Old Scars / Future Hearts

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  1. altäir
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    Altayr • Noel • Abel ›
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    eppure Noel fosse rapito dagli occhi dorati di Evelya, che ovunque sembravano poggiarsi tranne che sul viso del ragazzo per più di qualche secondo, e le labbra rosee che mostravano sorrisi impacciati ma sinceri, e l'acconciatura ordinata che le donava un aspetto regale degno della scuola che frequentava, sebbene non sapesse dove guardare perché Evie era splendida sotto qualsiasi aspetto, non poté fare a meno di buttare ogni tanto uno sguardo al bicchiere che teneva tra le mani: più vuoto che pieno, lo stava torturando in maniera quasi... dolorosa, forse. O almeno, se lui fosse stato quel bicchiere avrebbe sofferto parecchio. La ragazza sembrava davvero agitata, tanto che sembrava stesse facendo uno sforzo enorme per riuscire a non far morire le parole in gola, e la cosa fece sorridere Noel, che dal canto suo appoggiò un gomito sul tavolino e la guancia sul palmo aperto della mano, il braccio destro ancora sulla gamba, con fare disinibito, come se in quel momento il caffè non fosse gremito di persone e fosse un posto speciale solo per loro due. Non gli venne neanche il dubbio che potesse avere un'espressione da ebete a guardarlo dall'esterno, era solo felice di sedere allo stesso tavolo della ragazza alla quale non riusciva a smettere di pensare dalla scorsa notte. Era strano indossare la stessa divisa e ritrovarsi a chiacchierare in un posto simile, e tutto ciò sottolineava nuovamente quanto fossero differenti, ma la cosa non lo preoccupò: gli bastava guardare il bicchiere tutto ammaccato per capire che anche Evelya era nervosa, non era l'unica a sperare di non dire nulla di imbarazzante o non fare brutta figura, e che quindi, forse, c'era una possibilità. Al complimento sulla sua voce reagì distogliendo lo sguardo e ringraziando con modestia, ed il sorriso di Noel si fece ancora più grande. Il profilo perfetto della ragazza si stagliava in controluce rispetto alla finestra alla sue spalle, mettendo in risalto il naso piccino e le ciglia lunghe. Un dipinto. « Grazie, ma non sono niente di ché. » fece Evelya, ma Noel volle rincarare la dose. « Guarda che dico sul serio, sei stata fantastica poco fa! » disse, ribadendo il concetto una seconda volta, e lo avrebbe fatto anche una terza o una quarta se fosse stato necessario. Non poté fare a meno di immaginare come le loro voci sarebbero state insieme, e la sola fantasia gli fece toccare il cielo con un dito. Una vocina nella sua testa - piuttosto lontana e poco chiara - gli suggerì di darci un taglio, ma ovviamente decise di non ascoltarla. Anche solamente guardarla, senza nemmeno toccarla, lo rendeva felice, quindi perché smettere? « Mi piacerebbe molto ». La risposta della ragazza alla sua proposta di cantare insieme lo rese, se possibile, ancora più euforico di quanto già non fosse: ecco, già cominciava ad immaginare quanto sarebbero stati belli i loro figli saltando a piè pari il matrimonio. Era sulla via del non ritorno. « Non pensavo ti fossimo piaciuti, sai? Anzi, temevo che tutto il caos di ieri sera ti avesse spaventata. ». Le sorrise, mentre la osservava distruggere il bicchiere e notò che c'era ancora del caffè dentro. « Faremo altri show a Lancaster, ovviamente sei invitata. » aggiunse, sforzandosi di mantenere un tono della voce abbastanza basso, anche se fosse stato per lui si sarebbe messo ad urlare per la felicità, ma doveva impegnarsi ad uniformarsi agli studenti e al personale della Ripley, che mantenevano un certo portamento in qualsiasi occasione. Probabilmente esisteva un manuale di bon ton da seguire pure per andare in bagno. E se fosse stato davvero così, non se ne sarebbe sorpreso. « Cioè, se ti va. Non sei costretta. » ridacchiò, temendo che la frase precedente suonasse più come una specie di ordine più che un invito genuino, e si allentò un poco il nodo della cravatta, quel tanto per far passare un filo d'aria. Ma quelli lì non avevano una divisa estiva? Il caldo si stava inesorabilmente avvicinando, e quel povero disgraziato di Noel non poteva neanche tirarsi un po' su le maniche della giacca perché altrimenti si sarebbero visti i tatuaggi e doveva comunque stare attento a non aprire troppo il colletto della camicia per rispettare quello che sembrava il dress code dell'ambiente altolocato in cui si trovava. Uno strazio. A quel « Sono contenta di rivederti. » pensò davvero di stare sognando, e il suo cuore saltò un battito. Era felice di rivederlo, così come lo era lui. Da quando i loro sguardi si erano incrociati in mezzo alla folla era rimasto folgorato e non aveva pensato a nient'altro se non a lei, e sentire che era addirittura contenta di essere riuscita ad incontrarlo ancora... Sì, decisamente un sogno, non avrebbe saputo definirlo in altro modo: si trovava davanti alla ragazza più bella del pianeta con la quale sembrava avere una remota possibilità, la luce del sole entrava dalle finestre e le sottolineava i tratti delicati del viso come fosse un quadro, il profumo del caffè e delle paste a pizzicargli il naso facendogli capire che non si stava immaginando tutto, la protesi non gli faceva neanche più così male, e lei non stava più torturando il bicchiere. In un gesto calmo e controllato, Evelya incrociò le mani sotto