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Izar x Altayr | Mekar Ledo/Ta Nulli

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    7 gennaio - sera inoltrata esiste?

    E Altayr che sperava di potersene stare in santa pace almeno quella sera. Era stanca, fisicamente e mentalmente.
    Il pomeriggio del giorno prima, era arrivata a Mekar Ledo, alla base dell'associazione. Stare in compagnia avrebbe potuto aiutarla, insieme ad un buon boccale di birra. La giornata passata insieme a Izar l'aveva un po' scombussolata. Già, giusto un po'. Sebbene non lo avesse dato a vedere, non aveva preso granché bene la notizia della sua partenza. Che poi, mica sapeva bene come mai gli avesse dato così tanto peso. Era così importante per lei, quel ragazzo? Era rimasta un paio d'ore a Ta Nulli, per poi prendere la repentina decisione di andarsene nella capitale del continente ibrido. Avrebbe saltato qualche giorno di scuola, ma non si era minimamente posta il problema. Aveva bisogno di tirarsi su il morale, e gli amici di solito aiutavano.
    La serata era andata bene: era trascorsa tra giochi e risate, e i pensieri tristi che invadevano la mente dell'Aquila si erano dissolti magicamente. Aveva dedicato poi la giornata dopo all'allenamento con la spada e il combattimento corpo a corpo: era da un po' che non si sforzava così tanto a livello fisico, ed ora non aveva bisogno d'altro se non una bella e sana dormita. Le gambe reggevano, ma d'altra parte le braccia le facevano un gran male. Doveva tenere la mente occupata, in modo che non finisse irrimediabilmente sul Corvo. Giusto il tempo di andare a cena e poi risalire in camera, distendersi sul letto e... toc toc.
    Altayr si rigirò su un fianco, tentando di ignorare l'insistente bussare alla porta, che comunque continuava. Corrugò le sopracciglia, e si tirò su di scatto. Afferrò la maniglia con rabbia e aprì la porta, palesemente infastidita.
    « Cosa c'è? » chiese, estenuata, lasciando intendere che di chiunque si fosse trattato doveva lasciarla sola.
    « Ti cercano di sotto. » si ritrovò davanti Grace, una ragazza dai capelli lunghi e biondi, legati in una coda. Era una delle più longeve all'interno dell'associazione, una cacciatrice davvero invidiabile nonostante la sua giovane età.
    Altayr sollevò un sopracciglio. « Digli che ne parleremo domani. » e fece per chiudere la porta.
    « Hanno una missione per te. »
    L'Aquila aggrottò le sopracciglia, evidentemente sorpresa. Lei non aveva accettato nessuna missione, e non era assolutamente in vena di andarci quella sera. Si precipitò fuori dalla camera, ignorando bellamente la collega, per dirigersi a grandi falcate verso il piano inferiore, dove si trovava l'ufficio per l'assegnazione delle missioni.
    Appena entrata, batté i pugni sulla scrivania, cogliendo di sorpresa il povero uomo dietro di essa che controllava alcuni fogli.
    « Ora accettate anche le missioni al posto mio? » ringhiò, senza cercare di nascondere il suo fastidio. Chi si prendeva la libertà di prendere decisioni in sua vece era una delle svariate cose che la facevano imbestialire.
    L'uomo si sistemò gli occhiali sul naso. « Il committente ha richiesto espressamente di te. Ha detto che hai già lavorato per lui in passato. »
    « Dovevate ugualmente consultarmi. » Sapeva bene di non poter rifiutare, oramai l'incarico era stato accolto. Stava quindi sprecando fiato, ma sentiva il bisogno di esternare il suo ben poco entusiasmo verso l'inaspettata missione. Non era nelle sue condizioni fisiche migliori, poco ma sicuro, e quasi sicuramente sarebbe stato più difficile del solito sgombrare la mente da ogni altra cosa all'infuori dell'incarico.
    Lui le passò il foglio, che la ragazza afferrò con un movimento veloce e lo lesse di corsa. Joshua Singh era stato uno dei suoi precedenti datori, in effetti, e la paga non era neanche tanto male. Ma ormai lo sapeva bene: più questa era alta, più la missione era pericolosa.
    « Si tratta dell'erede dei Davis, dovrai far fuori lui. »
    Altayr sollevò lo sguardo. « So leggere. » fece lei, lapidaria. Non era in vena di chiacchiere, le avevano rovinato la serata.
    La famiglia in questione faceva parte dell'alta borghesia del continente ibrido, un pezzo grosso, e Osmond Davis ne era l'unico erede. Era lui il suo obiettivo. A leggerla in quel modo non sembrava nulla di eccessivamente rischioso, ma trattandosi di una famiglia nobile non si poteva mai sapere. Erano sempre scortati da guardie e le loro case - che spesso erano pure belle grandi - erano piene di trucchetti per far fuori ladri e assassini.
    Acciuffò tra le mani il foglio della richiesta, per poi lanciarlo nel cestino. Scoccò un'ultima occhiata glaciale all'uomo prima di allontanarsi.
    « Buona fortuna, Libra. » lo disse con troppa nochalance, il che diede fastidio alla mutaforma. Non trovava la sua rabbia ingiustificata, affatto. Non era proprio dell'umore giusto per uscire, quella notte.

