Old Scars / Future Hearts

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    Izar, Evelya, Cain.
    "In the space between chaos and shape there was another chance."

    Lancaster, primavera.
    Izar aveva un paio di scuse ben elaborate per non sollevare sospetti. Lui e Altayr erano usciti da scuola un po' più tardi del solito, casualmente ogni due passi al ragazzo si slacciava la scarpa, e sempre casualmente avevano passato troppo tempo al fast food, perdendo l'ultimo autobus che portava in centro. Un sacco di casualità, o forse voleva solo monopolizzare la compagna di classe - nonché collega - prima che lo facessero quelli del fanclub. Gli Elysian erano diventati popolari quell'anno grazie alla propaganda sfacciata di Noel e i loro live in giro per il paese, un continuo volare di pub in pub fino ad addormentarsi in sala prove per la stanchezza. Non era un lavoro che pagava bene, ma la gavetta toccava a tutti. Il bassista issò lo strumento su una spalla e tenne la porta aperta alla chitarrista - un vero galantuomo - mentre entrambi prendevano familiarità con il Black Dog, un pub immenso che puzzava di birra e aria viziata. Era il loro standard, nessuno si aspettava che quei posti cupi profumassero di violette. Mancava una buona mezz'ora all'inizio della performance, e già un branco di ragazzine incallite piantonava il palco in fondo al locale. Izar intercettò dei tipi loschi prima che sbarrassero la strada ad Altayr, mettendole di riflesso un braccio attorno alle spalle. « Che gran rottura » ringhiò, indirizzando ai poveri sfigati uno sguardo assassino. « Va bene, dobbiamo ingraziarci la gente, ma che ci venga il rosso a farsi fotografare. » Lui era famoso solo tra le donne più coraggiose, quelle che non si lasciavano intimidire dalle sue occhiatacce. Peccato che la più coraggiosa di tutte non se lo filasse come voleva. I due studenti passavano insieme gran parte della giornata, tra lezioni, prove e concerti, eppure di "fare coppia" ancora non se ne parlava, principalmente perché ad Izar mancava il coraggio e Altayr lo teneva sempre in riga. Non appena misero piede nel backstage - una stanza piccola piena di cavi, apparecchiature antiquate e nessuna finestra - l'espressione adirata di Noel parlò da sé. « Che vuoi? Abbiamo fatto in tempo, no? ». Bassista e cantante comunicavano così, a minacce. La loro era una guerra aperta a chi avesse l'ultima parola. Il moro spostò l'attenzione su Cain, spudoratamente senza maglietta, che gli sorrise sornione. « Vi dobbiamo lasciare soli? C'è un ripostiglio molto intimo di la. » Merda. Si era dimenticato di aver tenuto il braccio sulle spalle di Altayr fino a quel momento. Il batterista ci mangiava con i pettegolezzi, e gli aveva appena dato qualcosa per cui sfotterlo per l'intera settimana. Izar mise subito entrambe le mani in tasca, come se potesse migliorare la situazione, ed evitò di guardare la ragazza in viso. Si sentiva le guance calde. « Fottiti, Skriker. » Il ripostiglio era la parodia di un camerino - c'era anche uno specchio logoro in un angolo - dove i due liceali potevano togliersi la divisa per indossare qualcosa di consono alle canzoni pop-punk degli Elysian. Niente camicia inamidata e cardigan, insomma. Il bassista buttò a terra il borsone e recuperò una maglietta nera tra i libri di scuola, spiegazzata ma accettabile, insieme ai jeans strappati che completavano il look da cattivo ragazzo. Peccato che a scuola fosse un secchione, gettasse le cartacce nella spazzatura e aiutasse gli anziani ad attraversare la strada. Un paradosso. Come d'abitudine, Izar diede le spalle alla collega ed iniziò a slacciare i pantaloni, approfittando di un amplificatore dismesso per nascondersi dalla vita in giù. Okay, era cotto, ma non così viscido da sbirciare mentre lei si cambiava. Andava contro i suoi principi morali, per quanto la tentazione fosse forte.
    « C'è più gente del solito » constatò, sbottonando la camicia ed allentando la cravatta. « Attenta a non sbagliare. Le bimbe in prima fila sembrano esperte, se ne accorgono subito. » Le "bimbe" non facevano un cervello in dieci, e li seguivano come ombre da qualche mese. Da quel che sapeva avevano fondato un fanclub ufficiale, con tanto di blog e foto vendute ad altre disperate per tante, troppe sterline. Il grande capo diceva che gli facevano un sacco di pubblicità, motivo per cui dovevano subire le loro grida in silenzio e fingere che non esistessero, ma sapeva quanto irritavano l'unica ragazza della band. Stuzzicarla con quelle frecciatine era sempre un piacere.

    Raggiunsero gli altri poco dopo, vestiti per l'occasione e strumenti alla mano. Altayr era una visione impagabile come ogni dannatissima sera, ovviamente, tanto per Izar quanto per gli animali affamati sotto al palco. La sua pelle era così bianca. I tatuaggi l'abbracciavano ad ogni curva, non sporcandola, ma abbellendola ancora di più, tracciando disegni di rose su entrambe le clavicole fino a nascondersi nel top nero. - Di tutte le cose che poteva mettere... - pensò, un nodo alla gola mentre gli occhi scendevano dalla sinuosità del petto al ventre scoperto. Non poteva, che so, mettersi una tunica super coprente? Un maglione a collo alto? Solo per il concerto, poi in sua presenza poteva anche restare in - In niente, idiota. - Nel frattempo Cain, che faceva dell'aspetto esteriore un culto, sembrava intenzionato ad uscire senza maglietta. Il tatuaggio intricato che gli copriva la parte destra del corpo - collo, braccio, torso e fianco - poteva passare per un indumento aderente, in effetti. « Buon Dio, non siamo in uno strip club! » lo appuntò il bassista, coprendosi teatralmente gli occhi. Il rosso in risposta gli prese la mano e se la premette sugli addominali. « Tocca qui e invidiami, signorina. » Izar scattò indietro e si pulì subito, un bleah schifato a parlare per lui finché l'altro se la rideva. Propose anche ad Altayr di tastare il frutto dei suoi duri allenamenti, e per fortuna Noel lo interruppe prima che scoppiasse una rissa.
    « Mi hai detto di attirare l'attenzione, cos'altro devo fare? Mettermi in mutande? Peccato che stasera non ho quelle in pizzo. » Dunque era un'idea del leader. Erano così disperati da necessitare di uno spogliarello?
    « Ehi, non farmi immaginare cose strane, che poi vomito. »
    Cain fece spallucce. « Se si spoglia la chitarrista facciamo sold-out, altroché. »
    « Nessuno si spoglia! ». Anziché risparmiare il fiato per il live, Izar lo stava esaurendo in battibecchi sconclusionati, e la concentrazione andava a farsi benedire. Quando decise di aver fatto il pieno di stronzate, il bassista si fece coraggio e mise piede sul palco per collegare lo strumento all'amplificatore, isolandosi dal brusio che gli ronzava nelle orecchie. Ripassò la scaletta a mente, una parte concentrata sugli accordi e l'altra sugli occhi verdissimi di Altayr. Era tutto il giorno che la guardava, che ascoltava la sua risata sommessa. Dio, che dolce tortura averla così vicina. Avrebbe sbagliato almeno una nota ogni dieci, se lo sentiva.

    • • •

    « Abel, è questo qui! ». Evelya si sbracciò per catturare l'attenzione del compagno di classe, indicando un locale dall'insegna nera che recava la scritta "Black Dog" con il bianco slavato di un gessetto. Le loro uniformi sarebbero risaltate di certo in mezzo all'arredamento spartano del pub, tra ragazzi più o meno giovani dai vestiti strappati, piercing e tatuaggi esagerati. Strano pensare che proprio Solomon, il fratello maggiore tutto perfezione e ordine, avesse accettato di lavorare proprio lì. Che si fosse sbagliata? « Beh, è un posto... carino. » Cercò l'approvazione di Abel, incoraggiandolo ad avanzare tra la calca con un sorriso fiducioso. Non era a suo agio, glielo leggeva in faccia, ma come dargli torto? Per fortuna Solomon era proprio dove si aspettava di trovarlo, indaffarato a spillare birra dietro al bancone circolare. Salutò i ragazzi con un cenno, indicando un tavolo libero appena prima dei gradini che conducevano allo spazio per le esibizioni, gremito di giovani fanciulle adoranti. La biondina lesse su una maglietta la scritta Elysian, e si chiese chi fosse. Poteva solo intuire il genere di musica dall'abbigliamento dei fan, qualcosa che non prevedeva né pianoforte né violino. « Vedrai che si mangia bene. Mi dispiace solo aver scelto la serata dei live. » Entrambi avevano provato e riprovato un brano per l'imminente concerto di fine anno, erano davvero troppo stanchi ed affamati per fare gli schizzinosi. Intanto il fratello di Evelya passò dal tavolo a prendere l'ordinazione. Teneva gli occhi puntati a calamita sul palco, non guardava nemmeno cosa stava scrivendo sul blocchetto, e alla ragazza parve un comportamento davvero inusuale. « Conosci il gruppo? » chiese innocentemente. Il biondo fece cenno di sì e girò i tacchi, fine della spiegazione. Lei ed Abel si scambiarono uno sguardo confuso, giusto il tempo di chiedersi perché fosse arrossito a quel modo, poi le grida assordanti delle fan giù al palco divennero un boato, attirando la loro attenzione altrove: un tipo dai capelli scuri stava accordando uno strumento - chitarra o basso non sapeva dirlo - e una ragazza in top lo imitava con grande nonchalance, come fosse sola al centro della stanza e non circondata da una folla urlante. Ad Evelya parvero selvaggi ed accattivanti, tutti vestiti di nero, e per un attimo le venne voglia di gettare via il blazer color crema che indossava. Era lei quella fuori posto. Fu costretta a coprirsi le orecchie quando un terzo figuro si affacciò verso il branco di femmine impazzite, scatenandone uno schiamazzo assordante. Abel era sul punto di tirare fuori un fucile e fare una strage, poteva scommetterci. Beh, ecco spiegata la reazione entusiasta: il ragazzo dai capelli rosso fuoco ed il fisico prestante era a petto nudo, roba da far svenire l'intera famiglia Sadalmelik con tanto di antenati. Ci mise un po' a notare che i tatuaggi sparsi per il corpo non erano un indumento. - Oh, che vergogna! Spero che Sol non lo racconti alla mamma! -. Evelya credeva che il volume del coro non potesse salire più di così, ma si sbagliava. Un'altra chioma rossa fece capolino, brillante come una fiamma viva sotto i riflettori. Dal modo in cui si muoveva capì che il palco era la sua seconda casa. Era lui a guidare gli altri, era lui che aspettavano per partire. Il silenzio da parte di Abel non la stupì - era sempre silenzioso - perciò non si accorse di condividere con il compagno lo stesso sguardo trepidante, in attesa che la musica partisse.

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

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    e piaceva, la primavera. Il sole non troppo forte, il venticello leggero ad accarezzarle il viso, i fiori dai mille colori che riempivano i balconi delle case e il negozio di sua madre, uno spettacolo per gli occhi. La primavera era rinascita dopo il freddo dell'inverno, che a dirla tutta sopportava ben poco. Lei era per i pomeriggi spesi a bighellonare per strada, lunghe passeggiate e pelle baciata dal sole. L'unica cosa che non cambiava, di stagione in stagione, era Izar, sempre accanto a lei, che camminassero fianco a fianco in primavera o si rintanassero in qualche negozio alla ricerca di un po' di calduccio in inverno. Era sempre lì. Le piaceva la primavera, il sole, il vento, i fiori, tutto quanto, ma Izar le superava tutte di gran lunga. Con lui era sempre primavera. Aveva passato l'intero pomeriggio in sua compagnia, quando in partenza si sarebbe dovuto trattare solo di un salto al fast food e una corsa in autobus per arrivare al Black Dog, il pub in cui avrebbero dovuto suonare. Il tutto si era invece trasformato in ore e ore di risate e battutine di scherno, come erano soliti fare a scuola, alle prove, ai concerti, in negozio. Ovunque. I due arrivarono al pub giusto un po' in ritardo, e a qualche passo dalla porta immaginò l'espressione che Noel avrebbe fatto quando li avrebbe visti arrivare. Erano abituati ai rimproveri, dato che temporeggiavano spesso prima di presentarsi alle prove. La ragazza non avrebbe saputo dire se fossero casualità o meno, ma da parte sua ci si metteva d'impegno per passare più tempo con lui. Altayr fece per sfilare le mani dalle tasche per aprire la porta, ma il bassista degli Elysian fu così gentile da farlo al posto suo. Gli sorrise appena in un silenzioso ringraziamento prima di mettere piede nel locale, grande abbastanza da ospitare ben più gente di quella che solitamente si presentava ai loro live. Accanto all'ingresso vi era il bancone, con qualche barman che aveva già iniziato il turno, qualche tavolino e uno spazio immenso che quella sera avrebbero occupato lei e i suoi compagni. I pub erano sempre luoghi poco illuminati - l'atmosfera che donavano era perfetta - e notò che sul palco era già presente la batteria e il microfono, insieme alle casse e alle luci sullo sfondo ancora spente. Dallo stage, i suoi occhi passarono alle persone che già si erano appostate lì davanti, peggio degli avvoltoi. Le bimbe, come le chiamavano loro, erano sempre le prime ad arrivare. In un certo senso avrebbero dovuto essere grati di averle dalla loro parte, in fondo i fan portavano al successo, ma quelle ragazzine erano insopportabili, con il loro commercio segreto di foto e notizie - che schifo - e le critiche che muovevano verso di lei perché "una band solo maschile sarebbe stata meglio". Invidiose. Le avrebbe sopportate ancora per poco, in vari ambiti era rinomata per la poca pazienza di cui era dotata. « Non ci credo, sono già qui » brontolò a bassa voce, certa che Izar potesse sentirlo, per poi notare che non vi fossero solo le bimbe, per fortuna. Qualche ragazzo incuriosito si era avvicinato al palco, e notò di come indossassero magliette con i loghi di diverse band che piacevano da matti anche a lei. Gente sana di mente, alleluia. La chitarrista riportò l'attenzione di fronte a sé, giusto in tempo per notare dei tizi venire loro incontro. Altayr indurì lo sguardo d'istinto, chiudendo a pugno le mani nascoste nelle tasche che aveva cucito nella gonna della divisa scolastica. Prima che lei o gli sconosciuti potessero fare qualsiasi mossa - quel sorrisetto che mostravano non le piaceva affatto -, il ragazzo accanto a lei le mise un braccio attorno alle spalle, e lei dovette mordersi il labbro per non urlare di gioia. Non doveva arrossire in una situazione del genere, che figura ci avrebbe fatto? Annuì al lamentarsi di lui, dandogli ragione, per poi scoccare un'occhiata per nulla rassicurante ai tizi che si erano lasciati dietro. Se la sarebbe potuta cavare da sola, lo sapeva, ma avere Izar al suo fianco era rassicurante, come se davvero non potesse succederle nulla, seppur lei sapesse il fatto suo. Alzò lo sguardo verso l'alto senza farsi notare, sorridendo sotto i baffi senza ringraziarlo, convinta che lui avesse comunque avesse ben inteso il suo momentaneo silenzio. « Noel sarà occupato a inondarci di telefonate, in questo momento » rise, perché sapeva quanto ci tenesse il cantante degli Elysion a fare qualche prova prima di un concerto. Al contrario, non ci teneva troppo a prendere in mano il cellulare per vedere quante chiamate perse da parte del leader ci fossero. L'aveva infilato in una tasca della cartella e tolto la suoneria per un motivo, in fin dei conti. Si recarono a passo svelto nel backstage, che si rivelò essere uno stanzino dove già due persone stavano strette, figurarsi quattro. « 'Sera » salutò lei pigramente, e come risposta ottenne solo il silenzio, e alzando lo sguardo capì il perché: Noel stava puntando a loro due, le iridi che letteralmente bruciavano dall'irritazione. « Questa non ve la faccio passare, mocciosetti » ringhiò lui, e le arrivò all'orecchio anche la risatina di Cain, il batterista, che se ne stava appoggiato al muro alle spalle del leader. « Che vuoi? Abbiamo fatto in tempo, no? » Izar scattò subito sulla difensiva, come c'era da aspettarsi: lui e Noel erano peggio di cane e gatto, come facessero a stare nella stessa stanza per più di dieci minuti era un mistero, chissà com'era possibile farli addirittura esibire sul palco per almeno un paio d'ore. « Ha ragione » intervenne lei in suo sostegno, perché andiamo, si erano distrutti di prove. E lei voleva passare del tempo con Izar, più ci stava insieme meglio era. Solo che questo nessuno doveva saperlo. Intanto, il leader avanzò verso di loro, gli scarponi a battere rumorosamente sul legno del pavimento, le labbra serrate e lo sguardo duro. A vederlo così, nessuno avrebbe detto che passava il suo tempo libero a guardare video di cagnolini su Facebook, o che fosse un diligente studente di medicina. « E la prossima scusa quale sarà? Vi abbiamo degnati della nostra presenza, siatene grati? » sbottò il rosso, senza preoccuparsi di abbassare i toni. I due si guardarono negli occhi per diversi secondi, Altayr a fare da divisorio, quando si intromise Cain con una delle sue battutine che fece scaldare all'istante le guance dell'unica ragazza del gruppo. Lei abbassò lo sguardo, non sapendo dove altro focalizzare l'attenzione. E' vero, il braccio di Izar le aveva circondato le spalle fino a quel momento, e dovette trattenersi dall'afferrargli subito la mano per rimetterla dov'era quando il moro la tolse, fulmineo. L'incontro non poteva non cominciare senza una bella figuraccia, le pareva logico. « Il ripostiglio molto intimo potresti usarlo tu, magari ci ritrovi la maglietta » fece di rimando, un mezzo sorriso ad attraversargli le labbra, sperando con tutto il cuore che il rossore se ne fosse andato. Arrossiva ad una velocità e con una facilità impressionanti, in contrasto con il suo orgoglio inattaccabile e il carattere battagliero. Bella merda, già. Dalle labbra di Izar uscì un'espressione poco carina prima che si voltasse per andare a cambiarsi proprio nel ripostiglio suggerito da Cain, e la chitarrista annuì con fare grave e teatrale per rimarcare e appoggiare pienamente il concetto. Subito dopo, gli rivolse un dito medio caldamente meritato, in contrasto col sorriso angelico che indossava in quel momento, e seguì a ruota il bassista nello sgabuzzino che all'occorrenza poteva diventare un ottimo spogliatoio. L'unico, a dire la verità. Altayr chiuse la porta, sistemandosi dalla parte opposta a quella del ragazzo e buttando in un angolo la cartella, che nei giorni dei live riempiva di vestiti e cosmetici invece che di libri scolastici. Nel momento in cui si tolse la divisa scolastica - composta da maglioncino scuro, camicia e gonna a quadri - la ragazza tirò un sospiro di sollievo, scoprendo il corpo decorato da evidenti tatuaggi. A scuola non poteva mostrarli, così sia lei che Izar dovevano andare a scuola con il cardigan addosso anche nei periodi più caldi, e tutto ciò equivaleva ad un suicidio. In teoria anche i piercing erano vietati, ma per fortuna le ciocche più lunghe dei capelli coprivano l'infinità di orecchini che aveva ai lobi. Su quel palco sentiva di essere sé stessa, senza doversi nascondere, nessuno che la criticasse perché aveva già cinque tatuaggi alla sua giovane età. Tolse dalla borsa un top scuro e dei jeans strappati e stretti, anch'essi neri, e si impegnò nel non sbirciare alle sue spalle in direzione del ragazzo, sperando che lo stesso stesse facendo lui. Oh, beh, anche se fosse la luce della lampadina faceva davvero cagare, era impossibile vedere più di un palmo dal proprio naso, confidava in lei. Era da anni che si cambiavano nella stessa stanza, eppure solo da qualche mese sentiva le farfalle nello stomaco nel farlo. Accese la torcia del telefono per riuscire a trovare l'eyeliner e l'unico specchietto che possedeva nella cartella, e quando riuscì nell'impresa il sacro rituale della perfetta eyeliner wing ebbe inizio. « C'è più gente del solito » fece Izar, rompendo il silenzio, e la ragazza gli rispose quando ebbe finito il primo occhio. « Pensa se riuscissimo a riempire tutto lo spazio disponibile » disse, come se si trattasse di un sogno irrealizzabile, « una figata » aggiunse sottovoce, continuando a truccarsi: il secondo occhio era sempre più difficile, perché doveva venire identico al primo. A sentir nominare le bimbe, fu certa di aver fatto tremare lievemente la mano, ma a guardarsi allo specchio non le sembrò aver combinato alcun disastro. Il moro si divertiva come un matto a parlarne in sua presenza, sapendo quanto le dessero fastidio. Ma doveva sopportarle, per la loro scalata verso il successo, come amava dire Noel: più facile a dirsi che a farsi. « Stai attento tu, piuttosto » ghignò, avvitando l'eyeliner e buttandolo nella cartella con noncuranza, voltandosi finalmente verso il ragazzo, interamente vestito, ed esibendo un sorrisetto spavaldo. Si avvicinò a lui, i tacchi degli stivaletti che indossava a battere sul parquet fatiscente. « Non sono io che mi dimentico le note per strada » il tono di voce che utilizzò era intenzionalmente serio, ma sul finale le scappò una risatina appena sommessa, che si sbrigò a nascondere con una linguaccia. Tra loro funzionava così, frecciatine, sfide e risate. Che poi lei lo facesse con un intento che andava oltre la semplice amicizia era un'altra storia. Altayr uscì prima del ragazzo dall'improvvisato spogliatoio, lanciandogli un'ultima occhiata nella poca luce dello stanzino, per poi tornare nel backstage dove Noel stava ancora imprecando sottovoce, mentre Cain stava seriamente valutando di presentarsi a petto nudo. « Buon Dio, non siamo in uno strip club! » contestò Izar, e lei se la rise, incrociando le braccia al petto. Se lo poteva permettere, doveva riconoscerlo: Cain era un tipo muscoloso, nulla da dire, e aveva la parte destra del petto totalmente inchiostrata, un vistoso tatuaggio scuro a contrastare con il colore chiaro della pelle. Ci aveva messo un sacco ad ultimarlo, ma ne era valsa decisamente la pena. « Sei proprio un esibizionista, Skriker » gli disse lei, ormai abituata alla vista dei suoi muscoli. Li metteva in mostra ogni volta che ne aveva l'occasione, in fin dei conti. Spostò lo sguardo su Izar quando il rosso gli fece toccare gli addominali, unendosi alla risata di quest'ultimo quando il bassista si allontanò più veloce di un lampo. Gli occhi verdi di lei si persero nei tratti intricati dei tatuaggi che aveva sulle braccia, che aveva rimirato tante volte, nascosti di norma sotto la divisa, per poi risalire al collo, la mascella, le labbra, gli occhi. Diamine, era bello sul serio, e diamine, era impossibile non notarlo. La fetta di fan che anche lui era riuscito ad ottenere ne erano la prova, per non parlare di alcune ragazze che gli facevano il filo a scuola o le clienti che passavano dal negozio solo per salutarlo. Non poter alzare la voce per mettere in chiaro che Izar non dovevano neppure azzardarsi a toccarlo era davvero una tortura. Da parte sua, si limitava a sguardi provocatori, minacce silenziose e mani serrate a pugno nascoste nelle maniche del maglione. Non poteva far altro che desiderarlo da lontano e perdersi nelle sue iridi chiare, che sempre le facevano perdere un battito. Il batterista si avvicinò anche a lei, proponendole di toccare i suoi muscoli, facendole distogliere lo sguardo da Izar. « Vivo anche senza provare un'esperienza simile » gli fece, tenendolo a distanza con un sorriso fintamente esasperato, e subito tra di loro intervenne Noel. « Rosso numero due, piantala, i tuoi muscoli possiamo tranquillamente ammirarli da lontano » esclamò il rosso numero uno, come lui stesso soleva appellarsi, e sapeva tanto di sarcasmo velato, come a dire "certo che li vediamo, sei un maledetto pompato". La verità era che Noel non aveva chissà quanti muscoli, e l'invidia la sapeva nascondere male sotto forma di commenti non richiesti. « Mi hai detto di attirare l'attenzione, cos'altro devo fare? Mettermi in mutande? » intervenne Cain con un tono tra il divertito e l'imbronciato, e Altayr sollevò spontaneamente un sopracciglio. « Vuoi dire che non è stata una sua iniziativa? » domandò, mentre Noel sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. « E' stata una sua iniziativa! », « Peccato che stasera non ho quelle in pizzo », « Hai delle mutande in pizzo?! », « Ehi, non farmi immaginare cose strane, che poi vomito » i quattro se ne stavano in cerchio, l'uno ad urlare contro l'altro, in una conversazione che aveva quasi del ridicolo. Da parte sua, Altayr sperava vivamente che Cain stesse scherzando, perché il più delle volte non lo faceva anche se era bravo a farlo sembrare. « Se si spoglia la chitarrista facciamo sold-out, altroché » La ragazza incrociò lo sguardo del rosso, palesemente ammiccante, e lo fissò per qualche istante quasi sdegnata, per poi soffocare una risatina. « Premettendo che Madre Natura è stata clemente con me, non vorrei abbassarmi ai tuoi livelli » replicò con un mezzo sorrisetto, quando la voce di Izar sovrastò quelle di entrambi, e sentì le farfalle cominciare a volare nello stomaco. Brutto segno. Riuscì in parte a coprire l'imbarazzo improvviso - perché, poi? - con un sorriso gentile che avrebbe voluto rivolgere a Izar, ma che invece indirizzò al pavimento. Era certa che Cain l'avesse vista, e anche quello la metteva in agitazione. Rialzò il viso quando udì i passi del moro accanto a lei, mentre usciva allo scoperto sul palco per collegare gli strumenti agli amplificatori. Lo guardò allontanarsi, la schiena scura sparire dietro i pannelli dietro ai cui stava il pubblico che li attendeva da un po'. Sospirò, sgranchendosi le dita, mentre Cain fece segno al leader di darsi una mossa. « Vado a sistemare le luci » annunciò quello, un tremolio di eccitazione nella voce, « Non ti emozionare troppo » lo rimproverò amichevolmente, e quando lo guardò negli occhi li vide scintillare, letteralmente. Quelli erano gli occhi di un uomo che amava fare il suo lavoro, con tutto il cuore, e che avrebbe messo tutto sé stesso in ogni performance, in ogni prova, in ogni nota. « Non sono emozionato » rispose col sorriso sulle labbra, e Altayr rise tra sé e sé, mollandogli poi una sonora pacca sulla spalla come incoraggiamento. Gli Elysian erano pronti ormai, e prima di salire sul palco fece un respiro profondo, mentre stringeva le dita attorno al manico della sua adorata chitarra. Sentiva l'adrenalina pomparle nelle vene, un'eccitazione fuori dal comune dominarla, perché la loro musica era esattamente questo. Quando uscì dal backstage dedicò alla folla un saluto frettoloso, collegando subito la chitarra all'amplificatore, e avvicinandosi poi a Izar per accordare gli strumenti. « Tira la corda del La » gli indicò, controllandosi per non sporgersi verso di lui. Non doveva osare così tanto, per lei, per lui e per il pubblico di fronte a loro. E se non voleva rischiare un infarto entro fine serata, sì, doveva starci attenta. Si allontanò dal bassista mentre Cain faceva la sua entrata trionfale, accompagnato da fischi di approvazione e boati. La fanciulla sfilò dalla tasca dei pantaloni il plettro, per poi suonare qualche nota casuale, giusto per controllare, ancora una volta, che fosse tutto a posto. Quello, per il loro standard, era un locale gigantesco. Dovevano mettercela tutta per riempirlo interamente, e non poteva di certo farlo mentre continuava a farsi distrarre da Izar. Ogni cazzo di assolo avrebbe fatto rabbrividire l'intera platea, lo promise a sé stessa, pronta a cominciare quando Noel si impossessò del microfono.

    • • •

    Abel era un tipo prettamente casalingo: scuola, casa, scuola, casa. La sua routine era sempre stata questa nel corso degli anni, e ultimamente si stavano aggiungendo fin troppe cene fuori casa. L'insegnante che seguiva il trio composto da lui, Evelya e Raphael li faceva rimanere a provare fino a tardi, e lui ne aveva esplicitamente le scatole piene. Voleva tornare a casa, rifugiarsi in camera sua nel rassicurante silenzio in cui riusciva a trovare conforto e a crogiolarsi nella rassicurante logica dei libri che leggeva e di cui la sua stanza era strapiena. Non ne voleva sapere di esibizioni, di concerti, perché Azarel - il professore - era riuscito a fargli passare la voglia. Quegli ultimi mesi erano stato un inferno. « Abel, è questo qui! » l'albino sentì gridare Evelya diversi metri davanti a lui, e la raggiunse tenendo la schiena gobba e le mani in tasca in un atteggiamento palesemente arrendevole e irritato a livelli mai visti. Almeno avevano trovato quello stramaledetto pub, in cui il fratello della cantante li aveva invitati per mettere qualcosa sotto i denti almeno a cena. I due entrarono, e fu come scoprire l'esistenza di un universo parallelo al loro. Abel ed Evelya, con le loro uniformi scolastiche scure e raffinate, stonavano tra quella marea di gente chiassosa e ricoperta di tatuaggi, e il ragazzo non volle nemmeno saperne di ambientarsi. Mugolò un "andiamo via" che l'altra non udì, e si rassegnò a seguirla verso un tavolo libero che il fratello di lei indicò loro. Erano tutti biondi in famiglia, da quanto sapeva, e non fu difficile riconoscerlo. Sembrava possedere un'aura angelica non indifferente, come se non appartenesse a quel posto neanche lontanamente. « Vedrai che si mangia bene. Mi dispiace solo aver scelto la serata dei live » fece lei mentre si sedeva, e Abel strisciò rumorosamente la sedia sul pavimento.
    « Odio tutto 'sto casino » disse, sostenendo la tempia con l'indice e il medio, il gomito appoggiato sulla superficie lucida del tavolino. Il ragazzo non aveva mai smesso di studiare quel luogo e la gente che vi era rifugiata, come se stesse cercando un appiglio, uno qualsiasi, per sfuggire a quel chiasso infernale. La sua unica speranza era Evelya, peccato che sembrava volesse rimanere, al contrario suo. Che fregatura. Il tempo di un panino e via, libertà. Abel sospirò sonoramente, leggendo le scritte sulle maglie di alcuni ragazzi che recitavano Elysian. Era una pubblicità? Una serie tv? Non l'aveva mai sentito nominare. Alzò lo sguardo per guardare in fondo al pub, dove troneggiava un palco illuminato e un sacco di gente piantata lì davanti. Poi, la biondina che aveva di fronte a sé aveva nominato un concerto... forse era un cantante, o una band. Ancora peggio di quel che immaginava: ecco spiegata la causa di tutta quella marea di persone. « Giornata sfortunata » sbuffò, in attesa del fratello di Evelya per ordinare una cena veloce. Era da quella mattina che non toccava cibo, ma a dirla tutta non aveva molta fame. Solo tanta fretta. Quello scellerato di Azarel non aveva fatto altro che bacchettarli in privato, facendoli rimanere più del previsto a scuola per esercitarsi in vista di un concerto importante, ma fosse stato per lui avrebbe volentieri presto il violino di Raphael per fargli volare qualche dente, e rompergli i brutti occhialetti dietro cui si nascondevano le iridi azzurrissime e severe. Che poi, per di più, passare del tempo insieme a Raphael non gli migliorava affatto l'umore: era da mesi che si trovavano in un periodo burrascoso, e vederlo per dodici ore al giorno non era molto piacevole. All'arrivo del fratello della ragazza cominciarono a prendere le ordinazioni, ma lui aveva lo sguardo perso nel vuoto, e sembrava stesse guardando proprio il palco illuminato di fronte a loro. « Conosci il gruppo? » gli chiese lei, una domanda fin troppo innocente per ricevere una risposta imbarazzata. Lui se ne andò - non aveva ancora capito come si chiamava, d'altronde - e i due giovani si scambiarono un'occhiata alquanto confusa. A detta sua era una reazione... forse esagerata, ecco, un po' strana, ma Evelya lo conosceva molto meglio di lui, e non se la sentiva di giudicare. Accantonò la questione "fratello strambo", coprendosi il viso con un gesto esasperato quando la folla cominciò ad urlare. Oh, diamine, non potevano aspettare che se andasse? Fischi e urla arrivarono fino alle sue orecchie, e si ritrovò ad implorare pietà silenziosamente, gli occhi chiusi e i pugni stretti. « Li ammazzo tutti » sibilò, spazientito, sollevando una sola palpebra per vedere cosa stesse succedendo intorno a lui, cosa tanto esaltava la gente. Sul palco era uscito un ragazzo dai capelli scuri che imbracciava un basso, e a ruota lo seguì una fanciulla dai capelli scuri, entrambi tatuati e vestiti di nero. Era tutt'altro mondo rispetto al loro, musicisti classici, non era adatto a lui, affatto. Le urla si fecero più sentite quando un terzo figuro apparve alle spalle degli altri due, salutando tutti molto sentitamente, e Abel si tirò un po' su con la schiena per capire che diamine avesse addosso. Niente. Non indossava nessuna maglietta. Di cosa si facevano i componenti di una band prima di un concerto, per convincersi ad uscire mezzi nudi? « Indecente » commentò, non rimettendosi però curvo con il busto, come stava poco prima. C'era da ammettere che era una bella visione, il ragazzo alla batteria, e di andare in giro a torso nudo poteva benissimo permetterselo. Aveva i capelli rossi, un po' spettinati, ma da così lontano non riusciva a distinguere nient'altro, a parte il tatuaggio enorme sulla parte destra del corpo. Sospirò profondamente, passandosi con nonchalance una mano sulla guancia. Okay, non era calda, aveva tutto sotto controllo. Tutto sotto controllo. E allora perché non riusciva a distogliere lo sguardo da quel tipo? Forse perché era bello un bel po', già, e tutta l'energia che sprigionava - riusciva a vederlo sorridere perfino da lì - gli aveva fatto dimenticare di star aspettando la sua cena. Strinse le palpebre, tornando sulla terra tutto d'un tratto, e guardò di sottecchi Evelya, anche lei rapita dai ragazzi in nero come l'albino poco prima. Sobbalzò sulla sedia quando tutte le ragazze presenti iniziarono ad urlare, come se le grida fino a quel momento non avessero raggiunto il massimo. Si voltò di scatto, quasi ringhiando, per vedere chi, stavolta, aveva provocato un simile crescendo: un ragazzo, sempre dai capelli rossi, che si diresse davanti a tutti, al centro del palco, anche lui sorridendo a destra e manca. Indossava una maglietta scura, un po' scolorita, e aveva arrotolato le maniche fino a mostrare le spalle, esibendo il braccio destro completamente tatuato, mentre il sinistro, evidentemente, era ancora in fase di lavorazione. Il suo sguardo si mosse, senza volere, di nuovo sul batterista, che impugnava le bacchette, facendole roteare tra le dita e pronto a cominciare. Non pensava di poter interessarsi ad altro oltre alla musica classica, ma era improvvisamente curioso di vedere cosa fossero capaci di fare. A distrarlo fu l'arrivo della cena, e anche la biondina sembrò cadere dalle nuvole. Non ringraziò, rimanendo in silenzio, e impegnandosi nel non alzare gli occhi, perché tanto sapeva che sarebbero tornati su di lui. Diede qualche morso all'hamburger che aveva ordinato, mentre gli strumenti cominciavano a suonare. Gli dedicò solo un'occhiata, solamente una, ma bastò a fargli perdere l'interesse sul cibo che aveva davanti a sé. La voce del cantante non era male, la musica non era il suo genere, ma doveva riconoscere che non erano male. Il pop-punk era troppo rumore, confusione, non faceva per lui. Tuttavia, le sue orecchie sanguinavano più per le grida dei ragazzi che per la musica in sé e per sé, mentre le iridi chiarissime di Abel erano ancora puntate sul rosso sullo sfondo. Per l'ennesima volta da quando aveva messo piede al Black Dog, l'albino sospirò, mettendo in bocca un altro pezzo di carne che poco gli andava. « Se ti vuoi avvicinare ti accompagno » disse tutto d'un tratto - o meglio, gridò - in direzione di Evelya, consapevole che quello fosse un desiderio strettamente personale ed egoista. Doveva trovare un pretesto per mascherarlo, tutto qua. Sperava solo che la fanciulla avesse voluto farlo sul serio, altrimenti addio ad ogni possibilità di vederlo da più vicino. « Finisci dopo di mangiare » alzò lo sguardo al soffitto, alzandosi dalla sedia controvoglia, ben mascherando la curiosità che nutriva verso quel gruppo - e un membro in particolare. Prese poi Evie per il braccio, per evitare di perdersela tra la folla, riuscendo a guadagnarsi uno spazietto in mezzo a tutte quelle persone, seppur rimanessero tra le ultime file, ma si vedeva bene. Lì il baccano era ancora peggio, ma era ad un live di una rock band o quel che era e lui aveva deciso di sua iniziativa di alzarsi e fare finta di essere un fan sfegatato, non poteva lamentarsi - anche se comunque si riservava il diritto di farlo, perché tra tutto quel casino non lo avrebbe sentito nessuno in ogni caso. « Ma chi me l'ha fatto fare? » gridò, mentre un tizio lo spintonava, ma la risposta era semplice: lui stesso. Idiota. Eppure, quando incontrò gli occhi verdi del batterista dai capelli rossi gli sembrò che ne fosse valsa decisamente la pena. Rimase inchiodato ai movimenti di lui per quel che gli sembrarono ore, quando invece si trattava di poco più di due minuti, il tempo di far finire la canzone. Era... bello, sul serio, cazzo. No. Il pubblico esplose in un boato, e Abel desiderò ardentemente di possedere abbastanza muscoli da dare un pugno a tutti, uno per uno, anche se quella situazione era prettamente colpa sua. « Che te ne pare? » chiese a Evie col solito tono scorbutico, avvicinandosi in modo da riuscire a sentire cosa stesse dicendo. Perché, ecco, a lui forse il pop-punk cominciava ad interessare. « Ah, e il tizio rosso sembra stia guardando noi » no, non il suo rosso, l'altro. E ci rimase un po' male, a dirla tutta, tanto che distolse subito lo sguardo.

    • • •

    Nell'impugnare il microfono, nel vedere come tutti stessero aspettando lui, calcando il palco, a Noel parve di essere a casa, di essere nato per dare spettacolo. Salutò i fan con un sorriso smagliante e un giro di highfives alla prima fila, per poi indietreggiare per cercare gli occhi verdi di Altayr. I due si scambiarono un'occhiata complice, e vide la ragazza impugnare la chitarra, pronta a partire con la prima canzone della scaletta. Avrebbero iniziato col botto, e infatti la gente riconobbe la canzone fin dai primi accordi. Sorrise tra sé e sé, e sentì le arrabbiature e il nervosismo di poco fa scomparire, lasciando spazio a pura e semplice adrenalina. Si inumidì le labbra prima di iniziare a cantare, e in quel momento si sentì vivo, una fiamma ardente, semplicemente sé stesso. Era quello il suo mondo, e vedere come un sacco di gente fosse venuta ad assistere gli riscaldò il cuore, letteralmente. Fu in un momento di stacco, tra una canzone e l'altra, che notò un paio di testoline chiare tra la folla, due che non sembravano appartenere a quel mondo fatto di inchiostro e musica ad altissimo volume. Un ragazzo dai capelli bianchi -tinta, forse? Ammirevole -, che appena si accorse di lui guardò subito da un'altra parte, e una fanciulla, dalle incredibili iridi dorate. Era la prima volta che ne vedeva di così splendenti, e non stava scherzando. « Wow » mormorò vicino al microfono, e questa sua disattenzione comportò l'essere sentito dall'intera platea. Altayr lo fece tornare coi piedi per terra con una gomitata, e lui annuì in risposta, aspettando la batteria per cominciare a cantare la seconda canzone che, tra parentesi, aveva scritto Izar. E lui la considerava un gran bel pezzo, niente male per quella testolina calda. E niente male neanche lo sguardo dolce di quella ragazza tra il pubblico, che continuava a cercare, e ogni volta che lo trovava era costretto ad abbandonarlo, per non dare troppo nell'occhio. Ma era così bella, era la prima volta che veniva ad un loro concerto, altrimenti l'avrebbe riconosciuta immediatamente.

    « Altayr » || « Noel » || « Abel »
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    Edited by altäir - 6/3/2017, 16:18
     
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    L'eccitazione era palpabile nell'aria prima di un live, anche se ormai suonavano insieme da abbastanza tempo da non considerarlo un evento straordinario. Izar seguì il consiglio di Altayr nel sistemare una delle quattro corde del basso, scoprendo che il cuore aveva accelerato la sua corsa una volta resosi conto che mancava poco, e lei era lì accanto a lui. Nemmeno alla presenza della ragazza riusciva a farci l'abitudine, per quanto fossero inseparabili a scuola, al lavoro e alle prove. Nel negozio di dischi combinava i turni in modo che coincidessero con quelli della chitarrista - era diventato bravo a fregare il titolare - ed i loro pomeriggi trascorrevano sempre a meraviglia. Ora, che fosse innamorato perso era un dato di fatto, punto. Cain, che ci vedeva lungo, lanciava frecciatine da un bel po', mentre non capiva se Noel lo ignorasse di proposito o fosse effettivamente un ingenuo. Il fanclub di entrambi negava l'evidenza, invece.
    In breve gli Elysian furono al completo, un cantante molto agitato, un batterista che dispensava sorrisi come se piovesse, e la sua Altayr concentrata sul pezzo. Avrebbe voluto un briciolo del suo entusiasmo, una fiammella della passione che bruciava quando il plettro sfiorava le corde. Si avvicinò al microfono per la seconda voce ed entrò nel personaggio, indirizzando un occhiolino a delle tipe dal trucco pesante e le magliette del gruppo bene in vista. Che lo volesse o meno, loro erano qualcuno solo grazie al pubblico radunato in quel pub, andavano trattati come ospiti d'onore ogni santa volta. Cain gli fece una linguaccia durante un fugace contatto visivo, il segnale che era pronto e perfettamente rilassato. Era senza maglietta, d'accordo, ma tempo un paio di brani e sarebbe stata l'invidia di tutti i colleghi, perché suonare richiedeva le stesse energie di una staffetta e Dio santo, il locale era claustrofobico, scuro e quasi privo di finestre. I piccioncini si scambiarono uno sguardo d'intesa al via di Noel, con A Love Like War a richiedere le loro chitarre per l'intro, mentre il rosso numero due teneva il tempo con un solo rullante prima di scatenare tutta l'energia accumulata durante l'attesa, riscoprendosi a ghignare divertito man mano che la canzone entrava nel vivo. I membri della band comunicavano in un modo silenzioso ma efficace, così in simbiosi gli uni con gli altri da non necessitare di parole. Occhi ametista ed occhi verde acqua si squadrarono a mo' di sfida quando Izar fece eco alle parole del cantante con "we go together or we don't go down at all", e seppe dal sorriso dell'altro che il ritardo era già acqua passata. Un problema in meno a cui badare. Ora doveva solo resistere alla tentazione di scaraventare il basso in faccia al gruppo di cani sbavanti che si spingevano per arrivare sotto al palco, in prossimità di Altayr. Non fosse stato legato al filo dell'amplificatore le avrebbe chiesto subito di fare cambio, mettersi dietro di lui, ma chi era per oscurare una stella tanto brillante? Un amico. Sentiva che la minaccia della friendzone era dietro l'angolo, e perso in quella moltitudine di pensieri, infatti, dimenticò una nota per strada. La ragazza se ne accorse, e fu veloce a rimettersi in pari prima che lo prendesse in giro. Nell'intervallo di applausi al termine della canzone - un successo, ovviamente - Izar le fece segno di non proferire parola, l'indice davanti alla bocca, ma già immaginava gli scherni che lo attendevano nel backstage.

    • • •

    L'hamburger degli studenti finì presto dimenticato nel piatto. La canzone d'apertura era energica, viva, un'esplosione di suoni chiassosi e decisi a rimbombare nel petto perfino a quella distanza. Evelya non ascoltava quel genere di musica, non per scelta personale, ma per rientrare nei canoni della brava progenie Sadalmelik secondo cui tutto era classico, dagli abiti alle letture, dall'arredamento alle sinfonie. Non rivedeva sé stessa nella band sul palco, viaggiavano su frequenze diverse. La biondina ebbe giusto il tempo di preoccuparsi per Abel, sul punto di uccidere qualcuno, prima che altri clienti urtassero le loro sedie per precipitarsi giù dalla breve scalinata e poi sotto lo stage, trascinati dalle melodie violente e rivoluzionare che paragonavano l'amore ad una guerra. Il professor Azarel sarebbe svenuto sul colpo a sentire un testo così, e Raphael con lui. Il fidanzato dell'albino aveva declinato l'invito con un "no grazie, i pub sono per ubriaconi" senza preoccuparsi minimamente di Abel, stremato dalle prove e soprattutto affamato. Non comprendeva appieno il rapporto che li univa, quale collante legasse i due e li avesse spinti a fare coppia, ma di una cosa era certa: non aveva mai visto Abel fissare qualcuno come fissava il gruppo di artisti. No, non il gruppo, qualcuno in particolare. « Indecente » borbottò, per poi mantenere viva l'attenzione sul personaggio senza maglietta. Abel era una contraddizione vivente, perciò Evelya annuì appena con un sorriso soddisfatto che lui non poté vedere. Per quanto la batteria risuonasse con forza, comunque, la voce del ragazzo dai capelli rossi la faceva da padrone, impertinente e graffiante, come se stesse incitando il pubblico a seguirlo in quella battaglia a cui inneggiava. Evelya si rese conto che l'avrebbe seguito in capo al mondo se avesse continuato a cantare per lei. Gli Elysian erano il genere di gruppo da ascoltare quando tutto andava a rotoli, quando urgeva una scappatoia dalla monotonia di giornate sempre uguali, e capì l'entusiasmo con cui Solomon batteva le mani. Anche lui stava cercando una valvola di sfogo lavorando lì. Qualsiasi cosa pur di mettere gli studi da parte ed essere il ventenne intraprendete che i genitori volevano soffocare. « Se ti vuoi avvicinare ti accompagno. Finisci dopo di mangiare » propose Abel, stranamente deciso, ed Evelya annuì con entusiasmo. Aveva perso l'appetito già da un pezzo, comunque. Si lasciò guidare per un braccio nella calca di gente delirante, pestando qualche piede insieme a grugniti di protesta. Alcune ragazze la squadravano come fosse un alieno appena sceso sulla Terra, e in effetti doveva essere così. La divisa dell'Istituto Ripley Saint Thomas era elegante, curata nei dettagli, ed i due ragazzi sembravano pronti per una cerimonia ufficiale dalla regina in persona. I capelli biondo miele di Evelya non avevano nessuna ciocca colorata, né un taglio particolare o spettinato. Se ne stavano ben saldi in uno chignon attorniato da una treccia, lasciando scoperte le orecchie prive di orecchini - o peggio, piercing -. La parola tatuaggio era vietata quanto una bestemmia nella sua famiglia, insieme agli abiti neri e strappati che indossavano tutti tranne lei ed Abel. Nel caos di urla, fischi e battiti di mani la fanciulla era come una pallina in un flipper, ancorata al braccio del compagno per paura di perderlo. « Che te ne pare? ».
    « Non è affatto male » replicò, costretta ad alzare la voce per farsi sentire sopra al frastuono della seconda canzone, che parlava di una ragazza troppo presa dallo stereo per notare le attenzioni del suo corteggiatore. A suo modo aveva una nota di romanticismo, niente a che vedere con quella specie di poemi classici che il professore le rifilava. Forse il cantante si stava dichiarando a qualcuno, o forse era solo un brano tra tanti. Aveva un tono determinato, come se volesse che i suoi sentimenti raggiungessero la persona in questione a tutti i costi, ed Evelya pensò alla fortuna della sconosciuta nel ricevere una dichiarazione del genere, cantata da un tipo affascinante come lui. Non erano vicinissimi al palco, ma abbastanza da vedere i volti dei membri della band nel dettaglio: la ragazza dai capelli lunghi era il suo esatto opposto, una creatura selvaggia che non sottostava alle regole e mangiava letteralmente lo stage, insieme al bassista con cui scambiava un sacco di sguardi maliziosi. Capì che Abel puntava al batterista appena gli altri tre musicisti si spostarono sulla destra ed i suoi occhi non li seguirono, ben saldi sul rosso svestito. In un secondo momento parve risvegliarsi dal sogno ad occhi aperti. « Ah, e il tizio rosso sembra stia guardando noi. » Allora aveva ragione! Rivolse l'attenzione al tatuato - quello con i tatuaggi più evidenti, almeno - solo per scoprire che era fissato sul charleston e la grancassa per il finale. Beh, di tizi rossi ce n'erano due. Con malcelata sorpresa incontrò le iridi purpuree del cantante, che stava effettivamente guardando verso quel punto della platea. Evelya rimase senza parole, come una ladra colta sul fatto, stringendosi ad Abel di riflesso. Il "wow" che bisbigliò al microfono divenne una specie di eco, e le fan iniziarono a reclamare quel complimento con una nuova ondata di spintoni. Se l'era immaginato, punto. L'unico motivo che aveva per fissarla era il vestiario fuori tema. « Ma no, figurati... » disse, nascondendosi dietro di lui per celare il rossore delle guance. Impossibile, era impossibile che tra tutti i suoi simili guardasse proprio la meno appariscente.

    Il concerto fu un susseguirsi di "baccano", per usare le parole di sua madre, che Evelya seguì a malapena, sorpresa di trovare quel genere attraente tanto quanto il cantante dai capelli rossi. Non sentì mai la dolcezza delle corde di un violino, né una voce soave a parlare di amore platonico. No, i loro testi parlavano di eccessi, gioventù, sbagli, uno sprazzo di volgarità, tutto per il sommo godimento dei fan che sapevano a memoria la maggior parte delle parole. Doveva essere così liberatorio. Per lei cantare era dare un suono alle emozioni che celava dentro, ma da quando frequentava l'Istituto le venivano assegnati solo brani preimpostati, dove non poteva scegliere nulla. Abel era contrariato quanto lei, anche se eseguiva i pezzi alla perfezione dietro il suo fidato pianoforte da bravo professionista. "Essere una cantante significa fare tua qualsiasi canzone" sosteneva Azarel, un uomo giovane all'antica, perciò la biondina si ritrovava con pezzi di lirica noiosi e già sentiti, provandoli fino a sera inoltrata. Se solo avesse potuto esprimersi come il leader degli Elysian... Trascorse il resto del tempo ad evitare lo sguardo vivace del rosso, troppo imbarazzata e sotto diretta minaccia delle fan, che approfittavano della sua bassa statura per oscurarle la visuale. Tuttavia non vi era riparo dal rombo della batteria, il suono elettrico delle chitarre, e quella voce. L'intensità scese unicamente verso la fine. Dopo un pezzo adatto ad una rivolta scolastica, bassista e chitarrista scesero a scambiare strette di mano con le prime file, tra selfie ed autografi sulla pelle o sulle magliette, mentre il batterista si faceva passare una birra e spazzava via il sudore dalla fronte. Il cantante, però, non aveva ancora finito. Si assentò qualche istante per tornare con una chitarra acustica, e buona parte del pubblico sospirò all'unisono - soprattutto le ragazze -. Diede ai suoi seguaci un pezzo in contrasto all'energico pop-punk di pochi istanti prima, con un timbro più dolce ed accorato. Ora che tutti si erano calmati, Evelya vedeva bene il suo nuovo idolo, quella voce le s'insinuava nei timpani e nel petto, raccontando di un'Isola che Non C'è ed una Wendy con cui voleva stare ad ogni costo.

    Wendy we can get away. I promise if you’re with me, say the word and we’ll find a way. I can be your lost boy, your last chance. Your "everything better" plan.
    Oh, somewhere in Neverland.


    Una fuga dalla realtà, esattamente ciò di cui aveva bisogno. Intercettò solo più tardi l'occhiata curiosa di Abel, riscoprendosi con le guance umide e gli occhi acquosi. Si stava commuovendo, ovviamente. Secondo il fratello minore aveva la sensibilità di un neonato, ma non riusciva a darsi un contegno in nessun caso.
    « Sto bene, tutto normale » rassicurò l'albino con un breve sorriso, usando la manica del cardigan per rimuovere le prove del misfatto. La melodia sfumò nelle ultime note, e solo allora Evelya sentì la suoneria del cellulare proveniente dalla tasca della gonna. Aveva completamente dimenticato che ora fosse, i genitori dovevano essere in pensiero. I genitori, o Zachary. In quattro messaggi distinti l'avvertiva che il professore di famiglia si era offerto per scortarla a casa, viste le strade buie e piene di malintenzionati. "Sta arrivando al pub. Fatti trovare fuori". Perchè Azarel insistesse così tanto a farle da custode restava un mistero. Sia la madre che il padre lo adoravano in quanto uomo talentuoso e molto benestante, ma la freddezza che riservava alla gente cosiddetta "povera" era deplorevole, lontana dall'educazione che gli attribuivano. Evelya guardò in direzione della porta, la luce dell'esterno che ne illuminava la vetrata in fondo al locale come l'uscita di un tunnel, e l'ansia prese il posto dell'estasi accumulata durante il concerto. Avrebbe detto ai familiari dov'era stata, ovvero nel mezzo di un branco di rivoluzionari dai capelli tinti e le magliette strappate. Poteva dire addio a quel poco tempo libero che le restava. - Basterà non farlo entrare. - Cercò il braccio di Abel, suo unico appiglio per tutta la sera, ritrovandosi però ad afferrare il vuoto, e subito andò nel panico. Che fine aveva fatto? Intravide una chioma di capelli bianchi al margine della platea, vicinissima al palco, ma come aveva fatto a finire lì? Combattuta tra due scelte cruciali, Evelya si liberò degli ultimi residui di lacrime e nuotò letteralmente tra la gente, intenzionata ad arrivare da lui prima che accadesse l'irreparabile. Una bella sfida, giacché le gentili fanciulle facevano a pugni per aggiudicarsi un posto in prima fila. Non appena fu ad una distanza accettabile perché la sua voce lo raggiungesse, la biondina si sbracciò per farsi notare. « Abel! Dobbiamo andar- ». Si sentì afferrare da una mano sicura, la stretta ferrea di uno squalo che emerge dall'acqua per trascinare giù la preda, ed in un istante la calca sparì, lasciandole l'ossigeno a cui tanto agognava. Il batterista li aveva in pugno, e quel sorriso le metteva i brividi.

    • • •

    Niente soddisfaceva di più di un concerto ben riuscito. I fan avevano abboccato all'amo e cantato tutte le canzoni in cori sguaiati, Noel non perdeva un colpo e il resto della band teneva il passo nel pieno dell'euforia. Cain aveva le braccia a pezzi, ma non importava. Voleva essere all'altezza del rosso numero uno, darci dentro fino a stirarsi i muscoli. Quando lo sentì dire un wow che con Lost in Stereo non c'entrava un cavolo lo guardò come se fosse impazzito, o meglio, guardò la sua schiena, certo che anche i piccioncini gli stessero riservando la stessa occhiata. C'era un cagnolino in mezzo alle persone, forse. Bella trovata per ingraziarselo! Izar tornò in fretta sul pezzo, lo stesso che aveva scritto pensando alla sua cotta in un pomeriggio al negozio di dischi, invece il leader ci mise un po' a rimettersi in carreggiata. Oddio, se era un labrador potevano dirsi fottuti. Puntava al centro della platea, dove le luci intermittenti illuminarono due ragazze dai capelli chiari, così chiari da catturare i riflettori. Facendovi più attenzione non ricordavano il pubblico medio che seguiva gli Elysian, perché diamine, dov'erano le magliette nere? Lì le aveva chiunque, anche il titolare. Tra un sorriso lascivo e l'altro, Cain prestò attenzione al cantante e a dove il suo sguardo finisse ogni benedetta volta, ovvero sempre lì. - Uuuh, qualcuno si è beccato un colpo di fulmine - pensò divertito, tirando ad indovinare chi delle due strane tipe avesse catturato il suo interesse: una era talmente bassa da sbucare appena tra la folla, l'altra poco più alta, composta, mostrava i denti appena qualcuno la sfiorava.
    - Devo fargli un discorsetto. Non se le sa scegliere le ragazze. - Quella alta, poi, lo guardò senza ritegno - lui, non Noel - ed iniziarono un inseguimento silenzioso: ogni volta che Cain lasciava la batteria per concentrarsi sull'ammiratrice segreta, quella puntualmente girava la testa verso l'amica, o il resto delle persone, o un punto che non fosse il batterista. Faceva la difficile, insomma. Che problema c'era nell'ammettere che stava bene senza maglietta? Diamine, avrebbe girato nudo per tutta la città tanto andava fiero del risultato dei suoi sforzi. Le donne proprio non le capiva. Neanche gli uomini, ma sapeva di avere la delicatezza di uno schiacciasassi quando si parlava di sentimenti. Dopo un susseguirsi di canzoni spacca timpani, gli Elysian chiusero in bellezza tra applausi, fischi e frasi sconce - la maggior parte venivano dal suo fanclub, quelle di Noel erano molto più pudiche -. Anziché dedicarsi agli ammiratori, Cain prese un attimo di pausa per trangugiare la birra fredda che un tizio dello staff gli passò di soppiatto, con i muscoli delle braccia che bruciavano e gli occhi appannati di sudore. Accettò ben volentieri anche l'asciugamano, guardando Izar ed Altayr che scendevano di sotto per salutare e fare le dive, finché il leader recuperava la chitarra acustica dal backstage per dare un ultimo zuccherino ai fan. Quella canzone era davvero strappalacrime. Il rosso numero due stava per gettarsi in pasto ai leoni quando notò la testolina chiara della ragazza alta, lo sguardo fermo che a volte sembrava sfidarlo, altre volte eluderlo. Beh, se piaceva a Noel aveva il dovere di recuperarla e portarla in salvo. Preso un lungo respiro, Cain posò la bottiglia di birra vuota e si fece avanti, in un mare di mani che toccavano ovunque ed urla estasiate nelle orecchie. « Permesso, scusate, dopo facciamo tutte le foto che volet- ehi! Il braccio mi serve! ». Gli serviva eccome, per suonare ed acchiappare il sacrificio umano dai capelli bianchi - bianchi, che figata! -. In un gesto svelto l'afferrò per il polso, trainandola oltre quell'inferno verso la safe zone del palco, dove Noel aveva giusto finito di suonare. Sentiva di aver appena combinato la coppia del secolo, il nuovo Cupido di Lancaster. Gli avrebbe chiesto dei soldi, se la cosa fosse andata in porto. Chiamò il capo a gran voce, sopra al baccano dei fan, indicando la prigioniera con un sorriso trionfale. « Noel, la tua principessa è qui! ». La esibì come un trofeo, ma appena si voltò a guardarla l'espressione gioiosa si sgretolò. Okay, aveva un fisico esile, un visetto angelico, degli occhi spaventosi, ed era... beh, un uomo. Inequivocabilmente uomo. E sul punto di ucciderlo. « Cioè, un principe. » La divisa maschile lo provava, no? Però sul serio, come faceva un ragazzo ad essere così bello? E bello era riduttivo. Possedeva la bellezza delle cose fragili, delle opere d'arte, quelle che Cain non toccava per paura di romperle. Quelle iridi cupe, peculiari e adir poco accattivanti parevano volergli perforare il petto. Al diavolo il sacrificio umano, quello se lo teneva lui. Lo avvicinò con uno strattone, ancora padrone del suo polso, dando le spalle a Noel e il resto della banda. « Ciao » disse, mangiandoselo con gli occhi, « da vicino sei anche meglio. » Quella pelle bianca e liscia doveva essere illegale, veniva voglia di morderlo. Che serata fortunata. Di lì a poco anche l'amica - stavolta davvero donna - trovò il coraggio di farsi avanti, un pulcino in mezzo a galli feroci che si sforzava di raggiungerlo senza morire soffocata. Appena fu a portata di mano, Cain la recuperò, e voilà, due bellezze niente male pescate dal mazzo. Mostrò entrambi al cantante con un gran sorriso. « Qual'era dei due che continuavi a guardare? Spero la bionda, perché questo qui lo voglio io ». Già, delicatezza di uno schiacciasassi.

