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Izar x Altayr | Ta Nulli

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    Altayr Clarity Windstorm

    14 novembre

    Ta Nulli di giorno era molto meno spaventosa che di notte: certo, i delinquenti che ti sfilavano il portafoglio dalla borsa erano sempre in agguato, ma sicuramente non era la prima preoccupazione. In effetti, quella di Altayr non lo era. Piuttosto, era in assidua ricerca di un posto dove sedersi, la caviglia che le pulsava e il ginocchio sbucciato, con tanto di jeans non volutamente strappati.
    Cosa le era successo? Procediamo con ordine. Shelia, una sua cara amica originaria di Ta Nulli, le aveva prestato il suo appartamento per una notte, giusto il tempo di fare un paio di ricerche su una futura missione: niente di impegnativo, ma aveva dovuto procurarsi i documenti proprio nella biblioteca di Ta Nulli e essere rimasta a dormire lì le aveva semplificato di molto le cose. Quella mattina, verso le dieci, era uscita a fare colazione in un bar sotto casa e, con un cornetto strapieno di cioccolato in mano, ne approfittò per fare una veloce passeggiata nei dintorni. In fondo era una bella giornata per essere novembre, perché non approfittarne? Camminando sul marciapiede, non si sarebbe mai aspettata che un bambino le potesse venire addosso con la bici a velocità supersonica e, evitandolo, si era storta la caviglia cadendo dal marciapiede e sbucciato il ginocchio sull'asfalto. In tutto questo, come se non bastasse, il cornetto al cioccolato si era spiaccicato al suolo, diventando immangiabile. Dopo aver imprecato almeno in tre lingue - tutte inventate sul momento per la rabbia - dietro il bambino e la sottospecie di educazione stradale che aveva ricevuto, riuscì ad alzarsi a fatica e aveva continuato a camminare in cerca di un posto sul quale sedersi o una fontanella d'acqua fredda.
    Ci mise del tempo a raggiungere un parco lì vicino e, appena seduta su una panchina, fu pervasa da una sensazione di sollievo immensa. La caviglia era diventata violacea, il ginocchio sanguinante aveva macchiato i pantaloni e il dolore si faceva sentire sempre di più. Tirò fuori dalla tasca del giubbotto un pacchetto di fazzoletti e tamponò la ferita, mettendoci poco a colorarsi di rosso.
    « Quel marmocchio senza cervello... » brontolò, sbuffando e prendendo un altro fazzoletto. Si guardò intorno, alla ricerca di una fontanella: quando la individuò, non fu molto felice dal dedurre che era abbastanza distante da dove stava lei. Non esageratamente, ma in quelle condizioni non se la sentiva di alzarsi. Vicino alla fontanella c'era comunque un'altra panchina, avrebbe potuto raggiungerla e rimanere lì. Diede uno sguardo alla caviglia: si era gonfiata e neanche di poco e aveva assunto una colorazione non molto rassicurante. Un po' di acqua fredda avrebbe sicuramente alleviato il dolore, ma la fonte le sembrava lontana chilometri e chilometri. Sbuffò, ancora.
    "Al mio tre mi alzo e vado." cercò di motivarsi, appoggiandosi allo schienale della panchina per mettersi in piedi. Quando lo fece, ricadde su di essa con un tonfo e un sonoro "ahia". Aveva sforzato troppo la caviglia per arrivare fino a lì probabilmente, ed ora le faceva un male cane.
    « Che schifo di situazione. » imprecò di nuovo, sostituendo di nuovo il fazzoletto sporco con uno bianco. Non conosceva nessuno di Ta Nulli e, da brava tonta, aveva lasciato la borsa con il cellulare in appartamento. Oh, bene. L'unica era richiamare l'attenzione dei pochi passanti o strisciare sulla ghiaia, e sinceramente non sapeva quale delle due fosse più allettante e umiliante.


    Izar Al Nair


    Nonostante l'avvicinarsi dell'inverno, quel giorno il clima era piacevole e invitante. Izar terminò il suo volo mattutino e atterrò sul ramo della sequoia che ormai gli faceva da seconda casa, usando le grandi ali nere per tenersi in equilibrio. Con la schiena poggiata al tronco, portò le braccia dietro la nuca e chiuse gli occhi, grato di potersi rilassare prima di riprendere a fare commissioni. Dopo le ultime piogge parte della casa era crollata sotto il peso dell'acqua, e lui e il suo tutore avevano impiegato una settimana per rimettere a posto il tetto. Samael era affezionato alla bettola in cui avevano vissuto per anni, ma era chiaro che ormai fosse tempo di pensare a un trasloco. Il mutaforma stava per addormentarsi, un piede a ciondoloni e le ali a fargli da coperta, quando il ferruginoso odore di sangue gli pizzicò il naso. Si sporse ad osservare il parco oltre il fogliame, dove in giornate come quelle spesso gironzolavano un sacco di bambini, e notò una figura di spalle seduta su una panchina. Una ragazza dai lunghi capelli castani stava piegata in avanti, armeggiando con chissà cosa, e borbottava imprecazioni al cielo. Izar riconobbe il tono scontroso, e sghignazzò fra sè. Sebbene non la vedesse da quel piccolo intermezzo a Mekar Ledo, sapeva per certo che si trattava dell'Aquila che da subito aveva attirato la sua attenzione. Sì, all'inizio più per antipatia che per altro (le aquile erano predatrici egoiste e spocchiose), ma conoscendola si era reso conto che i brividi sottopelle che provava stando vicino a lei non erano dati dal disgusto. Il suo carattere orgoglioso l'aveva trattenuto dal chiederle il numero di telefono e sciocchezze simili, sicuro che l'avrebbe rivista alla Ayle. Inutile girarci tanto attorno, si era preso una bella cotta adolescenziale, anche se ammetterlo era difficile. Non era abituato ad esprimere i suoi sentimenti con chiarezza, tanto meno nei confronti dell'altro sesso. Si disse che forse era solo una cosa passeggera, che il loro continuo punzecchiarsi era segno di incompatibilità e presto ognuno sarebbe andato per la sua strada, eppure eccola lì, nel suo territorio a prendersela con chissà chi. Scese dal ramo con un balzo, usando le ali per attutire il colpo, e si fece strada tra gli alberi fino ad arrivare allo spiazzo lastricato del parco. La raggiunse con passo furtivo, portandosi dietro di lei e sbirciando da sopra la spalla: il ginocchio, coperto da un fazzoletto, aveva sporcato di sangue i jeans strappati, e non sembrava intenzionato a guarire in fretta.
    « Un uccellino è caduto dal nido, a quanto pare » disse, esibendo un sorriso malizioso. Per uno strano gioco del destino i ruoli si erano invertiti, stavolta, e sembrava l'occasione giusta per redimersi dalla brutta impressione fatta qualche tempo prima. « Serve aiuto? ».