    La villa dei Davis era appena fuori città, protetta da un cancello alto e scuro. Non ci mise granché a scalarlo, agile com'era. Non era sicuramente il primo cancello monumentale che incontrava sul suo cammino. Doveva concludere quella faccenda in fretta, non si sentiva affatto in forma e ciò non avrebbe di certo semplificato le cose. Sperava solo che quello fosse il giorno libero della maggior parte delle guardie, altrimenti se la sarebbe vista brutta. Portava con sé il suo fedele arco e il pugnale, più lo zainetto con dentro vari attrezzi e qualche blando medicinale. Attraversò il cortile più veloce della luce, nascondendosi tra gli alberi: all'esterno non sembrava esserci nessuno, e Altayr tirò un sospiro di sollievo. Doveva davvero calmarsi e svuotare la mente, non si poteva permettere nessuna distrazione. Non le avevano affibbiato neanche un compagno, per quanto preferisse agire da sola e contare sulle proprie forze. La luna illuminava una facciata dell'edificio, e l'Aquila tentò di vedere qualcosa spiando dalla finestra più bassa. Calma totale.
    Meglio così: avrebbe fatto fuori il suo obiettivo e sarebbe ritornata alla base in meno di mezz'ora, magnifico. Si diresse sicura verso la porta, pronta a scassinarla, quando si ritrovò una lama alla gola che sventò ogni suo piano.
    L'avevano trovata, e a giudicare dalle voci erano almeno tre. Ciò implicava che anche all'interno dovevano esserci dei soldati a guardia del principino. Forse non sarebbe stato veloce come credeva.
    "Merda."

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    mutaforma demoniaco (aquila) - aria - 19 anni - scheda - libra sun, leo moon, aries rising

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    « Every flight begins with a fall »

    Nel suo immaginario, Izar si figurava la casa degli
    Al Nair come un castello stregato e cadente, con un cimitero al posto del cortile e statue di gargoyle ovunque. Beh, ci era andato vicino. La costruzione ricordava una fortezza dei tempi andati, ed era in palese stato di abbandono. Lui e il tutore superarono il cancello, già aperto e privo di serratura, e passarono in mezzo a siepi di rovi incolte. La mancanza di sole rendeva tutto più tetro, come se l’umore del mutaforma non fosse già abbastanza nero. « Me ne voglio andare » dichiarò, fermo davanti al portone d’ingresso.
    Samael gli diede una pacca sulla schiena, ma non disse nulla. Capiva il suo stato d’animo.
    Arrivò ad accoglierli una donna di indubbia bellezza, con lunghissimi capelli corvini e la pelle d’alabastro.
    Izar vide il suo tutore raggelarsi per qualche istante, prima di inchinarsi per salutare. Di solito era molto più sciolto in presenza delle femmine, questa rientrava nei suoi canoni. Bastò un’occhiata per capire che i due si conoscevano, e non correva buon sangue tra loro.
    « Ilya, che piacere rivederti » disse Samael, da perfetto gentiluomo. Lei lo liquidò con un cenno della mano, e il ragazzo notò che possedeva un sacco di anelli color smeraldo. « Il figlio di Madina, immagino ».
    Izar si sorprese nel sentire il nome della madre. Pensava che tutto, in quella casa, ruotasse attorno all’egocentrico Izarhaya. Il Demone dai capelli rossi annuì, spingendo il protetto avanti. « Sì, proprio lui.
    Ci assomiglia, vero? ».
    Ilya lo guardò con la stessa compassione che si riserva a un cane randagio, prima di procedere oltre. I suoi occhi dicevano chiaramente che no, non le assomigliava affatto.