    • • •

    Evelya non ebbe tempo di elaborare l'accaduto: un attimo prima battagliava per uscire illesa dalla folla e un attimo dopo si trovava tra le grinfie dello svergognato senza maglietta, lei ed Abel come due merci in vendita al mercato. Era questione di secondi prima che l'albino uccidesse qualcuno. Cosa peggiore, il batterista si stava rivolgendo al ragazzo che l'aveva commossa fino alle lacrime, ora vicino e reale, un figuro altissimo, tatuato e con le orecchie punteggiate di piercing. Tutto ciò che sua madre non avrebbe voluto per lei, insomma. Evelya sentì le gambe cedere, quasi fu grata che l'altro la sorreggesse, mentre avvertiva il calore espandersi sul viso e l'imbarazzo crescere di pari passo. Il fanclub avrebbe linciato entrambi, e il professor Azarel sarebbe arrivato a momenti. Non doveva trovarli lì.

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

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    Altayr • Noel • Abel ›
    I don't care about what you did, only care about what we do
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    ì per lì, impegnata a squadrare con uno sguardo assassino il pubblico davanti al bassista, Altayr ebbe un momentaneo vuoto su quale fosse la prima canzone della scaletta. Noel la guardò un paio di volte, una per darle il via, l'altra per chiederle silenziosamente perché diavolo non fosse ancora partita. Davanti ai fan, ignorare Izar si faceva sempre più complicato. Forse perché la sua cotta si faceva sempre più ovvia. Lui non doveva saperlo, i fan non dovevano saperlo - già si immaginava un suo orribile primo piano, scelto accuratamente per l'occasione, in cima a tutte le fan pages sugli Elysian, che recitava "chitarrista si imbambola troppe volte a guardare il collega, se ne accorgono tutti tranne il diretto interessato". Che visione orribile. I due rossi della band, beh, se ne erano già resi conto da un pezzo, Cain molto prima di Noel, così come i suoi amici a scuola. Tutti, tranne lui, ed era un bene da molti punti di vista. Cercò per la terza volta gli occhi del leader, che si voltò di nuovo verso di lei per indirizzarle un'occhiata esasperata, e lei rise piano in risposta, girandosi poi in direzione di Izar, dato che l'intro del pezzo spettava a loro. Le prime note di A Love Like War rimbombarono nel locale poco illuminato, e il pubblico la riconobbe all'istante, cominciando a saltare sul posto e portando le mani in alto, e appena la voce di Noel si aggiunse alla melodia, la chitarrista si perse in un caos di voci di cui non si sarebbe mai stancata. Sì, poteva mettere da parte anche le bimbe per qualche ora. Sorrise inconsciamente verso la marea di gente che si era raggruppata davanti al palco, il pezzo già entrato nel vivo, e fu ancora più felice nel vedere come i ragazzi si guardassero tra loro, come se le incomprensioni di prima non ci fossero mai state e nessuno avesse mandato a quel paese qualcun'altro. Sapeva che il loro era un legame solido, seppur non lo dessero a vedere, ma il fatto che riuscissero ad intendersi anche solo con uno sguardo nascondeva una gran bella chimica. Adorava essere in quella band, per i componenti, per non doversi nascondere e per tutta l'energia che sprigionavano. Avevano cominciato col botto, senza dubbio. Indirizzò un occhiolino a Cain quando incontrò gli occhi verdi di lui, e il ragazzo rispose con una risata che in mezzo a tutto quel casino non si riusciva sicuramente a sentire. D'altra parte era difficile non lanciare un'occhiata fugace a Izar, dall'altra parte del palco, ma quando si unì al canto di Noel con il coro, quella era la scusa perfetta. Alzò lo sguardo su di lui, e vederlo più sereno di prima gli fece scappare un sorriso che si sbrigò a mascherare abbassando lo sguardo, concentrandosi una volta per tutte sull'esibizione. Basta distrazioni, anche se avercene una a pochi metri di distanza non aiutava. Il secondo ritornello fu seguito dall'assolo di chitarra, che Altayr attendeva fin da quando il bassista l'aveva sfidata nel ripostiglio. Sorrise quando fece scorrere il plettro sulle corde per le ultime note, alzando poi il braccio in un gesto liberatorio appena ebbe finito. Si guardò intorno, mentre il corpo fremeva per muoversi, saltare, carico di energia, quando la mancanza di una nota la fece voltare verso Izar, e sembrava essersene accorto anche lui. Scosse la testa in risposta, quando lui le chiese di far silenzio, e con la mano destra gli fece segno che ne avrebbero parlato dopo. Chi doveva stare attento alle bimbe? Il basso non superava in forza la batteria, ma era la colonna portante di una melodia, e i membri della band, per tutte le prove e le canzoni scritte insieme, sapevano a memoria anche lo spartito altrui. Il moro non l'avrebbe fatta franca. Il boato della folla sottostante le arrivò alle orecchie neanche fosse stato il piacevole canto di un uccellino. Nei pochi secondi di pausa tra un brano e l'altro, Altayr si avvicinò al bordo del palco e battendo un cinque ad un ragazzo che lo reclamava da due minuti buoni. Sorrise allo sconosciuto, come era suo solito, ma la ragazza si immobilizzò quando udì la voce di Noel al microfono, e la canzone non era ancora partita. Si girò di scatto, il cantante a guardare un punto preciso al di là del palco, e la giovane tentò di seguire il suo sguardo. Non riuscì a individuare a primo colpo ciò che aveva attirato l'attenzione del rosso, perciò tornò in posizione eretta e scoccò un'occhiataccia a Noel, perché ora i fan sembravano confusi quanto i ragazzi sullo stage. In pochi passi ritornò al suo posto, il plettro già posizionato sopra le corde per cominciare a suonare mentre la batteria di Cain scandiva le note iniziali del brano seguente. Alla prossima pausa si sarebbe dovuta assolutamente sistemare i capelli con un elastico, quel locale buio e poco arieggiato e il continuo movimento l'avrebbero condotta alla sua fine. Lost in Stereo era una delle sue canzoni preferite del gruppo, a dirla tutta, il che contrastava con il fatto che l'avesse scritta Izar. Parlava di una ragazza, un'altra ragazza, cosa che le piaceva ben poco, ma era fantastico suonarla. Mettendo da parte i dissapori - solo momentaneamente, perché ancora ricordava il tuffo al cuore la prima volta che l'aveva ascoltata - imbracciò la chitarra e sfregò il plettro contro le corde dello strumento, la canzone che subito cominciò con una scarica di adrenalina e le luci che quasi li accecavano. Noel si rese conto che toccava a lui quando fu troppo tardi, questione d'istanti, ma Izar riuscì a coprirlo magnificamente. Il rosso mise subito su uno dei suoi sorrisi smaglianti, di quelli in grado di confondere le donne, e ci riuscì benissimo. Altayr gli indirizzò un'occhiata scettica, come a volergli chiedere che diavolo stesse combinando, e vide chiaramente il cantante incrociare il suo sguardo per poi distoglierlo come niente fosse.
    - Non far finta di niente, si vede lontano un miglio che hai visto qualcosa - pensò tra sé e sé, guardando la folla nei pochi attimi di respiro che le erano concessi durante l'esecuzione. Più che qualcosa era qualcuno, anche se non riusciva a individuare il nuovo oggetto del desiderio del loro leader. « She's dancing alone, I'm ready to go, but she's so... » La voce graffiante di Noel fece crescere l'entusiasmo del pubblico, la canzone era ormai agli sgoccioli, e sapere a memoria quella canzone faceva quasi male. Numerose volte aveva tentato di indovinare l'identità della ragazza descritta nella canzone, ma immaginare Izar guardare qualcun'altra la mandava in bestia. « She's out of control, so beautiful » Lei è così bella, lo ripeteva centinaia di volte nel corso del brano. - Oh, e vattene a cagare -.

    • • •

    Non riusciva a distogliere lo sguardo, neanche quella ragazza fosse una vera e propria calamita. A volte ci riusciva, sorrideva a destra e manca e stringeva le mani della gente sotto il palco, ma poi tornava a concentrarsi su di lei, una testolina bionda in mezzo ad una folla a cui era ovvio non sentisse di appartenere. Seppur coperta da molte persone, era chiaro che non indossasse nulla che richiamasse ad una serata in un pub ad ascoltare una rock-band. La fanciulla senza nome sembrava il tipo che preferiva assistere ad un concerto di archi, fiati e percussioni, piuttosto che trovarsi in mezzo a tutto quel caos. Comprensibile, dato che lui un'esibizione di musica classica non sarebbe riuscita a sopportarla, cosa che invece era sicuramente più affine alla ragazza dagli occhi chiari e magnetici. Nel guardarla, quasi si dimenticò che la canzone era iniziata, e tornò coi piedi per terra solo dopo aver sentito la voce di Izar al microfono, afferrando il suo e riprendendo il controllo di sé stesso. Controllo era una parola grossa per Noel, che non poneva mai un freno al suo istinto. Contro la sua volontà, le iridi ametista viaggiavano sulla folla per soffermarsi qualche secondo in più sempre sullo stesso punto, dove stava la biondina, circondata da altre ragazze che tentavano di attirare l'attenzione e non facevano altro che urtarsi tra loro, anche se un tizio dai capelli chiarissimi cercava di farsi spazio come poteva. Ad esibirsi non era un quartetto d'archi, nei pub funzionava così, e la coppia di giovani in giacca e cravatta non era ci era abituata, era evidente. Sapeva che Lost in Stereo era stata scritta da Izar per la ragazza per cui aveva una cotta da secoli - non era stupido, e i due che suonavano alle sue spalle erano diventati imbarazzanti e gli occhi a forma di cuore non riuscivano proprio a nasconderli - eppure la cantò come se fosse stata effettivamente sua, come se stesse cantando per qualcuno. E quel qualcuno in mezzo alla folla era lei. Doveva beccarla alla fine del live, questione di priorità. Doveva sapere il suo nome, e avere la certezza di incontrarla di nuovo, e vederla da vicina. Perché se da lontano gli faceva quell'effetto, cazzo, era messo male. La batteria di Cain segnò la fine del pezzo, e il cantante si passò una mano tra i capelli, accorgendosi di star già sudando. Salutò un paio di ragazze sotto il palco poco prima di far segno di prepararsi per il terzo brano, nessuna pausa. Con la coda dell'occhio, vide Altayr imprecare mentre tentava di legarsi i capelli in una comoda coda di cavallo, ma la ragazza vi rinunciò non dopo avergli rivolto un vistoso dito medio e un insulto che non arrivò alle sue orecchie. Con le dita intorno all'asta del microfono, la voce di Noel venne subito seguita dalla chitarra dell'unica ragazza degli Elysian, poi si aggiunsero basso e batteria, preannunciando una melodia tutt'altro che soave e delicata. Sorrise quando vide i fan riconoscere all'istante la canzone, unendosi al canto in men che non si dica. Viveva per momenti del genere, e non vi aveva ancora fatto l'abitudine seppur avessero girato tutti i pub della regione per farsi un nome. Sul palco era spigliato e assolutamente a suo agio, ma ogni volta che le voci del pubblico sovrastavano la sua gli si attorcigliava lo stomaco. E la stessa sensazione era riuscito a provarla nell'incrociare un singolo sguardo, al diavolo, non erano solo i boati della gente ad emozionarlo in quel momento. Magari avrebbe fatto meglio a concentrarsi sulle parole della canzone invece di continuare a cercare la sconosciuta tra la folla, e gli sguardi indagatori dei suoi compagni non facevano altro che sottolinearlo. Anche loro avevano capito che c'era qualcosa che non andava, inevitabile. A The Reckless and the Brave, un inno al coraggio e all'audacia di prendere in mano la propria vita, seguirono altre canzoni, tutte segnate dalla sua voce graffiante e i suoni decisi degli strumenti, per non parlare della partecipazione del pubblico, non poteva chiedere dei fan migliori. In un momento di pausa prima del brano finale, Noel afferrò il bordo della maglietta scura che aveva addosso, tirandolo su fino ad asciugarsi la fronte sudata non curandosi minimamente di stare sopra ad un palco illuminato a giorno di fronte ad un sacco di gente. « Vado a prendere la chitarra » annunciò mentre Izar lo superò per dirigersi ai piedi dello stage, in mezzo alla folla, al contrario di Altayr che lo fermò con una spallata decisa. « Mi sei sembrato un po' perso » gli fece, e a Noel scappò un mezzo sorriso, « Se l'avessi vista avrebbe rapito anche te » sostenne, raggirandola per sgattaiolare dietro le quinte alla ricerca della sua chitarra acustica, con la quale avrebbe eseguito l'ultima canzone della serata. Dallo sguardo della castana, capì che lei non l'aveva notata tra la folla, ed era un peccato: non sapeva cosa si fosse persa, ma da una parte se era stato solamente lui a vederla si sentiva meglio. Che poi, cielo, come si poteva non accorgersi di lei, bella com'era? « Non partire subito Noel, non partire » si disse a bassa voce, ripetendo una frase che il fratello gli aveva ripetuto chissà quante volte nel corso degli anni. Sapeva di essere istintivo, di fra fin troppa retta alle sue emozioni invece di ragionarci su, ma era più forte di lui, dannazione. Al suo rientro sul palco, i fan lo accolsero con un ulteriore applauso, seguito poi da un sospiro da parte del pubblico femminile quando si sistemò sulla sedia al centro della scena. Il contrasto tra i pezzi suonati fino a qualche istante prima che istigavano alla rivoluzione, che parlavano di amori andati male, di ribellione e di impertinenza e il brano che doveva cantare fu immediato: le prime note furono gradevoli e dolci, così come la sua voce non fu né graffiante né audace come suo solito. Doveva cantare per la sua Wendy, in fondo. Una Wendy senza volto, scomparsa anni prima. « Wendy, run away with me, I know I sound crazy, don't you see what you do to me? » quella canzone non aveva più alcun significato particolare, e nel pronunciare il nome della ragazza in questione, ossia Wendy, non compariva più alcun volto. Era una bella canzone, ciò che cantava lo pensava davvero, ma quel pezzo apparteneva anche ad altre persone, ora, che riconoscevano la loro storia in quelle parole. Non era più una canzone per una ragazza, era una canzone per tante, molteplici storie. Non aveva troppo significato per lui, ma lo aveva per tante altre persone. « I wanna be your lost boy, your last chance, a better reality » fece l'enorme sbaglio di incontrare di nuovo lo sguardo della biondina, così diverso da quello della Wendy della canzone, che per un attimo dedicare una propria canzone ad una sconosciuta non gli sembrò un'idea così malvagia. Niente da fare, era partito. L'ultima strofa la cantò guardando solamente lei, sebbene avesse provato a non farlo, e le note finali vennero accolte con un boato improvviso. Noel si alzò, posando la chitarra in tutta fretta nel backstage, e distribuì saluti a chiunque fosse a portata di mano, preparandosi a scendere per fare qualche foto - in fondo gliele chiedevano sempre - e perché no, magari sarebbe riuscito a scoprire il nome della fanciulla dagli occhi splendenti. A dirla tutta, la folla un po' lo spaventava, e sentiva il bisogno di sedersi ancora un po': per la sua protesi tutto quel movimento non era il massimo, e la fatica cominciava a manifestarsi. Si sentì chiamare a gran voce da Cain - riusciva anche a superare gli schiamazzi delle ragazzine - e si voltò verso di lui appena ebbe finito di fare un autografo su una t-shirt. Accanto a lui vi era un ragazzo dalla chioma chiarissima, bianca, addirittura, e lo sguardo degno di chi stava per compiere un omicidio. Il batterista glielo mostrò neanche fosse merce al mercato, con un sorriso trionfale, e lo chiamò addirittura "principessa". La sua principessa. « Pensavo che l'alcol lo reggessi di più » lo apostrofò, facendo riferimento alla bottiglia di birra vuota al bordo del palco, che era certo che se la fosse bevuta lui. Sapeva che fosse miope, ma non credeva che avrebbe scambiato un maschio per una fanciulla. Si scusò velocemente con il malcapitato, e la sua attenzione passò ai gruppi sfegatati di ragazze che lo stavano circondando per chiedergli foto e firme, ovviamente strillando. Fece segno ad una di loro di passargli il telefono per il primo selfie, e nel ridarglielo non poté fare a meno di cercare tra la folla la testolina bionda che aveva fissato per tutto il concerto, senza però trovarla. Forse era andata via, e il pensiero lo rattristò un poco. Se si fosse dato una mossa avrebbe potuto rintracciarla finché rimaneva dentro il locale. Una delle giovani gli porse il braccio scoperto e un pennarello indelebile, e lui lo afferrò con un sorriso a mascherare la fretta. Doveva spicciarsi. « Qual'era dei due che continuavi a guardare? » Cain lo fece girare di nuovo per il suo tono di voce udibile a chilometri di distanza, e il leader spalancò gli occhi quando incontrò le iridi dorate che aveva rincorso per l'intera serata. Era lì. Impaurita, confusa, ma era lei, era lei. « Spero la bionda, perché questo qui lo voglio io » esclamò il rosso numero due, sorridendo in direzione dell'albino, mentre Noel stava ancora fissando la ragazza, impossibilitato a distogliere lo sguardo. « Tienitelo pure » fece di rimando, e una gomitata in mezzo alla schiena lo fece tornare con i piedi per terra. Giusto, le fan stavano ancora aspettando lì, cavolo. Quella era la prima e unica volta in cui desiderava che fossero meno numerose e appiccicose, perché di solito adorava passare del tempo con loro. « Datemi un cellulare, selfie di gruppo » tese la mano e prese il primo cellulare che gli capitò tra le dita, sollevandolo in alto e scattando una miriade di foto, uno dopo l'altra, a raffica. Muoversi, muoversi. Le liquidò con qualche parola di cortesia, promettendo che si sarebbe fermato dopo insieme a loro, e quando vide Altayr venire in suo aiuto si convinse che il karma lo amava davvero. Tirò un sospiro di sollievo quando vide che Cain era riuscito a non farsi sfuggire i due giovani - una in particolare - e sorrise subito in direzione della giovane. Da vicino era, letteralmente, una meraviglia. Era esile, la carnagione chiara come i capelli, prima legati in un'acconciatura ordinata, e gli occhi - oh Dio, gli occhi. Languidi, grandi, brillanti, di un magnifico oro che mai aveva visto. Il karma lo amava davvero. « Tutto a posto? Sembri spaventata » le fece, ed in un certo senso le dava ragione: il batterista degli Elysian non era il più delicato tra gli uomini, e quella sera c'era davvero un sacco di gente per i loro standard.
    « Non sei abituata a tutto 'sto caos, vero? » continuò sorridendo, guardandola negli occhi. Non riusciva a distogliere lo sguardo. Il nome, doveva chiederle il nome, assolutamente. E magari anche il numero di telefono. « Io sono Noel, e tu sei bellissima » gli scappò, senza neanche volerlo, ancora con la testa tra le nuvole, ma si ricompose subito prima che potesse combinare qualche disastro. Anzi, no, lo aveva già fatto, troppo tardi. « Volevo dire, tu sei? Come ti chiami? » disse subito, con il suo solito sorriso che, bene o male, riuscì a nascondere la figuraccia di poco prima. Oh, beh, non che prima avesse detto una bugia.

    • • •

    Era tutto più o meno fantastico fino a quando non si sentì trascinare via da Evelya: il concerto era stato grandioso - strano, per quel genere di musica - se non fosse stata per la folla che lo attorniava, una massa di ragazzine in calore - - Santo iddio - - e i bellinfusti che non facevano altro che spingerlo da ogni parte. E poi c'era il batterista. Non era sicuro che stesse guardando proprio lui in mezzo a tutte quelle persone urlanti, ma se lo stava facendo... Forse se lo stava immaginando. Fatto stava che la fine del live se l'era immaginata molto più tranquilla: dopo l'ultima canzone, Abel si era sentito afferrare per il braccio e trascinato con molta delicatezza - certo, come no - vicino al palco, e gli ci volle qualche istante per capire chi diavolo si fosse permesso. « Noel, la tua principessa è qui! » Abel sbatté le palpebre un paio di volte, per poi realizzare ciò che gli era appena stato detto. « Principessa chi, scusa? » ringhiò, pronto a sfogare la sua rabbia contro il pazzo di turno, girandosi di scatto per delineare il profilo del volto che aveva osservato da lontano fino a quel momento. Era uno scherzo. L'altro si voltò a sua volta, e fu sicuro che il cuore smise di battere per qualche secondo. Era una visione, le iridi smeraldine a inghiottirlo senza che lui potesse far nulla, e si trovava fin troppo vicino al suo petto nudo. Dalla distanza era tutta un'altra storia, non pensava che sarebbe finito tra le sue braccia prima che la serata potesse dirsi conclusa. Attorno a lui si levarono strilli e lamenti, ancora più forti di prima e fastidiosi, e Abel tentò subito di liberarsi mentre sul viso del rosso si faceva strada un'espressione di palese sorpresa, che si tramutò presto nel mezzo sorrisetto che gli aveva visto esibire fino a pochi istanti prima. « Cioè, un principe » si corresse, troppo tardi. Tutto quel casino e la vicinanza con l'affascinante batterista era fin troppo da sopportare, e in quel momento avrebbe voluto solo un attimo di pace. Gli stava andando in pappa il cervello, maledizione. « Lasciami andare » sibilò, cercando di sfuggire ancora alla presa ferrea del rosso, senza però riuscirci. Per tutta risposta, lui lo avvicinò ancora di più a sé, e l'attenzione di Abel ricadde inevitabilmente sull'enorme tatuaggio che gli ricopriva metà del busto. - Cazzo - si disse mentalmente, ripetendo quella parola come un mantra, mentre seguiva le linee intricate e scure dell'inchiostro. La voce profonda del batterista gli fece ricordare di voler scappare da lì al più presto - giusto, perché se ne era quasi dimenticato -, e l'albino indurì di riflesso lo sguardo. « Ti ho detto di... », « Da vicino sei anche meglio » lo interruppe, e sebbene non fosse davvero il tipo da farsi abbindolare con queste stronzate, il ragazzo lo osservò per qualche istante senza riuscire a dire nulla. Lo aveva davvero notato tra il pubblico. Non era stata una sua impressione. « Senti, bellinfusto » disse, perché non doveva perdere la sua credibilità. Che gli stava succedendo quella sera? Era tutta colpa di quel batterista da strapazzo e terribilmente attraente. Peccato lo avesse avvicinato in modo irruento, comportamento che non apprezzava affatto, e il suo presunto fan club stesse sbraitando per il disappunto alle sue spalle. « Voglio andarmene e non trovo più l'unica persona che conosco in questo dannato locale » per quanto quel tipo lo intrigasse, era davvero nervoso. Dov'era Evelya? Se non fossero tornati a casa in quell'esatto momento non voleva immaginare come le rispettive famiglie potessero reagire. Sua madre Sarah non era tanto intransigente quanto quella della sua amica, ma causare problemi ai loro genitori e ad Evelya era l'ultima cosa che voleva fare. « Quindi lasciami stare » Più facile a dirsi che a farsi, perché non era sicuro che lo stesse ascoltando, perché all'improvviso sembrò essere concentrato su qualcuno alle sue spalle. Abel non fece in tempo neppure a sbirciare per vedere di chi si trattasse o tentare un ultimo, disperato tentativo di liberarsi e fuggire da quel posto fin troppo caotico per i suoi gusti, che l'amica che aveva perso di vista pochi minuti fa lo affiancò, intimorita e rossa fino alla punta delle orecchie. Stava guardando l'altro tizio rosso, il cantante, di cui prima l'albino aveva ignorato le scuse. Il batterista parlò di nuovo, e stavolta fu davvero grato non guardasse verso di lui, perché era convinto che le guance si erano arrossate. Era sicuro di sé e sbruffone, ma non lo intimoriva, né avrebbe desiderato ucciderlo insieme alla massa di ragazzine incazzate lì dietro. Per il momento, preferiva solamente che gli levasse le mani di dosso, solo questo. E allontanarsi un po', perché la vicinanza, la voce profonda e il suo profumo lo stavano confondendo. Era un bel ragazzo, non c'era nulla da dire, e lui non era per niente affascinato, non era lui che non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi verdi che sembravano guardarlo dentro. Per niente. « Pensa a placare le bimbette qui dietro, invece di sequestrare persone a caso » sbuffò, il tono acido in netto contrasto con l'eccitazione che lo pervadeva per essere stato notato dal rosso. Succedeva sempre così, in fondo, era un maestro nel camuffare ciò che pensava. Chi lo conosceva da tempo, come Evie, poteva capire quando stava mentendo, ma agli sconosciuti appariva solo come un tizio scontroso e di poche ma taglienti parole. Dall'altra parte, il cantante era palesemente e completamente rapito dalla compagna, fatto che aveva notato anche durante il live, dato che i suoi occhi stavano sempre a cercarla tra la folla, per poi sostare su di lei qualche secondo in più. Non si era neppure degnato di nasconderlo. « Evie, bisogna andare » fece, posandole una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione, e nello stesso momento qualcuno gli strillò nelle orecchie e desiderò ardentemente di ripulire quel posto da cima a fondo, ma doveva avere pazienza. Sarebbero usciti. « Tua madre ti ha chiamato o mandato messaggi? » chiese, perché se lo aveva fatto era da preoccuparsi. Lui aveva lasciato il telefono in borsa, accanto al bancone all'ingresso, ma in caso di chiamate perse da parte di Sarah avrebbe sempre potuto richiamare. Parveen era ben più severa, e sia mai che avessero incontrato qualche compagno di scuola che avrebbe potuto riferire tutto ai piani alti. Non potevano rischiare così tanto per due bellocci. « Potresti lasciarmi... » si girò ancora verso il ragazzo che lo teneva prigioniero, per poi ricordarsi che era dannatamente vicino e le parole gli si bloccarono in gola. Cazzo, se era bello. « ... adesso? » riuscì a dirlo con un tono più risoluto di quel che immaginava, anche se il breve momento di silenzio tradiva un certo nervosismo. E come poteva non esserlo, con un orologio immaginario a battere i secondi, il caos che lo circondava e gli occhi verdi dell'altro a fissarlo?

    • • •

    Altayr, fino a quel momento, si era infilata in almeno una quindicina di selfie in tutto, e il motivo era molto semplice. Era una guastafeste, principalmente, ma le bimbe non facevano altro che dare baci sulla guancia a Izar mentre facevano le foto, gli si stringevano al petto, pretendevano che le abbracciasse, e non riusciva davvero a sopportarlo. Una foto andava bene, due anche, tre poteva passarci sopra. Arrivata a dieci, finiva anche la sua pazienza e la capacità di ignorare quello che stava succedendo. Essere innamorata di un bassista acclamato da molto pubblico femminile equivaleva a volersi fare del male. « Grazie per il sostegno! » esclamò, rivolgendosi ad una ragazza con fin troppo eyeliner e i nomi dei due rossi scritti su entrambe le braccia, mentre quello di Izar figurava in fronte. L'ennesima zoccoletta che si era strusciata sul petto del moro, cercando di baciarlo. « Aspetta, te ne manca uno » afferrò il pennarello di una tizia a caso, per poi porre la sua firma a caratteri cubitali sulla porzione di pelle che lo scollo della maglietta mostrava. Le bimbe mosse solo dai propri ormoni si dimenticavano apposta di lei, ma Altayr era sempre pronta a ricordare che c'era anche un quarto componente negli Elysian. « Grazie per il sostegno » ripeté volutamente sarcastica, voltandole le spalle e firmando la maglietta di un tipo dai capelli blu. Gli fece i complimenti per il colore, per poi notare lo schiamazzo vicino al palco, nei pressi di Noel e Cain. Stavano parlando con qualcuno, ma perché tanto casino? Il leader aveva un'espressione da ebete ineguagliabile - dove aveva il cellulare quando serviva? - e l'altro teneva tra le braccia due tipi che non conosceva, vestiti in maniera fin troppo formale per far parte dell'ambiente. Per quanto riuscì ad avvicinarsi, notò comunque quanto i due si sentissero fuori posto e scombussolati, e sicuramente la parlantina di Noel e gli sguardi provocanti di Cain non riuscivano a metterli a loro agio. Sbuffò, mettendosi in testa al gruppo e bloccando un gruppetto di ragazze partito all'attacco. « Fate un passo indietro, anche due, tre, quattro » gridò, facendo segno di allontanarsi, e incrociò per un secondo lo sguardo grato di Noel. Gli sorrise, ma solo perché non sapeva quante birre avrebbe chiesto in cambio. Sembrava piuttosto occupato con una dei due giovani, e ipotizzò che fosse quella per cui si era distratto per un'ora e qualcosa di live. Pregando che la sua pazienza potesse durare ancora un po' e non abbandonarla immediatamente per prendere a schiaffi qualcuno, la chitarrista annunciò che sarebbero tornati tra pochi secondi e di aspettarli, perché non aveva ancora capito cosa diamine stessero combinando quei due.

    La situazione non era delle più tragiche, ma i due sconosciuti non sembravano comunque passarsela bene: una sembrava stesse per scoppiare a piangere, l'altro era sull'orlo di una crisi di nervi. Tutti e due tipetti tranquilli, insomma. Da quel che aveva capito, Noel si era preso una sbandata per la biondina, così come Cain, e non si preoccupavano affatto di mascherarlo, senza domandarsi se la cosa avrebbe potuto mettere in imbarazzo i due giovani. « Sapevo foste stupidi, ma Cristo » imprecò, passandosi una mano sul viso, e incrociò lo sguardo senza speranza di Izar, fin troppo simile al suo. Sospirò, affiancando la fanciulla dagli occhi chiari e sorridendole. « Sono Altayr, piacere. Questi due non sanno cosa sia l'educazione, perdonateli », « Parla quella che è famosa per picchiare la gente quando le va » replicò Noel, e la castana si voltò verso di lui senza smettere di sorridere. « Se non ti cuci la bocca mi torna la voglia di fare a botte, e potrei prendere un tizio a caso per sfogarmi » fece, e il cantante gli fece la linguaccia per tutta risposta. Tornò a guardare la biondina, che rispondeva al nome di Evelya, e non poté fare a meno di studiarla: sembrava una bambola di porcellana, graziosa, fine, le labbra sottili e il corpo minuto, le iridi che splendevano come pietre preziose e i capelli biondi un po' fuori posto a incorniciarle il viso angelico. Tutt'altro tipo di ragazza, rispetto a quelle che si vedevano ai loro concerti, così diversa anche da lei. Noel aveva davvero buon gusto, non c'era che dire. L'altro era un concentrato di frustrazione e collera, ma non le sfuggì il leggero e perenno rossore sulle guance candide. Apprese che dovevano assolutamente andare via, e non aveva capito se dovevano farlo di nascosto o meno. Mentre Abel - non si era presentato, ma la biondina lo aveva chiamato così - continuava a combattere con il batterista, Noel e Altayr sospirarono all'uniscono, consci che farli uscire per l'ingresso principale sarebbe stata una follia, la gente era talmente tanta e il locale le racchiudeva a malapena. « La porta sul retro? » suggerì lui, e la ragazza si voltò di scatto verso il cantante degli Elysian. « Grande » sussurrò, perché davvero non era un'idea malvagia, se non l'unica. Fece segno ad Evelya di seguirla, quando il rosso numero uno la fermò trattenendola per un braccio. « Ti accompagno io! » esultò, e Altayr captò il messaggio. Alzò le mani, lasciando le due strane coppiette e dirigendosi verso Izar con gli angoli della bocca sollevati in un sorriso puramente ironico. « Dunque, com'erano i miei assoli? » domandò, piazzandosi di fronte al bassista con le braccia incrociate al petto,
    « Perché io avrei da ridire su qualche tuo pezzo » ridacchiò, rifilandogli una leggera gomitata, una scusa come un'altra per sentirlo un po' più vicino.

    • • •

    Il leader era letteralmente su di giri, e gli riusciva difficile tenere a freno la lingua. Aveva incontrato la ragazza, sul serio, e ora sapeva anche il suo nome. Evelya. E chi se lo dimenticava? Era comunque ovvio che appartenesse a tutt'altro mondo rispetto al suo, niente eccessi, niente sgarri. La sua nemesi. « Spero ti sia piaciuto il concerto stasera » disse, passandosi una mano tra i capelli e aprendo la porta, l'aria fresca della sera a investirli. Il ragazzo prese un respiro profondo, perché starsene al chiuso e al buio in un locale poco arieggiato era davvero infattibile. « Vieni a vederci quando vuoi, ci esibiamo spesso qua » Traduzione: "spero davvero di vederti il più presto possibile", perché lasciarla andare per non vederla più... No, voleva andare via con la sua Wendy.

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    Edited by altäir - 31/3/2017, 17:53
     
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    Izar, Evelya, Cain.
    "In the space between chaos and shape there was another chance."

    La situazione stava diventando insostenibile per Evelya ed il suo fragile cuore, impegnato in una corsa sfrenata che pareva solo peggiorare ogni volta che osava alzare gli occhi dal pavimento. Il cantante le stava chiedendo - un po' divertito e un po' seriamente preoccupato - se fosse spaventata. Certo che lo era! Un tizio tutto muscoli la teneva imprigionata contro la sua volontà, il professore poteva entrare in qualsiasi momento, Abel era vicinissimo ad un raptus omicida e lui era così bello da togliere il fiato. Non parlava di bellezza canonica, ma di quella di un tramonto nella natura incontrastata, qualcosa di libero, selvaggio e bruciante come il sole stesso. Improvvisamente capiva il numero di fan che si accanivano sul ragazzo come fosse un pezzo di carne succulenta, quasi le invidiava per la schiettezza con cui dimostravano la loro ammirazione.
    « Io... no, sto bene. È solo che... » provò a balbettare il suo disagio, però proprio non riusciva a dare un senso alle parole. In più si esprimeva a voce troppo bassa per il frastuono che li circondava. Il cantante indovinò subito quale fosse il problema, per fortuna. Sì, il caos, e l'averlo così vicino. Quasi le dispiacque quando il bodyguard mollò la presa, perché le serviva con urgenza un sostegno. Scosse il capo in risposta e massaggiò il polso dolorante, finché un minimo movimento del rosso non la costrinse ad alzare lo sguardo.
    « Io sono Noel, e tu sei bellissima. » Cosa? Oddio, non l'aveva detto sul serio.
    Non con quel sorriso! Lo shock quasi le fece scordare le buone maniere, dando il tempo all'altro di recuperare in calcio d'angolo e offrirgli una vera presentazione. Evelya arrossì senza ritegno appena sentì le risatine del tipo senza maglietta.
    « Evelya... ah, Evie va bene! So che è un nome difficile da ricordare. »
    Invece Noel non lo era affatto, perché in quelle poche lettere era racchiusa tutta la schiettezza e naturalezza che lo contraddistingueva. Se chiudeva gli occhi e lo ripeteva nella mente immaginava proprio una persona come lui. Allungò la mano di riflesso, gesto che parve infastidire le ammiratrici al punto da costringerla a ritrarla per paura che gliela tagliassero via. Le donne innamorate erano davvero pericolose, e i due si erano conosciuti nel peggiore degli scenari. Era impensabile avere una discussione decente sopra quel baccano, ma soprattutto con gli occhi delle fanciulle puntati contro peggio dei cecchini. Evelya avrebbe voluto scambiare giusto pochi convenevoli - sua madre l'aveva addestrata per anni ad intrattenere conversazioni - peccato che qualcuno stesse venendo a prenderla proprio sul più bello. La voce seccata di Abel, ancora prigioniero dell'avvenente batterista, la riportò al presente. Gli mostrò gli ultimi messaggi di Zachary, che spiegavano alla perfezione in che brutta faccenda si erano ficcati.
    « Se ci vede qui sono guai. » Poteva solo immaginare i commenti durante il viaggio di ritorno sulla lussuosa auto di Mr. Emberthorn, una sviolinata sul senso del decoro, sulla musica che non prevedeva strumenti lirici e così via. Un fischio acuto la fece voltare in direzione del piano rialzato dove qualche coraggioso iniziava a cenare - era quasi mezzanotte. Che tipi bizzarri! -. Solomon teneva sospese oltre la balaustra le rispettive borse dei ragazzi, facendo segno di recuperarle e sparire prima che accadesse il peggio. La biondina si allontanò in fretta, chiedendosi se e quando il senza maglietta si sarebbe deciso a lasciare il suo migliore amico. Il modo in cui lo squadrava non era normale. Pareva pronto a mangiarselo in un sol boccone.

    • • •

    Non un principe, ma sicuramente un conte o un duca. L'albino trattava Cain con la freddezza spietata che di solito quelli del suo rango riservavano alla servitù. Abbaiava e non mordeva, per il momento. Gli venne spontaneo chiedersi se la bambolina fosse la sua ragazza, l'unica persona che conosceva e con cui voleva darsi alla fuga, o se fosse "curioso" di esplorare nuovi orizzonti con lui.
    « Pensa a placare le bimbette qui dietro, invece di sequestrare persone a caso » lo rimbeccò. Che offesa! Non pescava mai alla cieca, anzi. Era molto selettivo nella scelta delle sue vittime. « Ti tenevo d'occhio da un po', sai? »
    Con uno sbuffo esasperato liberò la preda di Noel, che già si buttava avanti con i complimenti. L'aveva visto circondato da donne per i tre quarti della loro carriera insieme, ma mai così coinvolto.
    « Potresti lasciarmi adesso? ».
    « No, non credo. »
    Il ragazzo dai capelli bianchissimi e le guance imporporate non aveva ancora capito in che guaio si era cacciato presentandosi ad un live degli Elysian proprio la sera in cui lui era alla ricerca di compagnia. Passò dal polso alla mano, fragile e dalle dita affusolate, intrecciandola con la sua e portandone il dorso alle labbra senza mai interrompere il contatto visivo. Aveva gli occhi grigi, corrucciati, che sotto i riflettori colorati assumevano mille sfumature diverse.
    « Abel » chiamò, « piacere di conoscerti. Sono Cain, ma tu puoi chiamarmi come vuoi. » Visto che le bimbette stavano dando in escandescenze voltò loro le spalle, proteggendo a quel modo anche l'albino dagli sguardi assassini.
    « Dove devi andare? Ti do uno strappo. » Era un piano ben progettato prima che Altayr arrivasse a rovinare tutto, portando la soluzione di cui i due stranieri avevano bisogno. Maledizione a lei, proprio ora che aveva trovato un giocattolo interessante. Oltretutto stava ignorando bellamente i fan, che nei post-concerti non vedevano l'ora di allungare le mani su ogni singolo membro della band. Oh, e dovevano vendere i cd e le magliette, altrimenti addio soldi per l'affitto! Diamine, urgeva un'opzione alternativa. Non se ne sarebbe separato senza il numero di cellulare, fossero cascati il mondo e tutti i pianeti, e a riprova di ciò scelse di accompagnarlo verso la porta sul retro per mano, stringendo più forte ogni volta che Abel dava segno di volersi sottrarre alla presa con un ampio sorriso sornione stampato in volto. Passando per il backstage afferrò la maglietta e la buttò con noncuranza su una spalla, pronto a sfidare il clima mite all'esterno da bravo edonista. Davanti a loro aprivano la fila Noel e la bambolina, due tipi completamente opposti e sbagliati, in qualche modo. Il leader non parlava spesso delle sue relazioni, visto che era amico di tutte e non stava davvero con qualcuna, eppure per lui avrebbe visto bene una fanciulla meno raffinata. Sia lei che Abel indossavano divise scolastiche dall'aria costosa. Chissà cosa studiavano, e soprattutto quanto pagavano di retta. « E dai, non tenermi il muso. Ci vedo poco da quest'occhio, non l'ho detto per prenderti in giro. » Dire ad un uomo che era bello o grazioso, nel suo linguaggio, era un gran complimento. Slacciò la mano dalla sua solo una volta che furono usciti dalla pesante porta antincendio del retro, finché ne approfittava per rimettere la t-shirt nera addosso. « Sarei molto molto contento se tu tornassi ad ascoltarci. Magari la prossima volta ti tengo il posto in prima fila, così puoi vedermi da vicino senza rimetterci il collo. »
    Gli fece l'occhiolino, ridendo della sua espressione frustrata. Era adorabilmente cocciuto, al punto da non dargli il numero di cellulare tanto alla buona. Doveva farsi furbo. Ascoltò la conversazione imbarazzante del leader e la biondina accanto a loro, e notò come Noel - quel Don Giovanni mascherato - stesse lasciando il suo numero su un quaderno dove in teoria sarebbe bastato solo l'autografo. Numero della bambola uguale numero di Abel, se erano amici come dicevano. Bingo. « Una stretta di mano per salutarci? » propose, quando ormai era chiaro che i due non avessero più tempo per intrattenersi e chiacchierare. L'albino non si prodigò in chissà quale ossequio, anzi, parve riluttante ad allungare la mano, ma Cain sapeva come mitigare la sua timidezza. Lo attirò a sé con uno strattone breve e deciso, trattenendolo per la nuca mentre posava un bacio sui capelli morbidissimi dell'altro. Se non fosse stato per il briciolo di buon senso che lo coglieva ogni tanto l'avrebbe trattenuto ancora, perché il rossore profuso sulle guance era molto più soddisfacente di qualsiasi contatto fisico tra loro. Okay, aveva fatto una scelta avventata, ma non era il tipo che tornava sui suoi passi. Non senza averlo conosciuto meglio, prima.

    • • •

    - Ugh, contatto fisico. - I post-concerti erano anche più impegnativi dei concerti stessi. Azzeccare tutte le note non era niente in confronto all'accogliere una mandria di persone - principalmente donne - che contavano i centimetri che le separavano dal palco per potersi arraffare un membro degli Elysian e riempire il cellulare di foto. Izar diede un'occhiata al leader, meno entusiasta del solito, per poi essere trascinato in mezzo alla folla. Ogni ragazza che chiedeva un selfie gli si aggrappava al collo, oppure gli posava un bacio sulla guancia all'ultimo secondo, senza che avesse il tempo di scansarsi. Quando qualcuna gli sollevò la maglietta iniziò a temere per la sua incolumità, ma per fortuna Altayr restava nei paraggi e rabboniva le fan, infilandosi tra le foto e rubando autografi. Peccato che così facendo non si rendeva conto dell'altra parte di pubblico, quel dieci per cento maschile che la stalkerava sui social e commentava le sue misure, credendosi invisibile. Un giorno li avrebbe gonfiati di botte tutti, uno per uno, minacciandoli di non provarci con la sua ragazza. - Già, continua a sognare Izar. -
    Certo, la chitarrista non gli facilitava il lavoro. Stava al centro di un gruppo di cani sbavanti con una buona porzione di pelle scoperta. Appena dava le spalle ai ragazzi quelli si davano di gomito con aria da intenditori, mandandolo su tutte le furie. Uno con i capelli blu, in particolare, sembrava intenzionato a fare un bel primo piano del suo sedere, lo vedeva attraverso lo schermo del cellulare.
    Si fiondò davanti all'obiettivo alla velocità della luce, sfoggiando il dito medio per sommo divertimento delle fanciulle. « Spiacente, quelle foto costano un cazzotto e mezzo. » Era consapevole che così facendo si sarebbe inimicato parte dei sostenitori, ma il fondo schiena di Altayr era sacro, che diamine. Era sicuro che Noel avrebbe capito, se non fosse stato tanto preso da qualcosa sotto al palco. Dopo che la formidabile chitarrista ebbe sparpagliato il gregge, Izar poté notare due personcine vestite di tutto punto nelle grinfie di Cain, in evidente confusione e desiderose di scappare quanto prima. Okay, il loro genere di musica piaceva ai giovani, ma quelli erano freschi di conservatorio. Da vicino riuscì a capire un paio di cose: Cain era partito all'attacco, e Noel era partito e basta. Strano a dirsi, perché gli aveva visto un'espressione del genere solo davanti ai video di golden retriver. Tra tutta la scelta che c'era nel fanclub proprio dei principini dovevano pescare? Altayr mise subito in chiaro che l'educazione, anche tra tipi tosti come loro, era d'obbligo, strappandogli un cenno d'approvazione. « Rosso Uno e Due, state lasciando a secco le ragazze » puntualizzò, indicando le signorine alle sue spalle. Qualunque cosa li distraesse andava rimossa in tempi brevi. Nel backstage avevano uno scatolone pieno di magliette da vendere ed iniziava a farsi tardi. Inoltre le lenti a contatto bruciavano già da un po'. Gli sovvennero strascichi di conversazioni per cui le due maestà necessitassero di una fuga alternativa, ovvero l'uscita sul retro, con Noel tutto contento di fare da guida fin la. Una scrollata di spalle comunicò agli altri membri che li avrebbe accompagnati per pura aggregazione - e perché vedere Noel fare il cascamorto era uno spasso -. Altayr non perse tempo, come sospettava. Si era accorta dell'errore di lui, e moriva dalla voglia di prenderlo in giro fin dalla prima canzone. Accettò la gomitata con un ouch molto teatrale, scompigliandole i capelli in risposta. Lo faceva spesso con Saiph, lo scorbutico fratello minore, che di solito ricambiava con un morso o una protesta. Erano due tipetti difficili da gestire, ma poteva farcela. « Okay, okay, sono cose capitano. I posti piccoli mi mettono in soggezione, e poi tu- » si morse subito la lingua, annaspando per trovare una frase scontata come "tu mi distrai". « Devo tenerti d'occhio, altrimenti perdi il tempo. » Durante una delle tante sbronze con Cain, i due avevano parlato dei metodi di abbordaggio del bassista, ritenuti inefficaci perché giocava in difesa e non in attacco. Secondo il rosso non serviva farsi dei riguardi, a riprova di come teneva per mano lo sconosciuto davanti a loro. Bene, ma cosa doveva fare? Mettersi in ginocchio, tirare fuori un anello e vissero per sempre felici e contenti? Oppure sbatterla contro il muro e rendere chiare le sue intenzioni? No, se non voleva un occhio nero. Altayr andava approcciata lentamente, alla maniera in cui si avvinca un gatto randagio, e ci provava da diversi anni. Poteva dirsi ospite in pianta stabile a casa sua, per esempio, cosa che Kevin - quello stronzo - si sognava soltanto. Erano nella stessa classe, nella stessa band, si vedevano tutti i giorni... e ancora niente. - Giocare in attacco, mh? - La mano che sostava sulla testolina scura di Altayr le scostò i capelli dalla fronte, finché i due non si guardarono negli occhi. « Stai bene con i capelli sciolti, ma non muori di caldo? » Con un sorrisetto divertito sfiorò le ciocche all'altezza delle tempie. « Guarda, iniziano già ad arricciarsi. » Non che fosse una cosa grave, ma sapeva che sua maestà era molto vanitosa. Per quanto il trucco fosse rimasto intoccato, i capelli mal sopportavano l'umidità dei pub. I due ragazzi si fermarono nello stanzino dove avevano lasciato le custodie degli strumenti ed il merchandising, tanto per lasciare un po' d'intimità alle coppiette. L'unico che cercava intimità era Izar, a dirla tutta. Aprì uno scatolone ed iniziò a contare le magliette, strofinando gli occhi arrossati finché cercava di leggere le taglie. I fan non lo vedevano spesso con gli occhiali, ma che andassero al diavolo. Iniziava a vederci doppio. « Vado a togliere le lenti. Arrivo subito. » Una volta raggiunto il camerino - una camera squallida adibita a deposito - frugò nello zaino alla ricerca dell'astuccio, incappando in due rettangoli di carta spessa che aveva lasciato a far polvere sotto i libri. Il mese prima aveva comprato i biglietti per andare a sentire un concerto del loro gruppo preferito, quello da cui traevano ispirazione per la maggior parte delle canzoni, ma ovviamente chiedere ad Altayr di uscire era peggio che sconfiggere un drago a mani nude. Insieme da soli, una cosa che succedeva spesso, dopo scuola o dopo le prove, niente che assomigliasse ad un appuntamento. Doveva dirglielo. Mancavano due settimane allo spettacolo. Inforcò gli occhiali e ficcò i biglietti in tasca, rinvigorito da una nuova ondata di positività. O la va o la spacca. Attendere significava lasciare posto a qualcun'altro e non poteva permettere che accadesse. La raggiunse in fretta, aiutandola a raccogliere le scatole per portarle ai fan e racimolare qualche soldo. Prima che Altayr mettesse piede sul palco, tuttavia, le bloccò il passaggio con l'espressione di un mafioso che chiedeva il pizzo. Era così agitato da dimenticarsi di sorridere. « Vieni con me al concerto degli Our Last Night? Sono riuscito a trovare i biglietti. » Perché non riusciva a suonare più entusiasta di così? Maledizione a lui. E adesso arrossiva pure. « Sarebbe un... appuntamento. Noi due da soli. » I richiami delle ragazze nell'altra stanza non lo toccavano minimamente. Ciò che voleva sentire era solo la risposta di Altayr, finché lo stomaco si annodava e gli tranciava il respiro. Esibirsi davanti a un milione di persone sarebbe stato più facile.

    • • •

    Altayr. La sua salvatrice aveva il nome di una costellazione. Evelya fu molto grata di quella rassicurante presenza femminile, che emanava un'aura d'indipendenza che lei nemmeno si sognava. Teneva a bada gli uomini della band con una facilità disarmante, mettendo a tacere perfino il carismatico leader. Avrebbe voluto un pizzico del suo carattere, specie per confrontarsi con i genitori. Non aveva il coraggio di rispondere a tono, figurarsi picchiare qualcuno. « Chiamami Evie » disse, con un sorriso sollevato. La chitarrista indossava abiti succinti in linea con il fisico longilineo, cose da far svenire tutti gli antenati Sadalmelik, ma la dignità con cui li portava la rendevano, se possibile, ancora più attraente.
    « Grazie comunque. » Bisbigliò quelle parole appena Noel si offrì di scortarla alla porta sul retro, rubando il ruolo di guardia del corpo alla ragazza. Le sarebbe piaciuto scambiare qualche parola con lei, almeno il rossore alle guance si sarebbe attenuato. Incespicò nel buio del backstage, seguendo l'ampia schiena del cantante attraverso cavi e scatoloni, con un occhio rivolto al povero Abel dietro di loro. Buon Dio, cos'avrebbe pensato Raphael se l'avesse visto così vicino ad un altro ragazzo? Il compagno era molto possessivo, forse troppo. Sentiva che tra i due le cose non andavano bene come all'inizio della relazione. Evelya respirò a pieni polmoni, sconvolta dalla galanteria di Noel nel tenerle aperta la porta mentre usciva. La luce improvvisa quasi l'accecò, lasciando posto ad un vicolo deserto ed aria fresca dal sentore di pioggia.
    « Spero ti sia piaciuto il concerto stasera. »
    Lei ci mise qualche istante di troppo a radunare le parole, le mani strette attorno alla cartella. « Sì, assolutamente! Sei... siete molto bravi. » Un po' se ne vergognava, ma davvero ricordava poco delle prestazioni degli altri membri, concentrata com'era sulla voce di Noel. Poi il rosso la invitò a tornare e le gote ripresero la sfumatura di poco prima, nemmeno fosse ancora nella soffocante area del palco. « Mi piacerebbe » ammise, guardandosi le punte dei piedi. Nel caso non fosse successo a breve, comunque, doveva portare un ricordo di quella strana e bella serata. Fece cenno a Noel di aspettare, accucciandosi a terra per frugare tra i quaderni. Quello di matematica poteva andare, prendeva sempre pochi appunti. « Non vorrei approfittarne, ma mio fratello è un vostro grande fan. Posso chiederti un autografo per lui? » Non era certa che avrebbe regalato così facilmente un autografo di quel meraviglioso cantante, in realtà. Voleva essere egoista, solo per una volta. Porse al ragazzo il quaderno, aperto su una pagina bianca, e una penna, in trepidante attesa. Forse poteva incorniciarlo, oppure nasconderlo nel diario segreto in cui lasciava a seccare i fiori. Quando lo riprese era già pronta a ringraziarlo all'infinito, peccato che appena lesse quello che l'altro aveva lasciato le mancarono le parole. C'era la sua firma, uno scarabocchio veloce ed appuntito, frutto di molta pratica, e più in basso delle cifre. Un numero di telefono. Sgranò gli occhi, incredula, restando con il quaderno a mezz'aria fra loro. « Questo è... Noel, sei sicuro? E se fossi una malintenzionata? In fondo mi conosci appena. » Pur mettendolo in guardia, Evelya si ritrovò a stringere il quaderno al petto, come se avesse paura che qualcuno glielo strappasse via. Quel gesto spontaneo di fiducia combaciava con l'idea che si era fatta di lui. Non pareva il tipo pronto a dubitare di chiunque, a differenza dei suoi familiari. Era il ragazzo che non doveva frequentare. Era il ragazzo con una voce ipnotica e lo sguardo pieno di calore che l'aveva rapita fin dal primo istante. « Ti ringrazio, davvero. Se potrò scriverti lo farò. » Solo una persona molto vicina avrebbe potuto udire quelle parole, tanto erano sussurrate. La fanciulla non sapeva più come gestire le guance infuocate ed i battiti del cuore a singhiozzo. Una vibrazione del cellulare bastò a ricordarle che il vero problema stava fuori dal pub, e non aveva un sorriso ammaliante come quello di Noel.

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

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    oel sosteneva di non saperci fare con le ragazze, ma la verità era che non pensava troppo a mettersi in mostra o a cosa dire per impressionare chi aveva davanti: solitamente gli bastava un sorriso e una battuta delle sue per guadagnarsi il numero di qualcuna. Non che quella di rimediare un pomeriggio in compagnia fosse sua intenzione, ma le donne, doveva ammetterlo, gli piacevano e un drink non si negava a nessuna, anche se non erano mai state la sua priorità. Se c'era qualcuna che le interessava le dedicava qualche attenzione in più, altrimenti dare fiato alla bocca gli piaceva abbastanza da restare a chiacchierare con chiunque per ore. Quella sera, beh, la biondina lo aveva letteralmente rapito. O meglio, per come erano andate le cose era stato lui a rapirla, ma solo guardandola in viso era certo di poter mettere il suo stesso cuore in mano alla ragazza e dirle senza esitazioni di farne quel che voleva, che tanto era suo. Ecco un'altra caratteristica di Noel che suo fratello Julian proprio non sopportava: l'eccessiva impulsività, non pensare neanche un secondo a quel che stava per dire o fare. La regola valeva anche per le emozioni, che il rosso esternava senza farsi problemi. Se lo avesse visto in quel momento, si sarebbe di sicuro beccato uno scappellotto da parte di Julian. E avrebbe fatto pure male. Mica come il sorriso spontaneo della giovane, che il massimo che poteva fargli era mozzargli il fiato. E infatti. « Merito di tutte le prove che facciamo, a forza di suonare quasi tutti i pomeriggi insieme ho rischiato di non passare un paio di esami » ridacchiò, perché da quando aveva superato per la rotta della cuffia il test d'ingresso a causa dello scarso studio dato dalle prove estenuanti e continue degli Elysian aveva messo la testa a posto, e ancora riusciva a mantenere una media abbastanza alta da riuscire a prendere le borse di studio che gli permettevano di condurre la vita da studente squattrinato. Sì, perché le borse di studio le utilizzava per affitto, bollette, cibo e manutenzione di quel catorcio di macchina che si ritrovava, e i pochi soldi che guadagnava dai live li metteva da parte. Magari sarebbero serviti per vestiti, viaggi, serate tra amici, benzina, regali, che ne sapeva. Che, a proposito, il compleanno di suo nipote si stava avvicinando. Ecco, come non detto, aveva abbastanza soldi da parte o anche quest'anno se la sarebbe cavata con una magliettina comprata dai cinesi su cui scritto "Do' retta solo allo zio"? « Non vorrei approfittarne, ma mio fratello è un vostro grande fan. Posso chiederti un autografo per lui? » Il ragazzo le sorrise e annuì, alla ricerca di una penna nelle tasche dei pantaloni. Evelya - che bel nome, accidenti - lo salvò, allungandogli il necessario. Il rosso tracciò sul foglio immacolato una serie di scarabocchi che lui osava definire come "calligrafia", ma ridava solo alla scrittura disordinata e frettolosa di un medico. Quasi si dispiacque a sapere che l'autografo era per il fratello della biondina e non per lei, così tanto che fu sul punto di non nominarlo. Sbadato. E sbandato. Quella tipa lo aveva mandato fuori di testa, doveva riappropriarsi di sé stesso.
    - Autocontrollo, non è difficile - si disse, ma esitò a chiudere il tappo della penna. L'avrebbe rivista, vero? Sarebbe tornata al Black Dog? Perché a vederla così non sembrava il tipo che girava per club dopo la scuola, e a quanto aveva capito non ne aveva neanche il permesso. C'era solo una cosa da fare, e Noel prese a scrivere in fretta il suo numero di cellulare sotto la sua firma, senza chiedersi se a lei interessasse o meno. Lo sperava, perché spettava a lei farsi sentire. Le diede indietro il quaderno con un sorrisetto furbo che tentò di nascondere, e fece scivolare la penna in un secondo momento sul foglio che lei stava ancora ammirando. Capì che lei si rese conto che quello fosse il suo numero di telefono quando sgranò gli occhi, cambiando espressione. « Questo è... Noel, sei sicuro? » Il ragazzo annuì convinto, e quando fu sul punto di risponderle non riuscì a soffocare una risata. Una malintenzionata? Lei? Seriamente? « Hai lo sguardo più puro e innocente che abbia mai visto, perfino mio nipote di tre anni è più subdolo di te » continuò a ridere, perché quella era proprio una delle battute più belle che avesse sentito. « Fatti sentire, così ti faccio sapere la prossima volta che ci esibiamo qui » aggiunse poi, appoggiandosi allo stipite della porta e guardandola negli occhi. Era davvero minuta, fragile, piccola, ma nel suo sguardo leggeva curiosità e gratitudine. La sua Wendy. Al massimo, lui poteva essere paragonato a Capitan Uncino, in confronto. Non si assomigliavano affatto, cosa poteva convincerla a scrivergli? Sperava che la sua simpatia bastasse, altrimenti non sapeva dove cercarla. Incrociò le braccia al petto, non sapendo dove metterle, per poi ricordare che quello era un gesto di chiusura nei confronti dell'altro secondo il linguaggio del corpo. L'aveva letto su Facebook tempo fa, e per evitare fraintendimenti le mise subito in tasca, ma gli sembrò di trasmettere lo stesso messaggio. Macché chiuso verso l'altro, nel suo caso era tutto il contrario. Se Evelya avesse saputo interpretare il linguaggio del corpo sarebbe stata la fine, ma sembrava più concentrata sul foglio del quaderno che altro. Meglio così, anche se avrebbe voluto incrociare le sue iridi chiare. Si avvicinò un poco a lei, giusto per ottenere la sua attenzione, e sorrise - per l'ennesima volta quella sera - quando la biondina gli disse che sì, lo avrebbe contattato. Ignorò volutamente il "se potrò scriverti", perché gli sembrava di toccare il cielo con un dito. « Fai con comodo, non starò mica tutto il tempo attaccato al cellulare in attesa di un tuo messaggio » Noel le fece l'occhiolino, come a farle intendere che invece sì, sarebbe andata a finire proprio così. Già si vedeva a controllare lo schermo del telefono ogni dieci secondi circa, imprecando contro suo fratello e i suoi amici ogni qualvolta avrebbero fatto vibrare il suo cellulare con un sms indesiderato. A meno che non si trattassero di notifiche di nuovi video di cuccioli di labrador, quelle le avrebbe sicuramente apprezzate. Il rosso si accorse dell'improvvisa preoccupazione che segnò il volto di Evelya da un momento all'altro, e lui alzò un sopracciglio in una muta richiesta di spiegazioni. Non sembrava andasse tutto bene. Non è che era arrivato il famoso tizio da cui non dovevano farsi beccare? Avevano un coprifuoco, forse, oppure locali come il Black Dog erano posti da non frequentare. E chi li biasimava? I due giovani erano su tutt'altro piano rispetto alla gente chiusa in quel posto scuro e rumoroso, si vedeva lontano un miglio che erano cresciuti a pane e soldi. Non come lui, non come loro. Doveva essere sincero, un po' li invidiava, ma se non avevano mai provato l'adrenalina che solo un concerto coi contro fiocchi può far provare, allora la loro che vita era? « Se prendete la terza a destra, laggiù », e indicò con il dito la traversa in questione, avvicinandosi ad Evelya di proposito, « vi troverete sulla strada principale, abbastanza lontano da questo posto » Almeno chiunque dovesse venire a prenderli non avrebbe sospettato che Evie - quanto gli piaceva quel soprannome! - e Abel avessero messo piede nel club, e non si sarebbero ritrovati nei guai. Non più di tanto, almeno. Anche i suoi genitori gli avevano imposto un coprifuoco tempo addietro, ma lui non lo aveva mai rispettato, e la cosa lo fece ridere sotto i baffi. Rivedere lui, almeno cinque anni più giovane, fregarsene altamente delle regole e delle punizioni, in contrasto con il viso preoccupato dei due scolaretti non aveva prezzo. « Spero vada tutto bene » sospirò sottovoce, ma notò che la ragazza lo aveva sentito e le sorrise di rimando. Era davvero un incanto. Ad infrangere il coprifuoco potevano succedere anche cose belle. Come lei. « Ti faccio sapere per il prossimo concerto allora » le fece un altro occhiolino e regalandole un fugace buffetto sulla guancia, nulla di troppo spinto ma neanche distaccato, sperando che a lei il contatto fisico non dispiacesse. Ridacchiò del colore delle gote di lei, quasi all'altezza del rosso dei suoi capelli, e la lasciò andare, infilando entrambe le mani in tasca. « Spero di rivederti presto » disse, facendo un passo indietro per tornare dentro, ma senza volerlo davvero. Come poteva lasciarsela sfuggire? Gli avrebbe scritto? Guardò i due allontanarsi di tutta fretta, per poi sparire alla curva che lui aveva loro indicato poco prima. Si augurò che non accadesse loro nulla, e sospirò chiudendosi la porta alle spalle dopo aver intimato al batterista di rientrare. « A quando il prossimo concerto qui? Domani? » fece a Cain con una pacca sulla spalla, ridacchiando, sapendo che anche lui voleva rivedere il ragazzo dai capelli argentati. « Andato anche tu, eh? » continuò a ridere, tranquillizzando il rosso numero due sul fatto che avrebbe recuperato anche il numero dell'albino. Sempre se Evelya si fosse decisa a contattarlo. Mentre c'era lei aveva dimenticato anche il dolore alla gamba, che dopo i concerti gli faceva vedere le stelle. Magia.

