Kiss the rain

titolo alternativo: "IT'S RAINING DRAMA" | Noel x Evelya | Nimit

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    17 marzo - sera

    Quella era stata proprio una giornataccia, non c'è che dire. La mattina l'aveva passata a litigare con Lyander, come sempre, a pranzo quella svampita della segretaria gli aveva rovesciato l'arrosto sul camice candido, mettendo in scena una sfuriata nel bel mezzo della mensa. Alla fine non aveva neanche mangiato. Il pomeriggio era trascorso all'insegna della noia: tutte le pazienti più logorroiche e antipatiche del suo tutore avevano preso appuntamento per quel pomeriggio. Alla fine del turno, poi, si era beccato un forte acquazzone e si era trovato costretto a tornare a casa a piedi, dato che l'autobus non era passato.
    Noel correva di tettoia in tettoia, ma ormai era bagnato tanto quanto un pulcino, le scarpe stracolme d'acqua e brividi di freddo a percorrergli la schiena. Si sarebbe preso un'influenza tremenda se non si fosse rinchiuso in casa sotto le coperte con un tè caldo.
    Era quasi arrivato alla piazza centrale di Nimit, e per fortuna l'appartamento che aveva affittato non era così lontano da lì. Cinque minuti circa e sarebbe arrivato, ce la poteva fare. Aveva anche una gran fame, a dirla tutta, visto che il pranzo era saltato e l'ora di cena era passata da un po'. Probabilmente nel frigo era rimasto un po' di formaggio, del prosciutto... Forse del pane? Si sarebbe fatto un panino: nulla di consistente, ma gli bastava mettere qualcosa sotto ai denti al più presto.
    Fece uno scatto per raggiungere una tettoia, cercando di prendere meno acqua possibile. Era di fronte al negozio di dischi in cui andava spesso da quando era arrivato nel continente ibrido, e una luce fioca attirò la sua attenzione. Sembrava provenire dall'interno del negozio, invece era un riflesso della porta a vetri. Si voltò, e notò che effettivamente un negozio era ancora aperto. Assottigliò lo sguardo, e notò numerose piante fuori dalla porta. Era un negozio di fiori, quello che ammirava dai finestrini dell'autobus ogni mattina. C'era ancora qualcuno, cosa inusuale per l'ora che si era fatta.
    Gli tornò alla mente l'incontro di qualche giorno prima con l'Angelo biondo, Evelya, che gli aveva rivelato di lavorare proprio lì. O almeno, era l'unico negozio di fiori vicino alla piazza di cui sapeva l'esistenza, il nome se lo era dimenticato.
    Senza pensarci, attraversò il viale di corsa, infilandosi sotto uno spiovente vicino alle piante. Ora che era lì vicino, sentiva anche del movimento all'interno.
    Si affacciò dalla porta, bagnato dalla testa ai piedi, e sorrise quando vide una testolina bionda fare capolino in mezzo a tutto quel verde.
    « Dlin dlon! » fece, imitando il suono di un campanello e presentandosi all'ingresso. Quando gli occhi di Evelya incrociarono i suoi le sorrise. « Sai che l'orario di chiusura è passato da un pezzo, sì? »
    Abitando nella stessa città, avrebbe potuto anche andare a trovarla prima, ma detta sinceramente non gli era mai passato per la testa. In quel momento però, era contento di averla trovata. Non pensava potesse rivederla in una giornata uggiosa e storta come quella, e probabilmente neanche lei si era immaginata di ritrovarselo alla porta quella sera.
    « Che ci fai ancora qui? » le chiese, camminando a passi lenti e con lo sguardo per aria, ad ammirare i fiori. Quel negozio era strapieno di piante, non c'era un solo punto vuoto. Era come essere in una foresta, o giù di lì.

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    Edited by ×naøko - 26/2/2016, 22:21
     
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    L'ennesima folata di vento misto a pioggia spazzò via la terra dai vasi, riversandosi sul selciato davanti ad Annery.
    Marzo era il mese più difficile per il negozio di fiori, perchè insieme alle nuove sementi arrivavano anche gli acquazzoni,
    e molte delle piante stavano all'aperto, sul ciglio della strada. In situazioni come quelle, Evelya poteva sempre contare sull'aiuto della titolare per mettere al riparo la merce in negozio, ma proprio quel giorno si erano dati tutti per malati. L'Angelo trascinò dentro la palma nana che tenevano vicino al cartello di benvenuto, pesantissima e con le foglie taglienti, poi guardò ciò che restava da mettere in salvo:
    uno, due, tre... quattro vasi grandi e qualche piccolo ibisco. Poteva farcela, anche se fradicia dalla testa ai piedi e con le tempie doloranti. Il suo potere l'aveva avvertita del mal tempo imminente, per fortuna, ma non era stata abbastanza svelta. Come se non bastasse, la mattina aveva scelto di indossare una semplicissima t-shirt verde acqua e dei pantaloncini corti, coperti dal grembiule che usava per lavoro. Il clima a Nimit non era mai troppo freddo, e l'ultimo periodo era stato pieno di belle giornate, quindi non aveva tenuto conto dell'eventualità che il temporale potesse abbassare la temperatura. Mentre potava dentro la seconda palma,
    Evelya guardò l'orologio a muro, scoprendo che erano passate le otto di sera da un bel pezzo. In effetti, i negozi lì attorno avevano abbassato le saracinesche da un bel po', rendendo la via quasi buia e stranamente poco trafficata.
    - Devo sbrigarmi a tornare. Shedir sarà in pensiero -.
    L'ultima cosa che voleva era far preoccupare il cugino, quindi soffocò l'ennesimo starnuto e si fece coraggio.
    Asciugò i capelli con un panno, arruffandoli con poca grazia, e impugnò i guanti da lavoro. Il ficus rimasto sembrava leggero, eppure nascondeva un sacco di radici.
    « Dlin dlon! ». Si voltò di scatto, spaventata, quando una sagoma altissima si affacciò all'ingresso. Alla luce fioca delle lampade riconobbe una capigliatura familiare, rossa e brillante di pioggia. Un sorriso spontaneo le spuntò in viso.
    « Sai che l'orario di chiusura è passato da un pezzo, sì? ».
    « Mh mh, devo mettere al riparo le piante, altrimenti... etciù! ». Per quanto avesse tentato, Evelya non riuscì a bloccare lo starnuto, e il sorriso di gioia si trasformò in imbarazzo. Spiegò al ragazzo la situazione, avvicinandosi. Quando vide che anche Noel era completamente zuppo le prese un colpo. « Oh no, come hai fatto a ridurti così? » chiese, apprensiva. Sebbene non fosse il massimo dell'igiene per i suoi standard, l'Angelo recuperò il panno con cui si era asciugata per passarlo sui capelli di lui, alzandosi sulle punte dei piedi. Ringraziò segretamente di poterli ammirare così da vicino, sebbene anche il suo viso fosse ad una distanza imperdonabile da quello del Demone. Non appena si accorse che le iridi viola erano a un soffio dalle sue si ritirò immediatamente, porgendogli il panno. « Ehm... tieni, anche i dottori si ammalano, giusto? ». Un tuono esplose nel cielo, e per un attimo le lampade sfarfallarono sopra le loro teste. Evelya guardò l'ultimo vaso che l'aspettava, ma la vista gli giocava brutti scherzi. Era tutto sfocato. Forse l'influenza aveva preso anche a lei, alla fine. « Se vuoi possiamo aspettare qui finchè non smette. Devo solo riportare dentro l'ultimo supersitite » disse, indicando la pianta in questione. Era contenta che ci fosse Noel lì con lei, soprattutto perchè non sperava più di incontrarlo, ma lo desiderava tanto.
    In tutto quel trambusto, la sua presenza era calda e rassicurante, proprio come ricordava.

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    Evelya accolse il giovane con un sorriso, e fu come un raggio di sole in mezzo a tutto quella pioggia, e fu come se la giornata passata all'insegna del malumore potesse concludersi al meglio. Magari la gentilezza dell'Angelo era proprio quello che gli ci voleva.
    La prima cosa che notò fu che anche la ragazza era fradicia dalla testa ai piedi, proprio come lui. Anche lei a quanto pare era rimasta fuori a prendere la pioggia, e lei si affrettò a spiegargli la situazione: stava portando dentro tutte le piante che erano all'esterno per metterle al riparo dall'improvviso acquazzone. Se non si sbagliava, fuori dal negozio c'erano sempre molti vasi, probabilmente era stata una faticaccia. Non sembrava esserci nessun'altro oltre a lei, aveva dovuto fare tutto da sola.
    Lo starnuto di Evelya lo mise in allerta: non solo si era presa un bel po' di pioggia, ma era anche vestita leggera quel giorno e il vento freddo che tirava non contribuiva di certo a farla stare meglio.
    « Oh no, come hai fatto a ridurti così? »
    Al Demone venne da sorridere. « Splendeva il sole e mi è parso una buona idea farmi una passeggiata. » scherzò, quando l'Angelo passò tra i suoi capelli un panno, per tentare di asciugarglieli. Il ragazzo abbassò la testa e inclinò leggermente il busto in avanti, in modo da fargliela raggiungere un po' più facilmente, e notò che si era messa in punta di piedi. Sulle labbra di Noel nacque, di nuovo, un sorriso spontaneo. Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi luminosi di Evelya, il volto vicino al suo.
    « Gentilissima. » esclamò, e se non si fosse allontanata alla velocità della luce probabilmente le avrebbe dato un buffetto sul naso senza neanche pensarci. Il panno rimase nelle sue mani, e diede un'ultima asciugata ai capelli prima di farselo cadere su una spalla. Il temporale non sembrava volerne sapere di finirla lì. A Nimit era sempre un po' più caldo e soleggiato rispetto alle altre città del Ludh Epnet, e quella settimana le temperature si erano alzate leggermente, annunciando la primavera. La pioggia aveva colto tutti impreparati, non ci voleva. Controllando il fuoco, la sua temperatura corporea era un po' più alta del normale e riusciva a scaldarsi in questi casi, ma non era lo stesso per Evelya che tentava di soffocare ogni starnuto.
    « Ci penso io » sospirò Noel, lasciandole l'asciugamano in mano e dirigendosi verso la porta. Sì, insomma, non poteva mica far finta di nulla: la ragazza era ridotta male, quindi avrebbe fatto il lavoro sporco. Si trattava di un vaso grande, in fondo, poteva farcela benissimo. Si calcò il cappuccio sulla testa - come se potesse servire a qualcosa - e uscì fuori di corsa. Tirò su il vaso senza tanti problemi - gli allenamenti estenuanti con la spada erano serviti a qualcosa - e lo portò dentro più veloce che poté. Non aveva preso chissà quanta acqua, ma i suoi capelli erano di nuovo bagnati come prima che li asciugasse. Appoggiò la pianta vicino all'ingresso, senza starci tanto a pensare.
    « Non credo smetterà tra qualche minuto. » rifletté poi, passandosi una mano tra i capelli e scuotendo la testa per eliminare un po' d'acqua, come facevano i cani dopo il bagno.
    « Ergo » stavolta mise lui l'asciugamano sulla testa di Evelya. « Restando qui prenderai solo freddo e peggiorerai le cose. E' fuori discussione. »
    Okay, la parte del galantuomo l'aveva impersonata. Ed ora? No che non poteva lasciarla lì, non scherziamo. Ma allora cosa poteva fare?
    "Beh, c'è casa mia..." pensò subito, ma la ragazza avrebbe sicuramente pensato fosse un poco di buono. Persino un tipo impulsivo come lui era capace di realizzare che sarebbe stato in qualche modo esagerato. Per lui non c'era nessun problema, era preoccupato che lei ne avrebbe potuto fare un dramma.
    « Se abiti qui vicino posso accompagnarti. » propose. Era sicuramente la cosa più ragionevole da fare. Ma il termine "ragionevole" non esisteva nel vocabolario di Noel: aveva mai fatto qualcosa di ragionato nella sua vita, pensandoci su per più di venti secondi? Quella non sarebbe stata sicuramente la prima.
    « O altrimenti, la mia è a pochi metri da qui, e posso offrirti qualcosa di caldo. » sorrise. « A te la scelta, Angioletto. Sappi solo che non resteremo qui. » E incrociò le dita nelle tasche, sperando che casa sua fosse più vicina di quella di Evelya. Era così egoistico desiderare di averla per sé ancora per un po'?