    Dopo il caloroso benvenuto, Ilya fece strada ai nuovi arrivati attraverso una serie di corridoi larghi e spogli, privi di qualsiasi soprammobile. Izar notò un quadro appeso alla parete, macchiato di vino. Ritraeva una donna seduta di spalle che ammirava il tramonto.
    Forse l’autore voleva renderlo suggestivo, ma il colore rosso sangue del sole e i vestiti neri di lei gli conferivano un’aspetto macabro. Non incontrarono anima viva, fino a che giunsero davanti ad una porta raffigurante una sorta di drago scheletrico inciso nel legno. Doveva essere il simbolo del casato.
    La loro guida entrò, scambiò poche parole con qualcuno e fece segno a Samael di entrare. Izar non riusciva proprio a guardarlo in faccia, nemmeno fosse brutto come la fame. Poco male, al ragazzo andava benissimo così. Il difficile arrivò quando la porta si aprì, e il mutaforma si ritrovò davanti alla cosa che più odiava al mondo. Si era preparato per quell’incontro.
    Sapeva esattamente il numero di cose che voleva rinfacciargli, e gli insulti pensati per lui durante il volo a Sodony. Izarhaya stava in piedi, dietro ad una scrivania colma di libri e fogli sparsi ovunque.
    Nella stanza regnava il caos. L’uomo che la legge etichettava come “suo padre” era alto, anche più di Samael, ma privo di muscoli. Nel complesso sembrava solo una persona malaticcia e denutrita. Le occhiaie cerchiavano un paio di iridi verdissime, più tendenti al giallo rispetto a quelle di Izar, e non lasciavano spazio al bianco della cornea.
    Teneva le ali ripiegate sulla schiena, alle quali mancavano diverse piume.
    Per un secondo rivide sè stesso in lui, poichè la somiglianza era innegabile, ma sperò di non fare mai la sua fine. Izarhaya inclinò il capo di lato e sbattè le palpebre, curioso. Non doveva ricordare molto del suo pupillo, dato che Samael glie lo aveva strappato dalle braccia quando aveva solo quattro anni.
    « Sei cresciuto ». Un commento scontato, al quale il mutaforma non rispose. Izar si limitò a guardarlo in cagnesco, le mani affondate nelle tasche. In quella sinistra stava il portachiavi di Altayr, una sorta di monito per ricordare che c’era di meglio, fuori da quel posto.
    « Beh, crescere significa anche questo: prendersi delle responsabilità » aggiunse, la voce arrocchita come se non parlasse da giorni. Spostò i capelli su una spalla, legati malamente in una coda bassa, e si mosse dalla scrivania per salutarli.
    Fu Samael ha rompere il ghiaccio. « Ti assicuro che Izar è sempre stato molto responsabile. Condurre un casato sarà roba da niente per lui ».
    Izarhaya fece un mezzo sorriso di scherno, dopo aver osservato da capo a piedi il figlioletto. Non aveva nessuna considerazione di lui, chiaramente.
    « Siamo rimasti in pochi, Samael. Abbiamo bisogno di qualcuno che risollevi le sorti degli Al Nair, niente giochetti da bambini ». Ad un passo da Izar, l’uomo-corvo gli afferrò il mento tra pollice e indice, alzandolo verso di lui. Il ragazzo rabbrividì per la repulsione, ma non abbassò lo sguardo. « La sfortuna ha voluto che tu fossi il mio unico erede, impuro, per giunta. Sii obbediente e fa quello che ti viene detto, intesi? ».
    Il pugno che ricevette non fu abbastanza forte da farlo cadere, eppure Izarhaya indietreggiò di un buon metro,
    i denti scoperti e le ali dispiegate. Samael si mise in mezzo appena in tempo per evitare al protetto una fiammata mortale.
    « Toccami ancora, vecchio pazzo, e ti distruggo » ringhiò Izar, non riuscendo più a contenere la rabbia che aveva represso fino a quel momento. Anche i suoi occhi erano vitrei, concentrati e spaventosi. Ancora qualche istante e le ali gli avrebbero strappato la maglietta.
    Una risata agghiacciante fece eco nello studio.
    « Si vede che ti ha cresciuto Samael. Se tu fossi rimasto qui, ora saresti sottomesso al mio volere ». Izarhaya guardò il Demone rosso con un sorrisetto divertito. « L’hai visto? Mi ha dato un pugno! ».
    Samael lo assecondò, mettendosi davanti al ragazzo a mo’ di scudo. Voleva evitare altri incidenti.
    « Ma sì, è il nostro modo di volerci bene ».
    Izar non era di quel parere. Nella mano destra stava caricando un turbine di vento, che fece svolazzare in giro gli appunti del padre. A fermarlo fu Ilya, rimasta in disparte fino a quel momento. Gli afferrò il polso in una morsa gelida, e lui rispose con un sibilo infastidito.
    « Vi mostro le vostre stanze ».
    Doveva essersi stancata del battibecco.
    Il mutaforma fu letteralmente trascinato fuori, mentre ancora il genitore rideva del suo patetico tentativo di rivolta. Sulla guancia non vi era nessun segno di contusioni.