    Altayr Clarity Windstorm

    Accartocciò l'ennesimo fazzoletto zuppo di sangue e lo tirò con rabbia per terra.
    « Diamine! » imprecò ad alta voce, senza preoccuparsi di cosa avrebbe potuto pensare la poca gente che girava per quelle parti. Ad ogni modo, le sue lamentele venivano coperte dalle grida di gioia dei bambini che giocavano poco più dietro di lei, in mezzo agli alberi. Il suo sguardo ricadde sull'agognata fontanella. E se avesse saltellato su un piede solo? O avrebbe anche potuto fare un piccolo volo, ma sinceramente le pareva decisamente fuori luogo per percorrere una quarantina di metri, e avrebbe attirato un sacco l'attenzione. Forse saltellare fino a lì non era così tanto male...
    Provò di nuovo ad alzarsi, ma una fitta più forte delle altre alla caviglia la costrinse a mettersi di nuovo a sedere. « Porca... » si fermò, tempo di cambiare imprecazione in una un po' più signorile. « ...pupazza! »
    La caviglia era diventata completamente viola e sembrava un palloncino. Possibile che da qualche missione era riuscita perfino a uscirne indenne e invece riusciva a storcersi una caviglia cadendo da un marciapiede per colpa di un bambino sconsiderato? Che rabbia. Avrebbe comunque riprovato tra poco ad alzarsi e a raggiungere la fontanella, aveva bisogno di acqua fresca per alleviare il dolore e imbevere un fazzoletto per fermare il sangue che sgorgava dalla ferita al ginocchio. Non ci aveva fatto caso, ma dalla quantità di sangue che ne usciva sembrava abbastanza profonda e non era nemmeno tanto piccola.
    Le urla dei bambini non le fecero udire l'avvicinarsi di qualcuno, che ebbe l'idea di sbucarle da dietro e dirigerle un saluto affettuoso - si fa per dire. Altayr si girò verso di esso di scatto: i suoi occhi spalancati incrociarono quelli verdi di qualcuno che conosceva. Capelli grigi, sguardo malizioso, lingua tagliente... non c'erano dubbi, Izar.
    « Ma guarda un po' chi si rivede. » fece, alzando un sopracciglio e sorridendo. E chi pensava di rivederlo? Non lo aveva mai beccato prima alla Ayle, luogo in cui avrebbe avuto una più alta probabilità di incontrarlo, figurarsi a Ta Nulli! Doveva dire però che si era rivolto a lei molto più gentilmente dell'altra volta, bisognava riconoscerglielo.
    Stava per rispondergli che no, non era caduta dal nido bensì da un maledetto marciapiede per colpa di uno stramaledetto bambino, ma preferì non farglielo sapere, aveva come l'impressione che avrebbe potuto riderci su per ore.
    « Nah, tranquillo, sto benone. » rispose, mettendo i piedi a terra e cercando di nascondere il fazzoletto sporco. Non se la sentiva di chiedere aiuto a qualcuno per un qualcosa di così banale. « E' un graffietto, nulla di più, ci vuole ben altro per- » si alzò in piedi, e un'altra fitta le attanagliò la caviglia, desiderando di non essersi mai alzata. « -mettermi k.o. » concluse, con un sorriso forzato. Sentiva la caviglia pulsare e il dolore era atroce. Si morse le labbra, e si mise di nuovo seduta, stringendo i pugni. Possibile che non c'era altra via? Doveva proprio chiedere a lui di aiutarla a raggiungere la fontanella o di andare a bagnargli il fazzoletto? Non voleva mostrarsi debole di fronte a Izar, il loro era come un eterno scontro tra volatili: non voleva ammetterlo di fronte a lui, ma d'altra parte dubitava fortemente che i bambini dall'altra parte del parco fossero in grado di darle una mano.
    « Okay » disse, sbuffando sonoramente. « Potresti aiutarmi a raggiungere quella fontanella? » la indicò facendo un movimento con il capo in direzione di essa. Non andò nei particolari dicendo che si era fatta un gran male, poteva vederlo da solo, e non aggiunse nessun "ti prego" o "per favore": in caso avrebbe rifiutato, Altayr avrebbe saltellato fino ad arrivarci, cosa che già voleva fare prima che arrivasse lui.


    Izar Al Nair

    Altayr che chiedeva aiuto era una vista più unica che rara. Il mutaforma scosse il capo come a voler dire "questa è irrecuperabile", e assistette al suo teatrino mentre fingeva di stare benissimo ed essere una donna forte e indipendente. Alla fine capitolò, chiedendogli di accompagnarla alla fontana al centro del parco, poco distante da loro. Risciacquare la ferita sembrava la cosa migliore da fare, dato che i jeans sembravano usciti da un film horror e il sangue non voleva saperne di fermare la sua corsa. Se si trattava di un taglio profondo forse sarebbero serviti dei punti per chiudere la ferita. Non appena si accorse dell'entità del danno, Izar iniziò a preoccuparsi sul serio. « Ma come hai fatto a ridurti così? » chiese, sospirando. Sperò vivamente che non fosse appena uscita da una rissa, cosa molto comune a Ta Nulli. In effetti, perchè si trovava lì? Beh, le domande potevano aspettare. Il ragazzo fece scivolare un braccio attorno alla sua schiena e l'aiutò ad alzarsi, ma l'espressione sofferente sul viso dell'Aquila gli fece capire che non era solo il ginocchio il problema. Appena aveva provato ad appoggiare il piede, la ragazza aveva assunto il colore di un lenzuolo. La fontanella doveva sembrarle un obiettivo lontanissimo, ridotta com'era. « No, meglio non farti camminare ». Prima che potesse protestare, Izar la sollevò a mo' di principessa, cosa che aveva visto fare spesso alla televisione, e si avviò di buon passo, ignorando tutte le proteste che avrebbe potuto fare. Era una questione di praticità, in quel modo avrebbero impiegato meno tempo e Altayr non avrebbe sofferto come un cane per fare pochi metri. Il ragazzo continuò a ripetersi questa serie di motivazioni, camminando disinvolto fino alla fontanella.
    La mise a terra con delicatezza e non mollò la presa, certo che sarebbe caduta a causa della caviglia dolorante, per poi iniziare a far scorrere l'acqua. Era gelida, considerando la stagione, ma avrebbe anestetizzato il dolore. « Okay uccellino, dammi il fazzoletto. Vediamo di ripulire questo disastro » disse, con un mezzo sorriso.


    Altayr Clarity Windstorm

    Una delle cose che più odiava era farsi vedere debole dagli altri e essere costretta a chiedere aiuto. Se poi aggiungiamo che il soggetto a cui aveva dovuto rivolgersi era quello che considerava il suo rivale, eravamo a cavallo. Ma d'altra parte, che altra scelta aveva in quel momento? Per quel parco sembrava non passare nessun adulto o giovane in grado di darle una mano, e non aveva conoscenze in città. Cercò di convincersi che era stata praticamente una costrizione e non c'erano altre opzioni, ma ad Altayr suonava più come un 1-0 per il Corvo.
    Alla fine, Izar accettò di aiutarla, non dopo aver chiesto come aveva fatto a ridursi in quello stato. Aggrappandosi al braccio del ragazzo, si tirò su e non fece in tempo a dire "Non sono affari tuoi" che la caviglia cominciò a fare storie: più tempo passava, più la situazione peggiorava. Sicuramente l'aveva sforzata troppo nel lasso di tempo che aveva impiegato a trovare un luogo dove sedersi, quando invece doveva mantenerla a riposo. La sollevò dunque da terra, restando accanto ad Izar, conscia di dover provare a camminare su un piede solo.
    « Ce la faccio, ce la faccio. » fece, tentando di apparire convinta. Non poteva accettare di mostrarsi più in difficoltà di quanto avesse già fatto.
    « No, meglio non farti camminare. » disse per tutta risposta il Corvo, e in men che non si dica, Altayr si ritrovò tra le braccia del ragazzo, che si dirigeva risoluto e a passo veloce verso la fontana.
    La ragazza, per tutta risposta, cominciò a brontolare. « Ma ti ho detto che ce la faccio! Non ce n'è bisogno! » nulla da fare, lui sembrava intenzionato a farle toccare terra solo una volta raggiunto l'obiettivo.
    Si stava sbagliando, o Izar le sembrava molto poco robusto per essere un ragazzo? Avrebbe scommesso che le sue braccia fossero più muscolose di quelle di lui, e si chiedeva come aveva fatto a sollevarla senza alcun apparente sforzo.
    La appoggiò poi a terra, senza lasciarla andare completamente e fornendole un punto di appoggio.
    Sinceramente? Non se lo ricordava così premuroso dalla serata passata a Mekar Ledo. Ora che le veniva in mente, in quell'occasione fu lui ad essere in difficoltà: aveva allarmato tutti i presenti prendendosi la febbre, e Altayr aveva cercato di aiutarlo come poteva per stare in pace con sé stessa. In qualche modo, si era sentita responsabile per come Izar si era ridotto. Ed ora, era la cacciatrice ad avere bisogno di aiuto. Le scappò una risatina sommessa mentre il ragazzo faceva scorrere l'acqua: il destino le aveva giocato uno scherzo ben architettato.
    « Ehi ehi, uccellino a chi? » disse, con tono fintamente offeso, porgendogli il pacco di fazzoletti. « Non dimenticare che l'aquila è la regina dei- » trasalì nel momento in cui Izar le appoggiò il fazzoletto bagnato sulla ferita. « -volatili. » riprese. L'acqua era davvero gelida, e il fatto fosse autunno inoltrato sicuramente non aiutava; sperò solo che la ferita potesse cominciare ad anestetizzarsi in fretta.
    « Da' qua, ci penso io. » gli intimò, facendogli segno di passargli il fazzoletto.


