Votes taken by altäir

  1. .
    pusheen Lottery
    Salve a tutti amici, amiche e amic*, e benvenuti nella nuova lottery del ruru lol! c: E' passato tanto tempo, già, mi scuso per questa assenza improvvisa. Vi dirò, non è stato un bel periodo: la quarantena è stata terribile, l'università non mi dà tregua e la sfiga mi perseguita, lmao. E meno male che il 2020 doveva essere l'anno della mia ribalta! La prossima volta sto zitta. c:< Quindi, mi scuso per questa mancanza di attività nel mio blog, magari vi eravate pure abbonati e io vi ho lasciato così, a bocca asciutta ywy Quest'estate mi è anche esploso il pc e ho perso tutta la roba grafica che avevo salvato (basi banner, texture varie, fonts, programmi, ogni cosa) e la mia voglia di fare lottery o fare qualsiasi cosa di grafico è scesa sottoterra (per questo ho lasciato stare le richieste grafiche, chiedo venia), ma finalmente eccomi qua! Il tema della lotteria non è rivoluzionario o particolarmente figo e neanche natalizio, visto il periodo, è semplicemente... Pusheen, un gattino che adoro e mi ispira tantissima tenerezza c': ♥ Ho anche provato a fare un codice nuovo che spero vi piaccia, vi lascio alla lotteria che, sicuramente, è il motivo per il quale siete approdati qui c': Ne approfitto anche per augurarvi buone feste ♥
    ★ regolamento & modulo d'iscrizione ★
    ⤷ Possono partecipare i forum di ogni circuito (fc, ff, bf) a patto che rispettino le regole del circuito.
    ⤷ Ogni forum ha diritto a un numero tra quelli disponibili.
    I primi cinque iscritti hanno +1 numero bonus; gli abbonati hanno +2 numeri bonus; gli affiliati e i gemellati hanno +1 numero bonus (se siete sia affiliati che gemellati, i numeri bonus diventano 2). !!! se volete abbonarvi potete farlo qui, potrete usufruire subito dei vantaggi c:
    ⤷ Il tesserino va esposto dal momento dell'iscrizione fino alla conclusione della lotteria e la conseguente distribuzione dei premi; prima di estrarre farò un giro di controllo, e chi non rispetterà questa regola verrà escluso dall'estrazione dei vincitori.
    ⤷ Se il numero da voi scelto fosse stato già prenotato, io ve ne assegnerò un altro, ovviamente il più vicino a quello da voi scelto; per questo vi consiglio di leggere gli ultimi messaggi onde evitare ciò.
    ⤷ I vincitori saranno tre e potranno scegliere quattro premi dalla lista, mentre i partecipanti potranno sceglierne due. In ogni caso, gli abbonati hanno diritto ad un premio in più.
    ⤷ I vincitori verranno estratti una volta occupati tutti i numeri tramite il sito Random.org. Se la lottery si protrae per troppo tempo, verrà chiusa e l'estrazione finale avverrà ugualmente. Anche perché sono un sacco di numeri aiuto



    CODICE
    <div style="background-color: #ffc6c3; width: 290px; height:px; text-align: center; font-size: 30px; color: #fff; padding: 9px; font-family: georgia; text-transform: uppercase;">&#9733; good luck! &#9733;</div><div style="background-color: #fff; width: 286px; height:px; padding: 9px; border-right: 2px #ffc6c3 solid; border-bottom: 10px #ffc6c3 solid; border-left: 2px #ffc6c3 solid;  text-align: justify; font-family: Georgia; font-size: 11px; color: #000;"><span style="background-color: #ffc6c3; padding: 3px; color: #ff7793; text-transform: uppercase; font-size: 10px; font-family: georgia; letter-spacing: 1px">nome + link forum</span> [URL=http://link.forum]Nome del forum[/URL] (sotto codice!)
    <span style="background-color: #ffc6c3; padding: 3px; color: #ff7793; text-transform: uppercase; font-size: 10px; font-family: georgia; letter-spacing: 1px">numero scelto</span> (1 numero base)
    <span style="background-color: #ffc6c3; padding: 3px; color: #ff7793; text-transform: uppercase; font-size: 10px; font-family: georgia; letter-spacing: 1px">numeri abbonato</span> (+2 numeri se abbonati)
    <span style="background-color: #ffc6c3; padding: 3px; color: #ff7793; text-transform: uppercase; font-size: 10px; font-family: georgia; letter-spacing: 1px">numeri affiliato / gemellato</span> (+1 numero se affiliato, +1 numero se gemellato)
    <span style="background-color: #ffc6c3; padding: 3px; color: #ff7793; text-transform: uppercase; font-size: 10px; font-family: georgia; letter-spacing: 1px">numeri extra</span> (guardate la lista)
    <span style="background-color: #ffc6c3; padding: 3px; color: #ff7793; text-transform: uppercase; font-size: 10px; font-family: georgia; letter-spacing: 1px">avviso a fine lottery</span> (dove dovrò avvisarvi una volta finita la lottery? Tag va bene, se lasciate un topic invece mettetelo sotto code)
    <span style="background-color: #ffc6c3; padding: 3px; color: #ff7793; text-transform: uppercase; font-size: 10px; font-family: georgia; letter-spacing: 1px">e infine...</span> spero stiate tutt* bene, questo periodo è duro, dunque prendetevi cura di voi e state attenti! Un grande abbraccio &#9829;</div></div></div>
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    Edited by altäir - 8/1/2021, 21:58
  2. .
    altayr c. windstorm
    Da quel che Altayr ricordava, era sempre stata amica di Kevin ─ o Kev, come preferiva farsi chiamare lui, e come lei l'aveva sempre chiamato. Giusto il tempo di aiutarla a far scappare a gambe levate i soliti bulletti che si divertivano a prenderla di mira ed Altayr – a quel tempo gracile studentella di dieci anni o poco più, non ricordava con precisione – si era ritrovata con un amico. Un vero amico stavolta. A quanto pare, il ragazzo, l'aveva subito presa in simpatia e non ci fu un giorno passato senza averlo intorno.
    Altayr ricordava anche come le camicie di Kev profumassero sempre di lavanda, un profumo all'inizio stucchevole, ma col tempo ci aveva fatto l'abitudine: era inevitabile non coglierlo durante il tragitto casa – scuola o in uno dei loro soventi incontri. Profumava di buono, le piaceva, era rassicurante. Ricordava che l'aveva sempre accompagnata a casa e come nelle gare di corsa per arrivare al cancello vinceva sempre lei, perché a furia di allenarsi nel combattimento – rigorosamente all'insaputa di Mira ─ e dare una lezione a quei deficienti che ancora non si erano stancati di isolarla e farle andare il sangue al cervello ogni volta che alludevano al passato di sua madre o al suo essere un errore stavano dando i loro frutti. Ricordava anche la faccia che aveva fatto quando gli aveva mostrato le sue ali da aquila – proporzionate al suo corpo da bambina, ma ugualmente maestose. Ricordava il suo gusto di gelato preferito – fragola, per i più curiosi ─ e l'afa dei pomeriggi estivi passati davanti al ventilatore, o di quando Kevin le aveva dato i suoi guanti preferiti mentre stavano andando a scuola, e solo in quel momento notò come le mani del ragazzo fossero molto più grandi delle sue.
    Le gambe di Kevin si fecero più lunghe col passare del tempo, si lasciò crescere i capelli – lisci, biondi, tutte le ragazze della loro classe glieli invidiavano ─ e il suo fisico cominciò a tonificarsi. Era cresciuto anche in altezza, e non di poco, lo aveva notato durante i tornei di pallavolo tra scuole a cui entrambi partecipavano, o anche quando camminavano fianco a fianco o dal fatto che lui riuscisse ad arrivare allo scaffale più alto del supermercato, al contrario di Altayr che riusciva a sfiorarlo solo alzandosi in punta di piedi.
    Era pure un genietto, Kevin, mentre Altayr era convinta di non essere particolarmente portata per lo studio. L'amico l'aiutava come poteva, e lei cercava di portare a casa dei risultati che le garantissero di passare all'anno scolastico successivo. Ci riusciva sempre, e vedere il sorriso di sua madre ogni volta che le comunicava il risultato di un compito era la più grande delle soddisfazioni. Eppure, la sua vita a scuola non era delle più facili, ma non se la sentiva di parlarne con sua madre, la sua fedele confidente. L'avrebbe solo fatta soffrire. Kevin fu l'unico a rimanergli vicino sempre e comunque, anche quando le dicerie sul suo conto si diffondevano tra gli studenti, la maggior parte di loro la evitavano e i teppisti della scuola la mettevano con le spalle al muro ogni volta che la incontravano da sola in corridoio. Altayr non aveva mai avuto paura né di loro né della solitudine: era abituata ad affrontare entrambe le cose e, per quanto facesse male, aveva imparato a farsi scivolare la cattiveria altrui addosso. Eppure, sapere che Kevin l'avrebbe in ogni modo aspettata al cancello della scuola per tornare a casa e passare il pomeriggio insieme le infondeva coraggio. Quella parte della sua vita non sarebbe mai cambiata. Tuttavia, ogni volta che stavano insieme sentiva una fitta al petto, come se l'aria le mancasse, e bastava anche solo che le loro dita si sfiorassero per far accelerare il battito del suo povero cuore. Anche quella parte della sua vita stava cambiando, seppur rimanendo immutata al tempo stesso: avevano sempre studiato insieme, avevano sempre camminato quasi appiccicati, avevano sempre bevuto l'acqua dallo stesso bicchiere. Perché ora lo stomaco faceva le capriole e non riusciva quasi a guardarlo in faccia? Avrebbe voluto indicargli le costellazioni distesi su un lenzuolo nel giardino di casa di lui o insegnargli a suonare qualche canzone semplice con la chitarra senza rischiare un attacco di cuore ogni volta. Aveva paura di tutto quello che ne avrebbe potuto conseguire, a dirla tutta: voleva un bene dell'anima a Kevin, al suo amato Kev, ma sperava solo non si stesse prendendo una sbandata per lui, perché, tutti lo sapevano, era fortemente sconsigliato innamorarsi di qualcuno prima della comparsa del marchio. Già, quello che le comparve sul braccio all'alba dei suoi sedici anni, anche abbastanza tardi rispetto alla media. In quel momento, sì, il terrore la divorò. Non voleva sapere chi fosse, non subito almeno, ma le bastò dirigersi a scuola la mattina stessa per far sì che la parte interna della sua costellazione si tingesse di un marroncino tenue. I suoi occhi incrociarono quelli ambrati di Kevin, che arrotolò le maniche della camicia fino a mostrare il suo marchio. La costellazione dell'Aquila, la sua. Sul suo stesso braccio riconobbe Tarazed, le due Deneb, mentre su quello del ragazzo individuò all'istante Altair. Aveva tatuato la sua stella, la sua costellazione, lei. Anche i bordi del marchio di Kevin viravano verso il verde scuro, e prima che Kevin potesse affiancare i due disegni la ragazza si ritirò, tirando giù le maniche della camicia della divisa che solitamente portava all'altezza del gomito – nonostante fosse ottobre e l'autunno fosse già arrivato da un po'. Ricordava benissimo la faccia dell'amico: sembrava deluso, forse terrorizzato quanto lei, ma più speranzoso, più felice di quella notizia. Al contrario, Altayr non riusciva a capacitarsi di come il destino avesse potuto giocargli uno scherzo simile. Aveva paura dei suoi stessi sentimenti e stava cercando di reprimerli in ogni modo, perché non riusciva proprio ad immaginarsi al suo fianco in quella maniera. Era sempre stato il suo migliore amico, non se la sentiva di compiere un passo così importante.
    « Scusa, non me lo aspettavo » si giustificò lei, non sapendo dove guardare o dove mettere le mani senza dare a vedere il suo disagio.
    « Io un po' ci speravo, invece » fece Kevin, e Altayr sollevò lo sguardo su di lui, gli occhi spalancati. « Come, scusa? » chiese in un filo di voce, sperando davvero che il ragazzo cambiasse la frase, mentre lo stomaco le stringeva tanto da farle male. In che senso ci sperava? - Per favore, non dirmi che sei innamorato di me da tempo, per favore. -. Pregava in silenzio fintanto che Kevin non accennava ad abbassare lo sguardo, e quel contatto visivo sostenuto cominciò a farla innervosire.
    « Faremo tardi ». Altayr si sistemò lo zaino in spalla e distolse lo sguardo, calciando un sassolino per terra mentre un gruppo di studenti con la loro stessa divisa li superavano.
    « Cos'è tutta questa fretta? Non ti ho mai vista così impaziente di andare a lezione. », ridacchiò lui, forse fingendo di non accorgersi di quanto quella situazione fosse pesante per lei.
    « Devo consegnare la relazione di fisica, oggi è l'ultimo giorno, e devo trovare Barden prima della campanella », spiegò con tono calmo, ma appena tornò a guardarlo il suo cuore riprese a battere all'impazzata. Non era sicura se quello fosse perché aveva una cotta per lui che era certa di essere quasi riuscita a sopprimere o perché aveva paura del futuro che li aspettava. Kevin le sorrise di rimando, ricominciando a camminare al suo fianco, come da quando si erano conosciuti. Per la prima volta, fu come se la strada verso l'edificio scolastico fosse infinita, ed Altayr avrebbe voluto solamente salutare Kevin all'entrata e starsene da sola per qualche ora, senza nessuno intorno.