    «Parlato» -Pensato-

    Izar Al Nair • Mutaforma demoniaco • Aria • 19 • Toro • Scheda
     
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    Il soldato sghignazzò dietro di lei, la lama premuta sulla gola. Sentì un altro uomo avvicinarsi lentamente, i suoi passi che affondavano piano nella ghiaia. La cacciatrice rimase sull'attenti, l'aggressore non sembrava volerla uccidere sul momento. Poteva ancora tentare qualcosa.
    Quando si puntava al pugnale al collo, la situazione diventava difficile: di solito, significava che avevi perso, era finita. Non per Altayr, per lei quella notte era appena cominciata.
    Strinse le labbra, e con la forza delle braccia riuscì ad allentare la presa del soldato, il minimo che bastava per abbassarsi. Nel farlo, la guardia aveva fatto pressione sulla gola, ed ora aveva un taglio superficiale dalla base del collo fino a sotto l'orecchio, ma non era un problema. L'uomo non aveva fatto in tempo a far penetrare la lama a fondo. A contatto con l'aria fredda le bruciava leggermente, ma finché si trattava di ferite epidermiche non c'era bisogno di preoccuparsi.
    Diede una ginocchiata allo stomaco allo stesso uomo che l'aveva ferita, per poi allontanarlo con un altro calcio ben assestato. Alzò lo sguardo per studiare la situazione: effettivamente erano tre, come aveva ipotizzato. Gli altri tentarono subito di fermarla, ma Altayr riuscì a schivarli per un soffio. Non erano di certo dei fuscelli, non poteva sperare di batterli in un combattimento corpo a corpo: la sua forza fisica era nulla in confronto alla loro, senza contare che erano in superiorità numerica.
    Si sfilò l'arco dalla schiena con un movimento veloce, e mirò alla guardia che stava caricando nella sua direzione a spada sguainata. La freccia lo colpì alla spalla, e quella dopo dritta al cuore. L'uomo cadde a terra a pochi metri da lei. Ne erano rimasti due. Li cercò con lo sguardo, ma il buio pesto non giocava propriamente a suo favore.
    Sentì dei passi alla sua destra, e fece appena in tempo a fare una capriola di lato per evitare un fendente che le avrebbe tagliato la testa a metà. Puntò subito la freccia sul soldato che l'aveva sorpresa, ma lui la intercettò con la spada senza grandi difficoltà.
    L'Aquila digrignò i denti. Sentiva il bisogno di concludere in fretta, non aveva tempo da perdere. Sguainò il pugnale, lanciandosi sull'avversario che la bloccò con la spada e le direzionò un sorriso di scherno, che le mandò il sangue al cervello. Fece scivolare la lama del pugnale su quella della spada avversaria per tutta la lunghezza, senza dover giocare di forza fisica, e gli affondò l'arma nel fianco fino all'elsa. Il soldato soffocò un grido di dolore, e l'Aquila gli rigirò la lama all'interno della ferita. Con la coda dell'occhio, notò la terza guardia venire verso di lei, perciò estrasse il pugnale dal fianco e tagliò la gola dell'uomo con un taglio veloce e preciso, senza esitazione, focalizzando poi l'attenzione sulla terza e ultima guardia.
    La colse di sorpresa, e non fu abbastanza veloce da riuscire a fermare la sua avanzata. Nel tentativo di bloccare l'attacco con la spada, il pugnale le sfuggì di mano, finendo a qualche metro dai suoi piedi. Poteva vedere il ghigno vittorioso dipinto sul volto dell'uomo, e la cosa non le piacque affatto.
    « Schifoso... » mormorò a denti stretti. Non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione.
    Evitò un altro fendente, che comunque le aprì una ferita sul fianco, per poi riprendere in mano l'arco, che aveva rimesso sulla schiena. Colpì con l'estremità dell'arma lo stomaco dell'uomo con tutta la forza che aveva in corpo, facendolo piegare in avanti, e approfittò del momento per assestargli un calcio in pieno viso, facendolo barcollare, ma non cadde. Quando si rimise dritto con il busto, non ebbe neanche il tempo di puntare lo sguardo sulla ragazza che si ritrovò a terra, gli occhi sbarrati e una freccia conficcata nella tempia.
    Libra abbassò l'arco, facendo un respiro profondo, e tastò la ferita con la mano. Le dita dei guanti erano coperte di sangue scuro che si confondeva con il nero del tessuto. La controllò: non sembrava nulla di rilevante, ma stava uscendo una quantità di sangue niente male. Si apprestò a prendere qualche benda dallo zainetto per tamponarla con del blando disinfettante, non poteva fare altro. Con la mano a tenere la pezza sul taglio, si rimise l'arco sulla spalla e andò alla ricerca del pugnale e delle frecce che aveva scagliato.
    I corpi morti, ormai, non le facevano più tanta impressione. Rispetto ai primi tempi, uccideva con una facilità impressionante. Qualche volta le veniva da pensarci, e lo trovava spaventoso a dirla tutta. Ma lei non sapeva fare altro, evidentemente. Era una sorta di macchina da guerra, e non sapeva se andarne fiera o considerarsi disumana.
    La ferita al fianco bruciava sempre meno, e si incamminò verso l'entrata della villa, vigile e facendo il meno rumore possibile. Aspettò che il sangue si fermasse prima di cominciare a scassinare la porta, in modo di avere le mani libere in caso di un attacco improvviso. Non aveva visto muoversi niente all'interno, possibile non si siano accorti di un intruso? Cosa doveva aspettarsi?
    Aprì piano la porta, buttando un'occhio all'interno: l'ingresso era un grande salone, illuminato dalla luce pallida della luna. In fondo, si diramavano un paio di scale, ma poi non riusciva a vedere oltre. Si chiuse la porta alle spalle e, con il pugnale in mano, aspettò che i suoi occhi si abituassero al buio prima di cominciare a cercare il principino da uccidere.
    L'ultimo combattimento l'aveva caricata di adrenalina, e doveva tranquillizzarsi. Se si fosse fatta guidare dalla rabbia e dall'istinto, probabilmente non ne sarebbe uscita viva. Appoggiò la testa al legno della porta, e prese un respiro profondo.
    Non era neanche il momento giusto per chiedersi come stava Izar. Doveva svuotare la mente da tutte le distrazioni, e quella sera sembravano più difficili da scacciare del solito.