    Izar Al Nair

    La cocciutaggine di Altayr aveva dell'incredibile. Ridotta a quel modo, trovava ancora le forze per protestare. Il ragazzo le lasciò il fazzoletto, zuppo di sangue e acqua, ma aumentò la stretta attorno ai suoi fianchi quando si piegò per tamponare il ginocchio. Si comportava proprio da regina dei volatili, effettivamente, ma lui risparmiò la battuta.
    « Dovresti farti vedere da qualcuno. Ci sarà qualche clinica aperta, nei dintorni » rifletté, osservando le sopracciglia aggrottate e l'espressione di puro dolore che celava a fatica. Forse sarebbe bastato un bendaggio stretto e qualche litro di disinfettante, ed era l'unica cosa che in casa sua non mancava mai. Samael era il signore delle risse, lì a Ta Nulli. Quando usciva per ubriacarsi finiva sempre con qualche contusione o graffio, senza mai sprecarsi in dettagli circa il come se li fosse procurati. Izar era la sua crocerossina, come diceva lui, e si considerava abbastanza capace. I suoi pensieri si sommarono, dandogli come risultato un qualcosa di improponibile: invitare Altayr a casa sua.
    - No, okay, fermati un attimo - si impose il ragazzo, - non vi conoscete in via ufficiale, siete nemici giurati, e lei... -. Il suo sguardo scivolò sulla porzione di collo scoperto all'altezza della nuca, dove i capelli si erano divisi per pioverle sulle spalle mentre stava chinata a medicare la ferita. Deglutì sonoramente e sentì le guance scaldarsi. La mano che le reggeva il fianco diventò ipersensibile, come se stesse toccando una fiamma viva. Non era il caso di imbarazzarsi per così poco, no? Si stava comportando da vero galantuomo, cosa che non era mai stato. Ma in fondo Samael era andato a trascorrere un paio di giorni dalla sua nuova compagna, non l'avrebbe importunata con i suoi commenti da maniaco, e poteva far sedere la ragazza su qualcosa di più comodo di una panchina. Sì, bastava chiederlo senza pensare a dei doppi fini, in modo innocente.
    « Se... se ti va, io abito qui vicino. Mi sono rimaste delle bende, e quindi... ». A giudicare dal calore che sentiva, doveva essere più rosso di un pomodoro. E stava balbettando. Con un sospiro frustrato diede un taglio netto alla questione.
    « Puoi venire a casa mia, se non te la senti di andare da un medico ». Guardò volutamente altrove per evitare di imbarazzarsi ancora di più, quasi irritato dalla sua stessa imbranataggine.
    Non era un esperto di donne, nè di corteggiamento. Il meglio che poteva fare era non abbandonarla al centro della città come un mostro senza cuore.


    Altayr Clarity Windstorm

    Altayr si premette senza indugi il fazzoletto bagnato sulla ferita e, diamine, le parve bruciargli più di prima. Aggrottò le sopracciglia leggermente, cercando di non far trasparire il dolore. Il sangue, comunque, era diminuito ed era sicuramente un bene; d'altra parte, non si sentiva più un ginocchio. Era un buon segno, almeno l'anestesia stava facendo effetto. Ora doveva solo aspettare che il sangue si fermasse ─ okay, la vedeva dura in poco tempo con una ferita del genere, ma almeno diminuire. Avere delle bende sarebbe stato l'ideale, ma si doveva accontentare di fazzoletti bagnati.
    « Saaanto cielo... » imprecò a bassa voce, mordendosi le labbra.
    Izar propose di farsi vedere da qualcuno, ma scartò subito l'opzione. Non aveva soldi con sé se non il resto della colazione di quella mattina, che ammontava a molto poco. Buttò via il fazzoletto bagnato e quasi interamente rosso lanciandolo in un cestino, per poi tirarne fuori un altro e riprendere quella improvvisata medicazione. Nel frattempo, il ragazzo non diceva nulla: sembrava perso nei suoi pensieri, ma la stretta sui suoi fianchi era sicura e stretta. Le venne da sorridere, pensando a come lo aveva conosciuto a Mekar Ledo: un po' distante, non si era mai fatto sfuggire l'occasione per dirigerle qualche frecciatina; le era comunque sembrata una persona alla mano e scherzosa, ma non aveva mai pensato al fatto che Izar potesse nascondere un lato premuroso. Se qualcuno glielo avessero raccontato gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia. Era una sfumatura che apprezzava, comunque, soprattutto perché non se lo sarebbe mai aspettata.
    Si voltò verso di lui quando cominciò a parlare, o meglio, a balbettare. Non la stava volutamente guardando, ma riuscì a vedere ugualmente le guance rosse del Corvo. Le scappò una risatina, ma non di scherno, bensì perché, oltre che gentile, aveva scoperto che il ragazzo poteva, strano ma vero, provare imbarazzo. Insomma, era così sicuro di sé, non lo credeva possibile. Shelia glielo aveva detto: i ragazzi si vergognano da morire a invitare a casa le ragazze, soprattutto perché non vogliono far suonare il loro invito come qualcosa di indecente. L'amica al contrario suo aveva avuto diverse avventure sul fronte amoroso, e quando gli dava consigli sui ragazzi - non richiesti, dato che Altayr non se ne faceva nulla - la maggior parte le entravano da un orecchio e uscivano dall'altro. Alla lunga, memorizzava solo quelli che ripeteva più spesso, e quello che le era appena riaffiorato alla mente faceva parte di quella categoria.
    Insomma, Izar l'aveva invitata a casa sua e, consigli di Shelia a parte, non era una scelta malvagia. Non poteva restare con il ginocchio e la caviglia sotto l'acqua fredda fino a sera, un bell'impacco con bende, disinfettante e ghiaccio sembrava l'unica soluzione a quel disastro che erano le sue gambe in quel momento.
    « Allora penso approfitterò della tua generosità. » esclamò, schizzandolo con un po' dell'acqua fredda della fontanella. « Così ti raffreddi un po'. » rise, bagnando le mani sotto l'acqua e appoggiandole sulle guance del ragazzo, per poi ritirarle subito. Era uno scherzo che si divertiva a farle sua madre quando, da piccola, aveva le guance rosse per il caldo, il freddo o la rabbia, e Altayr andava su tutte le furie quando accadeva. Chiuse poi il rubinetto, voltandosi verso di lui, ridendo ancora un po'.
    « In che direzione bisogna andare? » chiese, guardandosi intorno con fare da esploratrice, una mano sul fianco e l'altra sopra gli occhi. Si scompose comunque quasi subito, per appoggiarsi allo schienale di una panchina vicina. « Ah, sia chiaro: non mi tirare su come hai fatto prima. » lo avvisò, puntandogli il dito contro. « Ho paura ti venga un'ernia e non voglio averti sulla coscienza. » "di nuovo", ma non lo disse.