al tavolo, e Noel, inizialmente, non poté che esserne rassicurato: magari la ragazza ora si sentiva abbastanza a suo agio da non sentire il bisogno di tenere qualcosa in mano e muoversi continuamente per sfogare l'agitazione, ma il tono che utilizzò poco dopo gli fece dubitare dell'interpretazione che aveva dato a quel comportamento. Era calma, sì, ma distaccata, ma forse era l'emozione che gli faceva brutti scherzi. Aveva così tanta paura di giocarsi la possibilità di uscire con lei e non piacerle che si stava inventando le cose, sicuro. Quando lo chiamò per nome dopo pochi secondi di silenzio si mise dritto, inconsapevolmente, con la schiena, fino ad ora ricurva sul tavolino, e senza riuscire a spiegarsi il motivo una voragine si aprì all'altezza dello stomaco, facendogli trovare rivoltante tutti i profumi che si mescolavano nella caffetteria. « Vorrei sapere se... », cosa voleva sapere? Perché ci metteva tanto?
    « Insomma, sei venuto fin qui e... », e? E cosa? Lui avrebbe continuato la frase di lei con "e ti ho ritrovata dopo aver avuto paura di non rivederti più ed aver fatto la figura del coglione", ma aspettò, perché magari stava fraintendendo tutto e ciò che voleva chiederle lei era l'opposto di quello che avrebbe voluto dirle lui. Era quello che sperava. « Perché io? ». Se lo aspettava, tutte quelle pause e il volume della voce che si faceva sempre più basso non potevano che portare ad una domanda del genere, eppure Noel strinse con forza un lembo di stoffa dei pantaloni e deglutì come se quelle parole lo avessero colto impreparato. « Perché non ho fatto altro che pensare a te da quando ti ho vista. » rispose senza pensarci su, senza fare pause, senza aspettare. Doveva dissipare ogni dubbio che la ragazza aveva su di lui e su di lei, e fu certo che Evie non gli avesse fatto quella domanda per metterlo alla prova, ma perché lei era la prima a non credere che qualcuno potesse spingersi così in là per rivederla. Il solo pensiero lo fece sentire male, quando Noel era fermamente convinto di essere seduto allo stesso tavolo di una persona piena di potenziale e dall'animo gentile. « E ho violato qualsiasi regola di questa scuola pur di rivederti, e non l'avrei fatto per nessuno se non per te. » Vide gli occhi di Evelya spegnersi, come se avesse posto quella domanda più a sé stessa che a lui, e a vedere la tristezza nello sguardo di lei la verità lo travolse come un treno in corsa: qualsiasi cosa le avesse detto, lei non ci avrebbe creduto. « Perché non - », « O forse qualcuno che conosci studia qui e ci siamo incontrati per caso? »., « No, nessun caso, io sono venuto a cercarti. », « Mi sembra assurdo che tu... per me, che non c'entro nulla con... »., « Evie, ti prego, ascoltami. » fece alla fine, tentando di porre fine alla spirale di pensieri negativi della ragazza, e in quel momento Evelya si coprì il viso con le mani, mentre Noel portava entrambe le braccia sul tavolino e si sporgeva verso di lei. « Davvero non credi che io possa essere interessato a te? » chiese in un sussurro, sopprimendo la voglia che aveva di prenderle le mani e stringergliele forte. Non l'avrebbe costretta a fare nulla e non l'avrebbe toccata, seppure il contatto fisico fosse l'unica forma di supporto che conosceva, ma vederla in quello stato era straziante. « Eppure lo sono, eccome se lo sono. Altrimenti non sarei qui. ». Le parole di un semi sconosciuto non l'avrebbero toccata, lo sapeva bene, ma non poteva fare a meno di chiedersi come una ragazza così bella e talentuosa potesse svalutarsi così tanto. « E non m'importa se veniamo da mondi completamente differenti, mi cucirei questa divisa addosso pur di stare con te. ». Finalmente la ragazza tolse i palmi dal volto, tornando a posarle sulla gonna, ma non lo guardò. Le iridi brillanti della ragazza sostarono sul bordo del tavolo e lì rimasero, e Noel temette che non avesse neanche sentito quello che aveva detto fino ad ora nella speranza di tirarla su di morale. « Vorrei conoscerti meglio, perché sembri una ragazza interessante, e - », « Scusa, non so che mi prende. ». Noel non riuscì a finire la frase perché le parole le morirono in gola a vederla in quello stato: stava tentando di riprendere il controllo di sé stessa, per quanto difficile, e l'emozione e la contentezza di poco prima sembravano fossero svaniti nel nulla. Sovrappose l'espressione che aveva visto sul viso di Evelya quando era entrato in caffetteria, nel panico ma su di giri, con quella che aveva in quel momento, afflitta e fintamente dignitosa. Forse in passato qualcuno le aveva fatto credere di non valere granché, ed ora la concezione che aveva di sé stessa era ben lontana dalla realtà dei fatti. Eppure la scarica elettrica che aveva sentito lungo la schiena quando l'aveva sentita cantare e il battito accelerato del suo cuore quando l'aveva vista seduta ad aspettarlo in caffetteria non gliel'aveva fatto provare nessuno se non lei. « Evie, non ti ho chiesto di cantare insieme perché trovo la tua voce "niente di ché", e non mi sono infiltrato in una scuola che non è la mia per farti uno scherzo. Io sono venuto fin qui per te. ». La guardò, sperando fino all'ultimo che alzasse finalmente lo sguardo su di lui, « Non è una presa in giro, non è una coincidenza, sei sempre stata tu. Voglio conoscere te. ». Il bicchiere di carta stava lì, tra di loro, ancora ammaccato, ancora col caffè dentro, ma Evie non l'aveva più sfiorato.