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    Dopo due sole setimane di permanenza nella dimora
    Al Nair, fu abbastanza chiaro che nessuno prendesse sul serio la figura di Izar, che, dal canto suo, non faceva nulla per conquistare la fiducia altrui. Il ruolo dell'erede gli stava stretto. Doveva partecipare a riunioni noiosissime con altre casate di Demoni, tutte ugualmente schifate dalla sua presenza, gestire trattative ed amministrare il denaro. Una segretaria, insomma. Izarhaya, da quel che Samael diceva, era costretto a letto per una strana malattia, data dal dna che portava nel sangue. La sua parte demoniaca lottava contro quella di mutaforma, procurandogli emicranie, febbre alta e una conseguente pazzia incontrollata.
    Il figlio lo incrociava raramente, parlando con lui attraverso l'odiosa Ilya, che si occupava di guidare Izar nelle sue mansioni quotidiane. Grazie al nuovo lavoro, ebbe occasione di conoscere personalità di rilievo della società, ma si rese conto che gli Al Nair non contavano nulla in quella gerarchia di guerrieri. Lì si lottava per la supremazia, si uccideva, perfino. Samael ci teneva ai suoi allenamenti di scherma proprio perchè non fosse impreparato nel caso di un attacco. Ora più che mai, il Corvo rimpiangeva la sua vita tranquilla sulle montagne.
    Una notte, durante un incontro di rito con gli appartenenti al casato, gli fu comunicato che i Dunya, famiglia confinante, avevano mandato una richiesta di sfida per contendersi il territorio lungo la costa, di proprietà degli Al Nair. Izarhaya si era sempre tirato indietro davanti a quelle proposte, non potendo contare sulla sua salute, così come tutti gli altri. Da quando aveva perduto il suo potere, il capofamiglia non era più stato in grado di controllare l'esercito di Demoni che con tanta fatica si era costruito. Erano rimasti in pochi, troppo deboli per concorrere in quel genere di dispute.
    « Il primogenito dei Dunya è forte, ma lo sei anche tu » ricordò Samael al ragazzo, davanti agli sguardi attoniti dei presenti. « Se riuscirai a sconfiggerlo potrai riprendere un po' di credibilità ». Izar non aveva così tanta fiducia in sè stesso. Sapeva combattere, certo, però qui si parlava di un duello mortale. Era pronto a correre il rischio? Che volesse o meno, due giorni dopo si ritrovò al centro di una vecchia arena piena di macerie e pietre taglienti, con in pugno la sua fedele Heronblade e una buona dose di adrenalina. Samael non avrebbe mai permesso che lo uccidessero, e questo un po' lo rincuorava. Da una gradinata in alto, Izarhaya lo guardava con un misto di scherno e rammarico, affiancato dal capofamiglia dei Dunya.
    - Non posso credere che mi sto sacrificando per quel pazzo -, pensò, stretto nell'armatura di cuoio nero che lo proteggeva tanto quanto gli limitava i movimenti.
    Rowen Dunya, massiccio e dalla pelle color pece, lo studiava dal lato opposto del campo, mentre roteava un grosso martello come fosse fatto di piume. Si vedeva che non aspettava altro che infrangerlo sulla sua testa. Izar impugnò la spada e si piegò leggermente sulle ginocchia, rilasciando quel tanto di potere da fargli aguzzare i sensi e spuntare gli artigli. Non era permesso volare, ma avrebbe aggirato il problema, in qualche modo. « Dicono tutti che Izarhaya abbia un figlio debole. Provami il contrario, sangue misto, e potrei risparmiarti la vita » disse Rowen con un sorrisetto. Aveva dei denti affilati, come le corna che gli spuntavano dalle tempie. In fondo, Izar si piaceva così com'era. Non rispose alla provocazione, e i due iniziarono a rincorrersi in circolo con passi lenti e studiati. Il Corvo poteva vedere ogni mimino muscolo guizzare sulle braccia di lui, intercettava il suo sguardo ovunque si posasse.
    Poteva farcela. Quando Rowen caricò, il ragazzo sfruttò il potere del vento per saltarlo via e atterrargli alle spalle, colpendo di striscio la schiena. Sembrava fatto di diamante, quel maledetto Demone. Rowen lo atterrò con una gomitata allo sterno, tanto forte da togliere il fiato, e se Izar non fosse stato la saetta che era, quel martello si sarebbe abbattuto su di lui senza pietà. Il turbine di fuoco che il Demone gli gettò addosso avrebbe potuto sciogliere una montagna. Il Corvo fu costretto a rotolare nella sabbia per spegnere le fiamme che avevano intaccato l'armatura. Doveva pensare ad un contrattacco, e subito. Sfruttò l'agilità per riempire l'avversario di colpi diretti, schivando ogni mossa con uno sforzo immane, ma quando un pugno allo stomaco lo gettò a terra di nuovo, Izar non fu più in grado di controllare la rabbia. Le ali nere strapparono l'armatura, il corpo si riempì di un piumaggio color della notte, e le sue mani tramutarono in zampacce artigliate.
    Usò la magia dell'aria per raccogliere un ciclone che sollevasse ogni pietra circostante, e lo scagliò con violenza contro Rowen, incapace di proteggersi.
    Finì con la schiena contro la parete dell'arena, lasciandovi un solco. « Tu e le tue stregonerie! Non sei altro che una bestia maledetta! » urlò, livido di rabbia. Izar rispose con un gracchio sdegnato, incapace di produrre parole sensate. Non si era mai trasformato così a lungo, ed era una sensazione strana, alienante.
    Gli andò incontro tra mille folate d'aria, arrivando ad un soffio dal suo viso. Lo afferrò con la mano, piantando le unghie nella carne scura fino a farla sanguinare.
    Era appagante leggere il terrore negli occhi del Demone. « Io... non sono... debole » sibilò, la voce rauca. Premette la spada sulla gola, intenzionato a porre fine allo scontro in bellezza, quando delle braccia possenti lo afferrarono da dietro e lo trascinarono via. Samael non sembrava contento del risultato, per quanto lui avesse ineggabilmente vinto. « Facciamo una pausa, uccellino? Il signor Dunya vorrebbe riavere indietro suo figlio ».
    Izar si dibatté nella morsa d'acciaio, gracchiando come un corvo in trappola, mentre Rowen riprendeva fiato. Non era del tutto cosciente delle sue azioni, le parole gli arrivavano ovattate, la vista passava da momenti di lucidità a momenti di nebbia pura. L'ultima cosa che sentì, disteso a lato del campo, fu la voce melliflua di suo padre. « Beh, almeno in questo mi somiglia ».