    Izar Al Nair

    Izar si strofinò le guance con la manica, lo sguardo offeso di un gatto che era stato spinto in uno stagno. L'acqua gli era parsa gelida sulle gote incandescenti, e in un certo senso aveva fatto bene. Ora gli ingranaggi della sua testa giravano correttamente, riusciva a pensare con lucidità. Altayr aveva accettato di buon grado la sua proposta, cosa che non si sarebbe mai aspettato, quindi il primo ostacolo poteva dirsi superato. Ora veniva il bello: l'ospitalità. Casa sua era una catapecchia decadente, un misto tra modernità e epoca antica, piena di cianfrusaglie. Pregò affinché Samael non avesse lasciato in giro le sue mutande com'era solito fare, o si sarebbe vergognato a morte. L'Aquila non sembrava una di quelle signorine per bene con la puzza sotto il naso, ma non si poteva mai sapere.
    « Ah, sia chiaro: non mi tirare su come hai fatto prima. Ho paura ti venga un'ernia e non voglio averti sulla coscienza. » disse, appoggiata alla panchina lì accanto. Izar alzò gli occhi al cielo e sospirò, chiedendosi perchè ci tenesse tanto a far bella figura davanti a lei. Sembrava abbastanza indipendente da non avere bisogno di aiuto, e non era abituata a riceverne. Che lui ci fosse o meno non le faceva differenza. « Non sono mica un vecchietto » borbottò, guardando con occhio critico la montagna di fazzoletti che stava consumando. La ragazza chiese in che direzione fosse casa sua, e lui indicò un punto a nord.
    « In mezzo a quelle montagne lassù. Non è distante, ma se non ce la fai ti posso portare a spalle, maestà ». Fece un ghigno divertito mentre liberava le ali, chiuse prima del suo incontro con lei. Indossava una maglietta grigia con due fori sulla schiena, strappati una settimana prima e mai ricuciti. Era adatta allo scopo, almeno. Si appollaiò sullo schienale della panchina, sovrastando l'Aquila con la sua altezza. Le ali nere e dispiegate proiettavano un'ombra su di lei. « Ti avviso, non sarà un hotel di lusso, ma almeno possiamo riaggiustarti ». Con quella trasformazione la sua vista si era affinata, permettendogli di vedere distintamente i dettagli sul viso imbronciato di Altayr. I loro occhi avevano un colore molto simile, eppure su di lei stavano molto meglio. Izar piegò la testa di lato, come avrebbe fatto un corvo incuriosito dalla sua preda, e chiese:
    « Andiamo? ».


    Altayr Clarity Windstorm

    La mutaforma rise quando Izar, imbronciato, si rifiutò di essere paragonato ad un vecchietto: sembrava un bambino a cui avevano appena negato una caramella. « Non intendevo quello, ma pazienza. » disse, facendo un gesto con la mano in modo da far capire che il discorso finiva là. Non le sembrava carino dirgli che gli era parso fisicamente gracile quando l'aveva portata alla fontanella, e non voleva si sforzasse eccessivamente.
    Il suo aver accettato la proposta stupì il ragazzo, lo aveva dipinto in viso. In effetti, Altayr aveva cercato di dimostrare di essere indipendente per tutto il tempo, ma la verità era che senza l'aiuto del ragazzo, in quel momento, starebbe ancora cercando di raggiungere la fontanella senza aggravare più di tanto la situazione. Averlo incontrato era stato un bene, le doleva ammetterlo ma era effettivamente così: aveva innegabilmente bisogno d'aiuto, sebbene la ragazza facesse di tutto per non darlo a vedere.
    Ma Altayr era orgogliosa, oh, se lo era, e tutto ciò non lo avrebbe mai ammesso. Avrebbe continuato a fare scenate su quanto fosse forte cercando di alzarsi e sarebbe caduta altrettante volte sulla superficie fredda della panchina, piuttosto. Non accettava il suo aiuto perché era debole, ma in quel momento non poteva farne a meno. O almeno così si ripeteva lei: perché, in verità, l'invito di Izar le aveva fatto davvero piacere. Stava scoprendo poco a poco un lato di lui che mai avrebbe immaginato, e una strana sensazione di piacere e sollievo si era invaghita di lei quando le aveva offerto il suo aiuto.
    Questo non cambiava comunque il fatto che fosse testarda e non volesse dare a vedere quanto fosse grata al ragazzo. Aveva bisogno del suo aiuto, ormai era evidente, ma non era il tipo che si buttava giù di fronte alle difficoltà. In quel momento non era diverso, semplicemente aveva trovato qualcuno disposto ad aiutarla e si era affidata a lui; in caso non ci fosse stato, avrebbe trovato il modo per uscire fuori da quella situazione in modo differente e... e meno male che c'era lui, davvero.
    Quando Izar indicò le montagne, ci rimase un poco male: con "vicino" pensava di dover svoltare a destra subito dopo l'uscita del parco, invece si sbagliava. La casa del corvo si trovava in mezzo alle montagne, e in effetti Izar non sembrava un ragazzo da movida cittadina.
    « Innanzitutto, ad una regina ci si rivolge usando il voi » lo bacchettò, con un mezzo sorriso. « e non sono così malridotta da non poter volare. » aggiunse, guardando l'orizzonte nel punto che Izar aveva indicato. Era da un po' in effetti che non si concedeva un sacrosanto volo mattutino. Per fortuna quella mattina si era messa una maglietta che aveva intenzione di buttare già da un po', non si sarebbe fatta molti problemi a strapparla a causa delle ali. Il ragazzo si appollaiò sullo schienale della panchina dove era appoggiata, sovrastandola con la sua altezza. La cacciatrice alzò il viso, incontrando i suoi occhi verdi e un sorrisetto beffardo, e la sua attenzione fu catturata dalle sue ali: corvine, grandi, avrebbero potuto benissimo avvolgere sia lui che lei e nasconderli. In qualche modo però, non trasmettevano eleganza, bensì libertà e voglia di librarsi in volo. Un po' come Izar.
    « Tranquillo, non vivo in un palazzo reale. » sorrise. Si tolse la giacca e la legò alla vita con doppio nodo, in modo da non farla cadere durante il volo, e spiegò le ali, coperte di piume marroni scuro. Le ali dell'aquila raggiungevano i due metri di larghezza, e le sue non facevano eccezione.
    « Fai strada. » lo invitò. Appena lui spiccò il volo, Altayr si alzò da terra senza darsi alcuna spinta con le gambe. Si mise al pari del ragazzo, alla sua sinistra: non gli avrebbe permesso di lasciarla indietro.


    Izar Al Nair

    Volare non implicava l'uso delle gambe, quindi Altayr non protestò quando scoprì dove dovevano dirigersi. Ciò non toglieva che era pericoloso lasciarla gironzolare nel cielo a briglia sciolta, quindi Izar rimase appena qualche centimetro dietro di lei per tenerla d'occhio. Sembrava a suo agio, per fortuna, anche se andava decisamente troppo veloce per una che aveva appena perso qualche litro di sangue dalla gamba. Aveva una volontà di ferro, doveva riconoscerlo. Nell'immaginario del ragazzo, le femmine erano dolci, indifese e con la lacrima facile, ma Altayr non corrispondeva a nessuno di quegli aggettivi.
    Il modo rapido e furtivo in cui si muoveva, le occhiate sospettose, gli diedero da pensare.
    Una studentessa della sua età avrebbe dovuto essere più spensierata, non sempre sul chi vive, come se si aspettasse un attacco alle spalle in qualsiasi momento. D'improvviso si rese conto di voler sapere di più su quella mutaforma dalle magnifiche ali del colore della terra. Da dove veniva? Com'era la sua famiglia? Aveva un fidanz... - No, quello non ti interessa! - si rimproverò, dandosi mentalmente dello stupido per averlo anche solo pensato. Non erano affari suoi. Dopo averla medicata l'avrebbe riaccompagnata in città e tanti saluti, ognuno per la sua strada. Sorvolarono le case di Ta Nulli in fretta, il vento favorevole che gonfiava le ali e un cielo terso che permetteva di vedere le montagne in tutta la loro imponenza. Sulle vette era già caduta la prima neve. Man mano che si avvicinavano, le abitazioni diventavano sempre meno numerose, abbarbicate alle pendici di roccia e piante selvatiche. Samael aveva scelto appositamente quel luogo per crescerlo in santa pace, nel silenzio della natura e lontano da occhi indiscreti. In una rientranza nella montagna, nascosta da un piccolo boschetto, stava la catapecchia dove Izar aveva trascorso gran parte della sua vita. Una casa in legno dall'aria vissuta, decisamente troppo grande per ospitare solo due persone. Un tempo doveva essere stata una villa di qualche riccastro, abbandonata poi a sè stessa nel periodo della guerra. Era attorniata da un giardino incolto (l'erba gli arrivava fino a metà polpaccio), con solo un vecchio pozzo coperto di rampicanti a fare da decorazione. Il ragazzo atterrò per primo, pronto ad afferrare Altayr nel caso l'arrivo gli avesse dato qualche problema. Per sicurezza le offrì il braccio, dato che dalla veranda alla porta d'ingresso c'erano ben tre scalini da fare. Da dove venisse questo suo istinto protettivo non lo sapeva nemmeno lui. « Beh, eccoci qui. Attenta a dove cammini, una di queste assi è rotta ». Quando aprì la porta scorrevole, Izar incappò immediatamente in un pacchetto di sigarette vuoto, seguito da una rivista sconcia e due lattine di birra accartocciate su sè stesse. Per lui quella era la normalità, ma ora aveva un ospite, diamine! Prese tutto in un nanosecondo e lo gettò di lato per liberare la strada. « Ehm... scusa il disordine. Il mio tutore è la pigrizia fatta a persona... » si giustificò, arrossendo visibilmente. All'ingresso vi era uno spazio per riporre le scarpe, che dava poi sul salotto ampio e pieno di cianfrusaglie sparse ovunque, con mobili bucherellati e un tavolino basso posto al centro. Il Corvo si affrettò a disporre un cuscino per la ragazza, mettendosi poi alla ricerca della valigetta dove teneva i bendaggi. « Siediti pure, e non guardarti troppo attorno. Lo dico per il tuo bene ». Samael si sarebbe beccato una bella strigliata al suo ritorno a casa, poco ma sicuro.