    La pausa arrivò prima del previsto, ma la sua mente era ovunque tranne che in classe: guardò i suoi appunti di letteratura, scarni e disordinati, e chiuse il quaderno mentre si alzava dal banco, intenzionata ad uscire dall'aula prima che Kevin potesse intercettarla. « Se Kevin chiede di me, potresti dirgli che sono andata in bagno? » disse a Noah, il suo compagno di banco, che annuì senza fare alcuna domanda di rimando e lei gliene fu infinitamente grata. Era di poche parole, e quando diceva qualcosa si trattava solitamente di un commento pungente, ma la sua non era una presenza fastidiosa, tutt'altro: con lei si mostrava piuttosto disponibile e a volte le aveva addirittura fatto copiare i compiti, e in più aveva una fidanzata assolutamente adorabile. Altayr vorticò tra i banchi fino a raggiungere la porta e si diresse a passi veloci verso il bagno del piano inferiore, che solitamente erano quelli meno affollati. Scese i gradini in tutta fretta, attenta a non urtare qualcuno e pregando che nessuno avesse avuto voglia di infastidirla, quando si sentì un grido acuto provenire dall'ultima rampa di scale che avrebbe dovuto scendere per arrivare al piano terra. Si affacciò dal corrimano, le sopracciglia aggrottate nella speranza di capire cosa stesse succedendo e, in caso, intervenire. Notò subito due studenti stesi sul pavimento ai piedi delle scale – il piano terra era poco frequentato dato che la mensa si trovava all'ultimo, quindi fu facile dedurre chi avesse cacciato quell'urlo. Da dove si trovava poteva solamente ammirare il didietro di una ragazza e un ragazzo steso sotto di lei. Forse ci era rimasto secco. Scese le scale tenendo lo sguardo fisso su di loro, controllando se Kevin fosse nelle vicinanze con la coda dell'occhio. La studentessa si tirò su esclamando un « Scusami! » acuto quanto il grido di poco prima e quasi la fece sussultare, e riportò l'attenzione su di loro. La fanciulla, dai lunghi capelli biondi e alquanto formosa, sembrava davvero dispiaciuta e preoccupata per il malcapitato che aveva avuto la sfortuna di trovarsi lungo il percorso, ma lui sembrava stesse bene, quindi decise di passare accanto a loro, ignorandoli, per rifugiarsi in qualche angolo del cortile dove magari Kevin non avrebbe potuto trovarla. La sua parte aquila la implorava di uscire all'aria aperta e farsi accarezzare da del venticello fresco. Prima di uscire, tuttavia, buttò un'occhiata alla strana coppia, che ormai si stava rialzando da terra, e le sembrò di riconoscere il ragazzo: mingherlino, alto, capelli scuri e scompigliati e, se il suo udito non la ingannava, le parve di riconoscerne la voce. Inoltre, gli faceva sempre lo stesso effetto: la sua aura non le piaceva affatto, anche a distanza di giorni. Era il ragazzo della pioggia.

    • • • •

    Pioveva, forte, e lei si era completamente dimenticata di prendere un ombrello, ovviamente, come le aveva consigliato sua madre. Voleva solamente andare a dare un occhio al negozio di musica a dieci minuti da casa sua in fondo, cosa sarebbe potuto andare storto? Altayr si rifugiò sotto una tettoia abbastanza grande che aveva attirato altre persone in attesa che smettesse di piovere, e si passò una mano tra i capelli bagnati, togliendosi la frangetta dal viso. Diede le spalle alle altre persone – che sentiva avevano iniziato a parlare fra di loro – e sperò che nessuno di loro facesse caso a lei, che si sporse il minimo indispensabile per studiare il cielo: sopra la sua testa vedeva solo grosse nuvole scure, ma sembrava si stessero muovendo velocemente. La ragazza sbuffò, strofinando le mani sulle braccia nella speranza di riscaldarsi un poco, dato che anche la giacca era fradicia. « Altayr! », a sentir chiamare il suo nome, la ragazza si voltò di scatto alla sua destra – grande errore, perché i suoi capelli, lunghi e bagnati, schizzarono il povero Kevin che le aveva rivolto la parola. « Kev! Caspita, scusami », esclamò lei, portandosi una ciocca dietro un orecchio, come se quell'insulso gesto potesse migliorare la situazione. « Meno male che eri già bagnato da prima ». Per fortuna l'amico ridacchiò al suo tentativo di scuse, mentre Altayr si stringeva inutilmente nella giacca. L'amico si era presentato con i capelli legati in un codino basso - ormai gli arrivavano alle spalle - e vestito di nero, uno dei suoi soliti maglioni a tinta unita e rigorosamente scuro che adorava indossare che si intravedeva sotto la giacca. « Che ci fai qui? ». Il loro programma era incontrarsi tra un'ora circa a casa di lui per finire i compiti dell'indomani e recuperare una serie su Netflix, che Mira lo avesse implorato di portarle un ombrello? Quella era un'ipotesi che decise di appoggiare, dato che ne teneva ben due in mano e, al contrario suo, non era zuppo da capo a piedi. « Tua madre è preoccupatissima. », Altayr sorrise sotto i baffi, tipico di Mira, « Come ti è venuto in mente di uscire senza ombrello e vestita così? Dai, ti riaccompagno a casa. ». « Aspetta, volevo andare al negozio di musica per - ».
    « Altayr? », una voce sconosciuta la chiamò e la ragazza si girò lentamente, non capendo chi fosse colui che l'aveva chiamata. Era certa di non conoscerlo, ma sembrava avere più o meno la sua stessa età: si trattava di un ragazzo molto alto e dal fisico asciutto, capelli corti di un particolare grigio scuro e scarmigliati – forse per la pioggia – e vividi occhi verdi chiaro dal taglio felino che sembravano volerla trafiggere, tanto era l'astio che celavano. Altayr mantenne lo sguardo fisso su di lui senza cedere, ma l'aura che lo sconosciuto emanava non le piaceva per nulla. Lo sentiva affine, ma in un certo senso ostile. « Ci conosciamo? » fece lei dopo qualche secondo di silenzio di troppo che il ragazzo non si decise a riempire. Kevin se ne stava silenzioso al suo fianco, conscio che Altayr poteva benissimo gestire la situazione da sola, ma lo aveva sentito irrigidirsi. « No, ma riconoscerei un'aquila a chilometri di distanza. Siete tutte uguali. ». Altayr alzò un sopracciglio, non capendo dove il giovane volesse andare a parare: apparentemente la sua parte animale non gli andava troppo a genio, ma non capiva il rivolgersi in quel modo ad una sconosciuta. « Farò finta di prenderla come un complimento, nel senso che noi aquile siamo tutte favolose e la faremo finita qui. », soffiò di rimando lei, senza abbassare lo sguardo, e neanche il giovane sembrò voler indietreggiare di un solo passo. Quelle iridi chiari erano strette e la studiavano da capo a piedi e sentì le scapole prudere nel momento in cui il ragazzo aggrottò le sopracciglia più di quanto non avesse già fatto, mostrando un sorrisetto che non le piacque per nulla. Allora era un volatile anche lui. Ora tutto quadrava, all'incirca, perché ancora non le era andato giù il tono che aveva utilizzato per rivolgerle la parola. Se l'intento del giovane era finire nella sua lista di persone da evitare e guardare in cagnesco ogni volta che lo incrociava per strada, beh, complimenti, ci era riuscito. « Izar, la conosci? » una tizia interruppe l'evidente tensione e si avvicinò ad Izar, dal quale non ricevette nessuna risposta. Izar, costellazione di Boote. Altayr sogghignò, portando il peso del corpo solo su una gamba, stavolta più rilassata, perché ritrovarsi davanti un altro mutaforma uccello con il nome di una stella le faceva quasi ridere. « E così sei una stellina anche tu » , esclamò, dando una gomitata a Kevin per attirare la sua attenzione e passarle l'ombrello. Non voleva rimanere lì un momento di più: discutere con ragazzi cocciuti e pieni di pregiudizi era l'abitudine per Altayr, e per quel giorno aveva già dato. Non aveva granché voglia di rispondere a tono a nessuno, in quel momento. « Non so se sei familiare con stelle e compagnia, ma Altair è leggermente più brillante di Izar. Dodicesima stella più luminosa del cielo, se vogliamo essere precisi », disse, passandosi di nuovo una mano tra i capelli per toglierseli dal viso, il tutto accompagnato dal sorrisetto sghembo che era ormai diventato il suo marchio di fabbrica. Posò un attimo lo sguardo a terra per poi rialzarlo con convinzione, dirigendo ad Izar un'occhiata che parlava da sé e non lasciava spazio ad altre parole. La conversazione era finita lì. Lo squadrò da capo a piedi, perché, a quanto pareva, era ora di stabilire chi fosse sul gradino più alto, in modo che non le avrebbe dato più alcun fastidio in futuro. « Ergo, stammi alla larga. ». Aprì l'ombrello in modo seccato, buttandosi sotto la pioggia e rallentando il passo fino a che non vide Kevin seguirla, per poi dirigersi insieme verso il famigerato negozio di musica.
    « Mi pare di averlo già visto in giro, sai? » le fece Kevin, ficcandosi la mano libera in tasca e guardandosi di nuovo indietro. Di rimando, Altayr fece spallucce.
    « Non mi interessa » disse lei in un sospiro, alzandosi il collo della giacca tentando di evitare l'inevitabile: il giorno dopo la aspettava una giornata a letto, se lo sentiva.

    • • • •

    Izar non la notò- o almeno sperava non lo avesse fatto -, e neanche Kevin, che invece lei, nascosta dall'ombra di un grosso albero in un angolo del cortile, vide appoggiarsi alla finestra e chiacchierare con un ragazzo che era spesso con lui durante le ore di scuola, ma le sfuggiva il nome. Si sedette dall'altra parte del tronco, dando le spalle all'edificio, e si sciolse la cravatta – che già prima era annodata alla bell'e meglio, adesso cominciava a darle fastidio. Cominciò a sistemarsela pigramente, senza neanche guardare verso il basso e con la testa tra le nuvole, e al contempo il cuore le martellava in petto senza darle un attimo di pace. La camicia ancora copriva il marchio, e non era intenzionata a scoprire l'avambraccio almeno fino a fine giornata. Kevin era la sua anima gemella, avrebbe dovuto fare pace col suo cervello e accettarlo, senza se e senza ma. A volte li avevano anche scambiati per una coppia e loro ci avevano sempre riso su, ma ora che quello che loro consideravano uno scherzo era destinato a diventare realtà. E lei era terrorizzata alla sola idea. Aveva paura di quei sentimenti, perché non erano stabili e forti, tutt'altro: era piena di dubbi ed insicurezze e il fatto che fossero destinati a stare insieme per l'eternità, che fossero fatti l'uno per l'altro, la mandava ancora più in confusione. La comparsa del marchio la stava costringendo a fare i conti con le sue emozioni, e più le analizzava e cercava di capire più era convinta che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco. L'unica cosa che le era chiara era che lei era terrorizzata dai suoi sentimenti – così fragili ed incerti – e Kevin sembrava essere innamorato di lei. Per davvero. Nessuna perplessità, nessun tentennamento.