    • • •

    Quando riaprì gli occhi, Izar sentì le ossa dolere come gli fosse franata addosso una montagna. Era nella sua stanza, una camera polverosa ai piani alti del palazzo, e il tutore dormicchiava al suo fianco. Se avesse avuto anche solo un briciolo di energia, il Corvo l'avrebbe spinto giù. « Che ci fai nel mio letto » biascicò, portando una mano sulla fronte.
    Samael sbadigliò sonoramente e si girò sul fianco per guardarlo. Aveva l'aria stanca, un sorrisetto tirato.
    « Hai blaterato per due notti di fila. Beh, più gracchiato, in realtà. Ti sono scomparse le ultime piume solo ieri ». Ecco spiegato il malessere. Tornare alla sua forma originaria non era mai semplice. « Ti manca la tua aquilotta, eh? ». Lui strabuzzò gli occhi, un leggero rossore sulle guance. « Ma di che cavolo parli? ».
    « Ogni tanto la chiamavi, e Ilya ha iniziato a chiedere chi fosse questa Altayr ». Perfetto, ora la dannata governante si metteva anche a ficcare il naso nei suoi affari. Il ragazzo sbuffò, confuso dalla marea di cose che gli erano capitate e che non riusciva a ricordare con chiarezza. « Ho vinto? » chiese infine.
    Samael annuì, una nota compiaciuta nello sguardo color ambra. « Oh, sì. Credo che i Demoni non si aspettassero una cosa del genere da un mutaforma.
    Mr. Dunya ha accettato la sconfitta con molta dignità, se non altro. Frignava come un bambino ».

    Izar sghignazzò, sorpreso dal potere che non sapeva di possedere, ma che gli sarebbe valso qualche bella rivincita sul padre miscredente. Dopo un istante di silenzio, in cui udiva solo il suo respiro accelerato e quello calmo del tutore, Izar disse:
    « Mi manca. Vorrei vederla ».
    « Sei proprio cotto, eh? » scherzò l'altro, dandogli una gomitata che gli procurò una fitta tremenda alle costole.
    « Ho paura di sì ».