    • • •

    Dove cazzo era finito Cain? Santo cielo, si sentiva la gamba buona di gelatina, e quella finta gli faceva un male cane, voleva solo sedersi, e sentiva lo sguardo degli studenti che ancora stavano nei corridoi - non ne erano rimasti molti, forse si stava avvicinando la fine dell'intervallo - su di sé, percorrerlo da capo a piedi. Era normale, non l'avevano mai visto in giro e zoppicava, in quanto aveva fatto il giro della scuola in lungo e largo senza riuscire a trovare il compagno, ed era terribilmente stanco. Come se non bastasse, Evelya era sparita in tutta fretta nei corridoi della scuola, salutandolo con uno sguardo triste e mille scuse che lui non era riuscito a sentire: da quando l'aveva vista alzarsi il suo cervello si era spento, e alle orecchie non gli erano arrivati che suoni confusi. Non aveva fiatato, non volendo farla rimanere lì contro la sua volontà, e nel vederla allontanarsi i colori e le forme si erano mischiati e non aveva capito più nulla, forse nel tentativo di accettare la realtà dei fatti e non insistere. Oppure per lo shock, poiché una reazione del genere non se lo aspettava. Ripensare alla loro conversazione lo faceva solamente star male, perciò, da una parte, era un bene che non riusciva a muovere un passo senza che la protesi gli facesse vedere le stelle: lo sguardo triste e avvilito di Evelya gli era rimasto impresso nella mente come un tatuaggio. Ora voleva solamente trovare Cain ed andarsene, perché se la ragazza dei suoi sogni non lo voleva intorno non era rimasto nulla da fare se non tornare a casa e concedersi uno sfogo liberatorio prima delle prove. Gli altri membri degli Elysian sottolineavano spesso quanto il loro leader fosse drammatico e prendesse tutto un po' troppo seriamente, ma le sue crisi gli regalavano spesso la miglior ispirazione, facendogli scrivere interi testi in poche ore o completare le canzoni che proprio non sapeva come continuare e aveva lasciato nel dimenticatoio per mesi. Non gli era mai passato per l'anticamera del cervello che i suoi amici potessero avere ragione, ed avrebbe affrontato la sua ennesima delusione d'amore con tutta la tragicità che lo contraddistingueva: era arrivato alla Ripley davvero convinto che Evelya potesse essere quella giusta se gli avesse concesso di conoscersi meglio, ma a quanto pareva i suoi sentimenti, che lui sapeva già essere piuttosto intensi, altrimenti tutta quell'euforia nel vederla e tutta la tristezza nel lasciarla non avrebbero avuto senso, non erano ricambiati. Ma poteva capirla, lui era uno sconosciuto che viveva la sua vita tra un pub e l'altro e si circondava di persone all'apparenza poco raccomandabili, altro che organista con un'uniforme perfettamente stirata. Magari si era veramente fatto troppi film mentali, e la prima cosa che gli venne in mente appena girò all'ennesima curva dell'ennesimo corridoio senza trovare Cain fu il "te l'avevo detto" esclamato all'unisono da tutti e tre gli Elysian mentre imbracciavano gli strumenti, pronti a suonare, una volta arrivati alle prove. O forse Cain no, stavolta non gli avrebbe detto nulla, perché era stato lui ad ideare quella follia. Chissà se lo aveva rivisto dopo le lezioni: la reazione dell'albino - di cui non ricordava il nome, glielo aveva detto? Amos? Abram? Santo cielo, era proprio una schiappa - non era stata granché positiva. Ma Noel conosceva i suoi polli, ed era sicuro che Cain, testardo com'era, avrebbe insistito fino a risultare fastidioso. Forse quindi anche lui era stato rifiutato ed ora vagava per l'edificio alla sua ricerca. Non glielo augurava, però le premesse non erano buone, ed era preoccupato. Nel peggiore dei casi, si sarebbero andati a fare una bevuta e avrebbero pianto insieme ubriachi marci in mezzo al nulla, non sarebbe stata la prima volta.
    Vedendo un grande portone in fondo al corridoio semi-aperto che si affacciava su quello che sembrava un cortile, Noel decise di dirigersi lì, sperando di ritrovare l'amico per raccontargli l'accaduto. La luce del sole lo costrinse a coprirsi gli occhi appena uscì fuori, e constatò, quasi con fastidio, che pure un misero cortile di quella scuola sembrava un giardino fatato: l'erba era curatissima, le panchine pulitissime e candide, fiori variopinti e alberi a creare zone d'ombra, il tutto pulitissimo e ordinato, e gli diede il voltastomaco. Era stanco di vedere lampadari di cristalli e persone tutte in tiro quando era abituato a tutt'altro tipo di ambiente e con i benestanti, oramai, non ci aveva quasi più nulla a che fare, e pensare ad Evelya non lo stava facendo sentire meglio. Finché era rimasto dentro gli era sembrato di vagare in un labirinto: non sapeva dove si trovava né dove stava andando, le voci degli studenti si mescolavano tra di loro fino a trasformarsi in un fastidioso ronzio e gli sembrava di girare intorno, come se non si stesse in verità muovendo di un passo, ed ora uscire all'esterno lo sollevava. Fece abituare gli occhi al sole, togliendosi la mano dal viso, e avanzò lentamente di qualche passo per controllare se Cain fosse nei dintorni. Si appoggiò ad un albero lì vicino e la mano corse subito sul punto della gamba a contatto con la protesi, cominciando a massaggiarsela mentre si guardava intorno. Con la mano libera si allentò ancora il nodo della cravatta, stavolta allargandoselo di un bel po', e slacciò i primi due bottoni della camicia senza farsi troppi problemi: aveva caldo, c'erano poche persone, era ora di andare via. Non voleva rimanere lì se Evie non voleva vederlo, e non sarebbe andato contro la sua volontà, dunque non aveva proprio nulla da fare alla Ripley, ormai. Prese un bel respiro per mitigare il dolore, che già si stava affievolendo visto che si era fermato, ma aveva proprio bisogno di sedersi, non ne poteva più. Finalmente la sua attenzione venne catturata da una zazzera di capelli rossi, e capì all'istante che si trattasse del batterista perché vicino a lui scorse una figura dalla chioma chiarissima, in parte coperta da un albero. Fece un altro grosso respiro prima di staccarsi dal tronco per raggiungerli, zoppicando in maniera fin troppo evidente, e per questo si sforzò ad aumentare l'andatura per riunirsi all'amico e poggiare il suo bel fondoschiena su quell'appetitevole panchina e far riposare, finalmente, la sua povera gamba. « Ehy, Cain! » esclamò quando fu abbastanza vicino, e non seppe decifrare lo sguardo che l'amico gli diresse. Non ci indugiò più di tanto, e si fermò proprio di fronte a lui, piegandosi appena e poggiando le mani sulle ginocchia come se avesse corso per migliaia di chilometri. « Oh, ehy, ciao » aggiunse in seguito appena si ricordò che, in effetti, Cain aveva ricontattato la sua ex straricca e rischiato di finire in guai seri per quel ragazzo che ora gli sedeva a fianco. « Ciao. » gli rispose lui in un tono piuttosto distaccato, forse titubante. « Ti ho trovato finalmente. » sospirò, e appena si rimise dritto il dolore alla gamba si fece risentire. Spostò il peso sulla gamba sana, dando a quella fantoccia un po' di respiro. « Posso sedermi qui con voi? Sono triste e dolorante, ho bisogno di un po' di compagnia. » si sforzò di sorridere, ma forse quello che esibì era solamente una smorfia triste. Aspettò pochi secondi prima di piazzarsi esattamente tra i due, con tanto di "Scusatemi, fatemi spazio che ho il culo grosso", e appena si sedette tirò un lunghissimo sospiro di sollievo, allungando sia la schiena sia le gambe e portando il sedere al limite della panchina. Okay, sì, ora stava decisamente meglio. Il dolore alla gamba, ora finalmente a riposo, stava passando mano a mano che lui la massaggiava, e un altro dolore sopraggiunse su quello fisico, facendolo sospirare di nuovo. « Evelya è andata via. » disse, e, inevitabilmente, la scena gli tornò in mente, rivivendola per l'ennesima volta da quando lei l'aveva lasciato senza parole al tavolo della caffetteria. La rivide accoglierlo con entusiasmo per poi rabbuiarsi tutto d'un tratto, le parole che le uscivano a fatica con il dubbio che Noel fosse venuto lì per fare tutto tranne che incontrare lei, quando Evie non si rendeva davvero conto di quanto bella e talentuosa fosse. Se uno dei due non era al livello dell'altro, quello era sicuramente Noel, che, ci avrebbe messo una mano sul fuoco, era tutto il contrario del suo uomo ideale. « E credo non voglia vedermi. ». Il suo sguardò volò verso l'alto e si mise ad osservare le foglie dell'albero sopra di loro che evitavano che la luce accecante del sole lo ferisse agli occhi, schermandola. « Forse sono stato precipitoso. Credevo anch'io di piacerle e ho agito d'impulso. ». Noel si portò la mano libera sul viso, facendola strisciare dal mento fino agli occhi per poi passarsela tra i capelli in maniera quasi stanca. Ci aveva creduto troppo, aveva dato per scontato molte cose, e magari questo l'aveva spaventata, fino a portarla a credere che lui fosse arrivato alla Ripley per giocarle un brutto scherzo. « Pensate, mi ha addirittura chiesto perché sono venuto fin qui. Non è abbastanza ovvio? Io volevo... », si interruppe di colpo, perché un groppo gli salì alla gola e si fermò prima che gli si potesse rompere la voce. Dio, era proprio patetico, e proprio davanti a Cain e ad un tipo che lo guardava con la stessa intensità di una statua dell'isola di Pasqua. « ... io volevo vederla di nuovo. », disse, gettando la testa all'indietro subito dopo e prendendosi qualche secondo per riprendere il controllo di sé stesso. Riconosceva da solo che quello che c'era stato tra loro non era stata una straziante storia d'amore, anzi, tutt'altro, non c'era stato proprio niente, il nulla cosmico, zero assoluto, e rattristarsi o addirittura piangere per una roba del genere era davvero esagerato, ma Evelya gli aveva scaldato il cuore fin dal primo momento, e glielo aveva lasciato lì, su quel tavolino della caffetteria. Chissà se sarebbe mai tornata a riprenderlo.