    L'ultima cosa che voleva era spezzargli il cuore.
    So can we close the space between us now? It's the distance we don't need

    ☆ code by ruru


    Edited by altäir - 11/9/2020, 00:38
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    Lio è la vita, lo amo infinitamente ; ___ ; Ero tentata di chiamare il codice Inferno infatti, o un qualche titolo figo della ost di Promare x° Ti invio tutto subito, grazie! :ancora sbrilluccic:
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    Accetto volentieri, non importa quanta utenza si ha ♥ Inserisco subito i vostri banner :sbrilluccic2:
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    Ti ringrazio tantissimo ahaha ci sono molto affezionata x° Grazie a te per aver richiesto l'affiliazione, spero di risentirti presto!! :< 3 < 3:
  6. .
    AHAHAHA sì, ne ho troppi, infatti né li faccio né li richiedo più, ma fino a qualche anno fa ne ero ossessionata x° Inserisco subito il tuo!
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    Accetto super volentieri! ♥ Appena inserisci il banner avvisami, così anche io metto il tuo in tabella :dancing nyan:
  8. .
    noel hamal moore
    Noel era innamorato di un angelo, nel vero senso del termine: chioma color grano, iridi splendenti, un sorriso da far rimanere senza fiato. E un marchio che constatava chiaramente che non erano fatti l'uno per l'altra. Non sarebbe mai riuscito a scordare il momento in cui, durante una placida serata passata a casa sua, la pioggia che batteva forte sul vetro delle finestre delle quali si era scordato di chiudere le persiane, Evelya si era tirata su le maniche della felpa che lui le aveva prestato, rivelando il tatuaggio che avrebbe condotto la ragazza dalla sua anima gemella. Che evidentemente non era lui.
    Sul braccio di Noel non figurava nessuna costellazione da completare: la sua pelle era candida, qualche neo qua e là, le cicatrici causate dai duri allenamenti con la spada e i segni delle bruciature di una notte che avrebbe voluto dimenticare, ma nessuna stella. Non gli era mai comparso alcun marchio, e ormai aveva perso le speranze: non gli era mai pesato molto, a dire la verità. Era amico di tutte e di nessuna, gli piaceva flirtare occasionalmente con qualche ragazza che aveva colpito la sua attenzione e divertirsi un po', e le sue ex non avevano dato molto peso al fatto che lui non fosse l'uomo destinato a loro. Si era innamorato varie volte, altrettante aveva visto il marchio di altre ragazze e aveva sospirato al pensiero di non poter essere la metà mancante di nessuno, ma al contempo poteva essere la metà mancante di chi voleva lui, senza nessun vincolo dettato da cazzate come il destino, il fato, o chi per lui. Poteva quasi dirsi sollevato da non avere una costellazione a metà sul suo corpo, nessuno da conoscere per forza perché il destino aveva deciso così, che sicuramente sarebbero stati felici insieme ancora prima di sapere l'uno il nome dell'altro. Noel poteva fare quello che gli pareva, decidere di chi innamorarsi e non aveva nessun obbligo. Eppure, mai aveva desiderato così tanto avere un marchio impresso a vita sul suo corpo, per completare quello di una persona in particolare. Ricordava anche come aveva stretto la tisana bollente, finendo per scottarsi, incurante del dolore. Il calore non era riuscito a distrarlo da quelle sette stelle, di un celeste chiaro che risaltava comunque sulla carnagione diafana di lei.
    Non era comunque riuscito a dimenticarla, e probabilmente si era comportato nel modo più egoista possibile: aveva fatto di tutto per farla innamorare di lui, che non era la sua anima gemella. Anche senza marchio si sarebbe capito benissimo: erano l'uno l'opposto dell'altra, lei cresciuta in un enorme castello, pacata e coraggiosa, lui rinnegato dalla sua famiglia, chiassoso ed impulsivo. Persino il loro aspetto sottolineava le loro differenze, facendoli apparire come pezzi di puzzle incastrati male piuttosto che una coppia felice. Anche in quel momento, distesi sul divano davanti alla tv, le gambe di lei attorcigliate alla sua e il viso sul suo petto, non riusciva a non pensare al fatto che l'avesse privata di un futuro felice, di un futuro fatto di certezze. Noel le spostò una ciocca di capelli dal viso, evitando che le desse fastidio, mentre i dialoghi di una serie tv scelta a caso tra i consigliati di Netflix continuavano a fare rumore in sottofondo. I turni da Annery la facevano arrivare sfinita a fine giornata, e si faceva spesso vincere dal sonno prima che scoccasse la mezzanotte. Sorrise inconsciamente nel guardarla dormire, mandando indietro l'episodio fino a recuperare il punto in cui aveva smesso di seguire, e indugiò sul farlo ripartire quando sentì le mani di Evelya stringere il tessuto della sua maglietta. Il suo sguardo cadde di nuovo sulla compagna, rannicchiata su di lui, e le sollevò la coperta che copriva entrambi fino alle spalle, mentre il piede di lui rimaneva scoperto di conseguenza. Evelya indossava ancora la maglietta a maniche corte con cui era andata a lavoro, era ovvio avesse freddo a quell'ora della sera.
    Nel rimboccare la coperta, Noel intercettò il tatuaggio di lei, le sette stelle azzurrine che ancora lo ossessionavano, per poi adagiarla sulle sue spalle e circondare la ragazza con un braccio all'altezza delle scapole, coprendolo alla vista. Ai tempi, aveva addirittura cercato su internet di che costellazione si trattasse – non era molto pratico di astri e compagnia a dirla tutta – e la sua memoria fotografica non lo aveva deluso: tra tutte e 88 – ottantotto, sul momento gli era preso un colpo – aveva riconosciuto la parte sinistra dell'Aquario, e per uno strano scherzo del destino mancava, tra le altre stelle, proprio Sadalmelik, l'astro di cui portava il nome, la fortuna del re. Tracciò a mente il marchio di Evelya, le stelle che si sovrapponevano al viso di un attore famoso ma di cui non ricordava il nome sullo schermo. Lo aveva maledetto così tante volte, che ormai conosceva quella dannata costellazione a memoria. Evelya, figlia prediletta dagli occhi dorati, avrebbe trovato nella sua anima gemella anche Sadalmelik. E Noel portava, sì, il nome di una stella, ma non era quella a cui era destinata lei. Non sarebbe mai stato la sua Sadalmelik, mentre Evie, oh, lei era tutto ciò che aveva sempre desiderato e molto di più.
    Il ragazzo fece scorrere le dita tra i capelli di lei, pettinandoglieli delicatamente, il suo respiro che si faceva sempre più pesante. Chissà se era felice. Glielo chiedeva spesso, e lei rispondeva sempre di sì, e sul momento se ne convinceva anche lui. Glielo leggeva negli occhi, nel tono che utilizzava, come lo baciava subito dopo. Non mentiva, ne era consapevole. Ma in quei momenti di silenzio, per lui che viveva nel caos e aveva sempre bisogno di qualcosa da fare, senza che neanche lei li riempisse, la sua testa era piena di dubbi. Era davvero un egoista, perché piuttosto che scoprire chi fosse l'anima gemella della sua ragazza avrebbe preferito un intero tirocinio con Lyander – tra le migliori opzioni.
    Ormai la serie stava andando avanti senza che nessuno la guardasse, Noel intento ad osservare il viso di Evelya illuminato dalla luce soffusa di una lampada in un angolo senza però vederlo davvero.
    « Ehy, Evie », disse sottovoce, spostando l'attenzione sul soffitto, la nuca appoggiata al braccio del divano. Sapeva che non l'avrebbe mai ascoltato, ed era un sollievo che stesse dormendo. Perché all'ennesima domanda sempre uguale, sempre la stessa, chiunque avrebbe sbottato. « Pensi davvero di essere felice con me? ». Un brivido lo percorse quando sentì la ragazza muoversi e riportò immediatamente lo sguardo su di lei, gli occhi sbarrati per paura di averla svegliata. Non sembrava essersi accorta di nulla e sorrise tra sé e sé, continuando ad accarezzarle i capelli. Avrebbe voluto fregarsene di tutta quella storia delle anime gemelle come aveva fatto fino a quando non aveva conosciuto lei, perché sentiva di star impazzendo. Sapere per certo che non erano destinati a stare insieme e c'era qualcuno di più adatto a lei là fuori, all'esterno di quelle quattro mura che li vedeva dormire abbracciati, cucinare insieme e ridere a crepapelle lo mandava in bestia. Magari qualcuno coi capelli chiari come i suoi, più tranquillo, più ragionevole, con qualche soldo in più in tasca e due gambe tutte intere. Eppure lui sentiva di essere suo, suo soltanto. Il suo marchio non esisteva perché la sua anima gemella era promessa a qualcun altro, due esseri umani tra i quali Noel si era messo in mezzo, prendendosi gioco del destino. Evelya stessa gli disegnava sul braccio la metà mancante della sua costellazione, utilizzando una penna blu – era attenta ai dettagli – e guardarla ridere mentre affiancava i due disegni lo faceva sentire bene, come se fosse davvero lui la sua stella fortunata. A quel pensiero, Noel sollevò appena il braccio che abbracciava le spalle della compagna e il disegno sbiadito del marchio fece apparire un sorriso accennato sul viso stanco. Non avrebbe mai avuto un marchio vero e proprio, ma quello fatto a penna da Evelya gli bastava ed avanzava. Funzionavano bene anche senza di esso.
    La pelle di Noel era candida, qualche neo qua e là, le cicatrici causate dai duri allenamenti con la spada e i segni delle bruciature di una notte che avrebbe voluto dimenticare, e stelle disegnate, tracce di lucidalabbra quando Evelya lo salutava prima di scendere dal bus, i segni delle sue unghie quando gli grattava la schiena in punti in cui da solo non arrivava, le mani fredde che gli posava sulle guance quando era di cattivo umore. Gli sarebbe bastato, era più che abbastanza.
    Il ragazzo mise di nuovo pausa quando sentì Evelya tirarsi su leggermente e guardarlo interrogativa, come se non si fosse neanche resa conto di essersi addormentata. « Buongiorno angioletto. » Noel ridacchiò mentre lei gli chiedeva scusa, e le posò un bacio leggero sulla fronte, la frangetta di lei a pizzicargli il naso. « Cosa mi sono persa? » chiese lei, guardando la televisione tentando di ricordare a che punto fosse arrivata prima di assopirsi, cullata dal calore della pelle di Noel e il suono della tv a farle da ninna nanna.
    « Prima ti do un bacio. » fece il ragazzo, senza rispondere alla sua domanda, ed Evelya gli rivolse uno sguardo confuso. La vide sorridere e annuì, e lui si avvicinò, catturando le sue labbra in un contatto dolce e senza pretese. Finché lo avrebbe baciato in quel modo, sarebbe andato tutto bene, al diavolo le anime gemelle, al diavolo le infinite ricerche su internet per capire quale fosse la costellazione sul braccio di Evelya, al diavolo il suo braccio nudo e i suoi mille dubbi, al diavolo le persone che non riuscivano a trattenersi dal guardarli insistentemente quando notavano che non erano fatti per stare insieme: non avrebbe rinunciato a quella felicità per nulla al mondo.
    « Non so cosa sia successo, ho dormito un po' anche io. »,
    « Rimettiamo da dove ci siamo addormentati? Poi magari andiamo a dormire. », « Va bene. Ti ricordi come si chiama questo attore? E' famoso, l'ho già visto da qualche parte... », « E' scritto sotto il titolo della serie, su “cast”. », « … Ah. Sì, lo avevo notato, ovviamente, era per vedere se... ». Evie rise. Era più che abbastanza.
    Look at the roses in your garden, You can breathe now and forget

    ☆ code by ruru


    Edited by altäir - 18/9/2020, 11:02
  9. .
    Te lo invio subito, grazie mille! :< 3 <3:
  10. .