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    Da bravo ragazzo quel'era, Noel si offrì di riportare dentro il ficus che tanto la spaventava per il suo peso, così Evelya potè riposarsi per qualche istante. Non si ammalava facilmente
    (al castello era impossibile, con tutte le premure che le riservavano), quindi era strano per lei affrontare un'influenza da sola. Non aveva idea di quali medicinali usare, o se Shedir avesse già qualcosa in casa. Al ricordo del cugino si affrettò a recuperare il cellulare, bagnando lo schermo con le gocce che le cadevano dai capelli. Il suo ultimo messaggio risaliva alle 18.00, dove le diceva che alla libreria si stavano occupando dell'inventario e sarebbe rincasato molto tardi. Di solito le dava un passaggio lui, oppure prendeva un autobus, ma da quando era iniziato il tifone non ne aveva visto passare nemmeno uno. Dovevano aver sospeso il servizio per maltempo. Si portò una mano sulla fronte bollente, sospirando. Magari avrebbe potuto chiedere consiglio a Noel riguardo ai farmaci. Lo vide rientrare e posare il vaso all'entrata con estrema facilità, come se non pesasse nulla. Beato lui, che poteva fare affidamento sulla sua forza e non su quella degli altri. Un bel vantaggio. « Non credo smetterà tra qualche minuto » disse, mentre si scompigliava i capelli grondanti di pioggia. Da bagnati erano più scuri, tendenti al mogano piuttosto che al rosso cremisi, ma comunque bellissimi. « Ergo, restando qui prenderai solo freddo e peggiorerai le cose. E' fuori discussione. »
    Ovviamente Evelya era d'accordo su quel punto. Sebbene il negozio fosse riparato, il riscaldamento non poteva superare una certa temperatura per non nuocere alle piante, e non era il luogo più accogliente dove curare un'influenza. Le serviva un bel bagno caldo e tante, tante coperte. Iniziava già a sentire i brividi di freddo. Il Demone si offrì di accompagnarla a casa, che equivaleva ad una passeggiata di circa venticinque minuti sotto la pioggia. Alla ragazza piaceva camminare, e amava l'acqua in tutte le sue forme, però al momento non era una buona idea prenderne troppa. « Purtroppo casa mia è distante. Prenderei l'autobus, se ne passasse uno... ».
    « O altrimenti, la mia è a pochi metri da qui, e posso offrirti qualcosa di caldo. » La biondina si fermò con l'asciugamano sulla testa, le mani a sorreggerlo mentre ponderava sulla proposta. La prima notte a Nimit l'aveva passata nell'appartamento di Arthur, un ragazzo altrettanto gentile che le aveva offerto riparo quando più ne aveva bisogno.
    Il problema era che lui e Noel erano due personaggi totalmente opposti, e per qualche strana ragione, vicino al Demone si sentiva tanto sicura quanto in soggezione. Insomma, era un medico (beh, quasi), aveva più anni di lei e apparteneva ad un casato di esseri demoniaci di chissà quale rango. Gli avrebbe arrecato un gran disturbo, e, di fatto, non le doveva alcun favore. Si conoscevano da poco, non erano amici di vecchia data che si scambiavano favori a vicenda.
    Usò l'orlo dell'asciugamano per coprire la metà del viso che, un po' per la febbre, un po' per la vergogna, doveva essere arrossita. Rimasero scoperti solo gli occhi, lucidi e leggermente arrossati.
    « I-io... accetterei volentieri il tuo invito, ma temo che sia molto maleducato da parte mia. Insomma, sarai stanco, avrai altre cose a cui pensare ». Noel non possedeva la stessa aura "angelica" di Arthur, ma si fidava di lui a prescindere, forse per abitudine. Infilò una mano nella tasca del grembiule da lavoro, sui cui la titolare aveva fatto cucire il suo soprannome, Evie, per facilitare le cose ai clienti, e ripescò il telefono che aveva sentito vibrare giusto in quel momento.
    - Sono a metà dell'inventario. Riesci a prendere un autobus? -. Shedir era un'altra persona a cui avrebbe dovuto regalare un castello intero, tanto era paziente con lei. Alzò lo sguardo per incontrare quello di Noel, fermo e deciso.
    « Resterò solo un pochino, allora, se non ti crea disturbo. Grazie di preoccuparti per me, sei troppo gentile ». disse con un timido sorriso. Nessuno della sua famiglia avrebbe mai definito gentile un Demone, segno che si stava liberando della loro influenza. Tolse il grembiule, appeso insieme a quello dei suoi colleghi lungo la parete, e controllò di aver spento tutto quanto prima di chiudere il negozio alle spalle. Per fortuna qualche cliente aveva dimenticato un ombrello, che era sempre meglio di niente. Evelya lo aprì, costretta a stendere il braccio per poter coprire anche la testa di Noel.
    « Non ho mai conosciuto una persona alta come te » scherzò, ridendo della sua misera stazza. I suoi fratelli erano dei giganti in confronto a lei, si sentiva sempre la nanerottola della situazione. Starnutì di nuovo (con la grazia di una signorina per bene), e guardò con apprensione la strada deserta. Alcuni lampioni si erano spenti a causa del temporale, che ora si stava allontanando verso le montagne. Se non fosse stato per Noel, accanto a lei, non avrebbe fatto nemmeno un passo fuori dalla porta di Annery.

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    « Purtroppo casa mia è distante. Prenderei l'autobus, se ne passasse uno... »
    No, ma non mi dire così. E lontana? Diamine, questa proprio non ci voleva. Bisognava ricorrere ad un'altra soluzione, allora. Peccato però, davvero un peccato.
    Noel dondolò sui talloni, le mani in tasca e trattenne un sorrisetto. Non sapeva spiegare bene il perché ci tenesse tanto. Forse perché era una ragazza carina? Non solo. La sua compagnia era piacevole, nonostante tutte le differenze, anzi, forse era proprio per quello che gli piaceva trascorrere del tempo con lei. E poi doveva approfittarne: non sarebbe rimasto a Nimit in eterno.
    La risposta di Evelya alla sua proposta fu come un fulmine a ciel sereno: pensava di avere la vittoria in tasca, e invece.
    « Ti ho invitato io, non c'è nessun problema. » la rassicurò lui sorridendole, tentando di rimanere composto. Ma non avrebbe rinunciato così facilmente. Un ultimo tentativo.
    « Anche perché non hai molta scelta. Hanno sospeso il servizio autobus. » sollevò lo sguardo verso l'alto, come a voler fare l'innocente. Con questa sperò di averla convinta, e abbassò lo sguardo su di lei per analizzare eventuali reazioni. La ragazza prese il telefono dalla tasca del grembiule, e notò solo allora che non c'era scritto "Evelya". Assottigliò lo sguardo, e lesse "Evie". Evidentemente era il suo diminutivo. Gli suonava stranamente bene, non come gli orribili soprannomi che gli dava suo fratello maggiore.
    « Resterò solo un pochino, allora, se non ti crea disturbo. » Bingo. Ce l'aveva fatta e ne era estremamente soddisfatto.
    « Probabilmente sarò io a darti fastidio. » rise, uscendo dal negozio al fianco della ragazza. La biondina aprì un ombrello, e le fu difficile riuscire a coprire anche lui. Forse la prima volta non ci aveva fatto granché caso, ma effettivamente Evelya era molto più bassa di lui, e la cosa lo fece sorridere. Le prese l'impugnatura dell'ombrello dalle mani, in modo che nessuno dei due stesse scomodo durante il tragitto. Si lasciò sfuggire un "Molto meglio", per poi cominciare a camminare verso la piazza a passo con l'Angelo. A vederli dall'esterno dovevano essere proprio una strana accoppiata, ma quella sera non c'era nessuno in strada. La pioggia continuava imperterrita a cadere, e le folate di vento si facevano sempre più gelide. Abbassò lo sguardo su Evelya, ricordando che aveva le gambe scoperte. Seppur i lampioni non illuminassero a giorno le strade, era un po' troppo pallida per i suoi gusti nonostante non volesse darlo a vedere.
    Senza pensarci un attimo, le appoggiò la mano sulla fronte. Pensava fosse un semplice raffreddore o poco più, ma la fronte scottante faceva intendere ben altro.
    « Ce la fai ad aumentare il passo? Siamo quasi arrivati. » le chiese, imboccando una stradina laterale, per poi svoltare alla fine di essa. Cercò le chiavi nella tasca, tenendo sott'occhio Evelya. Doveva ancora avere le tisane che gli aveva dato Oliver un paio di giorni prima, e nell'armadio ci sarebbe dovuta essere qualche coperta. Il portone si aprì, mostrando il salone. La maggior parte delle case a Nimit erano dipinte di bianco, per donare luminosità all'ambiente, e dotate di grandi vetrate. Il suo appartamento era piccolo: salotto e camera da letto erano praticamente la stessa cosa, e c'era una piccola cucina e il bagno poco più in là. Un buco in poche parole, ma per due mesi andava più che bene.
    Noel aiutò la ragazza a distendersi sul divano, poco importava che fosse bagnata, e le fece segno di aspettare. Recuperò un paio di coperte, e gliene mise sopra una. Sul comodino aveva lasciato il termometro, e glielo passò in modo che potesse misurarsi la febbre.
    « Ti lascio qualcosa per cambiarti qui, quando te la senti puoi andare in bagno. » esclamò, appoggiando un maglione e un paio di pantaloni della tuta sul tavolino di fronte a lei. Le sarebbero stati grandi, poco ma sicuro, ma almeno erano asciutti e caldi.
    « Torno subito, vado a prepararti una tisana. » gli sorrise, dirigendosi in cucina. Era diventato praticamente una trottola. Stava correndo da una parte all'altra della casa affinché Evelya potesse stare leggermente meglio. Era il suo istinto da medico che si manifestava.
    Attese vicino ai fornelli, e si appoggiò al piano della cucina. La gamba cominciava a dargli fastidio. Era rimasto in piedi più del dovuto, senza mai sedersi, ed ora cominciava a risentirne. L'area di contatto gli bruciava, e appena porse la tazza fumante alla ragazza si sedette sulla poltrona affianco a lei, tirando un sospiro di sollievo.
    « Non ti ho dato il benvenuto nella mia umile dimora. » disse, sorridendo di nuovo. Il rumore della pioggia era in qualche modo rilassante, e conciliava il sonno. Ma Noel restava vigile: non solo perché aveva qualcuno in casa, ma perché quel qualcuno era Evelya. Non riusciva a smettere di sorridere.