    • • •

    Quando l'intera band si presentò per accompagnare i due malcapitati studenti nel backstage, Abel non si era ancora ripreso dal baciamano. Davvero l'aveva fatto? Era audace, fin troppo. Aveva provato a togliere la mano, ma la presa del ragazzo era ferrea e non gli aveva lasciato scampo. Si chiamava Cain, e chiacchierava troppo per i suoi gusti. Chi lo conosceva - anche solo di nome - sapeva che sopportava ben poco chi aveva la tendenza a dar fiato alla bocca per pronunciare più di dieci parole messe in fila. - Cain - Il suo era un nome forte, non come Abel, che quasi scivolava sulla lingua. Gli piaceva. « Sul serio, volete piantarla? » riuscì infine a dire, perché Azarel si faceva sempre più vicino, come Abel ed Evie lo erano ad una punizione coi fiocchi e la strigliata più pesante della loro esistenza. Il backstage era un posto angusto e stretto, ma sempre più illuminato della sala dove gli Elysian si erano esibiti. Nel frattempo avevano fatto la comparsa gli altri due membri, la chitarrista che aveva subito preso in simpatia Evelya - era quasi impossibile non cedere ai suoi teneri occhioni - e il bassista, dai capelli scuri, che se ne stava ad osservare la scena senza battere ciglio. Tra tutti, quest'ultimo gli sembrava l'anima a lui più affine, ma, come tutti gli altri, sfacciato nei modi e nel vestire. Cosa ci faceva in mezzo a quella gente? Non era il suo ambiente, e a dire il vero si sentiva a disagio. Era evidente come lui e la biondina non facessero parte del loro mondo, e questo lo portò a non guardare in faccia né Cain né gli altri mentre parlavano tra loro per trovare una soluzione e farli uscire dal locale senza che qualcuno li vedesse. Il batterista continuava a tenergli la mano, un gesto confortante e invadente allo stesso tempo. Voleva uscire di lì, il prima possibile. Le voci delle persone presenti gli davano fastidio, così come le urla dei fan dietro la porta. Digrignò i denti, stringendo le mani a pugno, fino a quando udì Cain parlare, l'unica voce udibile su tutte le altre. « E dai, non tenermi il muso. Ci vedo poco da quest'occhio, non l'ho detto per prenderti in giro. » fece, e lo trascinò verso chissà dove, così come fece il leader con Evelya. Abel boccheggiò, le sopracciglia si rilassarono per un attimo, togliendogli l'espressione accigliata. Sua madre diceva sempre che gli sarebbero venute le rughe prima del previsto, dato il cipiglio perennemente imbronciato che sfoggiava, indipendentemente dalla situazione. « Non importa » fece, distogliendo lo sguardo finché era ancora a torso nudo. Non ce la faceva, era... accattivante, ecco. Una boccata d'aria fresca lo investì quando Noel - forse si chiamava così, non aveva ben capito - aprì la porta sul retro, una scappatoia che li avrebbe portati lontani da lì e da tutti i guai che ne conseguivano. « Sarei molto molto contento se tu tornassi ad ascoltarci. » esordì all'improvviso Cain, e l'albino notò come si fosse rimesso la maglietta. Almeno adesso riusciva a guardarlo in faccia, anche se era talmente bello e l'altro talmente imbarazzato che era tentato di puntare lo sguardo altrove. « Non è il mio genere, non me ne intendo » bofonchiò, anche se non aveva espressamente rifiutato. Era un forse, o almeno nella sua lingua. Il suo interlocutore avrebbe potuto benissimo intenderlo come un secco no, ma non aveva voglia di starsi a spiegare. Voleva andarsene, ma d'altra parte... Non si sarebbe scordato di quei occhi verdi, vero? Avrebbe voluto osservarli ancora un po', giusto per esserne sicuro. Non era il tipo da colpo di fulmine, e il giovane Gytrash era ancora convinto che non lo fosse, ma sfuggire al fascino del rosso era difficile. E gli stava così vicino. Oh, diamine, aveva Raphael. D'un tratto, il viso del fidanzato gli tornò alla mente, e fece un passo indietro per allontanarsi da Cain. Che stupido. Se la loro relazione andava male non significava che poteva interessarsi del primo ragazzo carino che incontrava. « Magari la prossima volta ti tengo il posto in prima fila, così puoi vedermi da vicino senza rimetterci il collo. » il commento del batterista gli fece alzare gli occhi, conscio di essere arrossito vergognosamente. « Non ce ne sarà bisogno » disse di rimando l'albino, secco, tagliente, fulminandolo con lo sguardo, come se l'altro fosse in torto. Beh, non lo era. Diamine, si era accorto che era rimasto a guardarlo per tutta la durata del live. Era stato davvero così ovvio? Era davvero alla ricerca di qualcun'altro, che non fosse Raphael? Era da interpretare come un brutto segno il fatto che si sentisse attratto da un altro e, nonostante chiacchierasse molto, volesse rivederlo di nuovo, anche solo di sfuggita? Forse sì, ma finire una relazione per un terzo elemento... era un brutto colpo. Ma sembrava impossibile tornare come erano all'inizio, quando Raphael in un momento in cui erano solo loro due lo avvicinava per accarezzargli la testa o stringergli la mano. Ad Abel erano sempre piaciuti quei piccoli gesti nascosti, che condividevano solo loro due. Adesso era tutto diverso, il moro non reagiva alla presenza dell'altro. Esserci o no era la stessa cosa. Era diventato tutto così freddo, quando la mano di Raphael, un tempo, era l'unica cosa a dargli calore. « Evie, dai » la chiamò per distrarsi da quei pensieri fastidiosi, che in presenza di Cain erano del tutto inopportuni. Il cantante, nel frattempo, ci stava provando spudoratamente con la biondina, e non poté che regalargli un'occhiataccia per intimargli silenziosamente di darsi una mossa. Si sarebbero rivisti, basta con le moine, non sarebbe stato lui a sorbirsi gli strilli di Azarel e delle loro famiglie. Distolse lo sguardo, non sapendo più dove guardare perché c'era lui. Vestito, okay, ma sempre lui. Bello e intraprendente come due secondi prima. Sospirò quando capì che il leader avrebbe lasciato andare la sua amica, e in quel momento avrebbe potuto anche accettare la stretta di mano che il batterista gli offriva. Alzò un sopracciglio, ma alla fine cedette, allungando una mano per poi ritrovarsi, inaspettatamente, tra le braccia di lui. Cain lo tenne per la nuca quando capì che voleva assolutamente liberarsi, e il cuore saltò un battito quando le sue labbra si poggiarono sulla chioma chiara di Abel. Stava morendo. O stava sognando. Tutto in una sola sera. Era troppo per lui. « Che diavolo?! » sbraitò appena si divisero, passandosi volontariamente una mano sul viso per coprire il rossore che, ne era certo, si era propagato sulle guance senza alcun ritegno. Ne era quasi felice, ma allo stesso tempo perché l'aveva fatto? Non si conoscevano, non poteva provare nulla per lui. O magari voleva solo prenderlo in giro. Sì, era esattamente così. Non doveva farsi così tante seghe mentali. Appena avrebbe girato l'angolo, Cain si sarebbe messo a ridere della sua reazione insieme al compagno. Non salutò, prendendo Evelya per la manica e trascinandola verso la via che Noel gli aveva indicato. Le sentiva, le sue risate di scherno, in contrasto con il tocco fermo ma comunque delicato. Non voleva fargli del male, ma non doveva cascarci. Non poteva perdere la testa così facilmente per un batterista completamente tatuato. - Contegno Abel - si disse l'essere più coerente che fosse mai esistito, mentre lo stomaco gli si stringeva al ripensare al bacio leggero tra i capelli. Come non detto.

    • • •

    « Che gentiluomo » commentò ridendo la ragazza quando Izar disse che aveva sbagliato perché doveva vegliare su di lei durante il concerto. Lei non ne aveva bisogno, e sapeva che il ragazzo non lo faceva sul serio, ma sentirglielo dire faceva quasi effetto. Lo diceva solo per sfidarla, lo sapeva: era abituata, si stuzzicavano così da anni. Non che che la guardasse davvero. « Senza di te non saprei proprio come fare » lo disse intenzionalmente con tono sarcastico, in modo da riderci su, ma era la verità. Senza Izar, la band non sarebbe stata la stessa cosa. La scuola, il lavoro, tutto. Era giunta al punto di non ritorno ormai, quello in cui ogni cosa, ogni evento, ogni attività senza il ragazzo non avrebbe avuto senso. O lo avrebbero avuto, ma sarebbe comunque mancato qualcosa. Tirò un sospiro, con l'intenzione di ritornare sul palco - i fan in sala scalpitavano - ma non fece in tempo a muovere un solo passo che sentir scorrere le dita del ragazzo sulla sua fronte la sorprese, costringendola ad alzare lo sguardo per capire le sue intenzioni. E pregare di non essere arrossita. « Stai bene con i capelli sciolti, ma non muori di caldo? » La chitarrista accennò un sorriso, per poi spostare una ciocca fastidiosa che le sostava sulla spalla. « Nah » fece, alzando di poco le spalle. Non aveva un elastico a portata di mano, e poi mancava poco che se ne andassero tutti: poteva mantenere la sua immagine ancora per un po'. E, ancora, Izar aveva detto che stava bene coi capelli sciolti. Una ragione in più per aspettare a legarseli in una comoda coda di cavallo. « Guarda, iniziano già ad arricciarsi. » Il moro sfoderò un sorrisetto furbo, mentre la mano si muoveva verso la tempia, senza mai smettere di toccare la pelle. Fu difficile nascondere un brivido che le attraversò la schiena nel mentre continuando a guardarlo negli occhi, di un verde che ogni volta la ipnotizzava. Ci si sarebbe immersa, in quelle iridi. Quanto avrebbe voluto che guardassero davvero solo lei, e non vi si posassero solo pochi secondi giusto per vedere se erano in sincronia durante un concerto. « Arricciati o no, sono figa ugualmente » alzò entrambe le sopracciglia un paio di volte, offrendogli uno sguardo sarcasticamente sensuale, seguito da una risata rumorosa che il frastuono del pubblico coprì. Seguì Izar nello stanzino dove avevano lasciato le magliette da vendere, vicino allo spogliatoio in cui il ragazzo si chiuse per togliere le lenti. Per fortuna lei aveva la vista di un'aquila, perché a vedere il ragazzo imprecare ogni volta che doveva mettersele non le faceva affatto desiderare di mettere gli occhiali. C'erano quattro scatoloni per terra, uno per ogni membro della band, riempito di maglie di colori e stampe differenti. Il suo era sempre il più leggero, perciò prese delle maglie dallo scatolone di Noel, sempre troppo pieno perché Cain e Izar si divertivano a riempirglielo per svuotare il proprio. I rossi del gruppo ancora non arrivavano, perciò con il bassista decise di smistare il merchandising in due scatole, in modo da uscire per tempo e non far aspettare i fan. Con lo scatolone tra le braccia, Altayr si diresse verso l'uscita per il palco, ma venne bloccata a pochi metri da essa proprio da Izar, che la osservava come se dovesse annunciarle qualcosa di catastrofico. La ragazza lo invitò a parlare senza aprire bocca, sorridendogli confusa. « Tutto okay? » mormorò, ma lui non la sentì a causa del baccano oltre la porta. Sembrava agitato, molto agitato. Che stava succedendo? Nella sua mente si agitavano le peggiori ipotesi, tra cui la possibilità di una cotta per una delle bimbe che lei proprio non sopportava. Questa era la peggiore delle ipotesi. Anzi, la peggiore era che gli chiedesse consiglio su come avvicinare una delle bimbe. Cominciò a pregare silenziosamente quando il ragazzo prese un grosso respiro per parlare, perché se si trattava veramente di quello un pugno non glielo avrebbe negato nessuno. No, neanche tutto l'amore che provava per lui l'avrebbe frenata. « Vieni con me al concerto degli Our Last Night? » per la ragazza fu difficile nascondere la sorpresa iniziale, e ancora più difficile metabolizzare la proposta dopo. Un concerto. Loro due? No, impossibile. Si sarebbero accodati anche Cain e Noel, giusto? Non poteva essere un... « Sarebbe un... appuntamento. » Stava sognando. « Aspetta, quindi... », « Noi due da soli. » la anticipò, e sentiva il cuore esploderle di gioia. Oh cielo, glielo aveva chiesto davvero. Era ciò che aspettava da tempo, e non era la solita passeggiata dopo scuola, o sistemare gli strumenti dopo le prove. Spesso erano solo loro due, ma le aveva mai chiesto di uscire? Era la prima volta. Se non fosse stato per la scatola gli sarebbe saltata al collo. No, cioè, doveva mantenere un contegno. Lei non stava mica aspettando un momento del genere. Doveva nascondere la sua cotta madornale ancora per un po', non era sicuro che fosse ricambiato. Per niente. Ma le aveva chiesto di andare al concerto insieme, degli Our Last Night per giunta, una delle loro band preferite, poteva avere qualche possibilità. « Ci devo pensare su » ridacchiò dopo qualche secondo, giusto per trattenersi dall'accettare subito. Le piaceva tenerlo un po' sulle spine. « Non fare quella faccia, ti farò sapere » aggiunse poi, la risata che si faceva più forte, perché l'espressione stupita di Izar era davvero sensazionale. Quanto poteva amarlo? « Grazie dell'invito » disse ancora prima di superarlo e andare sul palco. Lo pronunciò gentilmente, senza sarcasmo com'era solita fare. Un ringraziamento vero e proprio. Se doveva andare a perdere la voce per il troppo cantare sotto il palco, Izar era la persona giusta. La persona giusta per lei sotto tutti i punti di vista.

    • • • Il giorno dopo

    Era rincasato tardi, aveva dormito poco, si era scordato di bere il caffè prima di uscire di casa e la melodia che gli aveva assegnato Azarel quella mattina faceva venire sonno. Una combo micidiale per la concentrazione di Abel, che faticava a tenere gli occhi aperti. Sua madre era stata comprensiva con lui, non gli era stata riservata nessuna eclatante lamentela, ma non poteva dire lo stesso di Evelya. L'albino si era sorbito solo le grida di Azarel, mentre lei, probabilmente, anche quelle della famiglia. Che strazio. « E' un si bemolle quello, Gytrash » lo rimproverò il professore, e Abel tolse le dita dai tasti del pianoforte, certo di non aver mai suonato così male come in quel momento. Non ne poteva più. Abbassò lo sguardo e sbuffò, mentre il professore diceva qualcosa alla cantante del loro trio, e si alzò dallo sgabello. « Vado a prendermi un caffè » anticipò il professore prima che potesse chiedergli qualcosa, avanzando verso la porta della sala con le mani in tasca a contare gli spiccioli, « Così magari il si bemolle non lo sbaglio più » Nei corridoi dell'istituto Ripley Saint Thomas, illuminati a giorno dalle grandi finestre, il silenzio veniva costantemente rotto dagli strumenti e dalle voci degli studenti, e quella mattina non era diverso. Lo era per Abel, che solitamente si cullava in quelle piacevoli melodie, quel giorno invece desiderava solo che tutti facessero silenzio. Aveva bisogno di un caffè, e alla svelta, sperando che non lo rendesse ancora più nervoso. Girò l'angolo alla fine del corridoio, dove in una rientranza vi erano addossate tutti distributori di merendine e bevande. Solo una cosa lo disturbò più dei suoni che provenivano dalle aule, ossia la presenza di Raphael davanti alla macchinetta del caffè. L'albino corrugò le sopracciglia, fermandosi a qualche metro da lui invece di fare la fila. Il moro non sollevò neanche lo sguardo, anzi, lo ignorò volutamente, il suono della macchina a fare da sottofondo a quello scomodo incontro. All'inizio non era così. Raphael era gentile, molto riservato, ma pur sempre premuroso. Non gli era mai piaciuto far sapere nulla sul suo conto, e neppure sulle sue relazioni. Il loro era un rapporto quasi segreto, data la natura introversa di entrambi, ma all'inizio non era male. Affatto. Stavano bene. Raphael non lo costringeva a fare niente che non volesse, non lo faceva parlare più del dovuto, rispettava i suoi spazi e i suoi silenzi. E nel mentre gli teneva stretta la mano. Era cauto, ma premuroso. Ora invece vedeva solo un Raphael cinico, indifferente, annoiato. All'inizio si amavano. Ora non sapeva come definire la loro relazione. Cos'erano? Fidanzati era una definizione in cui non rientravano, non più. Cos'era successo? Non lo aveva ben capito neanche lui. Avevano cominciato ad allontanarsi pian piano, ad annoiarsi, a prediligere altro invece che passare del tempo assieme. La loro relazione aveva cominciato a deteriorarsi da... da non lo sapeva, non c'era un momento ben preciso in cui collocare la rottura del rapporto. Si erano lasciati sfuggire l'un l'altro, ed ora acchiapparsi era diventato difficile. Impossibile, dato che nessuno dei due voleva saperne. E non avevano ancora avuto il coraggio di lasciarsi definitivamente. Codardi, entrambi. Raphael afferrò il bicchiere del caffè - lo prendeva sempre decaffeinato, e Abel gli aveva sempre rinfacciato la cosa - con movimenti lenti, come suo solito, e quando alzò lo sguardo per andarsene lo degnò di un'occhiata cupa e fredda. Non vi lesse neanche l'ombra di un'emozione, che fosse anche solamente negativa. Nulla. Abel avanzò, inserì i soldi nella macchinetta e premette varie volte sul tasto dello zucchero prima di selezionare il caffè. Una volta lo prendevano insieme, ora neanche si guardavano in faccia. Non come Cain, che più che guardarlo in faccia sembrava voler conoscere ogni singolo dettaglio su di lui.
    - Cain, che non rivedrò più - perché le possibilità erano davvero poche. E il rosso si sarebbe dimenticato di Abel molto presto, mentre i suoi occhi verde smeraldo erano difficili da cancellare.

    • • •

    Per fortuna la sua macchina aveva ceduto a pochi metri dal meccanico in cui lavorava Cain, altrimenti Noel poteva anche definirsi fottuto e mandare tutto a puttane. Aveva già chiamato Jack, suo compagno dell'università, pregandolo di prendere appunti anche per lui quella mattina, per poi buttare giù tutti i santi del calendario perché non poteva saltare lezioni a pochi giorni dall'esame. Eh, ma la sua macchina sapeva quando dargli problemi, sempre nei momenti meno opportuni. Fortuna volle che Cain lavorasse quella mattina, e appena lo vide lo accolse con un sorriso che gli intimava, sempre amichevolmente, di smetterla di rompergli i coglioni e decidersi a cambiare macchina. La verità era che era affezionato a quel vecchio catorcio: era riuscito a comprarsela da solo, con i suoi risparmi, ma spendeva più per ripararla che altro. Per fortuna Cain era un amico, anche se si sarebbe aspettato che prima o poi, per vendetta, gli avrebbe fatto pagare un conto salatissimo. Mentre il rosso numero due se ne stava a controllare il veicolo, Noel tirò fuori il cellulare per l'ennesima volta dalla scorsa serata, senza però trovare la notifica che cercava. Sbuffò sonoramente, rimettendo il telefono in tasca con un gesto stizzito. « Evelya ancora non mi ha scritto » si lamentò ad alta voce, staccandosi dal muro su cui si era appoggiato e girando attorno alla macchina. Nessun messaggio, nessuna chiamata, nessuna richiesta di amicizia, niente di niente. Il nulla. Forse non le era piaciuto. IN verità pensava fosse un maniaco, o qualcosa del genere. « Voglio rivederla, che palle » aggiunse, calciando una lattina vuota, e si accorse che neanche Cain era troppo contento della notizia. In fondo, doveva reperire anche il numero del ragazzo che l'altro aveva adocchiato la scorsa sera, quindi ci perdevano in due. « E se non mi scrive? Cain, cazzo » si piegò sulle ginocchia, incapace di stare fermo per due secondi agitato com'era, e batté una mano sul cofano del catorcio che si ritrovava come macchina, usandolo come sfogo momentaneo. « Non so neanche che scuola frequenta, non ho riconosciuto la divisa » continuò, perché era davvero sicuro che la biondina potesse scrivergli una volta a casa, la sera stessa, invece aveva dovuto ricredersi. Forse non aveva intenzione di scrivergli e basta. Tragedia. « Cain, so che anche tu vuoi rivedere il tizio » lo scrollò per le spalle, piazzandoglisi davanti, il tono quasi infastidito,
    « e se andassimo a prenderli a scuola? » Brutta, bruttissima scelta. Impulsiva e poco ragionata. Come ogni santissima decisione che prendeva Noel. « E ho pure fame, dannazione » sbraitò, rivolgendo lo sguardo al cielo. Quando era nervoso non c'era santo che teneva. E in quel momento sarebbe bastato un semplice trillo a zittirlo.

    • • •

    « Ehy, Noah » Altayr appoggiò la borsa di tutta fretta sul banco, chiamando subito il secchione della classe in prima fila con il quaderno di matematica alla mano. « Ti prego, ti prego, ti prego, gli esercizi » si inginocchiò di fronte a lui aprendo il libro davanti a lui, mostrandogli le pagine bianche e tutta la sua disperazione. La risposta negativa di lui non tardò ad arrivare, secca, facendo più male di un pugnale in pieno petto. « E che cazzo, perché? » gli rispose lei, alzandosi dalla posizione genuflessa in cui stava e alzando la voce. Matematica era alla terza ora, e aveva davvero bisogno di copiare i compiti da qualcuno. Né Kevin né Izar erano ancora arrivati, quindi Noah era la sua unica salvezza. L'albino non rispose e in quel momento entrò in classe il professore di chimica, perciò la ragazza si sbrigò a prendere posto. Notò che nel frattempo Izar era arrivato, e lo salutò con un cenno della mano e una linguaccia, per poi intercettare lo sguardo di Kevin, seduto dietro di lui. Gli sorrise, per poi nascondersi dietro la montagna di astucci per sfuggire al solito giro d'interrogazioni - per il quale ovviamente non aveva toccato libro - ma l'insegnante non si era svegliato con la luna storta fortunatamente. Affidò loro un lavoro di gruppo, e Altayr pregò di capitare con qualcuno che aveva capito cosa dovessero fare, perché ogni parola che usciva dalla bocca di Mr. Powell era arabo. Lei di formule e numeri non aveva mai capito nulla e non era determinata a farlo, giusto il minimo per passare l'anno. Quando udì il cognome di Izar affiancato da Aldebaran, segno che il bassista degli Elysian e Noah avrebbero dovuto lavorare insieme, la ragazza sospirò, accasciandosi sul banco come se avesse definitivamente perso la possibilità di cominciare bene la giornata.
    « Marshall, con Windstorm. Tienila d'occhio » Kevin si voltò a guardarla, sorridente, mentre Altayr fece una smorfia in direzione del professore. « Come se non facessi mai niente » disse quando il ragazzo la raggiunse, « Non ti ho mai visto particolarmente impegnata durante chimica », « Vaffanculo anche a te » risero insieme, mentre Kevin si beccò una spallata piuttosto forte per essere una ragazza. Kevin era il suo amico d'infanzia, andavano d'accordo e si volevano un gran bene, ma in quel momento desiderava che il suo compagno fosse un altro. Si sporse leggermente da un lato mentre Kevin continuava a parlare per vedere cosa stesse facendo Izar. Si impegnò a non farsi notare, visto che lui e Kevin si odiavano a morte, e sembrò riuscirci. Il moro però non si voltò in sua direzione, quindi dopo un po' lasciò perdere anche se le riusciva difficile concentrarsi. « Fai tu, vero? » fece, e Kevin sospirò. Se lo aspettava, evidentemente. « Io non ho capito nulla » e rise, appoggiando i gomiti sul banco, come se il lavoro non la riguardasse davvero. La verità era che era troppo impegnata a pensare ad altro. A qualcuno in particolare, e al concerto che li aspettava. All'appuntamento, pardon. Perché di quello si trattava.

    « Altayr » || « Noel » || « Abel »
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    Per quanto le indicazioni di Noel fossero ben accette e i due studenti avessero i minuti contati, Evelya non voleva andarsene, anche a costo di mettersi contro l'insegnante, i genitori ed il disonore generale derivante da quella scelta. Voleva sotterrare il cantante di domande - tra cui la data e ora di nascita, a scopo astrologico - per sapere cosa li accomunasse. Le band esercitavano un certo fascino su di lei, che mai ne avrebbe avuta una vista l'accademia che frequentava. Al massimo sarebbe finita nel coro di qualche chiesa molto frequentata, o tra gente dell'opera lirica, secondo il volere della madre. Rise all'affermazione di Noel quando giurò che non avrebbe tenuto d'occhio il cellulare in attesa di un messaggio, così come gli esami passati per un pelo, segno che era davvero devoto ai suoi Elysian.
    - Esami? Oh, buon Dio... Un universitario?! -. Non riusciva ad immaginare cosa potesse studiare un personaggio tanto esuberante, ma adesso era ancora più curiosa. Cantava benissimo, quasi sospettava che provenisse da una qualche Accademia alternativa dove non esisteva l'obbligo della divisa. Persino il fatto che fosse riuscito a fare del canto un lavoro vero e proprio - all'incirca - dimostrava la sua determinazione, vista la difficoltà di farsi spazio nell'ambiente ed avere un seguito così nutrito. Solomon li tallonava da qualche mese, sempre attaccato al cellulare per sbirciare foto o mettere cuoricini lontano dagli occhi giudiziosi della madre, ed Evelya pensò che una volta tanto avrebbe potuto rispolverare i social abbandonati a causa dello studio. Delle foto di Noel erano quello che ci voleva per indurla a scrivergli, e poteva farsi un'idea su che tipo di persona fosse.
    « Ti faccio sapere per il prossimo concerto allora » le disse a mo' di addio, posando una carezza leggera sulla guancia che la lasciò letteralmente a bocca aperta. Si fidava di lei - che non poteva essere più subdola di un bambino di tre anni, parole sue - e la cosa era reciproca. Poteva scrivergli, poteva farcela, anche solo per sapere che università frequentasse, quanti anni avesse, se fosse fidanzato, cose normali da chiedere ad una persona appena conosciuta.
    « Certo, verremo volentieri. Vero A... bel? ». Si sporse per cercare l'approvazione dell'amico, ma tutto in lui gridava "no". Non gradiva le attenzioni del batterista, davvero molto impulsivo per gli standard di Abel e la sua proverbiale freddezza. Anche dopo anni nella stessa classe, lui ed Evelya mantenevano una certa distanza. Non era diverso nemmeno con Raphael, o forse erano entrambi poco inclini a manifestare le proprie emozioni in pubblico. A tal proposito, chissà cos'avrebbe pensato Raphael vedendo quei due insieme, così vicini. Iniziò a temere il peggio non appena il ragazzo attirò Abel in un abbraccio, posandogli un bacio sulla testa con una naturalezza disarmante.
    « Dobbiamo proprio andare » disse a Noel con un cenno di scuse, imbarazzata per la scena appena vista ed il tocco ancora caldo del cantante che permeava sulla guancia. Chiedergli di accompagnarli fino all'auto del professore era pericoloso, anche se avrebbe prolungato la loro chiacchierata di qualche prezioso minuto. Erano stati già abbastanza gentili a lasciare pubblico e palco per scortarli fin lì, dopotutto.
    « Spero di rivederti presto. » Il colpo di grazia, perché sembrava che Noel intendesse davvero quelle parole. Ogni cosa che diceva suonava sincera dal profondo del cuore, gentile o maliziosa che fosse, perciò si fidava di lui.
    « Anche io » riuscì a dire infine Evelya, sorridendo come una sciocca alla prospettiva di infiltrarsi di nuovo tra ragazzine urlanti in un pub.
    Abel la strattonò via prima che gli addii ritardassero l'incontro con Azarel, costringendola a guardare dove metteva i piedi mentre entrambi incespicavano nel buio di una stradina secondaria. Si era fatto molto tardi. Le ore passate ad ascoltare gli Elysian le aveva fatto perdere la cognizione del tempo, ma ci pensò il professore a ricordare ai due studenti le loro mancanze.
    Azarel Emberthorn stava poggiato contro la sua lussuosa auto nera quando arrivarono, aggirando completamente il pub. L'espressione seriosa si distese un poco nel vedere i giovani tutti interi, subito rimpiazzata dallo sguardo accusatorio attraverso le lenti sottili. All'inizio non disse nulla, aprendo le porte ed indicando con un gesto seccato i sedili in pelle chiara, poi, una volta al volante, diede il via a ciò che i due temevano di più. La ramanzina toccò diversi campi: dall'obbligo di uno studente modello di dormire almeno otto ore per migliorare le prestazioni a scuola all'indecenza di vagare per le strade quando il momento della cena era passato da un pezzo, specie se ancora in divisa. Evelya cercò il sostegno di Abel nella semi-oscurità dell'abitacolo, seduta accanto a lui, eppure il ragazzo pareva distante chilometri e chilometri da quel posto, con gli occhi persi oltre il finestrino. Posò una mano sulla sua, un contatto leggero pieno di parole non dette, finché l'auto non si fermò davanti alla grande casa dei Gytrash.
    « Ci vediamo domani » gli disse, con un sorriso d'incoraggiamento. Qualsiasi cosa lo turbasse, ora necessitava di un bel sonno ristoratore. Anche Evelya avrebbe riposato volentieri durante il tragitto in macchina, ma con Azarel così vicino non se la sentiva di chiudere gli occhi. Se Noel era un libro aperto, il professore faceva attenzione a non lasciar trasparire nemmeno la superficie dei suoi pensieri. Dietro ad un banale sì o no potevano nascondersi una marea di significati.
    « Ero molto preoccupato » cominciò l'uomo, adocchiandola dallo specchietto retrovisore. « La tua famiglia ti ha affidata a me. Dovresti dirmi dove vai quando decidi di uscire, per sicurezza. » Dovresti, ma suonava come un comando assoluto che non ammetteva repliche.
    Evelya mormorò delle scuse e fece l'espressione più struggente che le riuscì in quel momento, promettendo che non sarebbe accaduto di nuovo. Manteneva sempre le promesse. Faceva ciò che le veniva detto senza protestare, ma forse per una volta avrebbe infranto le regole.

    • • •

    Quindi il principino non gradiva il punk-rock? Bella scoperta. Diamine, Cain si sarebbe messo a suonare uno di quegli strumenti pomposi da un sacco di soldi pur di compiacerlo. Che fosse ora di studiare il flauto traverso? Poteva pensarci. Nel frattempo osservare le reazioni di Abel era abbastanza soddisfacente, specie perché dietro ogni rifiuto vedeva l'ombra del dubbio: ogni "no" era più un "forse", solo che non riusciva ad ammetterlo. Tipi - e tipe - così toste non erano una novità. Sorpresa sorpresa, alla fine riusciva sempre a portarli fuori e strappare qualche uscita dopo i live. Se le cose andavano davvero bene potevano persino ammirare lo squallore di casa sua prima di finire a letto, ma era presto per dire quanto in la potesse spingersi con l'albino. Ah, giusto, andava ancora a scuola. Marcia indietro, Cain. Era difficile fare promesse dopo il bacio posato su quella chioma morbidissima, comunque. Abel poteva provare quanto voleva a nascondere le guance imporporate. Il rossore si stava propagando fino alla punta delle orecchie ed era a dir poco adorabile, insieme alle imprecazioni non verbali che rimandavano gli occhioni grigi. Lo salutò con la mano finché marciava via, portando con sé la piccoletta e le speranze disilluse di Noel.
    « A quando il prossimo concerto qui? Domani? » chiese il leader, condividendo la tua stessa aria da inebetito.
    « Anche subito. Ma l'hai visto? Mi stava praticamente implorando di portarlo fuori! ». L'unica cosa per cui implorava Abel era una fuga rapida da quel covo di casinisti, lo sapeva, ma sognare non costava nulla.
    « Andato anche tu, eh? ».
    « Puoi giurarci. » Scoprì del giochetto del numero di telefono solo in seguito, una volta tornati dentro a distribuire magliette al popolo, e si congratulò con il rosso per la trovata. Usare la bionda per arrivare ad Abel era una soluzione indolore, molto meglio che setacciare tutte le scuole del paese alla sua ricerca. Strano a dirsi, però, che Noel facesse una cosa del genere. Il cantante era amico di tutte e fidanzato di nessuna, sebbene in passato vi fosse stata qualche fiamma passeggera. Di solito non andava alla ricerca di compagnia, non chiaramente più ricca ed assennata di lui, tra l'altro. Lo sbirciò con la coda dell'occhio buono mentre mollava il merchandising per fare altre foto, spontaneo ed allegro come sempre, e si chiese se le sue intenzioni fossero serie quanto quelle di Cain. Perché per lui la caccia era appena iniziata, ed era disposto a trascinarla fino alla sua completa riuscita, con o senza un concerto a fare da tramite.

    • • •

    Promemoria per Izar: smettere di dare ascolto ai rossi malefici e fare le cose di testa sua. La nuova tecnica non era andata affatto a buon fine, perché Altayr - divertita ed imbarazzata insieme - aveva detto che ci avrebbe pensato. Né sì, né no. Una classica risposta da friendzone. Forse avrebbe dovuto aspettare un altro momento per chiederle del concerto, a scuola o durante le prove, ma sarebbe davvero cambiato qualcosa? Vista la sua fortuna, no.
    « Non fare quella faccia, ti farò sapere. » La buttò sul ridere, mentre il moro si struggeva e sentiva gli angoli della bocca sciogliersi, fino a toccare il pavimento. Gli sarebbe piaciuto avere una reazione più composta e meno disperata, magari con un sorrisone alla Noel come a voler dire che non faceva niente, non era importante. Avrebbe pescato dalla rubrica di contatti un'altra persona altrettanto appassionata al gruppo e voilà, divertimento assicurato anche senza quella meraviglia di nome Altayr, a cui, per inciso, andava dietro dai tempi della prima superiore. Una cosa da nulla, poteva passarci sopra ed uscirne con dignità. « Sei la prima persona che mi è venuta in mente, ma se non puoi pazienza. » Ci aveva solo speso l'ultimo stipendio, anziché comprare un paio di scarpe senza buchi. Per quanto il grazie della ragazza paresse sincero, Izar non si dava pace. Rispose con un cenno del capo ed un sorriso forzato, gettandosi poi nel caos ad allungare magliette ed intascare sterline dalle fanciulle che facevano del simbolo degli Elysian un qualcosa di sacro. I rossi si degnarono di raggiungerli poco dopo, entrambi con un'espressione sorniona che non lasciava presagire nulla di buono. Altri guai in vista, insomma. Quando ci si mettevano loro le cose potevano farsi molto complicate, perciò sospettò che avrebbero rivisto presto i principini tra il pubblico di tigri affamate. Un bell'impiccio, soprattutto perché gli era sembrato che tra la nanerottola ed Altayr ci fosse una sorta d'intesa, roba che gli uomini non potevano capire. Altre distrazioni a mettersi in mezzo, come se non bastasse quel cretino di Kevin con i suoi atteggiamenti da bff che lo mandavano fuori di testa. Eh sì, perché lui era l'amico d'infanzia, quindi aveva la precedenza. Se glie l'avesse chiesto lui, Altayr avrebbe accettato al volo? Non poteva saperlo. A volte le reazioni della chitarrista erano imprevedibili. Quanto gli sarebbe piaciuto prenderla in disparte e chiederle direttamente di mettersi con lui. Una cosa schietta e veloce a cui non poteva rispondere solo "ti farò sapere". Ed ecco l'inghippo: distruggere un'amicizia o dare inizio ad una nuova relazione? I due si vedevano a scuola, al negozio di dischi e alle prove. Dopo un rifiuto eclissarsi e sparire dalla circolazione pareva l'unica idea sensata. Rimase a rivangare i pensieri finché sorrideva distratto alle ragazze, e disse ad Altayr di tornare da sola a fine serata, vista l'urgenza di prendere le distanze da lei ed avvicinare una birra.
    Non si diresse verso casa, bensì all'altro capo di Lancaster, dove la villetta del padre adottivo si mescolava a mille altre uguali. L'unica eccezione era l'abbondanza di giocattoli sparsi per il giardino, opera del piccolo Seth.
    « Guarda chi torna strisciando a casa mia! » tuonò l'uomo dalla veranda, intento a fumare l'unica sigaretta concessa dalla moglie sugli scalini d'ingresso. Samael non era il tipo di padre a cui si affidava un bambino rimasto orfano, con molti problemi di comunicazione ed alcuni traumi infantili difficili da gestire, ma in qualche modo Izar era sopravvissuto, e non poteva essergli più grato.
    « Ciao, stupido genitore » rispose il ragazzo, sedendosi vicino a lui. La notte era tranquilla, tiepida, portava l'odore d'acqua dolce del fiume Lune mista alla nicotina che si spargeva nel vento. Izar moriva dalla voglia di stendersi e chiudere gli occhi, ma l'ansia lo divorava e non lasciava spazio al sonno.
    « Mi ha detto che ci pensa. »
    Samael scoppiò a ridere, beccandosi una gomitata dal figlioccio prima che svegliasse l'intero quartiere.
    « Io lo sapevo che non era una tipa facile, e tu niente, avanti per la tua strada. Mai ascoltare il tuo vecchio, mi raccomando. »
    « Lo so, ma ne vale la pena. » Aleggiò uno strano silenzio tra loro. Samael, una volta tanto, era rimasto senza parole. Doveva essere a causa della serietà di Izar, o dello sguardo triste dietro le lenti degli occhiali. Il patrigno annunciò che avrebbe recuperato delle birre, lasciando il figlio solo all'ingresso con una sigaretta gentilmente offerta ed il canto di qualche strano uccello notturno. Arrendersi era fuori discussione, l'aveva capito pronunciando quelle parole.

    • • • Il giorno dopo

    La vera punizione di Azarel si manifestò alle prime ore di lezione, con uno spietato quanto soporifero Debussy. Abel era un mago quando si trattava di pianoforte, rendeva la melodia perfetta, una carezza per i timpani, ed Evelya si ritrovò a sbadigliare cinque volte di seguito mentre cercava di decifrare gli spartiti per il concerto dell'equinozio di primavera. Aveva passato la notte a scorrere le foto degli Elysian, tutti i concerti che si era persa, i magnifici sorrisi di Noel da qualsiasi angolazione. Era affascinante, attirava lo sguardo, forse anche più dell'appariscente batterista e la sua tendenza a denudarsi in pubblico. Si era addormentata con il viso del cantante che ammiccava anche attraverso le palpebre chiuse, per poi constatare con orrore che la sveglia aveva suonato ad oltranza ed era in estremo ritardo. Non aveva avuto tempo di legare i capelli, e forse il trucco non stava facendo il suo dovere nel nascondere le occhiaie visti i commenti di Azarel durante il tragitto a scuola. Ora la sua attenzione ricadeva sugli errori di Abel, non più sveglio della compagna, che all'ennesimo rimprovero marciò fuori a prendere un caffè. Era di pessimo umore, anche più silenzioso del solito, e questo impensierì molto Evelya. Era colpa sua, l'aveva trascinato ad un concerto e gettato in pasto ad un molestatore famelico, e Dio solo sapeva come l'avrebbe presa Raphael. « Abel... » chiamò, con l'intenzione di seguirlo e chiedergli scusa, ma l'insegnante la trattenne per un polso. « Lascia che faccia. Prima gli passa e prima arriviamo in fondo alla questione. » La ragazza annuì, sottraendosi prontamente alla stretta e tornando al banco accanto alla finestra, dove spartiti ed appunti reclamavano la sua attenzione. Aveva composto un brano in occasione del concerto, una canzone che parlava d'amore nel senso stretto del termine, ispirata ad un libro letto di recente. La coppia d'innamorati ed i loro sentimenti l'avevano commossa a tal punto da cantarci sopra, poi Azarel aveva analizzato il testo e tracciato una serie di segni rossi e correzioni, infrangendo i suoi sogni. Lesse sotto le righe cancellate "I'm so in love with you" e si morse il labbro. Definiva l'anima stessa del brano, voleva cantarla, ma non era abbastanza classica per lo stile dell'Accademia. Sotto al quaderno sbucava lo spartito dell'Ave Maria consigliato dal professore, sentito e risentito un milione di volte e già cantato da altre classi. Si disse che non l'avrebbe letto, così da arrivare impreparata al concerto e risparmiarsi quel supplizio. Sua madre l'adorava, ovviamente. Era stata lei a suggerire ad Azarel di assegnarla ai tre rappresentati dell'ultimo anno, con Abel che aveva subito alzato gli occhi al cielo e Raphael del tutto indifferente. Chissà cosa sarebbe accaduto se avessero portato un pezzo degli Elysian in quel corteo di musoni. Solo immaginare la reazione dei familiari la fece sorridere.
    « Professore, esco anch'io per una pausa » annunciò, prendendo le cuffiette dallo zaino. Non riusciva a formulare un solo pensiero coerente dalla sera prima, ogni cosa andava a quel gruppo di ribelli tatuati che l'avevano stregata anima e corpo. In giardino, anziché bearsi dei suoni armonici che provenivano da ogni angolo dell'istituto, Evelya si rintanò nel mondo dei suoi nuovi idoli, chiassoso come non mai, con la voce di Noel a farla da padrone. L'unione di brani forti, aggressivi, e di quelli più scherzosi - e a volte romantici - la sorprese. Parevano andare di pari passo con l'umore del cantante, mentre alla ragazza non era permesso dare un'intonazione diversa alle canzoni che da secoli si ripetevano sempre uguali. Scorse la pagina ufficiale del gruppo nel mentre, dove i sorrisi di Noel si alternavano alle boccacce del ragazzo dai capelli neri e la bellissima Altayr.
    - Voglio conoscerli. Davvero tanto. - E la risposta stava in quel nome aggiunto di recente alla rubrica. Così, finché Noel chiedeva a Wendy di scappare con lui, Evelya aprì la schermata di un nuovo messaggio e prese fiato.

    Ciao Noel, sono Evie.
    Come stai? Avete prove anche oggi?


    Perfetto, disinteressato e molto formale. Non lasciava trasparire la sua voglia di rivederlo o di ascoltare le sue canzoni dal vivo. Rimase con il dito sospeso sul tasto d'invio per parecchi minuti, con le ultime note che sfumavano nelle orecchie ed i bellissimi occhi del rosso impressi a fuoco nella mente. Stava facendo un errore, anzi, un azzardo. Andare ad un concerto degli Elysian significava scappare di casa dopo l'ora di cena, infilarsi in posti dove la gente beveva, fumava e chissà cos'altro, tutto senza scorta. Abel avrebbe acconsentito ad accompagnarla di nuovo? Da sola non poteva proprio riuscirci. Ad un tratto il suono della campanella irruppe nella quiete e la fece sobbalzare. Quando abbassò lo sguardo sullo schermo del telefono comparve la doppia spunta dell'inviato e ricevuto.

    La fuga su per le scale la lasciò senza fiato. Non aveva mai corso così tanto e così in fretta, nemmeno per educazione fisica, ma si trattava di un'emergenza. Incontrò gli occhi cupi di Raphael in un breve scambio di saluti, finché la testolina chiara di Abel in lontananza la incoraggiò ad accelerare il passo. Voleva chiamarlo, e invece riuscì solo ad aggrapparsi alla manica della sua divisa ed ansimare per lo sforzo. « Ho fatto... un messaggio... e adesso... » balbettò, piegata in due alla ricerca di ossigeno. Abel doveva pensare che fosse impazzita. La vibrazione del cellulare, ancora stretto in mano, le fece temere il peggio. La risposta era arrivata praticamente subito, lampeggiava in un angolo dello schermo in attesa che Evelya trovasse il coraggio - e la forza - di premere quel singolo tasto. Ormai il danno era fatto, e lei aveva cominciato. Tornare indietro dopo aver fatto un passo così grande era inutile. Ciò che lesse, però, la lasciò a dir poco senza parole, e girò il telefono verso il compagno con aria stranita.
    « Credo che sia per te. »
    Il messaggio era in maiuscolo, irrispettoso, e suonava come una minaccia.

    HEY ABEL, LASCIAMI IL TUO NUMERO.
    IN CAMBIO AVRAI FOTO SEXY A VI_


    S'interrompeva bruscamente, ma il senso era abbastanza chiaro. Evelya arrossì di botto, sobbalzando al secondo messaggio.

    RIPLEY ST. THOMAS, GIUSTO? ARRIVIAMO!

    « Ho combinato un guaio. »
    L'ultima campanella d'avvertimento fece da sottofondo al momento d'immobilità dei due, increduli e congelati sul posto. In qualche modo sapevano dove studiavano, e... volevano fargli visita. Loro, i due rossi degli Elysian, in pasto all'elite di Lancaster, sotto lo sguardo vigile di Azarel e un mucchio di santi in generale. Perfetto. Ora quale piano di fuga potevano adottare per salvare da morte certa due musicisti promettenti e la loro stessa carriera? « Non dicono sul serio. Torniamo in classe? » propose, muovendo un solo passo in direzione dell'aula e niente di più. Nella seconda parte della mattinata avevano le prove ufficiali per il concerto, che si traduceva in due ore non-stop di Azarel ed i suoi commenti severi, inchiodati al pavimento come marionette. A volte non li lasciava nemmeno andare al bagno, perciò incontrare qualcuno fuori dai cancelli era improponibile. Non dicevano sul serio, era uno scherzo. Potevano tornare alla loro vita di tutti i giorni indisturbati, come se la sera prima non fosse accaduto nulla ed Evelya non avesse accidentalmente inviato un messaggio al ragazzo dei suoi sogni.
    Il professore era dello stesso avviso, spazientito come non mai. Raphael stava provando il pezzo in solitaria, e proseguì anche quando lei e l'albino presero posto al pianoforte e davanti al microfono. Era impeccabile quanto un robot addestrato all'unico scopo di esibirsi, il suo approccio con la musica freddo al pari di quello che usava con gli esseri umani.
    « Iniziamo a lavorare, sì? Gytrash, non ti muovi da lì fino a nuovo ordine. »
    Evelya lesse un'odio indescrivibile nelle iridi chiare di Abel, preferendo fissarsi i piedi anziché mettere alla prova la pazienza dello studente e del - forse - fidanzato con qualche scusa. Spartiti alla mano, la fanciulla si schiarì la gola e fece qualche esercizio di respirazione, davvero difficile con il cuore che batteva a mille. Era uno scherzo, non sarebbe venuto nessuno.
    « Rifacciamo il pezzo da capo. Vi voglio concentrati. »
    Ma non appena la musica partì Evelya seppe che la sua testa era altrove, e pregava nell'arrivo di un certo qualcuno dai capelli color mogano.

    • • •

    Cain era un cinico, da sempre. Si divertiva a tenere la gente sulle spine e giocare scherzi di cattivo gusto, in particolare a quell'ingenuo di Noel. Quando vide il suo catorcio fare capolino si sfregò le mani come l'antagonista di un cartone animato, perché lui sapeva cose che l'altro neanche sognava. Buttò il bicchierino di caffè e si ripulì le mani sulla tuta da meccanico, pronto a soccorrere il macinino che il cantante si ostinava a voler riparare. A stento riusciva a trattenere il suo ghigno malefico.
    « Vediamo di riportare in vita i morti anche oggi! » disse, aprendo il cofano. Ormai sapeva dove cercare i danni e come sistemarli, e poi era una mattina tranquilla, poteva dedicarsi al suo compare per un po'. Noel, irrequieto come al solito, gironzolava con il cellulare in mano, lamentando il fatto che la bionda non gli avesse scritto immediatamente e tante altre paranoie che di solito non si faceva. Povero stolto, se solo avesse saputo.
    « Voglio rivederla, che palle. E se non mi scrive? Cain, cazzo. » Il tonfo del suo pugno fece vibrare i resti della povera macchina, strappandole un suono cigolante. Era troppo divertente guardarlo struggersi così. Ancora un pochino e glie l'avrebbe detto, ma non subito.
    « Perché avevi grandi piani per lei, no? Magari volevi portarla a fare un giro sulla tua decapottabile. » Oggettivamente, cosa poteva offrire ad una tipa del Ripley? La gente che frequentava l'Accademia pagava una retta pari a dodici stipendi di Cain, e proveniva da famiglie di una certa levatura di Lancaster e non solo. Anche Abel - il suo adorato Abel - doveva essere dello stesso avviso. Fece uno sforzo enorme per non far saltare la copertura, mordendosi il labbro e pregando che Noel non facesse il perspicace proprio ora. Fu difficile ingoiare le risate allo sfogo dell'altro, mentre lo scuoteva tutto frustrato.
    « Certo che voglio rivederlo, e toccarlo, e fare un sacco di altre cose, ma non passo la giornata a piagnucolare. Ho ancora una dignità, » assottigliò lo sguardo, il mezzo sorriso che nonostante tutto saliva a galla, « e ho un piano. » Al suono improvviso e benedetto del cellulare approfittò dell'incredulità del rosso numero uno per agire, rubandoglielo di mano e correndo via. Era lei, la piccoletta dal nome strano. Ottimo. Senza badare troppo ai tasti chiese subito il numero di Abel, inviando un messaggio a metà a causa della presa ferrea di Noel sul suo braccio. « A cuccia, dopo mi ringrazierai » lo ammonì, stringendogli il collo nella famosa morsa del cobra, imparata nei sobborghi di Lancaster da ragazzino. Quando gli restituì il telefono l'atto era compiuto.
    « Datti una sistemata, playboy. Andiamo a prenderceli. »

    Cain condusse la moto fino ad un parcheggio pieno di auto costosissime, poco frequentato vista l'avvicinarsi dell'ora di pranzo. Fare un'entrata trionfale a bordo del catorcio di Noel era fuori discussione, perciò aveva messo a disposizione la sua Cindy Lou per quella missione di spionaggio. Beh, che la Ripley St.Thomas fosse ricca si sapeva. L'intero quartiere trasudava denaro, e ci avrebbe scommesso un rene che il cancello d'entrata era d'oro massiccio.
    « Ecco cosa faremo, capo » bisbigliò, approcciandosi al leader del gruppo.
    « Qui dentro ci studia una mia ex - non fare domande, tutti possono sbagliare - e tra poco ci farà entrare dal retro. Lo so cosa stai pensando, ma io sono un genio del male e non trascuro niente. » La ex in questione era alta quanto Noel, impossibile da non notare, ed ondeggiava con la grazia di una ballerina. Fece loro segno di avvicinarsi dalla porta di servizio del custode, ad est dell'edificio, finché reggeva un sacchetto piuttosto ingombrante.
    « Cain, tesoro, ricordati la promessa » miagolò, prima di lasciare il prezioso carico tra le sue mani. Ovviamente quella soffiata gli era costata qualcosa, ma cos'era un'appuntamento contro la possibilità di rivedere Abel? Mostrò al compare un paio di divise perfettamente piegate ed inamidate, blu scuro, con una camicia così bianca da sembrare al neon. Lo stemma della scuola era il loro lasciapassare. « E adesso andiamo a sporcare questo posto da snob. »

    La divisa si rivelò essere un sofisticato strumento di tortura, stretto e succinto. La cravatta pareva un collare pronto a strozzarlo, e Cain la allentò prima di soffocare. Okay, era povero in canna, ma almeno non doveva soffrire a quel modo ogni volta che usciva di casa. Noel, tutto impettito accanto a lui, pareva avere i medesimi problemi. Gli suggerì di tenere la schiena dritta ed essere disinvolto per passare inosservato, poiché era ancora tempo di lezioni e loro, tecnicamente, le stavano marinando alla grande. La scuola dentro era una specie di piccola Versailles, tutta marmo, specchi e quadri giganteschi, con quelle vetrate dei tempi andati alte e strette. C'era un buonissimo profumo di pulito per i corridoi, oltre alle soavi canzoncine che gli studenti provavano e riprovavano.
    « Se vedi una graziosa creatura dai capelli chiari dimmelo, e non parlo di... come si chiama? ». Era pessimo con i nomi, eccezione fatta per Abel. Gli interessava solo lui, il suo broncio, gli occhioni tempestosi che sembravano volerlo tranciare a metà con uno sguardo. Da parecchio non s'intratteneva con un uomo, e lui aveva riacceso la scintilla. Un segno del destino. Nel tentare di indovinare l'aula giusta, i due rossi vagarono per le aree immense dell'Accademia da bravi turisti, incappando in ragazzine ben vestite che subito si diedero all'inseguimento. Ora i membri degli Elysian erano due spocchiosi studenti d'elite, rispettivamente un sassofonista ed un organista di grande talento. Avevano studiato la parte mentre si cambiavano, sghignazzando come vecchie volpi. Trascorsero una ventina di minuti così, a vagare a vuoto, incappando perfino in oggetti poco classici, tipo i distributori di merendine ed una macchina del caffè da dieci gusti diversi, finché una musica più coordinata attirò la loro attenzione. Si stava esercitando un gruppo, pochi strumenti insieme ad una voce femminile, e Cain suggerì di andare a sbirciare giacché la porta era rimasta aperta. Se non avessero trovato i principini sarebbe stata comunque una bella gita nei quartieri alti, no?
    Altri studenti si erano appostati all'ingresso della stanza, in rispettoso silenzio, e parvero ignorare i due stranieri tanto erano rapiti dalla musica. Non si trattava di punk-rock, né di niente che il gruppo conoscesse, ma i ragazzi non erano degli zotici completi: la canzone era di una dolcezza disarmante, avrebbe messo a nanna qualsiasi teppista, e tecnicamente perfetta. La cosa più sconvolgente, però, fu vedere chi era l'artefice delle note di pianoforte.
    Cain mimò con la bocca un'imprecazione poco accademica, dando di gomito al compagno mentre stupore e rapimento gli cavavano qualsiasi parola sensata. Abel era l'incarnazione della compostezza, chino sui tasti. Ogni tanto chiudeva gli occhi, per poi riaprirli e fissare le proprie dita scivolare con maestria, padrone della situazione. Il suo viso era così adulto durante l'esibizione... sembrava un'altra persona. Ed era illegalmente bello, anche. Se non fosse stato per quel guastafeste dell'insegnante, che ogni tanto passava a correggerlo ed oscurare la visuale a Cain, si sarebbe avvicinato per ascoltare meglio. Oltre a lui - l'unico che contava - un tipo dai capelli lunghissimi armeggiava con il violino, e la cantante dava loro le spalle. Ogni volta che il professore occhialuto le passava accanto la vedeva stringere l'asta del microfono, nemmeno fosse pronta ad usarla come arma, e la voce si riempiva d'incertezza. Capiva solo ora quanta pressione mettessero certi ambienti ai futuri musicisti. Doveva essere uno strazio non potersi esibire secondo il proprio gusto. « Psst! Ti presento il mio nuovo ragazzo » bisbigliò a Noel, che nel frattempo pareva immerso in una sorta di trance. Oh, giusto. Quella era la bionda della sera prima. La riconobbe non appena volse lo sguardo verso la porta, le sue guance a prendere fuoco. Sia lei che il leader erano fin troppo facili da leggere, gli facevano tenerezza. Quanto ci avrebbe messo Abel ad accorgersi che il suo principe azzurro era venuto a prenderlo? Perché lasciarlo in pace non era un'opzione contemplabile, ormai.