    maeve weaford
    dawn finnigan
    › warrior › 18 › sheet

    « I woke up stronger than ever Driven by big waves of fire To run and yell all the way "Nothing can hurt me today" »
    Osservò Cain posizionarsi davanti al bersaglio, dove fino a qualche secondo prima c'era lei, e Maeve gli gettò un'occhiata per controllare che stesse assumendo una posizione corretta: sembrava averla ascoltata mentre gli spiegava velocemente le basi - purtroppo non avevano chissà quanto tempo prima che gli arcieri dell'esercito tornassero. Lo guardò incoccare la freccia, e non poté non notare che stava avendo qualche difficoltà a farla rimanere stabile vicino al legno dell'arco. Era un errore che faceva spesso anche lei all'inizio, e si avvicinò verso di lui per dargli un consiglio. « Prova a - » iniziò Maeve, ma si interruppe quando vide Cain abbassare l'arco in modo stizzito, per poi rimettersi in posizione.
    « Prova a tenere la freccia in modo saldo ma senza esagerare, altrimenti non rimarrà ferma ». Non sapeva se l'aveva ascoltata o meno, ma la situazione sembrava essere migliorata, perciò la ragazza sospirò piano, spostando l'attenzione da Cain al bersaglio, dove si era conficcata la freccia che aveva tirato per mostrare all'eroe come tendere l'arco. Aveva avuto fortuna, molta, perché poche volte le era capitato di andare così vicina al centro, e proprio mentre Cain la guardava! Almeno gli aveva dimostrato di non essere del tutto inesperta in ogni arma che lui gli propinava per gli allenamenti. C'era ancora tanto da migliorare, e sentiva di aver fatto dei passi avanti rispetto a qualche mese prima, ma non bastava: le sue frecce avrebbero colpito il centro del bersaglio, un giorno, e non solo per una buona dose di fortuna. Strinse l'arco tra le mani, il legno levigato leggermente caldo sotto il guanto, e lo sguardo tornò su Cain, che sembrava essere riuscito nel suo intento. Lo guardò tendere la corda, la freccia finalmente incoccata, i muscoli tesi. Non sembrava fare granché fatica, e non poté fare a meno di ricordare quanto tempo ci aveva messo a trovare un arco adatto a lei: non possedeva la prestanza fisica di un comune soldato, e prima dell'arrivo di Cain, che l'aveva messa sotto torchio, si allenava come poteva. Al suo fianco c'erano sempre stati quegli angeli di Milo e Jasper, che l'avevano aiutata a tornare in carreggiata dopo mesi di pausa dopo la scomparsa di suo fratello, e non si erano fermati davanti ai pregiudizi che la maggior parte degli uomini avevano nei confronti delle donne dell'esercito ─ le donzelle dovevano starsene a casa, perché oltre a badare ad una famiglia, cos'altro erano capaci a fare? Quando si era camuffata da maschio, ambientarsi era stato molto più semplice: non facevano altro che schernirla sulla delicatezza dei suoi lineamenti o quanto fosse poco virile, ma nessuno aveva mai messo in dubbio la sua capacità di poter tenere una spada in mano. Nascere uomo in un sistema patriarcale doveva proprio essere una benedizione. Tornò coi piedi per terra, sbattendo le palpebre un paio di volte per tornare a focalizzarsi sull'arciere in erba che aveva a qualche metro da lei. Il tempo di inquadrare la situazione ─ qualche secondo ─ e la corda dell'arco che Cain stava utilizzando si spezzò, e Maeve sobbalzò, colta alla sprovvista. La freccia volò a pochi metri di distanza e si conficcò nell'erba nel silenzio più totale, i due ragazzi ad osservare la scena nel tentativo di capire cosa fosse successo. La principessa rimase con la bocca socchiusa, gli occhi che andavano dalla freccia a terra a Cain, che osservava l'arma rotta come se non fosse stato lui a renderla inutilizzabile. Maeve soffocò una risatina tossendo piano ─ più piano che poteva ─ nel vedere lo sguardo basito del ragazzo, e si ricompose in fretta appena lui si voltò nella sua direzione, porgendole l'arco. « Credo sia rotto. », fece, e lei glielo prese dalle mani osservando come la corda fosse ormai irrecuperabile. Credeva fosse rotto? Era da buttare! « Hai tirato la corda troppo forte, » gli spiegò mentre gli indicava altri archi ammassati sotto l'albero, vicino alle protezioni, « ma l'arco era anche vecchiotto ». Si rigirò l'arma tra le mani prima di poggiarla a terra, ai suoi piedi, e seguì i movimenti di Cain, più deciso di prima. A guardarlo le venne da sorridere, perché era palese che l'incidente di prima aveva ferito il suo orgoglio di soldato esperto. Vederlo in difficoltà era un'esperienza nuova, perché sembrava avere del talento in ogni disciplina affine alla guerra: sapeva combattere con ogni arma ─ eccetto l'arco, evidentemente ─, battere una spada, cavalcare, anche quando discutevano di strategia non se la cavava male. In quel momento, sembrava un po' più umano. La ragazza si spostò per cercare di osservare da più vicino la posizione che assumeva l'altro e in caso correggerlo, in modo da evitargli qualche altro incidente. Ricordava come fosse ieri i suoi primi tentativi ad approcciarsi al tiro con l'arco con l'aiuto di Dominic, molto più esperto di lei nonostante la poca differenza di età. Quelli che stava facendo Cain erano tutti errori da principiante, che col tempo si potevano correggere, ma il modo in cui reagiva le rendeva impossibile non farsi scappare una risata. Puntava l'arco verso il bersaglio come se fosse una questione di vita o di morte e la principessa gli si avvicinò per controllare come teneva l'arco e la freccia, e notò che non aveva il braccio dritto, allineato alla spalla, e la mancanza di protezioni gli avrebbe sicuramente procurato un livido niente male. Il ragazzo fece partire la freccia prima che Maeve potesse correggerlo ed evitare che si facesse male, e infatti riuscì a sentire chiaramente lo schiocco della corda e l'imprecazione coloratissima di lui. Maeve ci stava provando, davvero, a trattenere le risate, e ne soffocò una gola senza poche difficoltà. Gli diede momentaneamente le spalle, mentre era concentrato ad inveire contro l'arco e non su di lei e sui suoi tentativi di non farlo arrabbiare ancora di più, rischiando di soffocare ogni volta. Non erano tanto gli errori a farla ridere, anche lei ne aveva fatti e continuava a farli, ma le sue reazioni esagerate e poco controllate la facevano sbellicare. Maeve cercò in tutti i modi di ricomporsi velocemente, passandosi una mano sugli occhi e tossendo un paio di volte prima di tornare a guardare Cain che, ci avrebbe scommesso, sembrava sul punto di mollare tutto e andarsene, spazientito. « Comunque non ha fatto male, era tutta scena. » si giustificò appena i lor sguardi si incrociarono, frettolosamente, alla ricerca di una scusante per apparire più sicuro di quello che era in realtà. Maeve ridacchiò, ma alla vista dell'espressione corrucciata di lui cercò di darsi un contegno, tossendo ancora. « Sì, certo, certo, l'avevo capito. » rispose frettolosamente a sua volta, concentrandosi sull'arco che teneva saldo tra le mani anziché su di lui, altrimenti avrebbe sicuramente ricominciato a ridere, e voleva evitare di contribuire al suo nervosismo. Era già un miracolo che avesse accettato di fare qualche tiro con lei, ma vederlo in quello stato era davvero esilarante, e non sapeva quanto ancora poteva reggere senza scoppiare a ridere di gusto. Era abituata a mantenere l'autocontrollo in situazioni spiacevoli, ma stare con Cain la faceva sentire un pochino più leggera ─ complice anche il fatto di non avere il suo solito aspetto ed essere riconosciuta da tutti come la principessa di Thyandul. Riusciva a parlarci senza troppi fronzoli e senza dover rimuginare troppo su cosa fosse meglio dire o fare in sua presenza, ed era davvero una bella sensazione. « Per evitare di farti male un'altra volta devi tenere il braccio dritto, allineato alla spalla. » gli spiegò, avvicinandosi a lui e incoccando momentaneamente una freccia a sua volta per mostrargli la posizione corretta. Chissà se si era pentito di aver fatto tanto lo sbruffone all'inizio, rifiutando le protezioni con spavalderia, la stessa che lo aveva costretto a trovare una giustificazione al livido che stava comparendo all'interno dell'avambraccio. « O, altrimenti, puoi mettere da parte il tuo orgoglio e metterti una di quelle. » e gli indicò le protezioni in cuoio all'ombra dell'albero, non molto distanti da loro, con un sorrisetto che sembrava voler dire "io te l'avevo detto". Per tutta risposta, Cain si rimise in posizione di fronte al bersaglio, tenendo però il braccio nel modo che gli aveva mostrato pochi secondi prima. Non era male come allievo, ma peccava d'impazienza. Quando scoccò la freccia, tuttavia, Maeve rimase interdetta nel vedere come l'arco la seguì a ruota, il ragazzo rimasto a mani vuote e senza parole. La principessa serrò le labbra, lo sguardo ancora sull'arco a terra per non dover guardare Cain, e cercò di trasformare la risata che le stava risalendo in gola in un gorgoglio, il viso che diventava paonazzo mano a mano che il silenzio si prolungava. Non doveva ridere di lui, non doveva. Non quando erano in silenzio, almeno. Con la coda nell'occhio vide Cain voltarsi di scatto verso di lei e Maeve, in un gesto istintivo, lo fece a sua volta, e se ne pentì amaramente. Aveva una faccia indescrivibile, tra l'irritato, il basito e il confuso, e vederlo in quel modo fu la goccia che fece traboccare il vaso. La ragazza si girò di nuovo dalla parte opposta, piegandosi in due per tentare, invano, di soffocare la risata esilarante che ormai era uscita dalle sue labbra. « Stai scherzando, spero! » gridò lui in sua direzione, esasperato, l'ennesima sfiga di quella mattinata, e lei, dal canto suo, non riusciva a prendere fiato. « Non hai - », non riuscì a finire la frase, che subito tornò a ridere, girandosi verso di lui e allontanandosi un po', cercando disperatamente di smettere, « - tenuto l'arco saldamente » finì in un fiato, mentre si asciugava gli occhi lucidi con il dorso della mano in fretta e furia. Non pensava che ammirare un Cain spazientito potesse essere così divertente. « Sì, scusami, la smetto », riuscì a dire ancora, i rimasugli della risata che la abbandonavano pian piano, « E' che le tue reazioni mi hanno fatto morire! » disse, tentando di dare una spiegazione alla sua ilarità per non intaccare l'orgoglio di Cain, che tutto sembrava tranne rilassato e assolutamente non sull'orlo di una crisi di nervi. « Sono errori da principiante, piano piano migliorerai » gli sorrise, le guance ancora rosse per il respiro che le era mancato fino a qualche istante prima, ma non si sarebbe sorpresa se avesse scagliato l'arco lontano, ripromettendosi di non accettare più una proposta da parte della ragazza.

    « Parlato » || - Pensato -

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    « I woke up stronger than ever Driven by big waves of fire To run and yell all the way "Nothing can hurt me today" »
    Cain non le credeva, era palese, e non faceva neanche nulla per nasconderlo. Anzi, vide chiaramente come alzò gli occhi al cielo e riuscì ugualmente a sentire la risatina sprezzante che trattenne a stento appena lei finì di parlare. Per tutta risposta, Maeve si limitò ad alzare un sopracciglio, in silenzio, spostando lo sguardo dal ragazzo ad un tavolino al suo fianco, dove stavano diversi intrugli dai più disparati colori, tutti racchiusi in boccette di vetro e quasi finiti, per la maggior parte. Se solo avesse saputo la verità non avrebbe riso tanto. Se Cain fosse venuto a conoscenza della sua vera identità, del fatto che la principessa sapesse come eludere la sorveglianza per recarsi in città era la stessa che lui aveva chiamato strega, che l'aveva rinchiuso in un luogo a lui estraneo, allora no, non avrebbe riso affatto. Lo guardò di sottecchi per qualche secondo, giusto il tempo di studiare l'elsa della spada che aveva sempre al suo fianco per poi risalire sul busto e le braccia conserte, soffermandocisi inevitabilmente, per poi alzare finalmente lo sguardo, incrociando quello stoico di lui. Gli sorrise, istintivamente, mentre ascoltava la risposta alla domanda che gli aveva posto. « Mi alleno da sempre, o almeno da quando mi ricordo. ». Maeve strabuzzò gli occhi, tentando di nasconderlo approfittando dello sguardo di Cain non fisso su di lei, ma pensieroso, perso in chissà quale angolo dell'infermeria. Da quel che ricordava, neanche Dominic aveva cominciato così giovane, ma l'esperienza dell'ex generale delle truppe di Greil era evidente: sapeva maneggiare perfettamente la spada, sembrava saper leggere nel pensiero dei suoi compagni per anticipare le loro mosse durante gli allenamenti, non compieva movimenti superflui e i risultati delle sue battaglie le portava impresse nella pelle e nello sguardo, pesante, come quello di un soldato che ne aveva passate di tutti i colori. Era giovane, ma pareva avere secoli di esperienza alle spalle. Significava che era nato praticamente con una spada in mano, e le venne spontaneo chiedersi se fosse riuscito a godersi un minimo di libertà prima di scoprire la crudeltà della battaglia. « Come hai detto? ». Maeve lo guardò interrogativa, chiedendosi se davvero non avesse sentito, per poi ridere quando lo vide spostare lo sguardo d'improvviso. « Sei una forza! » ripeté, stavolta più forte, e rise di nuovo. Forse si sbagliava, ma le parve di notare che le sue guance fossero leggermente rosse, e sorrise in sua direzione, anche se lui non poteva saperlo, impegnato com'era a nascondersi. Se aveva avuto una reazione del genere ad un complimento, forse significava che non era abituato a riceverne. Visto il tipo pensava il contrario: insomma, era un generale, un elemento importante dell'esercito, il figlio del re. Chi non avrebbe dovuto tessere le sue lodi? Anche solo per il suo aspetto fisico se ne meritava, di apprezzamenti. Trovò quel lato, in qualche modo, tenero ed inaspettato, e si crogiolò nell'imbarazzo di Cain fino a quando non arrivò l'infermiera che li aveva fatti accomodare - stavolta da sola - che si scusò subito per averci messo tanto. A dirla tutta, le sembrava fossero passati pochi minuti, quindi fece subito per tranquillizzarla, fino a quando la ragazza non le passò una pomata particolarmente fastidiosa sulla ferita fresca e Maeve sobbalzò, le parole che le morirono in gola per il bruciore. « Non è niente! » disse all'istante per tranquillizzare l'altra, ma in verità pensava che con la magia bianca avrebbe risolto il tutto in minor tempo e con meno dolore. La ragazza ultimò l'impacco in men che non si dica, ultimando la medicazione con una benda alquanto vistosa - fin troppo, vista la gravità del taglio - ma la ringraziò sentitamente fino a quando non uscirono dalla tenda. Se lo toccò piano, appoggiando una mano sullo zigomo, immaginando la reazione della madre se avesse potuto vederla in quel momento. Forse avrebbe avuto un mancamento, oppure sarebbe andata su tutte le furie. O magari sarebbe andata su tutte le furie e poi avrebbe avuto un mancamento. « Pronto per ricominciare? » domandò a Cain una volta raggiunto, visto che l'aveva bellamente superata per raggiungere il campo di allenamento. « Stavolta non riuscirai neanche a sfiorarmi. » fece, superandolo di qualche passo a sua volta e voltandosi verso di lui, le braccia incrociate al petto ad imitare la sua posizione in infermeria, e ridacchiò. Le rimaneva poco tempo prima che la campana del pranzo suonasse.