    • • •

    Ci aveva fatto caso, al braccio buttato sullo schienale della panchina in corrispondenza delle sue spalle, non era cieco. E notò anche una sorta di pick up line, perché non era sordo. Con un tipo come Cain, che flirtava per sport, bisognava sempre prestare la massima attenzione, perché ogni movimento era studiato e qualsiasi parola detta non era messa lì a caso. Ad Abel non piacevano particolarmente quel tipo di attenzioni: chiunque si comportava in quel modo non sembrava interessargli molto di come si sentisse chi le riceveva, bensì era tutto un tornaconto personale, una soddisfazione, un quadratino sulla lista da spuntare, nulla di più. E Cain non gli sembrava diverso: sguardo languido e tagliente, sorriso di chi la sa lunga e risposta sempre pronta. Tuttavia, se non gli rifilava una frase di rimorchio ogni due frase non era così male conversarci: gli dava l'idea di uno di quelli che, in caso di emergenza, mandava avanti la conversazione da solo e tutto ciò che avrebbe dovuto fare Abel era rispondere a monosillabi. Ad avvalorare la sua tesi infatti, Cain prese la palla al balzo, dando fiato alla bocca ogni volta che Abel diceva qualcosa. Comodo, e perfetto per distrarsi per qualche minuto prima di rientrare in aula. Non aveva proprio voglia di vedere la faccia di Raphael, non voleva sentire il suo violino col suo pianoforte, non voleva che il professor Emberthorn lo costringesse ad averci a che fare perché "dovevano essere in armonia". Stare con Cain era decisamente un programma più appetibile. Non aveva mai avuto a che fare con tizi come lui, non per più di un paio di minuti, almeno. Non era mai stato un tipo molto sociale, non usciva se non quando sua sorella lo costringeva o per accompagnare Evie da qualche parte. O per incontrare Raphael fuori dalle mura scolastiche, ma i momenti insieme gli parevano ricordi sbiaditi. Ora di fronte a lui c'era un tipo completamente diverso dal suo ragazzo, estroverso, diretto e pieno di sé, e ancora si domandava cosa ci facesse lì, stretto nella divisa blu zaffiro della Ripley chiaramente fuori posto. Non poteva essere serio nei suoi riguardi, non uno del genere. Non un batterista di una rock band illegalmente bello al quale sarebbe bastato schioccare le dita per avere una stuoia di donne e uomini che avrebbero pagato per stare seduti su quella panchina come Abel in quel momento. Alzò un sopracciglio per la sorpresa quando gli disse di ben tre concerti programmati e della loro intenzione di partecipare ad un festival estivo, e non era per niente male. « Buona fortuna allora. Non deve essere facile farsi conoscere nell'ambiente. » commentò, giocando distrattamente con uno dei bottoni della giacca, « La Ripley ha un sacco di agganci, per noi una volta finita la scuola è molto più facile. ». Non sapeva nulla di come erano messi gli Elysian, ma dubitava che quei quattro riuscissero ad arrivare a fine mese con ciò che la band gli fruttava: gruppi più famosi difficilmente si esibivano in pub come quello in cui li aveva visti la sera precedente. Ciò significava che facevano altri lavori per mantenersi, o che ancora studiavano. Gestire tutto insieme non doveva essere facile. « Quindi il pianoforte, eh? Devi essere un cazzo di genio per studiare qui. ». Cain cambiò discorso, e l'albino fece spallucce. « Me la cavo, in effetti. », « Non ho capito che avesse da urlare il tuo professore. », « Ah, Emberthorn. » sospirò facendo il nome di una delle persone che avrebbe volentieri preso a sberle con una sedia. La lezione di quella mattina era stata più pesante del solito dato che il saggio di fine anno si stava avvicinando ed Evelya si rifiutava di sottostare alle direttive del professore che li seguiva. Stava diventando un incubo stare dietro a quei due, e più i giorni passavano più vedeva Evelya diventare nervosa e triste. « Lui vorrebbe che suonassimo un brano di chiesa per il saggio di fine anno, ma quella di stamattina non era esattamente musica sacra. » spiegò, cercando di tenersi il più breve possibile per evitare domande scomode. Evitava sempre di parlare di affari che non lo riguardavano - parlava a malapena dei suoi, di affari - ed inserire Evelya in una conversazione con qualcuno che non conosceva era fuori questione. E in più quel qualcuno era pure pappa e ciccia con un ragazzo che si era appena preso una sbandata per lei, voleva evitare che gli andasse a riferire qualcosa. La sua amica aveva già abbastanza problemi a cui pensare. « Lo suonavo anche io da piccolo, solo che gli mancavano dei tasti e non ho mai scoperto che rumore facessero. ». Abel aggrottò le sopracciglia, confuso: lui, un ex-pianista? « Mi stai prendendo in giro. » fece in un sospiro, perché uno come Cain era lontanissimo dal concetto di pianista che aveva lui: chi suonava il piano era elegante, intenso, con la testa sulle spalle. Abel era una pianista, e ne andava fiero. Immaginare il rosso seduto sullo sgabello con un abito da sera davanti ad un piano gli era impossibile. Forse lo stava davvero prendendo in giro, giusto per dire qualcosa e trovare delle cose in comune di cui parlare. « Magari puoi farmeli sentire tu, qualche volta. ». Eccolo, che partiva alla carica. Abel digrignò i denti e l'altro, pronto, tirò fuori il telefono già sbloccato, con il display fermo sull'app dell'orologio col timer che segnava ben quattro zeri. « Lo so che i cinque minuti sono finiti. » replicò, nervoso, « Ma questo non significa che mi piaccia. ». Lo sguardo dell'albino passò dal telefono a Cain, poi ancora al telefono e poi di nuovo Cain, così fino a quando lui non mise via il cellulare e lì non gli rimase che guardare il ragazzo. E che grande errore fu, quello di sostenere il suo sguardo per più di un paio di secondi. Gli bastò davvero poco per sentirsi la gola secca e lo stomaco sottosopra, e non andava per nulla bene. Cain non era il suo tipo ideale. Cain non era pacato, non era rispettoso del suo spazio personale, non parlava poco. E in più era un armadio pieno di tatuaggi. I ragazzi come lui ci mettevano poco ad infastidirlo ed Abel, dal canto suo, ci metteva poco ad allontanarli: occhi rivolti al cielo per far capire che o se ne andavano o se ne andavano e un paio di parole taglienti per ribadire il concetto prima di andarsene senza degnarli neanche di uno sguardo. Eppure, col rosso non ci riusciva. Lui gli chiudeva una porta in faccia - nel senso più letterale - e l'altro stava ancora lì, testardo come pochi, ad aspettarlo. Lui gli diceva di star zitto per cinque minuti, e Cain lo rispettava pur di non lasciarselo scappare. Cain era racchiuso in quell'eppure, ed era una strana sensazione dato che non aveva mai fatto eccezioni per nessuno. Forse proprio perché si discostava così tanto dal suo principe azzurro che ne era così affascinato e non riusciva a dirgli chiaro e tondo di lasciarlo in pace. « Avrei dovuto chiederti più di cinque minuti. Sei diventato di nuovo insopportabile. » fece, fingendo di sistemarsi la frangia per abbassare per pochi attimi lo sguardo per poi ritornare a guardarlo. Aveva bisogno di una pausa, guardare quei diavolo di occhi verdi stava diventando difficile. « Non ci sto provando, è solo curiosità. ». Certo, come se ci cascasse. « Mh. », « Se non sei già impegnato, ovviamente. ». Ecco, a quelle parole gli parve di non riuscire più a respirare. Deglutì la sua stessa saliva e ogni parte del suo corpo si irrigidì, e sperò vivamente che Cain non fosse