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    Il Demone si offrì di portare l'ombrello, scelta ovvia data la sua altezza, e Evelya potè concentrarsi sui passi da fare per non cadere a terra, tra mille pozzanghere. Le girava la testa, ora molto più di prima, forse a causa del tempo impervio e l'aria fredda. Non riuscì a fare la conversazione che avrebbe voluto, e quando la mano di Noel le si posò sulla fronte, ebbe conferma dei suoi sospetti. Scottava, specie se a confronto con la pelle fresca di lui. Le chiese se riusciva ad accelerare il passo, e lei fece del suo meglio per non essere d'intralcio. Evidentemente erano vicini alla meta. Evelya rimase imbambolata per alcuni istanti sulla porta d'ingresso del piccolo appartamento, dimenticando per un istante l'influenza e i vestiti zuppi: ariosa ed essenziale, rappresentava lo standard delle case di Nimit, costruite in modo da sfruttare la luce naturale per tutto l'anno. Peccato che fuori imperversasse una tempesta. L'Angelo accolse con piacere l'aiuto del rosso a prendere posto sl divano, tra mille proteste sul fatto che lo stesse bagnando e che fosse una pessima ospite. A Noel quelle cose non interessavano. Si mise a raccattare l'essenziale per metterla a suo agio, con coperte, un cambio d'abito e mille rassicurazioni. La fanciulla si sentì tremendamente in debito, e mentre attendeva che il termometro annunciasse il suo verdetto, pensò a come poteva ripagarlo di tanta gentilezza. Fiori? No, non erano adatti ad un uomo. Un dolce, magari, ma era una frana in cucina. « Oh, trentotto... » mormorò, il numerino che lampeggiava sul display. Spiegava il mal di testa e il dolore alle ossa. Accolse con piacere l'idea di liberarsi degli indumenti bagnati, e con qualche passo incerto si diresse verso il bagno (dopo aver detto grazie almeno tre volte). Ebbe poco tempo per dare un'occhiata in giro, sorpresa di quanto fosse vuoto e anonimo. Noel doveva essere lì da poco. Sostenendosi con una mano sul lavandino, Evelya tolse la t-shirt e i pantaloncini, sentendosi estremamente a disagio all'idea di essere in intimo in casa di uno sconosciuto. E non uno sconosciuto qualunque, un Demone decisamente affascinante. Intonò un piccolo incantesimo per farsi scivolare l'acqua di dosso, che piovve in piccole gocce sul tappeto come fosse appena uscita dalla doccia. Nel riflesso dello specchio, la biondina aveva il volto arrossato, gli occhi lucidi e i capelli arruffati, il ritratto della stanchezza. Recuperò un elastico dalla tasca dei pantaloncini e si fece uno chignon alto, più decoroso, prima di indossare i vestiti che Noel le aveva prestato. Infilò i pantaloni, e quelli scivolarono giù immediatamente. Sebbene fossero elasticizzati, la sua vita era troppo stretta per sostenerli. Provò allora con la felpa, che ricadeva fino a metà coscia e la rendeva simile ad un sacco di patate. Calcolò che non fosse tanto più corta degli short che indossava prima, quindi decise di usarla a mo' di vestito. Rimanere con le gambe nude era una pessima idea, ma pensò alle coperte sul divano, che avrebbero fatto bene il loro dovere. Vi sgattaiolò sotto prima che il Demone facesse ritorno, affondando nella morbidezza del divano e beandosi del tanto agognato colore. La felpa odorava di bucato e di profumo da uomo, lo stesso che sentiva in giro per casa. Il ragazzo arrivò poco dopo, una tazza fumante tra le mani, e prese posto sulla poltrona accanto.
    « Ti ringrazio » disse lei, assaporandone il tepore.
    « Non ti ho dato il benvenuto nella mia umile dimora. »
    Evelya sorrise. « E' davvero bella. Mi piacciono le case piccole. Ho sempre vissuto in un castello pieno di stanze ».
    Si interruppe, notando come la febbre la facesse straparlare. « Sono stata davvero fortunata ad incontrarti.
    Ancora non ci credo ».
    Doveva essere stata la sua buona stella a condurlo da lei. Solo allora notò la spossatezza sul viso del rosso, ed iniziò a temere che si fosse ammalato a causa sua. Sarebbe stata una cosa imperdonabile. « Ti senti bene? Forse dovresti indossare qualcosa di asciutto... » suggerì, mentre sorseggiava con calma la tisana dal gusto balsamico e rinvigorente. Bastò a riaprirle i polmoni, e una volta terminata sentì di avere improvvisamente un gran sonno. L'influenza le aveva tolto tutte le energie. Se avesse potuto riposare per un po', magari... Gli occhi si chiusero contro la sua volontà, ed Evelya scivolò in un sonno leggero, per nulla intimidita dalla presenza di un uomo nella sua stessa stanza.

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    Evelya lo aveva ringraziato, in mezz'ora, quante volte? Non le aveva contate, ma era sicuro che erano state un bel po'. Da quando era entrata nel suo appartamento, "grazie" e derivati vari erano state le uniche parole che sembrava in grado di rivolgergli. Quando gli sedette accanto, non poté fare a meno di notare lo sguardo stanco e l'incarnato pallido della ragazza. Mentre beveva la tisana, lo sguardo cadde sul termometro, e riuscì a leggere il numero prima che si spegnesse. Trentotto. Sperava si trattasse di una febbre passeggera, ma a quanto pare non sarebbe tornata a nuova vita la sera stessa. Doveva riuscire ad abbassargliela almeno un po', così poteva riportarla a casa prima che si facesse troppo tardi.
    Evelya sorseggiava la tisana a piccoli sorsi e nel mentre parlava, la voce impastata dal sonno. Noel stette ad ascoltarla, la schiena incurvata in avanti in modo da riuscire a guardarla in viso. Aggrottò le sopracciglia quando udì la parola "castello". Con ciò intendeva un vero e proprio castello? Da quel che sapeva, solamente famiglie di alto rango - molto alto - potevano permettersi una dimora del genere. La gente appartenente all'alta borghesia o alla piccola nobiltà, come lui, risiedevano in ville, ma mai castelli. Era forse una nobile? Questa teoria non era da scartare: la prima volta che si erano incontrati si era comportata in modo aristocratico - ecco, ora sapeva come definirlo. Ma d'altra parte, cosa ci faceva una principessa a Nimit? A lavorare, poi! Persone del genere non osavano sporcarsi le mani. Evelya gli appariva come una persona semplice e gentile, non aveva nulla a che fare con le ragazze spocchiose e viziate ai vertici della piramide sociale.
    Cadde dalle nuvole, abbandonando tutto il ragionamento di cui non riusciva a intravedere la fine, e sorrise alle seguenti frasi dell'Angelo.
    « Se dicessi di essere un Angelo custode suonerebbe abbastanza strano. » disse, stiracchiandosi all'indietro, e coprì il borbottio dello stomaco con un sospiro. Non aveva bisogno di guardare l'orologio per capire che l'ora di cena era passata da un po'. La mano cadde sulla protesi della gamba sinistra, che iniziò a massaggiare con movimenti lenti in modo da non farsi male da solo. A volte gli sembrava di star utilizzando la protesi da pochi mesi, quando invece erano passati anni da quel maledetto incendio.
    « Ti senti bene? » Noel si voltò verso di lei, e le indirizzò un piccolo sorriso. « Forse dovresti indossare qualcosa di asciutto... »
    « Non hai tutti i torti, effettivamente. » La ragazza aveva ragione, non ci aveva minimamente pensato, preoccupato com'era a raccattare il necessario per far star meglio Evelya. Si alzò dalla poltrona, dove si accorse di aver lasciato un alone bagnato a causa dei vestiti fradici, e si tolse le scarpe al volo, lasciandole vicino alla porta, per poi andare in bagno alla ricerca di un asciugamano con il quale asciugarsi i capelli. Sul calorifero, notò i pantaloni della tuta che aveva dato ad Evelya per cambiarsi. Gli spuntò un sorriso: a quanto pare erano davvero troppo grandi. Poi, un altro pensiero si fece largo nella sua testa.
    "Aspetta, questo significa che..."
    Prima che potesse formulare qualcos'altro, buttò l'asciugamano bagnato vicino al lavandino e si infilò i pantaloni che la ragazza non aveva messo, stando attento a non guardarsi allo specchio, recuperando poi una maglietta pulita dal bucato che aveva fatto un paio di giorni prima. Uscì dal bagno, dirigendosi subito verso il salone, ma con sua ben poca sorpresa scoprì che l'Angelo si era addormentato. Sorrise d'istinto, appoggiandosi al bracciolo della poltrona che fino a qualche momento fa era occupata dal ragazzo. Respirava piano e regolarmente, a quanto pare la tisana calda le aveva fatto bene. Evelya quasi spariva sotto la coperta, vi si era raggomitolata in cerca di calore, ma il visino angelico era illuminato dalla debole luce della sala - non aveva ancora cambiato quella maledetta lampadina. D'istinto, la mano di Noel si mosse verso il volto della ragazza, andandosi a posare su una ciocca sfuggita alla presa dell'elastico, e se la arrotolò delicatamente su un dito, tentando di non svegliarla.
    Chi era quella ragazza? Cosa c'entrava un castello, con lei? E tutte le maniere raffinate che adottava, doveva forse dargli importanza? Il Demone sospirò piano, spostandole la frangetta dalla fronte. Se ne era accorto anche al loro primo incontro, ma adesso che aveva la possibilità di osservarla con la dovuta attenzione, Evelya era bella, e lo ammise senza vergogna e senza impegno.
    "Torna coi piedi per terra, Noel."
    Alzò lo sguardo davanti a sé, lasciando in pace una volta per tutte la bella addormentata, e si diresse in cucina, non dopo aver spento la luce. Il ticchettio rilassante della pioggia e il buio fuori lo stimolavano a riflettere, quando invece avrebbe dovuto trovare un modo per contattare il cugino di Evelya - o il fratello? Aveva detto che viveva con qualcuno, comunque. Per lui non c'era nessun problema a lasciarla dormire in casa sua, ma probabilmente avrebbe messo a disagio lei. Erano praticamente due sconosciuti, la preoccupazione era più che fondata. Si mise alla ricerca dell'elenco del telefono, che era sicuro di aver visto da qualche parte.
    "Qual è il cognome?" questa domanda affiorò nella sua testa all'improvviso, e si fermò in zona cucina. Senza quello non poteva far nulla. Tentò di far affiorare un qualche indizio o ricordo, ma nulla. Non portava il nome di un cibo? O si ricordava male? Alla fine, fece spallucce, accantonando il problema: avrebbe chiesto dopo alla ragazza, quando si sarebbe svegliata.
    Lo stomaco brontolò di nuovo, portandolo ad alzare la testa verso l'orologio sopra la finestra: le nove e venti. Ora capiva perché aveva così fame. Incrociando le dita affinché fosse rimasto qualcosa in dispensa, si maledì per non essere andato a fare la spesa il giorno precedente. Una scatola di riso era l'unica cosa che era riuscita a trovare, insieme ad una busta di insalata.
    « Meglio di niente. » sospirò tra sé e sé, ma non si fece tanti problemi: qualunque cosa fosse, se la sarebbe fatta andar bene. L'importante era riempire lo stomaco. Senza pensarci più di tre secondi, pesò un po' di riso anche per Evelya: un riso bianco con un po' d'olio avrebbe potuto mangiarlo. In caso Noel si sarebbe mangiato anche la sua porzione, poco male, e per lei avrebbe preparato qualcosa di più leggero.
    Mentre aspettava che l'acqua bollisse - purtroppo il riso non sarebbe stato pronto prima di una mezz'oretta - cominciò a cantare a bocca chiusa una canzone che era alla radio prima che uscisse dalla clinica, sedendosi al tavolo. Il rumore della pioggia sul vetro gli faceva sempre venire un gran sonno, e appoggiò la testa sulle braccia incrociate sul tavolino, come ad assecondare questo istinto. Per fortuna il trillo del timer lo fece scattare sull'attenti, suggerendogli che era ora di buttare il riso in acqua. Inconsapevolmente, riprese a cantare il motivetto di prima, la stanchezza come sparita ora che aveva la cena da tenere d'occhio.