    • • •

    Finalmente, per grazia di Manaar, Cain aveva accettato di allenarsi con l'arco in sua compagnia, una delle poche armi che non sapeva maneggiare tanto sapientemente quanto la spada ─ anche se aveva già potuto ammirare la sua bravura nell'ascia e nel corpo a corpo durante gli ultimi allenamenti. Mentre posizionava un bersaglio su un cumulo di fieno, rubacchiato alla postazione degli arcieri in un momento morto, in un assolato pomeriggio primaverile, le tornò in mente come, stufo delle sue continue richieste, Cain avesse accettato di imbracciare un'arma verso la quale non aveva mai provato chissà quale interesse, e un sorrisetto nacque spontaneo sulle sue labbra: abbandonare la sua fedele spada doveva essere difficile, soprattutto se a chiederlo era una ragazzina insistente. Si allontanò dalla postazione, per controllare che il bersaglio fosse messo bene, e cominciò a mettersi le protezioni - una all'altezza dell'avambraccio, una per il petto e l'ultima per le dita della mano che tendeva la corda. Le aveva prese al mercato a valle anni or sono, in una delle sue tante scappatelle, e le aveva affidate ad Anita, con la quale si esercitava nel tiro con l'arco appena possibile. Si sedette all'ombra di un albero lì vicino mentre tirava i lacci del bracciale, accanto ad un paio di archi ed altre protezioni per Cain che aveva, come il bersaglio, preso in prestito dagli arcieri. Quell'allenamento non poteva durare più di un'ora, perché avrebbe dovuto ritornare tutto ai rispettivi proprietari prima che loro si accorgessero che mancavano giusto un paio di oggetti alla loro postazione. Purtroppo, non avendo un arco suo - l'ultimo si era rotto e doveva ancora sostituirlo - era costretta a chiedere agli arcieri dell'esercito di prestargliene uno - o, come in questo caso, non chiederglielo affatto e pregare che non lo venissero a sapere. Cain, che l'aveva osservata fino a quel momento con aria visibilmente dubbiosa, gli stava accanto, squadrando prima l'arco, poi il poligono di tiro, poi lei, in successione. « Vedi se c'è qualche protezione che ti va, purtroppo non sono riuscita a prenderne altre » gli disse, indicandogli l'equipaggiamento ai piedi dell'albero, mentre lei finiva di allacciarsi la protezione all'altezza del petto. Aveva preso alcuni oggetti a caso, senza misurarli, basandosi su un'altra unità di misura: era grosso almeno il doppio di lei, quindi qualsiasi protezione che sembrava poter contenere due braccia di Maeve o il doppio del suo busto sarebbe andata bene. Diede un'ultima sistemata al bersaglio, assicurandosi che fosse stabile, infilato in una massa di fieno destinata ai cavalli - i quali nitrivano che era una meraviglia, riusciva a sentirli - e si avvicinò di nuovo a Cain, un sorriso che andava da un orecchio ad un altro. « Pronto? » fece, mettendosi le mani sui fianchi. Era così che ci si sentiva ad insegnare a qualcuno a maneggiare un'arma? Infinitamente potente e sconfinatamente superiore a tutti i presenti - solo Cain, in quel caso? Alzò l'indice a simboleggiare il numero uno vicino al suo viso, senza aspettarsi una vera e propria risposta da parte del ragazzo, che era tutto tranne che impaziente di cominciare. « Per cominciare, bisogna determinare l'occhio dominante. » spiegò, e puntò lo stesso dito verso il bersaglio davanti a loro. « Tieni lo sguardo fisso su un punto e copri prima un occhio », e gli fece vedere come faceva, portando il palmo della mano libera sull'occhio destro, « e poi l'altro. Il dito si sposta in una visuale, giusto? L'altro è il tuo occhio dominante. » ultimò la spiegazione, e quando si accertò che Cain avesse capito prese il suo arco da terra e porse l'altro al ragazzo, che lo afferrò come se non ne avesse mai visto uno prima di allora. Maeve si ritrovò costretta a nascondere una risatina, perché essere più brava di lui in qualcosa era un evento più unico che raro. « Non c'era neanche una protezione per l'avambraccio che ti stesse bene? » domandò, quando era sul punto di spiegargli come si incoccava una freccia. La risposta di Cain le fece capire che no, non ne avrebbe messa una, e la ragazza alzò gli occhi al cielo. « Guarda che ti farai male » sospirò, ma a quanto pareva lui avrebbe fatto comunque di testa sua. Beh, affari suoi, non doveva venire a piangere da lei una volta finito. « Corpo perpendicolare al bersaglio, piedi alla larghezza delle spalle, arco nella mano non dominante » spiegò velocemente, mostrandogli la posizione corretta assumendola lei stessa, con la spalla sinistra verso il bersaglio. Gli passò una freccia dalla faretra che aveva sulla schiena appena finì di posizionarsi, e si avvicinò per aiutarlo ad incoccarla. « Metti la freccia in questo modo, sì, e tienila così » fece segno a Cain di replicare i suoi movimenti, mentre lei lo osservava da vicino per fargli notare eventuali errori. Lo guardò di sottecchi mentre cercava di correggere la presa sulla freccia, e sembrava ad un passo dal mollare tutto. Non capiva se fosse confuso, o spazientito, o tutto insieme, ma la cosa la fece sorridere, contenta che, nonostante tutto, fosse lì a litigare con un arco vicino a lei. Non pensava avrebbe mai accettato, doveva essere sincera: Cain era una persona difficile e testarda, e aveva messo subito in chiaro il fatto che non fosse interessato al combattimento a distanza, quando al contrario Maeve si era avvicinato prima a quello e, successivamente, aveva provato l'ebrezza della scherma. Forse aveva insistito troppo per insegnargli a tirare con l'arco, ma era sicura di poter ricambiare tutti gli sforzi che lui stava facendo per aiutarla a migliorare nell'arte della spada. « Ora tendi la corda fino al punto di ancoraggio, miri e » Maeve incoccò la freccia a sua volta, tese la corda e alzò l'arco, mirando al bersaglio, e dopo qualche secondo scoccò la freccia, che finì poco lontano dal centro - che fortuna, doveva ammetterlo, uno dei suoi tiri migliori, e proprio davanti a Cain! « rilasci ». Forse glielo aveva fatto sembrare più semplice di quel che era, ma era sicura che sarebbe riuscita a farlo. Era un portento, aveva un talento innato per qualsiasi arma, ma a vedere a come si destreggiava con arco e frecce... Beh, forse esisteva davvero una disciplina militare in cui lei avrebbe potuto insegnargli qualcosa. Non sghignazzare sarebbe stato difficile, e già sentiva dolore all'altezza dello stomaco per le risate che aveva trattenuto fino a quel momento, ma aveva il presentimento che non sarebbero state le uniche.