molto perspicace. Contò sulla sua grande abilità nel nascondere i propri pensieri dietro una maschera inespressiva affinata negli anni, e sul momento si chiese come mai così tanta esitazione nel dirgli che sì, ufficialmente era impegnato. Poteva essere la sua possibilità per sfuggire alle grinfie di Cain, forse così l'avrebbe lasciato andare, ma invece stette zitto. Poteva mentire spudoratamente, perché in teoria aveva già un ragazzo, che poi in pratica la loro relazione fosse una tragedia era un altro paio di maniche, ma non fiatò. Decise di scavalcare la domanda a piè pari. « Fammi il piacere. Se tu non ci stai provando io non suono il pianoforte. » nel dirlo appoggiò il mento sul palmo aperto della mano, fingendo che tutto andasse bene, quando in verità da una parte aveva un ragazzo morboso ma terribilmente affascinante dal quale era inspiegabilmente attratto - e neanche tanto inspiegabilmente - e dall'altra c'era il suo fidanzato ad attenderlo, e neppure sapeva se considerarlo tale. « Sai, facciamo le prove in una sala qua vicino, praticamente ogni giorno. ». L'albino trattenne il fiato, intuendo dove l'altro volesse andare a parare: un'uscita insieme. Non lo avrebbe sopportato. Ed il pensiero di trovarsi loro due da soli, ma proprio soli soli, lo faceva uscire fuori di testa, e non in senso positivo. Ti prego, non farti dire di no, stavi andando così bene. C'era proprio bisogno di chiedere se volessero uscire insieme, vero? Era tutto troppo veloce, e lui non era per niente pronto. « Se ti va puoi tenerci compagnia, e poi usciamo a mangiare qualcosa tutti insieme. ». Impiegò qualche secondo a metabolizzare l'ultima parte della frase, capendo così che non sarebbero stati da soli in caso fossero usciti davvero insieme. Dapprima la cosa lo tranquillizzò, poi si ricordò che tipi erano quelli della sua band. « Con tutti insieme intendi... Con i tuoi amici della band? » fece, tentando di nascondere la preoccupazione. Perché un conto era sopportare Cain - da solo era abbastanza fattibile, pendeva dalle sue labbra, per un po' poteva farcela -, un conto era sopportare Cain e i suoi amici, pregando che non andassero d'accordo perché avevano lo stesso carattere. Il tipo che si era invaghito di Evelya pareva essere simile a Cain, o comunque chiunque con un po' di sale in zucca non si sarebbe infiltrato in una scuola violando ogni regola morale possibile per incontrare una tipa che aveva visto di sfuggita in mezzo alla folla, e già lui era pericoloso. Il bassista e la chitarrista non se li ricordava bene, ma sperava che almeno uno dei due avesse la testa sulle spalle. « In ogni caso è solo una proposta, puoi rifiutare e non me la legherò assolutamente al dito. ». Okay, gli aveva lasciato un po' di spazio di manovra, non sembrava volere una risposta immediata, e lo ringraziò tra sé e sé. Perché, su due piedi, non sapeva proprio cosa fare: sapeva che una proposta del genere la faceva a chiunque incontrasse e non voleva guai, dall'altra... beh, dall'altra si era preso una sbandata niente male, per quanto non volesse ammetterlo, ma rinchiuse la vocina che gli suggeriva di assistere alle prove degli Elysian quella sera stessa in un angolo remoto della sua mente. « Certo, si vede che non sei un tipo che se la prende per delle sciocchezze simili. » commentò, ed alzò un angolo delle labbra, giusto per far capire che aveva provato a fare una sottospecie di battuta. All'improvviso, sentì il bisogno impellente di scappare. Da quando Cain aveva nominato Raphael - involontariamente, s'intende - non si sentiva più a suo agio. Era come se avesse rovinato l'unica cosa positiva di quella giornata, e non riusciva proprio a distrarsi con Cain, non più. Tanto anche lui si sarebbe stancato se mai gli avesse dato una possibilità. Sempre se Cain fosse davvero interessato a lui, intendiamoci. Sospirò prima che quei pensieri negativi lo inghiottissero, cercando di allontanarli per concentrarsi sulla conversazione e non pensare a Raphael. « Ci penserò. » fece alla fine, perché non gli voleva dire di no, ma neanche sì. Era sinceramente combattuto, e una parte di lui voleva allontanarlo perché sentiva quella chimica che c'era tra loro come sbagliata, e un'altra avrebbe voluto chiedergli di restare ancora un po'. « Ma sappi che non mi fido dei Don Giovanni come te, per voi le persone sono premi da esibire in vetrina. E io devo ancora capire se mi stai raccontando un sacco di frottole o meno. » disse, stavolta guardandolo negli occhi con una determinazione che non gli apparteneva. Quello era un avvertimento diretto sia a Cain sia a sé stesso, perché stava rischiando davvero grosso, e la parte razionale del suo cervello gli stava dicendo di scappare, e pure alla svelta.
    « Ehy, Cain! ». Una voce familiare sovrastò quella di Abel, che subito si girò verso l'origine del suono. L'amico con il quale Cain aveva fatto irruzione alla Ripley quella mattina si stava avvicinando alla loro panchina, e non poté fare a meno di notare che zoppicava. Aggrottò le sopracciglia d'istinto come faceva sempre quando non era pronto ad affrontare una situazione nuova, e subito si voltò di nuovo verso Cain, che però sembrava sgomento quanto lui. « E' il vostro cantante quello, giusto? » chiese per conferma, per poi guardare di nuovo verso il ragazzo, stavolta a pochi passi da loro. Non fece in tempo a chiedere se si fosse fatto male che Noel - si ricordava il suo nome perché Evie non aveva fatto altro che parlare di lui da ieri sera - piombò davanti ai due ragazzi, addirittura salutando Abel, che ricambiò con un « Ciao. » piuttosto incerto. Lo sguardo dell'albino volava da Noel a Cain, non sapendo davvero come il cantante avesse fatto a trovarli, ed ora che li aveva visti così vicini si trovò in imbarazzo. Quando l'ultimo arrivato chiese se poteva sedersi con loro, Abel guardò di nuovo il batterista, non sapendo davvero cosa fare e rimanendo pietrificato sul posto, per poi vedere Noel che già si faceva spazio da solo senza fare complimenti, e quindi si spostò senza fiatare. Lo sentì sospirare, come se si fosse tolto un grosso peso, ed il suo primo pensiero fu che, effettivamente, si era fatto male e per questo cercava Cain. Ma Evelya dov'era finita? Perché non erano insieme? « Evelya è andata via. ». Noel rispose alla sua domanda senza che lui dovesse porgergliela, ed Abel sbatté le palpebre un paio di volte incredulo prima di spostare l'attenzione su di lui. Non disse nulla, ma non poté fare a meno di chiedersi il motivo: da quello che aveva intuito, Evie non aspettava altro che incontrarlo di nuovo, ed era, sì, spaventata all'idea che Noel l'aveva raggiunta alla Ripley, ma era sicuro che fosse euforica all'idea di rivederlo tanto presto. Forse l'unico pensiero felice che aveva avuto dall'inizio del nuovo semestre a quel giorno. Cosa l'aveva spinta ad allontanarsi? « E credo non voglia vedermi. ». Il mistero si infittiva, ma se la conosceva bene allora il motivo poteva essere solo uno: loro due erano più simili di quel che pensavano, ed entrambi avevano paura. Paura che quei due fossero lì solo per divertirsi un po', che potessero andarsene velocemente come erano arrivati. Se fosse stato così non l'avrebbe biasimata, ma o Noel era un attore davvero convincente, o era veramente distrutto dal dolore e non stava fingendo. Guardò Cain di nuovo, suo unico punto di riferimento in quella situazione, e si chiese se per lui fosse lo stesso, se anche lui avrebbe reagito così se Abel gli avesse detto di andarsene. Se per lui contava davvero qualcosa come gli aveva quasi fatto credere. Noel continuò a parlare e quando quasi gli ruppe la voce l'albino guardò da un'altra parte per l'imbarazzo. Santo cielo, ma sul serio? Pure il piantino adesso? Ma quanti anni aveva, otto? Conosceva Evelya da a malapena dodici ore! Tuttavia, nonostante si sentisse a disagio all'idea di vederlo piangere, la frase che disse in seguito gli fece stringere lo stomaco, e in quel momento si convinse che a Noel importava davvero qualcosa di Evie, e non sarebbe andato contro la sua volontà se questo l'avrebbe fatta felice. Abel si voltò verso il ragazzo lentamente, che nel frattempo aveva gettato la testa all'indietro, e nel farlo intercettò lo sguardo di Cain. E tu? Avresti voluto vedermi davvero?