    • • •

    Svegliarsi con il peso di un bambino di venti chili sullo stomaco non era una novità, ma incideva parecchio il fattore alcol della sera prima. Seth aveva dato il buongiorno ad Izar saltellandogli addosso con tutta la grazia di un bambino di quattro anni, iniziando così quella che si prospettava una gran giornata di merda. Con mal di testa ed acidità di stomaco come compagni, il ragazzo si avviò a scuola dopo una colazione a base di analgesico e l'abbraccio soffocante del padre adottivo. Sarebbe volentieri rimasto a letto, ma era un secchione e non poteva permettersi di fare troppe assenze, ne andava del suo orgoglio. Non pensò al problema Altayr finché non mise piede in classe e la intercettò subito, ricambiando la linguaccia di malavoglia. Si comportava come al solito, e come al solito Kevin si era seduto vicino a lei. Una scazzottata di prima mattina non la toglieva nessuno a quel coglione. Peccato che i postumi della sbornia gli offuscassero vista e sensi. Izar si sciolse letteralmente sul banco, massaggiando la radice del naso da dietro gli occhiali alla ricerca di un po' di sollievo. La prospettiva di lavorare fianco a fianco alla ragazza che l'aveva friendzonato, nel pomeriggio, lo sconvolgeva anche di più. E le prove, maledizione. Non poteva evitarla in nessun modo. Quanto l'avrebbe fatto aspettare prima di dire il fatidico "no, vacci da solo"? Stava solo prolungando la sua agonia. Ad addolcire la pillola arrivò Mr. Powell con uno di quegli esperimenti di gruppo che tanto gli piacevano, per fortuna. Perdersi tra i numeri era la soluzione ideale per non pensare alla ragazza, all'emicrania e all'impulso di affondare un pugno nella pancia di Kevin. Perché il destino ce l'aveva con il moro, e aveva appena messo in coppia il cretino e la sua bella. « Oh, ciao Noah » borbottò, finché l'albino prendeva posto vicino a lui ed apriva il quaderno. « Scusa se non sono Altayr. » Il piccoletto stava zitto per la maggior parte del tempo, ma quando parlava lasciava sempre tutti interdetti. Izar grugnì qualcosa d'incomprensibile e cominciò a ricopiare le formule dalla lavagna, la soluzione già pronta in mente. Facile, troppo facile. Gli servivano altri cento quesiti per distrarsi. « Come hai chiesto a Liane di mettersi con te? » domandò di getto, con gli occhi che passavano dal quaderno, alla cattedra ad Altayr, intenta a ridersela con Kevin.
    Noah fece spallucce, neanche stessero parlando del tempo.
    « Non gliel'ho chiesto. E' successo e basta. »
    « E come fate a sapere di stare insieme? ».
    « Lo sappiamo, punto. E adesso lavora. »
    Possibile che non vi fosse un solo uomo in tutta la città in grado di dargli qualche consiglio? La situazione lo stava mandando fuori di testa, e intanto vedeva coppiette felici ovunque. Già, come i due amiconi che si davano di gomito nei banchi accanto al muro, un tripudio di sorrisi. Dio, odiava essere così indeciso. In un momento di stizza comunicò al proprietario del negozio di dischi che non sarebbe andato al lavoro, per poi scrivere a Noel un messaggio molto celere in cui dichiarava di avere le palle girate e zero voglia di suonare. Che lo mandassero pure a quel paese. La giornata stava prendendo una pessima piega e non aveva l'energia per affrontarla. Alzò la mano e chiese al professore di andare in infermeria dopo aver consegnato il compito, e dato che non vi era il minimo errore l'insegnante acconsentì senza fare problemi. Nel passare accanto alla porta evitò lo sguardo di Altayr, ma quello di Kevin arrivò forte e chiaro. Lo compativa, e nel frattempo sghignazzava. Izar digrignò i denti e mimò un "vaffanculo" prima di sbattersi la porta alle spalle. Non contento sfogò il resto della rabbia contro il muro dell'aula, sentendo ogni singolo osso della mano fare crock in risposta. Al diavolo il mondo intero, voleva dormire e non pensare a niente.
    L'infermeria era vuota, ovviamente, dato che il medico veniva pagato poco e si presentava solo due volte alla settimana, perciò puntò subito al lettino e lì vi rimase, posando gli occhiali sul davanzale della finestra soprastante. Silenzio, finalmente. Benedetto silenzio. Sperò che gli altri del gruppo lo perdonassero, abituati ai suoi sbalzi d'umore, e che Kevin si rompesse l'osso del collo prima che provvedesse lui a sistemarlo.

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

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    U
    n piano di Cain, di solito, era sinonimo di guai. Non troppo male, dato che infilarsi nei casini non era solo la sua specialità, ma anche quella di Cain, dei piccioncini - ossia Izar e Altayr... di tutti e quattro gli Elysian a dirla tutta. L'amore per la musica non era l'unica passione che avevano in comune. « E in cosa consisterebbe, sentiamo? » gli fece, fermandosi per un momento. Quando Cain diceva di avere qualcosa in mente, gli veniva spontaneo non fidarsi subito di lui: aveva sempre quello sguardo malizioso, quel sorrisetto che non prometteva nulla di nuovo. Eppure alla fine ci finiva sempre in mezzo, e si divertiva pure. « Guarda che è una cosa seria, io la voglio rivede- » si interruppe di colpo. Era arrivato un messaggio. Non se lo era immaginato. Il telefono gli aveva vibrato tra le mani, la notifica di un messaggio a coprire l'immagine di un cucciolo di labrador trovata su Internet e inserita immediatamente come sfondo. « Merda! » si fece scappare un urlo liberatorio, ma non bastava per scaricare l'adrenalina. Aveva aspettato quel messaggio come aspettava che arrivasse il weekend per suonare in qualche club, e quelle dodici ore gli erano sembrate lunghe quanto intere giornate. La notifica era ancora lì, un numero sconosciuto e un messaggio che non si leggeva per intero: Ciao Noel, sono Evie. Come sta... Quel sono Evie bastava, bastava eccome. Era lei, proprio lei. Evelya. Dio, era lei. Gli aveva scritto, era servito a qualcosa. Quindi gli interessava. Okay, no, andava troppo spedito come al suo solito. Quindi gli stava simpatico. Ecco, meglio. - Gli sto simpatico - si ripeté, mentre non sapeva che fare. Doveva rispondere, sì, ecco. Da quando era così impacciato con le ragazze? Non lo era mai stato da quel che ricordava. Aprì il messaggio alla velocità della luce dopo qualche secondo rimasto a fissare lo schermo, ma Cain fu più veloce di lui. Non realizzò subito che gli avesse strappato il cellulare dalle mani, e quando allungò le braccia verso di lui per riprenderselo il rosso numero due vide che aveva preso a scrivere qualcosa, ma l'amico gli impediva in tutti i modi di vedere cosa diavolo stesse facendo. « Cain, cazzo, ridammelo! » glielo gridò praticamente nell'orecchio, ma l'altro continuava a ridere, a ridere, a ridere. La sua risata gli dava fastidio. Che lui non avesse in mano il suo telefono gli dava fastidio. Che Cain stesse rispondendo a Evelya gli dava fastidio. « Cain! » gridò di nuovo, spingendolo in avanti, e in quel momento il batterista gli resistuì ciò che gli apparteneva, insieme ai suoi sogni infranti. Il messaggio completo di Evelya chiedeva se avevano prove anche quel giorno, ma ciò che lesse dopo gli fece accapponare la pelle. « A cuccia, dopo mi ringrazierai »
    « Ringraziarti? Ma vaffanculo! » ringhiò in risposta, vedendo le possibilità di un eventuale appuntamento sfumare come fumo. Cercò di liberarsi dalla morsa ferrea di Cain, perché in quel momento aveva solo voglia di tirargli qualcosa, ma anche usare una delle sue vecchie chitarre a mo' di mazza da baseball era una buona idea. Riuscì a scivolare via dalla presa del rosso quasi per miracolo - non era muscoloso e forzuto quanto lui - e si affrettò a scrivere un messaggio di scuse per Evelya.

    Scusa, un amico mi ha preso il telefono, spero non te la sia presa.
    Sono così contento che tu mi abbia riscritto!
    Come promesso non ho guardato il telefono neanche una volta e stanotte ho dormito beatamente, tu come stai? Questo pomeriggio prove!


    Inviò di getto, senza pensarci su neanche un attimo, e sperava vivamente che lo leggesse immediatamente, che anche lei fosse rimasta attaccata al cellulare tutto il tempo, ma dopo la fantasmagorica pensata di Cain non era affatto fiducioso. « Datti una sistemata, playboy. Andiamo a prenderceli. » Noel sbuffò appena l'amico aprì bocca, immensamente stufo delle sue trovate. « Io non ci parlo con te » disse, ma suonò più infantile del dovuto. Beh, il senso era quello. Si rificcò il cellulare in tasca stizzito e fece per andarsene, lasciando la macchina alle sapienti abili di quel coglione del batterista, ma si fermò prima di fare un passo fuori dal locale. « Che hai detto, scusa? » domandò, voltandosi verso di lui, confuso. Aveva sentito bene? Andiamo a prenderceli? No, aspetta. Un ghigno che conosceva bene si distese sulle labbra di Cain e senza bisogno di parole gli fece capire che sì, evidentemente non aveva ancora bisogno di un apparecchio uditivo. Era quello il piano di cui parlava? « E cosa vorresti fare, bel casanova? » chiese ancora, abbandonando temporaneamente l'idea di andarsene per sbollire la rabbia, che in quel momento venne soppiantata da una sana dose di curiosità. Cain era al corrente di qualcosa che Noel, invece, non sapeva, glielo si leggeva in faccia, e non vedeva l'ora di dirglielo.

    • • •

    Abel si avviò verso l'aula prove a passi lenti, affatto ansioso di tornarci per sentire i rimproveri di Azarel e il canto insicuro di Evelya. Tuttavia, ciò che pesava più di tutto era il silenzio di Raphael. Prima lo trovava rassicurante, non sentiva il bisogno di doverlo riempire, era un silenzio rispettoso, d'attesa, come a voler dire "tranquillo, che se non vuoi parlare non importa". Invece, ora lo trovava scomodo, forzato, greve. Lo faceva sentire colpevole, e non a suo agio come prima. Sorseggiò un po' di caffè, e alzando gli occhi dal bicchiere vide Raphael in fondo al corridoio, prossimo a sparire dietro la curva. Lì c'era un cestino, e riusciva sempre a finire il suo caffè per poi buttarlo proprio in quello. Lo conosceva bene. Ora era pari ad uno sconosciuto. Doveva fare qualcosa, e sapeva anche cosa, ma era difficile metterla in atto. Eppure, continuare non avrebbe giovato a nessuno dei due, e lui per primo voleva uscirne. Lo infastidiva solamente il pensiero della possibile risposta di Raphael, che, conoscendolo, avrebbe reagito come se non gliene fosse fregato nulla per un solo istante di quel che c'era stato tra loro e come si era evoluta la loro storia. Avrebbe fatto male vederlo scrollare le spalle e non arrabbiarsi, bensì lo avrebbe guardato con quello sguardo vuoto e stanco che gli riservava da settimane. Ma andava fatto, presto o tardi, e il moro non sembrava voler fare il primo passo. Forse stava aspettando proprio Abel, come quest'ultimo aspettava l'altro. Nessuno dei due voleva essere il primo a prendere coraggio, perché entrambi erano degli immensi codardi. « Raphael! » chiamò a gran voce, prima che lui svoltasse e sparisse alla vista. Lo aveva sentito, ne era sicuro, ma non si voltò, né esitò, né rallentò. Nessuna reazione. Era questo che lo innervosiva del modo di fare di Raphael. Nonostante si trattasse di lui, non aveva nessuna reazione. Rabbia, tristezza, rancore, nulla, come se non contasse niente. E ciò lo faceva imbestialire. La figura prominente e scura di Raphael venne soppiantata dalla visione di una ragazza dal viso rosso e di bassa statura, che si aggrappò alla manica della divisa del ragazzo come a voler chiedere aiuto. Evelya farfugliò qualcosa su un messaggio, una frase senza un vero e proprio senso che non era riuscito ad afferrare, e si domandò se la fanciulla avesse bisogno di una bombola di ossigeno mentre stava attento a non rovesciare il caffè per terra. La guardò, fintanto che riprendeva fiato e si tranquillizzava, ma risultò tutto vano quando lesse un messaggio che fece vibrare il telefono della ragazza. L'aria eccitata e nervosa che le pervadeva il viso sfiorì, lasciando spazio ad uno sguardo scettico e insoddisfatto. Rimase attaccata alla manica di Abel tutto il tempo, che quindi non aveva via di fuga. « Credo che sia per te. » Evelya gli mostrò lo schermo del telefono, sul quale troneggiava un messaggio in maiuscolo: ci mise qualche secondo a metterlo a fuoco - aveva lasciato gli occhiali sul pianoforte - e quando riuscì a leggerlo strabuzzò gli occhi. Lesse anche il messaggio sopra, che evidentemente aveva inviato Evie, e il destinatario sembrava essere un certo Noel. Doveva essere il cantante di ieri sera, visto che Evie menzionava le prove. Questo significava che quell'insolente risposta era stata inviata da lui? Impossibile, Noel aveva occhi solo per Evelya la sera precedente. Che fosse stato... il batterista? « Santo cielo » fece a bassa voce, passandosi una mano sulla fronte. Non poteva essere che lui, ed era estremamente irriverente e sfrontato. Leggere quelle parole era veramente imbarazzante, come se lo avesse messo in ridicolo davanti al mondo intero. Il messaggio che seguì non era più rassicurante, visto che citava il nome del loro istituto e la promessa di arrivare fin lì.
    « Ho combinato un guaio. » Lo sguardo di Abel si spostò dal telefono alla ragazza che lo teneva con la mano tremolante, ovviamente preoccupata. « Mh » fu la eloquente risposta dell'albino: in fondo, era risaputo che il suo talento fosse rincuorare e incoraggiare le persone che si appellavano a lui per un po' di conforto. « Non dicono sul serio. Torniamo in classe? » Il ragazzo annuì, ma l'incertezza dell'amica era percepibile dal tono della voce, forzatamente tranquillo. Neanche lui era tranquillo. Il commento precedente lo aveva infastidito, l'altro lo aveva messo sull'attenti, ma entrambi significavano che lo stava cercando. Cain. Questo pensiero gli attraversò la mente solamente in seguito, ed ogni passo verso la sala prove, dal quale già si sentiva la melodia perfetta di Raphael, era accompagnato dall'immagine del ragazzo dai capelli rossi che lo aveva imprigionato l'altra sera. Lo avrebbe rivisto? Intendeva davvero venire alla Ripley insieme all'altro ragazzo? Era da matti fare una cosa del genere, e trovarlo ad aspettarlo al cancello con Raphael alle calcagna non lo rassicurava. Non voleva rivederlo, non in quelle condizioni. Avrebbe preferito il chiasso di un pub, piuttosto, ma quello che li aspettava alla Ripley Saint Thomas non era affatto un bello scenario. Inoltre, due come loro non passavano inosservati: non potevano sfuggire neanche alle ragazze della sua scuola, sebbene fossero abituate a dei tipi più... raffinati, ecco. Un bel guaio, sì. I due entrarono in classe insieme, con Azarel che già gli sbraitava contro e il violinista che non li degnò della minima attenzione. Un'atmosfera ottima per iniziare le prove che lo avrebbero tenuto occupato per le prossime ore.
    « Gytrash, non ti muovi da lì fino a nuovo ordine. » l'intonazione del professore non gli piacque per niente, ed Abel osò sfidarlo in silenzioso gioco di sguardi. Preferì non proferire parola, per quanto suonare il piano, in quel momento, gli sembrava un'enorme e faticosa costrizione. Si sedette sullo sgabello davanti al grande pianoforte a coda, scorrendo gli occhi chiari sui tasti dello strumento, per poi fissarsi sullo spartito. Sospirò tra sé e sé, ogni distrazione che spariva mano a mano che leggeva le note sul foglio. Niente Cain, niente visita alla Ripley, niente di niente. Non sarebbe venuto nessuno. Era convinto che anche Evelya avesse i suoi stessi pensieri. Era agitata, la sentiva, e lo era anche lui. Sperava davvero che non venisse. O forse sì. - No. - Premette il primo tasto, cercando di essere delicato come proponeva lo spartito, e non risoluto come gli suggeriva la sua testa. Sentì l'occhiata pungente di Azarel su di sé, ma non gliene importava. Che guardasse pure, sicuramente quello sbruffone non aveva nulla da insegnargli su come suonare il pianoforte. Cain doveva sparire dalla sua testa, all'istante.

    • • •

    Noel ancora non aveva realizzato che al collo aveva una cravatta strettissima, una giacca blu scuro assolutamente abbottonata e nessuno strappo sui pantaloni. Si sentiva fuori posto in quella scuola per gente che di soldoni in tasca ne aveva un bel po', e a fare il confronto con l'istituto privato che aveva frequentato lui gli sembrava di non provenire affatto da una famiglia agiata. Era tutto così luminoso, grazie alle finestre enormi che trionfavano nei corridoi, e quadri di vecchi presidi, allievi meritevoli ed fastose esibizioni appese ai muri, il tutto completato da busti di marmo e lampadari di vetro. « Neanche la casa dei miei sogni sarebbe così sfarzosa » commentò, preoccupato di sporcare il pavimento o qualsiasi altra cosa toccasse. Dalle aule provenivano voci angeliche e suoni di svariati strumenti a ricordare che lì dentro due membri di una band punk-rock erano paragonabili a degli alieni. Il suo pensiero momentaneamente alla graziosa studentessa che aveva procurato loro le uniformi e cosa diamine ci avesse trovato in Cain, dato che erano l'una il contrario dell'altro. Un po' come lui e Evie. Evie. Aveva letto il messaggio, vero? Lo sperava vivamente, altrimenti il loro secondo incontro sarebbe stato un disastro, con lei convinta che il leader degli Elysian fosse non solo un maniaco, ma interessato al suo amico. « Se vedi una graziosa creatura dai capelli chiari dimmelo, e non parlo di... come si chiama? », « Evelya, rimbambito » fece, mentre seguiva l'esempio del batterista allentandosi la cravatta intorno al collo. Almeno ora respirava. I pochi ragazzi nei corridoi li guardavano da capo a piedi, indagatori, ma non gli rivolgevano una parola. Era ovvio che nessuno li avesse mai visti, e i loro capelli rossi e le iridi vivide, insieme alla benda all'occhio di Cain - non proprio "aristocratica" - li facevano risaltare tra la folla di gente perbene, gente a cui non appartenevano. Noel sentiva il bisogno di sbottonare la giacca, tirare su le maniche della camicia e aprirsi un po' di più il collo di quest'ultima, ma era già tanto se poteva allentare la cravatta. Dovevano far finta di essere degli studenti modello della Ripley, facendo il contrario si sarebbero fatti scoprire; senza contare che Noel aveva entrambe le braccia tatuate, mostrarle al mondo intero sarebbe stata davvero un'ottima idea per farsi beccare. Se gli chiedevano qualcosa, lui era un rispettabile organista, anche se non gli piaceva per niente, era un po' da sfigati a suo parere: si poteva mica mettere a confronto con l'adrenalina di una chitarra elettrica o la potenza di una batteria? Ovviamente no, a suo parere, ma in quell'istituto bisognava essere ricchi per entrare e ricchi e noiosi per rimanerci dentro. Non poteva permettersi di essere impulsivo, ne andava della sua riunione con Evelya. Doveva pensare ad Evelya. Era venuto fin lì per lei, aveva seguito quel matto di Cain per lei. Non doveva mandare a monte tutto quanto. « Dio, quanto se la tirano » fece al rosso numero due, dato che era davvero impossibile non notare la puzza sotto il naso che la maggior parte degli studenti della Ripley sfoggiava. Evelya era una magnifica eccezione. Le sue iridi sincere e le gote arrossate dall'imbarazzo si confrontavano con i volti dei giovani che li circondavano e non c'era paragone, ma lei era comunque leggiadra e graziosa, Noel invece spiccava come una margherita in un cespuglio di rose. « Scusate, ma... » una ragazza li fermò piazzandosi davanti a loro, gli occhi chiari e curiosi a scrutarli dietro le lenti spesse degli occhiali. « Siete dei nuovi studenti? » No. Non lo erano. Ma se le rispondevano così erano nei guai. Anche Cain non diceva mezza parola, e quel silenzio prolungato giocava a sfavore dei due ragazzi. « Sono un organista » disse la prima cosa che gli venne in mente, o meglio, l'unica che sapeva sulla sua falsa carriera studentesca alla Ripley. Non aveva neanche idea se si dovesse presentare col suo vero nome o meno. La ragazza, ovviamente, ridacchiò, e Noel si diede dello stupido. Almeno era risultato convincente. « Anche io lo sono! », « Che culo » sbuffò lui sottovoce, ma la fanciulla sembrò udirlo. « Come, scusa? », « Sono incredulo! » il rosso sfoggiò il sorriso più radioso che si potesse permettere in quel momento e alzò la voce in modo del tutto innaturale ed esagerato, « Ci vediamo a lezione allora » si dileguò trascinando Cain con sé prima che l'altra potesse appuntargli che non erano previste lezioni di organo in giornata perché mancava solamente quello. « Sono un organista, Dio » fece piano, passandosi una mano sul viso: voleva dimenticare l'intera scena, seduta stante, come avrebbe voluto farlo scordare a Cain, che rideva sotto i baffi. Lo avrebbe preso in giro per tutta la vita. « Non provare a dirlo agli altri, te la faccio pagare » mormorò avvicinandosi a Cain, perché anche Izar e Altayr si sarebbero uniti al coretto del batterista se lo avessero saputo. Nei corridoi risuonavano piacevoli melodie, ma come avrebbero trovato Evelya in mezzo a tutta quella gente? Il cuore di Noel accelerò al pensiero di incontrarla per una seconda volta, seppur sul momento gli parve quasi impossibile riuscire nell'impresa. Eppure, aveva varcato la soglia con il cuore pieno di speranza. Non doveva perdersi d'animo, lei era nel suo stesso edificio, forse a pochi metri da lui. « In corridoio non c'è traccia di Evelya e del tuo coso » fece a un certo punto, cercando qualcosa da calciare a terra come faceva sempre quando era impaziente o cominciava ad essere nervoso, « Controlliamo nelle aule ». Si avvicinò subito ad una di esse, buttando un occhio all'interno, ma era una classe vuota. La sua solita fortuna. Incitò Cain a proseguire mentre incrociava occhi di ragazze che non erano Evelya lungo la strada e oltre la finestrina delle porte delle aule, pregando che quella dopo fosse quella giusta o che la incontrassero una volta girato l'angolo. Neanche sentiva le risatine delle studentesse al loro passaggio o il pizzicore della protesi, finché una dolce melodia riempì il corridoio, le voci degli allievi sovrastate da una più dolce. - Fa che non sia l'ennesima delusione, per piacere - Non sapeva neanche a chi appellarsi mentre si dirigeva verso l'aula a grandi passi su invito di Cain: un sacco di ragazzi erano ammassati lì davanti in religioso silenzio, ammaliati dalla musica. La gomitata nello stomaco del compagno precedette qualsiasi tentativo di vedere chi ci fosse nell'aula, e Noel ne caricò una più forte che, però, non andò a buon fine. « Psst! Ti presento il mio nuovo ragazzo » Il leader degli Elysian si dimenticò di ogni cosa, il suo nome, ciò che aveva studiato quella mattina, come si respirava. Ogni cosa. Era davanti a lui, Evelya. « Cazzo, Cain, è vera? » chiese, non aspettandosi una risposta. Aveva una voce così gentile, dolce, ti accarezzava ad ogni parola, e quella canzone era così... lei. Le calzava a pennello, era sua. Si lasciò cullare dalla melodia, che di così angeliche non ne aveva mai sentite. Il suo mondo non aveva niente a che fare con ciò che stava ascoltando, con pianoforti, armonie e robe simili. Si trattava comunque di uno spettacolo per le orecchie e per gli occhi, e Noel stette ad ascoltare in silenzio, facendosi spazio a poco a poco per arrivare in prima fila. Dio, era anche più bella della sera prima. A fine esecuzione nessuno fece una mossa, ma a Noel uscì spontaneo un "wow", che ovviamente non si prese la briga di bisbigliare, bensì lo esclamò affinché tutti potessero sentire. I tre musicisti e l'insegnate si voltarono verso di lui, e fu lì, finalmente, che incontrò gli occhi chiari di Evie. Tutta la storia dell'infiltrazione aveva finalmente acquistato un senso. E non solo l'infiltrazione. Sembrava fosse tutto - tutto - giusto, bastava sorriderle e guardarla negli occhi. Alzò un pollice in sua direzione, a dimostrare che aveva più che gradito il numero, e piantando i piedi a terra per evitare di marciare verso di lei e dirle quanto avesse aspettato un suo messaggio, che avrebbe voluto fare un giro della scuola se le andava, o anche del quartiere, o direttamente uscire insieme quel pomeriggio - - Ah, no, cavolo, le prove! - . Sbuffò tra sé e sé, mentre il professore, un tipo alto e per niente appariscente, cominciava a dare i primi giudizi riguardo la loro performance. Parole al vento per Noel, che aveva già mosso i primi passi verso la cantante del trio senza neanche pensare che, in fin dei conti, quella era un'ora di lezione, che forse Evie non voleva più vederlo dopo aver letto il messaggio di quel cafone di Cain, che era semplicemente inopportuno e non era il momento giusto per domandarle se le andava una merendina ai distributori in corridoio, ma era Noel. Agiva senza pensare, e non si smentì nemmeno in quella situazione. « Evie! » non aveva mai distolto lo sguardo da lei, e da vicina era uno schianto, « Canti da Dio! » Lo pensava davvero e, a dirla tutta, non pensava mica che fosse dotata di quel talento. Vederla sotto quella luce era stato magico e disarmante. « Senti, mi dispiace per quel messaggio, Cain è un coglione » tentò di spiegare brevemente, ma si rese conto troppo tardi che non si trovava in compagnia del suo solito gruppo di amici e doveva moderare il lessico, « Un imbroglione » si corresse alla velocità della luce, « e questo pomeriggio abbiamo le prove, quindi ti andrebbe di andare al bar per un caffè insieme? » Evelya non rispondeva, rosso come un pomodoro. Il bar era troppo affollato per lei? Non si sentiva a suo agio in mezzo alla gente? Non le stava simpatico il barista?
    « Anche le macchinette vanno bene, nessun problema, forse costano anche meno, basta che sto con te » disse tutto d'un fiato prima di venire interrotto da uno dei membri. « Fuori di qui » la sua voce era profonda e per nulla amichevole e lo guardava dall'alto in basso, conscio del fatto che il leader degli Elysian non aveva mai incrociato quel ragazzo alto e dai capelli scuri e lunghissimi per i corridoi. Noel sostenne lo sguardo poco benevolo del tizio, ma indugiò qualche istante prima di allontanarsi. « Fammi sapere, il mio numero ce l'hai » le sussurrò, scostandosi da lei e avvicinandosi alla porta dove lo aspettava un Cain con gli occhi a cuore. Si guardò intorno per scoprire che ciò che l'amico aveva puntato era nientemeno che il ragazzo scontroso che accompagnava Evelya la scorsa notte. La porta si chiuse dietro di lui con un tonfo, l'espressione infastidita del professore in fondo alla sala fu l'ultima cosa che vide. Si voltò verso Cain, mentre la folla si dissolveva e alcuni lanciavano occhiate maligne ai due rossi. Non gliene fregava niente. « Ho un appuntamento con Evie » annunciò più eccitato che mai, mormorando un "forse", « Alle macchinette. O al bar. Non lo so. Non mi guardare così, so che non è il massimo, ma ce l'ho fatta! » gridò alla fine, perché non riusciva a contenere la gioia. Peccato per i suoi amichetti scontrosi e il professore bisbetico, altrimenti si sarebbe fatto quattro chiacchiere anche con loro. « Ci facciamo un altro giro o devi aspettare il tuo coso? » domandò, in cerca di qualcosa da fare in attesa della fine dell'ora. Vagare ancora per i corridoi e beccarsi le occhiate stupite degli studenti sembrava essere il massimo dell'intrattenimento in quella scuola per ricconi. Il cellulare gli vibrò in tasca e stava per urlare pensando che Evie gli avesse già risposto, invece si trovò un messaggio di Izar, incazzato come una iena. « Eh, no, tu ci vieni alle prove, brutto cafone » esclamò, scrivendo ciò che aveva appena detto e inviandolo senza pensarci due volte. Per quelle prove saltava un pomeriggio di studio e un appuntamento con Evie - soprattutto - e non era ammissibile che qualcuno mancava.

    • • •

    Era andata bene, tutto sommato, nonostante il nervosismo. Sì, perché ripensare alla sera prima lo rendeva nervoso, così come avere Raphael a pochi metri da lui e sembrare due sconosciuti e anche la voce stizzita di Azrael. Abel guardò subito il fidanzato alla fine dell'esecuzione, ma quello sembrava fare di tutto per evitarlo. Sbuffò in contemporanea a un tizio che se ne stava sulla porta che esclamò "wow", inopportuno. Sollevò un sopracciglio, girando pagina per cominciare a guardare il prossimo spartito, ma i rumori dei passi lo fecero girare: lo stesso ragazzo di prima aveva varcato la soglia per avvicinarsi a Evie, che aveva le guance dello stesso colore dei suoi capelli. A guardarlo meglio, gli era familiare. Non era il cantante per cui la sua amica aveva perso la testa? Era veramente arrivato fin lì, infiltrandosi a scuola? Gli venne spontaneo pensare al rosso della chioma di Cain, e scosse la testa appena l'idea gli sfiorò la mente. Si faceva schifo da solo. Doveva eliminarlo definitivamente e dimenticarlo, in fondo erano perfetti sconosciuti. Ci avrebbe messo poco a rimuoverlo dalla sua mente. « Ehi » l'albino si alzò dalla sua postazione, la voce bassa ma ferma, però Raphael fu più svelto e deciso di lui. Lo invitò scortesemente ad uscire dall'aula, com'era giusto che fosse: trovava quel ragazzo fastidioso e irritante. Si imbatté nelle iridi scure del violinista per un istante, prima che lui distogliesse lo sguardo. Il niente più totale. Aggrottò le sopracciglia, stanco di quella situazione, scortando il confusionario giovane fino all'uscita, ma desiderò non averlo fatto. Davanti a lui, c'erano un paio di occhi ricolmi di gioia e impetuosità, così diversi da quelli inespressivi di Raphael. Quelli di Cain trasmettevano qualcosa che mai aveva provato, ed era meglio non provare. La sua espressione si inasprì, che ci faceva lì? Cosa era venuto a fare? « Vattene » bisbigliò, anche se sentiva la lingua attorcigliarsi e lo stomaco bruciare. Perché proprio lui, perché proprio in quel momento? Perché non quando aveva chiuso definitivamente con Raphael e aver fatto pace con sé stesso? Perché non aspettare? Non voleva, non voleva niente di tutto ciò. Sbatté la porta dopo aver indugiato anche troppo a lungo, convinto che più il rumore fosse forte più l'altro potesse convincersi che Abel non voleva più vederlo.

    • • •

    « Il corvetto è di cattivo umore, eh? » Altayr si sbilanciò sulla sedia, osservando i movimenti stizziti di Izar dall'altra parte della classe, finito in coppia con Noah. « A me sembra sempre il solito » rispose Kevin, chino sul quaderno a svolgere l'esercizio da bravo secchioncello. Altayr fece spallucce, non convinta, mentre scrutava il viso accigliato dell'amico. Era risaputo che Kevin, suo amico d'infanzia, e Izar, amico da sempre e crush da altrettanto tempo, non andassero per niente d'accordo. Lei se n'era fatta una ragione, consapevole che più metri li dividevano meglio era, ma questo non le aveva mai impedito di andare d'accordo con entrambi. Eppure, Izar, una volta consegnato il compito, si guardò bene dall'incrociare lo sguardo della ragazza. « Izar! » lo chiamò, ma sembrò sordo al suo richiamo, tanto che subito dopo uscì dalla classe senza risponderle. Udì Kevin soffiare infastidito e si voltò verso di lui per cercare di capire cosa succedeva. « Lascialo perdere, non merita la tua attenzione » fece roteare la penna tra le dita, ma la ragazza non l'aveva presa così alla leggera. Prese il foglio su cui Kevin stava scrivendo formule al di là delle sue conoscenza basilari della chimica e si alzò dalla sedia di scatto. « Tu devi farti i cazzi tuoi » sibilò a poca distanza dal suo viso, l'amico che la guardava chiedendosi cosa avesse detto di sbagliato. Dal suo punto di vista nulla, si odiavano, ma per Altayr il bassista degli Elysian era tutto, inutile dire che non doveva considerarlo. Aveva perso la testa per lui già da un pezzo. Avanzò poi verso la cattedra consegnando il compito al professore, che la guardò sfinito mentre lei afferrava lo zaino, pieno - o vuoto, dipende - di pochi libri. « E' da finire, Windstorm » gli fece notare l'insegnante, ma lei aveva già imboccato la porta, « La prossima volta, magari » la giovane gli sorrise con fare palesemente sarcastico mentre chiudeva la porta dell'aula, non curandosi dei rimproveri del professore. Erano abituati ai suoi comportamenti, come la ragazza era abituata ai richiami da parte della scuola. Promise a sé stessa di non fare più un'uscita del genere fino alla fine dell'anno - se tutto andava bene sarebbe stato l'ultimo - e corse lungo il corridoio alla ricerca della persona per cui stava rischiando una lettera a casa. Il primo posto che le venne in mente fu il bar, ma era completamente vuoto. « Hai visto Izar? » salutò Hailee, la ragazza che lavorava al bancone, che le rispose solo dopo essersi messa in bocca un lecca lecca, « No, neanche l'ombra ». Altayr si morse il labbro, le dita a contare gli spicci nella tasca della giacca della divisa. « Dammi due sandwiches, intanto », « Li mangi tutti e due tu? » risero entrambe, perché sapevano che Altayr ne sarebbe stata capace. Mise la busta nello zaino insieme a qualche fazzoletto preso di fretta e si ritrovò in un battibaleno in corridoio a pensare a dove poteva cercarlo. Finì anche nel bagno dei maschi, chiedendo a un tizio particolarmente imbarazzato se avesse visto il suo amico. Niente da fare, doveva salire al secondo piano dell'edificio. Le balenò subito in mente la biblioteca, ma a quell'ora era chiusa, quindi era rimasta l'infermeria, oppure... L'infermeria. Fece gli scalini che portavano al piano superiore a due a due e aprì piano la porta dell'infermeria. Izar se ne stava lì, sul lettino, e le dava le spalle. Non volle rompere il silenzio, quindi sgattaiolò nella stanza tentando di fare meno rumore possibile. Non sapeva se il ragazzo stava dormendo oppure no, ma in quella stanza il tempo sembrava essersi fermato: forse era la luce che inondava l'ambiente, l'assenza di qualsiasi rumore o ancora il pulviscolo che si aggirava per la sala, o forse era solo una sua impressione. In fondo era solamente una semplice e squallida infermeria. Si avvicinò a Izar preoccupandosi di camminare quasi in punta di piedi, e posò lo zaino sul lettino di fianco al suo e si sedette su quello. Erano soli e il suo cuore faceva fin troppo rumore per i suoi gusti, che quasi temette che Izar si potesse svegliare - sempre se stava davvero dormendo. Le balenò in testa una scena alla Bella Addormentata, e ridacchiò tra sé e sé, lei nei panni del principe azzurro e il moro dormiente su un misero lettino. Poteva solo sognare di baciarlo, dato le ragazze che gli andavano dietro e lui talmente ingenuo da non accorgersene, senza contare le canzoni che scriveva per chissà chi. Quella mattina era nervoso a causa di una ragazza che lei non conosceva? Un misto di rabbia e gelosia si impossessò improvvisamente di lei, insieme alle parole che Kevin aveva pronunciato poco prima. Non meritava le sue attenzioni perché era già innamorato di un'altra? Doveva forse rifiutare il suo invito al concerto? Ma perché aveva scelto lei, quindi, se era cotto di una ragazza che non aveva mai visto? Tutta quella situazione non le piaceva, e pensare per un singolo istante che potesse essere lei la fortunata - oh, quante volte lo aveva fatto - la faceva sentire egoista e prepotente. Come se davvero potesse innamorarsi di lei. « Se ti do fastidio me ne vado » fece appena notò un movimento del ragazzo. La verità era che non avrebbe mai voluto lasciarlo solo. « Ma sono io, quindi starò qui a romperti le palle » sghignazzò, aspettando un po' prima di scendere dal lettino. Gli diede qualche secondo per abituarsi alla sua presenza, per poi avvicinarsi al suo giaciglio, sempre guardando la sua schiena. Ora che sapeva che era sveglio, poteva tastare una certa tensione nell'aria, e non voleva far finta di non essersene accorta e piombargli davanti al viso come spesso faceva. Scelse di saltare ogni formalità, chiedere come stava le sembrava superfluo e inutile. Era nervoso, e probabilmente quella domanda lo avrebbe reso ancora più irritabile. Voleva farlo stare un po' meglio, non peggiorare la situazione. « Ti va di andare alla sala giochi, come ai vecchi tempi? » aprì bocca dopo svariati minuti di silenzio, e non le parve una brutta idea. Si trovava poco distante dalla scuola, bisognava solo fare una deviazione sulla strada per tornare a casa; ce l'aveva portata per la prima volta proprio lui, appena il locale aveva aperto, e ci erano tornati spesso. Si divertivano sempre un mondo lì dentro, e se la giornata non era partita col piede giusto bastava passarci un paio d'ore e tutto era risolto. Un toccasana. « E' da mesi che non mettiamo piede lì dentro » aspettò la risposta dell'altro, che tardava ad arrivare. Era impossibile che non avesse voglia di andare nel paradiso degli arcade, ci avevano passato interi pomeriggi - e mattine, a dire il vero. « Se mi batti ad air hockey » ed era una bella sfida, quella, perché se la cavava alla grande a quel gioco, « ti darò una risposta » sapeva che Izar avrebbe inteso. Gli aveva detto che doveva pensarci, che gli avrebbe fatto sapere più avanti, ma la verità era che sarebbe andata fino in capo al mondo con lui. Gli One Last Night, una delle loro band preferite di sempre, erano un bonus. Orgogliosa com'era, tuttavia, non avrebbe volutamente perso giusto per dirgli di sì. « O che ne so, decidi tu in alternativa. Dai, su, che ne vale la pena, sai anche tu che è il posto migliore per scaricare i nervi » fece, sedendosi sulla parte libera del lettino e facendolo sobbalzare. « Se vinco io... » Beh, avrebbe ottenuto ciò che voleva se Izar avesse vinto, quindi cosa avrebbe potuto chiedere? Un bacio? Davvero intelligente da parte sua. « Non lo so, ci penso » disse, senza dar troppo peso all'inconveniente, e si sporse verso di lui ghignando, facendo finta di non accorgersi di aver accorciato la distanza tra i loro visi. Fino ad allora era stata brava a nasconderlo, perché tradirsi proprio in quel momento arrossendo o balbettando? « Ci stai, Al'Nair? »

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    Evelya

    Ad Evelya tremavano le mani mentre rimetteva il cellulare in cartella. Noel era contento che gli avesse scritto, così come lei era contenta di aver ricevuto una risposta subito dopo le minacce dell'altro amico, che avevano giustamente urtato l'umore di Abel. Guardò preoccupata il suo volto corrucciato, sbagliando così la prima strofa. Conosceva benissimo quella canzone, l'aveva ripetuta più e più volte per il solo gusto di farlo, perché ne amava le parole ed il suono nelle orecchie, ma le pareti dell'aula sembravano averla imprigionata. L'atmosfera era davvero pesante, e non a causa dei tre ragazzi.
    Azarel picchiò la bacchetta da direttore d'orchestra sullo spartito, che vacillò come la voce di Evelya. Lei fece un cenno di scuse e bevve un goccio d'acqua, fingendo che il problema fosse la gola secca. La presenza di altri studenti, ammucchiati sulla porta d'ingresso, la fece trasalire. Era prassi comune sbirciare le esibizioni altrui, eppure Evelya aveva una paura tremenda di cantare in pubblico da solista. Di solito si nascondeva all'interno di un coro, protetta da altre voci molto più incisive della sua.
    Inspirò a fondo, dando le spalle ai presenti per non farsi condizionare troppo. Davanti a sé stavano solo Abel e Raphael, in stagnante attesa che il professore abbaiasse un ordine. Doveva farlo per loro. Sarebbero stati valutati al concerto dell'equinozio di primavera con voti veri, quindi non c'era tempo per la timidezza.
    "Dreams are like angels, they keep bad at bay.
    Love is the light scaring darkness away."

    Intonò i primi passaggi a voce troppo bassa, che corresse dopo un'occhiataccia di Azarel. L'insegnante le aveva suggerito di cambiare alcune strofe in modo che il brano si adattasse meglio ad una funzione religiosa, togliendo qualsiasi riferimento all'amore passionale e sacrilego di cui lei raccontava. In quel momento Evelya non ricordava nessuna correzione.
    Alzò il mento, drizzò la schiena e si fece forza, proseguendo in modo che tutti potessero sentirla.
    "I'm so in love with you. Make love your goal."
    Non permise ad Azarel di interromperla, non ora che aveva ripreso le redini della canzone. Sentì che anche Abel si era rimesso in gioco, dato che la seguiva senza difficoltà ed eseguiva ogni nota alla perfezione. Il violino di Raphael graffiava insieme ai tasti del pianoforte, un rumore affilato quanto il suo sguardo, diretto alla porta d'ingresso. Nessuno dei tre amava stare al centro dell'attenzione, del resto, anche se nulla impediva agli studenti di assistere.
    Sussurrate le ultime strofe, Evelya tirò un sospiro di sollievo finché alle sue spalle si levavano dei mormorii di assenso. Il professore era immobile come una statua, visibilmente adirato, e la sovrastava con la sua figura allampanata, non soddisfatto quanto lei o il piccolo pubblico. Fu da lì che si udì un commento, un "wow" che fece voltare tutti e quattro all'unisono.
    Evelya perse voce e stabilità delle gambe insieme mentre le guance diventavano paonazze dall'imbarazzo. Quindi non era una bugia. Noel si era davvero infiltrato nella scuola per cercarla e adesso se ne stava in prima fila ad esultare, chiamandola a gran voce. Si sentì svenire appena le fu davanti, vestito come un qualsiasi studente con i soli piercing a tradirlo. L'aula si riempì di luce appena le sorrise.
    « Noel... » bisbigliò, gettando occhiate incerte all'insegnante e ad Abel, pronto a fuggire. Stava sognando, non c'era altra spiegazione. Solo in un sogno avrebbe potuto sentire Noel farle dei complimenti.
    « Senti, mi dispiace per quel messaggio, Cain è un coglione. »
    «Un... cosa? »
    « Un imbroglione. »
    Azarel si schiarì la voce un po' troppo forte e Raphael abbandonò il violino per accostarsi all'invasore, interrompendo la marea di proposte che stava rivolgendo alla giovane circa l'andare a prendere un caffé insieme.
    Evelya era stordita, incapace di formulare frasi coerenti. Se ne stava ad osservare esterrefatta Noel, sbattendo le palpebre come se si trovasse di fronte ad una luce accecante. Il ringhio di Raphael la colpì al pari di un ceffone, ricordandole dove si trovava e con chi.
    « Fammi sapere, il mio numero ce l'hai » disse il rosso a mo' di saluto, per nulla intimidito dalla presenza infausta del violinista. Evelya avrebbe voluto fermarlo, dire qualsiasi cosa che rimpiazzasse la penosa scena muta appena fatta, e invece a mettere la parola fine ci pensò Raphael, con la sua proverbiale gentilezza. Se l'era presa con una seconda chioma rossa - il batterista? - prima di sbattere la porta dell'aula in modo che il concetto "smammate" fosse chiaro. Persino Abel intervenne una volta riconosciuto il ragazzo pieno di tatuaggi, ansioso di vederlo sparire oltre la porta.
    « Abel, che succede? » gli domandò, tirando appena la manica della divisa. Tra lui e Raphael passava una corrente d'aria gelida, alimentata dal malumore del professore. Sul fatto che quel ragazzo fosse impudente e sfacciato non ci pioveva, ma di solito l'albino ignorava certi soggetti. Non sprecava fiato ed energie per respingerli in modo così crudele.
    Evelya attese che Raphael prendesse le distanze prima di parlargli sottovoce.
    « Fai una pausa, ti copro io. » Sapeva molto poco della relazione tra lui ed il violinista, e quel poco bastava per intuire che ci fossero dei problemi irrisolti. Erano entrambi testardi e poco inclini al dialogo, d'altronde. Gli avrebbe fatto bene uscire a prendere una boccata d'aria e distanziarsi dalla negatività di Raphael per qualche ora. Ne avrebbe approfittato anche lei, giusto in tempo per un caffè iper zuccherato di metà mattina ed un messaggio.
    Finse di cercare qualcosa in cartella mentre armeggiava con il cellulare, riaprendo la conversazione con Noel.
    Sto andando alla caffetteria del primo piano. Prendiamo qualcosa insieme?
    Attese parecchio prima di inviarlo, finché Azarel non le fu accanto. Quel che era fatto era fatto. Aveva appena accettato di uscire con un ragazzo pieno di follower che con lei non c'entrava proprio nulla, tenendo conto che Noel aveva sfidato l'ira di una scuola intera per trovarla.
    « Evelya, sono preoccupato per il tuo rendimento » iniziò il professore, usando il banco della ragazza come appoggio. Notò con apprensione che erano rimasti soli nell'aula. « Quella canzone non piacerà al consiglio studentesco, e vorrei che uscissi da qui con il massimo dei voti. »
    Era anche il desiderio dell'intera famiglia, che da anni produceva artisti di fama internazionale. Beh, fino a quel momento: dei quattro figli solo due, Evelya e Zachary, avevano intrapreso la carriera musicale.
    « Scusi, non ricordavo più le strofe... deve essere la stanchezza. »
    Puntò dritta al suo animo di Guardiano, che doveva mettere davanti a tutto il benessere della pupilla assegnatagli. Vide l'espressione contrita di Azarel addolcirsi di colpo, e seppe di aver vinto.
    « Vado a bere qualcosa, se non le dispiace. »
    « Certo che no. Vuoi che ti accompagni? »
    « No, non serve! » replicò di getto, forse con troppa foga. Prima che il professore si insospettisse prese sottobraccio la cartella e puntò alla porta, finalmente libera da quell'atmosfera opprimente. Perché stava correndo, comunque? Non aveva i minuti contati. Nessuno la inseguiva. E il batticuore doveva essere frutto di quello sprint improvviso, senza dubbio.

    Con un bicchiere di carta tra le mani, Evelya prese posto accanto ad una delle grandi vetrate della caffetteria. Non bevve nemmeno un sorso di caffè. Cambiò posizione sulla sedie per tre volte, chiuse e riaprì l'applicazione dei messaggi, si alzò per prendere dell'altro zucchero e infine premette entrambe le mani sulle guance, preda del panico più totale. Non poteva averlo fatto davvero. Lei non interagiva in quel senso con i ragazzi. Ne conosceva pochissimi, faticava a capirli, però aveva abboccato immediatamente all'amo di Noel. Instagram le restituì una foto del cantante con il viso premuto nella pelliccia folta di un labrador. Aveva così tanti like da spaventarla.
    - Non è niente. Prova a parlarci, si renderà subito conto di quanto tu sia noiosa e tanti saluti. - Provenivano da pianeti diametralmente opposti, ed il suo sembrava molto più vivido di quello in cui la biondina era cresciuta. Avrebbe voluto farne parte, ma come?
    Mise un cuore sulla foto e sospirò, scorrendo in giù con aria sognante in attesa di una vibrazione del cellulare.

    Cain

    Sul finire dell'esibizione Cain dovette passarsi il dorso della mano sulla bocca per controllare che non ci fosse alcun rivolo di bava. L'albino era così bello da far male, ed altrettanto irraggiungibile. Aveva un aspetto solenne mentre suonava al pianoforte, come una creatura ultraterrena scesa sulla Terra per gentile concessione di Dio. Abel era una palette di colori burrascosi, tra il grigiore degli occhi, la pelle ed i capelli chiari ed i toni blu scuro della divisa. Sembrava voler passare inosservato, ma gli riusciva malissimo.
    « Cazzo, Cain, è vera? » chiese Noel, altrettanto ipnotizzato da quel pezzo di cupcake che canticchiava una canzone strappalacrime.
    « No, siamo in due con le allucinazioni. »
    E dire che non era nemmeno il suo tipo. Di solito puntava a giovani fanciulle fanatiche del punk-rock, qualcuna che lasciasse sulla sua pelle segni di rossetto, graffi, morsi, cose che sarebbero sparite con la facilità con cui lui le dimenticava. Che fosse la purezza del ragazzo ad attirarlo? La voglia di fargli provare l'ebrezza della trasgressione? Probabile. Ed era lì per esaudire quel piccolo desiderio.
    Noel fece il primo passo a canzone terminata, sprezzante del pericolo come al solito, lanciandosi nella gabbia dei leoni per andare a salutare la sua bella. Ovviamente i principini non gradirono quell'incursione, a cominciare dal violinista altissimo ed incazzato. Non lo conosceva e gli stava già sulle palle, magnifico.
    S'illuminò appena Abel giunse alla porta, tutto occhiatacce e labbra contratte, proprio mentre i due rossi optavano per una ritirata tattica. Ficcò le mani in tasca per non correre il rischio di abbracciarlo e gli sorrise raggiante, convinto per un attimo che si fosse avvicinato per salutare.
    « Vattene » disse invece, lasciandolo spiazzato davanti ad una soglia sbattuta in faccia. Ci mise un po' ad elaborare il rifiuto esplicito dell'albino, e a messaggio ricevuto diede un calcio alla porta che fece scricchiolare il bel legno bianco. Voleva almeno una possibilità, che diamine. Noel se ne stava lì a blaterare come una teenager delle riviste e l'altro tornava a casa a pancia vuota? No, neanche per sogno.
    « Ci facciamo un altro giro o devi aspettare il tuo coso? »
    « Lo aspetto al varco. Non ho finito con lui. »
    Prima o poi sarebbe uscito, meglio approfittare della divisa per avvicinarlo in quel lussuosissimo posto, stravaccato su una panchina del cortile che a momenti era più comoda del suo materasso. Ne approfittò anche per rendere gli Elysian partecipi della figuraccia di Noel, e scrisse sulla loro chat comune:
    Da oggi non abbiamo più un cantante, ma un organista.
    Ridacchiò fra sé con lo sguardo rivolto all'ingresso, scandagliando ogni studente che passava nella speranza di beccare il suo nuovo futuro ragazzo.

    Izar

    Si rigirò nel lettino dell'infermeria finché non trovò una posizione comoda e prese a sonnecchiare, grato che non vi fosse il minimo rumore. Per una band come gli Elysian il silenzio era pressoché sconosciuto: nella sala prove, al bar, sull'autobus, durante il lavoro, la musica era una costante. Ce n'era sempre tanta, e ad alto volume. Izar non se ne separava mai, ma in quel momento gli avrebbe dato fastidio. Persino la suoneria del cellulare gli urtò i nervi, così come il messaggio di Noel che lo invitava caldamente a non saltare le prove. Che male poteva fargli un giorno di pausa? Ah, giusto, nel fine settimana avevano un evento insieme ad altri gruppi ed uno shooting fotografico. Ecco perché Cain non perdeva un istante per andare in palestra, doveva essere perfetto per denudarsi davanti all'obiettivo.
    Lasciò cadere il cellulare in cartella e cercò di tornare alla pace dei sensi, almeno finché dei passi leggeri non risuonarono nella stanza.
    Sapeva di chi si trattava. Da parecchi anni aveva sviluppato una sorta di radar che suonava all'impazzata quando Altayr era nei paraggi,cosa che stava accadendo proprio in quel momento. Da bravo codardo si finse morto, non capendo cosa ci facesse lì né che intenzioni avesse. Per un po' si accontentò di ascoltare i loro respiri, quasi in sintonia, conscio dello sguardo della ragazza contro la schiena.
    « Se ti do fastidio me ne vado... Ma sono io, quindi starò qui a romperti le palle. »
    Gli scappò un sorriso nonostante volesse tenerle il muso. Voleva evitarla per non pensare alla delusione imminente, per non pensare a niente. Voleva perfino rivendere i biglietti del concerto su internet, anche se la figura di merda ormai l'aveva fatta. Non si girò, non le diede risposta, fece solo del suo meglio per isolarsi e aspettare che Altayr si stancasse di giocare a quel gioco. Purtroppo sapeva quali tasti toccare, e propose a bruciapelo l'Arcade dove buttavano tutti gli spiccioli delle mance, un rifugio sicuro quando la voglia di studiare era poca.
    « E' da mesi che non mettiamo piede lì dentro. »
    Sì, da quando la fama era cresciuta e stavano richiusi in sala prove 24/7.
    « Se mi batti ad air hockey ti darò una risposta. »
    Sgranò gli occhi e sorrise come un ebete, urlando vittorioso internamente. Voleva scattare in piedi e correre alla sala giochi, spendere le poche sterline ammucchiate nelle tasche per assicurarsi almeno tre partite.
    Era il posto migliore dove scaricare i nervi, ridere, punzecchiarsi, stare vicini con la scusa che alcuni giochi di coppia lo richiedevano e ridere ancora. Ovviamente Altayr aveva scelto qualcosa in cui era brava - più di lui, comunque - per non essere costretta a rispondergli subito. Però aveva considerato la cosa, ed un gioco da tavolo l'avrebbe fatta parlare. Doveva stracciarla una volta per tutte, altrimenti...
    « Se vinco io... Non lo so, ci penso. »
    Il ragazzo sghignazzò, sicuro del risultato ancor prima di iniziare. Ogni briciolo di materia grigia si sarebbe concentrata su quella partita, fanculo ai compiti in classe imminenti e le canzoni da imparare a memoria. Il suo cervello doveva bruciarsi sul tavolo da air hockey fino a fargli sanguinare il naso.
    « Ci stai, Al'Nair? »
    Ora la voce di Altayr era più vicina, quasi a soffiargli sull'orecchio. Un brivido gli percorse la spina dorsale prima che si decidesse a girare la testa verso di lei. Era rosso fino alla radice dei capelli e così serio che non si riconobbe. I loro sguardi si incontrarono ed Izar immaginò di scrivere una canzone su quegli occhi incredibili che lo stregavano ogni volta.
    « Affare fatto. Non vedo l'ora di sapere cosa risponderai. »
    Condividevano lo stesso ghigno strafottente, entrambi determinati a vincere... e forse troppo vicini. Il sorrisetto di Izar vacillò poco a poco mentre la sua testa elaborava una serie di scene: un bacio e uno schiaffo, un bacio e una risata imbarazzata, un bacio che si prolungava e le dita di lui tra quei lunghi capelli scuri. Non poteva buttare all'aria ogni cosa per uno stupido impulso da adolescente. Non si chiamava Noel, o Cain. Era un maestro dell'attesa e aveva una pazienza infinita. - Respira, Izar. Respira. -
    Finì per stropicciarle la guancia e si alzò alla ricerca delle scarpe, notando un sacchetto di carta vicino alla ragazza. Ispezionò il contenuto e rimase incredulo davanti alla vista di due panini.
    « Ma... mi hai preso il pranzo! Ti senti bene? » chiese, pescandone uno. Era il suo giorno fortunato, e gli stava anche tornando l'appetito. Non si vinceva una guerra a stomaco vuoto, d'altronde.

    I due uscirono di soppiatto dal cancello sul retro, quello che usavano i professori per entrare con le auto, in un modo che si ripeteva sempre uguale da cinque anni. Ormai conoscevano la procedura.
    Mangiucchiarono il loro pranzo al sacco fino alla fermata dell'autobus, dove Izar ne approfittò per cercare qualche tutorial di air hockey su Youtube in gran segreto. Purtroppo Altayr era una distrazione continua, e non poté fare a meno di chiacchierare con lei una volta saliti sul mezzo.
    « Hai visto che foto fa quella dello shooting? Non sono male. » Le mostrò il profilo Instagram di una certa Clara, che nel fine settimana avrebbe immortalato la band prima del concerto per piazzarla su una rivista. Finalmente iniziavano ad essere famosi. Chissà, magari avrebbero anche cominciato a pagarli, prima o poi.
    Scorse le immagini di gruppi di ragazzini e ragazzine in abiti strappati, alcuni noti ed altri completamente sconosciuti. Nel mostrarle il cellulare usò la testa della ragazza come appoggio, perché ogni scusa era buona, no? Mai sprecarle.
    « Cain si spoglierà, lo so » disse con aria rassegnata. Tornava tutto a loro vantaggio, per carità, ma non volevano essere ricordati come una boyband di spogliarellisti. Ad ogni modo le fan li adoravano, per non parlare di una buona fetta maschile che metteva mi piace solo alle foto in cui Altayr compariva da sola.
    Izar scandagliava i profili di quei pervertiti come se ne andasse della sua vita.
    « Mi dispiace per te, la mia bellezza ti metterà in ombra » aggiunse alla fine, dandole una gomitata. Era una bugia colossale, non poteva che dirlo ridacchiando. La osservava da quando era una piccoletta insolente e violenta, e già allora gli piaceva da impazzire. Sotto le luci giuste avrebbe fatto un figurone, altroché batterista a petto nudo.