    « Parlato » || - Pensato -

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    Edited by altäir - 10/4/2020, 10:42
  12. .
    abel cyril gytrash
    «All that I wanted was just to get over you, trouble is I can't find a way»
    A
    ccadde tutto in meno di un secondo, o almeno gli parve che Cain fosse tornato sulle sue labbra appena ebbe finito di parlare. Non era stato in grado neanche di capire cosa stesse succedendo: il ragazzo lo avvicinò a sé, facendogli capire che non aveva alcuna via di scampo, e in un attimo lo baciò, di nuovo. Abel fu preso alla sprovvista e trattenne momentaneamente il fiato, giusto il tempo di tentare di capire cosa stesse succedendo. Non riusciva a pensare a nulla di sensato mentre chiudeva gli occhi di scatto, impulsivamente, ricambiando il bacio che via via si faceva più intenso. Era diverso dal bacio che Cain gli aveva dato in infermeria la sera dopo la fatidica missione di Halloween: intanto non era ubriaco, e ciò si rifletteva nel modo in cui lo toccava. Quello non era un bacio dettato dall'alcol, non era maldestro e non sapeva neanche lontanamente di birra. Quel bacio glielo stava dando nel pieno delle sue facoltà fisiche e mentali, e premeva per averne sempre di più. Era avido, era affamato, ed Abel quasi non riusciva a stare al suo passo. Ma lo desiderava come non aveva desiderato nulla prima, e non ci volle molto prima di decidere di abbandonare ogni freno inibitore e lasciarsi trasportare dall'euforia del momento. Ad occhi chiusi, gli sembrava di aver perso la cognizione del tempo e di aver staccato momentaneamente il cervello. Se Cain si fosse staccato in quel momento e gli avesse chiesto il suo nome, probabilmente avrebbe dovuto pensarci qualche secondo prima di rispondere, inebriato dal suo odore com'era. I due finirono sul materasso del letto che avevano condiviso fin da bambini, senza alcuna malizia, ma santo cielo, quel bacio era meglio di ogni fantasia avuta fino a quel momento. « Sei... sei tutto ». Cain glielo disse tra un bacio e l'altro, tentando di riprendere aria ma sprecandola sussurrandogli parole che mai avrebbe pensato potesse sentir uscire dalle sue labbra. Era convinto che in ogni suo gesto, in ogni suo tocco, in ogni suo sguardo era racchiusa l'essenza di quelle frasi, che quindi gliele aveva ripetute infinite volte ma lui non era riuscito a captarle, troppo occupato a cercare di eliminare quei sentimenti che reputava sbagliati. In quel momento non lo sembravano, neanche lontanamente. Tutti i dubbi che si era fatto fino ad allora parvero insignificanti e immotivati appena riascoltò la voce di Cain, a pochi centimetri dal suo viso, e si accorse che i suoi occhi erano mutati in quelli da Black Dog: non umani, ma messaggeri degli inferi. E se all'inferno ci fossero dovuti andare comunque, tanto valeva rimanere aggrovigliato a quel corpo per tutta la vita. Lo stomaco era un casino, gli faceva male, il petto gli ardeva, le dita di Cain quasi gli tiravano i capelli, ma si beava di quelle sensazioni mentre il fratello gli sfilava la maglietta di fretta, per poi tornare a baciarlo subito dopo. E pensare che qualche minuto prima lo aveva adagiato sul letto attento a non svegliarlo, ed ora si impadroniva delle sue labbra senza alcuna delicatezza. Anche per lui Cain significava tutto, era sempre stato vicino a lui, nel bene e nel male, e non gliel'aveva mai detto come il rosso stava facendo ora, non aveva mai osato tanto. Non gli aveva mai detto che sperava sempre ci fossero dei temporali notturni, in modo da ritrovarselo nel letto; non gli aveva mai detto che custodiva nel cuore le loro serate a bere, come non gli aveva mai detto che avrebbe sempre voluto fermarlo quando lo vedeva uscire da solo, perché sapeva che sarebbe tornato nella propria camera in compagnia di qualcuno che non fosse Abel, e che ancora si ricordava l'odore di pioggia del giorno in cui l'aveva visto la prima volta. Le dita della mano sinistra dell'albino si intrecciarono alle ciocche rosso sangue di Cain, mentre l'altra salì fino alla sua guancia, arrivando infine alla nuca per fare pressione. Tutti i suoi sforzi per dimenticarlo stavano andando in fumo mano a mano che le mani calde di Cain lo esploravano, tutto quel tempo passato a maledirsi per essersi innamorato di un uomo che non lo avrebbe mai ricambiato gli sembrò sprecato, quando avrebbe potuto benissimo baciarlo in quel modo fin dal principio. Si sentiva così bene, così libero, e quando avvertì la lingua del ragazzo scorrere fino alla gola gli sembrò di impazzire. - Oh, porca puttana. - imprecò tra sé e sé, senza che Cain potesse ascoltare che effetto gli provocava, ma sicuramente poteva immaginarlo. Quasi si vergognò di farsi vedere così da qualcuno: senza difese, totalmente invaghito e con la mente annebbiata, ma era lui, finalmente. Era di Cain che si trattava, e solo Dio sapeva quante volte aveva sognato trovarlo sopra di sé, a baciarlo fino a fargli mancare l'aria, e la luce del corridoio che entrava dalla porta socchiusa ad illuminarlo in parte. Per un istante si chiese se davvero gli aveva detto che era tutto per lui, ma la voce roca del fratello gliene diede conferma. « Senza di te posso anche morire. ». Il cuore saltò un battito e se lo sentì in gola mentre i suoi occhi vagavano sul quel viso che tante volte aveva ammirato ma non aveva mai visto così famelico. Percepiva i suoi tremolii - stava forse trattenendo la bestia infernale? - e i gorgoglii che gli morivano in gola ogni volta che lo baciava, e si rese conto che fino a quel momento era stato in silenzio - fatta eccezione per qualche gemito ogni tanto, non era riuscito a rispondere in modo decente. Non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto, non si era mai immaginato nessuna dichiarazione in grande stile perché non pensava che quel momento sarebbe mai arrivato. Ed ora come non mai aveva desiderato avere la lucidità e l'ardore di dirgli che Cain, per lui, era il sole, la luna, tutte le stelle, meglio di ogni saggio di fisica che aveva letto. Si limitò a guardarlo, la vista appannata, e lui la cosa più bella dell'intero universo, in attesa che il cervello gli suggerisse qualcosa di sensato da dire. Cain non gli diede il tempo di far nulla che fu ancora sulle sue labbra, stringendolo come se potesse scappare, con una forza che gli fece mancare il fiato, il calore del corpo del rosso sul suo petto nudo e attraversato da continui brividi. Le dita di Abel scesero all'altezza delle spalle dell'altro, stringendo la maglietta per tirarlo verso di sé, per fargli capire che non doveva azzardarsi a staccarsi. Lo desiderava, ora più che mai, e sperava solo che fosse riuscito a farglielo capire, senza bisogno di troppe parole, con le quali l'albino non aveva mai avuto molta dimestichezza. Aveva una paura folle che tutto quello finisse, che all'alba Cain non fosse rimasto a dormire con lui, e non poteva permettersi di sprecare un solo attimo di quel momento magico. I due si staccarono momentaneamente per riprendere fiato, ed Abel tentò di rimettere in ordine i pensieri nonostante quegli occhi e il respiro affannoso del ragazzo lo mandassero su di giri. « A saperlo, ti avrei baciato molto prima » fece, sorridendo timidamente, « Sei tutto ciò di cui ho bisogno », lo disse in un sospiro quasi vergognandosi, e alzò leggermente il collo per catturare, per l'ennesima volta quella sera, le labbra di Cain, cingendo la sua schiena con le braccia e portandolo giù con sé, perché sentirlo vicino era diventato vitale, mentre le mani si infilavano sotto la maglietta - che gli avrebbe strappato volentieri, a dirla tutta, senza tanti complimenti. Più lo baciava, più si chiedeva cosa lo avesse trattenuto fino a quel momento: la paura di un rifiuto, Raphael, il fatto che fossero cresciuti insieme e che lui avesse sempre dei partner di cui, presumeva, si invaghiva, erano tutte grandissime cazzate. Non seppe quanto tempo passò prima di staccarsi ancora, ma aveva sperato non arrivasse. Lo voleva solo per sé, e l'improvviso pensiero che qualcuno lo avesse toccato prima di lui gli fece salire il sangue alla testa. A sua volta, fece passare la lingua dalla clavicola di Cain alla base del collo, mordendolo dove un maglione, i giorni a seguire, avrebbe potuto nascondere il misfatto. Si staccò da lui con un sorriso trionfante, passandosi la lingua sulle labbra, e posò un altro bacio intenso sulla bocca del rosso, ormai conscio che fossero arrivati ad un punto di non ritorno. Il diavolo in persona avrebbe potuto benissimo richiamarlo a sé in quel momento, non gliene importava, non avrebbe avuto alcun rimpianto. « Cazzo, mi sento un idiota » disse ridacchiando, appena i due si concessero un'altra pausa - che sapeva sarebbe durata pochi secondi. Abel percepiva come Cain si stesse trattenendo, con le iridi dello stesso colore del fuoco e i canini che gli sfioravano il labbro inferiore, e anche lui stesso non si stava impegnando troppo a nascondere il fatto che volesse ricominciare il più presto possibile. « Ho cercato di vederti sotto un'altra luce per tutto questo tempo, e alla fine » la frase venne spezzata a metà da un dolore lancinante allo stomaco, e gli mancò il fiato. Fece cenno a Cain di aspettare mentre la mano correva a controllare la ferita, che in quel momento bruciava quanto le fiamme degli inferi. Deglutì, accartocciandosi su sé stesso - o almeno, quanto si poteva permettere dato che Cain gli limitava i movimenti - e imprecando in lingue ancora sconosciute. La pelle gli prudeva e non gli sembrò che la cicatrice gli avesse mai fatto così male come in quel momento da quando lo avevano dimesso dall'infermeria dei Marauders. Doveva darsi una calmata, perché quella scarica di adrenalina non gli aveva fatto bene a quanto pare, ed era come se la bestia che albergava in lui scalpitasse per uscire. « E' tutto a posto » fece dopo un paio di minuti, respirando piano, mettendosi a sedere a fatica, la faccia scocciata di chi era stato interrotto sul più bello. Aspettava quel momento da una vita, e ovviamente la sfiga doveva colpirlo. « Qualcuno ci avrà mandato qualche maledizione » alzò il viso verso l'alto in cerca di aria, mentre il dolore si attenuava pian piano. Ora Cain non l'avrebbe più sfiorato per l'eternità, lo sapeva. « Non è colpa tua » disse subito, onde evitare che si sentisse in colpa perché, per una volta che non lo aveva toccato con le dovute attenzioni, era finita così, « Sono io che ho sfiga » sospirò, facendo cenno a Cain di avvicinarsi, mentre un brivido gelido gli saliva lungo la schiena. Rimanere a petto nudo senza il fratello a riscaldarlo, seppur per pochi minuti, era stata una pessima idea, e sperava solo di non svegliarsi con il raffreddore il mattino dopo, dato che nelle camere da letto l'impianto di riscaldamento non funzionava granché bene. « Che palle » sbuffò sonoramente, senza nascondere il nervosismo, mentre si accostava al ragazzo, con l'intento di chiedergli un abbraccio, ma esitò. Lo guardò per qualche secondo, chiedendosi se davvero sarebbe riuscito a smettere di pensare che non si meritava tanto affetto. Il suo amore, a quanto pareva, era ricambiato, perché continuava a far sì che degli insulsi dubbi si insinuassero nella sua mente e rovinassero ogni cosa? Serrò le palpebre, tentando di scacciare quei pensieri, avvicinandosi a Cain fino a quando non fu tra le sue braccia, e vi si accoccolò, come ai vecchi tempi, le ginocchia al petto nel tentativo di nascondere l'eccitazione e farsi più piccolo possibile. Gli sembrò che si fossero trattatati a vicenda come due innamorati, ma se ne fosse reso conto solo ora. Cain lo abbracciava di continuo - ed Abel non si lamentava -, dormivano spesso insieme, si proteggevano a vicenda e conoscevano tutto l'uno dell'altro: effettivamente, mancava solamente un bacio - uno serio, dato da sobri.
    « Come » disse, ma si interruppe subito dopo, e arrossì di botto. Sospirò impercettibilmente, perché vergognarsi adesso non aveva alcun senso.
    « Com'è stato? » domandò, appoggiando la testa sulla spalla del rosso, tentando di nascondere in parte il viso in fiamme. Ora aveva inaspettatamente caldo, e il dolore alla ferita non riusciva a farlo respirare regolarmente. « Non te la cavi male coi baci » ridacchiò di nuovo, un enorme peso sulle spalle che stava scomparendo, e alzò lo sguardo verso il viso di Cain, e la poca distanza che c'era fra di loro gli fece ripercorrere con la mente i baci di poco prima. Toccava il cielo con un dito, tanto si sentiva leggero e senza pensieri. Si sentiva in grado di fare qualunque cosa, come parlare a sproposito, sorridere un po' di più - fino a quel momento era stata un'impresa - e anche, finalmente, lasciare Raphael una volta per tutte, perché quella storia non era mai davvero cominciata, ma accantonò velocemente il pensiero appena sistemò il viso nell'incavo del collo di Cain, che sembrava essere stato fatto su misura per lui. « Da quando non sono più solo un fratello, per te? » chiese, interrompendo quel silenzio confortevole e in cui si stava crogiolando, il respiro che si stabilizzava lentamente e il battito del cuore di Cain in sincronia col suo. « Sai, pensavo di rimanere confinato nella brotherzone in eterno ». Meno male che erano da soli, e che la visita ai coniugi Rubadue si stava protraendo più di quel che pensava.
    « omega black dog / 19 y/o / eye of the past »

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  13. .