    « Contieniti, per carità di Dio. » disse, cercando di farlo tornare coi piedi per terra, perché quel teatrino lo trovava davvero smoderato, « Evelya non è abituata a certe attenzioni, soprattutto così plateali ed esagerate. ». Vide Noel sollevarsi come se gli avesse svelato il segreto della creazione dell'universo, e se possibile si intristì ancora di più. « E non è abituata ad essere la prima scelta di nessuno, quindi neanche lei pensa di valere molto. Le sarà sembrato strano che qualcuno sia genuinamente interessato a lei. » fece con il suo solito tono serio e distaccato, ma la verità era che vederla credere così poco in sé stessa feriva anche lui. Cercava di tirarla su di morale come poteva, anche se non era mai stato un granché, ma tutti vedevano la bontà, la gentilezza, l'intelligenza e la bravura di Evelya, tutti, tranne lei. Da parte sua, Abel le ripeteva più volte che aveva scelto di essere il suo accompagnatore al piano per un motivo, e quel motivo era che lei era una cantante superba. Non avrebbe accompagnato chiunque. Tuttavia, temeva sempre che i complimenti le entrassero da un orecchio per poi uscire subito dall'altro, e si domandava se davvero lo ascoltava o ormai era fermamente convinta di valere poco o nulla che nulla avrebbe potuto farle cambiare idea. Magari Abel non era il migliore degli amici, ma voleva solamente il meglio per Evelya. « Immaginavo si trattasse di una cosa del genere, » fece Noel dopo qualche secondo di silenzio, « ma averne la conferma, wow, fa male. ». Abel annuì, non sapendo cosa altro dire. Il dolore che Evie si portava dentro era enorme e la stava divorando piano piano, precludendole un sacco di opportunità, e proporsi di aiutarla a sostenerlo era difficile, dato che non gliene dava la possibilità: mascherava tutto con un sorriso e, nei casi peggiori, con l'indifferenza che tanto piaceva ai benestanti, esibendo una falsa calma e un tono di voce fastidiosamente cordiale.
    « Mi sembra impossibile che una ragazza del genere possa svalutarsi così tanto. Cioè, è fantastica, sembra perfetta! », « Già, è quello che pensano tutti. ». Non gli sembrava il caso di raccontargli di Azarel e di come la tenesse in gabbia come un uccellino, costringendola a soddisfare le aspettative che la sua famiglia aveva su di lei. Evelya dipendeva in tutto e per tutto da loro, e la sua indole buona non faceva altro che facilitare la vita ai suoi genitori e a quel porco di Azarel. Era anche colpa loro se Evelya era convinta di non valere più di tanto, ma questo Noel non poteva saperlo. « Ho cercato di rassicurarla, ma non credo sia servito a molto. ». Abel fece spallucce dato che conosceva quella sensazione piuttosto bene: non era un asso nell'incoraggiare la gente, ma le poche volte che tentava di supportare Evelya non sembrava avere l'effetto sperato. Già la immaginava, col suo sorriso di cortesia dipinto in viso mentre si lasciava scorrere tutto addosso.
    « Posso fare qualcosa per lei? ». L'innocenza di quella domanda fece sì che Abel riportò l'attenzione su Noel, che a sua volta lo guardava sinceramente abbattuto. « Se non ti vuole vicino c'è ben poco da fare. » gli rispose lui, e ammirava come Noel rispettasse il volere di Evie nonostante andasse contro i suoi desideri. Se i suoi sentimenti erano davvero così intensi doveva essere stata una grossa batosta. « Anche tu hai ragione. » sospirò l'altro, e un sorriso triste si fece strada sulle sue labbra, per poi zittirsi. Nonostante avesse capito che l'interesse che provava per la sua amica fosse genuino, Abel trovava davvero quel tipo di reazioni esagerate e senza senso. Farsi venire il groppo alla gola perché una ti aveva rifiutato? Ridicolo. Noel era quel tipo di persona a cui bastava uno schiocco di dita per ritrovarsi sommerso da persone che avrebbero venduto i propri organi pur di passare qualche ora insieme, figurarsi se aveva difficoltà a trovarsi una ragazza. Quindi perché reagire così male quando Evelya l'avrebbe dimenticata entro sera? Non aveva il minimo senso. « Voi, invece? Come sta andando? » la voce di Noel interruppe di nuovo il silenzio dopo secondi che gli parvero ore, ed Abel quasi saltò sul posto quando si sentì chiamato in causa. La prima cosa che gli venne spontanea da fare fu guardare Cain, e ancora non aveva capito che rischiava un attacco di cuore ogni volta che incontrava il suo sguardo senza preavviso. Sentì le budella intrecciarsi tra loro fino a fargli male, quindi lo abbassò poco dopo. « Ho interrotto qualcosa? ». Maledizione, o Noel era stupido oppure fingeva di non capire un accidente. Il modo in cui aveva posto quelle domande come se stesse parlando delle previsioni del tempo del giorno dopo lo mandava in bestia, e il fatto che la sua attenzione vagasse da Cain a Abel e viceversa come se fosse un bimbo che chiedeva le caramelle ai genitori lo faceva solo innervosire. « No, a dire il vero mi stavo congedando. Tra poco è ora di rientrare in aula. » fece Abel, alzandosi dalla panchina e sistemandosi la divisa. Solamente in quel momento notò come sia Cain che Noel avevano slacciato camicia e allentato il nodo della cravatta, sottolineando il fatto che non fossero abituati ai modi dell'alta società. « Vi consiglio di rientrare al più presto, per il vostro bene. Non penso abbiate ormai qualcosa da fare qui alla Ripley. » aggiunse, guardando prima il cantante e poi il batterista. La campanella sarebbe suonata da lì a poco, e avrebbe voluto solo chiedergli di portarlo fuori di lì. Rivedere Raphael lo faceva sentire male ed in trappola, mentre Cain era la quintessenza della libertà. Non sapeva se avrebbe voluto essere lui o stare con lui. « A presto, credo. » lo salutò con un cenno della mano, ficcandola in tasca subito dopo mentre si incamminava verso l'entrata della scuola. Ogni passo che faceva gli pareva sempre più pesante, come se invece di tornare a lezione stesse andando in prigione. E finché ci sarebbe stato Raphael, così si sarebbe sentito. Noel parlava a voce abbastanza alta, tanto che riuscì a sentire « Dai, su, allora? Avete un appuntamento? Ho capito bene? » prima di chiudere la porta, e prima di sentire la risposta di Cain. Un appuntamento... magari. Sarebbe stato bello, ma non erano fatti l'uno per l'altro. Si sarebbero spezzati il cuore a vicenda, e Cain meritava qualcosa di più di quello che Abel aveva da offrirgli. Camminò guardando per terra, dato che ormai conosceva gli intricati corridoi della Ripley come il palmo della sua mano, ed estrasse il telefono, sperando che il messaggio arrivasse al suo destinatario prima che entrambi tornassero in aula.