    L'Arcade li accolse con il suo odore di chiuso, le luci al neon sfarfallanti ed una cacofonia di musichette sparate al massimo. Izar gonfiò il petto, pronto a lanciarsi nella battaglia. I tutorial non gli avevano insegnato nulla, i suoi riflessi erano pronti quanto quelli di un bradipo ubriaco ed il panino era servito solo a ricordargli quanta fame avesse in realtà, però la posta in gioco era troppo alta per rinunciare. Poteva uscire con lei, un appuntamento vero, con la a maiuscola, e magari dichiararsi. Magari.
    « Preparati, passerotto. Non ci andrò leggero con te. »

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    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

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    oel salutò l'amico senza trattenerlo oltre, sapendo quanto fosse testardo quando si metteva in testa qualcosa: l'amichetto di Evelya era la sua nuova preda, e alzò gli occhi al cielo. Gli augurava tutto il bene, ma povero pianista. Quei due erano l'uno l'opposto dell'altro, chissà se Cain sarebbe riuscito nel suo intento. Non riusciva a capire se fosse serio riguardo ad una possibile relazione con lui o semplicemente voleva portarselo a letto e ci metteva molto impegno per far sì che succedesse. Se ci pensava, però, doveva ammettere che ci metteva davvero molto impegno, fin troppo per un'avventura di una sola notte.
    « Buona fortuna casanova » fece, sperando davvero che non si facesse cacciare dal giovane pianista fuori dall'istituto a suon di ceffoni, « Fa' gli auguri anche a me » si voltò, non trovando l'amico alle sue spalle. « Ehy, un po' di supporto morale! » gridò nel corridoio, ma il batterista non si voltò neanche: scomparve dietro il cancello che portava all'esterno senza degnarlo di uno sguardo e Noel si sentì tradito. Ora, senza nessuno ad augurargli buona fortuna, sarebbe andata decisamente male, lo sapeva fin troppo bene. Era una sorta di rito scaramantico di cui necessitava per affrontare ogni situazione "complicata" ─ insomma, in cui serviva un po' di sano culo ─ con spensieratezza: bastava che qualcuno gli facesse un "in bocca al lupo" e si sentiva già più leggero, pronto ad affrontare qualsiasi cosa. Ma non un appuntamento - okay, forse appuntamento era una parolona - con una ragazza capace di mandarlo sulla Luna ogni volta che lo guardava. Sfilò subito il telefono dalla tasca della giacca, aprì la chat di gruppo degli Elysian e digitò velocemente un messaggio in maiuscolo: "FATEMI L'IN BOCC A AL LUPO VI RPEGO È IMPORTANTISISMO" . Se ne fregò degli errori di ortografia ai quali il correttore automatico non aveva rimediato, in attesa di una notifica che gli avrebbe salvato la vita. Nulla: né i piccioncini né tanto meno Cain si collegarono per correre in suo aiuto, quindi si mise alla ricerca di altre persone da contattare urgentemente: Julian, amici dell'università, del tirocinio, del bar sotto casa sua, una delle sue ex di cui non aveva cancellato il numero, la moglie di suo fratello. Si sarebbe accontentato anche dell'emoticon di un quadrifoglio, il minimo indispensabile. Il telefono vibrò mentre camminava a passo lento lungo il corridoio, ma non era il messaggio che si aspettava: il mittente era Evelya ─ meglio di ciò che si aspettava, e lo visualizzò alla velocità della luce. - Okay, primo piano - Almeno adesso sapeva dove si trovava il bar della scuola. Salì gli scalini che portavano al piano superiore di corsa, due a due, con lo stomaco sottosopra ─ sicuramente non a causa della fretta. Se ne pentì appena terminate le scale, perché la protesi gli faceva un male cane, ma decise di ignorarlo per non far aspettare troppo la ragazza. Rischiò di travolgere una povera studentessa dalla chioma rossa appena si buttò in mezzo al corridoio alla ricerca della caffetteria, guidato da un flebile odore di paste e caffè. Il telefono vibrò di nuovo, e lesse un messaggio di Cain: "Da oggi non abbiamo più un cantante, ma un organista.", "Simpatiko ihih. E poi chi lo sa, magari ho un talento nascosto" scrisse di fretta, rallentando un poco il passo finché fissava lo schermo del cellulare, fino ad appoggiarsi al muro e far riposare la sua gamba destra. Con gli anni era riuscito a mascherare bene la sua gamba mancante, camminando in modo naturale, ma sentiva il bisogno di fermarsi dopo una ventina di minuti - anche se la sua resistenza era nettamente migliorata grazie ai concerti. Il punto in cui i nervi erano collegati alla protesi bruciava da morire, perciò cominciò a massaggiarsela con quanta più naturalezza possibile, cercando di non attirare nessuno sguardo. Gli studenti non sembravano essere interessati ad un alunno qualsiasi, uno dei tanti con il telefono in mano durante l'orario di pausa. Avrebbe voluto tirarsi su le maniche della giacca, dato che lì faceva davvero caldo, ma il caso voleva che avesse una marea di tatuaggi proprio su entrambe le braccia. Ecco, se si fosse tirato su le maniche della giacca non sarebbe più stato uno studente qualunque. Nel mentre pregava in silenzio nella speranza che il dolore alla gamba si attenuasse presto per non far aspettare troppo Evelya; non sapeva neanche quanto durasse quella pausa ─ sperava abbastanza da farlo riposare un po'. Finalmente, quando aveva perso ogni speranza, la chat di gruppo degli Elysian segnò un nuovo messaggio: la sua salvatrice era Altayr, che aveva allegato agli auguri di buona fortuna una miriade di quadrifogli. Gli rispose con un tripudio di emoticon di cuori e bacini vari, neanche fosse lei la ragazza per cui aveva una cotta paradossale, e continuò la ricerca della caffetteria con un sorriso da orecchio a orecchio stampato in volto, il dolore alla gamba completamente svanito da un momento all'altro. Intercettò un debole profumo di caffè che si faceva sempre più intenso mano a mano che avanzava, quindi stava decisamente andando nella direzione giusta. Fuori dalla caffetteria ─ aveva capito fosse quella grazie ad una piccola insegna vicino alla porta, che classe ─ c'era giusto qualche studente, e quando entrò nel loro campo visivo il ragazzo tolse le mani dalle tasche e raddrizzò la schiena, tentando di farsi notare il meno possibile. L'interno era stracolmo di luce, esattamente come i corridoi, grazie alle gigantesche finestre che davano sull'enorme cortile dell'istituto. Il bancone che esponeva le cibarie era enorme e paralleli ad esso vi erano sedie e tavolini, tutto sui toni neutri e chiari. Solo a starsene lì si sentiva più rilassato, che razza di stregoneria era? Possibile che una scuola avesse tutti quei fondi? Nonostante tutti gli allievi ai tavolini, la sala non era chiassosa e la cosa lo stupì molto più della bellezza della caffetteria. I suoi occhi vagarono alla ricerca di una testolina bionda che riconobbe all'istante: Evelya dava di spalle alla porta, sedeva elegantemente ad un tavolino vicino alla finestra. Lo stava aspettando, e anche il solo pensarlo lo mandò in un brodo di giuggiole. Stava aspettando davvero lui! Si fece strada tra i ragazzi, tutti a parlare a bassa voce, e tutti quei bisbiglii quasi gli davano fastidio. Era così abituato al rumore che non sentirlo lo faceva sentire fuori posto. In effetti, quello non era il suo posto, affatto. Il profilo di Evelya lo guidò come un faro in mezzo ad un mare di persone che lo squadravano dalla testa ai piedi e subito fu alle sue spalle. Notò che la ragazza stava scorrendo distratta la home di Instagram e Noel prese il suo telefono dalla tasca, quasi sperando che lo avesse aperto per lui, notando una notifica di qualche minuto prima in cima alle altre. Era successo davvero. La notifica scomparve in quell'esatto momento, rimpiazzando il nickname di Evelya con uno che non conosceva, e lì lo ripose di nuovo nella tasca dei pantaloni. A casa lo aspettava del sano stalking. « Ehi, quel posto è per me? » si decise finalmente a parlarle, sbucando da dietro le sue spalle e dedicandole un grande sorriso. Le aveva fatto prendere un colpo ed era arrossita all'improvviso, ma era di una tenerezza non quantificabile. Si sedette di fronte a lei, a gambe larghe e sul bordo della sedia, facendole ombra su metà viso. Al sole i suoi capelli erano chiarissimi e gli occhi di un oro luminoso, osservò la pelle di porcellana in contrasto con i colori scuri della divisa che le donava un'aria distinta ed elegante, nonostante non riuscisse a staccare gli occhi dal bicchiere di caffè che stringeva tra le dita sottili. « Non c'è bisogno di essere così agitata » le disse, sporgendosi verso di lei, appoggiando i gomiti sul tavolino. Buffo, perché cercava di tranquillizzarla quando anche lui si sentiva teso come una corda di violino. Riconosceva che perdeva la testa spesso per le ragazze, per lui i colpi di fulmine erano all'ordine del giorno, ma una sbandata così non gli era mai capitata. Evelya era il suo opposto, era eterea, era delicata e composta, e come lei non apparteneva ai bar dove si suonava musica punk tutta la notte e puzzavano di alcol e fumo, lui era una pecora nera nei corridoi di accademie sfarzose frequentate da studenti con la camicia sempre abbottonata e nessun tatuaggio in vista. Non facevano l'uno per l'altra, lei del suo mondo si sarebbe presto stancata, eppure più la guardava più avrebbe voluto averla solo per sé. « Spero che il caffè non si sia raffreddato mentre mi aspettavi » esclamò, mettendo istintivamente una mano sulla gamba mancante e massaggiandola piano, senza quasi rendersene conto. « E scusa il poco preavviso, ma Cain ha avuto un'idea malsana e l'ho seguito a ruota ». Si accorse che stava parlando a voce piuttosto alta rispetto al resto della sala, perciò la abbassò subito: voleva evitare che qualcuno sentisse che lui in verità non era un rispettabile organista della Ripley. « Non sapevo cantassi, comunque! », cambiò discorso, focalizzandosi su una passione che avevano sicuramente in comune, « Hai una voce stratosferica! » e lo intendeva davvero, cantava in maniera così soave e controllata, ed era stato rapito dalle parole della canzone che aveva scelto. « Potremo cantare insieme qualche volta, ti andrebbe? ». Un sogno. « So anche suonare la chitarra, potrei accompagnarti! Anche se, beh, sei abituata a violino e pianoforte, roba di classe » ridacchiò, ma la verità era che doveva farsi passare velocemente qualche spartito dal ragazzo che aveva adocchiato Cain per pensare a degli accordi con la chitarra per accompagnarla sul serio. « Avrai visto il genere che faccio, ieri sera, al pub. Spero ti sia piaciuto! ». Guardandola in viso, non capiva se era felice o la stava spaventando, ma non riusciva a darsi un freno per quanto era contento. Forse avrebbe dovuto invece, giusto per non farsela scappare. « Scusa, sono stato precipitoso, in fondo sono praticamente uno sconosciuto » rise ancora, grattandosi il collo con fare maldestro. Lui per lei era Noel, un cantante incontrato in un bar pieno di fumatori e casino e intrufolatosi nella sua scuola infrangendo ogni regola possibile e immaginabile, davvero una bella prima impressione. Se però aveva accettato di incontrarlo di nuovo qualcosa voleva pur dire, giusto?

    • • •

    Abel uscì fuori dall'aula appena Evelya gli disse che ci avrebbe pensato lei a coprirgli le spalle, e lui non se lo fece ripetere due volte. La ringraziò con un abbozzo di sorriso e un cenno del capo, lo stomaco che gli faceva male per il nervosismo. Lui era lì, nella sua stessa scuola. Possibile che quel pazzo dai capelli rossi fosse venuto fin lì per un capriccio? Perché quello era, un mero sfizio. Come poteva essere attratto da lui, in fin dei conti? Sapeva che non gli interessava veramente, lo sapeva benissimo. Ne aveva il terrore, a dire il vero, e neanche capiva il motivo di così tanta paura. Gli sembrava una persona così sincera ed impulsiva, perché doveva perdere tempo con lui? E perché solo guardandolo gli cedevano le gambe? Perché tutte quelle domande? Era uscito a prendere una boccata d'aria per tranquillizzarsi e pensare ad altro, non per essere ancora più confuso di prima. Alzò lo sguardo mentre camminava e notò una figura slanciata appoggiata al muro proprio in fondo al corridoio che guardava verso di lui, come se lo stesse aspettando. Abel si lasciò sfuggire un sospiro, perché era uscito dall'aula anche per non vederlo per qualche minuto.
    « Conoscevi quei ragazzi? » gli fece Raphael appena l'albino fece per superarlo, « Cambierebbe qualcosa in caso? » rispose lui, voltandosi verso il ragazzo. Questo, a braccia conserte, lo scrutava con sguardo inquisitore, come se Abel fosse colpevole di qualcosa. E il brutto è che lui, effettivamente, si sentiva colpevole. Alla sua risposta il violinista fece spallucce. « Mi sembrava strano conoscessi qualcuno, tutto qui ». Quella frecciatina al suo essere ben poco socievole gli fece alzare un sopracciglio: non capiva se a Raphael fregasse effettivamente qualcosa o meno, perché quella conversazione non aveva il minimo senso. « Non capisco il motivo di pormi questa domanda, allora » fece, freddo e innervosito, perché se doveva dirgli qualcosa avrebbe preferito che l'avesse fatto senza mezze misure. Raphael non si sbilanciava mai in dichiarazioni, si teneva sempre tutto dentro, era difficile capire a cosa pensasse ed interpretare i suoi comportamenti. Avrebbe solo voluto capire cosa avesse intenzione di farne della loro storia, se contava ancora qualcosa per lui e, in caso contrario, perché non gli diceva nulla e preferiva ignorarlo piuttosto che affrontare il problema. Raphael fece di nuovo spallucce, e a quel punto Abel avrebbe voluto mollargli uno schiaffo. Che diamine di risposta era quella? « Cosa ti prende in quest'ultimo periodo? ». Il ragazzo lo guardò come se non capisse a cosa si stesse riferendo. Stava esaurendo la pazienza. « Sei distaccato e assente, mi dici cosa- », ma non lo lasciò finire, « Ho cose più importanti da fare che ascoltare le tue lamentele ». Le sue... cosa? « Perché non vai a piangere dal tuo nuovo amichetto? ». Non ci avrebbe voluto credere, ma sapeva che lo aveva detto davvero. Lo sguardo di Raphael su di lui era serio, forse arrabbiato, ma quello furente era Abel. Traboccava di ira, e non riusciva neanche a trovare le parole per fargli capire quanto lo avesse fatto incazzare. Aprì la bocca, ma non ne uscì nulla. Avrebbe voluto gridare, avrebbe voluto essere così forte da mollare un pugno al muro e spaccarlo, ma non era che un ragazzino esile la cui unica difesa erano le sue risposte fredde e pungenti. Solo che in quel momento non ne aveva neanche una. Era indifeso, ma furibondo. E deluso. Sapeva che ormai Raphael non era più interessato a lui da tempo e mandare avanti una relazione del genere era stancante e inutile, ma una risposta del genere era come una secchiata di acqua fredda. Raphael non gli si era mai rivolto in modo così arrogante. « Scusa tanto se ho sprecato il tuo prezioso tempo » non riusciva a non guardarlo con disprezzo misto ad infinita tristezza, e nel vedere degli studentelli rumorosi avvicinarsi fece qualche passo verso il portone che dava sul cortile della scuola. « Perché tentare di salvare una relazione e discuterne col proprio ragazzo è davvero una perdita di tempo, giusto? » ridacchiò tristemente tra sé e sé, infilando le mani in tasca, in attesa di una qualsiasi reazione. Il primo a distogliere lo sguardo fu Raphael, come a dimostrare che Abel poteva davvero gettarsi tra le braccia di qualcuno che non fosse lui e non ci avrebbe neanche fatto caso. Lo aveva rincorso per mesi nella speranza di salvare il salvabile, ma si era ormai arreso al fatto che ci stava provando solamente lui. « Sì, scusa, dimenticavo che hai altro a cui pensare ». L'albino ringhiò piano, allontanandosi definitivamente.
    Aveva bisogno di aria, di respirare. Accolse il tepore dei raggi del sole sulla sua pelle come se non lo sentisse da anni, e fu contento che il giardino fosse pieno di gente. Non voleva sentire di nuovo il silenzio, non voleva sentire di nuovo la voce di Raphael, non voleva sentire di nuovo il suono di un violino per almeno tutta la giornata. Affondò le mani nelle tasche dei pantaloni, desiderando fortemente di rintanarsi in un angolino e rimanerci per ore e ore, ma i suoi piani vennero mandati in frantumi appena notò una testa color fuoco in mezzo agli altri studenti. Era lui, era Cain, il batterista pazzo, che sembrò accorgersi di lui appena Abel posò gli occhi sul ragazzo.
    - Merda -. Non riuscì a staccargli gli occhi di dosso mentre si faceva strada tra gli allievi per raggiungerlo, attirava l'attenzione come fosse una calamita. Era chiassoso, irruente, spontaneo, spalle larghe e sorriso contagioso. Non poté fare a meno di metterlo a confronto con Raphael, silenzioso e composto. Era come i raggi di sole che ora gli accarezzavano il viso, piacevole ed inaspettato. Non voleva però affrontarlo subito dopo la discussione appena avuta e dopo avergli chiuso la porta in faccia nel più scortese dei modi, perciò, all'ultimo, tentò di allontanarsi in modo da far perdere le sue tracce in mezzo agli altri studenti della Ripley. Avrebbe perso il suo tempo con uno come Abel, non capiva perché voleva stare in sua compagnia a tutti i costi. Cain suonava la batteria in una band strafiga, stava tutte le sere in dei bar circondato da belle ragazze e alcol, forse lavorava o studiava, chissà, era estroverso e adorava mettersi nei guai, mentre Abel... Abel? Cos'aveva di interessante? Non voleva che Cain perdesse interesse mano a mano che lo conosceva come aveva fatto Raphael, non lo avrebbe sopportato. Sempre se sarebbero riusciti ad arrivare così in là nella conoscenza, Cain non gli sembrava il tipo da relazione stabile. Riuscì a liberarsi della massa di ragazzi davanti al varco, ma appena mosse due passi verso un luogo più riparato si trovò davanti il batterista degli Elysian. L'albino trasalì, non aspettandosi minimamente che lo avrebbe seguito nonostante l'orda di persone. « Guarda, non è il momento » fece, abbassando lo sguardo, ma il rosso sembrò non sentirlo dato che cominciò subito a parlargli. Da una parte era contento di sentire la sua voce, dall'altra la trovava fastidiosa e voleva che smettesse immediatamente di parlare. Non voleva avere a che fare con nessuno in quel momento, e un ragazzo chiacchierone - per quanto fosse bello e interessante - non era quello di cui aveva bisogno. « Senti, ti prego, smettila » disse di nuovo quando Cain cominciò a provarci spudoratamente, tentando di non urlargli addosso per il nervoso. Lui non centrava niente in quella storia, ma se avesse continuato a blaterare cose senza capo né coda non sarebbe riuscito a trattenersi. « Se riesci a non flirtare per cinque minuti filati possiamo essere amici » esclamò all'improvviso alzando la voce, riuscendo a zittirlo. Cain rimase di stucco, era evidente che non se lo aspettava, e a dirla tutta neanche Abel. La verità era che gli sarebbe piaciuto conoscerlo, senza malizia, ma le sue continue pick-up lines lo irritavano. Poteva conciliare la curiosità reciproca che provavano l'uno per l'altro con un po' di sana tranquillità, ossia ciò che stava cercando disperatamente da quando le cose con Raphael non andavano più per il verso giusto. Il rosso sembrò accettare la sua richiesta, perciò l'albino si diresse su una panchina piuttosto lontana dall'entrata e vicina ad un albero rigoglioso, la cui ombra non la copriva completamente. Abel si sedette sulla parte all'ombra, facendo un lungo respiro a occhi chiusi. Si accorse di avere le gambe pesanti, addirittura. Era così stanco, in tutti i sensi. Ed ora? Raphael lo avrebbe comunque rivisto tra non molto e non se la sentiva. L'indifferenza del moro degli ultimi mesi lo aveva stremato, e adesso tutta quella rabbia ingiustificata da parte sua che veniva da chissà dove, rabbia che aveva vomitato addosso a lui. Quando riaprì gli occhi, Cain gli era vicino e sembrava trattenersi dal dare fiato alla bocca ogni tre per due. A guardarlo così da vicino era davvero un bel ragazzo, ben piazzato, i muscoli si intravedevano anche sotto la camicia - a quel punto distolse lo sguardo, non poteva farcela - e non sapeva di avere un debole per l'accoppiata capelli rossi spettinati/occhi verdi smeraldo. « Stai davvero contando i minuti? » sollevò un sopracciglio nel vedere quanto spesso il ragazzo tirasse fuori il telefono, e scosse leggermente la testa. Davvero desiderava stare così tanto con lui? In fondo, non era che uno sconosciuto. Come aveva fatto ad attirare la sua attenzione? Veramente la sua pelle pallida e il suo sguardo stanco avevano fatto colpo su un figo del genere? « Come avete fatto ad entrare qui? Siete riusciti addirittura ad eludere il personale, non male » osservò, mentre si stringeva nelle spalle a causa di uno spiffero che gli era risalito lungo la schiena. « Non avevi affatto pensato che avreste potuto cacciarvi in un guaio serio? » appoggiò la guancia sul palmo della mano, il gomito puntato sul suo ginocchio, e si voltò a guardarlo. Per l'ennesima volta pensò che fosse di una bellezza aggressiva e fuori dal mondo. Forse lo incuriosiva anche perché era istintivo, tratto che non condividevano. Abel si sentiva al sicuro solo dopo aver valutato una situazione in tutte le sue possibilità e sfaccettature, aver preso in considerazione ogni cambiamento e averci riflettuto per bene, senza mettere di mezzo i sentimenti o l'istinto. Non capiva la gente che si buttava a capofitto nelle cose senza neanche pensarci, i maestri dell'improvvisazione. « Sei fin troppo impulsivo per i miei gusti » commentò, « E confusionario. La batteria ti si addice perfettamente ». Lo strumento che aveva scelto era proprio lo specchio del ragazzo: potente, avvolgente, energico. Il suo opposto. Chissà cosa ci faceva con uno come lui, che non aveva ascoltato una canzone rock neanche per sbaglio. « Come va con la tua band? ». Quella conversazione si stava dimostrando inaspettatamente piacevole, parlare con qualcuno in modo tranquillo e casuale lo stava distraendo. In quel momento si sentiva abbastanza rilassare da intavolare una conversazione che non fosse composta da monosillabi - un record per lui - , e neanche aveva pensato che Cain potesse essere lì giusto per passare un po' il tempo e poi spezzargli il cuore come sicuramente aveva già fatto con altre persone prima di lui. Voleva solo non pensare a nulla per un po', Raphael lo avrebbe affrontato una volta in classe. Avere Cain come interlocutore era un bonus.

    • • •

    Quanto avrebbe voluto baciarlo, ora che erano così vicini. Quanto avrebbe voluto dirgli che era da sempre stata innamorata di lui, anche durante le sue passate relazioni, e approfittare di ogni momento per stargli vicino e rubargli un bacio sulla guancia, sul naso, sulle labbra. I suoi occhi verdi erano fissi in quelli del ragazzo, che sostenevano il suo sguardo senza apparente difficoltà. Quanto avrebbe voluto baciarlo. « Affare fatto. » la voce di Izar la riportò alla realtà e lo ringraziò per aver rotto la tensione che si era creata tra i due. « Non vedo l'ora di sapere cosa risponderai. » la ragazza sghignazzò, già convinta di dirgli di sì. Avrebbe potuto benissimo farlo anche in quel momento, senza dover sgattaiolare fuori dall'edificio scolastico e tornare a lezione dopo una breve chiacchierata, ma non era affatto nel loro stile. Bofonchiò un "Ehi!" nel momento in cui Izar le stropicciò una guancia e i due ragazzi si alzarono dal lettino contemporaneamente. La chitarrista degli Elysian si sgranchì la schiena mentre si alzava dal lettino - per dio, quasi vent'anni e sentiva di avere la schiena di un vecchio - e notò con piacere che l'umore di Izar fosse migliorato. Chissà come mai quella mattina si era alzato col piede sbagliato. Forse Samael c'entrava qualcosa, gliel'avrebbe chiesto lungo il tragitto. E avrebbe anche dovuto pensare ad una ricompensa in caso avesse vinto ad air hockey: la sua tendenza a rispondere "ci penso" ad ogni cosa le dava il vantaggio di avere più tempo per fare una decisione, ma a volte le si ritorceva contro - come la proposta di Izar, giusto per mantenere un briciolo di orgoglio e non fargli capire che era cotta di lui. Doveva chiedergli qualcosa a cui il ragazzo non aveva il coraggio di rispondere in situazioni normali. « Ma... mi hai preso il pranzo! Ti senti bene? ». Ad Altayr sfuggì una risata, ed uscendo dall'infermeria con lo zaino in spalla gli spettinò i capelli approfittando del fatto che fosse chino sul sacchetto del pranzo. « Mai stata meglio, stellina ».

    Sgattaiolare fuori dall'edificio scolastico senza farsi beccare fu una passeggiata, il tragitto fino alla fermata del bus fu breve e anche i panini se li finirono in un batter d'occhio. Per fortuna l'autobus verso la sala giochi era mezzo vuoto e trovarono subito posto, ed Altayr lasciò al ragazzo il sedile vicino al finestrino. Sfilò il telefono dalla tasca per vedere cosa Noel e Cain stessero scrivendo nella loro chat di gruppo, ed alzò un sopracciglio nel leggere l'ultimo messaggio inviato dal cantante. « Hai letto cosa ha scritto Noel? » chiese ad Izar mentre rispondeva con una miriade di quadrifogli. « Chissà cosa sta combinando » fece, ridacchiando, mentre rimetteva il cellulare nella giacca. Quel ragazzo era davvero imprevedibile, quindi sperò vivamente si trattasse di un esame universitario, anche se non lo aveva sentito lamentarsi abbastanza della sessione imminente. In che modo riuscisse ad organizzarsi tra band, lavori part-time ed università restava un mistero. « Hai visto che foto fa quella dello shooting? Non sono male. ». Altayr si sporse verso Izar, mentre lui approfittò della vicinanza per appoggiarsi sulla sua testa. « Spilungone » gli sussurrò, avvicinandosi a lui per colpirlo piano alla spalla. Odorava di buono, nonostante fumasse ogni qualvolta ne avesse l'occasione. « Mi piacciono, sì » commentò mentre scorreva il profilo della ragazza. Si faceva chiamare semplicemente Clara, ma era un talento emergente nel mondo della fotografia. Tutti gli Elysian speravano che questa collaborazione potesse aprire loro qualche via che li avrebbe condotti ad un modesto successo. I concerti nei bar più piccoli e sfigati di Lancaster non bastavano più ormai. « Cain si spoglierà, lo so ». Altayr rise, ripensando a come in ogni foto degli Elysian il batterista era a petto nudo, esibendo con orgoglio i suoi muscoli. « Il giorno in cui Cain non si denuderà per una foto, capiremo che la fine del mondo è vicina. ». Andava in palestra praticamente tutti i giorni, tutto quell'impegno sarebbe stato uno spreco se non avesse fatto vedere al mondo intero la sua prestanza ed imponenza. Altayr sperava solo che ciò che avrebbe dovuto indossare e il trucco fosse di suo gusto, e qualcosa di attillato per Izar. Così, giusto perché impazziva per il suo fisico snello e aveva un sedere niente male. « Mi dispiace per te, la mia bellezza ti metterà in ombra », « Cos'è, una sfida? A chi sarà il più bello davanti all'obiettivo? » ridacchiò lei, mentre faceva segno al ragazzo che era ora di scendere. La sala giochi era un edificio che di colorato aveva solo l'interno, perché all'esterno dava davvero poco nell'occhio. Il nome del locale era scritto sulla porta automatica, ma le lettere adesive erano vecchie e rovinate. Appena entrati, la musica troppo alta cominciò subito a rimbombarle nelle orecchie. Non che fosse un disturbo, era abituata a trovarsi vicino alle casse quando suonavano nei locali, ma aveva bisogno di concentrarsi. Affiancò Izar mentre si dirigevano verso l'air hockey, e si rese conto di non essere così nervosa. Gli avrebbe detto di sì anche se fosse stata lei a vincere. Non aveva neanche pensato a cosa chiedergli in caso la vittoria fosse stata sua, a dirla tutta. Aveva avuto un'idea piuttosto subdola, ma la verità era che voleva solo andare a quel maledetto concerto con lui.
    « Preparati, passerotto. ». Altayr lo guardò con la coda nell'occhio mentre posava lo zaino accanto alle gambe del tavolo, impaziente proprio come lei. « Non ci andrò leggero con te. ». La chitarrista degli Elysian esibì un sorrisetto sghembo, togliendosi la giacca per legarsela in vita e allentandosi il nodo della cravatta. « Non te l'ho mica chiesto. ».

    Izar era più forte di quanto ricordava, maledizione. L'aveva battuta davvero di poco, ma aveva perso. Si era convinta di aver voluto perdere apposta, ma la verità era che era riuscito a superarla. Per quanto fosse contenta di poter finalmente rispondere in modo sincero alla sua richiesta, c'era comunque un minimo di frustrazione. « Voglio la rivincita » lo guardò dritto negli occhi, puntandolo col dito, mentre si avvicinava a lui per dargli una pacca sul braccio. « Sei stato bravo, diamine! » affermò, estraendo i gettoni avanzati dalla tasca della giacca. « Scegli un gioco, dai » fece, per fargli capire che la sfida non finiva lì, anche se avrebbe già voluto trascinarlo fuori dal vecchio arcade e dirgli finalmente quello che avrebbe dovuto dirgli la sera precedente alla fine del concerto. Mannaggia a lei che si prendeva sempre del tempo per decidere qualcosa, qualsiasi cosa, anche quando aveva già deciso.

    « Ti odio, profondamente » esclamò la ragazza, rimettendosi la giacca appena furono sulla strada. Aveva perso, stavolta definitivamente: la somma dei punti di ogni gioco che avevano fatto parlava chiaro. Due soli punti a separarli, ma non riusciva a sopportarlo. Si era davvero arrugginita in quelle tre settimane e poco più senza aver messo piede nella sala giochi, e si ripromise che la prossima mancia la avrebbe buttata tutta lì per non perdere lo smalto. Sarebbe stato peggio perdere contro Cain comunque, almeno Izar non gliela faceva pesare troppo. « La prossima volta non avrò nessuna pietà » gli diede una leggera spallata, giusto per fargli capire che non gliel'avrebbe fatta scampare, « Anzi, sei stato fortunato, perché se avessi vinto io non avresti avuto il coraggio di rispondere a ciò che ti avrei chiesto » rise, e alzò gli occhi al cielo. Si era decisa a chiedergli a chi aveva dedicato quella stramaledetta canzone che suonavano ogni volta che salivano sul palco, qualsiasi palco. Il suo cuore diceva che c'era una remota possibilità che quella ragazza che ballava senza notare che qualcuno stesse tentando di avvicinarla fosse proprio lei, ma se Izar fosse stato innamorato di un'altra? Però l'aveva invitata ad un concerto, tornavano spesso a casa insieme - quando uscivano da lavoro, quando finivano le prove, da scuola, dalla biblioteca -, spesso e volentieri si trovavano a casa l'uno dell'altro per fare quattro chiacchiere, tutti i messaggi e le chiacchierate al telefono, quindi questi pensieri un po' egoisti non si fondavano sul nulla. - Te l'ha chiesto perché sei l'unica a cui piacciono gli Our Last Night tanto quanto a lui, sveglia -, si disse, per tornare momentaneamente con i piedi per terra. Eppure non riusciva a non pensare a come Izar potesse essere davvero innamorato di lei. Il sole stava cominciando a scendere all'orizzonte, e improvvisamente cominciò a farle male la pancia. Era nervosa. In senso buono, certo, ma significava che ciò che aveva tanto sperato stava per diventare realtà. Un appuntamento con il ragazzo per cui aveva una cotta stratosferica da anni. Chissà se anche lui lo considerava un appuntamento, o almeno qualcosa di simile. « Allora, passerotto, », la tensione la stava letteralmente uccidendo, ma tentò di mantenere la calma, « quando sarebbe questo concerto? Spero vivamente che tu abbia preso i biglietti per il parterre » esclamò, e non poté fare a meno di notare la faccia di Izar. Sembrava confuso, o entusiasta, o imperterrito, non lo sapeva, ma la fece ridere.
    « Hai un capito che è un sì, vero? », disse tra le risate, rifilandogli una gomitata leggera per farlo riprendere. Era sempre stato un sì. « Saremo solo io e te, non è che è una specie di appuntamento? » ridacchiò piano, ripetendo ciò che il ragazzo gli aveva detto la sera prima. Nel suo cuore on sarebbe stata un'uscita come un'altra, e il solo pensiero la mandò in brodo di giuggiole. Chissà se sarebbe riuscita ad arrivare fino al fatidico concerto se ogni volta che pensava di essere riuscita ad ottenere un appuntamento con Izar lo stomaco le faceva male e le gambe le diventavano di gomma. Già si immaginava in mezzo alla folla, urlante e sudata, con un sacco di scuse per starsene appiccicata al ragazzo. « Ti va di andare a pranzare insieme? Tanto dopo abbiamo le prove, possiamo prendere l'autobus per passare a casa e prendere gli strumenti », fece spallucce, come se passare ancora più tempo con lui le fosse del tutto indifferente. Ovviamente non era affatto vero. Avrebbero dovuto sorbirsi almeno un'altra mezz'ora di bus per arrivare prima a casa di Izar e poi da lei, per poi farsi qualche minuto di camminata per ricongiungersi con il resto della band. Nei paraggi c'erano diversi locali che servivano panini veloci, qualche bistecca non troppo cara e ottime birre, avevano solo l'imbarazzo della scelta. « Come sei riuscito a trovare i biglietti? Pensavo fossero sold-out », disse, mentre gli teneva aperta la porta del pub che avevano scelto, « Le loro ultime canzoni sono state una bomba in fin dei conti, non c'è da stupirsi se hanno fatto il pienone ad ogni tappa », commentò, mentre osservava il tabellone con le portate. « Hai preso i biglietti per la tappa a Lancaster? Dio, è la prima volta che li vedrò live! » Aveva bisogno di una birra, poco ma sicuro, il suo corpo la richiedeva, e alla fine si decise per un semplice panino con la cotoletta: faceva bene al suo portafoglio perché era economico, ma non troppo alla sua linea. Doveva solo sperare di non ritrovarsi con la pancia scoperta nel prossimo photoshoot, l'idea di avere uno stylist che non fosse lei stessa la terrorizzava. « Hai scelto? Sto andando alla cassa ad ordinare » fece ad Izar, mentre sperava disperatamente di trovare un coupon nella tasca della cartella. Era sicura di averne almeno uno, li conservava tutti in caso di bisogno. « Eccolo, lo sapevo! » esclamò trionfante, esibendo tra le dita un foglietto accartocciato, grazie al quale potevano usufruire di uno sconto di ben tre sterline. Lo esibì trionfante alla cassa come se quel coupon equivalesse ad una cena gratuita, e fulminò con lo sguardo l'amico appena diede cenno di volersi pagare il pranzo. Approfittò dell'attesa per mandare un messaggio a Kevin implorandolo di coprirla coi professori e al sentir chiamare il numero del suo ordine scattò in direzione del bancone, come se non mangiasse qualcosa da giorni. Il calore del panino, appena lo prese in mano, la fece sorridere e si avvicinò subito ad Izar con il suo ordine e le bevande sotto il braccio: gli passò il cibo in modo un po' goffo, mentre tentava di non far cadere nulla. « Il panino è caldo » gioì sottovoce, sorridendo in direzione del ragazzo. Se anche lui aveva le mani fredde come le sue era l'ideale per scaldarle un po'. Affiancò il ragazzo mentre apriva la lattina di birra, e la avvicinò a quella di lui per un veloce brindisi. « Brindiamo alla speranza che Noel e Cain non ci tengano fino a tarda notte nello studio a parlare di quanto belli siano quei due ragazzi incontrati ieri al Black Dog. ». Perché, sì, era convinta che il precedente messaggio di Noel fosse collegato al fatale incontro della scorsa serata. Di quei due ricordava solamente gli sguardi spaesati e i capelli chiari, nient'altro. Noel e Cain li avevano rapiti appena avevano posato gli occhi su di loro, e né Altayr né Izar erano riusciti a studiarli. Ah, sì, una birra ci voleva proprio. Una birra in sua compagnia, nello specifico. Era bello passare intere giornate insieme, non si stancava mai di avere Izar accanto a sé. Il non poterlo toccare in modi che facessero intendere che aveva una cotta stratosferica per lui da parecchi anni era un'altra storia. Per ora si sarebbe accontentata, anche se scalpitava all'idea di confessargli tutto, ma per certe questioni preferiva non affidarsi all'istinto. O meglio, per certe persone: avrebbe preferito vivere nella friendzone piuttosto che perdere Izar perché aveva interpretato male i suoi comportamenti. « Vuoi un morso? » Altayr diede un colpetto al ragazzo per attirare la sua attenzione, indicandogli con lo sguardo il suo panino. Appena lui si voltò, la chitarrista non poté fare a meno di notare di come si fosse sporcato con la salsa piccante vicino alle labbra e le scappò un sorriso. « Fermo, sei sporco » si sporse verso di lui e con l'indice della mano destra riuscì a togliere lo sporco senza ulteriori danni. Si portò poi il dito alle labbra, leccando quel poco di salsa non interrompendo il contatto visivo, impedendogli di distogliere lo sguardo fino all'ultimo. Se Izar l'aveva invitata perché ad entrambi piacevano gli Our Last Night, avrebbe fatto in modo che la prossima volta che sarebbero andati ad un concerto insieme sarebbe stato perché provava qualcosa per lei. Ed era giusto non farsi mille fantasie e rimanere con i piedi per terra, ma ogni tanto doveva giocare in attacco se voleva smuovere la situazione. Forse lui lo aveva trovato audace, forse lo aveva trovato davvero non necessario, ma un sorrisetto di vittoria si disegnò sulle sue labbra comunque, risvegliando una manciata di farfalle nel suo stomaco. « Dimmi tutto, corvetto », gli tirò una leggera gomitata al fianco, giusto per farlo rinsavire, e continuò a mangiare il suo panino, diventato ormai più freddo che caldo.
    Il telefono vibrò in quel momento, in contemporanea a quello di Izar, ed Altayr capì che era un messaggio sul gruppo degli Elysian. Aprì la chat senza leggere l'anteprima, aspettandosi la solita tiritera di Noel sul fatto che fossero in ritardo, e infatti. "Dove siete piccioncini? Noi vi aspettiamo in studio". La carne le andò quasi di traverso quando lesse quel "piccioncini", ma fece di tutto per celarlo. Non poteva neanche nasconderlo ad Izar, e pregò con tutto il cuore che il ragazzo non lo avesse ancora letto. Avrebbe voluto godersi gli ultimi minuti in pullman, da soli, senza nessuna strana ansia a divorarla. Digitò in fretta un "Stiamo arrivando" e rificcò il telefono in tasca, finendo le ultime gocce di birra. « Rosso numero uno ci ha ricordato che abbiamo un pomeriggio da trascorrere a spettegolare anziché suonare tutti insieme » ridacchiò, perché tutti gli Elysian sapevano che sarebbe finita così. Avevano prove quasi ogni giorno, il primo fotoset per una rivista programmato per quel fine settimana, nuove canzoni da scrivere e altri show da organizzare, ma i problemi di cuore venivano sempre prima di tutto.

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    Edited by altäir - 16/1/2021, 00:45
     
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    Evelya
    Scorrendo le foto del profilo instagram della band, Evelya intuì alcune cose: la fanbase era prettamente femminile - e agguerrita -, i due ragazzi dai capelli rossi amavano stare al centro dell'attenzione, quello con i capelli neri era schivo e serioso, e l'unica ragazza, Altayr, non sottostava alle regole di nessuno di loro. Era estremamente sicura di sé, almeno per come posava, ed Evelya dubitava di riuscire ad essere altrettanto sciolta e disinibita davanti a un obiettivo. La sua foto scolastica sembrava il ritratto ottocentesco di una vedova, a confronto.
    Respirò a fondo appena il profumo dei tigli entrò dalla finestra socchiusa. C'era un tepore piacevole vicino ai vetri, e fuori la primavera colorava di tinte pastello il grande cortile. Le parve di scorgere Abel, ma fu un'immagine fugace prima che il suo sguardo fosse catturato dal cremisi di una capigliatura familiare.
    « Ehi, quel posto è per me? ».
    Sobbalzò, e con lei ciò che restava nel bicchiere. La calma evaporò per lasciare il posto ad un'ondata di panico che le imporporò subito le guance, mentre Noel in persona prendeva posto di fronte a lei. Mantenne il contatto visivo per una manciata di secondi, giusto il tempo di notare quanto bene stesse la divisa su di lui e quanto vivaci fossero gli occhi che l'avevano rapita sin da subito alla luce del sole. Brillante era l'aggettivo giusto per descriverlo. Nonostante non avesse fatto nulla per attirare l'attenzione tutti i presenti sbirciarono verso il loro tavolo, incuriositi. Era l'effetto che faceva in pubblico, e sul palco il suo magnetismo si amplificava.
    « C... certo » balbettò, preda della solita insicurezza.
    « Non c'è bisogno di essere così agitata. »
    « Scusami, è... è una situazione nuova per me. » Gli rivolse un timido sorriso, facendo del suo meglio per radunare l'impassibilità propria della famiglia Sadalmelik. A casa tutti riuscivano a fingere indifferenza quando serviva, tranne lei. Era trasparente, le si leggeva ogni pensiero in faccia. Sperò che Noel non fosse un bravo lettore.
    « Spero che il caffè non si sia raffreddato mentre mi aspettavi. E scusa il poco preavviso, ma Cain ha avuto un'idea malsana e l'ho seguito a ruota. »
    « In effetti è stata una sorpresa. Non pensavo che vi avrei rivisto proprio qui. » Il caffè ormai era appena tiepido, ma non disse nulla a riguardo. Il bicchiere di carta fungeva solo da antistress, ormai.
    « Non sapevo cantassi, comunque. Hai una voce stratosferica! »
    Ogni sforzo di guardarlo in viso venne meno, e ruotò il capo verso la finestra. Ora i raggi del sole le parevano bollenti sulla pelle, come se le fosse salita improvvisamente la febbre.
    « Grazie, ma non sono niente di ché. » Le serviva un ventaglio, un sacchetto da tenere in testa, una botola in cui sprofondare. Nessuno aveva mai definito la sua voce "stratosferica". Forse soave, delicata, adatta ai canti di chiesa che Azarel le faceva ascoltare fin da quando era piccola. Fu allora che l'interruttore dell'insicurezza scattò, instillandole un pensiero malevolo: e se stesse fingendo? Se Noel dispensasse complimenti a tutte le sue seguaci? Certo, infiltrarsi in un istituto privato per conoscerne una poteva sembrare un gesto estremo, ma non così improbabile, trattandosi di lui. In fondo era una novità, una specie di animale esotico rispetto a quelli che era abituato a vedere nel suo habitat. Poteva essere solo un'esperienza da aggiungere al curriculum. - Ricordati che non sei poi così interessante. - Fece del suo meglio per non lasciare che quella tristezza trasparisse, sforzandosi di tenere gli angoli della bocca sollevati.
    « Potremo cantare insieme qualche volta, ti andrebbe? So anche suonare la chitarra, potrei accompagnarti! Anche se, beh, sei abituata a violino e pianoforte, roba di classe. »
    Il suo cuore fece una capriola. Avrebbe voluto saltare dalla gioia, prendergli entrambe le mani e urlare "Sì, lo voglio!", ignorando i compagni di scuola attorno a loro. Ma era Evelya, la posata, mite, timida Evelya.
    « Mi piacerebbe molto » disse, riportando l'attenzione su di lui. Ah, ecco l'indifferenza che cercava. Era tornata a riva e soffocava tutto l'entusiasmo, come un bicchiere calato su una candela.
    « Mi imbarazza ammetterlo ma non è un genere che conosco bene... però è stato bellissimo ascoltarvi! » Continuò su quell'onda, stringendo sempre più forte il bicchiere tra le mani. Voleva chiederglielo. La domanda era lì, sulla punta della lingua. - Puoi essere sincera, non hai nulla da perdere. -
    « Scusa, sono stato precipitoso, in fondo sono praticamente uno sconosciuto. »
    « No, non preoccuparti. Sono contenta di rivederti. » Mise il bicchiere da parte e allacciò le mani in grembo. Fece un respiro profondo e finalmente lo guardò dritto negli occhi. Noel non aveva detto una parola, eppure lesse solo genuina felicità nella sua espressione. I tratti rilassato del viso, il sorriso spontaneo, la postura spavalda, la parlantina a briglia sciolta. Non vide niente di artefatto.
    « Noel, so che è una domanda strana, però vorrei sapere se... Insomma, sei venuto fin qui e... » Ed era strano che l'avesse fatto per lei. Evelya era un numero sulla pagina della band. Una sconosciuta. Noel invece le riempiva la testa da quella fatidica sera, solo pensarlo bastava a scaldarle il petto. Se avessero messo i rispettivi sentimenti su una bilancia, il piatto della ragazza avrebbe subito toccato terra.
    « Perché io? » chiese infine, in un sussurro incerto. Attese immobile, stropicciando la gonna nei pugni serrati. Lo stava implorando di dire la verità, di darle un pizzicotto per farle capire che no, non stava sognando. Aveva le stesse possibilità di chiunque di condividere un tavolino al bar insieme a lui. « O forse qualcuno che conosci studia qui e ci siamo incontrati per caso? Mi sembra assurdo che tu... per me, che non c'entro nulla con... ».
    Si sentì una completa idiota, ed affondò il viso nei palmi aperti con uno sbuffo esasperato. Nessun ragazzo le aveva mai chiesto di prendere un caffè. Aveva fama di essere la prediletta del professore più influente della scuola, non ci si arrischiava a chiederle di uscire. Per quanto ne sapeva i genitori ed Azarel erano legati da una sorta di patto che la includeva, peccato che non ne conoscesse i dettagli. Il professore gravitava attorno alla casa dei Sadalmelik da quando Evelya aveva poco più di dieci anni, proponendosi come insegnante privato già all'epoca. Nonostante il tempo passato insieme conosceva solo il lato "scolastico" di lui, e non le piaceva.
    Riportò le mani a tormentare la gonna, lo sguardo rivolto al bordo del tavolo. « Scusa, non so che mi prende. »
    Ed era vero. Le sembrava di aver dimenticato le buone maniere ed il contegno, come se quella parte del suo carattere, costruita tanto duramente, stesse cadendo a pezzi.
    Non vide l'occhiata gelida di Azarel, passato fugacemente dal corridoio, né si preoccupò della vibrazione del cellulare all'arrivo di un messaggio che avrebbe reso quella giornata ancora più destabilizzante.

    - Possiamo cenare insieme stasera? Devo discutere con te di alcune cose. -

    Cain
    Puntò la preda con la precisione di un falco. Era strano, ma a Cain sembrava di captare la presenza di quel ragazzo esile e schivo come un sensitivo. L'aria attorno a lui cambiava in presenza di Abel, si faceva elettrica, gli pungeva la pelle. Non appena lo vide deviare in mezzo al via vai di studenti, probabilmente per far perdere le sue tracce, il rosso scattò in piedi ed imprecò sottovoce. Doveva concedergli un rifiuto più esplicito di una porta sbattuta in faccia. Gli aveva letto un conflitto interiore negli occhi, poco prima. Se poteva aggrapparsi a qualcosa - qualunque cosa - per attirarlo nella sua direzione l'avrebbe fatto. Tagliò attraverso un sentiero sterrato tra gli alberi del giardino e gli si parò davanti con un sorriso vittorioso, impedendogli ogni tentativo di fuga.
    « Non ci provare, vinco sempre a questo gioco » disse, muovendo il primo passo verso di lui.
    « Guarda, non è il momento. »
    « E' sempre il momento per me » lo rimbeccò, alludendo a qualcosa che non c'entrava affatto con il chiacchierare insieme. Gli sembrò più indisposto della sera in cui l'aveva conosciuto, rigido come un pezzo di legno e molto, molto nervoso. Conosceva alcuni modi per scaricare la tensione, peccato che non fossero nel mood giusto. Pensò di proporglielo, ma si diede un contegno appena captò i segnali che quegli occhi burrascosi gli mandavano da sotto le ciglia chiare. Un abbraccio, allora? Nah, ci teneva alla sua incolumità. Arrivò ad un soffio di distanza da Abel, che si ostinava a guardare per terra.
    « Di solito sbatti la porta in faccia a tutti quelli che ti piacciono o sono un caso speciale? Comunque la mia risposta è sì, possiamo iniziare uscendo questo weekend e poi si vedrà. »
    Niente, non abboccava proprio. Che gli fosse successo qualcosa? Aveva suonato divinamente a lezione, senza sbavature. Certo, il loro professore sembrava un gran pezzo di merda, eppure Abel non pareva il tipo di studente succube degli insegnanti. Si abbassò per guardarlo in viso, così vicino da potergli strappare un bacio, e fu allora che il ragazzo esplose.
    « Senti, ti prego, smettila. Se riesci a non flirtare per cinque minuti filati possiamo essere amici. »
    Cain abbassò subito le orecchie, come un cane ripreso dal padrone, e borbottò delle scuse non troppo sincere finché lo seguiva obbediente fino ad una panchina. Si erano allontanati dagli studenti, c'era molto più silenzio in quell'angolo del cortile. Fece per sedersi accanto a lui, ma deviò all'ultimo secondo per mettersi sul lato più assolato, impaziente di poter parlare di nuovo. D'altronde ogni sua frase era un rimorchio bello e buono, non poteva far altro che aspettare. Gli prese un tic nervoso alla gamba, ed iniziò a picchiettare le dita sul ginocchio a ritmo dei secondi che scandiva in testa. Pendeva dalle labbra di Abel, nel senso letterale del termine. Quella ricerca di intimità aveva acceso nuove speranze in lui, e nuove idee su come passare il tempo insieme. Restava solo da capire cosa l'avesse urtato tanto in quella scuola di snob. Potevano risolvere insieme qualsiasi problema e limonare come i giovani innamorati che erano per dimenticare tutto. A quanto era arrivato? Abel lo beccò mentre controllava l'ora sul cellulare, e fece un sorrisetto furbesco.
    « Stai davvero contando i minuti? »
    « Meno due e trentacinque. »
    Quasi gli faceva tenerezza. Non aveva la minima idea di quanto potesse rivelarsi tenace. Cain credeva nel colpo di fulmine, in quella freccia che ti colpiva in mezzo agli occhi e ti rendeva cieco a qualsiasi altra cosa. Era solito prendere le vittime per sfinimento, anche a costo di farsi odiare, e così sarebbe stato. Sentiva che tra loro poteva esserci qualcosa, che i contrasti dei due avessero le potenzialità per diventare un cocktail esplosivo di passione. Gli prudevano le mani.
    « Come avete fatto ad entrare qui? Siete riusciti addirittura ad eludere il personale, non male »
    « Mh? Ah, sì. Una vecchia conoscenza mi ha recuperato le uniformi. »
    « Non avevi affatto pensato che avreste potuto
    cacciarvi in un guaio serio? »

    « Sinceramente no, sai, pensavo ad altro. Ops. » Si mise una mano sulla bocca dal momento che mancava ancora meno di un minuto, simulando un'espressione dispiaciuta. Appena Abel volse gli occhi stanchi verso di lui un brivido gli percorse la schiena.
    - 45, 44, 43, 42... -
    « Sei fin troppo impulsivo per i miei gusti. »
    « Ma non mi dire. »
    « E confusionario. La batteria ti si addice perfettamente. »
    Non seppe se prenderlo come un complimento o come un insulto. Abel era molto schietto, nel senso più cinico del termine, anche se non pareva avere intenzione di attaccare briga. Era sfinito, probabilmente se ne sarebbe andato presto. Scivolò in modo impercettibile verso di lui appena finito il conto alla rovescia, percependo di nuovo quella sensazione di elettrostaticità. Forse veniva dai suoi occhi, che erano un'eterna tempesta di nubi e lampi fugaci. Intravide delle sfumature azzurre che lo intrigarono. Abel era un concentrato di dettagli bellissimi.
    « Grazie tante, sono fiero di essere un casinista » ammise infine con orgoglio, una mano sul petto e l'altra casualmente buttata sullo schienale della panchina. Guadagnò altri centimetri.
    « Come va con la tua band? »
    « A meraviglia. Ci stiamo facendo conoscere in zona e abbiamo già tre concerti programmati. Speriamo di tirare su qualche soldo con i festival di quest'estate. »
    Il braccio ora circondava Abel, seppur senza toccarlo. Era finito nella sua rete, ma Cain attese a stringere la morsa. Allargò le gambe e si stese per prendere più sole possibile, guardando le fronde degli alberi sopra di loro. Doveva apparire calmo e disinteressato, circumnavigare il malumore dell'albino fino a comprenderne la causa e poi offrirgli la miglior soluzione.
    « Quindi il pianoforte, eh? Devi essere un cazzo di genio per studiare qui. Non ho capito che avesse da urlare il tuo professore. » La St. Ripley non accettava tutti i ricchi, solo quelli talentuosi. Da lì uscivano compositori e cantanti lirici che facevano il giro del mondo, come era stato per la sua ex. Ancora una volta rifletté su quali punti d'incontro potessero trovare, perché con la musica non c'erano proprio.
    « Lo suonavo anche io da piccolo, solo che gli mancavano dei tasti e non ho mai scoperto che rumore facessero. » Lo guardò di sbieco, con un ghigno. « Magari puoi farmeli sentire tu, qualche volta. »
    Mostrò il display del cellulare, dove un timer segnava 00:00. Avrebbe dovuto chiedere più di cinque minuti per liberarsi di lui.
    « Non ci sto provando, è solo curiosità. Se non sei già impegnato, ovviamente. » Impegnato con una ragazza altrettanto dolce o un ragazzo a cui piacevano i tipi difficili. Poteva attirare entrambi gli estremi.
    - Dio, se mi senti fa che sia single perché ho promesso di non prendere a cazzotti nessuno per quest'anno. -
    Non voleva tutto subito, gli bastava un assaggio. Un piccolo morso per capire se fosse il suo genere, se fossero compatibili nonostante gli screzi degli incontri precedenti. In nessuno dei due casi si erano trovati in un posto tranquillo dove poter dialogare in pace, e Cain era parecchio su di giri dopo i concerti. Aveva bruciato la fatidica prima impressione, difficile risalire da lì. Invitarlo ad un altro live significava ripetere una brutta esperienza, però. Lasciare Abel in mezzo al casino, tra gente sudata e sbraitante, l'avrebbe certamente indotto alla fuga.
    Dopo un istante di riflessione si decise.
    « Sai, facciamo le prove in una sala qua vicino, praticamente ogni giorno. Se ti va puoi tenerci compagnia, e poi usciamo a mangiare qualcosa tutti insieme. » Ci tenne a specificarlo in modo che si sentisse a suo agio, o quantomeno non incastrato in un appuntamento. Doveva andarci cauto con lui, o sarebbe fuggito al minimo movimento brusco.
    « Se porti anche la tua amica Noel ti fa una statua, sicuro. In ogni caso è solo una proposta, puoi rifiutare e non me la legherò assolutamente al dito. » Il sorriso sardonico che seguì la fece passare come una minaccia, più che altro, e sotto sotto lo era.

    Izar
    Non si definiva uno sportivo, ma sul tavolo di air hockey ci aveva lasciato sudore, sangue e lacrime - in senso figurato. - Se in palio ci fossero stati un mucchio di soldi, tanti da sistemarsi per sempre, non avrebbe comunque giocato così bene. Aveva combattuto per l'unica risposta che valeva davvero, e ora ne usciva vittorioso. Fece un inchino teatrale al pubblico invisibile, negando la rivincita ad Altayr dopo che la sua superiorità era stata confermata più e più volte. « C'è dignità anche nel saper perdere. »
    Incassò il colpo al braccio con un sorrisone trionfante, gonfio d'orgoglio, e si stranì nel vedere altri gettoni in mano alla ragazza. Quel calvario pareva non finire mai. « Per stavolta ti accontento, ma questi punti me li segno. E adesso vediamo chi ammazza più zombie. »
    Nel passarle accanto le diede una spallata leggera, niente a che vedere con quelle che piazzava a Noel o Cain, e prese posto davanti allo schermo con due pistole giocattolo, appropriandosi di quella rossa e lasciandole la blu. Era una vecchia tradizione, una cosa solo loro. In quella sala giochi ci buttavano le giornate dai tempi delle medie, e l'unica costante in tutto quel tempo era solo l'amicizia che li legava.
    - Che parola orrenda - pensò amaramente Izar, sparando sulla parola play.

    Scaricare la tensione su degli zombie, se non altro, lo aiutò a pensare con più razionalità. Se Altayr avesse voluto rifiutarlo sarebbe successo molto tempo prima. Non avrebbe avuto senso temporeggiare così, al solo scopo di buttare soldi in sala giochi. Quindi poteva escludere un "no", ma c'erano sempre i "forse" e i "vedremo" dell'incertezza. C'era sempre Kevin che le girava attorno, svariati fan tra cui scegliere, altre opzioni.
    Mentre scriveva i punteggi finali su un foglio strappato dal quaderno di matematica, - una vittoria di appena due punti per lui - iniziò a sentire la tensione farsi palpabile. Era pronto a quasi tutto, come se le delusioni fossero diventate abitudine.
    « Ti odio, profondamente. La prossima volta non avrò nessuna pietà. »
    « Certo, certo » disse lui, per nulla impressionato, con il cellulare sotto mano a recuperare i messaggi del gruppo. Gli sfuggì un gemito quando la ragazza lo colpì allo sterno, e la dichiarazione seguente si prese un altro po' del suo ossigeno. Che cosa voleva chiederle? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, impossibile dirle di no. Che fosse qualcosa di strano, tipo rapinare una banca? Il suo sguardo, solitamente inespressivo, si accese d'interesse.
    « Mi sottovaluti, come al solito » mormorò, spostando l'attenzione dal viso di Altayr al semaforo dall'altra parte della strada. Non ragionava bene a pancia vuota, meglio puntare al fast food.

    « Allora, passerotto, quando sarebbe questo concerto? Spero vivamente che tu abbia preso i biglietti per il parterre»
    Izar si bloccò sulla prima striscia pedonale, voltandosi con la lentezza di una moviola. Aggrottò le sopracciglia, come a volersi concentrare su ciò che aveva appena sentito. Allucinazioni uditive? Da sobrio? Strano.
    « Che? »
    « Hai un capito che è un sì, vero? »
    « Uh... okay. » Che fine avesse fatto il suo vocabolario non seppe dirlo. Anche articolare le parole gli riusciva difficile, mentre sbatteva gli occhi incredulo. Rimase congelato sul posto finché Altayr non gli rifilò una gomitata, e scoppiò così la sua bolla di confusione. Era un sì, cazzo. Ringraziò di non poter vedere il suo stesso sorriso ebete in quel momento, doveva essere ridicolo.
    « Saremo solo io e te, non è che è una specie di appuntamento? »
    « Il piano era quello » confermò, concentrato su ogni minima reazione dell'altra. No, non stava bluffando. Si diede mentalmente il cinque e trotterellò allegro dietro ad Altayr dopo la proposta di mangiare insieme. Quella leggerezza che sentiva ai piedi era molto simile all'ubriachezza, la gioia spensierata di non esserci con la testa.
    Entrarono nel pub ed Izar la aggiornò sul concerto e la serata degli OLN a Lancaster, con lo stesso entusiasmo ed un sorriso da scemo perennemente incollato in faccia. Okay, anche l'hype era autentico. Un altro punto per lui.
    Guardò distrattamente la lista di panini, rileggendoli più volte per la totale mancanza di concentrazione.
    « Hai scelto? Sto andando alla cassa ad ordinare ».
    Focalizzò l'attenzione sulla scritta hamburger di manzo e salsa chili e lì puntò il dito, aggiungendoci una birra scura a completare il tutto. Che importanza aveva, comunque? Non avrebbe distinto nessun sapore visto lo stato catatonico in cui versava. Avrebbe potuto mangiare manciate di sabbia e non sentire la differenza. Vista l'intenzione di Altayr di ordinare per entrambi - e la sua rinomata cocciutaggine - non protestò, dicendole che avrebbe cercato un tavolo nel mentre. Le rifilò anche un vecchio scontrino trovato nel fondo della tasca che aggiungeva uno sconto all'ordine, oltre a quello già in possesso della ragazza. Magra consolazione vista la voglia di offrirle il pasto, peccato che non gli concedesse mai di fare l'uomo della coppia.