    maeve weaford
    dawn finnigan
    › warrior › 18 › sheet

    « I woke up stronger than ever Driven by big waves of fire To run and yell all the way "Nothing can hurt me today" »
    Dalla fatidica chiacchierata in scuderia, Maeve si era resa conto che tratteneva il respiro ogni volta che Cain la chiamava per nome - cioè, quello fasullo, ecco. Faceva sempre caso a come lo diceva, che tono utilizzava, come la guardava quando lo faceva. Spesso era per rimproverarla durante gli allenamenti, qualche volta perché gli faceva perdere la pazienza, altre volte - più rare - per elogiarla. Sorrideva anche, ma non troppo spesso. Stavolta no, non lo fece, e notò come quel "Dawn" fosse quasi addolorato, grave. « ...la guerra non ha pietà per nessuno. » La ragazza, a quelle parole, si fece scappare un sorrisetto triste e abbassò lentamente lo sguardo sul pavimento. Se la avesse avuta, non si sarebbe portata via suo fratello, il centro del suo mondo. Avrebbe avuto pietà per un'anima gentile e generosa come la sua, ma la guerra era spietata. Se così non fosse stato, non l'avrebbe fatto morire davanti ai suoi occhi. Cain aveva ragione, e un senso di nausea momentaneo le salì per la gola. Aveva ancora poco tempo per migliorarsi ed evitare che i suoi compagni facessero la fine di Dominic, non voleva perderli come aveva perso lui, nel bel mezzo di un combattimento perché troppo debole per cavarsela da sola.
    Alla sua domanda, Cain si fece sfuggire una risata, ma non di gioia. Sapeva che Thyandul, per lui, era alla stregua di una prigione, e chissà quanto odiava quel regno, suo padre... lei. Chissà come avrebbe reagito se avesse saputo che una delle persone che più non sopportava era proprio davanti a lui. Non sarebbero mai riusciti a parlare civilmente se non fosse stato per Dawn. « Come un uccello in gabbia. » la sua risposta non la sorprese, se lo aspettava d'altronde, ma fece male. Come dargli torto, dopotutto? Il ragazzo non aggiunse altro, e ciò contribuì all'ammassarsi di pensieri negativi nella sua testa. Più lo osservava, più capiva che non si sarebbe mai sentito a casa, lì. Non importava quanto bella fosse la regione di Thyandul, né quanto si aprisse con Dawn. Una volta finiti gli allenamenti, nella sua tenda, era da solo, e sempre da solo avrebbe dovuto combattere l'astio che il suo popolo provava nei suoi confronti. E la colpa era anche sua, la prima ad avergli detto che lui era suo nemico. Già, quel ragazzo che la stava aiutando ad allenarsi nella scherma e che non voleva rimanere da solo.
    Alla domanda seguente, Cain rispose che non aveva visto Xanturion, e a quella rivelazione raddrizzò la schiena e tentò di sorridere nel modo più allegro possibile. Dawn lo avrebbe fatto, perché non sapeva cosa si nascondeva dietro quelle parole. « Allora ti ci porterò io! » esclamò, ed il ragazzo sembrò stupito da tale affermazione. « Mi ci porterai? » fece, e lei annuì convinta. « Tu? » continuò, e la ragazza sospirò, serrando le labbra. « Sì, io » confermò, appoggiando la schiena al muro e incrociando le braccia sul petto. « Non ti fidi? », « La parola "prigioniero di guerra" ti dice niente? ». Maeve fece spallucce, quando ad ogni parola che pronunciava le sembrava di riuscire a percepire il suo dolore. « Basterà un mantello » si sporse in avanti con il busto, lui ancora non del tutto convinto. La ragazza non poté fare a meno di notare la mano di lui che saliva lungo il busto, per poi fermarsi all'altezza del petto, precisamente sul lato sinistro. Il lato del cuore, quello dove la runa, simbolo dell'incantesimo che gli aveva posto appena arrivato, era tatuata. D'un tratto si sentì mancare l'aria, e dovette spostare il suo sguardo altrove. Non riusciva a sostenere quella visione. Era colpa sua se si sentiva così, e mai come in quel momento prendere le sembianze di Dawn le parve una pessima idea. Avrebbe voluto aiutarlo, ma come, se lei stessa aveva fatto in modo che lui si sentisse perennemente sotto osservazione e in libertà vigilata? In che modo, con una guerra alle porte? Sembrava non ci si potesse godere un solo momento di pace. Riportò l'attenzione su di lui, attenta a non farsi notare, e sembrava celare una sofferenza senza confini. Si chiese da quando le importasse così tanto di lui, perché le sue intenzioni iniziali non erano quelle di affezionarsi così tanto all'eroe. Eppure, ora, ogni volta che i loro sguardi si incrociavano sperava che nascesse un sorriso sul suo volto. Voleva che si sentisse un po' più leggero, un po' più a suo agio, un po' meglio. « Il segreto è non farsi beccare dalle guardie » gli rispose, e si fece scappare un sorriso sghembo, « Ti mostrerò come si fa » ridacchiò di nuovo, sperando che non notasse che si stesse sforzando un sacco a combattere la tristezza e il nervosismo che la pervadeva. Magari una serata passata a non pensare a nulla se non a svagarsi lo avrebbe aiutato un po'. Quando si sentiva sopraffatta dalle responsabilità e giù di morale, Maeve si recava al tempio oppure, appunto, in città, giù a valle. Xanturion, con la sua vivacità e la sua bellezza, non poteva non far dimenticare ogni pensiero.
    « La prossima settimana c'è anche una festa! » esultò, stavolta senza fingere alcun sorriso. Adorava le feste a valle: si ballava, si mangiava, c'erano un sacco di bancarelle e si riusciva sempre a fare amicizia con qualcuno. Quando Dominic era ancora vivo ci andavano spesso insieme, ma da quando i suoi doveri di principessa e sacerdotessa si erano accavallati aveva avuto sempre meno occasioni di sgattaiolare fuori dal castello. Lo guardò di nuovo mentre sorrideva in sua direzione, sperando gli sorridesse a sua volta - ma non ci avrebbe scommesso. Lo sguardo le cadde poi, involontariamente, sulle sue braccia, grandi almeno il doppio delle sue. « Da quanto ti alleni con la spada? » chiese, saltando ad un altro argomento ancora. Aveva già notato quanto fosse muscoloso e sapeva anche quanta forza possedesse - all'incirca, perché non era davvero convinta che con lei usasse tutto il suo potenziale. A meno che non volesse spaccarle la testa in due, certo, in quel caso avrebbe assaggiato la sua vera forza. « Sai usare anche altre armi? » seppur non ne sapesse molto, Maeve era davvero interessata a questo mondo, e nonostante ci fosse dentro le sembrava ancora molto fuori dalla sua portata. « E chi è stato il tuo insegnante? Perché sì, insomma, sei una forza ».

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  14. .

    [ Abel Cyril Gytrash ]

    Lo faceva per Hannah. Sì, lo faceva per sua sorella. Era la sua partita di basket, lui era un fratello maggiore amorevole e avrebbe tifato per lei come tutti i bravi fratelli maggiori amorevoli. - Lo sto facendo per Hannah -, era ormai diventato il suo mantra, e se lo ripeté silenziosamente mentre l'ennesimo urlo della tribuna gli sfasciava i timpani. Era una diamine di partita tra scuole, possibile che gli amici e i familiari di quelle ragazzine facessero così tanto casino? Non erano ad un match dell'NBA, maledizione. Vedeva Hannah in campo che li salutava ed Abel le sorrideva di rimando, agitando timidamente la mano, perdendola di vista subito dopo in una marea di ragazze della sua stessa età - ovviamente quasi tutte con i capelli scuri come i suoi. « Stiamo vincendo, però l'altra squadra va forte. » Cain gli rispose tenendo lo sguardo sul campo, era evidente come ci capisse molto più di lui in fatto di basket, ed Abel buttò un occhio al tabellone dei punteggi. Troppi numeri che non sapevano cosa significavano - strano per lui, appassionato di roba scientifica com'era. Era ufficiale, non capiva un cazzo. Cain lo strattonò per indicargli sua sorella, alla quale avevano appena passato la palla, e si sistemò sulla sedia, deciso a non perderla di vista durante la partita. I suoi occhi erano fissi sulla ragazza dai capelli neri e la coda di cavallo, che era certo fosse Hannah, che si avvicinò in pochissimo tempo al canestro, scartando ogni avversaria. Quando era finalmente riuscito a seguirla per tutto il tempo, Cain lo fece alzare - la ferita allo stomaco bruciò intensamente per un momento, e lo stomaco stesso si attorcigliò su sé stesso facendogli quasi salire il vomito - e si incollò alle transenne insieme a lui e a Noah, che a sua volta era eccitatissimo e gridava a gran voce il nome della sorella. Sorrise impercettibilmente nel guardarlo, così felice, e riuscì ad individuare quasi subito i capelli corvini di Hannah. Era da così tanto che non viveva un pomeriggio in tranquillità, con i suoi fratelli - incluso Cain. Più osservava il sorrisone di Noah e come le compagne si stringevano attorno ad Hannah ogni volta che faceva punto, più era felice di essere lì, a Poulton-Le-Fylde, di essere parte di quella famiglia. E Cain... Beh, Cain era diverso. Cain si era inserito così bene tra loro che non ricordava come fosse vivere prima che lo conoscesse. Cain era sempre stato con lui, da quando ne aveva memoria. Come poteva innamorarsi proprio di lui, tra tutti? I suoi pensieri malinconici furono interrotti - per l'ennesima volta - dalla folla in visibilio, e Abel sibilò diverse imprecazioni tra sé e sé, trattenendosi per miracolo. Ecco, sarebbe stato davvero un pomeriggio in tranquillità, a parte tutto quel caos. Strinse forte il metallo freddo tra le dita, l'unico modo che aveva per non cadere quando la gente vicina a loro cominciava a darsi spintoni per vedere meglio, e cercò, ancora, di seguire Hannah per il campo. Appena la perse di vista - sapeva che sarebbe capitato, era solo questione di tempo - tentò di guardarsi alle spalle senza dare nell'occhio e, sì: la ragazza che prima lo osservava era ancora seduta lì. In quel momento non lo stava guardando, era indaffarata a cercare qualcosa nella borsa, e tirò un sospiro di sollievo, per quanto ancora non si trovasse a suo agio. Tra lo sguardo di quella tizia che si sentiva costantemente addosso, la folla urlante e il malessere all'altezza dello stomaco sentiva di stare per esplodere. La testa gli faceva male, le orecchie gli fischiavano, quasi gli sembrava di non riuscire a respirare. Voleva solo uscire a prendere una boccata d'aria. Cain arrivò come una manna dal cielo - e allo stesso tempo una maledizione: il ragazzo, forse vedendolo in difficoltà, si spostò dietro di lui, le braccia comunque attaccate al corrimano, come a fargli da barriera. Percepì il calore del petto di lui sulla propria schiena anche attraverso i vestiti, e gli sembrò di sentirsi meglio. Fece un paio di respiri profondi, appoggiando momentaneamente la testa sul braccio sinistro del ragazzo, e il suo profumo lo fece distrarre per qualche istante. Quello era il suo porto sicuro. Al riparo da sguardi insistenti e persone maleducate, si sentiva infinitamente meglio. L'improvvisa vicinanza di Cain gli fece anche battere il cuore all'impazzata, ma cercò di ignorare la cosa nel tentativo di seguire la palla. « Resisti, lupacchiotto. Tra un po' finisce il tempo. » Abel annuì, senza parlare. Stare lì, così, vicini, non gli dispiaceva. Peccato il continuo senso di colpa, che non lo lasciava un attimo. Per tutta risposta, l'albino sollevò le braccia fino a punzecchiare le guance di Cain con le dita, e quando il ragazzo si ribellò al suo tocco gli venne da sorridere. Aveva le mani gelide, effettivamente. « Vieni anche tu? » fece a Noah, poco distante, che, senza farselo ripetere due volte, sgusciò sotto le braccia di entrambi ed Abel, in un moto d'affetto, gli scompigliò i capelli. Noah si mise a ridere sguaiatamente e contagiò anche l'albino, che gli sorrise pacatamente di rimando. Sì, si sentiva al sicuro tra quelle braccia, come se davvero nessuno potesse fargli del male. Si sentiva meglio, si sentiva felice. Era quasi strano, dopo mesi bui e impegnati come quelli precedenti. Cain era sempre stato il suo raggio di sole. « Che fortuna avervi qui! Oh, guardate Hannah! » il fratello indicò loro Hannah, che attraversò il campo in sincrono con altre compagne fino ad arrivare al canestro e segnare un altro punto. Da quando Cain lo aveva circondato con il suo calore il mondo gli era sembrato un posto tranquillo e sopportabile, ma appena la palla entrò nella rete e cadde a terra, producendo un rumore sordo, grida di gioia ed esultanze varie si levarono dagli spalti dietro di loro, e Noah e Cain li seguirono a ruota facendo - se possibile - ancora più casino. Spesso malediva il suo udito super sensibile, soprattutto in occasioni come questa. Abel esultò a sua volta, molto meno sguaiatamente, e notò come sua sorella, appena fatto punto, cercò loro tra la folla: appena i loro sguardi si incontrarono Hannah esibì un sorriso largo e soddisfatto. Il fischio che annunciava la fine della partita lo fece trasalire e gli venne spontaneo coprirsi le orecchie, gli occhi chiusi in una preghiera disperata, mentre il pubblico scendeva piano piano dagli spalti. Mentre si avviavano verso gli spogliatoi per salutare Hannah, notò come diversi ragazzi e ragazze le si avvicinassero per congratularsi e come la guardavano. Doveva essere popolare, a scuola. La giovane Gytrash distribuiva sorrisi a tutti, come se non avesse corso ininterrottamente per quaranta minuti da una parte all'altra del campo con una palla di almeno mezzo chilo in mano. Hannah era fatta così: una parola gentile e una battuta li donava sempre a tutti, indistintamente, e a guardarla non poté che tornargli in mente Gabriel. Sicuramente sarebbe stato il classico fratellone geloso della propria sorella minore, carina e disponibile com'era. Anche suo padre, a vedere sua figlia circondata da ragazzi, avrebbe fatto una bella scenata di fronte a tutti, ne era sicuro. Quando la raggiunsero la maggior parte del suo fan club se n'era andato e i tre ragazzi ne approfittarono per farle i complimenti. Hannah si gettò immediatamente tra le braccia di Cain e Noah esultò al loro fianco, mentre Abel si teneva in disparte. Gli sembrava quasi di rovinare un perfetto quadretto familiare. « Sei la degna sorella dei tuoi fratelli! » gridò, e Hannah rise rumorosamente, abbracciandolo ancora più forte. « Sono così contenta che siate venuti! » la ragazza non smetteva di sorridere e strattonò anche Noah, che affondò il viso nella sua divisa da basket, intrisa di sudore. Hannah cercò con gli occhi anche Abel, che gli sorrise timidamente, e si convinse ad avvicinarsi alla combriccola. « Sei stata brava, complimenti » gli fece, facendole segno con la mano di non abbracciarlo - a parte il sudore, la ferita gli faceva ancora male - « e parecchio veloce, non si riusciva a starti dietro » sorrise impercettibilmente, e Noah non cercò neanche di nascondere una risatina. « Dillo che non riuscivi a seguirla perché non capivi assolutamente nulla ». Abel gli diresse uno sguardo alquanto scocciato, ma i tre giovani ridacchiarono all'unisono. « Tra poco c'è una festa per festeggiare la vittoria, in un container qui vicino. Volete unirvi? » fece lei, ed Abel non nascose il suo desiderio di tornare a casa, nascondendo metà viso nel collo del maglione. « Io sono stanco, andate pure senza di me » disse subito, e Noah si intristì appena finì di parlare. L'albino alzò gli occhi al cielo di riflesso. « Sì, puoi restare, glielo dico io alla mamma ». Noah esultò, Hannah con lui, ed entrambi promisero di tornare ad un'ora decente. Abel proprio non se la sentiva di rimanere a fare festa e per fortuna - e sorprendentemente - Cain fu della stessa opinione: era stanco, stanchissimo, la ferita aveva bisogno di medicazioni e desiderava solo buttarsi sul letto e rialzarsi domani mattina. Sul tardi, preferibilmente. Salutò Hannah e Noah con un cenno della mano, mentre osservava Cain fulminare ogni ragazzo che sembrava volersi avvicinare a sua sorella una volta che loro due fossero andati via. Gli venne da sorridere, trascinandolo per la giacca per fargli capire che stava esagerando. Che vita sarebbe stata, la sua, senza quello scalmanato di Cain?