    "Ti va di tornare a casa insieme?"

    Lo inviò ad Evelya per poi ricacciare il cellulare in tasca, accertandosi di averlo messo in modalità silenziosa, e prese la strada lunga per arrivare fino alla sua classe, dove avrebbe ripreso le prove per il saggio. Sperava che mettendoci più tempo avrebbe trovato sia Evelya che Raphael in aula, in modo da non dover stare nella stessa stanza del suo fidanzato da solo. Aveva bisogno di vedere un viso amico, e forse anche lei.

    • • •

    La reazione scocciata di Izar l'aveva fatta ridere, tanto che quando il ragazzo tornò al tavolo lei lo accolse come se nulla fosse successo ma notò subito un cambiamento nel suo tono di voce: si conoscevano da anni, era impossibile trarla in inganno quando si parlava di Izar. Dopo l'incazzatura di quella mattina sperava che il peggio fosse passato, ma a quanto pareva si era sbagliata. Lui posò la lattina di birra - ne aveva presa un'altra? - sul tavolo facendo abbastanza rumore, e neanche le parole dette dopo non furono delle più delicate. Lei, per tutta risposta, si limitò ad alzare un sopracciglio e seguirlo con un « 'kay. » poco convinto quando lo vide prendere l'uscita. Decise di ignorare il repentino cambio d'umore dell'amico, sorseggiando il rimanente della birra fino alla fermata del bus - rischiando di strozzarsi un paio di volte perché Izar aveva le gambe decisamente più lunghe delle sue e non sempre riusciva a stare al suo passo - mentre tentava di intavolare una conversazione, ma ogni suo tentativo si rivelava un clamoroso buco nell'acqua. « Ah, ora che ci penso, mamma mi ha detto di provare a fare il pollo al curry con lo yogurt greco, in modo che venga più cremoso. Ti va di provarci, magari questo weekend? » provò a chiedere, ma la sua domanda aleggiò nell'aria senza ricevere una risposta ben precisa. O se lo aveva fatto, non aveva sentito nulla. Quando Izar faceva così c'era ben poco da fare, ed Altayr alzò gli occhi al cielo nel guardarlo da lontano mentre buttava la bottiglia ormai vuota. Aveva come il sospetto che lei centrasse qualcosa, visto che si era rabbuiato quando lei lo aveva ripulito dalla salsa piccante che aveva sulla guancia, ma anche se fosse stato davvero così non riusciva a giustificare una reazione del genere. Gli aveva dato così tanto fastidio? A sapere in anticipo che lui le avrebbe tenuto il muso fino a sera non si sarebbe sicuramente azzardata ad invadere il suo spazio personale.
    « Che dici, stasera riusciremo a portare a termine qualche canzone? Ne abbiamo un sacco in sospeso. » la buttò lì, molto casualmente, mentre con le scarpe torturava un povero sassolino che aveva avuto la sfortuna di trovarsi a pochi centimetri dal suo piede. Le parve di udire un "Boh", ma non ne fu sicura, quindi gettò unicamente la spugna. Andasse al diavolo, non aveva proprio voglia di discutere per qualche film mentale che lui si era fatto, e lei ancora non leggeva nel pensiero. I minuti prima che arrivasse l'autobus li passarono in silenzio, lui troppo impegnato a rifiutarsi di rivolgerle la parola e lei ormai rassegnata e in attesa che la luna storta gli passasse, e Altayr, dato che era pur sempre ora della pausa pranzo sia per studenti che per lavoratori, si ritrovò a farsi strada a furia di spintoni per riuscire a salire sul bus, non riuscendo però a trovare neanche un posto a sedere. E lei che già immaginava a fare il viaggio verso la sala prove appoggiata casualmente alla spalla di Izar. Beh, vista l'atmosfera forse era meglio così. Raggiunse il ragazzo in un angolo vuoto del mezzo prima che si riempisse completamente, e lui, come spesso faceva, si frappose tra lei e la folla, mentre Altayr si appoggiò con la schiena alla parete, al riparo da occhiate indiscrete che sui mezzi pubblici non mancavano mai. Stare con Izar per lei significava praticamente questo, sentirsi tranquilla e senza nulla da temere: Izar era il suo porto sicuro, la stella più luminosa che guidava il suo cammino, ma nonostante continuasse a proteggerla anche in un momento del genere il suo respiro era pesante e le sue labbra serrate in una linea inespressiva, ed averlo così vicino, adesso, non era altro che una tortura. Avrebbe voluto dargli una mano per sbollire la rabbia - verso cosa o chi ancora non l'aveva capito però -, ma sapeva che quando si comportava così era meglio starsene zitti, visto che solitamente si trattava di una nuvola nera passeggera. Decise quindi di tirare fuori il telefono per andare su e gù sulla sua home di Instagram, digitando poi l'username della fotografa con cui avrebbero scattato tra qualche giorno. Come le aveva anticipato Izar qualche ore prima - quando era ancora felice e contento - i suoi scatti non erano niente male, e constatò che aveva già lavorato in precedenza con altre band. Riconobbe addirittura alcune di loro, e nello zoomare su uno dei post il bus frenò bruscamente, tanto da costringere Izar a stendere il braccio sulla parete alla quale era appoggiata per non schiacciarla. « Oddio, attento » fece, bloccando lo schermo del telefono e sollevando lo sguardo su di lui - il quale si rivelò un grosso errore, visto la distanza davvero minima che c'era tra i loro visi. Altayr non seppe se il respiro le mancasse perché lì dentro c'era davvero molta gente, o perché Izar era veramente molto e pericolosamente vicino.
    « Non farlo più, per favore » se ne uscì ad un tratto, con un tono di voce davvero basso, e lei aggrottò le sopracciglia, non riuscendo a capire a cosa si stesse riferendo. « Che stai
    dicendo? »
    domandò, ancora più confusa di prima, ma non trovò risposta nell'espressione cupa di lui. « Non è uno scherzo con te. » aggiunse, ed Altayr continuò a guardarlo negli occhi in attesa di una spiegazione, di un chiarimento, di un qualsiasi cosa che le avrebbe fatto capire su cosa stava rimuginando da quando era sparito per prendersi la seconda birra, perché era davvero stufa di dover stare ad indovinare cosa gli passasse per la testa, manco fosse una psicologa. L'espressione sinceramente confusa e preoccupata che aveva dipinta in volto venne sostituita dal fastidio e la rabbia che provava in quel momento, sentiva di essere sul punto di esplodere. « Si può sapere che cazzo hai oggi, eh? » fece dopo qualche secondo, non riuscendo più a tenere a freno la lingua. « E' da stamattina che sei intrattabile, e io non ti leggo nel pensiero. Prima sei incazzato, poi di nuovo tutto okay, poi ti incazzi ancora, e poi mi dici 'ste robe, non capisco neanche a cosa ti riferisci. Mi vuoi dire chiaro e tondo che ti prende? » continuò, cercando di mantenere la voce bassa il più possibile per non farsi sentire dall'intero autobus, ma in verità avrebbe voluto urlare a squarciagola che era stanca di sentirsi dare la colpa dei suoi cambi d'umore. Invece di dirle "di non fare più certe cose" - quali cose poi? Mica lo specificava -, poteva benissimo spiegarle cos'è che lo rendeva così nervosa senza tanti giri di parole e giochini a cui lei non andava più di stare. « Ah, ma se non vuoi parlarmi più come fanno i bambini all'asilo fai pure, sono stufa di scervellarmi per capire cosa ti passa per la testa, Izar. ». Nel frattempo si staccò dal muro, intimandogli di lasciarle spazio per avvicinarsi alla porta dalla quale tra poco sarebbero scesi. « Fammi sapere quando ti sei calmato. » disse, e si appoggiò alla parete opposta con le braccia incrociate al petto, pronta ad uscire tra pochi minuti. Non era la prima volta che litigavano a causa del malumore di Izar, ma ultimamente ogni discussione pesava sempre di più. Scoccò un ultimo sguardo al ragazzo prima che le porte si aprissero, e appena si voltò le venne spontaneo pensare Ma dovevo proprio innamorarmi di 'sto coglione?.