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    Al suo risveglio, Evelya si ritrovò nella lussuosa camera da letto del castello di Dunne Peyhlra, attorniata dai familiari cuscini e la coperta su cui erano cucite le sue iniziali. Fuori imperversava la tempesta, ma dentro regnava un'innaturale silenzio. C'era buio, non riusciva a vedere nulla, eppure sapeva di non essere sola. « Zachary? » chiamò, stringendo a sè le lenzuola. « Aidan? Solomon? ». Non rispose nessuno dei suoi amati fratelli. L'Angelo vide una figura stagliarsi contro i lampi accecanti alla finestra, e quando espose il viso alla luce, trattenne un urlo di terrore. Azarel era venuto a prenderla, gli abiti cerimoniali indosso e il suo vestito da sposa sottobraccio.
    « Non potevamo iniziare senza di te, Evie ».

    Si alzò di scatto, pentendosene amaramente subito dopo.
    La testa le doleva, ed il buio le comunicò la stessa oppressione provata nell'incubo. Ricostruì lo scenario pezzo per pezzo, ricordando di trovarsi nell'appartamento di Noel, molto distante da casa e dal suo acerrimo nemico, e tirò un sospiro di sollievo. I brividi di freddo erano diminuiti dopo il sonnellino (chissà quanto aveva dormito), anche se si sentiva ancora un po' fuori fase. L'unica luce presente proveniva dalla cucina, insieme ad una voce che canticchiava un motivetto conosciuto, rilassante. - Tranquilla, ti sei sognata tutto -
    si disse, posando una mano sul cuore. Batteva fortissimo, al ritmo del martellio nella sua testa. Una seconda luce, più debole, provenì dal cellulare che aveva posato per terra, accanto al divano, mostrando il nome di Shedir sul display.
    « Sì? » sussurrò, per non farsi sentire da Noel.
    Non voleva che smettesse di cantare.
    « Evie, come stai? Sei riuscita a tornare a casa?
    Qui è un delirio, non ne usciamo più ».

    La biondina si morse il labbro, incerta tra il dire una bella verità o una brutta bugia. Shedir si sarebbe infuriato sapendola a casa di uno sconosciuto. Un Demone, per giunta. Il cugino non era severo come il resto della famiglia, ma aveva la sua dose di pregiudizi. - Solo per questa volta - pensò, mentre osservava come il temporale si fosse ritirato verso ovest. Secondo le sue previsioni, abbastanza accurate, la pioggia sarebbe cessata entro un'ora, giusto il tempo di rientrare. « Non preoccuparti, ti aspetto volentieri ».
    « No, vai a dormire, tu che puoi. Ti mando un messaggio appena ho finito ». Bene, era sottinteso che Evelya si trovasse nel loro appartamento, se non altro. Salutò il ragazzo e controllò l'ora sul cellulare: le dieci. Ovvio che si sentisse così riposata, aveva dormito un sacco, approfittando della gentilezza di Noel oltre ogni decenza. Doveva rendersi utile, fare qualcosa per ricambiare il favore. Bastava non concentrarsi troppo sul mal di testa. Si concesse ancora qualche minuto, riempito dal canto basso e intonato del Demone nella stanza vicina, per poi buttare giù le gambe dal divano. Faceva meno freddo di prima, o forse la febbre le era finalmente scesa. Una volta in piedi, sentì nell'aria un profumo familiare, dei tempi in cui era molto piccola e rifiutava di mangiare qualsiasi cosa che non fosse riso. Dimenticò il fatto di indossare solamente una felpa molto lunga e larga, e si affacciò alla porta della cucina. Noel era lì, una mano impegnata a mescolare e l'altra poggiata sulla gamba. Prima che la fanciulla potesse dire qualsiasi cosa, purtroppo, fu preceduta da uno starnuto, che attirò l'attenzione su di lei. « Ah, buongiorno » disse, anche se fuori del sole non vi era nemmeno l'ombra. Si strofinò gli occhi, non più abituati alla luce, e soffocò uno sbadiglio.
    « Posso aiutarti in qualche modo? Mi sento terribilmente di peso ». Guardò il riso nuotare nella pentola, e il suo stomaco si strinse per la fame. Finchè si trattava di mescolare non era un problema, poteva farcela. Notò di nuovo che il ragazzo, poggiato al bancone, aveva la strana abitudine di massaggiare l'arto sinistro. « Ti fa male la gamba? » domandò, sinceramente in pensiero per lui. « Puoi sederti, se vuoi. Continuo a mescolare io ». E poi vicino ai fornelli poteva scaldarsi un po'. Si rimboccò le maniche, arrotolandole un sacco di volte per riuscire a far riaffiorare le mani, e prese il mestolo come fosse uno scettro. - Okay, Evie. Sei negata per queste cose, ma devi contraccambiare la gentilezza di Noel -.
    Quella che, apparentemente, era l'azione più semplice del mondo, per lei si rivelò una sorta di impresa eroica.
    Iniziò a mescolare in senso orario, soddisfatta del modo in cui l'acqua vorticava insieme all'utensile di legno.
    « Spero di non averti contagiato » disse, concentrata sulla missione, « non potrei mai perdonarmelo. Hai fatto molto per me, anche se ci conosciamo appena... ».
    Si distrasse giusto il tempo per rivolgergli uno dei suoi sorrisi raggianti. « Scommetto che è una deformazione professionale aiutare chi ne ha bisogno ».
    Già, sembrava proprio il genere di persona che soccorreva tutti indistintamente. Aveva scelto il lavoro adatto a lui.

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    Evelya Sadalmelik • Angelo • Acqua • 18 • Acquario • Scheda
     