    Altayr Clarity Windstorm

    Il ginocchio pizzicava a contatto con il vento, ma Altayr cercò di non darci tanto peso: l'anestesia avrebbe dovuto tenere ancora un po', almeno fino all'arrivo a casa di Izar. Il cielo era terso, l'aria fredda e sotto di loro si distendeva la rocca di Ta Nulli, più avanti le montagne che il ragazzo aveva indicato. Volare era sempre una sensazione meravigliosa: si sentiva leggera e non aveva nessun pensiero, libera da problemi e preoccupazioni. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, per poi guardare in basso: per sua fortuna non soffriva di vertigini, perché stavano volando abbastanza alti. Le case diventavano via via più rare, lasciando spazio a campi incolti e distese di alberi di varia grandezza, che si allargavano mano a mano che continuavano il volo.
    Si voltò verso il ragazzo, poco dietro di lei: non era facile restarle accanto nel volo ma lui sembrava riuscirci senza problemi. Altayr era veloce, o come affermava sua madre, spericolata. Cercava il brivido e l'avventura in ogni cosa che faceva, e in volo soprattutto. Tagliava il vento con la sua velocità, faceva acrobazie, si lasciava cadere per riprendersi all'ultimo secondo: erano cose di cui non riusciva proprio fare a meno, e la povera Mira non era mai riuscita a farle cambiare idea. La mutaforma bramava la libertà più di ogni altra cosa, e sentiva di riuscire a conquistarla dal momento in cui spiegava le ali.
    Si era dovuta contenere comunque a causa del ginocchio, augurandosi che il sangue si seccasse a contatto con l'aria. Teneva comunque sotto controllo il territorio intorno a sé, come un'aquila durante la caccia. Quando Izar cominciò a volare più in basso, capì che erano quasi arrivati. Rallentò e lo seguì, mettendosi dietro di lui. Il ragazzo atterrò in un prato dall'erba alta, che circondava una casa in legno scuro molto spaziosa per essere abitata da una sola persona. Forse viveva con qualcuno.
    Altayr provò ad attutire l'atterraggio con le ali, ma non vi riuscì granché bene: purtroppo, la fase finale del volo non era il suo forte, finiva sempre con la faccia a terra in condizioni normali, figurarsi in quello stato! Infatti, il dolore alla caviglia si risvegliò, facendola barcollare in avanti, mentre sul suo volto si disegnava un'espressione di dolore. Izar a quanto pare si aspettava potesse accadere, e prima di finire a terra la ragazza trovò il suo braccio a sorreggerla. L'Aquila gli sorrise riconoscente, mugolando un "Meno male che c'eri tu" abbastanza sofferto. Si diede una leggera spinta con le ali per superare i gradini all'ingresso prima di richiuderle. Il ragazzo prese degli oggetti da terra e li scaraventò via, per poi rivolgersi a lei visibilmente imbarazzato.
    « Te l'ho detto, non preoccuparti. » gli fece. La casa del ragazzo era grande e disordinata, piena di mobili d'epoca. Sua madre sarebbe svenuta alla sola vista: lei era una donna molto ordinata, al contrario della figlia. In effetti, la sua camera all'Accademia e quella a casa erano disordinate, vestiti buttati a terra insieme a cianfrusaglie di ogni tipo, il letto perennemente disfatto e una montagna di roba sulla scrivania. Forse era per quello che, effettivamente, non ci diede così tanto peso. Lo faceva anche per non mettere in difficoltà Izar più di quanto non fosse, che correva da una parte all'altra della stanza provando a porre rimedio a quella situazione. L'ingresso si apriva sul salotto, una stanza ampia e illuminata da grandi finestre, arredata molto semplicemente. Il ragazzo le rimediò un cuscino, e Altayr vi si sedette come se fosse rimasta in piedi per giorni, lasciandosi sfuggire un lungo sospiro. Si tolse poi le scarpe, appoggiandole vicino al muro, e osservò il ragazzo vorticare per la stanza. Le avrebbe offerto volentieri il suo aiuto, se non fosse stata limitata dalla caviglia gonfia e dal ginocchio che cominciava di nuovo a far male.
    « E' una casa davvero grande. Vivi con qualcuno? » chiese, per poi riflettere su ciò che aveva appena detto. « Se sono invadente hai diritto a non rispondermi. » sorrise, mentre veniva verso di lei con in mano tutto l'occorrente per medicare una ferita.
    « Se hai bisogno di una mano dimmi, finché resto seduta posso fare qualcosa. » disse ancora. Izar stava facendo tutto ciò per lei, e si sentiva in dovere di partecipare a tutto ciò. Non voleva si stancasse troppo o si preoccupasse, e non era nel suo stile rimanere a guardare mentre gli altri facevano qualcosa, soprattutto se lo facevano per lei.
    Si guardò poi il ginocchio: il sangue aveva ripreso a scorrere, sebbene fosse meno rispetto a prima, e i jeans lì intorno erano ormai completamente rotti. Sbuffò: glieli aveva regalati Ethan per il suo compleanno ed erano già da buttare. La ferita cominciava a far male, di nuovo: sarebbero serviti dei punti per chiuderla, probabilmente. Guardò Izar, in attesa di cosa fare, e poi lo avrebbe aiutato di conseguenza. Non voleva assolutamente essere un peso.