    Izar si lasciò cadere sulla prima sedia libera, praticamente sotto al mega schermo che a quell'ora faceva passare le notizie. Un pessimo presagio di maltempo nelle settimane successive, nuovi blocchi stradali, l'inaugurazione di un centro commerciale e altri casi di molestie nello Scotch Quarry Park. Ottimo, ci passavano anche spesso da lì.
    Ringraziò Altayr per il panino e lo addentò pochi secondi dopo l'avviso della ragazza, rimanendo a bocca aperta finché il calore gli ustionava la lingua. Si fece aria con la mano a ventaglio, gli occhi lacrimanti e tante imprecazioni poco chiare. Afferrò subito la sua birra e la scontrò con quella di lei, trangugiando il liquido fresco per spegnere l'incendio.
    « Brindiamo alla speranza che Noel e Cain non ci tengano fino a tarda notte nello studio a parlare di quanto belli siano quei due ragazzi incontrati ieri al Black Dog. ».
    « Li avevo già scordati. Pensi che facciano sul serio? Perché sembravano molto diversi dal nostro solito pubblico. »
    Andava bene espandere la cerchia di fan anche tra le classi più agiate, per carità. E magari con amicizie influenti sarebbero arrivati lontano senza spaccarsi la schiena e rinunciare al tempo libero, per non parlare dello studio. Izar ci teneva a finire la scuola con voti dignitosi. Lo doveva al padre adottivo, una specie di rivalsa sulle persone che non gli avevano mai dato la minima fiducia. Altayr gli metteva i bastoni tra le ruote in questo senso, vista la picchiata del suo Q.I. ogni volta che si avvicinava, gli parlava un po' troppo vicina, mandava un messaggio con mille sottintesi nel mezzo di una sessione di studio eccetera.
    « Vuoi un morso? ».
    Di cosa? Ah, il panino. « No grazie, devo finire di lottare contro il mio. » Rispose a bocca piena, ancora lacrimante per il caldo e la salsa chili. Ne sentì il bruciore sull'angolo della bocca, ma non ci arrivò mai.
    Altayr, senza nessun riguardo per la sua tachicardia, lo ripulì con l'indice, portandolo poi alle labbra. Non seppe dire cosa lo avesse trattenuto dal rispondere a tutti gli stimoli che il cervello gli stava mandando: una vocina gli suggeriva di morderle il dito, intrappolare il polso, scattare in piedi e trascinarla sul retro, invece rimase semplicemente congelato, fissandola con l'espressione distante di un paziente sotto morfina. Quando si ricordò di avere del cibo in bocca fu troppo tardi. Gli andò di traverso e tossì nel tovagliolo, correndo alla birra per calmare gli spasmi. Al ragazzino alla cassa non era sfuggita la scena, e se la rideva sotto i baffi.
    « Ma che cazzo fai, sei impazzita? » tossicchiò, riprendendo fiato. Per qualche motivo era arrabbiato, in primis con sé stesso per la magra figura. Non capiva proprio cosa ci fosse di sbagliato nel fare certe cose con lui, agiva e basta, come se ogni tocco non fosse una scarica elettrica sui nervi. Stavolta schivò la gomitata e si alzò in piedi per ordinare un'altra birra, stritolando nel pugno quella vuota.
    - Adesso che problema ho? Non è il momento di fare il lunatico. -
    Stavano succedendo troppe cose, troppo in fretta. Accettava un appuntamento, gli ripuliva la bocca, e poi cos'altro doveva aspettarsi? Sperò davvero che non fosse tutto un gioco a chi tirava più la corda.
    Ignorò la vibrazione del cellulare in tasca, perso in mille ragionamenti, e quando tornò al tavolo Altayr stava leggendo qualcosa sul suo. Posò in modo non molto delicato la lattina tra loro e liberò un lungo sospiro alla ricerca della compostezza perduta.
    « Rosso numero uno ci ha ricordato che abbiamo un pomeriggio da trascorrere a spettegolare anziché suonare tutti insieme. »
    « Per fortuna ho già bevuto. Andiamo, c'è il bus tra un quarto d'ora. » Il tono non era esattamente allegro come avrebbe voluto, si sentiva ancora una nota di risentimento. Sperò che la ragazza non ci facesse troppo caso, abituata ai suoi sbalzi d'umore.
    Trangugiò la lattina in fretta e si caricò lo zaino su una spalla, uscendo sulla strada più trafficata in prossimità dell'ora di punta. Rimase in silenzio fino alla fermata dell'autobus, mormorando monosillabi di tanto in tanto con gli occhi persi verso un punto distante. Come si aspettavano il mezzo era pieno di persone che uscivano da uffici e negozi della zona, e dovettero farsi strada a spintoni. Izar trovò un angolo libero accanto alle porte in fondo dove sarebbe stato facile scendere di lì a poco, e si frappose tra Altayr ed il casino di gente che urtava ad ogni curva, schermandola con la schiena. Messo di fronte a lei, senza possibilità di fuga, non poté far altro che guardarla. Chissà se faceva sul serio, o se trattava tutti gli amici a quel modo. Piantò una mano a lato della sua testa per non schiacciarla quando l'autobus frenò bruscamente, ma era comunque troppo vicino.
    « Non farlo più, per favore » disse in tono cupo, forse troppo basso.
    « Non è uno scherzo con te. »

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

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    eppure Noel fosse rapito dagli occhi dorati di Evelya, che ovunque sembravano poggiarsi tranne che sul viso del ragazzo per più di qualche secondo, e le labbra rosee che mostravano sorrisi impacciati ma sinceri, e l'acconciatura ordinata che le donava un aspetto regale degno della scuola che frequentava, sebbene non sapesse dove guardare perché Evie era splendida sotto qualsiasi aspetto, non poté fare a meno di buttare ogni tanto uno sguardo al bicchiere che teneva tra le mani: più vuoto che pieno, lo stava torturando in maniera quasi... dolorosa, forse. O almeno, se lui fosse stato quel bicchiere avrebbe sofferto parecchio. La ragazza sembrava davvero agitata, tanto che sembrava stesse facendo uno sforzo enorme per riuscire a non far morire le parole in gola, e la cosa fece sorridere Noel, che dal canto suo appoggiò un gomito sul tavolino e la guancia sul palmo aperto della mano, il braccio destro ancora sulla gamba, con fare disinibito, come se in quel momento il caffè non fosse gremito di persone e fosse un posto speciale solo per loro due. Non gli venne neanche il dubbio che potesse avere un'espressione da ebete a guardarlo dall'esterno, era solo felice di sedere allo stesso tavolo della ragazza alla quale non riusciva a smettere di pensare dalla scorsa notte. Era strano indossare la stessa divisa e ritrovarsi a chiacchierare in un posto simile, e tutto ciò sottolineava nuovamente quanto fossero differenti, ma la cosa non lo preoccupò: gli bastava guardare il bicchiere tutto ammaccato per capire che anche Evelya era nervosa, non era l'unica a sperare di non dire nulla di imbarazzante o non fare brutta figura, e che quindi, forse, c'era una possibilità. Al complimento sulla sua voce reagì distogliendo lo sguardo e ringraziando con modestia, ed il sorriso di Noel si fece ancora più grande. Il profilo perfetto della ragazza si stagliava in controluce rispetto alla finestra alla sue spalle, mettendo in risalto il naso piccino e le ciglia lunghe. Un dipinto. « Grazie, ma non sono niente di ché. » fece Evelya, ma Noel volle rincarare la dose. « Guarda che dico sul serio, sei stata fantastica poco fa! » disse, ribadendo il concetto una seconda volta, e lo avrebbe fatto anche una terza o una quarta se fosse stato necessario. Non poté fare a meno di immaginare come le loro voci sarebbero state insieme, e la sola fantasia gli fece toccare il cielo con un dito. Una vocina nella sua testa - piuttosto lontana e poco chiara - gli suggerì di darci un taglio, ma ovviamente decise di non ascoltarla. Anche solamente guardarla, senza nemmeno toccarla, lo rendeva felice, quindi perché smettere? « Mi piacerebbe molto ». La risposta della ragazza alla sua proposta di cantare insieme lo rese, se possibile, ancora più euforico di quanto già non fosse: ecco, già cominciava ad immaginare quanto sarebbero stati belli i loro figli saltando a piè pari il matrimonio. Era sulla via del non ritorno. « Non pensavo ti fossimo piaciuti, sai? Anzi, temevo che tutto il caos di ieri sera ti avesse spaventata. ». Le sorrise, mentre la osservava distruggere il bicchiere e notò che c'era ancora del caffè dentro. « Faremo altri show a Lancaster, ovviamente sei invitata. » aggiunse, sforzandosi di mantenere un tono della voce abbastanza basso, anche se fosse stato per lui si sarebbe messo ad urlare per la felicità, ma doveva impegnarsi ad uniformarsi agli studenti e al personale della Ripley, che mantenevano un certo portamento in qualsiasi occasione. Probabilmente esisteva un manuale di bon ton da seguire pure per andare in bagno. E se fosse stato davvero così, non se ne sarebbe sorpreso. « Cioè, se ti va. Non sei costretta. » ridacchiò, temendo che la frase precedente suonasse più come una specie di ordine più che un invito genuino, e si allentò un poco il nodo della cravatta, quel tanto per far passare un filo d'aria. Ma quelli lì non avevano una divisa estiva? Il caldo si stava inesorabilmente avvicinando, e quel povero disgraziato di Noel non poteva neanche tirarsi un po' su le maniche della giacca perché altrimenti si sarebbero visti i tatuaggi e doveva comunque stare attento a non aprire troppo il colletto della camicia per rispettare quello che sembrava il dress code dell'ambiente altolocato in cui si trovava. Uno strazio. A quel « Sono contenta di rivederti. » pensò davvero di stare sognando, e il suo cuore saltò un battito. Era felice di rivederlo, così come lo era lui. Da quando i loro sguardi si erano incrociati in mezzo alla folla era rimasto folgorato e non aveva pensato a nient'altro se non a lei, e sentire che era addirittura contenta di essere riuscita ad incontrarlo ancora... Sì, decisamente un sogno, non avrebbe saputo definirlo in altro modo: si trovava davanti alla ragazza più bella del pianeta con la quale sembrava avere una remota possibilità, la luce del sole entrava dalle finestre e le sottolineava i tratti delicati del viso come fosse un quadro, il profumo del caffè e delle paste a pizzicargli il naso facendogli capire che non si stava immaginando tutto, la protesi non gli faceva neanche più così male, e lei non stava più torturando il bicchiere. In un gesto calmo e controllato, Evelya incrociò le mani sotto al tavolo, e Noel, inizialmente, non poté che esserne rassicurato: magari la ragazza ora si sentiva abbastanza a suo agio da non sentire il bisogno di tenere qualcosa in mano e muoversi continuamente per sfogare l'agitazione, ma il tono che utilizzò poco dopo gli fece dubitare dell'interpretazione che aveva dato a quel comportamento. Era calma, sì, ma distaccata, ma forse era l'emozione che gli faceva brutti scherzi. Aveva così tanta paura di giocarsi la possibilità di uscire con lei e non piacerle che si stava inventando le cose, sicuro. Quando lo chiamò per nome dopo pochi secondi di silenzio si mise dritto, inconsapevolmente, con la schiena, fino ad ora ricurva sul tavolino, e senza riuscire a spiegarsi il motivo una voragine si aprì all'altezza dello stomaco, facendogli trovare rivoltante tutti i profumi che si mescolavano nella caffetteria. « Vorrei sapere se... », cosa voleva sapere? Perché ci metteva tanto?
    « Insomma, sei venuto fin qui e... », e? E cosa? Lui avrebbe continuato la frase di lei con "e ti ho ritrovata dopo aver avuto paura di non rivederti più ed aver fatto la figura del coglione", ma aspettò, perché magari stava fraintendendo tutto e ciò che voleva chiederle lei era l'opposto di quello che avrebbe voluto dirle lui. Era quello che sperava. « Perché io? ». Se lo aspettava, tutte quelle pause e il volume della voce che si faceva sempre più basso non potevano che portare ad una domanda del genere, eppure Noel strinse con forza un lembo di stoffa dei pantaloni e deglutì come se quelle parole lo avessero colto impreparato. « Perché non ho fatto altro che pensare a te da quando ti ho vista. » rispose senza pensarci su, senza fare pause, senza aspettare. Doveva dissipare ogni dubbio che la ragazza aveva su di lui e su di lei, e fu certo che Evie non gli avesse fatto quella domanda per metterlo alla prova, ma perché lei era la prima a non credere che qualcuno potesse spingersi così in là per rivederla. Il solo pensiero lo fece sentire male, quando Noel era fermamente convinto di essere seduto allo stesso tavolo di una persona piena di potenziale e dall'animo gentile. « E ho violato qualsiasi regola di questa scuola pur di rivederti, e non l'avrei fatto per nessuno se non per te. » Vide gli occhi di Evelya spegnersi, come se avesse posto quella domanda più a sé stessa che a lui, e a vedere la tristezza nello sguardo di lei la verità lo travolse come un treno in corsa: qualsiasi cosa le avesse detto, lei non ci avrebbe creduto. « Perché non - », « O forse qualcuno che conosci studia qui e ci siamo incontrati per caso? »., « No, nessun caso, io sono venuto a cercarti. », « Mi sembra assurdo che tu... per me, che non c'entro nulla con... »., « Evie, ti prego, ascoltami. » fece alla fine, tentando di porre fine alla spirale di pensieri negativi della ragazza, e in quel momento Evelya si coprì il viso con le mani, mentre Noel portava entrambe le braccia sul tavolino e si sporgeva verso di lei. « Davvero non credi che io possa essere interessato a te? » chiese in un sussurro, sopprimendo la voglia che aveva di prenderle le mani e stringergliele forte. Non l'avrebbe costretta a fare nulla e non l'avrebbe toccata, seppure il contatto fisico fosse l'unica forma di supporto che conosceva, ma vederla in quello stato era straziante. « Eppure lo sono, eccome se lo sono. Altrimenti non sarei qui. ». Le parole di un semi sconosciuto non l'avrebbero toccata, lo sapeva bene, ma non poteva fare a meno di chiedersi come una ragazza così bella e talentuosa potesse svalutarsi così tanto. « E non m'importa se veniamo da mondi completamente differenti, mi cucirei questa divisa addosso pur di stare con te. ». Finalmente la ragazza tolse i palmi dal volto, tornando a posarle sulla gonna, ma non lo guardò. Le iridi brillanti della ragazza sostarono sul bordo del tavolo e lì rimasero, e Noel temette che non avesse neanche sentito quello che aveva detto fino ad ora nella speranza di tirarla su di morale. « Vorrei conoscerti meglio, perché sembri una ragazza interessante, e - », « Scusa, non so che mi prende. ». Noel non riuscì a finire la frase perché le parole le morirono in gola a vederla in quello stato: stava tentando di riprendere il controllo di sé stessa, per quanto difficile, e l'emozione e la contentezza di poco prima sembravano fossero svaniti nel nulla. Sovrappose l'espressione che aveva visto sul viso di Evelya quando era entrato in caffetteria, nel panico ma su di giri, con quella che aveva in quel momento, afflitta e fintamente dignitosa. Forse in passato qualcuno le aveva fatto credere di non valere granché, ed ora la concezione che aveva di sé stessa era ben lontana dalla realtà dei fatti. Eppure la scarica elettrica che aveva sentito lungo la schiena quando l'aveva sentita cantare e il battito accelerato del suo cuore quando l'aveva vista seduta ad aspettarlo in caffetteria non gliel'aveva fatto provare nessuno se non lei. « Evie, non ti ho chiesto di cantare insieme perché trovo la tua voce "niente di ché", e non mi sono infiltrato in una scuola che non è la mia per farti uno scherzo. Io sono venuto fin qui per te. ». La guardò, sperando fino all'ultimo che alzasse finalmente lo sguardo su di lui, « Non è una presa in giro, non è una coincidenza, sei sempre stata tu. Voglio conoscere te. ». Il bicchiere di carta stava lì, tra di loro, ancora ammaccato, ancora col caffè dentro, ma Evie non l'aveva più sfiorato.

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    Dove cazzo era finito Cain? Santo cielo, si sentiva la gamba buona di gelatina, e quella finta gli faceva un male cane, voleva solo sedersi, e sentiva lo sguardo degli studenti che ancora stavano nei corridoi - non ne erano rimasti molti, forse si stava avvicinando la fine dell'intervallo - su di sé, percorrerlo da capo a piedi. Era normale, non l'avevano mai visto in giro e zoppicava, in quanto aveva fatto il giro della scuola in lungo e largo senza riuscire a trovare il compagno, ed era terribilmente stanco. Come se non bastasse, Evelya era sparita in tutta fretta nei corridoi della scuola, salutandolo con uno sguardo triste e mille scuse che lui non era riuscito a sentire: da quando l'aveva vista alzarsi il suo cervello si era spento, e alle orecchie non gli erano arrivati che suoni confusi. Non aveva fiatato, non volendo farla rimanere lì contro la sua volontà, e nel vederla allontanarsi i colori e le forme si erano mischiati e non aveva capito più nulla, forse nel tentativo di accettare la realtà dei fatti e non insistere. Oppure per lo shock, poiché una reazione del genere non se lo aspettava. Ripensare alla loro conversazione lo faceva solamente star male, perciò, da una parte, era un bene che non riusciva a muovere un passo senza che la protesi gli facesse vedere le stelle: lo sguardo triste e avvilito di Evelya gli era rimasto impresso nella mente come un tatuaggio. Ora voleva solamente trovare Cain ed andarsene, perché se la ragazza dei suoi sogni non lo voleva intorno non era rimasto nulla da fare se non tornare a casa e concedersi uno sfogo liberatorio prima delle prove. Gli altri membri degli Elysian sottolineavano spesso quanto il loro leader fosse drammatico e prendesse tutto un po' troppo seriamente, ma le sue crisi gli regalavano spesso la miglior ispirazione, facendogli scrivere interi testi in poche ore o completare le canzoni che proprio non sapeva come continuare e aveva lasciato nel dimenticatoio per mesi. Non gli era mai passato per l'anticamera del cervello che i suoi amici potessero avere ragione, ed avrebbe affrontato la sua ennesima delusione d'amore con tutta la tragicità che lo contraddistingueva: era arrivato alla Ripley davvero convinto che Evelya potesse essere quella giusta se gli avesse concesso di conoscersi meglio, ma a quanto pareva i suoi sentimenti, che lui sapeva già essere piuttosto intensi, altrimenti tutta quell'euforia nel vederla e tutta la tristezza nel lasciarla non avrebbero avuto senso, non erano ricambiati. Ma poteva capirla, lui era uno sconosciuto che viveva la sua vita tra un pub e l'altro e si circondava di persone all'apparenza poco raccomandabili, altro che organista con un'uniforme perfettamente stirata. Magari si era veramente fatto troppi film mentali, e la prima cosa che gli venne in mente appena girò all'ennesima curva dell'ennesimo corridoio senza trovare Cain fu il "te l'avevo detto" esclamato all'unisono da tutti e tre gli Elysian mentre imbracciavano gli strumenti, pronti a suonare, una volta arrivati alle prove. O forse Cain no, stavolta non gli avrebbe detto nulla, perché era stato lui ad ideare quella follia. Chissà se lo aveva rivisto dopo le lezioni: la reazione dell'albino - di cui non ricordava il nome, glielo aveva detto? Amos? Abram? Santo cielo, era proprio una schiappa - non era stata granché positiva. Ma Noel conosceva i suoi polli, ed era sicuro che Cain, testardo com'era, avrebbe insistito fino a risultare fastidioso. Forse quindi anche lui era stato rifiutato ed ora vagava per l'edificio alla sua ricerca. Non glielo augurava, però le premesse non erano buone, ed era preoccupato. Nel peggiore dei casi, si sarebbero andati a fare una bevuta e avrebbero pianto insieme ubriachi marci in mezzo al nulla, non sarebbe stata la prima volta.
    Vedendo un grande portone in fondo al corridoio semi-aperto che si affacciava su quello che sembrava un cortile, Noel decise di dirigersi lì, sperando di ritrovare l'amico per raccontargli l'accaduto. La luce del sole lo costrinse a coprirsi gli occhi appena uscì fuori, e constatò, quasi con fastidio, che pure un misero cortile di quella scuola sembrava un giardino fatato: l'erba era curatissima, le panchine pulitissime e candide, fiori variopinti e alberi a creare zone d'ombra, il tutto pulitissimo e ordinato, e gli diede il voltastomaco. Era stanco di vedere lampadari di cristalli e persone tutte in tiro quando era abituato a tutt'altro tipo di ambiente e con i benestanti, oramai, non ci aveva quasi più nulla a che fare, e pensare ad Evelya non lo stava facendo sentire meglio. Finché era rimasto dentro gli era sembrato di vagare in un labirinto: non sapeva dove si trovava né dove stava andando, le voci degli studenti si mescolavano tra di loro fino a trasformarsi in un fastidioso ronzio e gli sembrava di girare intorno, come se non si stesse in verità muovendo di un passo, ed ora uscire all'esterno lo sollevava. Fece abituare gli occhi al sole, togliendosi la mano dal viso, e avanzò lentamente di qualche passo per controllare se Cain fosse nei dintorni. Si appoggiò ad un albero lì vicino e la mano corse subito sul punto della gamba a contatto con la protesi, cominciando a massaggiarsela mentre si guardava intorno. Con la mano libera si allentò ancora il nodo della cravatta, stavolta allargandoselo di un bel po', e slacciò i primi due bottoni della camicia senza farsi troppi problemi: aveva caldo, c'erano poche persone, era ora di andare via. Non voleva rimanere lì se Evie non voleva vederlo, e non sarebbe andato contro la sua volontà, dunque non aveva proprio nulla da fare alla Ripley, ormai. Prese un bel respiro per mitigare il dolore, che già si stava affievolendo visto che si era fermato, ma aveva proprio bisogno di sedersi, non ne poteva più. Finalmente la sua attenzione venne catturata da una zazzera di capelli rossi, e capì all'istante che si trattasse del batterista perché vicino a lui scorse una figura dalla chioma chiarissima, in parte coperta da un albero. Fece un altro grosso respiro prima di staccarsi dal tronco per raggiungerli, zoppicando in maniera fin troppo evidente, e per questo si sforzò ad aumentare l'andatura per riunirsi all'amico e poggiare il suo bel fondoschiena su quell'appetitevole panchina e far riposare, finalmente, la sua povera gamba. « Ehy, Cain! » esclamò quando fu abbastanza vicino, e non seppe decifrare lo sguardo che l'amico gli diresse. Non ci indugiò più di tanto, e si fermò proprio di fronte a lui, piegandosi appena e poggiando le mani sulle ginocchia come se avesse corso per migliaia di chilometri. « Oh, ehy, ciao » aggiunse in seguito appena si ricordò che, in effetti, Cain aveva ricontattato la sua ex straricca e rischiato di finire in guai seri per quel ragazzo che ora gli sedeva a fianco. « Ciao. » gli rispose lui in un tono piuttosto distaccato, forse titubante. « Ti ho trovato finalmente. » sospirò, e appena si rimise dritto il dolore alla gamba si fece risentire. Spostò il peso sulla gamba sana, dando a quella fantoccia un po' di respiro. « Posso sedermi qui con voi? Sono triste e dolorante, ho bisogno di un po' di compagnia. » si sforzò di sorridere, ma forse quello che esibì era solamente una smorfia triste. Aspettò pochi secondi prima di piazzarsi esattamente tra i due, con tanto di "Scusatemi, fatemi spazio che ho il culo grosso", e appena si sedette tirò un lunghissimo sospiro di sollievo, allungando sia la schiena sia le gambe e portando il sedere al limite della panchina. Okay, sì, ora stava decisamente meglio. Il dolore alla gamba, ora finalmente a riposo, stava passando mano a mano che lui la massaggiava, e un altro dolore sopraggiunse su quello fisico, facendolo sospirare di nuovo. « Evelya è andata via. » disse, e, inevitabilmente, la scena gli tornò in mente, rivivendola per l'ennesima volta da quando lei l'aveva lasciato senza parole al tavolo della caffetteria. La rivide accoglierlo con entusiasmo per poi rabbuiarsi tutto d'un tratto, le parole che le uscivano a fatica con il dubbio che Noel fosse venuto lì per fare tutto tranne che incontrare lei, quando Evie non si rendeva davvero conto di quanto bella e talentuosa fosse. Se uno dei due non era al livello dell'altro, quello era sicuramente Noel, che, ci avrebbe messo una mano sul fuoco, era tutto il contrario del suo uomo ideale. « E credo non voglia vedermi. ». Il suo sguardò volò verso l'alto e si mise ad osservare le foglie dell'albero sopra di loro che evitavano che la luce accecante del sole lo ferisse agli occhi, schermandola. « Forse sono stato precipitoso. Credevo anch'io di piacerle e ho agito d'impulso. ». Noel si portò la mano libera sul viso, facendola strisciare dal mento fino agli occhi per poi passarsela tra i capelli in maniera quasi stanca. Ci aveva creduto troppo, aveva dato per scontato molte cose, e magari questo l'aveva spaventata, fino a portarla a credere che lui fosse arrivato alla Ripley per giocarle un brutto scherzo. « Pensate, mi ha addirittura chiesto perché sono venuto fin qui. Non è abbastanza ovvio? Io volevo... », si interruppe di colpo, perché un groppo gli salì alla gola e si fermò prima che gli si potesse rompere la voce. Dio, era proprio patetico, e proprio davanti a Cain e ad un tipo che lo guardava con la stessa intensità di una statua dell'isola di Pasqua. « ... io volevo vederla di nuovo. », disse, gettando la testa all'indietro subito dopo e prendendosi qualche secondo per riprendere il controllo di sé stesso. Riconosceva da solo che quello che c'era stato tra loro non era stata una straziante storia d'amore, anzi, tutt'altro, non c'era stato proprio niente, il nulla cosmico, zero assoluto, e rattristarsi o addirittura piangere per una roba del genere era davvero esagerato, ma Evelya gli aveva scaldato il cuore fin dal primo momento, e glielo aveva lasciato lì, su quel tavolino della caffetteria. Chissà se sarebbe mai tornata a riprenderlo.

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    Ci aveva fatto caso, al braccio buttato sullo schienale della panchina in corrispondenza delle sue spalle, non era cieco. E notò anche una sorta di pick up line, perché non era sordo. Con un tipo come Cain, che flirtava per sport, bisognava sempre prestare la massima attenzione, perché ogni movimento era studiato e qualsiasi parola detta non era messa lì a caso. Ad Abel non piacevano particolarmente quel tipo di attenzioni: chiunque si comportava in quel modo non sembrava interessargli molto di come si sentisse chi le riceveva, bensì era tutto un tornaconto personale, una soddisfazione, un quadratino sulla lista da spuntare, nulla di più. E Cain non gli sembrava diverso: sguardo languido e tagliente, sorriso di chi la sa lunga e risposta sempre pronta. Tuttavia, se non gli rifilava una frase di rimorchio ogni due frase non era così male conversarci: gli dava l'idea di uno di quelli che, in caso di emergenza, mandava avanti la conversazione da solo e tutto ciò che avrebbe dovuto fare Abel era rispondere a monosillabi. Ad avvalorare la sua tesi infatti, Cain prese la palla al balzo, dando fiato alla bocca ogni volta che Abel diceva qualcosa. Comodo, e perfetto per distrarsi per qualche minuto prima di rientrare in aula. Non aveva proprio voglia di vedere la faccia di Raphael, non voleva sentire il suo violino col suo pianoforte, non voleva che il professor Emberthorn lo costringesse ad averci a che fare perché "dovevano essere in armonia". Stare con Cain era decisamente un programma più appetibile. Non aveva mai avuto a che fare con tizi come lui, non per più di un paio di minuti, almeno. Non era mai stato un tipo molto sociale, non usciva se non quando sua sorella lo costringeva o per accompagnare Evie da qualche parte. O per incontrare Raphael fuori dalle mura scolastiche, ma i momenti insieme gli parevano ricordi sbiaditi. Ora di fronte a lui c'era un tipo completamente diverso dal suo ragazzo, estroverso, diretto e pieno di sé, e ancora si domandava cosa ci facesse lì, stretto nella divisa blu zaffiro della Ripley chiaramente fuori posto. Non poteva essere serio nei suoi riguardi, non uno del genere. Non un batterista di una rock band illegalmente bello al quale sarebbe bastato schioccare le dita per avere una stuoia di donne e uomini che avrebbero pagato per stare seduti su quella panchina come Abel in quel momento. Alzò un sopracciglio per la sorpresa quando gli disse di ben tre concerti programmati e della loro intenzione di partecipare ad un festival estivo, e non era per niente male. « Buona fortuna allora. Non deve essere facile farsi conoscere nell'ambiente. » commentò, giocando distrattamente con uno dei bottoni della giacca, « La Ripley ha un sacco di agganci, per noi una volta finita la scuola è molto più facile. ». Non sapeva nulla di come erano messi gli Elysian, ma dubitava che quei quattro riuscissero ad arrivare a fine mese con ciò che la band gli fruttava: gruppi più famosi difficilmente si esibivano in pub come quello in cui li aveva visti la sera precedente. Ciò significava che facevano altri lavori per mantenersi, o che ancora studiavano. Gestire tutto insieme non doveva essere facile. « Quindi il pianoforte, eh? Devi essere un cazzo di genio per studiare qui. ». Cain cambiò discorso, e l'albino fece spallucce. « Me la cavo, in effetti. », « Non ho capito che avesse da urlare il tuo professore. », « Ah, Emberthorn. » sospirò facendo il nome di una delle persone che avrebbe volentieri preso a sberle con una sedia. La lezione di quella mattina era stata più pesante del solito dato che il saggio di fine anno si stava avvicinando ed Evelya si rifiutava di sottostare alle direttive del professore che li seguiva. Stava diventando un incubo stare dietro a quei due, e più i giorni passavano più vedeva Evelya diventare nervosa e triste. « Lui vorrebbe che suonassimo un brano di chiesa per il saggio di fine anno, ma quella di stamattina non era esattamente musica sacra. » spiegò, cercando di tenersi il più breve possibile per evitare domande scomode. Evitava sempre di parlare di affari che non lo riguardavano - parlava a malapena dei suoi, di affari - ed inserire Evelya in una conversazione con qualcuno che non conosceva era fuori questione. E in più quel qualcuno era pure pappa e ciccia con un ragazzo che si era appena preso una sbandata per lei, voleva evitare che gli andasse a riferire qualcosa. La sua amica aveva già abbastanza problemi a cui pensare. « Lo suonavo anche io da piccolo, solo che gli mancavano dei tasti e non ho mai scoperto che rumore facessero. ». Abel aggrottò le sopracciglia, confuso: lui, un ex-pianista? « Mi stai prendendo in giro. » fece in un sospiro, perché uno come Cain era lontanissimo dal concetto di pianista che aveva lui: chi suonava il piano era elegante, intenso, con la testa sulle spalle. Abel era una pianista, e ne andava fiero. Immaginare il rosso seduto sullo sgabello con un abito da sera davanti ad un piano gli era impossibile. Forse lo stava davvero prendendo in giro, giusto per dire qualcosa e trovare delle cose in comune di cui parlare. « Magari puoi farmeli sentire tu, qualche volta. ». Eccolo, che partiva alla carica. Abel digrignò i denti e l'altro, pronto, tirò fuori il telefono già sbloccato, con il display fermo sull'app dell'orologio col timer che segnava ben quattro zeri. « Lo so che i cinque minuti sono finiti. » replicò, nervoso, « Ma questo non significa che mi piaccia. ». Lo sguardo dell'albino passò dal telefono a Cain, poi ancora al telefono e poi di nuovo Cain, così fino a quando lui non mise via il cellulare e lì non gli rimase che guardare il ragazzo. E che grande errore fu, quello di sostenere il suo sguardo per più di un paio di secondi. Gli bastò davvero poco per sentirsi la gola secca e lo stomaco sottosopra, e non andava per nulla bene. Cain non era il suo tipo ideale. Cain non era pacato, non era rispettoso del suo spazio personale, non parlava poco. E in più era un armadio pieno di tatuaggi. I ragazzi come lui ci mettevano poco ad infastidirlo ed Abel, dal canto suo, ci metteva poco ad allontanarli: occhi rivolti al cielo per far capire che o se ne andavano o se ne andavano e un paio di parole taglienti per ribadire il concetto prima di andarsene senza degnarli neanche di uno sguardo. Eppure, col rosso non ci riusciva. Lui gli chiudeva una porta in faccia - nel senso più letterale - e l'altro stava ancora lì, testardo come pochi, ad aspettarlo. Lui gli diceva di star zitto per cinque minuti, e Cain lo rispettava pur di non lasciarselo scappare. Cain era racchiuso in quell'eppure, ed era una strana sensazione dato che non aveva mai fatto eccezioni per nessuno. Forse proprio perché si discostava così tanto dal suo principe azzurro che ne era così affascinato e non riusciva a dirgli chiaro e tondo di lasciarlo in pace. « Avrei dovuto chiederti più di cinque minuti. Sei diventato di nuovo insopportabile. » fece, fingendo di sistemarsi la frangia per abbassare per pochi attimi lo sguardo per poi ritornare a guardarlo. Aveva bisogno di una pausa, guardare quei diavolo di occhi verdi stava diventando difficile. « Non ci sto provando, è solo curiosità. ». Certo, come se ci cascasse. « Mh. », « Se non sei già impegnato, ovviamente. ». Ecco, a quelle parole gli parve di non riuscire più a respirare. Deglutì la sua stessa saliva e ogni parte del suo corpo si irrigidì, e sperò vivamente che Cain non fosse molto perspicace. Contò sulla sua grande abilità nel nascondere i propri pensieri dietro una maschera inespressiva affinata negli anni, e sul momento si chiese come mai così tanta esitazione nel dirgli che sì, ufficialmente era impegnato. Poteva essere la sua possibilità per sfuggire alle grinfie di Cain, forse così l'avrebbe lasciato andare, ma invece stette zitto. Poteva mentire spudoratamente, perché in teoria aveva già un ragazzo, che poi in pratica la loro relazione fosse una tragedia era un altro paio di maniche, ma non fiatò. Decise di scavalcare la domanda a piè pari. « Fammi il piacere. Se tu non ci stai provando io non suono il pianoforte. » nel dirlo appoggiò il mento sul palmo aperto della mano, fingendo che tutto andasse bene, quando in verità da una parte aveva un ragazzo morboso ma terribilmente affascinante dal quale era inspiegabilmente attratto - e neanche tanto inspiegabilmente - e dall'altra c'era il suo fidanzato ad attenderlo, e neppure sapeva se considerarlo tale. « Sai, facciamo le prove in una sala qua vicino, praticamente ogni giorno. ». L'albino trattenne il fiato, intuendo dove l'altro volesse andare a parare: un'uscita insieme. Non lo avrebbe sopportato. Ed il pensiero di trovarsi loro due da soli, ma proprio soli soli, lo faceva uscire fuori di testa, e non in senso positivo. Ti prego, non farti dire di no, stavi andando così bene. C'era proprio bisogno di chiedere se volessero uscire insieme, vero? Era tutto troppo veloce, e lui non era per niente pronto. « Se ti va puoi tenerci compagnia, e poi usciamo a mangiare qualcosa tutti insieme. ». Impiegò qualche secondo a metabolizzare l'ultima parte della frase, capendo così che non sarebbero stati da soli in caso fossero usciti davvero insieme. Dapprima la cosa lo tranquillizzò, poi si ricordò che tipi erano quelli della sua band. « Con tutti insieme intendi... Con i tuoi amici della band? » fece, tentando di nascondere la preoccupazione. Perché un conto era sopportare Cain - da solo era abbastanza fattibile, pendeva dalle sue labbra, per un po' poteva farcela -, un conto era sopportare Cain e i suoi amici, pregando che non andassero d'accordo perché avevano lo stesso carattere. Il tipo che si era invaghito di Evelya pareva essere simile a Cain, o comunque chiunque con un po' di sale in zucca non si sarebbe infiltrato in una scuola violando ogni regola morale possibile per incontrare una tipa che aveva visto di sfuggita in mezzo alla folla, e già lui era pericoloso. Il bassista e la chitarrista non se li ricordava bene, ma sperava che almeno uno dei due avesse la testa sulle spalle. « In ogni caso è solo una proposta, puoi rifiutare e non me la legherò assolutamente al dito. ». Okay, gli aveva lasciato un po' di spazio di manovra, non sembrava volere una risposta immediata, e lo ringraziò tra sé e sé. Perché, su due piedi, non sapeva proprio cosa fare: sapeva che una proposta del genere la faceva a chiunque incontrasse e non voleva guai, dall'altra... beh, dall'altra si era preso una sbandata niente male, per quanto non volesse ammetterlo, ma rinchiuse la vocina che gli suggeriva di assistere alle prove degli Elysian quella sera stessa in un angolo remoto della sua mente. « Certo, si vede che non sei un tipo che se la prende per delle sciocchezze simili. » commentò, ed alzò un angolo delle labbra, giusto per far capire che aveva provato a fare una sottospecie di battuta. All'improvviso, sentì il bisogno impellente di scappare. Da quando Cain aveva nominato Raphael - involontariamente, s'intende - non si sentiva più a suo agio. Era come se avesse rovinato l'unica cosa positiva di quella giornata, e non riusciva proprio a distrarsi con Cain, non più. Tanto anche lui si sarebbe stancato se mai gli avesse dato una possibilità. Sempre se Cain fosse davvero interessato a lui, intendiamoci. Sospirò prima che quei pensieri negativi lo inghiottissero, cercando di allontanarli per concentrarsi sulla conversazione e non pensare a Raphael. « Ci penserò. » fece alla fine, perché non gli voleva dire di no, ma neanche sì. Era sinceramente combattuto, e una parte di lui voleva allontanarlo perché sentiva quella chimica che c'era tra loro come sbagliata, e un'altra avrebbe voluto chiedergli di restare ancora un po'. « Ma sappi che non mi fido dei Don Giovanni come te, per voi le persone sono premi da esibire in vetrina. E io devo ancora capire se mi stai raccontando un sacco di frottole o meno. » disse, stavolta guardandolo negli occhi con una determinazione che non gli apparteneva. Quello era un avvertimento diretto sia a Cain sia a sé stesso, perché stava rischiando davvero grosso, e la parte razionale del suo cervello gli stava dicendo di scappare, e pure alla svelta.
    « Ehy, Cain! ». Una voce familiare sovrastò quella di Abel, che subito si girò verso l'origine del suono. L'amico con il quale Cain aveva fatto irruzione alla Ripley quella mattina si stava avvicinando alla loro panchina, e non poté fare a meno di notare che zoppicava. Aggrottò le sopracciglia d'istinto come faceva sempre quando non era pronto ad affrontare una situazione nuova, e subito si voltò di nuovo verso Cain, che però sembrava sgomento quanto lui. « E' il vostro cantante quello, giusto? » chiese per conferma, per poi guardare di nuovo verso il ragazzo, stavolta a pochi passi da loro. Non fece in tempo a chiedere se si fosse fatto male che Noel - si ricordava il suo nome perché Evie non aveva fatto altro che parlare di lui da ieri sera - piombò davanti ai due ragazzi, addirittura salutando Abel, che ricambiò con un « Ciao. » piuttosto incerto. Lo sguardo dell'albino volava da Noel a Cain, non sapendo davvero come il cantante avesse fatto a trovarli, ed ora che li aveva visti così vicini si trovò in imbarazzo. Quando l'ultimo arrivato chiese se poteva sedersi con loro, Abel guardò di nuovo il batterista, non sapendo davvero cosa fare e rimanendo pietrificato sul posto, per poi vedere Noel che già si faceva spazio da solo senza fare complimenti, e quindi si spostò senza fiatare. Lo sentì sospirare, come se si fosse tolto un grosso peso, ed il suo primo pensiero fu che, effettivamente, si era fatto male e per questo cercava Cain. Ma Evelya dov'era finita? Perché non erano insieme? « Evelya è andata via. ». Noel rispose alla sua domanda senza che lui dovesse porgergliela, ed Abel sbatté le palpebre un paio di volte incredulo prima di spostare l'attenzione su di lui. Non disse nulla, ma non poté fare a meno di chiedersi il motivo: da quello che aveva intuito, Evie non aspettava altro che incontrarlo di nuovo, ed era, sì, spaventata all'idea che Noel l'aveva raggiunta alla Ripley, ma era sicuro che fosse euforica all'idea di rivederlo tanto presto. Forse l'unico pensiero felice che aveva avuto dall'inizio del nuovo semestre a quel giorno. Cosa l'aveva spinta ad allontanarsi? « E credo non voglia vedermi. ». Il mistero si infittiva, ma se la conosceva bene allora il motivo poteva essere solo uno: loro due erano più simili di quel che pensavano, ed entrambi avevano paura. Paura che quei due fossero lì solo per divertirsi un po', che potessero andarsene velocemente come erano arrivati. Se fosse stato così non l'avrebbe biasimata, ma o Noel era un attore davvero convincente, o era veramente distrutto dal dolore e non stava fingendo. Guardò Cain di nuovo, suo unico punto di riferimento in quella situazione, e si chiese se per lui fosse lo stesso, se anche lui avrebbe reagito così se Abel gli avesse detto di andarsene. Se per lui contava davvero qualcosa come gli aveva quasi fatto credere. Noel continuò a parlare e quando quasi gli ruppe la voce l'albino guardò da un'altra parte per l'imbarazzo. Santo cielo, ma sul serio? Pure il piantino adesso? Ma quanti anni aveva, otto? Conosceva Evelya da a malapena dodici ore! Tuttavia, nonostante si sentisse a disagio all'idea di vederlo piangere, la frase che disse in seguito gli fece stringere lo stomaco, e in quel momento si convinse che a Noel importava davvero qualcosa di Evie, e non sarebbe andato contro la sua volontà se questo l'avrebbe fatta felice. Abel si voltò verso il ragazzo lentamente, che nel frattempo aveva gettato la testa all'indietro, e nel farlo intercettò lo sguardo di Cain. E tu? Avresti voluto vedermi davvero?
    « Contieniti, per carità di Dio. » disse, cercando di farlo tornare coi piedi per terra, perché quel teatrino lo trovava davvero smoderato, « Evelya non è abituata a certe attenzioni, soprattutto così plateali ed esagerate. ». Vide Noel sollevarsi come se gli avesse svelato il segreto della creazione dell'universo, e se possibile si intristì ancora di più. « E non è abituata ad essere la prima scelta di nessuno, quindi neanche lei pensa di valere molto. Le sarà sembrato strano che qualcuno sia genuinamente interessato a lei. » fece con il suo solito tono serio e distaccato, ma la verità era che vederla credere così poco in sé stessa feriva anche lui. Cercava di tirarla su di morale come poteva, anche se non era mai stato un granché, ma tutti vedevano la bontà, la gentilezza, l'intelligenza e la bravura di Evelya, tutti, tranne lei. Da parte sua, Abel le ripeteva più volte che aveva scelto di essere il suo accompagnatore al piano per un motivo, e quel motivo era che lei era una cantante superba. Non avrebbe accompagnato chiunque. Tuttavia, temeva sempre che i complimenti le entrassero da un orecchio per poi uscire subito dall'altro, e si domandava se davvero lo ascoltava o ormai era fermamente convinta di valere poco o nulla che nulla avrebbe potuto farle cambiare idea. Magari Abel non era il migliore degli amici, ma voleva solamente il meglio per Evelya. « Immaginavo si trattasse di una cosa del genere, » fece Noel dopo qualche secondo di silenzio, « ma averne la conferma, wow, fa male. ». Abel annuì, non sapendo cosa altro dire. Il dolore che Evie si portava dentro era enorme e la stava divorando piano piano, precludendole un sacco di opportunità, e proporsi di aiutarla a sostenerlo era difficile, dato che non gliene dava la possibilità: mascherava tutto con un sorriso e, nei casi peggiori, con l'indifferenza che tanto piaceva ai benestanti, esibendo una falsa calma e un tono di voce fastidiosamente cordiale.
    « Mi sembra impossibile che una ragazza del genere possa svalutarsi così tanto. Cioè, è fantastica, sembra perfetta! », « Già, è quello che pensano tutti. ». Non gli sembrava il caso di raccontargli di Azarel e di come la tenesse in gabbia come un uccellino, costringendola a soddisfare le aspettative che la sua famiglia aveva su di lei. Evelya dipendeva in tutto e per tutto da loro, e la sua indole buona non faceva altro che facilitare la vita ai suoi genitori e a quel porco di Azarel. Era anche colpa loro se Evelya era convinta di non valere più di tanto, ma questo Noel non poteva saperlo. « Ho cercato di rassicurarla, ma non credo sia servito a molto. ». Abel fece spallucce dato che conosceva quella sensazione piuttosto bene: non era un asso nell'incoraggiare la gente, ma le poche volte che tentava di supportare Evelya non sembrava avere l'effetto sperato. Già la immaginava, col suo sorriso di cortesia dipinto in viso mentre si lasciava scorrere tutto addosso.
    « Posso fare qualcosa per lei? ». L'innocenza di quella domanda fece sì che Abel riportò l'attenzione su Noel, che a sua volta lo guardava sinceramente abbattuto. « Se non ti vuole vicino c'è ben poco da fare. » gli rispose lui, e ammirava come Noel rispettasse il volere di Evie nonostante andasse contro i suoi desideri. Se i suoi sentimenti erano davvero così intensi doveva essere stata una grossa batosta. « Anche tu hai ragione. » sospirò l'altro, e un sorriso triste si fece strada sulle sue labbra, per poi zittirsi. Nonostante avesse capito che l'interesse che provava per la sua amica fosse genuino, Abel trovava davvero quel tipo di reazioni esagerate e senza senso. Farsi venire il groppo alla gola perché una ti aveva rifiutato? Ridicolo. Noel era quel tipo di persona a cui bastava uno schiocco di dita per ritrovarsi sommerso da persone che avrebbero venduto i propri organi pur di passare qualche ora insieme, figurarsi se aveva difficoltà a trovarsi una ragazza. Quindi perché reagire così male quando Evelya l'avrebbe dimenticata entro sera? Non aveva il minimo senso. « Voi, invece? Come sta andando? » la voce di Noel interruppe di nuovo il silenzio dopo secondi che gli parvero ore, ed Abel quasi saltò sul posto quando si sentì chiamato in causa. La prima cosa che gli venne spontanea da fare fu guardare Cain, e ancora non aveva capito che rischiava un attacco di cuore ogni volta che incontrava il suo sguardo senza preavviso. Sentì le budella intrecciarsi tra loro fino a fargli male, quindi lo abbassò poco dopo. « Ho interrotto qualcosa? ». Maledizione, o Noel era stupido oppure fingeva di non capire un accidente. Il modo in cui aveva posto quelle domande come se stesse parlando delle previsioni del tempo del giorno dopo lo mandava in bestia, e il fatto che la sua attenzione vagasse da Cain a Abel e viceversa come se fosse un bimbo che chiedeva le caramelle ai genitori lo faceva solo innervosire. « No, a dire il vero mi stavo congedando. Tra poco è ora di rientrare in aula. » fece Abel, alzandosi dalla panchina e sistemandosi la divisa. Solamente in quel momento notò come sia Cain che Noel avevano slacciato camicia e allentato il nodo della cravatta, sottolineando il fatto che non fossero abituati ai modi dell'alta società. « Vi consiglio di rientrare al più presto, per il vostro bene. Non penso abbiate ormai qualcosa da fare qui alla Ripley. » aggiunse, guardando prima il cantante e poi il batterista. La campanella sarebbe suonata da lì a poco, e avrebbe voluto solo chiedergli di portarlo fuori di lì. Rivedere Raphael lo faceva sentire male ed in trappola, mentre Cain era la quintessenza della libertà. Non sapeva se avrebbe voluto essere lui o stare con lui. « A presto, credo. » lo salutò con un cenno della mano, ficcandola in tasca subito dopo mentre si incamminava verso l'entrata della scuola. Ogni passo che faceva gli pareva sempre più pesante, come se invece di tornare a lezione stesse andando in prigione. E finché ci sarebbe stato Raphael, così si sarebbe sentito. Noel parlava a voce abbastanza alta, tanto che riuscì a sentire « Dai, su, allora? Avete un appuntamento? Ho capito bene? » prima di chiudere la porta, e prima di sentire la risposta di Cain. Un appuntamento... magari. Sarebbe stato bello, ma non erano fatti l'uno per l'altro. Si sarebbero spezzati il cuore a vicenda, e Cain meritava qualcosa di più di quello che Abel aveva da offrirgli. Camminò guardando per terra, dato che ormai conosceva gli intricati corridoi della Ripley come il palmo della sua mano, ed estrasse il telefono, sperando che il messaggio arrivasse al suo destinatario prima che entrambi tornassero in aula.

    "Ti va di tornare a casa insieme?"

    Lo inviò ad Evelya per poi ricacciare il cellulare in tasca, accertandosi di averlo messo in modalità silenziosa, e prese la strada lunga per arrivare fino alla sua classe, dove avrebbe ripreso le prove per il saggio. Sperava che mettendoci più tempo avrebbe trovato sia Evelya che Raphael in aula, in modo da non dover stare nella stessa stanza del suo fidanzato da solo. Aveva bisogno di vedere un viso amico, e forse anche lei.

    • • •

    La reazione scocciata di Izar l'aveva fatta ridere, tanto che quando il ragazzo tornò al tavolo lei lo accolse come se nulla fosse successo ma notò subito un cambiamento nel suo tono di voce: si conoscevano da anni, era impossibile trarla in inganno quando si parlava di Izar. Dopo l'incazzatura di quella mattina sperava che il peggio fosse passato, ma a quanto pareva si era sbagliata. Lui posò la lattina di birra - ne aveva presa un'altra? - sul tavolo facendo abbastanza rumore, e neanche le parole dette dopo non furono delle più delicate. Lei, per tutta risposta, si limitò ad alzare un sopracciglio e seguirlo con un « 'kay. » poco convinto quando lo vide prendere l'uscita. Decise di ignorare il repentino cambio d'umore dell'amico, sorseggiando il rimanente della birra fino alla fermata del bus - rischiando di strozzarsi un paio di volte perché Izar aveva le gambe decisamente più lunghe delle sue e non sempre riusciva a stare al suo passo - mentre tentava di intavolare una conversazione, ma ogni suo tentativo si rivelava un clamoroso buco nell'acqua. « Ah, ora che ci penso, mamma mi ha detto di provare a fare il pollo al curry con lo yogurt greco, in modo che venga più cremoso. Ti va di provarci, magari questo weekend? » provò a chiedere, ma la sua domanda aleggiò nell'aria senza ricevere una risposta ben precisa. O se lo aveva fatto, non aveva sentito nulla. Quando Izar faceva così c'era ben poco da fare, ed Altayr alzò gli occhi al cielo nel guardarlo da lontano mentre buttava la bottiglia ormai vuota. Aveva come il sospetto che lei centrasse qualcosa, visto che si era rabbuiato quando lei lo aveva ripulito dalla salsa piccante che aveva sulla guancia, ma anche se fosse stato davvero così non riusciva a giustificare una reazione del genere. Gli aveva dato così tanto fastidio? A sapere in anticipo che lui le avrebbe tenuto il muso fino a sera non si sarebbe sicuramente azzardata ad invadere il suo spazio personale.
    « Che dici, stasera riusciremo a portare a termine qualche canzone? Ne abbiamo un sacco in sospeso. » la buttò lì, molto casualmente, mentre con le scarpe torturava un povero sassolino che aveva avuto la sfortuna di trovarsi a pochi centimetri dal suo piede. Le parve di udire un "Boh", ma non ne fu sicura, quindi gettò unicamente la spugna. Andasse al diavolo, non aveva proprio voglia di discutere per qualche film mentale che lui si era fatto, e lei ancora non leggeva nel pensiero. I minuti prima che arrivasse l'autobus li passarono in silenzio, lui troppo impegnato a rifiutarsi di rivolgerle la parola e lei ormai rassegnata e in attesa che la luna storta gli passasse, e Altayr, dato che era pur sempre ora della pausa pranzo sia per studenti che per lavoratori, si ritrovò a farsi strada a furia di spintoni per riuscire a salire sul bus, non riuscendo però a trovare neanche un posto a sedere. E lei che già immaginava a fare il viaggio verso la sala prove appoggiata casualmente alla spalla di Izar. Beh, vista l'atmosfera forse era meglio così. Raggiunse il ragazzo in un angolo vuoto del mezzo prima che si riempisse completamente, e lui, come spesso faceva, si frappose tra lei e la folla, mentre Altayr si appoggiò con la schiena alla parete, al riparo da occhiate indiscrete che sui mezzi pubblici non mancavano mai. Stare con Izar per lei significava praticamente questo, sentirsi tranquilla e senza nulla da temere: Izar era il suo porto sicuro, la stella più luminosa che guidava il suo cammino, ma nonostante continuasse a proteggerla anche in un momento del genere il suo respiro era pesante e le sue labbra serrate in una linea inespressiva, ed averlo così vicino, adesso, non era altro che una tortura. Avrebbe voluto dargli una mano per sbollire la rabbia - verso cosa o chi ancora non l'aveva capito però -, ma sapeva che quando si comportava così era meglio starsene zitti, visto che solitamente si trattava di una nuvola nera passeggera. Decise quindi di tirare fuori il telefono per andare su e gù sulla sua home di Instagram, digitando poi l'username della fotografa con cui avrebbero scattato tra qualche giorno. Come le aveva anticipato Izar qualche ore prima - quando era ancora felice e contento - i suoi scatti non erano niente male, e constatò che aveva già lavorato in precedenza con altre band. Riconobbe addirittura alcune di loro, e nello zoomare su uno dei post il bus frenò bruscamente, tanto da costringere Izar a stendere il braccio sulla parete alla quale era appoggiata per non schiacciarla. « Oddio, attento » fece, bloccando lo schermo del telefono e sollevando lo sguardo su di lui - il quale si rivelò un grosso errore, visto la distanza davvero minima che c'era tra i loro visi. Altayr non seppe se il respiro le mancasse perché lì dentro c'era davvero molta gente, o perché Izar era veramente molto e pericolosamente vicino.
    « Non farlo più, per favore » se ne uscì ad un tratto, con un tono di voce davvero basso, e lei aggrottò le sopracciglia, non riuscendo a capire a cosa si stesse riferendo. « Che stai
    dicendo? »
    domandò, ancora più confusa di prima, ma non trovò risposta nell'espressione cupa di lui. « Non è uno scherzo con te. » aggiunse, ed Altayr continuò a guardarlo negli occhi in attesa di una spiegazione, di un chiarimento, di un qualsiasi cosa che le avrebbe fatto capire su cosa stava rimuginando da quando era sparito per prendersi la seconda birra, perché era davvero stufa di dover stare ad indovinare cosa gli passasse per la testa, manco fosse una psicologa. L'espressione sinceramente confusa e preoccupata che aveva dipinta in volto venne sostituita dal fastidio e la rabbia che provava in quel momento, sentiva di essere sul punto di esplodere. « Si può sapere che cazzo hai oggi, eh? » fece dopo qualche secondo, non riuscendo più a tenere a freno la lingua. « E' da stamattina che sei intrattabile, e io non ti leggo nel pensiero. Prima sei incazzato, poi di nuovo tutto okay, poi ti incazzi ancora, e poi mi dici 'ste robe, non capisco neanche a cosa ti riferisci. Mi vuoi dire chiaro e tondo che ti prende? » continuò, cercando di mantenere la voce bassa il più possibile per non farsi sentire dall'intero autobus, ma in verità avrebbe voluto urlare a squarciagola che era stanca di sentirsi dare la colpa dei suoi cambi d'umore. Invece di dirle "di non fare più certe cose" - quali cose poi? Mica lo specificava -, poteva benissimo spiegarle cos'è che lo rendeva così nervosa senza tanti giri di parole e giochini a cui lei non andava più di stare. « Ah, ma se non vuoi parlarmi più come fanno i bambini all'asilo fai pure, sono stufa di scervellarmi per capire cosa ti passa per la testa, Izar. ». Nel frattempo si staccò dal muro, intimandogli di lasciarle spazio per avvicinarsi alla porta dalla quale tra poco sarebbero scesi. « Fammi sapere quando ti sei calmato. » disse, e si appoggiò alla parete opposta con le braccia incrociate al petto, pronta ad uscire tra pochi minuti. Non era la prima volta che litigavano a causa del malumore di Izar, ma ultimamente ogni discussione pesava sempre di più. Scoccò un ultimo sguardo al ragazzo prima che le porte si aprissero, e appena si voltò le venne spontaneo pensare Ma dovevo proprio innamorarmi di 'sto coglione?.

    Una volta fuori le sembrò di non aver respirato aria fresca per ore e ore, ma non riuscì a gioire del fatto di non essere stata inghiottita dalla folla ed essere giunta sana e salva alla sala prove nonostante il traffico dell'ora di pranzo. Non si guardò neanche alle spalle per vedere se Izar fosse sceso con lei o meno, che un volto che conosceva molto bene la accolse appena uscita dall'autobus. « Alleluja! » esclamò Noel, rimanendo però seduto senza fare una piega. Altayr sbirciò lo schermo del telefono che ancora teneva in mano, ed in effetti avevano fatto parecchi minuti di ritardo. « Senti, non ti ci mettere anche tu. » disse, passandosi velocemente una mano sul viso ed issandosi lo zaino in spalla. « Nervosa? », « Macché. » lo disse in tono volutamente sarcastico, e si avvicinò al cantante nel caso gli servisse una mano. Salutò Cain con un gesto della mano, per poi tornare a guardare Noel e notando solo in quel momento quanto i suoi occhi fossero gonfi. « Tutto a posto? Hai gli occhi rossissimi. » fece, e Noel rise per tutta risposta. « Ah, sì, ho solo pianto per un'ora o giù di lì. ». Altayr sospirò tra sé e sé, sapendo benissimo cosa l'aspettava quel pomeriggio: una crisi esistenziale. Sarebbero state delle prove movimentate, e lei non era mentalmente pronta. « Vuoi parlarne un po'? » domandò, mentre dirigeva uno sguardo dubbioso in direzione del batterista: i due rossi erano stati insieme tutta la mattina, sicuramente lui sapeva qualcosa. « Per ora vorrei solamente sdraiarmi sul pavimento e non rialzarmi mai più. » fece Noel, finendo la frase con un mugolio di fastidio - forse a causa della gamba - « Anzi, andate pure a fare le prove senza di me. Io torno a casa. Almeno lì ho i fazzoletti. », « Ma neanche per sogno, male che vada frignerai in sala prove » lo riprese la ragazza, avanzando di qualche passo per iniziare a far muovere il gruppo, ed affiancò prontamente Cain. « Cosa avete combinato voi due stamattina? Noel è uno straccio. » gli domandò sottovoce, mentre gettava un'occhiata al cantante che si trascinava per strada controvoglia. Nel farlo non poté fare a meno di soffermarsi su Izar, che gli stava a pochi passi di distanza, ma distolse lo sguardo in fretta, prima che lui si sentisse osservato e la guardasse a sua volta. I suoi improvvisi cambi d'umore influenzavano, volente o nolente, anche chi gli stava intorno, e spesso chi se li sorbiva era Altayr, stando appiccicati da mattina a sera tra scuola, lavoro e band. Quella mattina era riuscita a placare la tempesta, ma all'ennesima risposta vaga e seccata di Izar non era più riuscita a mantenere il controllo. Un po' si sentiva in colpa, perché aveva il sospetto che fosse lei la causa di tutte le montagne russe di emozioni che Izar provava, ma se era davvero così allora voleva che glielo dicesse in faccia, piuttosto che fare l'offeso e sperare che lei capisse a cosa stava pensando. Sospirò mentre apriva la porta del locale che metteva a disposizione le sale per provare, tenendola poi aperta per far entrare Cain. « Spero che questa tortura finisca presto. » disse sottovoce, più a sé stessa che all'amico, perché era a tanto così da salire sul primo bus diretto a casa.