    «Parlato» -Pensato-

    Izar Al Nair • Mutaforma demoniaco • Aria • 19 • Toro • Scheda
     
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    Altayr si rigirò il pugnale tra le mani, avanzando cautamente verso le scale che portavano al piano superiore. Aveva esplorato le stanze del primo piano, ma le camere da letto non erano lì. Non aveva incontrato nemmeno una guardia, cosa alquanto strana trattandosi di un nobile. Ci avrebbe scommesso il suo arco che la stavano aspettando al secondo piano. Percorse il corridoio ed entrò in un paio di camere, che si rivelarono essere vuote. Quando uscì dalla terza stanza, dovette saltare all'indietro per non farsi infilzare da una spada. La teneva in mano un soldato, e dietro di lui sembrava essercene un altro. Combattere in una stanza l'avrebbe penalizzata parecchio. Nessuno dei due sembrava comunque molto forte fisicamente, a contrario di quei tre che aveva affrontato in giardino. Non doveva però abbassare la guardia.
    Il tizio che l'aveva attaccata prima caricò verso di lei, e Altayr si abbassò per evitare il fendente, colpendo con il pugnale il polpaccio destro dell'uomo. Lui sembrò incassare bene il colpo, tanto che abbassò la spada sulla ragazza. La cacciatrice schivò il colpo con una capriola laterale e l'arma del soldato si conficcò a fondo nel parquet. Si rialzò in piedi con l'intento di prendere in mano l'arco, quando sentì un fitta al braccio destro. Abbassò lo sguardo, e vide la punta di una freccia conficcata a fondo nel muscolo, e Altayr sibilò a denti stretti. Il soldato più giovane, colui che prima si trovava alle spalle di quello che stava affrontando adesso, aveva in mano una balestra e una scorta di frecce. Si levò di scatto il dardo dalla carne, buttandolo a terra, e incoccò una freccia diretta all'uomo con la spada. Si andò a conficcare sulla sua spalla sinistra, e lui strinse i denti. L'Aquila fece poi finta di caricare, per poi spostarsi all'ultimo momento: l'azione funzionò, dato che il ragazzo tirò un'altra freccia in sua direzione, che però colpì il suo compagno alla gola, facendolo stramazzare sul pavimento.
    A pugnale sguainato, si buttò sull'arciere, piantandogli la lama in mezzo allo stomaco, Lo rivolse poi verso l'alto, in modo da procurargli un taglio profondo dal ventre fino alle clavicole. Nell'estrarre il pugnale, buttò il corpo del giovane sul muro, uscendo una volta per tutte dalla camera. Appena mise il piede fuori, un omone le venne addosso, buttandola a terra e allontanandola di una decina di metri. Alzò la testa, la vista appannata. Il soldato che l'aveva tramortita stava venendo di nuovo verso di lei, visibilmente intenzionato ad ucciderla una volta per tutte, e un brivido le percorse la schiena. Stropicciò gli occhi un paio di volte, e sgusciò via dalla presa della guardia rotolando sul pavimento e con una capriola all'indietro tornò in piedi, recuperando la distanza di sicurezza. Era stato un bell'azzardo, la testa le girava ancora un po' e il taglio sul braccio bruciava e perdeva sangue. Probabilmente anche la ferita al fianco si era riaperta, aveva cominciato a farle male sullo stesso punto.
    Il soldato accorciò con pochi passi la distanza che li separava e menò un potente fendente, e Altayr saltò al lato, ritrovandosi in bilico sul corrimano delle scale. Per evitare di cadere, scese alla svelta alle spalle del soldato e gli fece un taglio alla base della schiena, riuscendo a penetrare il blando rivestimento di cuoio. Non era una ferita profonda, ma bastò quella per mandarlo su tutte le furie. L'uomo cominciò a menare colpi all'aria con la sua spada, accecato dalla rabbia, tentando di colpire la mutaforma che continuava a evitarne uno dopo l'altro, sebbene con qualche difficoltà dato il luogo ristretto. All'ennesimo fendente andato a vuoto, la ragazza decise di contrattaccare: quando la spada fece per posarsi su di lei, Altayr si spostò solamente di un passo, in modo da avere il braccio dell'uomo a portata di mano. Lì, conficcò a fondo il pugnale nell'avambraccio dell'avversario, e approfittò della debolezza per appropriarsi dell'arma del soldato. Era più pesante di quanto si aspettasse, e con uno sforzo innato la alzò, disegnando un arco e colpendo la gola dell'uomo, che finalmente cadde a terra con un sonoro tonfo.
    Si accorse di avere il respiro pesante, e dopo aver recuperato il pugnale controllò le ferite: usciva sangue, e a causa di ciò si sentiva estremamente debole. Sperava di aver abbattuto tutte le guardie a quel punto: se ne fosse arrivata un'altra, aveva ben poche possibilità in quelle condizioni. Ora avrebbe fatto fuori il suo obiettivo e tanti saluti. Aveva bisogno di medicazioni e una sana dormita.
    Si avviò a grandi passi verso la porta in fondo al corridoio, lasciandosi alle spalle il massacro. All'interno non proveniva nessun rumore, quindi abbassò piano la maniglia. Ciò che trovò dentro la stupì: un uomo sulla trentina stava in mezzo alla stanza, tremante come una foglia, con una spada in mano che non sapeva come usare. Sulle labbra di Altayr si allungò un sorriso beffardo.
    « Cosa hai intenzione di fare, con quella lì? » disse, avvicinandosi lentamente.
    « Non ti avvicinare! » fece lui di rimando, cercando di nascondere il fatto che avesse una paura folle. Le mani cominciarono a tremargli ancora più di prima, anzi che l'arma non fosse ancora caduta per terra.
    « A-ah, vuoi uccidermi? » si rigirò il pugnale tra le mani come fosse una penna, e l'uomo inghiottì rumorosamente.
    « Ci si rivede all'inferno, amico. » Libra scattò verso di lui più veloce di una saetta, contando sull'ultimo briciolo di forza che aveva nelle gambe, e puntò al petto. Il principino non ebbe il tempo di dire nulla che la lama del pugnale affondò nel torace, aprendogli una fenditura che andava da una parte all'altra del torso. Lo guardò cadere a terra senza emettere un suono, il viso illuminato dalla luce della luna che entrava dalla finestra e il sangue che si spargeva sulla moquette.
    Fu lì che le mancò il respiro. Osmond Davis aveva gli occhi sbarrati, ma non fu quello a farle gelare il sangue nelle vene: aveva gli occhi verdi, e sotto la luce sembravano più chiari di quel che effettivamente erano. Altayr si portò le mani alla bocca, mentre il viso di Izar si sovrapponeva a quello della sua vittima, assumendo la stessa espressione.
    L'Aquila cercò il sostegno della parete e vi si appoggiò con tutta la schiena, gli occhi sbarrati.
    L'aveva ucciso lei. Era colpa sua.
    "Non è Izar, non è Izar!" si ripeté, e la sua stessa voce le sembrò così assordate che si tappò le orecchie con le mani intrise di sangue. Non riusciva a respirare, gli occhi che cadevano sempre sul corpo morto dell'uomo come fosse quello del Corvo.
    Era successa la stessa cosa durante una delle sue prime missioni, doveva aveva ricevuto l'incarico di uccidere una donna che sul momento le era sembrata sua madre. Da lì, gli incubi avevano cominciato a tormentarla ogni notte per qualche mese, e ogni notte uccideva Mira oppure Kevin.
    Ed ora Izar. Scosse la testa con forza, imponendosi di uscire da quella dannata villa il più in fretta possibile. Inciampò su un paio di cadaveri nella fretta, ma quando fu fuori la situazione non migliorò. Aveva impresso nella memoria lo sguardo senza vita dell'uomo e la figura di Izar al suo posto. Si conficcò le unghie nel palmo, soffocando il dolore delle ferite al braccio e al fianco, mentre correva verso la base dell'Associazione nel cuore della notte.