    Una volta fuori le sembrò di non aver respirato aria fresca per ore e ore, ma non riuscì a gioire del fatto di non essere stata inghiottita dalla folla ed essere giunta sana e salva alla sala prove nonostante il traffico dell'ora di pranzo. Non si guardò neanche alle spalle per vedere se Izar fosse sceso con lei o meno, che un volto che conosceva molto bene la accolse appena uscita dall'autobus. « Alleluja! » esclamò Noel, rimanendo però seduto senza fare una piega. Altayr sbirciò lo schermo del telefono che ancora teneva in mano, ed in effetti avevano fatto parecchi minuti di ritardo. « Senti, non ti ci mettere anche tu. » disse, passandosi velocemente una mano sul viso ed issandosi lo zaino in spalla. « Nervosa? », « Macché. » lo disse in tono volutamente sarcastico, e si avvicinò al cantante nel caso gli servisse una mano. Salutò Cain con un gesto della mano, per poi tornare a guardare Noel e notando solo in quel momento quanto i suoi occhi fossero gonfi. « Tutto a posto? Hai gli occhi rossissimi. » fece, e Noel rise per tutta risposta. « Ah, sì, ho solo pianto per un'ora o giù di lì. ». Altayr sospirò tra sé e sé, sapendo benissimo cosa l'aspettava quel pomeriggio: una crisi esistenziale. Sarebbero state delle prove movimentate, e lei non era mentalmente pronta. « Vuoi parlarne un po'? » domandò, mentre dirigeva uno sguardo dubbioso in direzione del batterista: i due rossi erano stati insieme tutta la mattina, sicuramente lui sapeva qualcosa. « Per ora vorrei solamente sdraiarmi sul pavimento e non rialzarmi mai più. » fece Noel, finendo la frase con un mugolio di fastidio - forse a causa della gamba - « Anzi, andate pure a fare le prove senza di me. Io torno a casa. Almeno lì ho i fazzoletti. », « Ma neanche per sogno, male che vada frignerai in sala prove » lo riprese la ragazza, avanzando di qualche passo per iniziare a far muovere il gruppo, ed affiancò prontamente Cain. « Cosa avete combinato voi due stamattina? Noel è uno straccio. » gli domandò sottovoce, mentre gettava un'occhiata al cantante che si trascinava per strada controvoglia. Nel farlo non poté fare a meno di soffermarsi su Izar, che gli stava a pochi passi di distanza, ma distolse lo sguardo in fretta, prima che lui si sentisse osservato e la guardasse a sua volta. I suoi improvvisi cambi d'umore influenzavano, volente o nolente, anche chi gli stava intorno, e spesso chi se li sorbiva era Altayr, stando appiccicati da mattina a sera tra scuola, lavoro e band. Quella mattina era riuscita a placare la tempesta, ma all'ennesima risposta vaga e seccata di Izar non era più riuscita a mantenere il controllo. Un po' si sentiva in colpa, perché aveva il sospetto che fosse lei la causa di tutte le montagne russe di emozioni che Izar provava, ma se era davvero così allora voleva che glielo dicesse in faccia, piuttosto che fare l'offeso e sperare che lei capisse a cosa stava pensando. Sospirò mentre apriva la porta del locale che metteva a disposizione le sale per provare, tenendola poi aperta per far entrare Cain. « Spero che questa tortura finisca presto. » disse sottovoce, più a sé stessa che all'amico, perché era a tanto così da salire sul primo bus diretto a casa.

    La ragazza seguì con gli occhi Noel che si andò a sedere sul divanetto in un angolo della sala appena furono dentro, ed alzò gli occhi al cielo quando lo vide distendersi. « Arrivo tra un secondo. » annunciò, e lei, da parte sua, non gli rispose. Posò la chitarra in un angolo e la levò dalla custodia - la ragazza alla reception era stata gentilissima a tenere i loro gli strumenti per tutto il giorno -, tirando successivamente fuori da una delle tasche dello zaino il diapason per accordarla. « Programma di oggi? » chiese, e Noel fu veloce a dare la sua risposta - sebbene non fosse quella che cercava. « Piangere e ripetere all'infinito quanto la vita sia ingiusta. ». La ragazza sollevò, per l'ennesima volta da quella mattina, lo sguardo al cielo, perché in quel momento l'ultima cosa che voleva era affrontare Noel nel bel mezzo di una crisi. « Okay, mentre aspettiamo Noel che si riprende possiamo decidere la scaletta del prossimo concerto, che dite? Anche solo le prime canzoni. » aspettò che gli altri le dessero conferma, perché effettivamente senza il cantante non potevano fare granché, ed Altayr non aveva proprio voglia di sapere cosa fosse successo a Noel nello specifico e consolarlo fino a sera.
    « Ognuno ne dice una, come al solito. » esclamò mentre strappava un pezzo di carta da uno dei quaderni che aveva nella borsa, e prese una penna a caso dall'astuccio, sperando che ancora scrivesse. « Per me Sleeping In. » annunciò, e lo scrisse di fretta sul foglietto. Era da un po' che non la suonavano in live, e ai tempi si era divertita parecchio a comporre la melodia. Poi era una delle preferite di Noel, magari gli avrebbe risollevato un po' il morale provarla quel giorno. « Io voglio cantare la canzone più triste che abbiamo. », « No, Noel. », « ... Allora ci penso su ancora un altro po'. ». La ragazza annuì, guardando poi gli altri due in attesa di una risposta, e, mentre era intenta a scrivere le altre canzoni - quattro brani erano più che sufficienti per il momento, magari ne avrebbero decisi altri quando tutti sarebbero stati meglio - , Noel scattò a sedere sul divano, facendole cadere la penna per la sorpresa. « Come si fa a vivere dopo aver perso l'anima gemella? » esclamò Noel, e sembrava davvero sul punto di piangere. « Beh, tu hai perso tipo una trentina di anime gemelle, meglio di te non lo sa nessuno. » fece Altayr, e Noel si ributtò giù sul divano di peso, preso dallo sconforto. « Ma stavolta era davvero lei ». Il tono sconfortato che utilizzò la fece sentire in colpa per averlo ignorato fino a quel momento, quindi decise di prendere il toro per le corna: era l'unico modo che aveva per far tornare Noel a cantare. « Ti riferisci alla ragazza del Black Dog? » domandò, e Noel annuì vistosamente. « Vi siete incontrati? ». Noel annuì di nuovo, e stette in silenzio per qualche secondo. « E mi ha scaricato. », « Ah, mi spiace. ». Il ragazzo fece un gesto con la mano per dirle che non si doveva preoccupare, e si raggomitolò su sé stesso. Perfetto, l'avevano perso. « Arrivo tra un secondo. Stavolta davvero. » fece lui, mentre gli altri cominciavano a sistemare gli strumenti. « Nessun problema. » gli rispose la chitarrista, mentre finiva di accordare la sua fedele chitarra. « Dopo però possiamo suonare un paio di canzoni tristi? Pensavo a Lewis Capaldi, tipo. » Altayr sorrise, ripensando all'ultima volta che era stato lasciato da una ragazza - Adeline per la precisione, ricordava i nomi di quasi tutte le sue ex - e avevano suonato Birdy tutti insieme, con lui al microfono che piangeva come una fontana. « Va bene. » gli rispose, scuotendo la testa e sorridendo tra sé e sé. Sì, sarebbe stata sicuramente una prova impegnativa, e lo dedusse anche da quanto le costò fare un cenno verso Izar per invitarlo ad accordare i loro due strumenti come ogni volta, ma ora l'idea di averlo vicino la innervosiva. Sperava vivamente che la luna storta gli fosse passata, altrimenti quelle sarebbero state le tre ore più pesanti della sua esistenza.

    « Altayr » || « Noel » || « Abel »
    ‹ altayr c. windstorm (19) / noel h. moore (21) / abel c. gytrash (18) ›

    ☆ code by ruru ☆ noel's render done by bae



    Edited by altäir - 29/11/2021, 18:15
     
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