    Izar Al Nair

    Il Corvo entrò nella sua modalità "crocerossina", come diceva sempre Samael, e tirò fuori un batuffolo di cotone già imbevuto di disinfettante. Chiese alla ragazza di arrotolare il jeans fin sopra al ginocchio e iniziò la sua accurata operazione. Il taglio, come sospettava, era abbastanza profondo, ma con dei punti adesivi si sarebbe richiuso senza problemi. Ora doveva solo occuparsi di tenerlo pulito. Mentre tamponava delicatamente la ferita, Altayr si propose di dare una mano, e lui rifiutò con un cenno del capo. « Ce la faccio, tranquilla ». Notò che anche la caviglia non se la stava passando bene, fatto che gli era sfuggito fino a quel momento, e si mise alla ricerca di un po' di ghiaccio. Quello in casa sua non mancava mai, perchè il Demone che abitava con lui era un assiduo bevitore di superalcolici, sempre accompagnati da almeno due cubetti di ghiaccio. Ne avvolse alcuni in uno straccio e poggiò la sacca sulla caviglia, riprendendo da dove aveva lasciato.
    « E' una casa davvero grande. Vivi con qualcuno? Se sono invadente hai diritto a non rispondermi. »
    Izar, inginocchiato davanti a lei e con entrambe le mani sulla sua gamba, alzò gli occhi per incontrare i suoi, un sopracciglio inarcato.
    « Non preoccuparti, non ho niente da nascondere ». Prese una garza e la girò attorno al ginocchio, dopo aver applicato del cicatrizzante. Più era stretta e prima il sangue si sarebbe fermato. « Vivo con il mio padre adottivo, la persona meno raccomandabile che conosca. Oggi è fuori con la sua ragazza... beh, quella del momento. Non è tipo da relazioni stabili ».
    Finito il bendaggio, il ragazzo guardò soddisfatto l'opera compiuta. Nella vita precedente doveva essere stato un medico, senza dubbio. Si accorse che l'Aquila era un po' pallida a causa dell'anemia, e si assentò un istante per cercare qualcosa da offrirle che potesse ricolorarle le guance. Al suo ritorno poggiò sul tavolino una caraffa d'acqua sbeccata, due bicchieri di forme diverse e una ciotola di patatine alla paprica, sperando che il retrogusto piccante non le desse fastidio. Lui ormai era immune ai cibi speziati, da tanti che ne mangiava. Prese posto vicino a lei, tenendo in mano la ciotola in modo che Altayr potesse raggiungerla senza spostarsi. « Ora vuoi dirmi com'è successa questa carneficina? ».


    Altayr Clarity Windstorm

    Il disinfettante fece più male di quel che ricordava. Sentì la ferita bruciare, come se andasse in fiamme, e un fastidioso e acuto pizzicore si levò dal ginocchio. Si morse il labbro, imponendosi di non fare scenate degne di una bambina di sei anni. Anche quando la medicavano dopo una missione era sempre il finimondo: sopportava poco le medicazioni, e le toccava sempre fare buon viso a cattivo gioco. Se si fosse scoperto che un semplice disinfettante le faceva questo effetto, l'avrebbero presa in giro a vita.
    Quando Izar si alzò non se ne diede una ragione, ma appena lo vide tornare con uno straccio in mano non ci mise molto a fare due più due: era pieno di ghiaccio, e lo confermò quando lo depose sulla caviglia. Strinse le labbra anche in quel momento, e mentre il ragazzo si occupava della gamba, lei tenne il ghiaccio sul rigonfiamento in modo che non cadesse o si allentasse. Il Corvo rispose alla sua domanda senza tanti problemi, affermando che sì, viveva con qualcuno. Per qualche motivo, Altayr fu sollevata che quel qualcuno non fosse una ragazza, ma il suo padre adottivo.
    "Padre... adottivo?" aggrottò le sopracciglia, realizzando solo dopo qualche secondo ciò che il ragazzo le aveva rivelato. Quindi Izar non aveva i genitori? Cioè, li aveva sicuramente, ma chissà quale fine avevano fatto. Lo avevano abbandonato? Erano scomparsi? Il ragazzo era concentrato sulla ferita mentre il volto della ragazza si intristì lievemente: forse aveva toccato un tasto dolente, ma da come ne aveva parlato non lo aveva toccato più di tanto. Evidentemente aveva già superato la cosa, ma non volle fare altre domande a riguardo. L'uomo che viveva con lui sembrava però un tipo abbastanza disorganizzato: tutta quella confusione non sembrava opera di Izar, a giudicare da come si era impegnato a mettere un po' a posto qua e là e lo sguardo da mogliettina arrabbiata che avrebbe sgridato il marito appena tornato a casa che aveva assunto fino a pochi momenti prima. Sembrava anche cavarsela alla grande con la cassetta del pronto soccorso.
    « Sei tu la donna di casa, insomma. » sorrise, e si mise subito le mani davanti. « E' un complimento! » aggiunse, stringendo la presa sulla caviglia e il ghiaccio. Izar prese a bendarle il ginocchio dopo averle applicato qualcos'altro che non seppe definire, e strinse forte, guardando poi l'operato soddisfatto. Altayr sorrise, e il ragazzo sparì di nuovo. La ragazza avvicinò a lei il ginocchio, ammirando il bendaggio degno di un infermiere.
    Lo aveva catalogato male, alla fine era un bravo ragazzo. Certo, la sua gentilezza era nascosto sotto un carico di spavalderia e frecciatine mirate, ma si era preoccupato per lei e l'aveva aiutato nonostante il loro tempestoso incontro a Mekar Ledo e l'accesa rivalità che correva tra i due uccelli di cui condividevano il DNA. Non pensava fosse un tipo del genere, lo faceva molto più superficiale. Ne era rimasta piacevolmente colpita, e si chiese se non nascondesse altri lati misteriosi. Le avrebbe fatto piacere conoscerli, a dire il vero.
    Appena quest'affermazione le balenò in testa, si mise le mani sulle guance, con forza, producendo un sonoro "PAF": ma che diavolerie stava mai pensando?!
    "Ho fame e mi sto rimbecillendo." si convinse, scuotendo la testa e giocherellando con una ciocca di capelli. Lo stomaco si fece sentire appena il Corvo ritornò con una brocca d'acqua, un paio di bicchieri e una ciotola colma di patatine. Raddrizzò la schiena appena lo vide con del cibo in mano, come se fosse un cane e il padrone fosse tornato da una lunga giornata di lavoro. Izar si sedette vicino a lei e le avvicinò la ciotola. Altayr non fece molti complimenti, prendendo con una mano quante più patatine possibile e mettendosele in bocca.
    « Mmh, paprica... Le adoro! » sospirò felice, gustandosi il piccante delle patatine. Quando lui le chiese come si era ridotta in quel modo, cominciò a mangiare sonoramente, come a voler dire "ah, scusa, ho la bocca piena, non posso parlare adesso". Doveva inventarsi qualcosa: se gli avesse detto la verità, sarebbe scoppiato a ridere e chissà per quanto ne avrebbe avuto da dire. Frequentava anche la sua stessa scuola, quindi ogni volta che avrebbe potuto incrociarlo per i corridoi gli sarebbe scappata una risatina.
    "Posso dirgli che sono appena uscita fuori da una rissa, ci sta... Seppur non abbia lividi o il labbro spaccato..." rifletté. In effetti, la sera prima aveva litigato con il tizio della biblioteca: non aveva la tessera della biblioteca, quindi si era rifiutato di darle in prestito dei volumi. Se non fosse stato per un altro ragazzo, sarebbe seriamente finita male. Beh, un litigio del genere le avrebbe sicuramente portato più gloria che cadere da un marciapiede per far passare un bambino.
    « Oh, un litigio andato a finire male, mi ci ficco spesso in situazioni del genere. » esclamò alla fine, sperando ci credesse e finisse lì il discorso. Doveva cambiare argomento alla svelta.
    «Te la cavi bene con bendaggi e compagnia. » esordì. Era un discorso patetico e nato da nulla, ma magari riusciva a cavarci un ragno dal buco. « Non pensavo, sai? »