    ~

    Erano diverse settimane che dormiva due notti sì e una no a causa degli incubi ricorrenti. Sognava sempre la stessa cosa: lei che uccideva qualcuno. Il problema è che quel "qualcuno" cambiava ogni volta, e aveva le sembianze di una persona a lei cara. Sua madre, Shelia, Ethan, Izar. Si svegliava e non chiudeva più occhio, col battito a mille e il fiatone. Erano gli stessi sogni che faceva i primi tempi in cui era entrata a far parte della gilda e si faceva spaventare da corpi morti e sangue. Aveva paura anche adesso, paura che potesse accadere qualcosa a chi voleva bene. E il fatto che li uccidesse lei non la rincuorava affatto.
    Un pomeriggio però, durante i suoi soliti allenamenti, qualcosa avrebbe potuto migliorarle la giornata. Illuminò lo schermo del telefono per controllare l'ora, e notò l'icona del messaggio che lampeggiava al centro. Un sorriso le illuminò il volto, e si affrettò ad aprire. In un attimo, era come se tutto il peso che aveva sul cuore fosse svanito nel nulla. Izar le aveva scritto.
    "E' vivo." si disse, stupidamente, e digitò la risposta alla velocità della luce.
    « Chi abbiamo qui? » Shelia sbucò da dietro la sua spalla, e Altayr, d'istinto, nascose il cellulare alla sua vista.
    « Se fai così, la cosa è ancora più evidente, Claire. » le sorrise maliziosamente, e l'Aquila sbuffò.
    « Mi ha scritto, contenta? Torna ad allenarti, arrivo subito. »
    « Sei tu quella contenta, mica io. » fece Shelia, studiandosi le unghie con nonchalance. « Ti manca, eh? »
    Le guance di Altayr si imporporarono, ed evitò lo sguardo dell'amica tentando di nasconderlo. « Affatto. » rispose poco convinta, mentre Shelia continuava a guardarla insistentemente.
    « Un po'. » aggiunse alla fine Altayr sottovoce, superando l'amica e tornando alla postazione. Dietro di lei, Shelia scosse la testa. Per lei non c'era proprio alcuna speranza.

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    mutaforma demoniaco (aquila) - aria - 19 anni - scheda - libra sun, leo moon, aries rising

    So please ask yourself: "what would I do if I weren't afraid?" And then go do it.





    thank you mayucchi © code by rurucchi
     
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