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    I giorni di pioggia, la gamba gli dava un po' più fastidio del solito. Niente di insopportabile, ma sentiva spesso il bisogno di massaggiarla e sedersi. Probabilmente, si trattava di un fattore psicologico, dato che le giornate piovose come quella lo buttavano giù di morale, sebbene non lo desse a vedere. Noel rigirava il riso nella pentola, guardando fuori dalla finestra e buttando, ogni tanto, un occhio al timer vicino ai fornelli. Chissà quando avrebbe finito di piovere: a Nimit una tempesta come quella veniva giù di rado, ma le volte che capitava era il finimondo.
    "Speriamo faccia bel tempo, domani." disse tra sé e sé, cambiando poi motivetto. Cominciò a cantare, sottovoce, una canzone che stava provando ad imparare con la chitarra. Ci stava mettendo più del previsto, dato che se ne era scelta una non proprio per principianti - il suo livello non era chissà quanto alto, infatti - e tra università e lavoro non poteva dedicare alla musica il tempo che avrebbe voluto. A dirla tutta, non era neanche chissà cosa a cantare, ma sicuramente era più intonato di suo fratello. Da piccoli, Julian aveva tentato più volte di metterlo a dormire cantandogli qualche canzone per bambini, ma finiva sempre per farlo piangere. Le sue doti canore non erano minimamente migliorate, con il passare degli anni.
    Uno starnuto alle sue spalle lo fece voltare di scatto, e d'istinto tolse la mano dalla gamba appoggiandola sul piano di lavoro. Sorrise quando si accorse che si trattava di un esemplare di Evelya ancora un po' insonnolita.
    « Sono le dieci, Angioletto, altro che buongiorno. » gli fece, mentre la ragazza lo affiancava. Sembrava aver ripreso un po' di colore, o era la luce della cucina a farla sembrare meno pallida? Almeno riusciva a tenersi in piedi, e la testa non le girava come quando l'aveva incontrata in negozio.
    « Macché peso e peso » la canzonò, sbilanciandosi verso di lei in modo scherzoso. Quella ragazza era instancabile. « Ormai ho quasi finito. »
    Non si era reso conto di aver messo di nuovo la mano sulla gamba sinistra, continuando a massaggiarla lentamente, e quando Evelya glielo fece notare si irrigidì momentaneamente. Le giornate uggiose erano davvero pericolose, così come la sua poca attenzione. Far sapere all'Angelo di aver perso una gamba era l'ultima cosa che voleva fare, ad essere sincero. Evitava sempre l'argomento come la peste, ogni qual volta ci si finiva.
    « Apparecchio, intanto. » Noel le sorrise, passandole il mestolo e tirando fuori da un cassetto l'unica tovaglia che aveva, distendendola sul tavolo di piccole dimensioni, perfetto per due persone. Mentre prendeva le posate, si accorse che Evelya pareva super concentrata in quel che stava facendo.
    « Sembra che tu non abbia mai mescolato del riso. » ridacchiò, prendendo i tovaglioli di carta in una vetrinetta. Guardò di sfuggita il timer, che segnava cinque minuti all'inizio della cena, che per l'ora si sarebbe anche potuta considerare uno spuntino notturno. « Ti facevano cucinare nel tuo grande castello? » chiese, sentendo il bisogno di sedersi. Quella maledetta gamba lo stava facendo impazzire: e pensare che i giorni precedenti non gli aveva procurato tutte quelle noie. Finì di sistemare i bicchieri, decidendo di prendere i piatti in un secondo momento prima di scolare il riso, e si sedette al suo posto, tirando l'ennesimo respiro di sollievo della giornata.
    « Spero di non averti contagiato, non potrei mai perdonarmelo. » il Demone alzò gli occhi sulla figura di Evelya, e sbuffò, come a dire "ma figurati". Per sua fortuna, Noel si ammalava raramente: una pioggerellina - se, pioggerellina un corno - non lo avrebbe messo a letto con la febbre.
    Fu lì che, percorrendo con lo sguardo la linea della ragazza, si ricordò del fatto che indossasse solamente una delle sue felpe. Gli occhi ametista di Noel finirono sulle gambe sottili e incredibilmente chiare dell'Angelo, e non riuscì a distogliere lo sguardo. Era pur sempre un uomo, santo cielo, Evelya non poteva tirargli uno scherzo del genere. A guardarla però non sembrava consapevole di tutto ciò. Le gambe erano uno dei suoi tanti punti deboli: escludendo il fatto che quelle della ragazza erano incredibilmente belle - "Noel, per carità" - era la sua parte del corpo mancante. Anche se non fossero state nude,la sua attenzione per qualche secondo sarebbe comunque stata richiamata da quella parte del corpo.
    « Hai detto bene, deformazione professionale » sorrise di nuovo, decidendo di alzarsi e pensare a qualcos'altro. « L'aver deciso di diventare medico ha accentuato questo mio tratto. E' fatta, non si può più tornare indietro. » Era sempre stato incredibilmente generoso per lo standard demoniaco: era diventata una cosa naturale, per lui. Se qualcuno aveva bisogno di aiuto gli dava una mano al limite delle sue possibilità, senza farsi troppi problemi. Si dimostrava sempre la cosa giusta da fare. Altrimenti, poi, che razza di medico sarebbe diventato? Non voleva fare la fine di suo padre, dottore cinico e accecato dall'oro dei soldoni.
    La credenza che conteneva i piatti si trovava sopra la testa della ragazza, e con tutta la nonchalance del mondo il Demone si sporse sopra di lei, sovrastandola con la sua stazza per afferrare un paio di piatti. Il ragazzo abbassò lo sguardo, e sorrise ad Evelya. Aveva un debole per quegli occhioni dorati e luminosi. Oh, diamine, chi le aveva dato il permesso di essere così inconsapevolmente tenera?
    « Sei proprio scorretta, Evie. » sospirò, non fornendo però spiegazioni. Appoggiò i piatti vicino ai fornelli, e appena il timer squillò spense il fuoco, posando una mano su quella di Evelya, che teneva stretto il mestolo, per controllare lo stato del riso.
    « Bel lavoro. Passami i piatti. » scolò il riso, dosandolo in parti più o meno uguali. I brontolii dello stomaco dell'Angelo non erano passati inosservati. Invitò Evelya a prendere posto, posandogli il piatto davanti. Lo condì poi con poco olio, per poi mettersi a sedere di fronte a lei.
    « Ti va un po' di riso, no? » domanda assolutamente inutile, visto che glielo aveva già preparato e messo nel piatto. « Prima di accompagnarti a casa ti preparo un'altra bevanda calda, se ti va. A proposito, sei riuscita a rintracciare tuo cugino? » chiese, prima di mettersi in bocca una forchettata di riso, placando i dolori allo stomaco. Sentì il il suo piede sfiorare la caviglia della ragazza sotto il tavolo, e sorrise sotto i baffi, aspettando un po' prima di ritirare la gamba.

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    Concentrata com'era sul nuovo compito affidatole, Evelya impiegò alcuni istanti per rispondere all'osservazione di Noel sulle sue scarse abilità culinarie. Quando lo sentì nominare il castello, il mestolo rimase fermo al centro della pentola.
    Si era esposta così tanto parlando con lui... ma non poteva farci niente, sentiva di potergli dire qualsiasi cosa, poichè non sembrava il tipo da spifferare i segreti altrui ai quattro venti. Riprese a mescolare immediatamente, forse un po' troppo in fretta. « Ah, no. Non mi era permesso. Mia madre diceva che erano compiti da domestica, e così non ho mai potuto imparare. Avevo altre... mansioni ». Come il canto, la danza e l'assoluta obbedienza. Il suo compito era ammaliare i futuri sposi e starsene buona al suo posto. Ripensandoci in quel momento, mentre si trovava sola nella casa di un uomo, Evelya capì quante cose le erano state precluse. Era normale per due conoscenti vedersi in assenza dei rispettivi genitori. Era normale mangiare e conversare insieme, senza doversi preoccupare dei commenti altrui. Guardò il Demone passare con calma da un lato all'altro della cucina per recuperare l'occorrente ed apparecchiare la tavola, e non le sfuggì la tendenza che aveva a massaggiare la gamba. Magari era colpa di una vecchia ferita. Con la pioggia e l'umidità, i dolori tornavano a farsi sentire. Tirò un sospiro di sollievo quando lo vide sedersi. Meritava la sua parte di riposo.
    « Hai detto bene, deformazione professionale. L'aver deciso di diventare medico ha accentuato questo mio tratto. E' fatta, non si può più tornare indietro. »
    « Meglio così, no? » rispose lei con un sorriso, finché il ribollire dell'acqua non richiamò la sua attenzione. E adesso? Il riso aveva un'aspetto normale, ma il liquido di cottura si stava esaurendo. Forse era pronto? Lo rigirò di nuovo, nel dubbio, aggrottando le sopracciglia con fare perplesso.
    Vide un'ombra sovrastarla all'improvviso, e quando alzò lo sguardo, incontrò i bellissimi occhi di Noel. Poteva avvertire il suo corpo premuto contro la schiena come fosse vicino ad un focolare, e seguì la traiettoria delle sue braccia che si sporgevano per aprire la credenza sopra al fornello.
    Da prima stupita e poi imbarazzata, sentì le guance imporporarsi, e il contatto visivo durò per pochi secondi.
    Non era mai stata tanto vicina ad un Demone come in quel momento. Noel pareva divertirsi un mondo, invece, e dopo quel suo sorriso sentì le gambe cedere.
    « Sei proprio scorretta, Evie. »
    « C... come?! » chiese lei, cercando di capire dove avesse sbagliato. E dire che si stava impegnando per mantenere un comportamento decoroso. Capì solo in seguito che il rosso l'aveva buttata sul ridere, ma non afferrò comunque il senso della sua accusa. Nell'istante in cui Noel mise la mano sulla sua per riprendere il controllo del mestolo, l'Angelo lo lasciò subito andare, nemmeno si fosse scottata. - Anche questo è considerato normale a Nimit? - si interrogò, passando i piatti al ragazzo ed evitandone lo sguardo.
    - Sono certa che esiste una spiegazione. Abbiamo età molto vicine e ci siamo già presentati, quindi non siamo degli estranei -. Evelya restò impalata a fissare la mano sfiorata dal Demone, così grande rispetto alla sua che avrebbe potuto avvolgerla interamente, farla sparire. Il contatto con il sesso opposto non era certo una novità, per lei. Durante i balli in coppia teneva il partner per mano e si lasciava guidare, più concentrata sulla musica che sulla fisicità del momento.
    Però, per qualche motivo, con Noel era diverso.
    Vide comparire dall'alto un piatto colmo di riso, e si affrettò a ringraziare per il pasto.
    « Ti va un po' di riso, no? »
    « Oh, sì. Ti ringrazio ». Per la foga, la biondina dimenticò di stendere il tovagliolo sulle gambe com'era solita fare, e si dedicò interamente al cibo. Dopo il primo boccone ricordò di avere davvero fame, arginata in precedenza dalla febbre alta. Per fortuna, a parte un senso di debolezza, ora stava molto meglio. Aveva dimenticato quanto potessero essere buone anche le cose più semplici.
    « Prima di accompagnarti a casa ti preparo un'altra bevanda calda, se ti va. A proposito, sei riuscita a rintracciare tuo cugino? » domandò lui, che era l'emblema della tranquillità. Per fortuna la presenza di un'altra persona in casa non sembrava infastidirlo. Aveva sentito dire che i Demoni erano parecchio territoriali. Assentì alla proposta di bere dell'altra tisana (le era piaciuta un sacco), ma con l'interrogativo che seguì, Evelya notò che Noel sembrava intenzionato a smascherare tutte le sue bugie, quella sera. Il parente credeva che fosse al loro appartamento da un bel pezzo.
    « Mi ha mandato un messaggio poco fa. A quanto pare dovrà lavorare fino a tardi... »
    Mise la posata accanto al piatto vuoto e inspirò una lunga boccata d'aria per farsi coraggio. Non era giusto tenere il ragazzo all'oscuro della realtà dopo la gentilezza dimostratale, medico o meno che fosse. « Shedir non sa che sono qui.
    Non è severo come i miei genitori, ma se lo scoprisse mi sgriderebbe di sicuro. Le ragazze della mia età non possono rimanere sole con un uomo non sposato, e per di più tu sei un Demone ».
    Si rese conto di averlo detto come se fosse una cosa deplorevole, e riuscì finalmente ad alzare lo sguardo su di lui per assicurarsi di non essere fraintesa.
    « Perdonami, non voglio accusarti per questo.
    Mi piaci molto, e non sei spaventoso come gli Angeli ti ritraggono ».
    A conferma delle sue parole, Evelya cercò altre motivazioni per fargli capire che mai e poi mai l'avrebbe considerato alla stregua di un mostro senza cuore. Menzionò di nuovo la sua gentilezza, la forza d'animo e il rispetto che le aveva dimostrato, sebbene fosse consapevole di essere arrossita nel mentre. « E amo il colore dei tuoi capelli » aggiunse infine, con un timido sorriso. Una vocina le suggerì di fermarsi lì, prima di provocare qualche disastro. La biondina portò entrambi i palmi sul viso nella speranza di trovare un po' di refrigerio, del tutto ignara del fatto che, sotto al tavolo, la sua caviglia fosse poggiata al piede del Demone.
    D'altronde aveva le gambe lunghe, ed il tavolo era pensato per due persone, quindi volutamente stretto. Incapace di starsene buona la suo posto, Evelya decise di radunare i piatti e portarli al lavandino, ma non appena provò ad alzarsi, una fitta alle tempie la rimise dov'era. Si scusò mille volte con Noel per il disturbo, e chiese di poter tornare sul divano per qualche altro istante, sotto la coperta calda che le aveva prestato. Dal salotto notò che la pioggia aveva smesso di cadere, lasciando solo un cielo plumbeo ad oscurare le stelle. Attese paziente il secondo giro di tisana, pronta all'eventualità di rincasare in volo. Ci avrebbe messo meno tempo, precedendo Shedir per non destare ulteriori sospetti.
    « Se ti fa ancora male la gamba puoi sdraiarti qui. Io mi siedo sulla poltrona » propose, già pronta a cedere il posto.
    Doveva fare qualcosa per lui, o sarebbe impazzita.

