla guerra: sapeva combattere con ogni arma ─ eccetto l'arco, evidentemente ─, battere una spada, cavalcare, anche quando discutevano di strategia non se la cavava male. In quel momento, sembrava un po' più umano. La ragazza si spostò per cercare di osservare da più vicino la posizione che assumeva l'altro e in caso correggerlo, in modo da evitargli qualche altro incidente. Ricordava come fosse ieri i suoi primi tentativi ad approcciarsi al tiro con l'arco con l'aiuto di Dominic, molto più esperto di lei nonostante la poca differenza di età. Quelli che stava facendo Cain erano tutti errori da principiante, che col tempo si potevano correggere, ma il modo in cui reagiva le rendeva impossibile non farsi scappare una risata. Puntava l'arco verso il bersaglio come se fosse una questione di vita o di morte e la principessa gli si avvicinò per controllare come teneva l'arco e la freccia, e notò che non aveva il braccio dritto, allineato alla spalla, e la mancanza di protezioni gli avrebbe sicuramente procurato un livido niente male. Il ragazzo fece partire la freccia prima che Maeve potesse correggerlo ed evitare che si facesse male, e infatti riuscì a sentire chiaramente lo schiocco della corda e l'imprecazione coloratissima di lui. Maeve ci stava provando, davvero, a trattenere le risate, e ne soffocò una gola senza poche difficoltà. Gli diede momentaneamente le spalle, mentre era concentrato ad inveire contro l'arco e non su di lei e sui suoi tentativi di non farlo arrabbiare ancora di più, rischiando di soffocare ogni volta. Non erano tanto gli errori a farla ridere, anche lei ne aveva fatti e continuava a farli, ma le sue reazioni esagerate e poco controllate la facevano sbellicare. Maeve cercò in tutti i modi di ricomporsi velocemente, passandosi una mano sugli occhi e tossendo un paio di volte prima di tornare a guardare Cain che, ci avrebbe scommesso, sembrava sul punto di mollare tutto e andarsene, spazientito. « Comunque non ha fatto male, era tutta scena. » si giustificò appena i lor sguardi si incrociarono, frettolosamente, alla ricerca di una scusante per apparire più sicuro di quello che era in realtà. Maeve ridacchiò, ma alla vista dell'espressione corrucciata di lui cercò di darsi un contegno, tossendo ancora. « Sì, certo, certo, l'avevo capito. » rispose frettolosamente a sua volta, concentrandosi sull'arco che teneva saldo tra le mani anziché su di lui, altrimenti avrebbe sicuramente ricominciato a ridere, e voleva evitare di contribuire al suo nervosismo. Era già un miracolo che avesse accettato di fare qualche tiro con lei, ma vederlo in quello stato era davvero esilarante, e non sapeva quanto ancora poteva reggere senza scoppiare a ridere di gusto. Era abituata a mantenere l'autocontrollo in situazioni spiacevoli, ma stare con Cain la faceva sentire un pochino più leggera ─ complice anche il fatto di non avere il suo solito aspetto ed essere riconosciuta da tutti come la principessa di Thyandul. Riusciva a parlarci senza troppi fronzoli e senza dover rimuginare troppo su cosa fosse meglio dire o fare in sua presenza, ed era davvero una bella sensazione. « Per evitare di farti male un'altra volta devi tenere il braccio dritto, allineato alla spalla. » gli spiegò, avvicinandosi a lui e incoccando momentaneamente una freccia a sua volta per mostrargli la posizione corretta. Chissà se si era pentito di aver fatto tanto lo sbruffone all'inizio, rifiutando le protezioni con spavalderia, la stessa che lo aveva costretto a trovare una giustificazione al livido che stava comparendo all'interno dell'avambraccio. « O, altrimenti, puoi mettere da parte il tuo orgoglio e metterti una di quelle. » e gli indicò le protezioni in cuoio all'ombra dell'albero, non molto distanti da loro, con un sorrisetto che sembrava voler dire "io te l'avevo detto". Per tutta risposta, Cain si rimise in posizione di fronte al bersaglio, tenendo però il braccio nel modo che gli aveva mostrato pochi secondi prima. Non era male come allievo, ma peccava d'impazienza. Quando scoccò la freccia, tuttavia, Maeve rimase interdetta nel vedere come l'arco la seguì a ruota, il ragazzo rimasto a mani vuote e senza parole. La principessa serrò le labbra, lo sguardo ancora sull'arco a terra per non dover guardare Cain, e cercò di trasformare la risata che le stava risalendo in gola in un gorgoglio, il viso che diventava paonazzo mano a mano che il silenzio si prolungava. Non doveva ridere di lui, non doveva. Non quando erano in silenzio, almeno. Con la coda nell'occhio vide Cain voltarsi di scatto verso di lei e Maeve, in un gesto istintivo, lo fece a sua volta, e se ne pentì amaramente. Aveva una faccia indescrivibile, tra l'irritato, il basito e il confuso, e vederlo in quel modo fu la goccia che fece traboccare il vaso. La ragazza si girò di nuovo dalla parte opposta, piegandosi in due per tentare, invano, di soffocare la risata esilarante che ormai era uscita dalle sue labbra. « Stai scherzando, spero! » gridò lui in sua direzione, esasperato, l'ennesima sfiga di quella mattinata, e lei, dal canto suo, non riusciva a prendere fiato. « Non hai - », non riuscì a finire la frase, che subito tornò a ridere, girandosi verso di lui e allontanandosi un po', cercando disperatamente di smettere, « - tenuto l'arco saldamente » finì in un fiato, mentre si asciugava gli occhi lucidi con il dorso della mano in fretta e furia. Non pensava che ammirare un Cain spazientito potesse essere così divertente. « Sì, scusami, la smetto », riuscì a dire ancora, i rimasugli della risata che la abbandonavano pian piano, « E' che le tue reazioni mi hanno fatto morire! » disse, tentando di dare una spiegazione alla sua ilarità per non intaccare l'orgoglio di Cain, che tutto sembrava tranne rilassato e assolutamente non sull'orlo di una crisi di nervi. « Sono errori da principiante, piano piano migliorerai » gli sorrise, le guance ancora rosse per il respiro che le era mancato fino a qualche istante prima, ma non si sarebbe sorpresa se avesse scagliato l'arco lontano, ripromettendosi di non accettare più una proposta da parte della ragazza.

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