    Izar Al Nair

    Izar era tante cose, ma non uno stupido. L'Aquila stava chiaramente girando attorno all'argomento, inventandosi qualche bugia per metterlo a tacere. Non si usciva da una rissa a Ta Nulli senza averci almeno rimesso un occhio o qualche dente, e lui lo sapeva bene.
    « Te la cavi bene con bendaggi e compagnia. Non pensavo, sai? » disse, evitando di guardarlo, e lui fece un sorrisetto sghembo.
    « Anche tu te la cavi ad evitare le domande ».
    In fondo era solo preoccupato, perchè rissa o no, la ragazza aveva rischiato di rimanere bloccata in città con una gamba malconcia, e se lui non si fosse trovato lì per caso chissà cosa sarebbe potuto accaderle. In giro c'erano un sacco di tipi poco raccomandabili. In effetti, cosa la portava lì, in mezzo alle montagne? Raramente ci si recava ai piedi della Rocca per un giretto turistico.
    Il mistero sulla fanciulla dai bei occhi verdi si infittiva. Izar fece comunque spallucce alla sua rivelazione, continuando ad attingere dalla ciotola una patatina alla volta. Non voleva correre il rischio di finirle, dato che ad Altayr sembravano piacere molto. Diede una sbirciata al bendaggio, ancora immacolato, e sospirò di sollievo. Il sangue aveva finalmente arrestato la sua corsa, anche se i jeans rimanevano un disastro. Più tardi le avrebbe dato qualche pantalone dismesso per tenere coperta la ferita e il resto della gamba. Non faceva particolarmente freddo, ma era pur sempre novembre, e il clima frigido iniziava a farsi sentire. Versò dell'acqua ad entrambi e porse all'Aquila il bicchiere, orgoglioso di aver scelto l'unico che non avesse nemmeno una crepa, poi si stiracchiò, allungando le gambe sotto al tavolo. D'inverno ci si sdraiava fino a metà busto, raggomitolato in una coperta pesante, mentre Samael lo imitava dal lato opposto e scalciava come un bambino dispettoso.
    « Non sei venuta qui per fare a botte, però. Abiti nei paraggi? ».


    Altayr Clarity Windstorm

    Come non detto, non ci era cascato. Non che definisse Izar stupido o cosa, ma in fondo in fondo sperava se la bevesse, invece no. La stupida era stata lei a credere potesse farlo. Ta Nulli era rinomata come città di delinquenti e il suo essere uscita da una rissa non era credibile: ferite fin troppo lievi. Ma non poteva dirgli che era caduta da un marciapiede!
    « Anche tu te la cavi bene ad evitare le domande. » se ne uscì lui. Altayr alzò la testa, guardandolo. Rise piano, guardando un punto indefinito per terra: aveva ragione. Non era mai stata un granché a mentire: al lavoro le affibbiavano sempre missioni in cui c'era solamente da agire. Preferiva dire le cose come stavano, quando ovviamente non andavano a infangare il suo orgoglio o la sua dignità. La spiegazione di come si era fatta male rientrava perfettamente in questa categoria: rendersi ridicola agli occhi del suo rivale era l'ultima cosa che desiderava. Izar non era un ragazzo cattivo, ma già s'immaginava la sua espressione dopo la sua confessione e quanto la avrebbe trovata esilarante.
    La coscienza le diceva che, ehi, perché farsi tutti questi problemi per un cascatone? L'avrebbe buttata sul ridere e sarebbe finita lì, ma la ragazza non ne volle sapere.
    Izar non fece comunque altre domande, e lo ringraziò mentalmente per questo, dato che il discorso della rissa era diventato insostenibile. Si rese d'improvviso conto che stava mangiando in modo molto poco educato, in mano ne aveva una decina e se le stava sbriciolando sulla maglietta: prese così a mangiarne una alla volta, cercando di apparire più educata di quanto ebbe dimostrato fino a poco prima. Le finì comunque velocemente, e aumentò la presa sulla caviglia e il ghiaccio: ormai l'anestesia aveva fatto effetto, anche se il colore non accennava a farsi più roseo. Il ragazzo le porse un bicchiere d'acqua e lei ringraziò, osservandolo mentre distendeva le gambe sotto il tavolo.
    Quando gli chiese se abitasse lì vicino, non seppe come rispondere per un nanosecondo: doveva mentire di nuovo? Fuori discussione, se ne sarebbe accorto. Ma come poteva spiegare la sua presenza a Ta Nulli? Non era certo la meta preferita dai turisti, benché meno la sua.
    « No, abito a Sodony. » disse la verità, guardandolo negli occhi. « Ma non ci passo chissà quanto tempo. Preferisco spostarmi in luoghi diversi, e se c'è qualche conoscente che può darmi un alloggio per qualche giorno ancora meglio. » continuò. « Quando non resto alla Ayle, s'intende. »
    Sodony non era certo la sua città preferita: era marcata da brutti ricordi e preferiva rimanerci il meno tempo possibile, giusto per passare un po' di tempo con sua madre per poi volare via lontano. Non sopportava la gente di Sodony: tutti predicavano l'amore verso il prossimo, ma da quanto aveva provato sulla sua pelle era tutto fumo e niente arrosto.
    I suoi occhi finirono sul bendaggio candido e ne fu sollevata: non avrebbe scommesso sul fatto che il sangue si fosse fermato, ma se non aveva ancora sporcato lo strato più esterno voleva dire che era notevolmente diminuito. Il suo sguardo ritornò sul ragazzo dai capelli grigi.
    « Ti invidio. Ho sempre desiderato abitare fuori città. » disse, facendo oscillare l'acqua nel bicchiere e spostando lo sguardo verso l'esterno. Si ammiravano le montagne, il cielo terso, le nuvole scure che abbracciavano i rilievi, qualche uccello lontano in volo; da casa sua vedeva solamente case, strade di cemento e volti ipocriti. Vivere lontano dal nucleo cittadino non sarebbe stato nemmeno un problema così grande per un mutaforma uccello dal punto di vista degli spostamenti.
    « E comunque, queste patatine sono la fine del mondo. »


    Izar Al Nair

    Sodony, mh? Non era esattamente dietro l'angolo.
    Il fatto che l'Aquila cambiasse città spesso gli diede da pensare. Era una vita frenetica per una studentessa della sua età. Chissà cosa la spingeva a viaggiare in continuazione. Moriva dalla voglia di sommergerla di domande, ma sarebbe sembrato troppo invadente... e interessato. Doveva lavorare sulla sua gestione dei rapporti uomo-donna, o sarebbe arrivato a fine giornata con un esaurimento nervoso e un gran mal di testa.
    « Ti invidio. Ho sempre desiderato abitare fuori città. » disse Altayr, riportandolo al presente. Guardava ammirata il paesaggio montano che si estendeva oltre le vetrate. Izar annuì, sdraiandosi definitivamente con solo i gomiti a sorreggerlo. Cos'era tutta quella stanchezza improvvisa? Stare vicino alla ragazza lo metteva talmente tanto a suo agio da fargli venire sonno. « Samael mi ha portato qui quando avevo... credo quattro anni. Sono nato a Sunda, posto tremendo dove crescere un bambino, così ha pensato di spostarci in questo buco nelle montagne senza troppi seccatori intorno ». Socchiuse gli occhi, posandoli sulle fotografie che il tutore aveva attaccato alla parete di legno con delle puntine, appena sopra alla credenza mangiucchiata e sommersa di riviste. In una particolarmente rovinata, il Demone aveva ancora i capelli lunghissimi, e gli tirava le guance per costringerlo a sorridere. Sopra stava un autoscatto in cui Samael gli dava un bacio mentre lui dormiva con la pancia scoperta e la bava alla bocca, ignaro di tutto. Era un uomo sentimentale, che si divertiva a metterlo in ridicolo.
    « Anche se è un vecchio pervertito gli devo la vita ».
    L'apprezzamento alle patatine alla paprica gli ricordò che presto sarebbe stata ora di pranzo, e che quello era l'ultimo sacchetto dei preziosi snack. « Pensavo di essere l'unico a mangiarle » le disse, stupito. « Comunque io inizio ad aver fame sul serio. Mi fai compagnia? Scommetto che la caviglia vuole stare a riposo ancora un po'».
    Nella sua mente il diabolico piano di trattenere l'Aquila nella gabbietta stava prendendo forma. Prima il pranzo, poi lo spuntino, poi la cena. Attirare la gente con il cibo era la più antica ed efficace delle arti. Forse sarebbe riuscito ad estorcere qualche informazione in più sul suo passato, chissà. « Il menù prevede curry piccante e avanzi da frigo ».