    La ragazza seguì con gli occhi Noel che si andò a sedere sul divanetto in un angolo della sala appena furono dentro, ed alzò gli occhi al cielo quando lo vide distendersi. « Arrivo tra un secondo. » annunciò, e lei, da parte sua, non gli rispose. Posò la chitarra in un angolo e la levò dalla custodia - la ragazza alla reception era stata gentilissima a tenere i loro gli strumenti per tutto il giorno -, tirando successivamente fuori da una delle tasche dello zaino il diapason per accordarla. « Programma di oggi? » chiese, e Noel fu veloce a dare la sua risposta - sebbene non fosse quella che cercava. « Piangere e ripetere all'infinito quanto la vita sia ingiusta. ». La ragazza sollevò, per l'ennesima volta da quella mattina, lo sguardo al cielo, perché in quel momento l'ultima cosa che voleva era affrontare Noel nel bel mezzo di una crisi. « Okay, mentre aspettiamo Noel che si riprende possiamo decidere la scaletta del prossimo concerto, che dite? Anche solo le prime canzoni. » aspettò che gli altri le dessero conferma, perché effettivamente senza il cantante non potevano fare granché, ed Altayr non aveva proprio voglia di sapere cosa fosse successo a Noel nello specifico e consolarlo fino a sera.
    « Ognuno ne dice una, come al solito. » esclamò mentre strappava un pezzo di carta da uno dei quaderni che aveva nella borsa, e prese una penna a caso dall'astuccio, sperando che ancora scrivesse. « Per me Sleeping In. » annunciò, e lo scrisse di fretta sul foglietto. Era da un po' che non la suonavano in live, e ai tempi si era divertita parecchio a comporre la melodia. Poi era una delle preferite di Noel, magari gli avrebbe risollevato un po' il morale provarla quel giorno. « Io voglio cantare la canzone più triste che abbiamo. », « No, Noel. », « ... Allora ci penso su ancora un altro po'. ». La ragazza annuì, guardando poi gli altri due in attesa di una risposta, e, mentre era intenta a scrivere le altre canzoni - quattro brani erano più che sufficienti per il momento, magari ne avrebbero decisi altri quando tutti sarebbero stati meglio - , Noel scattò a sedere sul divano, facendole cadere la penna per la sorpresa. « Come si fa a vivere dopo aver perso l'anima gemella? » esclamò Noel, e sembrava davvero sul punto di piangere. « Beh, tu hai perso tipo una trentina di anime gemelle, meglio di te non lo sa nessuno. » fece Altayr, e Noel si ributtò giù sul divano di peso, preso dallo sconforto. « Ma stavolta era davvero lei ». Il tono sconfortato che utilizzò la fece sentire in colpa per averlo ignorato fino a quel momento, quindi decise di prendere il toro per le corna: era l'unico modo che aveva per far tornare Noel a cantare. « Ti riferisci alla ragazza del Black Dog? » domandò, e Noel annuì vistosamente. « Vi siete incontrati? ». Noel annuì di nuovo, e stette in silenzio per qualche secondo. « E mi ha scaricato. », « Ah, mi spiace. ». Il ragazzo fece un gesto con la mano per dirle che non si doveva preoccupare, e si raggomitolò su sé stesso. Perfetto, l'avevano perso. « Arrivo tra un secondo. Stavolta davvero. » fece lui, mentre gli altri cominciavano a sistemare gli strumenti. « Nessun problema. » gli rispose la chitarrista, mentre finiva di accordare la sua fedele chitarra. « Dopo però possiamo suonare un paio di canzoni tristi? Pensavo a Lewis Capaldi, tipo. » Altayr sorrise, ripensando all'ultima volta che era stato lasciato da una ragazza - Adeline per la precisione, ricordava i nomi di quasi tutte le sue ex - e avevano suonato Birdy tutti insieme, con lui al microfono che piangeva come una fontana. « Va bene. » gli rispose, scuotendo la testa e sorridendo tra sé e sé. Sì, sarebbe stata sicuramente una prova impegnativa, e lo dedusse anche da quanto le costò fare un cenno verso Izar per invitarlo ad accordare i loro due strumenti come ogni volta, ma ora l'idea di averlo vicino la innervosiva. Sperava vivamente che la luna storta gli fosse passata, altrimenti quelle sarebbero state le tre ore più pesanti della sua esistenza.

    « Altayr » || « Noel » || « Abel »
    ‹ altayr c. windstorm (19) / noel h. moore (21) / abel c. gytrash (18) ›

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    Edited by altäir - 29/11/2021, 18:15
     
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    Evelya

    Non ho fatto altro che pensare a te da quando ti ho vista.

    Evelya si gettò altra acqua fredda sul viso. Sperava di cancellare l'umiliazione insieme al rossore delle guance e degli occhi, ma non le si scrollava di dosso. Il riflesso allo specchio rimandò l'immagine di una ragazzina dall'aria affranta, debole e commiserevole. Ancora una volta era fuggita di fronte alla prima increspatura nella sua vita piatta e calma, impreparata all'audacia di una persona come Noel. Era sincero, trasparente. Nei suoi occhi vivaci non aveva visto alcuna malizia. Si era dichiarato senza la minima esitazione, con fermezza, come se avesse le risposte a tutte le sue domande in tasca. E lei? Beh, lei era scappata.

    Sei sempre stata tu. Voglio conoscere te.

    « Non voglio costringerti a sopportarmi. Credimi Noel, non sono la persona che pensi. »

    E con il pretesto dell'inizio delle lezioni, con un patetico sorriso di scuse, aveva lasciato la caffetteria, mettendosi a correre una volta varcata la soglia. Non sarebbe tornata in aula, tra le urla del professore e le occhiate scocciate di Raphael. Il bagno per ora andava bene, era stato pulito di recente e sembrava non esserci nessuno. Abbassò la tavoletta del wc e si sedette, tamponando gli occhi con la carta igienica che aveva la stessa consistenza di un fazzoletto di cotone. Era abituata a quel genere di privilegi, li dava per scontati.
    Noel invece riusciva a malapena a resistere nella divisa scolastica, dal taglio austero e i tantissimi bottoni.

    Mi cucirei questa divisa addosso pur di stare con te.

    Riprese a singhiozzare e tirò su con il naso. Era accaduto per colpa di anni ed anni di insicurezze, una pila traballante che le era crollata addosso tutta in una volta. Prima di incontrare Noel non aveva mai messo in dubbio la sua posizione nel mondo: era nata in quella famiglia, doveva assolvere quei compiti, non sbagliare, non alzare la voce, sorridere anche quando desiderava solo urlare. Poi si era ritrovata in mezzo ad una calca di persone, a fissare un palco illuminato a giorno. Lui era al centro esatto della scena e cantava dal fondo dei polmoni con tutta la sua energia, una macchia di colori sanguigni sotto i riflettori che lo facevano brillare come un secondo sole. Evelya voleva quel tepore per sé, quegli occhi puntati nei suoi finché le diceva che voleva conoscerla, che non era stato un caso se si trovava lì. Voleva tenergli la mano e camminare accanto a lui, così alto da poterla gettare nell'ombra e proteggerla allo stesso tempo.
    « Mi dispiace tanto » sussurrò al silenzio, o forse alla Evie che aveva maltrattato per tutti quegli anni. Doveva essere gentile innanzitutto con sé stessa, lo diceva sempre Aidan. Pensò di chiamarlo, e si sorprese di trovare un messaggio di Azarel sul display.
    Che richiesta strana da parte sua. Era raro che volesse stare solo con lei in un ambiente extrascolastico. Trattandosi di lui, purtroppo, non poteva rifiutare. Rispose un lacunoso "certamente" ed ignorò la risposta in cui chiedeva dove fosse finita. Compose invece il numero di Aidan e aspettò, soffiandosi il naso per non tradire il pianto disperato appena interrotto.

    « Ehi pulcino, non sei a scuola? »
    « Sì ma... vorrei tornare a casa. »
    Il chiacchiericcio in sottofondo si fece più ovattato. A quell'ora l'intero ambulatorio faceva pausa caffè, e la sala comune diventava un porto di mare, tra medici e infermieri che smontavano dal turno del mattino e attaccavano per quello serale. Il silenzio che seguì le fece capire che Aidan aveva trovato un luogo più appartato.
    « Parla. Mi basta un nome e gli faccio sputare tutti i denti. »
    « No no no, tranquillo! Niente bulli o cose del genere.
    È stata solo una brutta giornata. »

    Aidan rise di quella risata di gola che scaldava il petto.
    « Ma se non sono nemmeno le quattro! Dai, che è successo. »
    E suo malgrado Evelya vuotò il sacco. Raccontò tutto, dalla serata del concerto ai messaggi, fino all'improvvisata alla Ripley. Non aveva modo di confidarsi spesso con il maggiore dei Sadalmelik, dato che non viveva più nella tenuta di famiglia da almeno tre anni. Dopo un divorzio scandaloso ed un secondo matrimonio altrettanto scandaloso - in segreto da tutti -, Aidan stava insieme alla "luce dei suoi occhi", per citarlo, in una casetta a Manchester, lontano dal veleno dei parenti e dall'affetto dei tre fratelli, purtroppo.
    Al termine della storia calò uno strano silenzio, ed Evelya quasi temette che fosse caduta la linea. Un lungo sospiro le riempì l'orecchio.
    « Evie, sono abbastanza sicuro che se avesse solo voluto portarti a letto non si sarebbe sprecato così tanto. Non mi sembra che racconti balle. »
    Lei arrossì fino alla punta dei capelli. « N... non l'ho mai pensato, figurati. Solo che non mi conosce nemmeno e... »
    « E vuole farlo, quindi perché no. Parlaci un po', vedi come va. Sempre che quella serpe di Azarel non si metta in mezzo come al solito. »
    L'avrebbe fatto di certo. Frequentare un ragazzo come Noel alla luce del sole significava anche gettare in disgrazia il suo buon nome. Nemmeno con la divisa impeccabile della scuola passava per un secchione figlio di papà. Era la sua aura ad essere diversa, senza artefatti.
    « Perché io sono io » rispose in tono rassegnato, sentendo nuovamente la gola serrarsi. Il fratello captò subito il cambio di umore ed addolcì la voce, come quando consolava uno dei suoi piccoli pazienti.
    « Non c'è niente meglio di te, Evie. È stato fortunato ad incontrarti. Buttati, chiedi aiuto agli altri due disgraziati di casa e qualcosa combinerete. Se non va pazienza, ne arriverà uno migliore. »
    Come replica ricevette solo un pianto a dirotto, e dopo vari tentativi per farla calmare le propose di raggiungerlo per il weekend. La pressione dei Sadalmelik e della scuola la stava rendendo paranoica, a sua detta, ed Evelya la trovò un'ottima idea.

    Lo salutò dopo una ventina di minuti di conversazione, in cui recuperò un minimo di contegno e degli occhi un po' più asciutti. Al messaggio di Abel, inaspettatamente, rispose con un moto di ribellione.

    "Torniamo adesso? Non me la sento più di stare qui."

    Sperò in una risposta positiva. Aveva bisogno di stare con qualcuno che non annunciasse catastrofi imminenti ogni momento.
    Guardò un'ultima volta la pagina instagram degli Elysian, dove fino a poco prima poteva solo fantasticare. Noel era esattamente come appariva in foto: stesse espressioni, stessi sguardi di sfida e sorrisi a tutta faccia. Doveva averlo ferito parecchio con le sue parole, e soprattutto con i suoi silenzi. Spense il telefono e si alzò, puntando all'uscita sul retro dell'istituto. Se esisteva una possibilità di redenzione doveva coglierla prima che fosse troppo tardi.

    -

    Le parve che Abel, una volta arrivato, avesse l'espressione colpevole di un ladro. Era stato così gentile da portarle la cartella, per fortuna.
    Si scusò subito per la proposta che rischiava di mettere entrambi nei guai, dopo aver finto uno svenimento in corridoio ed ottenuto il l'esonero dalle lezioni pomeridiane. Abel era ligio al dovere come lei, sotto pressione e intenzionato ad uscire con i migliori voti. Azarel si sarebbe ricordato di questa negligenza.
    « Perdonami, preferisco te ad un professore asfissiante » ammise, rivolgendogli un sorriso affettato, ancora segnata dai pianti precedenti. Gli avrebbe offerto un caffè sulla via del ritorno come ringraziamento, era il minimo. Propose di fermarsi al bar di Greaves Park, così tranquillo ed immerso nel verde da rinfrancarle lo spirito dopo ogni giornataccia. Era il luogo di ritrovo preferito della borghesia di Lancaster, perciò incrociò le dita e pregò di non incontrare nessun conoscente.
    Sedettero nella lussuosa sala in stile coloniale, ad un tavolo dove li aspettava già dell'acqua versata e dei salatini. La cameriera fu ossequiosa come al solito, fin troppo, nel chiedere la temperatura del tè e quale dei quindici ripieni volessero negli scones, ma alla fine riuscirono ad avere il loro spuntino e un po' di pace.
    « Hai incontrato il ragazzo della batteria alla fine? » Abel era abbastanza inquieto da presupporre che qualcosa fosse successo mentre lei combatteva la sua, di battaglia, e anche Raphael era più scontroso del solito. Da osservatrice esterna non li aveva mai compresi del tutto, come coppia: avevano un modo pacato di dimostrare affetto, per quanto fosse ovvio che si volessero bene, e non si prodigavano in smancerie, parole dolci o effusioni in pubblico. Abel amava in un modo sottinteso, mentre il ragazzo della band era un libro aperto, senza segreti. Che fossero i famosi "opposti che si attraggono"? Evelya ascoltò il suo bizzarro racconto con le mani a coppa attorno alla tazza di tè, imbarazzata dall'audacia di quel tale Cain. Si erano scontrati contro un mondo alieno, a quel concerto.
    « Mi chiedo se non dovremmo tentare... sai, rivederli. » Lo disse in tono sommesso, pensierosa, e attese la reazione di Abel con gli occhi fissi nei suoi, oro e argento alla ricerca di risposte. Forse entrambi avevano bisogno di un cambiamento, e quel cambiamento era rosso come il fuoco.

    -

    Azarel, impeccabile nel suo abito da sera, le aprì lo sportello della macchina e l'aiutò a scendere. Evelya accettò la mano dell'insegnate solo perché si trovavano ad una serata di gala, circondati da sguardi indiscreti nonché spie di sua madre, ne era certa. La cena si era trasformata in un evento del country club con cena all'aperto, e nella grande casa dei Peterson donne indaffarate correvano a destra e manca per riempire bicchieri vuoti o ciotole di noccioline. Le conversazioni si assomigliavano tutte: come stai, cara? E i tuoi genitori? E la scuola? Emberthorn è sempre così premuroso!
    Evelya sorrideva a tutti, seppur stordita dalla stanchezza. Si era preparata in fretta, infilandosi in un vestito stretto e in tacchi alti e dolorosi. Sedette alla prima sedia disponibile e lì rimase, sorseggiando un analcolico con l'entusiasmo di uno zombie. Continuava a comparare i momenti della giornata al concerto, e non vi era paragone. Avrebbe pagato per ritrovarsi di nuovo al Black Dog.
    -Noel saprebbe come svegliare questa gente- pensò, immaginando il ragazzo che prendeva possesso del microfono e faceva scattare sull'attenti tutte le vegliarde che parlottavano in giardino.
    « Le feste dei Peterson attirano sempre molta gente » disse Azarel, sedendo di fronte a lei. Era al secondo bicchiere di vino, e la stanchezza della giornata pesava anche su di lui. I capelli ricadevano mollemente sulla fronte, e il colletto della camicia era sbottonato fino al terzo bottone. Si tolse gli occhiali per stropicciare il viso.
    « Sono bravi ad intrattenere gli ospiti » convenne Evelya, riferendosi alla parlantina infinita della signora Peterson.
    « Tranquilla, non facciamo tardi. Tua madre ha insistito perché ci facessimo vedere un po' in giro. »
    Con gli impegni scolastici e lo studio nessuno dei due metteva piede ad una festa da mesi, in effetti, ma quel "ci" le parve strano. Loro insieme, nell'alta società, a pochi mesi dal diploma di lei... Oh, no.
    Sperò di sbagliarsi, anche se tutti gli indizi suggerivano che fosse una trappola della capofamiglia per iniziare a diffondere chiacchiere di un futuro matrimonio. Era stato lo stesso per le sue conoscenti più grandi, che a vent'anni erano già accasate e sistemate per la vita. Era sorpresa solo in parte, però. Fin da bambina Parveen le aveva insegnato quali caratteristiche cercare in un buon marito, usando sempre come esempio Azarel. Di buon carattere, elegante, rispettoso delle tradizioni, intelligente, qualità che Evelya non considerava affatto importanti.
    L'insegnante si schiarì la voce e tentò di assumere un tono meno distaccato. « Ti sei ripresa? Gytrash mi ha detto che sei svenuta. »
    « Sì, ora sto bene, grazie. »
    « Niente crolli di nervi prima del concerto, mi raccomando. »
    Evelya faticò così tanto a sorridere che temette di non averlo proprio fatto. « Faccio del mio meglio. »
    « Ci mancavano solo i teppisti a fare irruzione nella scuola, oggi. »
    La ragazza bevve un lungo sorso del drink e guardò altrove. Teppisti.
    La banda che suonava al centro del giardino attaccò con un valzer molto lieve, ed Azarel si alzò lentamente, tendendole la mano.
    « Balliamo e mettiamo da parte i problemi, almeno per stasera. »
    Avrebbe voluto dirgli che lui era parte dei suoi problemi, se non un ostacolo alla sua felicità. Invece mise la mano fredda nella sua e si diresse al centro della scena, dove bisbigli e risatine si perdevano tra le note.


    Cain
    Avrebbe potuto evitare tante domande, e invece Abel scelse di non rispondere proprio a quella. Brutto segno. Lo lasciava in un limbo tra "sono impegnato, non provarci" e "sono libero ma non devi saperlo". La questione si stava facendo complicata per il suo cervello, che di solito non girava mai attorno ad un problema e ci si fiondava direttamente in mezzo. Lo vide tentennare solo per un attimo prima di tornare alla solita maschera di ferro, mentre considerava l'idea di un'uscita di gruppo. Okay, gli Elysian non erano il coro della messa domenicale, però non davano nemmeno fuoco ai cassonetti per strada. Noel era un cucciolo di labrador che faceva la voce grossa, Izar un emo d'altri tempi e Altayr se ne stava quasi sempre tranquilla finché non la provocavi. Aveva visto di peggio nel loro ambiente, eccome.
    « Certo, si vede che non sei un tipo che se la prende per delle sciocchezze simili. »
    « Nah, figurati. Però non mi dispiacerebbe. » Cercò di mantenersi vago, attirandolo nella sua ragnatela un poco alla volta. Quel "ci penserò" fu una piccola vittoria, e si concesse un lungo sospiro con la mano sul petto. Ora, come spiegare agli altri che dovevano lasciarli soli con qualche scusa? Magari potevano mangiare un boccone e casualmente ricordarsi di impegni già presi. A quel punto, con le strade buie e i mezzi pubblici pieni di gentaglia restava solo la sua moto e un casco in più.
    - Sì, perfetto - pensò, immaginando quelle braccia esili sulla schiena mentre sfrecciavano nella notte.
    « Ma sappi che non mi fido dei Don Giovanni come te- »
    Lo guardò stralunato, controllando se alle sue spalle ci fosse qualcuno che meritasse davvero l'appellativo. No, stava parlando di lui.
    « Abel, se cercassi un premio non sarei qui, credimi. » In una situazione normale lo avrebbe preso per mano, visto che lo considerava uno dei gesti più intimi che ci fossero, ma si fermò appena in tempo. Mise entrambe le mani dietro la schiena come un prigioniero legato e proseguì. « È solo che per quanto sembri assurdo ci credo nel destino, e tutta questa cosa non la vedo come una coincidenza. Potevi essere in mille altri posti l'altra sera, invece eri lì e non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso. » Non ci riusciva nemmeno adesso, anche se continuavano a sfuggirgli e lo trovava molto ingiusto.
    « E la cosa più assurda è che non mi è mai successo prima, capisci? Per questo sono insopportabile. »
    Si raddrizzò assumendo un'aria seriosa, i pugni stretti sulle ginocchia.
    « Quindi se basta non toccarti e non dirti in ogni momento quanto tu sia un problema per il mio autocontrollo okay, sono disposto a farlo. »
    Sperava di ottenere qualcosa di più da quel giuramento, peccato che le cose non andassero mai come programmava.

    « Ehy, Cain! »
    Un'espressione inadatta al luogo gli uscì tra i denti serrati mentre si girava a fulminare con lo sguardo Noel.
    « Posso sedermi qui con voi? Sono triste e dolorante, ho bisogno di un po' di compagnia. »
    « Si può sapere che cazzo stai facendo? » gli chiese in un ringhio appena si sedette in mezzo a loro senza tanti complimenti, mettendosi bello comodo a gambe distese. Voleva davvero morire lì, in mezzo a gente che se ne fregava di lui? Perché stava per accontentarlo. Attaccò con una lagna infinita sul rifiuto della ragazza, e questo significava che non avrebbe parlato di altro per il resto del mese. La band si sarebbe dovuta sorbire i suoi sospiri lunghissimi e le canzoni strappalacrime di Lewis Capaldi, monologhi su quanto l'amore fosse una menzogna e conseguenti sbronze tristi. Dovevano fare i migliori concerti della loro vita e Noel si piangeva addosso come una mocciosa delle medie. Senza contare che aveva appena mandato in pezzi un discorso accorato e la possibilità di trasformare il forse di Abel in un sì.
    « Senti, ti do cinque secondi per alzare il culo da questa panchina o giuro che- »
    « Pensate, mi ha addirittura chiesto perché sono venuto fin qui. Non è abbastanza ovvio? Io volevo... io volevo vederla di nuovo. »
    Trattenne il resto della minaccia perché, suo malgrado, si riconosceva in quelle parole. Erano gli stessi pensieri che aveva formulato lui, che continuava a rimescolare alla ricerca di una soluzione che mettesse fine alla sua agonia. Incrociò gli occhi argentati di Abel ed ebbe l'impressione che il ragazzo riuscisse a leggergli nella mente. Sbuffò e si distese come Noel, arreso all'idea che la magia tra loro fosse bella che finita, con un orecchio teso a cogliere la conversazione e la voce un po' meno seccata di Abel. Gli parve di leggere qualcosa tra le righe, specie nella parte delle attenzioni plateali, come se ci fosse una parte autobiografica nel discorso.
    - Quindi ho fatto gli stessi errori di Noel e adesso siamo tutti e due a piedi - concluse. Da quello che capì Abel era comunque un buon amico, e sensibile a modo suo. Nonostante non conoscesse bene nessuno dei due rossi cercava di trattarli con decenza e dare anche consigli al cantante dal cuore spezzato.
    « Voi, invece? Come sta andando? » chiese a tradimento, aumentando l'imbarazzo tra loro e soprattutto la frustrazione di Cain. Lo studente lo fissò per una manciata di secondi prima di rispondere che in realtà se ne stava andando, e se il rosso avesse avuto un coltello si sarebbe compiuto un omicidio. Quell'idiota piagnucolone aveva consumato il suo pochissimo e prezioso tempo a disposizione per delle cazzate ed Abel sgusciava via dalla rete come niente fosse. Maledizione.
    « Se ti va siamo nella sala prove del Waterwitch quasi tutte le sere » disse, dopo il consiglio di Abel di sparire dalla circolazione. Aveva la stessa faccia distrutta di Noel. Non tentò di fermarlo, sarebbe stato inutile ed invadente, ma gli prudevano le mani. Quel suo "a presto" mantenne viva la fiamma della speranza, per quanto piccola, e appena lo vide svoltare l'angolo espirò così a lungo da sgonfiarsi.
    « Dai, su, allora? Avete un appuntamento? Ho capito bene? »
    Pestò sulla mina antiuomo chiamata Cain e quello esplose, afferrandolo per il colletto della ridicola camicia da studente.
    « Tu, razza di samoiedo in carenza d'affetto. Se non fosse per la tua voce da sirenetta che ci fa guadagnare ti avrei già gonfiato di pugni. »
    Lo lasciò andare al primo bisbiglio allarmato, ma non aveva ancora finito con lui.
    « Non ci posso credere che ti sei ridotto così per una principessina del cazzo che neanche conosci. Sai perché le tue ex non le assomigliano? Perché hai degli standard e non li devi superare. Ma cosa ti dice il cervello? » In realtà erano parole rivolte più a sé stesso che non all'amico, lo sapeva. Difficilmente si struggeva così tanto per qualcuno che non lo considerava nemmeno un'opzione, ma c'era sempre quel destino di mezzo in cui sperare. Sbollito il momento di rabbia mormorò delle scuse e fece segno a Noel di seguirlo sul retro, dove li aspettava la sua moto. Propose di andare direttamente alle prove vista l'ora, e mangiare un boccone lungo la strada. Non che avesse molta fame, però a stomaco pieno si elaboravano meglio i traumi.
    « Scrivi alla coppia del disagio che ci vediamo lì » disse a Noel, sparendo sotto il casco. Dalla visiera oscurata la Ripley St.Thomas sembrava un castello gotico di mattoni neri, roba da film horror. Intercettò brevemente lo sguardo storto di un tizio alla finestra del primo piano che si era sporto per chiuderla, e ricordò di indossare ancora la divisa. Si sarebbe volentieri spogliato in mezzo alla strada pur di liberarsi di quella camicia di forza, e anche levarla ad Abel pareva una buona idea. Perfetto, il treno di pensieri sconvenienti era tornato in carreggiata. Si ripromise di suonare così forte da far venire il mal di testa anche ai suoi sogni erotici, quel pomeriggio.


    Izar
    Come previsto, Altayr venne irrimediabilmente contagiata dal malumore di Izar, una macchia di inchiostro che si espandeva attorno a lui e portava tutti con sé. Non si definiva un leader o un trascinatore, ma spesso le sue reazioni avevano un grande peso sul resto del gruppo.
    La ragazza si sfogò su di lui nel modo più silenzioso possibile, vista la calca di gente in autobus. Lei non capiva i suoi sentimenti, li sopportava. Lo faceva da quando si conoscevano, aveva imparato a riconoscere la tempesta di negatività quando arrivava e quando se ne andava, però non sempre lasciava correre. Era un periodo difficile per gli Elysian: stavano lottando per emergere dal numero impossibile di band inglesi che tentavano di sfondare. Mancavano i soldi, il tempo, l'equilibrio per mantenere vita privata e lavorativa sui piatti della bilancia e non far pesare troppo nessuno dei due. Anche lei, come tutti, era arrivata al limite.
    « Mi vuoi dire chiaro e tondo che ti prende? »
    Izar staccò il braccio dalla parete e guardò altrove, fulminando una coppia di ragazzini che stavano palesemente origliando. Non leggeva nel pensiero, eppure sapeva che era molto più perspicace di così. Non voleva ammetterlo perché non gli interessava? Un rifiuto categorico dopo così tanti buchi nell'acqua sarebbe stato distruttivo, anche se ci era abituato. Ascoltò le proteste sul suo silenzio ostinato e mantenne le distanze, mordendosi l'interno della guancia per la frustrazione. Arrivarono alla fermata dopo quelle che sembrarono ore, e appena la ragazza scese dal bus trovò i due rossi caotici che li attendevano con espressioni non migliori della sua. Noel era un disastro, gli occhi consumati dalle lacrime e la postura ingobbita di un vecchio malandato. Cain, al contrario, era un fascio di nervi prossimo a rompersi.
    « Noel, ti prego, non oggi » bofonchiò, mentre una canzone familiare iniziava a passargli per la testa.

    Now the day bleeds, into nightfall
    and you’re not here, to get me through it all


    Dio no, non Lewis Capaldi. Era l'ultimo ingrediente di una giornata da dimenticare. A quel punto l'unica cosa da fare era buttarsi anima e corpo nel lavoro fino ad isolare il problema per qualche ora. La scaletta non l'avevano ancora decisa, e doveva scrivere alla tizia delle foto per l'appuntamento. Poi la caparra degli strumenti, i biglietti del treno... La voce di Altayr continuava ad intromettersi nei suoi pensieri come un sasso lanciato in mezzo ad un lago tranquillo. Le increspature non sparivano mai, non riusciva a smettere di darle attenzione. Stava cercando di rimettere in sesto Noel, già deciso ad abbandonare le prove per il suo dramma, con Cain che spiegava dell'incursione nell'istituto St.Ripley's andata male per colpa del cantante e la sua tendenza a teatralizzare tutto.
    « Abel stava per accettare il mio invito, era praticamente fatta, ma tu hai deciso che quello era il momento perfetto per rompere i coglioni e così è stato. Userò la tua testa come tamburo stasera, vedrai come ti passa la depressione. »
    Invidiava Cain per due motivi: il fisico spaventoso e l'assenza di peli sulla lingua. Se avesse avuto metà del coraggio del batterista si sarebbe confessato quando, tre anni prima? Ma era solo il silenzioso, musone e serio Izar, e non parlava apertamente dei suoi sentimenti. Preferiva lavorarli finché non diventavano macigni da scaricare sui poveri innocenti che gli stavano attorno.
    « Spero che questa tortura finisca presto. »
    « Cazzo sì. »
    Izar seguì Cain all'interno del locale, e nel passare accanto ad Altayr, che teneva aperta la porta, mormorò un "scusa" così basso che dubitò l'avesse sentito.

    Imbracciò il basso mentre il resto dei membri del gruppo prendeva posto e Noel si lasciava morire su un divanetto. Il loro trascinatore, il pilastro portante degli Elysian, suggerì di piangersi addosso nelle due ore che avevano prenotato, ma Izar non gli avrebbe permesso di sprecare così le loro trenta sterline. Sempre armato di strumento si avvicinò al rosso e usò il manico per scollarlo dal suo trono del pianto, stando attento a non fare leva sulla gamba sbagliata.
    « Capo, abbiamo già buttato 20 minuti. Non siamo ancora così famosi da concederci degli sprechi. »
    Sperò che puntare sulla parte economica aiutasse, invece Noel rimase spalmato lì con la proposta di cantare canzoni tristi. Okay, ci aveva provato e no, niente canzoni tristi. Il prossimo concerto sarebbe stato decisivo in termini di visibilità prima del festival estivo, servivano i loro cavalli di battaglia e un paio di scelte audaci per tentare la fortuna.
    Suo malgrado fu costretto a rivolgersi ad Altayr, che al momento pareva sopportarlo come si sopporta un mal di testa, e propose "A love like war" e "Time-bomb" , sforzandosi di mantenere il contatto visivo.
    « Io voglio un don't you go e guai a chi protesta. » Cain fu adamantino, iniziando già a suonare il ritmo del ritornello mentre riscaldava le bacchette.
    « Come si fa a vivere dopo aver perso l'anima gemella? »
    « Cristo santo. »
    « Beh, tu hai perso tipo una trentina di anime gemelle, meglio di te non lo sa nessuno. »

    Izar lasciò che il dramma si consumasse alle sue spalle, esausto, finché prendeva un quaderno ed il cellulare, applicazione della calcolatrice alla mano. Trovò una penna sul fondo dello zaino ed iniziò ad annotare una stima delle spese della sala prove da lì a fine anno: il risultato gli fece gelare il sangue nelle vene. Appena il cantante propose di suonare qualcosa di Lewis Capaldi, di conseguenza, scattò come una molla e corse da lui, piantandogli in faccia un 128£ cerchiato in rosso. Ignorò persino l'assenso di Altayr, convinta che assecondare le sue lagne fosse una buona idea in quel momento. Premette il quaderno al centro esatto del suo viso da martire e lì rimase, ormai al limite della pazienza.
    « Li vedi questi? Non ne abbiamo neanche metà, e se non vogliamo ridurci a suonare nella topaia di Cain- »
    « Ehi! »
    « -dobbiamo fare le nostre cazzo di canzoni migliori e trovare qualcuno che ci metta una firma prima di giugno. » Lasciò cadere a terra il quaderno ed afferrò il leader per le spalle.
    « Perciò ti scongiuro, ti imploro di mettere da parte una delle tue solite delusioni d'amore per il bene della band e dei nostri portafogli. » Pregò davvero che il messaggio attraversasse il muro di depressione che circondava il cervello di Noel, perché in quanto contabile degli Elysium ci teneva che il sogno non finisse per colpa dei loro umori instabili. Voleva vivere della musica che facevano, non essere semplicemente un gruppo di quartiere che suonava per riempire il silenzio nei pub. Ci credeva così tanto da non aver pensato ad un'alternativa lavorativa o un college dopo le superiori. Dovevano spaccare, punto.

    Sussultò nel sentire la presa ferrea di Cain sul suo braccio mentre lo strattonava via, altrettanto furente.
    « So che non capisci niente perché sei bastardo senza cuore, ma guardalo bene: questi sono gli occhi di un uomo innamorato che ha perso tutto » disse, indicando la faccia da cane bastonato di Noel.
    « Quindi adesso lo aggiustiamo e poi pensiamo ai soldi, chiaro? E suoniamo before you go prima che vi prenda a calci tutti e due. »
    Suo malgrado Izar capitolò, dando una pacca di comprensione a Noel e raggiungendo Altayr per accordare gli strumenti. Si sedettero a terra in silenzio ed iniziò il supplizio strappalacrime. Chiese solo le cose essenziali alla ragazza, ma accorciò le distanze pian piano, un centimetro alla volta, fino a che le loro ginocchia si sfiorarono. Sbagliò a tendere le corde di proposito, per monitorare il livello di incazzatura di Altayr e la sua voglia di discutere. Non poteva leggergli nel pensiero, d'accordo, e nemmeno lui ci riusciva, però poteva usare la logica: passavano la giornata insieme tra scuola, lavoro part-time e prove, quindi non aveva un ragazzo, - o se lo aveva lo trascurava molto. - Aveva il lasciapassare per casa Windstorm e ci finiva spesso, che fosse per cucinare, dare ripetizioni a Saiph o guardare la tv con lei. Avevano le loro inside jokes, una serie di sguardi in codice e delle routine prestabilite, quindi perché no? Perché non provare a condividere l'1% di quello che sentiva.
    - Per non perdere tutto. -

    Alla fine della prima canzone decisero per una pausa bagno/caffè, ed Izar ne approfittò per andare a lavarsi la faccia e rinfrescare il cervello. Tornò in sala prove con un altro spirito, una scintilla di speranza negli occhi, e chiese ad Altayr di raggiungerlo un attimo fuori dal locale mentre si accendeva una sigaretta. Fu sorpreso della risposta positiva, onestamente, anche se non gli sfuggì la nota di irritazione nello sguardo freddo di lei. Doveva averne abbastanza dei suoi cambi d'umore, e come darle torto. Ci fosse stato Kevin avrebbero risolto con una parolaccia e una birra.
    - Che c'entra lui adesso. Concentrati, Izar. -
    Fece scattare l'accendino ed aspirò una lunga boccata di nicotina, posizionandosi accanto al posacenere esterno che già straripava di mozziconi. L'aria della sera sapeva di smog ed erba tagliata.
    « Scusa per oggi » tagliò corto, guardandosi la punta delle scarpe,
    « sono un coglione. » Attese una qualsiasi reazione finché poté, poi non riuscì più a trattenere le parole.
    « Però a volte fai delle cose che mi fanno credere che... cioè, se le facessi io a te sarebbe strano. » Molto chiaro, riflesso del casino che aveva in testa. Poteva spiegarsi senza giri di parole, per una volta? Sbuffò una nuvola di fumo e la guardò dritta negli occhi.
    « Non darmi false speranze se sono sullo stesso piano di Kevin o Noel. Mi mandi in confusione. » L'atmosfera si era fatta insostenibile, e decise di alleggerirla con l'accenno di un sorriso. « Da adesso ti do un ordine restrittivo, Windstorm. Resta sempre a cinque passi da me e nessuno si farà male. » Allungò una mano e le carezzò la testa, un gesto ancora tollerato in amicizia e molto lontano da zone equivoche, come la sua bella bocca contrariata.
    « A partire da domani, magari. »
    Si era esposto più del dovuto con quella dichiarazione. Le false speranze implicavano che ce ne fossero, tanto per cominciare, cosa mai detta in passato. Poi il biglietto del concerto, l'appuntamento... Praticamente girava con un'insegna luminosa sopra la testa.
    Nel rimettere la mano al suo posto trascinò una lunga ciocca di capelli con sé, facendosela scorrere tra le dita. Ne tenne l'estremità tesa e constatò che erano cresciuti molto dal loro primo incontro. Anni passati ad immaginare di affondarci il viso ed inspirare il suo shampoo, di scostarglieli e baciarla con trasporto quando il vento li metteva tra loro. Che idiota, accusava gli altri di perdersi in cazzate e il 99% della sua giornata girava intorno ad Altayr. La lasciò andare e mise la mano in tasca, un po' più leggero di quando era uscito.
    « Ora sai una piccola parte di cosa mi passa per la testa. Soddisfatta? »


    Cain, bonus
    Il numero dei follower era aumentato. Non tutti avevano un nome verosimile, ma sapeva che il suo obiettivo non era tipo da firmarsi "takemetoelysian" o cose sul genere. Scorse tra quelli più recenti lentamente, attento ad ogni lettera. Com'era? Eva... Ivy... Evelya.
    - Bingo. -
    La ragazza aveva una foto profilo così innocente da farlo sentire in colpa per averla usata. Durò poco.
    Smise di fissare i suoi occhioni da cerbiatta e passò ai follower, un numero esiguo rispetto a quello di Cain, ma comunque sorprendente. Sembrava tutta gente dell'alta società, su macchine costose, a cavallo o con uno sfondo tropicale di qualche meta turistica da ricchi. Quindi era vero che soldi chiamavano soldi. Con un bleah disgustato riprese lo scroll, trovando persino il professore che li aveva sbattuti fuori quella mattina. Come guidato da un intervento divino, il pollice si fermò su un nome inequivocabile.
    « Abelcgytrash, sei mio. »
    Una foto presa un po' da lontano. Se ne stava seduto al pianoforte, vestito di tutto punto, ed era lui. Non aveva dubbi.
    Prima di procedere a una richiesta d'amicizia che non era poi così tanto richiesta, Cain curiosò velocemente tra i follower del suo futuro ragazzo per assicurarsi che non ci fosse troppa concorrenza. Qualche bel faccino lo trovò, purtroppo, e un moto di gelosia ingiustificata gli fece digrignare i denti. Era ovvio, uno splendore come lui non poteva passare inosservato. Impresse a fuoco nella memoria le facce dei possibili rivali e premette su "segui", incrociando le dita.

    « Izar » « Evie » « Cain »


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    S
    eguire Evelya nel suo moto di ribellione, fingendo uno svenimento e offrendosi di aiutarla, si era rivelata essere tra le decisioni più sagge che Abel avesse preso ultimamente. Respirò a pieni polmoni una volta varcato il cancello della Ripley, che nell'ultimo periodo considerava una prigione più che una scuola, e affiancò l'amica fino a Greaves Park senza chiedere nulla sui suoi occhi gonfi: poteva benissimo immaginare il motivo, ma fece finta di non accorgersene, dirigendole sorrisi accennati e stanchi di tanto in tanto e risposte molto concise. Quando neanche le melodie del pianoforte riuscivano a distrarlo la faccenda era seria: i suoi pensieri viaggiavano a mille chilometri all'ora e non riusciva a trovare qualcosa sul quale concentrarsi per calmarsi un po' che subito il volto di Cain sovrastava ogni cosa. Almeno sapeva dare un nome a chi aveva reso la sua testa un casino.
    Seguì Evie tra i tavolini del bar dove avevano deciso di sostare e nell'esatto momento in cui si sedette ad uno di essi il senso di colpa gli attanagliò lo stomaco. Aveva mentito per uscire prima da scuola nonostante il saggio alle porte, aveva litigato con Raphael e non aveva concluso nulla, e infine aveva congedato in malo modo il batterista degli Elysian in preda al terrore, tutto nel giro di poche ore. Abel si passò una mano sul viso, tentando di farlo con nonchalance, prima che la cameriera passasse a prendere gli ordini, riuscendo a respirare solamente quando ebbe una calda tazza di tè davanti a sé e i suoi amati scones con burro e marmellata di fragole. « Hai incontrato il ragazzo della batteria alla fine? ». Ringraziò il cielo che non aveva ancora messo nulla in bocca, altrimenti si sarebbe di siscuro strozzato. Si prese qualche secondo per rispondere, nonostante quella di Evelya fosse una domanda semplice: sì, o no. Ma c'era un discorso più complicato dietro quella che sarebbe potuta essere una semplice risposta, ed Abel era stremato. « Sì, siamo stati un po' in giardino. » riuscì a dire infine, passando il dito indice sul bordo della tazza di tè, deciso a berne un sorso, per poi rimettere la mano poggiata sul grembo intrecciata all'altra, senza far nulla.
    « Abbiamo solo parlato. ». Si tenne sul vago, mentre le ultime parole di Cain gli rimbombavano in testa: se avesse solo voluto un premio, non sarebbe venuto fino alla Ripley. Il rosso non aveva proprio un aspetto rassicurante - grosso almeno il triplo di Abel, altissimo, super tatuato e lo sguardo di chi avrebbe potuto incenerire se solo qualcuno lo avesse guardato un secondo di troppo - e neanche le maniere delle persone che era abituato a frequentare, ma quel discorso l'aveva colpito. Era schietto, senza filtri, diceva ciò che pensava senza porsi il problema di contare almeno fino a dieci: magari non aveva avuto neanche il tempo di inventarsi una menzogna giusto per addolcirlo, quindi ciò che aveva detto era... vero? Sul serio credeva nel destino, un tipo come lui? E davvero era disposto a trattenersi solamente per riuscire ad avvicinarsi ad Abel? Per lui? Non ne valeva la pena. Alzò lo sguardo su Evelya, su quegli occhi chiari da cerbiatta che si ritrovava, e sospirò debolmente. « E' stato... strano. », e da lì iniziò a raccontare all'amica cos'era successo tra loro, cercando di riportarle ciò che si erano detti il più accuratamente possibile, ma nel farlo non poté non notare come le guance dell'amica si stessero colorando mano a mano che parlava, e pure lui si sentiva il viso caldo. Colpa del tè, senza dubbio. « Mi chiedo se non dovremmo tentare... sai, rivederli. ». Alla fine del racconto, Evelya se ne uscì con una frase che non si sarebbe aspettato, non da lei perlomeno: alzò lo sguardo su di lei, rispondendole in silenzio con un'espressione tra la sorpresa e la paura, mentre lei viaggiava sul suo viso alla ricerca di una risposta positiva, qualsiasi essa fosse. Glielo si leggeva in faccia, che voleva tornare tra la calca ed il fumo per sentirli suonare di nuovo. « E' che... » cominciò, ma il ragazzo si fermò prima che potesse dire qualsiasi cosa e continuò a guardare l'amica come se potesse offrirle un appiglio al quale aggrapparsi. Si sentiva così pesante, ma non voleva caricare nessuno coi suoi effimeri problemi, ed Evelya aveva già tante cose a cui pensare: la scuola, Eberthorn che le stava addosso, le aspettative della famiglia... era appesa ad un filo, ed il cantante degli Elysian le aveva fatto perdere irrimediabilmente il fragile equilibrio che tanto aveva faticato a raggiungere. Eppure sapeva che poteva fidarsi di lei, che non gliene avrebbe fatto una colpa. Poteva spiegarle a grandi linee la situazione, come mai non era tanto entusiasta quanto lei, giusto per farle capire che, nella sua testa, la situazione non era così semplice. Gli occhioni da cerbiatta di Evelya, che ancora aspettava una risposta e lo osservava interrogativa, lo fecero capitolare. « E' che io sto con Raphael, lo sai, ma ultimamente le cose non vanno un granché. » sospirò, accorgendosi di aver abbassato la voce verso la fine. Ecco, di nuovo il senso di colpa gli fece venire la nausea, perciò rivolse la sua attenzione al suo riflesso nel tè, senza riuscire a guardare la ragazza seduta dall'altra parte del tavolino. Non era abituato a raccontare di sé agli altri, ma Evelya gli era sempre stata accanto, voleva dimostrarle che si fidava di lei.
    « Credo di non piacergli più. Abbiamo litigato anche stamattina. » aggiunse, ma sentiva di star tirando fuori le parole a forza mentre gli tornava alla mente ciò che gli aveva detto il violinista nei corridoi della Ripley. Parlare della sua relazione fallimentare gli stava costando una buone dose di coraggio e si ricordò come mai si teneva tutti i pensieri e sentimenti per sé: si sentiva vulnerabile, si sentiva un peso, si sentiva stupido e debole, ma ormai il discorso l'aveva iniziato, tanto valeva concluderlo in modo che Evie capisse cosa stesse succedendo. « Vorrei lasciarlo, ma non ne ho il coraggio. » disse infine, e finalmente tornò a guardare l'amica e, in qualche modo, il peso che sentiva all'altezza dello stomaco si fece un po' più leggero. Eccolo, il potere di Evelya, quello di far sentire ascoltato e capito chiunque, anche chi come lui si apriva poco e male, ed Abel abbozzò un debole sorriso in sua direzione. Non aveva detto granché in effetti, non aveva spiegato la situazione fino in fondo, ma sentiva di essersi sforzato come se avesse dovuto correre una maratona. « E Cain mi manda in confusione. E'... », si morse l'interno della guancia per l'imbarazzo, ma era Evelya, si fidava di lei, ed erano più o meno sulla stessa barca, « ... è tutto il contrario di me, sembra non aver paura di nulla. E mentre io me ne sto qui, fermo, a rimuginare su una relazione finita da un bel pezzo che continua per, boh, forse abitudine, lui da un giorno all'altro si finge uno studente di una scuola privata, infrangendo decine di regole, per un tizio di cui non sa un accidente. ». Sbuffò, incrociando le dita sotto il mento per evitare di continuare a torturarsele come ogni volta che faceva quando era nervoso. « Cain è arrivato al momento sbagliato. » concluse, ma era solamente una bugia per sentirsi meglio, lo sapeva benissimo. A cosa sarebbe servito mentire ancora? Lo aveva capito subito, dal primo momento che lo aveva visto sul palco del Black Dog la sera prima: gli sarebbe piaciuto rivederlo, e provare a vedere come sarebbe potuta andare tra loro, ma ammetterlo a sé stessi e dirlo ad alta voce era più complicato del previsto. « O io sono solo un codardo. Più probabile la seconda opzione. ». Il riflesso traballante che gli rimandava la superficie scura del tè assomigliava ad una visione distorta che aveva di sé in quel momento, perciò si portò la tazza alle labbra in men che non si dica, in modo da non doverlo più vedere. Sapeva benissimo cosa sarebbe stato meglio fare per la sua salute mentale: lasciare Raphael una volta per tutte, così da non doverlo più vedere neanche dopo il saggio di fine anno, finire la scuola in santa pace, entrare in conservatorio e avviare una carriera grazie ai contatti forniti dalla Ripley e, intanto, provare a dare una possibilità ad un certo rosso a cui non riusciva a smettere di pensare. Non sembrava affatto male come piano, ma addentrarsi in qualcosa di sconosciuto lo terrorizzava - Cain era un tornado di energia e passione, lui a malapena trovava la forza di alzarsi dal letto la mattina. Abel era una persona impegnativa, pesante, poco di compagnia, Cain sarebbe stato solamente uno spreco per uno come lui. Quasi preferiva sopportare la cattiveria di Raphael piuttosto che illudere Cain di essere una persona interessante e con cui valeva la pena costruire qualcosa. « Non so cosa vede in me. Ho paura di deluderlo. Poi, già, c'è Raphael. Ho paura di dirgli che voglio chiudere, ultimamente è sempre nervoso e attacca briga con me anche per il motivo più stupido. » sbuffò lievemente, senza scomporsi, ma con le sopracciglia corrugate e le dita strette intorno alla tazza nonostante fosse ancora calda. Incrociò lo sguardo dell'amica - che sapeva la pensava come lui, mannaggia a lei che si sottovalutava di continuo - e gli sorrise di nuovo, sporgendosi verso di lei mentre appoggiava il mento sul palmo caldo della mano sinistra. Con lei si sentiva al sicuro. « Però sì, se potessi permettermi di essere egoista, mi piacerebbe rivederlo. ».
    Quando si era messo con Raphael, un paio di anni prima, non ne aveva parlato con nessuno: ad eccezione di Hannah che l'aveva scoperto per sbaglio, aveva vissuto la sua cotta per l'affascinante violinista dai capelli lunghi e scuri in solitudine, non aveva raccontato a nessuno della prima volta che l'aveva accompagnato a casa dopo la scuola, la prima volta che si erano tenuti per mano, il primo bacio, la prima volta, niente di niente. Nessuno sapeva quanto ad Abel piacesse il suono del suo violino o l'odore del suo profumo. Aveva custodito il loro rapporto gelosamente, neanche fosse un segreto, ed ora parlava di un altro ragazzo con una sua amica, affermando ad alta voce che si era preso una sorta di sbandata - e che sbandata - per un tizio con il quale, all'apparenza, non aveva quasi niente in comune se non l'amore per la musica. Era terribilmente imbarazzante, ma condividere i propri sentimenti con qualcun altro che poteva offrirgli un po' di supporto e qualche parola incoraggiante era... liberatorio. Chi l'avrebbe mai detto? « Cain mi ha detto che faranno parecchi concerti nei prossimi mesi, avranno annunciato le prossime date da qualche parte. E mi ha anche detto dove provano di solito. » fece, rigirandosi uno scone tra le dita prima di addentarlo: quella pausa al bar si stava rivelando, contro le aspettative, il primo momento della giornata in cui riusciva a respirare e starsene un attimo tranquillo. E in più i dolci riuscivano sempre a farlo sentire meglio. « Ho anche visto Noel. ». Nel pronunciare il nome del front man degli Elysian si preoccupò di guardare Evelya e che reazione avrebbe avuto, preoccupandosi di non farle avere un crollo nervoso o qualcosa del genere. In fin dei conti il cantante si era comportato in maniera piuttosto preoccupante con lui e Cain, ed Evie, appena si erano incontrati in corridoio prima di uscire, sembrava aver passato una mattinata turbolenta. « E' apparso all'improvviso mentre io e Cain stavamo parlando, e ha detto che te ne eri andata. E' tutto... a posto? » domandò alla fine, chiedendosi se fosse stato troppo diretto, facendole però capire che, se non se la sentiva, potevano anche cambiare discorso. D'altro canto era lei ad aver proposto di rivederli, quindi troppo male non poteva essere andata, giusto?

    Noel
    Cain aveva ragione: aveva rovinato tutto. Aveva buttato nel cesso l'unica possibilità che entrambi avevano per rivedere Evelya ed Abel, ben pensando che interrompere qualunque cosa il batterista e la sua nuova conquista stessero facendo fosse non una buona, ma bensì un'ottima idea, facendo scappare uno a gambe levate e facendo sì che l'altro gli urlasse in faccia da quando avevano lasciato l'istituto. Noel aveva il cuore spezzato, ma in fondo sapeva che la rabbia del rosso numero due non era infondata.
    Pure Altayr aveva ragione, perché Evelya era così diversa dalle altre, cosa l'aveva attratto così tanto, perché stava così male? Poteva cantare quante canzoni di Lewis Capaldi voleva, sapeva che il sollievo sarebbe stato solo temporaneo.
    E persino Izar, il cuore di ghiaccio del gruppo - all'incirca, quando non si trattava dell'aquilotta - aveva ragione: doveva darsi una svegliata. Le date dei mille concerti che dovevano preparare si stavano inesorabilmente avvicinando, e solo ora stavano decidendo la scaletta di quello che ci sarebbe stato tra poche sere. Non andava affatto bene. Dovevano sfondare, dovevano uscire da quel buco di città, voleva sentire le canzoni degli Elysian in radio e i ragazzi canticchiarle per strada. Bisognava darsi una mossa, e quell'enorme peso sul cuore, ahimé, non poteva essere un ostacolo, non in quel momento, per quanto avrebbe voluto dormire per una giornata intera dopo la delusione alla Ripley.
    Sorrise mestamente mentre il bassista gli parlava nella speranza di riportarlo sul pianeta Terra, e annuì piano, con poca convinzione, perché per quanto sapesse che doveva alzarsi da quel divano, il cuore era messo piuttosto male.
    « Perciò ti scongiuro, ti imploro di mettere da parte una delle tue solite delusioni d'amore per il bene della band e dei nostri portafogli. ». Lo sapeva, eccome se lo sapeva, doveva solo trovare la forza di farlo: Izar aveva fatto bene a ricordargli che così facendo ci andava di mezzo il futuro del gruppo, e buttò un'occhiata fugace a Cain e Altayr poco lontani da loro, senza alzare troppo il capo. Ognuno stava vicino al proprio strumento, pronti per cominciare, e l'asta col microfono lo aspettava al centro della sala. Doveva solamente alzarsi.
    « So che non capisci niente perché sei bastardo senza cuore, ma guardalo bene: questi sono gli occhi di un uomo innamorato che ha perso tutto ». Le parole del batterista lo bloccarono sul divanetto proprio nel momento in cui stava facendo leva sulle braccia per rimettersi in piedi: non si sarebbe aspettato che proprio lui potesse prendere le sue parti quando un attimo prima di entrare in sala aveva affermato che, testuali parole, avrebbe utilizzato la sua testa come tamburo. « No, Izar ha ragione, devo... Devo darmi una mossa. ». Sospirò nel dirlo, buttando fuori l'aria in un soffio forte, per poi finalmente alzarsi, facendo attenzione a non scaricare troppo peso sulla protesi. Il dolore e la delusione gli stavano facendo vedere le stelle, ma la musica, sperava, l'avrebbe distratto fino a sera. Fece cenno ad Altayr di passargli il foglio della scaletta e passò ad analizzare le canzoni che gli altri avevano proposto: "Sleeping In", adorava cantarla, una delle sue preferite, "Time Bomb" e "A Love Like War" erano due dei loro cavalli di battaglia, con quelle ad un concerto non sbagliavano mai, e "Don't You Go" era una novità, non l'avevano suonata spesso in live, e vederla scritta lì lo fece sorridere. Toccava a lui proporne un paio, e all'improvviso fu come se non avesse mai cantato nessuna canzone in vita sua: doveva scegliere dei brani che spaccavano, ma a questo punto sarebbe stato meglio puntare su qualcosa di iconico o buttarsi nel vuoto e presentare delle canzoni inedite che non sapeva come il pubblico avrebbe potuto accogliere? « Vorrei inserire qualcosa di nuovo, vediamo se riusciamo a finire una canzone entro questa settimana. » esclamò piegando il foglio e appoggiandolo su uno degli amplificatori, e incrociò lo sguardo divertito di Altayr. « Rischioso. ». Il ragazzo fece spallucce, sapeva benissimo cosa stava facendo, ma in caso a scegliere due canzoni del loro vecchio repertorio non ci avrebbe messo molto. « Proviamoci. Se qualcuno di voi ha qualche testo dietro o ha in mente una melodia ce ne occupiamo dopo, intanto facciamo "Don't you go" - mamma mia Cain, che roba mi hai tirato fuori? Fantastica. » esclamò e schioccò la lingua, avvicinandosi al microfono mentre si strofinava le mani e cominciava a fare qualche esercizio di riscaldamento per la voce. Stava cominciando a sentirsi meglio, parlare a ruota faceva sì che non ricominciasse a pensare a quel pomeriggio e cantare con i suoi amici lo portava direttamente in un altro mondo, ma sentiva il bisogno di chiacchierare, di suonare, di scrivere, di cantare, qualsiasi cosa pur di non rimanere un attimo fermo a pensare allo sguardo triste col quale Evelya l'aveva salutato prima di andarsene dalla caffetteria. « Spero di non sbagliare, è da un po' che non la suoniamo. ». Noel gesticolò con una mano per dirle che andava tutto bene mentre con l'altra era alle prese col cellulare: nelle note aveva tutti i testi delle loro canzoni salvati con tanto di appunti, melodie e accordi vari, e avere il testo sotto lo faceva sentire più sicuro. « Si chiamano prove per un motivo. ». I due rossi aspettarono che Izar e Altayr accordassero gli strumenti, Cain che scalpitava alla batteria senza preoccuparsi di poter risultare fastidioso, e Noel si scambiò uno sguardo d'intesa con la chitarrista per cominciare insieme. Chissà se Cain aveva scelto quella canzone per ciò che era successo quella mattina oppure totalmente a caso, ma qualunque fosse il motivo gli sembrò di sentirlo suonare con tanta energia da riuscire quasi a sovrastare la sua voce. Sentì Altayr steccare ma recuperò in fretta, e tutti e quattro riuscirono ad arrivare a fine canzone senza troppi errori. « Non mi è sembrata male. Che dite? », « Mi era mancata. Gran bella scelta Cain. ». Noel annuì all'affermazione di Altayr e sorrise in direzione del batterista, e dopo un'altra prova - andata molto meglio - decisero di prendersi una pausa di una decina di minuti, il tempo di prendere un caffè o andare in bagno alla velocità della luce. Guardò l'amica allontanarsi verso il suo zaino per fare non si sa cosa, e Noel maledisse il silenzio che era sceso nel momento esatto in cui Izar era uscito dalla stanza: non voleva pensare, voleva solo concentrarsi sulla musica, che però in quel momento non c'era. Prese un respiro profondo prima che il viso di Evelya potesse far capolino tra i suoi pensieri ─ doveva dimenticarselo, quel nome. Era bravissimo a non ricordarsi il nome di nessuno, eppure il suo gli sembrava di conoscerlo da sempre. Che fortuna, proprio la ragazza che gli aveva spezzato il cuore. Senza farlo apposta la sua attenzione passò dalla punta delle sue scarpe al suo compagno di bravate che sedeva alle sue spalle, e sospirò di nuovo. Da quando aveva messo piede fuori dal letto non ne aveva fatta una giusta: la macchina si era rotta - per la seconda volta quel mese, e il lavoro part time quasi non bastava più a coprirne le spese -, si era infiltrato in una scuola che non era la sua - non lo sapeva con certezza ma magari da qualche parte nel globo era illegale -, era stato rifiutato dalla ragazza dei suoi sogni ed il suo amico era stato piantato in asso per colpa sua. Facendo una lista, in effetti, si sentiva abbastanza una merda. « Cain, senti, » cominciò, avvicinandosi all'amico e assicurandosi che si fosse sfogato sui tamburi della batteria per evitare che lo facesse sulla sua faccia, « mi spiace per stamattina, sono stato davvero un egoista. ». Aveva agito senza contare prima fino a dieci - non era neanche arrivato a due, a dirla tutta -, e a causa del suo dolore ci era andato di mezzo qualcun altro: inizialmente era troppo concentrato a piangersi addosso per rendersi conto che interrompere due ragazzi sul più bello fosse, effettivamente, un grandissimo errore, ma era troppo tardi, e a ripensarci avrebbe agito diversamente - magari avrebbe potuto fare dietro front una volta visti i due insieme su una panchina seduti vicini, così, per dire. Forse non si stavano scambiando le figurine. Dio, era stato davvero un coglione. « E un pessimo amico. Avrei dovuto lasciarvi in pace e aspettare che tornassi. Stavo male e mi sei venuto in mente tu, e volevo solo andarmene a casa mentre tu stavi ancora lì con Alex. Scusami. » fece, pesando ogni parola come se stesse andando al patibolo, ma durante il tragitto in moto non gli aveva ancora posto delle scuse degne di chiamarsi tali - era troppo impegnato a frignare ed asciugarsi le lacrime sulla giacca dell'amico -, « Evelya supera di gran lunga i miei standard, hai ragione. Non sono abbastanza, non lo sarò mai, mi metterò l'anima in pace prima o poi, ma se tu perdessi Adam per colpa mia non riuscirei mai a perdonarmelo. ». Anche perché avevano un appuntamento, giusto? O aveva capito male? Ricordava benissimo che l'albino lo aveva salutato dicendo "a presto", e questo lo fece sperare. « Ah, scusami, Abel. Non Adam. Che poi è pure facile da ricordare, Cain e Abel, neanche a farlo apposta! » ridacchiò, colpendolo alla spalla in modo fraterno sapendo benissimo che quel colpo non lo avrebbe neanche sentito dati i muscoli, « E' un segno del destino! Però anche Noel ed Evelya suonano bene insie - » si interruppe a metà frase, rendendosi conto solo dopo cosa stava per dire. Nessuna falsa speranza, non poteva permetterselo. Per quanto poteva far male, dovevano prendere due strade diverse: lei era destinata ad altro, non sicuramente a starsene con un musicista da quattro soldi.
    « Sì, scusami, non volevo. » rise ancora, tentando di cambiare alla svelta discorso, « Altayr, tu invece? Cos'è successo con Izar? ». La ragazza si voltò verso di loro con un'espressione interrogativa, ma appena il rosso fece il nome del bassista lei sbuffò sonoramente, avvicinandosi a loro a passo svelto mentre stringeva dei fogli tra le dita. « Non so che cos'abbia, abbiamo litigato di nuovo. », « Abbiamo notato. », disse Noel, scambiandosi un'occhiata complice con Cain,, « Ieri sera mi ha invitato ad un concerto degli Our Last Night, e - », il ragazzo non la fece finire di parlare, « Come, scusa? » fece, sinceramente sorpreso, perché si trattava di una mossa davvero audace per Izar. Non aveva mai messo in pratica né i consigli di Cain né quelli di Noel - erano troppo distanti dalla sua visione della vita: il moro era serio, paziente, timoroso, mentre loro due lo avevano sempre incoraggiato a prendere l'iniziativa e giocare in attacco. « E tu che gli hai detto? Non dirmi che hai rifiutato? ». Stava facendo uno sforzo enorme per tenere bassa la voce temendo che Izar potesse sentirli, ma finalmente qualcosa si stava muovendo tra loro due, visto che erano anni che flirtavano tra di loro - pure in maniera abbastanza esplicita e quasi passivo aggressiva, avrebbe osato dire - per poi chiedersi se a lui piaceva lei e viceversa. Finalmente stavano diventando grandi. « No, no, figurati, cioè, non proprio, gli ho detto » « che ci avresti pensato su. E' come un rifiuto, per Dio! Altayr! » il leader degli Elysian concluse la frase al posto della sua chitarrista, perché la conosceva, eccome se la conosceva, e questa bruttissima abitudine di rimandare le decisioni la applicava in qualsiasi campo e contesto, pure quando la sua cotta storica la invitava a niente di meno che un appuntamento. « Mi aveva preso alla sprovvista, ho risposto in automatico, ho avuto dei dubbi! », « Ti ha invitato ad un appuntamento, ma te ne rendi conto? Che dubbi vuoi avere?! ». Noel si passò una mano sul viso, incredulo, perché il motivo per cui Altayr fosse così lenta sulle questioni di cuore quando dispensava consigli a destra e a manca ancora non riusciva a comprenderlo, e stanco, perché dover ascoltare sia il bassista che la chitarrista che si sfogavano a turni lo aveva proprio sfinito. Stavano diventando grandi un cazzo, erano solo degli idioti. « Ho comunque paura di rovinare tutto. Siamo amici da anni, eppure certe volte proprio non lo capisco. Stamattina è arrivato a scuola incazzato, credo per ieri sera, abbiamo comunque fatto pace, poi si è arrabbiato di nuovo dal nulla. », la ragazza sospirò, visibilmente nervosa, e Noel non poté fare a meno di notare i poveri fogli nelle sue mani che lei stava involontariamente stropicciando. Mentre la ascoltava glieli sfilò, lei glielo lasciò fare, e ci buttò un'occhiata veloce per curiosità: avevano tutta l'aria di sembrare appunti sulle prossime canzoni, ma ne avrebbero parlato dopo, ora c'era una tempesta da placare. « Penso che si arrabbi perché faccio qualcosa che gli dà fastidio, ma non mi parla. Sul bus gliel'ho detto e neanche mi ha risposto. Non lo sopporto quando fa così. ». L'introversione di Izar e la sua tendenza a tenersi qualsiasi pensiero per sé in quel caso non aiutava, e Altayr si alterava per un nonnulla: quella era sicuramente una combo pericolosa, e nessuno dei due sembrava averlo ancora capito. Quei due si rincorrevano dai tempi dei primi anni di superiori, una storia travagliata di litigi continui e riappacificazioni istantanee, ma chiunque sembrava aver capito i sentimenti che provavano l'uno per l'altra tranne loro e anche solo osservarli mentre si guardavano di nascosto a vicenda era diventato irritante. Noel guardò Cain di sottecchi senza intromettersi nel racconto della ragazza, sapendo benissimo che stavano pensando la stessa cosa: "datevi una mossa e mettetevi insieme, imbecilli che non siete altro". « E' che... sta diventando difficile stargli dietro, eppure sono ancora qui. Penso di lasciarlo stare e di andare avanti per la mia strada, e poi invece torno indietro a vedere come sta. E' estenuante. », « Guarda che se ti fa più male che bene non è un buon segno. », « No, no, non è questo, sono abituata. Non mi fa stare male, mi fa... stancare. Vorrei solamente dirgli tutto il prima possibile, così almeno questo supplizio finisce, ma ho sempre paura che per lui non sia la stessa cosa, che ne so. ». Noel stette zitto, limitandosi ad alzare le sopracciglia senza neanche nascondere la sua espressione da "ma che stai dicendo?". « Da quando ci conosciamo ci comportiamo così, non capisco se per lui è cambiato qualcosa negli anni. Qualunque cosa lui faccia mi fa andare su di giri, mentre se faccio qualcosa io lui si innervosisce, e finiamo per litigare. » la ragazza sbuffò, e Noel incrociò le mani sul petto: anche lui era stanco, stanco di starli a sentire. Sarebbe stato tutto più semplice se avesse potuto dire ad Altayr che pure Izar le moriva dietro, basta coi teatrini, che litigavano perché entrambi pensavano che l'altro non ricambiasse i propri sentimenti. Ma no, era un uomo di parola e un amico fantastico, non le avrebbe detto nulla. « Secondo me dovresti buttarti. », « Già lo faccio. », « No, in senso, diglielo. ». Vide chiaramente la mandibola di Altayr irrigidirsi e le sopracciglia aggrottarsi, gli occhi verdi di lei a guardarlo come se avesse appena bestemmiato in chiesa. « Ma se vi ho appena detto che - », « Dai, andrà bene. » disse facendo spallucce, un sorriso incoraggiante disegnato sul volto, e colpì Cain alla spalla in modo amichevole, « Tu che dici, latin lover dei nostri stivali? ». Altayr sorrise, seguendo Noel a ruota e colpendolo a sua volta appena finì di parlare, « Col tuo principe, invece? Che tipo è? ». Apprezzò il pensiero della ragazza di non nominare Evelya, perciò anche lui si concentrò sulla cotta di Cain. Non gli andava troppo di parlare del suo cuore spezzato, era meglio dedicarsi a quella che sembrava una promettente - forse un po' travagliata, visti i soggetti - storia d'amore. « Un tipo piuttosto sulle sue, ma non mi sorprende che Cain si sia preso una sbandata. E' molto carino. », commentò, mentre Altayr premeva per saperne di più. In quell'atmosfera così familiare riuscì a dimenticarsi dell'angelo dai capelli biondi per un po', e quasi accantonò l'idea di cantare qualcosa di Lewis Capaldi alla fine delle prove: forse gli sarebbero bastate quattro chiacchiere tra amici e le canzoni degli Elysian a rendere il tutto meno doloroso. La zazzera scura di Izar fece capolino dalla porta mentre i tre ragazzi erano ammassati vicino alla batteria di Cain, e Noel lo invitò ad avvicinarsi, annunciando che stavano parlando della nuova fiamma del batterista - e siccome lui e lo stesso Noel erano quelli che avevano sempre diversi aneddoti amorosi da raccontare erano sempre argomenti di conversazione molto apprezzati -, ma l'altro fece cenno all'unica ragazza del gruppo di seguirlo fuori. Quella non nascose uno sbuffo di leggero fastidio, ma lo seguì comunque, non dopo aver salutato i due rossi con uno sguardo piuttosto eloquente ─ avevano appena litigato, si erano scambiati giusto una decina di parole fino a quel momento, il minimo indispensabile per accordare gli strumenti, stilare la bozza della scaletta e andare insieme durante l'unica canzone che avevano provato, era ovvio avesse i nervi a fior di pelle. La incoraggiò con un pollice alzato, poi i due sparirono dietro l'angolo del corridoio. « Vecchio mio, ho un'idea. E a quei due non piacerà. »