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    Mancava un po' di sale nel riso, ma nel complesso non era male. Per essere una cena improvvisata andava più che bene, ed Evelya sembrava d'accordo: da quel che ricordava, di solito poggiava il tovagliolo sulle gambe, cosa che non fece in quel momento. Bensì, cominciò subito a mangiare. Se le era tornato l'appetito, significava che la febbre era scesa. Noel si concentrò sul suo piatto fino a quando non arrivò la risposta dell'Angelo alla sua domanda, concentrato su ciò che lei aveva proferito pco prima. Poco prima, Evelya aveva detto che non si era mai avvicinata ai fornelli nella sua casa barra castello, perché era considerato un lavoro da domestica. Era davvero una nobile? Si rifiutava di crederlo. Esistevano sempre le eccezioni - lui in primis faceva parte di quel gruppo - ma lei... Non sembrava appartenere ad una classe sociale così alta, ma con tutto ciò che aveva detto fino a quel momento non riusciva a pensare altrimenti.
    « Shedir non sa che sono qui. » la voce della biondina lo riportò coi piedi per terra, e Noel si mise ad ascoltarla. Non si impressionò più di tanto: gli Angeli e i Demoni si scontravano fin dall'alba dei tempi, e non correva buon sangue tra le due razze nemmeno dopo secoli. A Nimit la sua capigliatura color del sangue e la sua aura demoniaca risaltavano ancora di più in mezzo a tutti gli esseri per lo più angelici che popolavano quella città. Eppure, gli veniva spontaneo stringere le labbra quando si trattava di etichette, e non poté fare a meno di reagire in quel modo davanti ad Evelya. Sembrava comunque non avesse notato nulla, anzi, riprese subito la parola per evitare ogni fraintendimento.
    « Perdonami, non voglio accusarti per questo. » Noel fece spallucce, e ingoiò il boccone di riso. Non c'era bisogno di fare scenate davanti a lei: era l'ultima persona sulla faccia della terra che discriminava le diverse razze di Andellen, e glielo aveva dimostrato. Non c'era bisogno di mettersi subito sull'attenti. Piuttosto, com'era che ad una ragazza della sua età non era permesso stare da sola con un uomo non sposato? Che discorso era?
    « Mi piaci molto, e non sei spaventoso come gli Angeli ti ritraggono » i suoi interrogativi si dissolsero all'udire quelle parole, e Noel strabuzzò gli occhi. Meno male che aveva finito il riso, poggiando la posata accanto al piatto, altrimenti l'avrebbe fatta cadere a terra per lo stupore. A ciò, seguì una lista di pregi che Evelya gli attribuì mano mano che le sue guance si facevano sempre più rosse, e sulla sua pelle candida erano ancora più evidenti. Noel percepì un brivido lungo la schiena e rise piano, portandosi una ciocca davanti agli occhi.
    « E amo il colore dei tuoi capelli » concluse lei, sorridendo timidamente. Oh cielo, ma si era resa conto di quel che aveva appena detto? Il suo monologo poteva benissimo essere definito una specie di dichiarazione.
    « Sono dello stesso colore delle tue guance, te lo assicuro. » rise di nuovo, appoggiandosi allo schienale della sedia. « Apprezzo la sincerità. Non immaginavo potessi essere così schietta. »
    Si allarmò quando la vide barcollare e tornare seduta, chiedendo poi di sdraiarsi di nuovo sul divano. Il ragazzo le disse di non preoccuparsi, e sparecchiò la tavola. Mise a scaldare l'acqua per la tisana, e mentre aspettava iniziò a lavare le poche stoviglie che avevano utilizzato. Le parole di Evelya gli tornarono alla mente, e sorrise tra sé e sé. Se avessero continuato così, probabilmente non ne sarebbe uscito vivo.
    "Non l'avrà detto sul serio." sospirò, cercando il panno per asciugare i piatti nel cassetto sotto il lavandino. Rise al solo pensare a quanto fosse innocente quella ragazza. Probabilmente neanche aveva pensato a cosa stava dicendo, magari la febbre non le era passata del tutto e la faceva straparlare. Era impossibile che "le piacesse molto", dai. O magari aveva detto la verità, e Noel aveva più fascino di quel che già credeva di possedere. Fatto stava che il suo povero cuore non avrebbe retto se Evelya gli avesse tirato un altro colpo basso. Che poi, era evidente il fatto che non lo facesse apposta, ma l'effetto che aveva sul Demone non cambiava.
    Scosse la testa e alzò gli occhi al cielo mentre versava la tisana, ormai pronta, nella tazza da cui aveva bevuto Evelya poco fa. La raggiunse poi in salone, porgendogli la bevanda calda e sedendosi accanto a lei. Sorrise alla sua gentile proposta, distendendo le gambe davanti a sé.
    « Non mi fa male la gamba, è tutto a posto. » le fece tranquillo, sperando di aver accantonato l'argomento. Evelya notava anche le più piccole cose, a quanto pareva. Stette attento a non appoggiare la mano sulla gamba sinistra, posandola invece sul bracciolo a sostenergli una guancia.
    « Piuttosto, ha smesso di piovere. » guardò fuori dalla finestra: fino a quel momento non se ne era neanche accorto. « Resterai ancora un po' con me, mi auguro. » esclamò, tirando fuori la lingua e ridendo. Non aveva intenzione di mandarla a casa subito, almeno finché il cugino fosse rimasto al negozio.
    « Anzi, ora che ci ripenso approfitto della tua gentilezza. » dichiarò, riferendosi al precedente suggerimento della biondina. Il ragazzo si alzò dalla poltrona e, siccome lei occupava metà divano, Noel si mise seduto sul lato libero, coprendosi le gambe con la coperta e facendo cenno ad Evelya di non spostarsi. Purtroppo per lei, il Demone era un tipo abbastanza fisico e impulsivo, non pensava mai che qualche suo gesto potessero mettere in imbarazzo la gente.
    « Sai, neanche tu assomigli ai pochi Angeli che ho incontrato. » disse, voltandosi verso di lei. « Erano dei gran smorfiosi, la gentilezza caratteristica della vostra razza ce l'avevano sotto i piedi. » Gli erano particolarmente rimaste impresse due gemelle angeliche: Lena e Lauren Gloomspring. Le aveva conosciute un paio di anni fa, quando ad un ricevimento avevano adocchiato lui e suo fratello e li avevano tartassati per tutta la serata. Le due mal celavano la loro superbia dietro una maschera di falso altruismo. Per fortuna gli Angeli non erano tutti così, si era ricreduto conoscendo qualche docente all'università. Anche a Nimit era riuscito a farsi stare simpatico qualcuno di loro - Lyander non era certamente tra quelli. Tra loro la millenaria rivalità tra Angeli e Demoni era fortemente palpabile.
    « C'è anche da dire, però, che ho avuto l'occasione di conoscere solo Angeli appartenenti all'alta borghesia prima di venire qui. » sorrise, facendole intendere che la critica non era certo rivolta a lei. « E' evidente che tu non appartenga a quel mondo ipocrita. » di cui faceva parte anche lui, tra l'altro. Lui si era appropriato di molte libertà che normalmente non gli sarebbero state concesse, ma a volte rimpiangeva dover partecipare a feste di ogni sorta, incontrare gente di cui non si ricordava neppure il nome e fare buon viso a cattivo gioco per non infangare il nome del casato. Nascere in grembo ad una famiglia importante significava rispondere continuamente a delle aspettative. E se non si era all'altezza, ci si poteva considerare letteralmente finiti. Era una lezione che aveva imparato a sue spese, e da cui stava tentando ancora di liberarsi.
    « Anche se, magari, vivere in un castello o in una villa è molto più facile che vivere in un appartamento in centro città. »