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    Capì che era davvero stanco quando si scordò quante scale c'erano davanti alla porta di casa ed inciampò sull'ultimo gradino, rischiando di finire con la faccia a terra e qualche dente in meno. Cain lo riacciuffò giusto in tempo, e una volta entrato in casa salutò la madre con un bacio fugace e si sedette sul divano, scivolando lentamente verso il basso, fino ad appoggiare la testa sulla parte alta dello schienale. Gli occhi gli si chiudevano da soli, ma al contempo la ferita bruciava talmente tanto da tenerlo sveglio. Aiutò sua madre e Cain ad apparecchiare, e per cena riuscì a mandare giù solamente una fetta sottile di torta al limone. E pensare che andava matto per i dolci. Sarah gli consigliò di andare subito a dormire, affidandolo a Cain prima di uscire per andare a far visita ai vicini. Abel neanche sentì la porta chiudersi mentre cercava nel borsone la pomata che avrebbe dovuto spalmare sulla cicatrice e le pillole da prendere prima di andare a dormire. Rischiò di scambiare le medicine della sera con quelle della mattina e con uno sforzo immane si diresse nella propria camera per infilarsi il pigiama, per poi riscendere al piano terra. Pensava di trovare Cain stravaccato sul divano, come tutte le sere, a fare segno di avvicinarsi, ma non c'era. Forse era di là e non lo aveva notato. Si strofinò gli occhi, stremato, e si sistemò sul divano in attesa dell'amico. Voleva almeno sapere cosa aveva intenzione di fare prima di augurargli la buonanotte, ma non se la sentiva di lasciare quei cuscini morbidi alla sua ricerca in giro per casa. Dov'era sua madre, a proposito? La chiamò a gran voce, ma nessuno gli rispose. Si ricordò dopo che era uscita per andare a trovare i vicini, i coniugi Rubadue, e si avvicinò le ginocchia al viso, nel tentativo di trattenere un po' di calore anche senza coperta. Questo significava che erano a casa da soli. Non che potesse capitare chissà cosa, ma per qualche motivo l'albino si emozionò all'idea, e al solo pensiero tentò di calmarsi appoggiando la fronte sulle ginocchia. Tanto aveva un sonno atroce, non sarebbe comunque riuscito a godersi il tempo speso con Cain senza nessuno a disturbarli. Magari potevano bere un tè insieme, o guardare un po' la tv rannicchiati sul divano, o parlare un po' sotto le coperte e scivolare nel sonno senza accorgersene. Cose che facevano sempre, ma bastava averlo intorno. Eppure, perché non desiderava altro che Sarah tornasse il prima possibile? Abel sospirò, i soliti pensieri negativi che affollavano la sua mente, distruggendo ogni cosa che potesse renderlo vagamente felice. Voleva solo non essere innamorato di un ragazzo che lo avrebbe considerato per sempre suo fratello minore, alla stregua di Hannah e Noah. Avrebbe voluto essere davvero innamorato di Raphael, in modo da evitare ogni complicazione, ma lui non rendeva facile la cosa non cercandolo e rispondendo a monosillabi ogni volta che lo sentiva. Controllò velocemente i messaggi, ma nella cronologia messaggi che si erano scambiati i due da quella mattina figuravano solo due nuvolette: "Buongiorno", da parte di Raphael, e "Ehi, come va?", la risposta di Abel. Da lì, silenzio. Sospirò nuovamente, chiudendo la chat e appoggiando il telefono a testa in giù sul cuscino. La risposta era così semplice, lo sapeva, ma non poteva accettarla. Non sembrava la cosa giusta da fare. E se anche Cain lo avesse ricambiato - e chi se lo scordava quel bacio in infermeria? -, cosa avrebbe potuto dargli in cambio? Era sempre lui quello più debole, sempre lui quello noioso. Lo era sempre stato. Cain era gioia, era esagerazione, era caos. Non poteva chiedergli più di quanto non gli stesse già donando. Non erano fatti per stare insieme, non come lui avrebbe voluto. « Devo smetterla » bofonchiò, ad occhi chiusi, la fronte di nuovo sulle ginocchia, in attesa che il fratello lo degnasse della sua presenza. Quanto avrebbe voluto smettere di pensarci, sul serio. Immaginare Cain a tenergli la mano, a guardarlo come se al mondo ci fosse solo lui, a baciarlo teneramente, poi con passione, a mettergli le mani sotto la maglietta, tra i capelli - avrebbe dato qualsiasi cosa. « Ci guardiamo qualcosa? » la voce del rosso gli fece alzare il viso, riportandolo sul pianeta Terra. Il ragazzo era già a cercare qualcosa tra i dvd che avevano in casa, ed Abel acconsentì con ben poca convinzione. Era stanco, ma almeno erano insieme. Cain alla fine decise per Star Wars e l'albino condivise la scelta: quella saga era una delle sue preferite, anche se era certo che non sarebbe riuscito a reggere per l'intera durata del film. Cain gli passò un cuscino ed una coperta pesante, che si buttò subito addosso. Sistemò il cuscino sulle sue gambe - il fratello finiva sempre per addormentarsi con la testa sulle sue cosce - ma, con sua grande sorpresa, Cain si andò a sedere all'altro capo del divano. Tra di loro sarebbero potuti benissimo sedersi l'intera famiglia Gytrash. Abel lo guardò stranito mentre l'altro armeggiava con il telecomando alla ricerca del comando per far partire il film, senza girarsi verso di lui neanche per sbaglio. « Sei sicuro di star bene? » gli fece, un lieve tono canzonatorio, ma non ricevette risposta dato che la colonna sonora del film partì in quell'esatto momento. L'albino, con un sospiro, prese il cuscino e lo strinse tra le braccia, sotto la coperta, domandandosi che diavolo fosse preso a Cain per comportarsi in quel modo, tutto d'un tratto. Era tentato di fermare il film e affrontare il discorso senza tanti complimenti, ma non riusciva a seguire la pellicola, figurarsi una discussione. Non riusciva proprio a tenere gli occhi aperti, e mentre il film si avviava verso la conclusione cadde definitivamente nel mondo dei sogni. Gli mancava il calore di Cain vicino a sé, doveva ammetterlo: si sarebbe addormentato molto più in fretta e con meno pensieri.

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    Il momento in cui Cain lo poggiò sul lenzuolo freddo del letto in cui avevano dormito fin da piccoli, dopo averlo sollevato dal divano sul quale si era addormentato, Abel si rese conto di essere, appunto, nel letto. Non aprì gli occhi, deciso a voler continuare a dormire come aveva fatto fino a quel momento. Udì i passi leggeri del ragazzo avviarsi verso la porta, e nel dormiveglia si chiese come mai non si fermasse anche lui a dormire lì. Forse lo odiava. Sì, insomma, freddo e scostante com'era. Oppure si era ricordato del bacio in infermeria e si vergognava. Forse si era pentito di averglielo dato, perché per lui Abel non voleva dire niente. Forse si era stancato di prendersi cura di lui. Forse -
    Dormiveglia o meno, le labbra di Cain sulle sue le sentì benissimo. Spalancò gli occhi, giusto per assicurarsi che quello che stava succedendo fosse vero. Non aveva il coraggio di toccarlo per assicurarsi che quello non fosse un segno. La testa era leggera, assente, come se, appunto, si fosse appena svegliato. Non capiva bene costa stesse succedendo, ma allo stesso tempo sapeva che Cain lo stava baciando. Lo stava baciando. Quando gli occhi chiari di Abel incrociarono l'unico sano di Cain fu terribile. Il rosso sembrava voler scappare via, mentre l'altro avrebbe voluto porgli una marea di domande, ma non riusciva a collegare il cervello alla bocca. Che cazzo era appena successo? Il cuore gli batteva all'impazzata, si sentiva la gola secca, e nonostante fosse sdraiato sul letto si sentiva le gambe debolissime. « Cain » chiamò piano il suo nome, perché non era ancora sicuro stesse accadendo davvero. Si portò una mano alla bocca, e fece un respiro profondo. Lo sguardo vagava sul suo viso, non riuscendo a smettere di guardarlo. « Cos'era - Cos'era quello? ». Si tirò su a fatica, lentamente, aiutandosi con le braccia. Le parole gli morirono in gola, e temeva seriamente che il suo cuore battesse così sonoramente che Cain potesse udirlo. L'aveva baciato di proposito? Cioè, gli piaceva? Ma fino a poco fa sembrava volere prendere le distanze, non capiva. Il suo era solo amore platonico, non mancava mai di rimarcare quanto fosse grato di essere suo fratello. Erano sempre stati fratelli, nulla di più. Non poteva ricambiare i suoi sentimenti, sarebbe stato sbagliato, sarebbe stato sprecato. Ma non voleva che andasse via. Non voleva che lo abbandonasse. Voleva solo sentire dalle sue labbra il motivo di quel gesto, perché sembrava così semplice, ma non capiva, non se ne capacitava. O forse era lui a non voler capire. Si sentiva come alla partita di basket di quel pomeriggio: non capiva un cazzo. Abel afferrò il lembo della maglietta del ragazzo, come a volerlo pregare a rimanere. Non poteva evitarlo, non dopo quel che era successo. « Perché prima ti metti a metri di distanza da me, e poi mi baci? » gli chiese, aggrottando le sopracciglia. Dalla voce sembrava essere sul punto di piangere, ma non si sentiva gli occhi lucidi. Tutto quel casino lo stava mandando fuori di testa. Ora sentiva il bisogno di baciarlo di nuovo, senza necessitare di spiegazioni. A Raphael non pensò neanche per un attimo. Erano solo loro due, in casa, da soli. « Perché » cominciò, ma si interruppe per guardarlo ancora negli occhi. Passò alle labbra, le stesse che l'avevano sfiorato quella sera, e strinse il tessuto della maglietta di lui tra le dita. « Perché non ci capisco più un cazzo? » sussurrò tra sé e sé, poggiando la testa sul petto di Cain. Quella era la definizione migliore del suo stato mentale in quel momento, e non sapeva perché stesse reagendo così. Sentiva tutto - battiti accelerati, stomaco sottosopra, la gola secca, il cervello in panne, le gote in fiamme, toccava il cielo con un dito - e nulla allo stesso tempo. Era arrabbiato con sé stesso, con Cain, con Dio, se esisteva. Sollevò ancora lo sguardo, il viso vicino a quello di Cain. Avrebbe tanto voluto baciarlo, troppo, avrebbe voluto passare le dita tra i suoi capelli e togliergli quella maledetta maglietta che aveva sempre odiato - piena di buchi, cosa la teneva a fare? Avrebbe voluto urlargli in faccia che lo aveva sempre amato, che Raphael doveva fargli passare quella tremenda cotta che si era preso per lui, che non aveva mai amato nessuno se non lui. Eppure, lo guardava negli occhi e tutto si spegneva. Non sapeva cosa dire, nonostante avesse l'imbarazzo della scelta. « Mi hai mandato in pappa il cervello » rise piano, ma aveva paura. Aveva paura cosa quel bacio gli aveva provocato, aveva paura dell'effetto che Cain gli faceva. « Ti prego, dimmi una volta per tutte cosa sono io per te. Almeno mi metto l'anima in pace ». Detto da una creatura infernale faceva quasi ridere, ed Abel continuò a guardarlo dritto negli occhi. Non lo avrebbe lasciato scappare stavolta, e lui era bravo in quel gioco. Non abbassava mai lo sguardo per primo. Cain gli avrebbe detto che lo vedeva solo come un fratello, lui avrebbe fatto pace con i suoi sentimenti e sarebbe tornato tutto come prima. Avrebbe perfino dimenticato il bacio in infermeria, il suo più grande tesoro. - e smetterò finalmente di sperare invano -

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    Edited by altäir - 27/3/2020, 13:32
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    Ciao Liberty! ♥ Modificherò la tabella il 5 aprile, giorno in cui chiuderò questo topic, in modo da aggiornare tutti i banner insieme!
281 replies since 23/12/2011
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