    Altayr
    L'aria fresca accarezzò Altayr appena fu fuori dal Waterwitch, ma subito venne sostituita dall'odore di nicotina che veniva dalla sigaretta accesa dal ragazzo al suo fianco ─ personalmente non gli dava fastidio, ma in quel momento qualsiasi cosa le dava ai nervi. Doveva darsi una calmata, decisamente, o non sarebbe riuscire ad affrontare una qualunque discussione in maniera costruttiva. Da una parte sperava che Izar volesse fare pace - era l'opzione più plausibile -, ma una vocina guastafeste le aveva suggerito che magari l'aveva portata fuori per dirle che era tutto finito: niente concerto, niente serate insieme, aveva in mente di lasciare la band per colpa sua, qualsiasi cosa pur di uscire dalla sua vita. Ma, appunto, era solo una vocina guastafeste e come tale la trattò: si stava facendo troppi film mentali, e anche Cain e Noel le avevano detto che sarebbe andata bene. Il silenzio tra di loro sembrò durare un'eternità, ma lei non fece nulla per riempirlo. Stupido orgoglio. Avrebbe voluto chiarire una volta per tutte, perché a stargli lontano non era proprio capace, ma aspettò di sentire cosa Izar aveva da dire. Peccato che quel minuto scarso che ci volle per tirare fuori e accendere la sigaretta le sembrò durare ore e ore e ore, tanto da finire per guardarsi intorno facendo finta che la cosa con la toccasse. « Scusa per oggi, sono un coglione. ». Beh, era stato molto diretto, una novità per Izar. L'attenzione della ragazza tornò su di lui, e nonostante la rabbia, nonostante fosse d'accordo con lui, fu una tortura sostenere il suo sguardo: gli occhi verdi di lei seguivano il movimento della sua mano, poi il fumo della sigaretta che si mischiava al colore dei suoi capelli, e poi finivano sulle iridi chiare dell'amico. Un supplizio. « Meno male che te lo dici da solo. » esclamò, incrociando le braccia sul petto e stringendosi nella giacca della divisa, perché per la smania di seguirlo non aveva neanche pensato a prendere qualcosa per coprirsi, e dato che le serate primaverili ancora così calde non erano un brivido di freddo le percorse la schiena. « Però a volte fai delle cose che mi fanno credere che... cioè, se le facessi io a te sarebbe strano. ». La ragazza alzò un sopracciglio: cose strane? « Spiegati meglio » lo esortò, ancora più confusa di prima. Dire ciò che si pensava quando preferiva di gran lunga tenere tutti all'oscuro di ciò che gli passava per la testa non doveva essere facile per lui, ma non capiva davvero dove voleva andare a parare. « Non darmi false speranze se sono sullo stesso piano di Kevin o Noel. ». Altayr perse un battito, e a quelle parole, come se finalmente un ingranaggio avesse finalmente ripreso a girare, facendo tornare tutto al proprio posto, trovò risposta al suo dubbio: si era arrabbiato per ciò che era successo al fast food, e si chiese come aveva fatto a non pensarci prima. E false speranze... in quel senso? No, si stava immaginando tutto, non poteva stargli dicendo che sperava in qualcosa. Non in quella cosa, non qualcosa in più rispetto a ciò che avevano. Poi però ripensò a come le sera sembrato di capire che il concerto degli Our Last Night fosse un appuntamento, il fatto che avesse pensato a lei quando aveva comprato i biglietti, come aveva reagito mentre stavano mangiando, e perfino tutte le egoistiche e stupide teorie sul testo di "Lost in Stereo" le sembrarono plausibili. No, non era possibile, se ne sarebbe accorta, conosceva Izar meglio di chiunque altro. « Mi mandi in confusione. » aggiunse dopo un'altra boccata di fumo, e lei lo guardò di rimando, perché forse non se ne rendeva conto, ma lui gli faceva lo stesso effetto. Lo guardò in attesa di qualcos'altro che potesse riempire il silenzio tra di loro, e per un folle e breve attimo ebbe l'impulso di dirgli tutto proprio come avevano detto Noel e Cain, perché non ne poteva più: lo stomaco le faceva male solo a guardarlo, e quando sorrise le sembrò di avere un mancamento. Quanto era patetica. « Da adesso ti do un ordine restrittivo, Windstorm. », sospirò, non gli avrebbe mai detto che odiava farsi chiamare per cognome tranne che da lui, « Resta sempre a cinque passi da me e nessuno si farà male. ». Quando le accarezzò i capelli avrebbe voluto staccargliela, quella mano. Come poteva fare una cosa del genere quando era lui ad aver detto che aveva assunto comportamenti equivoci dandogli false speranze? Ci sarà stato un motivo se si stava comportando così, diamine. E se invece si stava solo divertendo a prenderla un po' in giro e lei stesse interpretando male i segnali? Perché ce n'erano un bel po', e pensandoci bene se una sua amica le avesse raccontato che qualcuno aveva fatto le stesse cose di Izar con lei, beh, Altayr le avrebbe detto che sicuramente quella persona era interessata. Perché con Izar doveva essere diverso? Giusto, perché lei aveva paura di perdere tutto. Gli sguardi sul palco, le risate in corridoio a scuola, i pomeriggi in sala giochi, il sabato a badare a Seth, il modo in cui sua madre scherzava con Izar come fosse un figlio, i compiti da fare insieme, trovare luoghi sperduti per vedere le stelle e usare la scusa di avere un solo telo per stare stesi il più vicino possibile. Sarebbe svanito tutto, qualsiasi cosa, anni di amicizia e silenzioso amore buttati nel cesso. Ma fanculo la prudenza, gliela stava servendo su un piatto d'argento e lei era stanca di mordersi sempre la lingua sul più bello. « A partire da domani, magari. », « Anche da ora, se vuoi. » disse, seguendo con lo sguardo la sua mano mentre si allontanava, le punte delle sue lunghe ciocche che gli scivolavano dalle dita. « A cinque passi massimo, giusto? Quindi così va bene. » guardò ai suoi piedi, contando all'incirca la distanza tra loro - forse un paio di passi, non gli stava troppo vicino dato che stava fumando - e chiese silenziosamente conferma con un cenno del capo. « Anche così va bene. » fece un passo indietro continuando a guardarlo, sperando non la contraddisse e stesse al gioco. « Così la rischio grossa invece, sono cinque. E così » continuò a camminare all'indietro, fino ad uscire dal limite immaginario che Izar aveva imposto poco prima, « ops, mi sono allontanata troppo. E siccome non voglio assolutamente scoprire cosa saresti in grado di farmi se trasgredissi le tue regole » ridacchiò, e si riavvicinò di nuovo tenendosi le mani dietro la schiena in un inutile tentativo di sembrare innocente e senza secondi fini, quando invece sperava vivamente che Izar avesse capito che i secondi fini c'erano, eccome. « accorcio la distanza. Così va meglio? ». Da sei passi a tre era stato facile, ridurli a due pure, e quando ce ne fu solamente uno, nonostante fosse la solita distanza che li separava quando camminavano fianco a fianco o quando parlavano, il battito le accelerò così tanto da pensare di rischiare un infarto. Fece un altro passo, l'ultimo che poteva permettersi, fino a finirgli pericolosamente vicino: soffiò sulla sottile linea di fumo che saliva dalla sigaretta del ragazzo continuando a guardarlo fisso in quei meravigliosi occhi verdi che si ritrovava, maledicendo il giorno in cui si era innamorata del tenebroso bassista degli Elysian. « Mi hai mai visto così vicino a Noel? O a Kevin? » gli chiese a bassa voce, sforzandosi di non abbassare lo sguardo sulle sue labbra, la testa che, nel mentre, le stava per esplodere, buttati, buttati, buttati, « Fatti due domande, passerotto. Sei sempre stato diverso da loro. ». Perfetto, la bomba l'aveva sganciata, troppo tardi per tornare indietro, ora stava a lui. Riuscì a metabolizzare solo dopo che era riuscita a dirgli davvero ciò che provava: okay, non aveva utilizzato il classico "mi piaci", ma sperò che il messaggio fosse arrivato a destinazione comunque. Era agitata, molto, le budella le si stavano attorcigliando fino a farle fisicamente male e il cuore ci mancava poco e sarebbe balzato fuori dal petto per quanto stava correndo, e non riusciva a decifrare l'espressione di Izar, fantastico. Le opzioni erano due: o si arrabbiava, di nuovo, e le sue paure si sarebbero concretizzate, oppure la baciava. Non potevano esserci vie di mezzo.
    Oppure c'era anche una terza opzione, che aveva un nome ben preciso e non aveva preso in considerazione: Noel. Sentì la sua voce in lontananza chiamarli, e Altayr si sentì letteralmente morire: nelle stelle era scritto che quello sarebbe stato il giorno in cui il rosso sarebbe apparso nei momenti più inopportuni di sempre, a quanto pareva. Alzò gli occhi al cielo e ora sì che poteva capire l'improvviso desiderio di ammazzare qualcuno che aveva provato Cain quella mattina. La ragazza buttò un occhio alla porta e si allontanò velocemente dall'amico prima che Noel potesse coglierli in flagrante, e lo vide uscire dal locale con l'espressione più angelica di sempre. « Finita la sigaretta? » domandò, e Altayr si limitò a fare "sì" con la testa, imponendosi di tenere la bocca chiusa per non inveirgli contro, l'atmosfera intima di prima ormai completamente rovinata. « Datevi una mossa allora. », « Arriviamo. ». Lanciò un'occhiata arresa ad Izar, avviandosi verso il Waterwitch a passi lenti voltata però verso di lui, mentre Noel li attendeva alla porta e urlava a Cain che stavano rientrando - forse loro pensavano di averle dato abbastanza tempo, ma avevano sbagliato a fare i calcoli. « Forza Izar, come sei lento » esclamò, facendo bellamente finta di nulla in presenza del rosso, e gli fece la linguaccia prima di entrare in sala prove, dove ad aspettarli c'era anche Cain. Fine della pausa, fine della magia: la risposta del corvo era rimasta sospesa tra di loro ed Altayr, sebbene si stesse comportando in modo disinvolto, era tesa come una corda di violino: sul momento le parole di incoraggiamento di Noel e Cain e l'impazienza l'avevano fatta agire d'impulso, ma ora, a ripensarci, si chiedeva solamente come diavolo le fosse venuto in mente di fare una cosa del genere visto quanto si stava giocando. Se Izar le avesse detto di no sarebbe riuscita a far finta di nulla e continuare ad essere amici come nulla fosse? Pensare ad un'eventualità del genere la faceva sentire anche peggio, e concentrarsi sulle prove le pareva impossibile quando non riusciva a ricordare altro che l'espressione indecifrabile di Izar. Lo guardò dall'altra parte della stanza, un gesto automatico che le sarebbe costato caro se lui avesse avuto la stessa idea di alzare lo sguardo su di lei: Izar era una presenza silenziosa e non prendeva molto spazio, ma in una stanza piena di gente avrebbe cercato solo e solamente lui. « Mentre eravate fuori abbiamo dato una letta a queste bozze qua. Sono tutte le canzoni incomplete, giusto? ». Quando sentì la voce di Noel la ragazza tornò di botto coi piedi per terra e annuì. « Dunque, prima direi di provare per bene tutta la scaletta, la sistemiamo, poi vediamo quanto tempo ci rimane e, in caso, selezioniamo almeno una canzone da finire. Forza che ce l'abbiamo, me la sento. » esclamò Noel, che a confronto con il ragazzo steso sul divanetto in preda alla disperazione qual era a inizio prove sembrava rinato, e Altayr gli sorrise di rimando pronta ad imbracciare la chitarra, contagiata dal suo buonumore, e quando prese posizione, come sempre, incrociò lo sguardo di Izar per vedere se fosse pronto, e le sembrò di morire. Quel contatto visivo non aveva mai significato solo "sei pronto?", e sperò che, adesso che lo stava sostenendo qualche attimo in più, lo avesse capito. - Ti prego, dimmi di sì. -

    Sul finale di "Time-Bomb", sapendo fosse l'ultima canzone della serata, diede tutta sé stessa, sostenendo l'ultima nota e troncandola con un colpo deciso della mano lungo il manico con un sorriso soddisfatto e spostandosi i capelli dal viso che, nonostante li avesse legati in una comoda coda di cavallo, le erano ugualmente finiti sul viso. Aveva notato come Noel sembrasse rinato, come se nulla fosse successo - ma lo conosceva bene, e sapeva che buttarsi sulla musica era l'unico modo per distrarsi dal dolore -, e vederlo così aveva dato una svegliata a tutti gli Elysian, facendo concludere quelle prove in maniera più che accettabile. Avrebbero riprovato la scaletta nei prossimi giorni in modo da arrivare preparati al prossimo live e si sarebbero dedicati a qualche brano nuovo a casa, con calma, discutendone quando si sarebbero visti: a tutti era parso un programma ragionevole, e iniziarono a sistemare la sala per tornarsene a casa. Sistemò in silenzio la chitarra nella custodia, unendosi ogni tanto ai discorsi di Noel che variavano dall'ultimo gossip che aveva sentito all'università al costringere i suoi amici a guardare un tenero video del figlio di suo fratello vestito di tutto punto per andare all'asilo. Quel pomeriggio passato a suonare sembrava aver giovato a tutto il gruppo, ma Altayr era stata tutto il tempo ad osservare Izar, senza avvicinarsi troppo e stando attenta a non farsi beccare: l'aver detto ad alta voce che per lei non era mai stato un semplice amico senza aver ricevuto una risposta l'aveva portata quasi a temere di incrociare lo sguardo del ragazzo, certa che non sarebbe riuscita a sostenerlo. La testa le faceva male, i pensieri viaggiavano a mille all'ora accavallandosi tra loro, e sebbene volesse sapere cosa ne pensasse Izar, di tutta quella situazione, e cosa aveva capito dalle sue parole, allo stesso tempo avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e cucirsi la bocca. Quell'attesa la stava ammazzando. Sperò di metterci più tempo a raccogliere tutte le sue cose prima di uscire, invece i quattro sembrava fossero perfettamente in sincronia e uscirono tutti insieme - evviva -, e come se non bastasse, per quanto fosse evidente che i rossi stessero cercando di andare avanti per dare loro un po' di spazio, l'autobus che entrambi dovevano prendere arrivò in anticipo, e dovettero correre per non rischiare di perdere l'ultima corsa. Altayr recuperò il fiato appoggiandosi alla porta appena si chiuse, lasciando cadere lo zaino a terra mentre si allentava la cravatta che in quel momento le dava solamente un gran fastidio. « Santo cielo, per poco. », commentò, lanciando un'occhiataccia ad un tipo che li stava guardando in cagnesco, « Ci sono dei posti per sedersi? » domandò poi, rimettendosi dritta in modo da guardarsi in giro, ma non sembravano esserci dei sedili vicini liberi, « O sennò fa niente, cioè, volevo solo... » cominciò, ma si morse il labbro in maniera nervosa prima di continuare: perché era così difficile, santo cielo? A malapena riusciva a guardarlo in faccia. « ... continuare il discorso di prima. ». Le ultime parole le uscirono in modo affrettato, ma aveva bisogno di parlarne, anche se la risposta finale si fosse rivelata essere un no. "Lost in Stereo" le rimbombava in testa nonostante in sottofondo ci fosse un brano di Dua Lipa, pregando che le sue non fossero solo dei castelli in aria o dei film mentali da Oscar, perché aveva seriamente paura di aver interpretato male qualsiasi segnale o messaggio e avesse fatto una grande, grandissima, enorme cazzata. « Chiedo scusa, l'Hotel Brown's si trova da queste parti? ». La ragazza si pietrificò, non credendo alle sue orecchie, e spostò lo sguardo da Izar ad un tipo sulla quarantina dietro di lui, vestito di tutto punto, che mostrava ai due ragazzi Google Maps e un'espressione quasi terrorizzata. « No, è da tutt'altra parte. » gli rispose lei tentando di nascondere un sorrisetto omicida, « Per prendere il bus che porta ad Albemarle Street deve scendere tra tre fermate e aspettare lì. ». L'altro si dileguò con una marea di "grazie" e "scusi il disturbo", e la ragazza lo guardò allontanarsi chiedendosi perché avesse scelto proprio quel momento per interromperli: chiedere al vecchio seduto vicino a lui era troppo complicato? « Sbaglio o i ricchi hanno senso dell'orientamento pari a zero? » sbuffò, « Forse perché possono prendere tutti i biglietti dell'autobus che vogliono. ». Sospirò sonoramente, ficcandosi le mani in tasca per evitare di martoriarsele per il nervosismo, e guardò di nuovo Izar nonostante avesse l'impressione che fossero un po' troppo vicini. Il suo primo pensiero fu di baciarlo, di buttarsi, nonostante tutta la gente in autobus e al diavolo le tanto agognate spiegazioni, ma a fermarla fu il signore di prima che si stava riavvicinando a loro - forse per chiedere la fermata dove sarebbe dovuto scendere, prima in effetti non era stata molto specifica, ma guardarlo avanzare stava avendo su di lei lo stesso effetto di un toro nel bel mezzo di una corrida. « Scendiamo adesso, che altrimenti ammazzo qualcuno. ». La sua pazienza aveva raggiunto il limite, e prima che le porte si aprissero, in un gesto istintivo, afferrò il polso dell'amico trascinandolo con sé fuori dal bus appena ne ebbe la possibilità, e appena quello ripartì le partì un "vaffanculo" dal cuore, sentito e liberatorio. « So che la mia fermata era la prossima, ma quel tizio voleva parlarci di nuovo, e ne ho le palle piene di gente che continua ad interromperci. » esclamò, notando con estrema soddisfazione che ora erano finalmente soli: il marciapiede su cui stavano continuava per metri e metri, e i lampioni che illuminavano la via non rivelavano altre figure oltre a loro. In una serata qualsiasi sarebbe stata sull'attenti, ma non era una serata qualsiasi. Adesso potevano parlare in santa pace, e se da un lato ciò la confortava, dall'altro la terrorizzava, ma ormai doveva arrivare fino alla fine, o avrebbe passato la notte in bianco a furia di ripensarci. « Senti, inutile girarci attorno. A proposito di prima, » iniziò senza alcun preavviso, sicura che se avesse fatto passare anche solo un secondo in più non sarebbe più riuscita a dire nulla, lasciando che il dubbio la divorasse in favore di mantenere la loro amicizia. Non riusciva più a recitare la parte dell'amicona, forse non era mai stata neanche una grande attrice dato che, a detta di Noel e Cain, era piuttosto palese che le piacesse Izar, ma era inutile se a notarlo erano gli altri e non il diretto interessato. « Credo di essere stata abbastanza chiara, ma siccome, non so, credi che ti stia prendendo in giro, te lo dico senza giri di parole. Mi piaci, Izar. Molto. ». Lo buttò fuori il più velocemente possibile, quasi col timore che qualcuno apparisse dalle ombre e li interrompesse sul più bello, ed ora che glielo aveva detto chiaro e tondo le sembrò di aver perso il filo del discorso e non sapere cosa dire dopo. Aveva fantasticato per anni su quel momento specifico, su come avrebbe potuto confessargli i suoi sentimenti, ma non aveva mai preso in considerazione di farlo in un quartiere desolato alla fine di una giornata che l'aveva portata ad avere quattro crisi di nervi di fila, un record. « Al fast food non ti ho pulito le labbra perché mi divertivo, stavo solo cercando di... », di? Essere appetibile? No, che imbarazzo, stava già facendo casini, non glielo avrebbe mai detto. « Non importa, il punto è che non è mai stato un gioco per me. E' una cosa seria, e quando ho capito che eri nervoso a causa mia mi sono resa conto che dovevo assolutamente dirti ciò che provo. Non sopporto che i miei sentimenti vengano interpretati nel modo sbagliato, soprattutto da te. ». Sostenere il suo sguardo si stava facendo sempre più complicato, ma buttare tutto fuori, di getto, senza pensare alle conseguenze, la fece sentire leggermente meglio, per quanto il verdetto finale spettava ad Izar. Ogni volta che finiva una frase gli dava il tempo di rispondere, ma ogni volta i secondi erano sempre meno: doveva arrivare fino alla fine, era una questione di principio. « Sono innamorata di te, lo sono sempre stata. ». La voce le si ruppe proprio alla fine, e lei la nascose con una risatina piuttosto imbarazzata, tentando di recuperare un po' di serietà. Era inutile, Izar le faceva quell'effetto: la faceva sentire debole anche quando sapeva benissimo di non esserlo, in sua presenza abbassava qualsiasi difesa. Avrebbe potuto distruggerla, glielo avrebbe lasciato fare. Si rese conto troppo tardi che le sue dita stringevano ancora il polso del ragazzo da quando erano scesi dall'autobus, e le venne spontaneo allentare la presa, ma non riuscì a lasciarlo andare. Sarebbe rimasto con lei anche dopo tutto quello che gli aveva detto, vero? « Sei la stella più luminosa di tutte. » lo disse sottovoce, quasi sperando non la sentisse, perché una cosa del genere era troppo smielata anche per lei, ma nel silenzio che li attorniava quelle parole sembrarono rimbombare, come se le avesse urlate a pieni polmoni. Tornò a guardarlo, in attesa di una qualsiasi reazione, certa che, stavolta, avrebbe ottenuto una risposta.

    Noel
    Non aveva mai desiderato sprofondare nei cuscini del divano come in quel momento, e appena varcò la porta di casa vi si buttò a quattro di spade. Tutta la stanchezza della giornata si riversò su di lui, che fino a quel momento non si era reso conto di quanto fosse stremato. Quella giornata lo aveva prosciugato di ogni energia, e ora che era rimasto da solo sperò solamente di addormentarsi il più presto possibile. Chiuse gli occhi e si portò un braccio sopra gli occhi per evitare che la luce dei lampioni lo colpisse in viso - le tende erano aperte e non aveva proprio voglia di alzarsi a chiuderle. Sospirò rumorosamente, dando voce alla sua frustrazione, e la suoneria del telefono che segnalava l'arrivo di un nuovo messaggio gli fece sollevare, seppur a malincuore, le palpebre, domandandosi chi diavolo lo stesse disturbando. Allungò il collo per leggere il mittente, e si sorprese di vedere che si trattava di suo fratello. Aprì la notifica alla velocità della luce, sorridendo nel vedere un tik tok a tema doggos che Julian gli aveva mandato. « Che amori » squittì tra sé e sé, ricambiando il pensiero con una decina di cuori rossi. L'altro gli rispose quasi subito, scrivendo l'unica cosa che non avrebbe dovuto chiedergli:

    "Com'è andata oggi? Non ci siamo sentiti per niente."

    Com'era andata? Un macello.

    "Così così, una ragazza mi ha scaricato."
    "Come stai?"
    "Prossima domanda?"

    Bloccò lo schermo del telefono, tornando finalmente al buio, e fece di tutto per non far di nuovo finire tutti i suoi pensieri su Evelya. Eppure, più c'era silenzio, più la sua testa faceva rumore. Le tempie gli pulsavano, e Noel riportò di nuovo le mani sul viso fino a coprirlo del tutto sperando di calmarsi. Stare coi suoi amici l'aveva aiutato a distrarsi, nessuno di loro gli aveva chiesto nulla a riguardo dall'inizio delle prove, ma gli era bastato poco per tornare a pensare a lei. Noel aveva davvero una pessima memoria, faceva molta fatica a collegare i nomi ai volti - e di amici ne aveva un bel po', prima di ricordare chi fossero dovevano sempre passare almeno un paio di incontri, ma con Evelya era bastato vederla una volta, una sola. Quello sguardo gentile, i suoi occhi chiari se li sarebbe ricordati finché respirava, ed era un male. Voleva che invece nella sua memoria il viso di lei non comparisse così chiaramente, non voleva ricordare perfettamente l'acconciatura che aveva quella mattina, e non voleva che le sue ultime parole gli rimbombassero in testa come fossero il testo di una delle canzoni degli Elysian. Quanto avrebbe voluto avere una possibilità, una sola, per renderla felice. « Basta, ti prego » biascicò, passandosi le dita sugli occhi e facendo pressione, ormai esausto da tutto quel pensare. L'aveva allontanato, doveva farsene una ragione, era finita lì. Evie l'aveva fermato anche prima che potesse cominciare qualcosa, quindi sarebbe stato più semplice metterci una pietra sopra, non era nulla di tragico. Sarebbe andato avanti, lei probabilmente si sarebbe fatta due risate in futuro con le amiche ripensando al pazzo che si era intrufolato nella sua scuola e lui nel frattempo si sarebbe laureato e avrebbe riempito gli stadi girando il mondo con gli Elysian. Questo stupido pensiero lo fece andare avanti, riuscendo, per un po', a zittire la vocina che gli ricordava quanto Evelya gli fosse sembrata triste quella mattina. Era una ragazza fuori dalla sua portata, si meritava di meglio, erano due mondi troppo diversi.
    Si addormento così, ancora vestito, ripetendosi che sarebbe andato tutto bene, ma il suo ultimo pensiero cosciente prima di cadere tra le braccia di Morfeo, se n'era accorto, era stato per Evelya.

    Abel
    Stravinskij era sempre un palo nel culo da suonare, soprattutto prima di andare a dormire: non lo sopportava, ma ovviamente il suo insegnante di pianoforte lo amava alla follia. Nell'alzarsi dallo sgabello, Abel chiuse il libro degli spartiti in malo modo e sedendosi sul letto come se non toccasse il materasso da settimane, facendosi sfuggire un sospiro di rassegnazione. Lo stress per la scuola era davvero alle stelle, e qualsiasi cosa - anche un'insulsa sonata che non gli riusciva al primo tentativo - gli mandava il sangue al cervello. « Hai visto il reel che ti ho inviato? ». La voce di Hannah, sua sorella, che si affacciava dalla porta, giunse limpida alle sue orecchie, ma in quel preciso istante gli sembrò più simile ad un gesso che grattava la lavagna. Abel alzò la testa su di lui, mettendoci qualche secondo a capire costa stesse dicendo. « Non ho capito, scusa », fece, e la ragazza alzò gli occhi al cielo, « Un reel, su Instagram. », « No, non mi è arrivata nessuna notifica. ». Abel afferrò il telefono sul comodino, dimostrando alla sorella che effettivamente non c'era nulla che segnalava un nuovo messaggio su qualsiasi social. « Guardalo adesso! Ci sono due fratelli che si comportano come noi, super carino » esclamò con rinnovato entusiasmo, mettendosi subito a sedere vicino a lui, e il ragazzo annuì, la testa ancora tra le note della "Sonate pour Piano" di Stravinksij. Abel non adorava particolarmente quando qualcuno invadeva il suo spazio personale, ma Hannah aveva un lasciapassare speciale. Appena aprì l'applicazione fece per aprire i messaggi, ma una notifica a tendina ben precisa glielo impedì, facendo finire il reel di Hannah in secondo piano, e quello che lesse lo fece impallidire. « Abel? Che hai? ». L'albino, d'istinto, le allontanò il telefono in modo che non potesse guardare, e l'espressione di Hannah si fece ancora più confusa, ma non le diede retta: nella sua mente c'era solamente la richiesta del follow di Cain, quel Cain, e, per quanto fosse una cosa da nulla, gli sembrò che la testa avesse cominciato a girargli. - Ci sto pensando troppo, è uno stupido social - si disse, conscio che gli stesse dando anche troppa importanza, quando all'improvviso si vide sfilare il telefono dalle mani senza che lui potesse far nulla. « Ehi! », « Chi è questo... Cain? Lo conosci? ». Dalla risata di Hannah che seguì la sua domanda, Abel dedusse che poteva leggergli la risposta in pieno viso, e tentò di riprendersi il cellulare senza successo, mentre lei si alzava per riuscire a guardare le foto del profilo del ragazzo in santa pace. « Beh, è carino! » esclamò con gli occhi al cuore, il dito che scorreva sullo schermo a velocità super sonica, « Stai attenta, non lasciargli i cuori per sbaglio! », « Anche se fosse? Se li merita. Guarda che figo! Oh, mamma mia, guarda che figo. ». Hannah tornò verso di lui per mostrargli una foto di Cain sul palco, ovviamente coi muscoli in bella vista, venuta particolarmente bene, ed Abel non sapeva davvero dove guardare. « Sì, lo so Hannah » farfugliò, e la sorella si sedette di nuovo accanto a lui, « E questo ti ha chiesto di seguirti? Ma sai chi è? Mh, batterista degli Elysian... Li ho sentiti nominare... » disse ed estrasse il suo, di cellulare, per fare una veloce ricerca su internet, e restituì il telefono al fratello, che ancora fissava la richiesta di Cain come un ebete. Non si domandò nemmeno come avesse fatto a trovarlo, visto il suo nickname minimale - Hannah lo definiva "da boomer" -, ma non credeva che avesse così tanta smania di mettersi in contatto con lui. Pensava di rivederlo una sera ad un concerto, forse un giorno alle prove, non pensava che lo avesse cercato così presto. « Che fai? Non accetti? ». La domanda di Hannah lo riportò coi piedi per terra, e sul momento non seppe davvero cosa rispondere: avrebbe dovuto? Dio, si sentiva una frana. « Dici di sì? ». La ragazza annuì vistosamente, come se le avesse chiesto se 2 più 2 facesse 4. « E me lo chiedi pure? Sono super invidiosa » esclamò, e come se non bastasse premette sul tasto "conferma" al posto suo, ed Abel strillò per la sorpresa. « Ma cosa diavolo fai?! », « Quello che tu non hai il coraggio di fare. Mi ringrazierai. ». Troppe cose tutte insieme, il suo cervello stava andando in escandescenza: si sentiva sopraffatto da una marea di emozioni contrastanti, e più osservava la foto profilo di Cain su Instagram più si sentiva le guance calde. « Ti lascio solo, bell'innamorato. Torno dopo. ». La sentì ridere, ma il ragazzo si era già perso tra le centinaia di foto dell'account del batterista. Doveva proprio parlare con Raphael.

    « Altayr » || « Noel » || « Abel »
    ‹ altayr c. windstorm (19) / noel h. moore (21) / abel c. gytrash (18) ›

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    Edited by altäir - 20/10/2023, 19:34
     
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    Evelya

    La notte a Manchester sembrava non passare mai, con ragazzi che affollavano le strade, musica e schiamazzi ad oltranza, ma poco male, Evelya non riusciva comunque a dormire. Nella piccola casa di periferia del fratello, all'ultimo piano di un condominio alto e stretto, poteva vedere la città vivere e respirare, e per un attimo respirò anche lei. La moglie di Aidan, Harmonia, probabilmente le aveva rifilato una tisana dalle proprietà magiche. Riusciva a pensare con chiarezza, vedere le cose da una nuova prospettiva, ed ogni muscolo si stava finalmente rilassando.
    - Scappare ogni tanto fa bene - si disse, anche per giustificare la codardia degli ultimi giorni. Sarebbe stata la sua ultima fuga, basta negarsi la possibilità di essere felice. Ricordò la conversazione avuta con Abel un paio di giorni prima, il modo in cui entrambi esitavano ad uscire dai propri spazi per paura dell'ignoto. Per la prima volta l'amico le aveva aperto il suo cuore giusto di un piccolo spiraglio, e dentro serbava sentimenti molto simili ai suoi. Era rimasta ad ascoltare con attenzione le sue vicissitudini con Raphael, il loro rapporto traballante, segnali che non aveva colto pur frequentandoli ogni giorno. D'altronde se Abel era un muro, il suo ragazzo era una muraglia. La trattava sempre con la cortesia che si riserva agli anziani, non un commento di troppo, perciò era difficile decifrarne il carattere. Dubitava che non provasse più sentimenti per Abel. Forse qualcosa spaventava anche lui... ed in effetti il batterista degli Elysian stava mettendo in seria difficoltà il povero compagno.

    « Però sì, se potessi permettermi di essere egoista, mi piacerebbe rivederlo. ».
    « Puoi. Possiamo, di sicuro » aveva risposto lei, fiduciosa. « E se lo deluderai ci sarà qualcun altro. » Le parole di Aidan ora avevano molto più senso, oppure era l'effetto della tisana. Anche sapere dei concerti che avevano in programma le aveva trasmesso nuova speranza, seppur sul momento sentire il nome di Noel le avesse aperto una voragine nello stomaco.
    « E' tutto... a posto? ».
    « Non proprio, ma forse posso rimediare. » Gli aveva afferrato le mani, scavalcando i loro scones e le tazze vuote di tè.
    « Abel, per l'ennesima volta, ti andrebbe di accompagnarmi ad un concerto? ».

    Si erano separati con la promessa di pensarci su a mente fredda. Erano due creature ferite che necessitavano di tempo e spazio per riprendersi, per capire a cosa dare la priorità. Sentiva che il loro legame ora era un po' più saldo, e scoprire di non essere sola in questa battaglia la rincuorò.

    - E adesso diamo un'occhiata alle date dei concerti. -

    Si ritrovò di nuovo ad ammirare le foto sul profilo instagram del gruppo, prima di cercare storie in evidenza che potessero tornarle utili. Scoprì che in effetti ne avevano parecchi in programma, più o meno lontani, ma tutti a portata di macchina. Le date erano vicine al saggio scolastico, quindi il rischio di mandare su tutte le furie famiglia e professore raddoppiava. Fece uno screen e lo inviò ad Abel, scusandosi per l'orario, in attesa di uno dei suoi consigli, poi si ritrovò a vagare sul profilo personale di Noel a mo' di punizione. Non capitava spesso che qualcuno le piacesse al primo sguardo, senza sapere qualcosa sulla famiglia d'origine, la professione, i voti e altre informazioni che i Sadalmelik scandagliavano bene prima di dare confidenza a qualcuno. C'era qualcosa di autentico nel suo viso, un atteggiamento spontaneo e fuori misura che la travolgeva, una sicurezza che poteva solo sognarsi. Se voleva fare ammenda doveva sbrigarsi, vista la notorietà del cantante... ma come entrare in quel mondo caotico senza la minima esperienza in materia? Rimuginò sul da farsi con le canzoni degli Elysian nelle orecchie, appoggiata al davanzale della finestra proprio sopra il suo letto, mentre il baluginio lontano dell'alba iniziava a fare capolino.

    Cain

    Pestare su piatti e tamburi era la valvola di sfogo meno dannosa e più efficace che Cain conoscesse, forse l'unica. Non faceva male come le sigarette o il gin liscio, né come una corsa spericolata in moto di notte. Solo lui, il casino nelle orecchie e gli strumenti dei suoi compagni.

    I want a one night stand just one more time with you
    So give me one more night with you


    Noel aveva recuperato in fretta la melodia di una canzone trascurata per troppo tempo, una delle prime che avevano scritto al momento della formazione della band. All'epoca era fatta per spargere sentimentalismo spiccio tra il pubblico di adolescenti, ma ora era talmente verosimile da fare male. Con la testa che ancora cercava Abel, chiuse in bellezza e si complimentò con gli altri tre per la velocità con cui erano tornati sul pezzo.
    « Mi era mancata. Gran bella scelta Cain » commentò Altayr, nostalgica quanto lui quando si tiravano fuori certi cimeli.
    « Grazie, grazie. Spero che ci sarà una certa persona ad ascoltarla, la prossima volta. » Non si erano dati nessun appuntamento, però chissà, magari l'aveva incuriosito con la storia delle prove.
    Approfittò della breve pausa per bere un'intera bottiglietta d'acqua e controllare il cellulare, filtrando i messaggi in direct. Una notifica sul cuoricino in alto a destra dello schermo lo accese come una fiaccola, e corse a premere su quella richiesta d'amicizia accettata e ricambiata. Fu come ricevere la chiave della sua stanza, e in men che non si dica iniziò ad indagare sulla sua vita come uno stalker. Scorci di quotidianità, poche foto e persone. Il suo profilo era riservato quanto lui, ma notò che la musica era una costante.
    « Cain, senti- » lo chiamò Noel, che sembrava aver recuperato un briciolo di entusiasmo, « mi spiace per stamattina, sono stato davvero un egoista. »
    Il motivo principale per cui si era unito alla band, oltre alla voglia di spaccare, era il frontman. Si assomigliavano nel temperamento e nella durata delle incazzature. Se si scornavano non era mai niente di serio o duraturo, perché quell'amicizia si fondava sul perdono reciproco dei loro pessimi caratteri. Ascoltò le scuse di Noel con un sopracciglio alzato, il profilo di Abel che ancora lo guardava dallo schermo. Ogni volta che sbagliava nel pronunciare il nome dell'angelo albino la sua espressione si induriva, finché finalmente non lo azzeccò, strappandogli un "oh, alleluia!".
    A posteriori, comunque, era stato uno stronzo. Noel poteva avere tutte le ragazze che voleva, ricche o povere non importava, perché la sua specialità era piacere a tutti. L'aveva rimbeccato solo per essersi intromesso nel momento sbagliato, senza pensare al fatto che l'amico adorava rimuginare sui fallimenti. Non come quel corvaccio pessimista di Izar, ma abbastanza da deprimersi per un giorno o due.
    « Te l'ho detto che era destino, sai che non succede niente per caso! Dai, siamo apposto, dimentichiamoci questa giornata e basta. »
    « Però anche Noel ed Evelya suonano bene insie - »
    « Ehi, riprenditi. » Lo richiamò subito all'ordine, schioccandogli le dita davanti alla faccia trasognata. Quanto ci avrebbe messo ad uscire da quel loop? E non era nemmeno l'unico a sguazzare in un lago di problemi, vista la tensione palpabile che passava tra Izar ed Altayr quella sera. Mise il telefono in tasca e si accodò alle domande del rosso, sporgendosi oltre la grancassa per ascoltare meglio.
    Quindi il loro bassista si era deciso ad uscire dal guscio? Emise un fischio di ammirazione quando Altayr parlò dell'invito al concerto, sinceramente sorpreso dall'audacia del timido Izar, per poi dare una testata su un piatto appena la ragazza confessò di aver temporeggiato.
    « Non puoi perdere questo treno, passa una volta ogni dieci anni se va bene! » la rimproverò, con Noel che non sapeva più a che santo votarsi per appianare la questione. Capiva i timori della chitarrista, trattandosi di un'amicizia vecchia quanto loro, e capiva un po' anche Izar, così incapace di esternare i propri sentimenti da esserseli dimenticati chissà dove. Dovevano intervenire prima che i dubbi di entrambi bruciassero quella storia d'amore piena zeppa di potenziale, però sia lui che Noel non potevano spingersi oltre una certa soglia, né spingerli uno nelle braccia dell'altra... O forse sì? Scambiò una breve occhiata con il cantante, incoraggiante come sempre mentre rassicurava Altayr. Gli ingranaggi dei loro cervelli avevano iniziato a girare all'unisono, poteva sentirli cigolare.
    « Col tuo principe, invece? Che tipo è? ».
    « Un tipo piuttosto sulle sue, ma non mi sorprende che Cain si sia preso una sbandata. E' molto carino. »
    « Carino? Solo carino? Per favore, è chiaramente uscito da un sogno. Non vi specifico quale sogno perché poi divento volgare, ma insomma, ha tutte le carte in regola per diventare la mia prossima ossessione. »
    Abel non assomigliava a nessuno dei suoi ex, neanche lontanamente, ed era questo che l'aveva fatto uscire di testa. Sua madre, anni prima, in un rarissimo sprazzo di lucidità, gli aveva detto che le relazioni non erano fatte per renderti felice, ma migliore. Lui era sempre stato il solito idiota alla ricerca delle solite cose, eppure una specie di sesto senso gli suggeriva che l'albino poteva portarlo oltre, dargli di più. Che fosse prematuro scrivergli un messaggio? Sì, prematuro ed irritante. Era giunto il momento di testare la sua pazienza.
    Seguì con lo sguardo Izar, di ritorno dalla pausa, che chiamava da parte Altayr, e sussurrò un oooh di sorpresa.
    « Vecchio mio, ho un'idea. E a quei due non piacerà » disse Noel, precedendolo. Gli ingranaggi avevano fatto click.
    « Oh, a me piace già » rispose, fregandosi le mani.

    Izar

    Non si aspettava certo che Altayr reagisse a quella sorta di dichiarazione con un pollice alzato, ma girare attorno alle sue già deboli difese così era scorretto. Schiacciò la sigaretta nel posacenere appena capì il gioco, seguendo la ragazza che si avvicinava nonostante le avvertenze, finché non furono talmente vicini da sembrare equivoci agli occhi di chiunque passasse in quel momento. Come ogni volta che tentava di controllare le emozioni, Izar si fece estremamente serio, una statua con le sole pupille che seguivano i gesti della compagna per anticipare la prossima mossa. Si maledì per aver coperto il suo profumo con quello soffocante della nicotina.
    « Mi hai mai visto così vicino a Noel? O a Kevin? »
    « No » rispose freddo, inclinando un poco il capo di lato mentre i neuroni lavoravano a pieno regime per capirci qualcosa.
    « Fatti due domande, passerotto. Sei sempre stato diverso da loro. ».
    Corrugò le sopracciglia, e la sua compostezza s'incrinò fino a fargli attorcigliare la lingua, togliendogli tutte le parole. Era intelligente quando si trattava di mettere insieme formule e numeri, perché in amore non riusciva a ragionare con la stessa chiarezza? Non era diverso nel male, proprio all'opposto, quindi era... ricambiato?
    « Altayr- » mormorò, la mano tesa a raggiungere la sua guancia arrossata dal freddo della sera. In un battito di ciglia poteva essere sulle sue labbra, ma quel guastafeste di Noel, seguendo il trend della giornata, si palesò nel momento meno opportuno di tutti i momenti possibili. Si scostò alla velocità della luce, ficcando entrambe le mani nelle tasche come se fossero sempre state lì, e sperò che una saetta lo colpisse in quel preciso istante.
    « Finita la sigaretta? »
    « Giusto adesso. »
    « Datevi una mossa allora. »
    Con le spalle ricurve di un bambino contrariato, Izar seguì Altayr trascinando i piedi, esausto e francamente sconvolto dalle fatalità della giornata. Rispose alla sua linguaccia come avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione, ma fu più un riflesso incondizionato che un'intenzione. Non sapeva bene quale fosse il suo stato d'animo, cosa avrebbe dovuto dirle per convincerla che lei era stata speciale fin dal primo incontro, che la cercava, ne sentiva la mancanza quando erano distanti e teneva sempre il cellulare a portata di mano solo per i suoi messaggi. Imbracciò il basso e tirò le corde, fingendosi impegnato mentre attraverso le ciglia scure scrutava i movimenti della chitarrista. Come due pianeti che si gravitavano attorno, lui e Altayr finirono vicini e si allinearono in un istante, scambiando uno sguardo così intenso da tagliare il vetro. Attaccarono con la prima nota e tutto tornò al suo posto: erano lì, suonavano da Dio, c'era intesa e una sorta di preveggenza nell'accompagnarsi a vicenda, insieme a una tensione che faceva vibrare le corde. Noel era risalito dal baratro, Cain non perdeva un colpo. Potevano farcela.

    Al termine della serata, ormai tendente alla notte, Izar era tutto sudore e dita doloranti, striate di rosso. Fece un salto in bagno per sciacquarsi il viso e togliere le lenti a contatto, inforcando i tanto odiati occhiali. Lo imbruttivano, dandogli un'aria da secchione che giocava a fare il duro con tatuaggi e piercing all'orecchio, ma doveva vederci chiaro in ogni modo possibile. Provò a mente qualche discorso finché non fu soddisfatto, per poi dimenticarlo appena tornato in sala prove. Dedicò alla foto del nipote di Noel giusto un mezzo sorriso, infine il gruppo si spostò coeso all'esterno del Waterwitch per mettere la parola fine a quella giornata durata quarantotto ore. Altayr e Izar sparirono in fretta per raggiungere l'autobus di corsa, appesantiti dagli zaini e gli strumenti. Col fiato corto e la schiena dolorante, il ragazzo si appoggiò al palo accanto alla porta e lasciò sfuggire un "che culo", per sommo disappunto di una signora anziana lì vicino. Era troppo vecchio per certi sprint.
    « Ci sono dei posti per sedersi? »
    « No, non credo. »
    « O sennò fa niente, cioè, volevo solo... continuare il discorso di prima.»
    In tutti quegli anni di amicizia non aveva mai sentito Altayr faticare tanto con le parole, e la cosa lo lasciò spiazzato. Aveva sempre la risposta pronta, la più tagliente del repertorio, e in generale non indugiava in nessuna situazione. Era lui quello prudente, gli stava rubando il lavoro.
    « Possiamo farlo quando siamo da soli? » chiese, beccandosi un'altra occhiata disgustata dalla stessa signora che ormai aveva deciso di godersi lo spettacolo per intero. Capiva e assecondava la sua voglia di risposte, ma si trovavano sull'ultima corsa notturna, stipata di gente, ed era un argomento delicato. Furono anche interrotti da un uomo distinto con problemi di orientamento, e Altayr gli rispose piccata di cambiare linea.
    « Sbaglio o i ricchi hanno senso dell'orientamento pari a zero? »
    « I ricchi e quello stordito di Samael » puntualizzò, ricordando la tendenza del genitore adottivo di camminare a casaccio fino a perdersi del tutto.
    Riportò l'attenzione su di lei, ma ecco di nuovo il poveretto tornare sui suoi passi. A quel punto la pazienza della ragazza evaporò come neve al sole. Lo afferrò per la manica e saltò giù alla prima fermata utile, lasciandolo perplesso e a dir poco confuso.
    « So che la mia fermata era la prossima, ma quel tizio voleva parlarci di nuovo, e ne ho le palle piene di gente che continua ad interromperci. »
    « L'ho notato, tigre. Andiamo. » La apostrofò con un sorrisetto, quasi divertito dagli eventi tragicomici che si susseguivano. Almeno lì sembravano soli, un bene e un male insieme. Cos'era che voleva dirle? Che fine aveva fatto il suo vocabolario? Dunque, era speciale, no, diverso. Diverso da un amico, e ogni stadio prima dell'amicizia. Poteva considerarlo un successo dopo anni di tentativi, ma se un ragazzo ed una ragazza erano più di amici...
    « Credo di essere stata abbastanza chiara » iniziò la chitarrista, talmente seria da spaventarlo.
    - Ci siamo. - Si fermò e le rivolse tutta la sua attenzione, prendendo una lunga boccata d'aria. Rimandare l'inevitabile rischiava di compromettere il buono che era rimasto tra loro, quindi via il dente e via il dolore.
    « Mi piaci, Izar. Molto. »
    Lo zaino gli scivolò dalla spalla, e il tonfo riecheggiò per la via deserta. Izar rimase immobile, stralunato come un tossico dopo una dose di roba forte, a guardare quegli occhi determinati trapassarlo da parte a parte. L'aveva detto davvero, impossibile fraintendere.
    « C... credo di non aver sentito bene. »
    La lista di motivazioni che Altayr sciorinò in seguito, come un fiume in piena, prosciugò fino all'ultima parola dalla sua bocca. Era stato uno stupido codardo fin dall'inizio, convinto che la sua tecnica di aggirare il problema per non affrontare la verità potesse durare in eterno. Poi erano diventati famosi, i fan della ragazza la tempestavano di messaggi e allungavano le mani durante i concerti, e allora si era reso conto che quell'equilibrio era destinato a spezzarsi con l'arrivo di qualcuno migliore di lui. La loro relazione, data per scontata, poteva finire oggi, o tra un mese, ma sarebbe finita se non si fosse dato una mossa. E come ogni volta, Altayr l'aveva battuto sul tempo.

    « Sono innamorata di te, lo sono sempre stata. »

    Registrò quella frase con qualche secondo di ritardo, perso a cercare l'ombra di una bugia sul suo viso risoluto. Si aspettava che da un momento all'altro i due rossi diabolici sbucassero da una siepe urlando "scherzone!", ma nei momenti che seguirono non accadde nulla.
    Per assicurarsi che fosse tutto reale cercò la sua mano, ancora aggrappata alla manica della divisa, e la strinse fino ad assorbirne il calore. Era vera e bellissima ed innamorata di lui, cos'altro poteva chiedere all'universo?
    « Sei la stella più luminosa di tutte. »
    Doveva essere arrossito, si sentiva la faccia in fiamme fino alla punta delle orecchie. Maledizione, gli aveva rubato la scena, non poteva certo riciclare le stesse frasi ora.
    Condusse quella mano dalle dita sottili sul suo petto, nel punto in cui il cuore cercava di sfondare la cassa toracica a suon di pugni.
    « Vuoi farmi morire di felicità? Perché ci stai riuscendo. Chiudi quella bocca prima che mi prenda un colpo. »
    Riuscì a sorriderle davvero, le labbra rilassate e nessuna ruga di apprensione sulla fronte mentre riprendeva il gesto da dove l'aveva interrotto durante la pausa, circondandole la guancia e passando il pollice sullo zigomo.
    « Fammi ricominciare da capo: sono innamorato di te, lo sono sempre stato. » Ripeté le sue parole con la gravità di un voto nuziale, finalmente senza interruzioni. « Mi sei piaciuta da subito, e ogni giorno un po' di più. »
    Scese sul suo labbro inferiore e ne tracciò il profilo, ipnotizzato.
    « Quindi, per tagliare corto... vuoi metterti con me, Altayr? ».
    In quelle occasioni, ammise, era un tipo vecchio stampo. Gli piaceva fare le cose con ordine, chiedere il permesso, formalizzare l'atto. Niente ma o se, perché a quel punto aveva bisogno di almeno una certezza nella vita. Era anche certo che sarebbe morto se non si fossero baciati nei prossimi dieci secondi. Attese che recepisse il messaggio, che si avvicinasse di sua spontanea volontà per essere certo di non provocare altri incidenti diplomatici tra loro. La incontrò a metà strada e chiuse gli occhi, posando la bocca esitante sulla sua finché tutte le stelle si allineavano, davano un senso a quella storia. Aveva immaginato quella scena così tante volte da renderla un falso ricordo, ma nulla batteva la realtà del momento, il suo profumo, la sua morbidezza, il bagliore delle iridi acquose sotto le palpebre a mezz'asta che lo cercavano tra un respiro e l'altro. Potevano concedersi solo questo visto il luogo e la situazione, con gli strumenti in spalla a ridurre i movimenti ed il timore di essere interrotti da qualche passante. Izar non vedeva comunque nulla che non fosse Altayr, occupava tutto il suo campo visivo.

    Non appena si separarono crollò a terra come un palloncino sgonfio, sedendosi sui talloni e prendendosi la faccia tra le mani. Gli sfuggì una mezza risata, e forse aveva anche gli occhi lucidi. Espirò a lungo per buttare fuori tutta l'ansia accumulata, sentendosi improvvisamente leggero.
    « Mi sento così stupido per non avertelo detto prima » mugugnò, « a quest'ora saremmo tipo al decimo anniversario. »
    Alzò il mento e l'ammirò in tutto il suo fiero splendore, ancora incredulo. Era lì per lui, e ci sarebbe stata anche il giorno dopo, quando svegliandosi avrebbe creduto che si trattasse di uno dei soliti sogni.
    « Meglio se ti riporto a casa, uccellino. Devo fare bella figura con Mira. »

    Il viaggio di ritorno fu una lunga camminata sulle nuvole, per Izar. Guardava in continuazione le loro mani intrecciate e ogni tanto dava una stretta per assicurarsi che Altayr fosse davvero accanto a lui, sorridendo come un idiota appena la ragazza ricambiava il gesto. Avrebbe realizzato la cosa in una settimana o due, giusto il tempo di smaltire lo shock.
    La lasciò andare davanti al cancelletto di casa Windstorm, posando un ultimo bacio a fior di labbra prima di darsi la buonanotte.
    « Ci vediamo domani. Se ti faccio domande strane sopportami, sono ancora un po' fuori fase » la raccomandò, sentendosi lontano anni luce dal pianeta Terra anche in quel momento. Aveva bisogno di un cazzotto e una doccia gelida, proprio in quell'ordine, e forse dopo aver raccontato la storia al suo tutore se ne sarebbe beccato qualcuno.

    « Izar » « Evie » « Cain »


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