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    Evelya accettò di buon grado la proposta di trascorrere dell'altro tempo a casa del Demone, sotto il tepore della coperta e con la buonissima tisana tra le mani. Era così rasserenante stare con lui... Noel non pretendeva nessun comportamento impeccabile da parte sua, la accettava con tutti suoi problemi e insicurezze. Fu grata che alla fine avesse deciso di prendere posto sul divano, smentendo le supposizioni sul dolore alla gamba. Condivisero la coperta, un gesto molto familiare che scaldò il cuore dell'Angelo.
    Aveva sofferto la solitudine troppo a lungo.
    « Sai, neanche tu assomigli ai pochi Angeli che ho incontrato.» Spostò lo sguardo dalla finestra a lui, inclinando il capo con fare interrogativo. « Erano dei gran smorfiosi, la gentilezza caratteristica della vostra razza ce l'avevano sotto i piedi. » Stava descrivendo in maniera esaustiva ogni membro della sua casata. Sebbene i fratelli maggiori fossero più assennati dei genitori, il comportamento altezzoso era un tratto comune. Di angelico era rimasto ben poco nel sangue dei Sadalmelik, a sua detta. Gli antenati erano più famosi per l'attaccamento al denaro che per la carità.
    « C'è anche da dire, però, che ho avuto l'occasione di conoscere solo Angeli appartenenti all'alta borghesia prima di venire qui. E' evidente che tu non appartenga a quel mondo ipocrita. » Evelya si morse il labbro inferiore, consapevole di essere arrossita di nuovo. In realtà lei era proprio di quella classe d'élite, se non più in alto. Frequentava le famiglie più facoltose, scambiava lettere con le principesse degli altri paesi ed era presente ad ogni singola festa. Per non parlare del denaro che spendeva ogni giorno per permettersi il lussuoso stile di vita. Il matrimonio del primo fratello aveva fruttato un bel po' di guadagni, così come la carriera militare degli altri due. - E se avessi sposato Azarel, ora nuoteremmo nell'oro -. Una prospettiva allettante, se lui non fosse stato il viscido approfittatore che era. Doveva spiegare subito la situazione a Noel, prima che le cose peggiorassero. Per un attimo esitò, chiedendosi se lui l'avrebbe odiata per ciò che era. « Ecco, in realtà non provengo dalla borghesia... ma dalla nobiltà » disse, distogliendo lo sguardo per la vergogna. « Riceviamo tutti un'educazione piuttosto severa, che punta alla perfezione in qualsiasi ambito, soprattutto quello economico. Purtroppo non c'è nulla di buono in noi ».
    Stava includendo anche sé stessa nella descrizione, perché
    era stata parte dello spettacolo messo in scena dai genitori.
    Una pedina sulla loro scacchiera. Per quanto gentile ed amabile potesse essere, aveva obbedito agli ordini senza mai ribellarsi, fino quella fatidica notte di agosto.
    Prese qualche sorso di tisana nella speranza di calmarsi, ma non sarebbe mai stata tranquilla finchè gli avesse omesso tanti segreti. Rimase a guardare il liquido chiaro che tremolava nella tazza, predisponendo le parole nella mente in modo che acquistassero un senso anche per Noel.
    « Ero un oggetto nelle mani di mia madre, quando vivevo al castello, la sua esca. Dovevo stringere amicizia con le persone più influenti, e trovare il marito adatto a risollevare le sorti della famiglia, visto lo stato in cui eravamo.
    So suonare tre strumenti diversi, cantare, ballare, dipingere... ma quando si tratta delle cose più semplici, come cucinare, sono una frana ».
    Lo ammise con un sorrisetto accennato, consapevole delle sue mancanze.
    Il Demone le sembrava così autonomo e responsabile, a confronto, che se ne vergognò ancora di più. Vive da solo, lavorava e studiava senza l'aiuto di nessuno, e probabilmente non gli era stato imposto nessun matrimonio combinato a rovinare la futura carriera che voleva intraprendere.
    « Sono scappata di casa, la notte prima delle mie nozze ».
    A quella confessione sentì la voragine del rimorso riaprirsi. Decise di accantonare la gravità della cosa con l'ennesimo sorriso di circostanza, come se si fosse comportata da ribelle e quella fuga rappresentasse un vanto, anziché un'azione deplorevole. « Ci ho messo un po', ma alla fine ho capito quale fosse il mio posto ». Bevve la tisana finchè non ne rimase nemmeno il fondo, per poi poggiarla a terra, vicino alla gamba del divano. Per qualche strano motivo, sentiva di essersi liberata di un enorme peso, con Noel che gli faceva da psicologo e ascoltava in silenzio. « Scusa se ti annoio con queste storie, scommetto che hai già i tuoi problemi a cui pensare » disse, tormentando l'orlo della coperta per distrarsi. Anche lui doveva far parte di qualche famiglia importante, sebbene non conoscesse nessun Demone degno di nota. Era un argomento taboo in casa Sadalmelik.
    Ai ricevimenti aveva sentito alcuni commenti dei soldati al riguardo, ma sempre in toni poco amichevoli.
    « Ero così sorpresa quando ti ho visto, quella volta all'ambulatorio! Non ho mai conosciuto qualcuno con dei capelli come i tuoi ». Ricordò allora di avere l'occasione di ammirarli da più vicino, dato il poco spazio che li divideva.
    Si sporse verso di lui con calma, come a voler avvicinare una bestia selvatica, e prima di prendere una ciocca tra le dita chiese innocentemente: « Posso? ». Non era il tipico colore rosso che si vedeva in giro. Di solito tendeva più all'aranciato, mentre il suo aveva il colore del sangue, e si sposava benissimo con gli occhi violacei, davvero insoliti. Notò inoltre che, nonostante l'aria ribelle, erano davvero morbidi, sottili.
    « Anche i tuoi familiari hanno i capelli di questo colore? Scommetto che su una donna starebbero benissimo ».
    Era un ottimo cambio d'argomento, per alleggerire l'atmosfera. E vicino a lui era molto più facile scaldarsi.

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    Evelya Sadalmelik • Angelo • Acqua • 18 • Acquario • Scheda
     
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    Il silenzio tra loro, dopo ciò che il ragazzo disse, sembrò durare più dell'effettivo. Noel rilassò la testa all'indietro, e appena sentì la voce di Evelya la tirò su, voltandosi verso di lei. Ci mise qualche minuto ad elaborare ciò che la ragazza gli aveva appena confessato: lo aveva immaginato, ma l'aveva negato fino allo sfinimento.
    « Aspetta un secondo » iniziò, ma non continuò. Cosa poteva dire? Nulla a riguardo. Evelya era una nobile, punto, e non ne sembrava affatto contenta. La lasciò parlare, e ascoltò in silenzio. Aveva elaborato mille teorie al riguardo, ma fino a qualche momento fa le aveva smontate tutte, dalla prima all'ultima. Pensava che fosse impossibile, la ragazza non poteva appartenere ad una classe sociale così alta. Era così genuina e solare, non si avvicinava per niente agli Angeli altolocati che aveva incontrato a qualche ricevimento.
    « Ero un oggetto nelle mani di mia madre, quando vivevo al castello, la sua esca. » prestò attenzione ad ogni parola della biondina, seppur la conversazione stesse prendendo una piega abbastanza negativa. La sua vita non sembrava tutta rosa e fiori come si pensava potesse essere. Aveva calcato particolarmente il termine "esca", e spiegò poco dopo il perché. Noel strabuzzò gli occhi, non sapendo cosa pensare. La sua famiglia la vedeva come una calamita per attirare uomini importanti e rilevanti nella società, in poche parole, e il ragazzo sentì una grande rabbia montargli dentro neanche fosse lui il diretto interessato. La immaginò al fianco di svariati uomini, nel tentativo di raggiungere il suo obiettivo. La consideravano quindi alla strenua di un oggetto? Noel, in un certo senso, la capiva: a differenza sua però, i suoi genitori non lo consideravano un oggetto, bensì per loro era praticamente inesistente. Noel aveva provato a farsi sentire, scalpitando e combinandone di tutti i colori, non ottenendone nulla; alla fine, stanco, aveva cominciato a fare ciò che l'istinto gli dettava, senza preoccuparsi dell'opinione altrui. Evelya pareva invece relegata alla decisione di sua madre. Le avevano tarpato le ali ancor prima di insegnarle a volare. Non doveva essere stato facile, affatto. Eppure, come poteva una ragazza del genere essere nata in una famiglia nobile e meschina? Non riusciva ancora ad accettarlo e a comprenderlo pienamente, eppure la realtà era quella.
    "E quindi, perché si trova qui?" questo pensiero silenziò tutti gli altri. Non poteva trovarsi lì per una semplice gita di famiglia, anche perché viveva con il cugino. Cosa stava combinando?
    « Sono scappata di casa, la notte prima delle mie nozze » Il Demone spalancò, di nuovo, le iridi violacee, e la ragazza le mostrò un sorriso ben poco convinto. Sulle labbra di Noel si aprì un sorriso appena accennato: era riuscita a ribellarsi, dunque. Ben fatto. Al suo posto, lo avrebbe fatto molto tempo prima. Probabilmente, quando ancora viveva nel suo castello, era una persona completamente differente. Dato che il suo compito era intrecciare un legame duraturo e che potesse portare guadagno alla famiglia, era costretta a trasformarsi nella ragazza perfetta. Anche tra i Demoni era così, anche se la loro razza aveva una concezione "diversa" di donna ideale. Nella borghesia non era cosa rara incrociare certi elementi a feste e ricevimenti.
    Sovrappensiero, colse solamente alcune parole del discorso della ragazza, e tornò coi piedi per terra quando sentì la sua mano delicata tra i capelli. Sorrise placido alla sua richiesta, e chinò il capo lateralmente, dalla parte dell'Angelo. Era così buffa, e maledettamente gentile. Cosa aveva passato per tutti quegli anni, reclusa nel territorio del continente angelico? Osservò il suo volto di sottecchi, e nonostante la luce fioca lo trovò incredibilmente bello e innocente.
    « Sia io che mio fratello abbiamo i capelli di questo colore. Anzi, i suoi sono più accesi. » esordì, lasciandola continuare. « Li abbiamo entrambi presi da nostra madre. » che non era affatto contenta del fatto che il suo figlioletto imperfetto assomigliasse così tanto a lei. Suo padre, come la maggior parte dei Demoni d'altronde, aveva i capelli corvini e gli occhi iniettati di sangue. Anche sua cugina Gwen infatti, era una moretta tutto pepe. Solo con lui e Julian il DNA dei Moore non era stato abbastanza forte.
    Si massaggiò il collo con una mano e, d'impulso, sollevò poco le gambe di Evelya e si avvicinò a lei, posandogliele sopra le sue. Ritornò così dritto con la schiena, e le sorrise. « Ora sto molto più comodo. » gli sorrise, e si appoggiò allo schienale in modo che, se avesse voluto, la ragazza potesse raggiungere la sua testa più facilmente.
    « Avevo immaginato appartenessi all'aristocrazia, ma non pensavo stessi così in alto. Insomma, sei così carina e gentile. » ridacchiò guardandola, sperando di non vederla con il finto sorriso di poco fa in volto. « La tua è una rinascita. » disse poi, a voce bassa, come se stesse parlando anche con sé stesso. Anche lui era rinato una seconda volta, e sperava che la sua potesse essere un'evoluzione, la fine della prigionia.
    « Non ho mai conosciuto Evelya la principessa, ma sono certo che preferirei di gran lunga Evie la fioraia. » annuì poi convinto, allungando una mano sul suo capo e scompigliandole i capelli.
    « Ti manca la tua terra? » domandò poi, a bruciapelo, sistemando la coperta sopra le loro gambe. Ora che il suo viso era più vicino, riusciva a specchiarsi nei suoi occhi dorati.

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    L'Angelo cercò di figurare nella mente il quadro della famiglia Moore, di cui tre componenti avevano capelli di un rosso magnetico. In passato gli aveva già fatto alcune domande sui rapporti con i parenti, e non era andata benissimo. Sperò che almeno con il fratello non ci fossero problemi. Dal canto suo, Evelya era sempre stata viziata e coccolata dai fratelli maggiori. « Che fortunati. In casa mia siamo tutti biondi, chi più e chi meno ». Non appena si sentì sollevare le gambe arrossì leggermente, per poi ritrovarle posate in grembo al ragazzo. In effetti erano più vicini, e Noel doveva averlo fatto perchè lei continuasse indisturbata con la sua attività. Ora non sentiva più nemmeno un briciolo di freddo, decisamente.
    « Avevo immaginato appartenessi all'aristocrazia, ma non pensavo stessi così in alto. Insomma, sei così carina e gentile.» Evelya rise a sua volta, apprezzando il complimento. Stava sfruttando le ciocche più lunghe per fare una piccola treccia, un gesto nostalgico che la riportò al periodo in cui giocava con Aidan, il maggiore tra i quattro. Lui aveva i capelli che arrivavano ben oltre metà schiena, e l'Angelo giocava ad intrecciare le loro ciocche insieme, identiche e perfettamente amalgamate in un biondo brillante. Le venne l'idea di provare anche con quelle del ragazzo, e sciolse lo chignon per fare un tentativo. « La tua è una rinascita. »
    « Sì, è quello che ho pensato appena sono arrivata a Nimit » concordò, intenta ad unire le due estremità. Per farlo si era dovuta avvicinare un po', ma ormai quel problema era superato, Non provava il minimo disagio accanto a lui.
    Una volta conclusa l'opera, Evelya portò la treccia bicolore all'altezza degli occhi, e un po' si dispiacque del contrasto netto tra l'oro e il cremisi. Non avevano niente in comune.
    - Proprio come noi - pensò, sconsolata. Erano due realtà differenti, con differenti modi di agire e pensare.
    Eppure accanto a lui provava una serenità mai vissuta prima, come se Noel la conoscesse meglio delle sue tasche e fosse sempre pronto a correre in suo aiuto.
    « Non ho mai conosciuto Evelya la principessa, ma sono certo che preferirei di gran lunga Evie la fioraia. »
    Quando il ragazzo le scompigliò i capelli, l'Angelo lasciò andare la treccia, che si disfò immediatamente.
    « Ti ringrazio » disse, ancora rossa in viso, « se fossi rimasta al castello non ci saremo mai nemmeno incontrati ». Immaginò sua madre mentre la sorprendeva a parlare con un Demone, e le vennero i brividi. Le regole erano molto chiare a riguardo: solo Angeli, e solo nobili.
    « Ti manca la tua terra? » le chiese, mentre copriva entrambi con la morbida coperta. Era una domanda difficile, in verità. Da quando era sbarcata a Nimit, la nostalgia di casa non l'aveva mai assalita, nemmeno una volta. Forse era più la paura che la riportassero indietro a darle pensieri.
    « Dunne Peyhlra? Non molto. Passavo tutto il tempo al castello, se non mi trascinavano a qualche ricevimento.
    Fino a prima del matrimonio, alle ragazze del posto non è permesso uscire da sole a divertirsi. I miei genitori erano la mia ombra, non mi lasciavano nemmeno per un secondo ».
    Ricordò quanto invidiasse Beatrix, di due anni più piccola di lei, che dopo un matrimonio combinato potè partecipare a tutte le feste indiscriminatamente, nonostante odiasse il marito. Una bella fortuna, altroché.
    « Era lo stesso anche per te? ». I due conversarono tranquillamente per il resto del tempo, in un'atmosfera di calma piatta che Evelya sperò durasse in eterno. Purtroppo uno squillo del cellulare le ricordò che, a quell'ora, sarebbe dovuta essere a casa già da parecchio. Sgattaiolò via da sotto la coperta e recuperò il telefono da terra, dove un messaggio lampeggiava sul display.
    - Tra mezz'ora rientro. Chiudi bene tutte le finestre -.
    L'Angelo sbiancò letteralmente, cercando di fare un paio di calcoli: l'appartamento di Shedir era a circa mezz'ora di cammino, rischiava di essere scoperta, e visto l'orario non poteva fare affidamento sui mezzi pubblici. - Ci sono sempre le mie ali - ipotizzò, anche se la febbre le giocava brutti scherzi, e in cielo vi era molto più freddo che non sulla terraferma. Si voltò verso Noel, che la guardava dal divano con aria interrogativa. « Devo rincasare, purtroppo... ma non so come » ammise, mentre osservava la pioggia leggera fuori dalle vetrate. « Tra mezz'ora mio cugino sarà di ritorno, e a piedi non riuscirei a precederlo. Forse è meglio in volo ». Non trovando soluzioni migliori, Evelya si convinse che poteva farcela, e si recò in bagno per indossare i vestiti di prima, ancora leggermente umidi. Lasciare il tepore di quella felpa enorme le fece piangere il cuore. Quando tornò in salotto, aveva già accumulato la giusta dose di coraggio per sfidare le intemperie e tornare al nido. « Non c'è bisogno che mi accompagni. Hai già fatto fin troppo per me » precisò, con un sorriso rassicurante. Il suo debito era fin troppo consistente nei confronti di Noel.

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    Noel spalancò gli occhi quando Evelya gli disse che, a Dunne Peyhlra, le ragazze non maritate non potevano uscire dai loro castelli. Roba da matti.
    « Hai fatto bene a scappare, Angioletto. Anzi che sei riuscita a sopportare tutto questo fino ad ora. » se fosse stato per lui, sarebbe andato via di casa molto prima. Non immaginava che gli Angeli potessero seguire uno stile di vita così severo. Julian, suo fratello, aveva fatto un paio di viaggi nel Ludh Yhkam per studiare medicina, e lì i medici erano davvero gentili con chiunque. A quanto pare, la nobiltà era di tutt'altra pasta. Non bisognava fare di tutta l'erba un fascio, ma dalle sue esperienze sul campo e i racconti della ragazza, non poteva che elaborare un pensiero del genere.
    « Era lo stesso anche per te? »
    Noel scosse la testa. « Noi partecipiamo a feste di tutti i tipi, usciamo con chi vogliamo e via dicendo. Basta che non torni a casa con qualcuno diverso da un Demone, altrimenti sono guai. » fece, cominciando a giocherellare con i numerosi piercing che aveva all'orecchio destro. « I giovani sono, praticamente, liberi di fare ciò che vogliono, anzi. L'unica regola è quella di essere assetati di sangue e non avere pietà per il prossimo. »
    Noel era contento di essere nato Demone: andava fiero di ciò che era e di ciò che stava diventando, ma non andava fiero della sua razza. Era contento di sé stesso, ma disprezzava le convinzioni della sua specie. La vita di un Demone comune ruotava intorno alla sete di sangue e alla crudeltà, e secondo il ragazzo non poteva esserci nulla di più sbagliato della violenza inutile. Lui stesso era di indole facilmente suscettibile, e spesso e volentieri non esitava a ricorrere alle mani, ma il fatto di dover essere per forza esseri feroci e spietati altrimenti non si è accettati all'interno della società, no grazie. Era questo l'aspetto negativo del nascere Demone: la generosità non era una virtù, anzi, andava estirpata. E Noel si era ritrovato catalogato come uno scarto prima che ne se potesse rendere conto.
    « Disgustoso, vero? » sussurrò, alzando lo sguardo verso la finestra. Era completamente buio fuori, il candore della luna si intravedeva appena dietro le nuvole. Aveva finito di piovere, ma il vento tirava ancora.
    All'improvviso, la biondina scattò su dal divano, e sembrava alquanto preoccupata: sbagliava, o aveva lo stesso colorito di prima, in negozio? Forse le avrebbe fatto bene una sana dormita, al calduccio, di almeno sette ore. La osservò interrogativo, e l'Angelo gli spiegò che doveva assolutamente tornare a casa. Effettivamente, si stava facendo incredibilmente tardi e stava rischiando di essere scoperta. Fosse stato per lui l'avrebbe trattenuta fino all'indomani mattina, ma non voleva metterla nei guai. Aggiunse che non avrebbe fatto in tempo a raggiungere l'appartamento del cugino prima che lui tornasse, ed era quindi per quello che aveva cambiato colore di punto in bianco. Quando si allontanò per scomparire in bagno, Noel si alzò senza ripeterselo due volte, e si infilò le scarpe che aveva lasciato vicino alla porta. Non poteva lasciarla andare da sola, stava scherzando? Aveva anche ricominciato a piovere, quindi ora poteva dirsi inamovibile sull'accompagnarla sana e salva a casa. Se le avesse dato un passaggio, avrebbero fatto sicuramente in tempo.
    Quando Evelya uscì dal bagno indossando i vestiti leggeri e ancora umidi di poco prima, il ragazzo si fece ritrovare con addosso una giacca pesante.
    « Vorresti sfidare la pioggia vestita in quel modo? » la canzonò, scuotendo la testa nella sua direzione. « Solo perché sei tu, ti concedo un volo gratis. » e prese dall'armadio il cappotto più caldo che potesse trovare, e glielo lanciò tra le mani facendole segno di metterselo. « Sssh, niente storie. Altrimenti ti faccio pagare. » le fece un occhiolino prima di dirigersi verso la finestra e spalancarla. La ragazza gli si avvicinò visibilmente scettica, ma Noel non le diede bado.
    « Uscire dalla porta era fin troppo convenzionale. Dimmi dove si trova casa tua. » la biondina gliela indicò, puntando verso nord. Senza indugiare oltre, sollevò il cappuccio sulla testa di Evelya, assicurandosi che si fosse allacciata tutti i bottoni - quel cappotto gli stava decisamente enorme - e salì sul cornicione della finestra. Le offrì una mano, e appena alzò un piede per portarsi sul suo stesso piano, il ragazzo la prese tra le braccia, sollevandola da terra a mo' di principessa.
    « Stringiti forte. Saremo lì in un baleno, te lo assicuro. » gli sorrise, e si buttò nel vuoto. Spalancò dunque le grandi ali sanguigne, e sfidando le intemperie si diresse verso il punto che prima Evelya gli aveva indicato. Sentì le braccia di lei stringersi attorno al suo collo, e il ragazzo rise. « Se continui così mi strangoli. »
    Era leggera come una piuma, e durante il volo le braccia non si stancarono. Era anche vero che il tragitto fu breve, dato che Noel procedeva veloce. Gli faceva male, comunque, separarsi di nuovo da lei. Sarebbe rimasto volentieri a parlare con Evelya, non pensava che dietro quel bel faccino si potesse nascondere una curiosità e un coraggio senza limiti.
    Atterrò di fronte al portone di casa sua quando la biondina individuò l'appartamento in questione, e la adagiò a terra con delicatezza.
    « Rapido, affascinante e di parola. » esclamò, in un momento di autoproclamazione a suo parere più che giustificata. « E adesso fila sotto le coperte, non avrai un aspirante medico a preparati tisane, qui. » gli sorrise ancora, e le disse di tenersi il cappotto: si sarebbero sicuramente rincontrati e glielo avrebbe dato in quell'occasione.
    « Buonanotte, Evie. Riprenditi. » le diede un buffetto sulla guancia e spiccò di nuovo il volo, diretto di gran lena verso casa sua prima che qualcuno potesse vederli.
    Quegli occhioni dorati sarebbero stati la sua rovina.

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