    Altayr Clarity Windstorm

    Il Corvo si distese a terra, utilizzando i gomiti come unico appoggio: il primo pensiero di Altayr fu che si sarebbe addormentato, invece continuò la conversazione. Parlò di un certo Samael - doveva essere il nome del suo padre adottivo - e la sua decisione di crescerlo in quell'oasi di pace. Al nominare Sunda, pronunciò un flebile "oh", e sicuramente non di sorpresa: la città in questione era conosciuta come il luogo più sanguinario del Tasuh. Altayr ci aveva svolto una missione lì, la prima e ultima si sperava. Non solo come luogo non era affatto accogliente, ma i Demoni che vi vivevano non guardavano in faccia a nessuno ed erano combattenti temibili e assetati di sangue. Samael - si permise di chiamarlo per nome - non avrebbe potuto fare scelta migliore che crescere il suo pupillo lontano da lì.
    Lo sguardo della mutaforma si spostò insieme a quello di Izar verso una parete sulla quale vi erano appese delle foto: Altayr riusciva a vederle chiaramente anche senza alzarsi per guardarle da vicino.
    « Aaaw, ma guardati! » rise, visibilmente intenerita. I bambini le facevano sempre quest'effetto, era più forte di lei. « Che patato! » alterò la voce, in qualcosa di più squillante e mieloso.
    « Non so come si è evoluto poi il vostro rapporto, ma da quelle foto è evidente il bene che ti vuole. » fece, ricomponendosi, riferendosi al tutore. Ogni immagine li ritraeva in pose scherzose, Samael in cerca di attenzioni e Izar che si ribellava. Alla seguente affermazione del ragazzo, ad Altayr venne spontaneo sorridere. Ora che ci pensava, era comunque strano per un mutaforma nascere nel continente demoniaco. Avrebbe voluto chiedere, ma si trattenne: in molti la rimproveravano di essere invadente, e non voleva andare a toccare a sua insaputa argomenti delicati. Quegli occhi verdi sembravano celare misteri sulla sua vita e sulla sua persona e Altayr, curiosa com'era, non riusciva a resistergli.
    Strinse il ghiaccio, ormai quasi sciolto, sulla caviglia: il colore non era dei migliori, ma sicuramente si era sgonfiata. Magari tra poco sarebbe riuscita anche ad appoggiarci un minimo di peso. Lo sperava caldamente, dato che tra un qualche giorno sarebbe dovuta tornare in missione. Doveva anche finire la ricerca, sarebbe dovuta tornare all'Accademia tra un paio di giorni... si doveva organizzare per fare tutto nel minor tempo possibile.
    Era persa nei suoi pensieri quando Izar le propose con nonchalance di rimanere a pranzo a casa sua e ci mise un po' a collegare il tutto. La ragione le suggeriva che no, era meglio tornarsene a casa di Shelia in volo e riprendere lo studio, dopo aver ringraziato e racimolato un altro paio di patatine. Lo stomaco d'altra parte si faceva sentire continuando a mugolare, e per di più era completamente al verde. Ecco presentarsi lo stesso dubbio che aveva avuto al parco sul farsi aiutare o meno. Ma era comunque una situazione diversa, era già a casa sua e in effetti la caviglia era meglio lasciarla stare finché non si sarebbe schiarita un po'. Sospirò impercettibilmente: si sarebbe fatta gli stessi complessi con qualcun'altro? Probabilmente avrebbe risposto con un no secco fin dall'inizio, ma quel ragazzo aveva una maniera di porsi tutta sua e alla quale era difficile sfuggire. Che seccatura.
    « Hai pronunciato la parolina magica: curry! » esclamò entusiasta. « Stesso discorso di prima, se hai bisogno di aiuto chiedi. Magari ora che il sangue si è fermato e la con la caviglia un po' meno gonfia riesco anche a darti una mano! » aveva accettato di buon grado il suo aiuto, ma non voleva sentirsi un peso. Gli sorrise fiera, raddrizzando la schiena e mettendosi le mani sui fianchi.


    Izar Al Nair

    Il giorno in cui Izar avrebbe permesso ad un suo ospite di cucinare si sarebbe spento il sole, tanto era indignato. Non poteva assolutamente permettere ad Altayr di alzarsi in piedi e gironzolare con la caviglia ridotta in quello stato, ne andava del suo orgoglio. E poi si sentiva fin troppo protettivo. Senza pensarci, d'istinto, si raddrizzò e le mise una mano sulla testa, scompigliandole i capelli. « Smettila di preoccuparti, maestà. Sei l'ospite oggi ».
    Le fece un mezzo sorriso e si alzò, cercando di non pensare a quanto fossero morbide le sue ciocche castane e al profumo di shampoo che gli era rimasto addosso. Andò nella stanza a fianco al salotto, la parte più moderna della casa, e lì si mise a rovistare nel frigorifero alla ricerca degli ingredienti, contento che non vi fosse ancora nulla di scaduto. Non aveva bisogno di aiuto, ma vedere Altayr così desiderosa di rendersi utile l'aveva messo in dubbio. Forse si stava annoiando.
    Si presentò in salotto con tre patate ancora sporche di terra e un coltellino, mettendoli sul tavolo davanti a lei. « Beh, visto che ci tieni... ci sarebbero queste da sbucciare ». Poteva farlo anche da seduta, no? E si sarebbe messa il cuore in pace. Mentre lavoravano, ognuno alla sua postazione, Izar si sorprese del clima di tranquillità creatosi tra loro. Avere una persona diversa da Samael con cui condividere un pasto era una sensazione nuova e piacevole. Il Corvo era sempre stato solo, abituato a cavarsela, anche se il suo tutore cercava di essere presente quando serviva. Purtroppo erano entrambi spiriti liberi, il Demone non poteva andare contro la sua stessa natura. E poi era sempre a caccia di donne. Nel silenzio della casa, rotto solo dal borbottio del curry nella pentola, udì la ragazza canticchiare a bocca chiusa un motivetto sconosciuto, e sorrise tra sè. Sì, era decisamente meglio mangiare in compagnia.


    Altayr Clarity Windstorm

    Quando Izar le mise una mano sui capelli, scompigliandoglieli, Altayr stette stranamente in silenzio, limitandosi a gonfiare le guance e ad aggrottare le sopracciglia. Lo guardò andare in una stanza adiacente, molto probabilmente la cucina, e si risistemò lentamente i capelli. Poi sospirò, appoggiando la schiena al muro. Quel ragazzo era proprio un bel tipetto. Stranamente, si stava rivelando una buona compagnia e le piaceva l'atmosfera che si era creata, molto meno conflittuale di quella del loro primo incontro. Mettendo a confronto le due occasioni, non sembrava neanche la stessa persona. Lei pensava di non rivederlo più, e invece aveva pure scoperto dove abitava e l'aveva invitata perfino a pranzo. Non era comunque qualcosa di negativo, anzi, ne era felice in qualche modo.
    Si premette ancora il ghiaccio sulla caviglia, ma toccandolo constatò che si era sciolto del tutto. Mise la mano sotto lo straccio, in modo che non gocciolasse per terra. Fece per chiamare Izar, quando lui riapparve con in mano delle patate e un coltellino e gliele posò sul tavolo. « Ci penso io! » esclamò convinta. « Ah, scusa, il ghiaccio si è sciolto. Per ora non ne ho bisogno, ma intanto tieni lo straccio. E' leggermente zuppo. » sorrise porgendoglielo e il ragazzo tornò in cucina.
    Altayr si tirò su le maniche della felpa e con un elastico si legò i capelli in una crocchia disordinata, fissando la frangetta dietro l'orecchio. Neanche a dire fosse un lavoro impegnativo, ma per lei si trattava di un qualcosa di epocale. Ebbene sì, nonostante la ragazza vivesse da sola, non sapeva cucinare. Il suo piatto forte era frittata accompagnata da insalata preconfezionata e budino al cioccolato comprato al supermercato più vicino o frutta di stagione: niente male, eh? Poteva fare concorrenza ad un ristorante stellato.
    "E' come sbucciare una mela, avanti." si incoraggiò, afferrando il coltellino e cominciando a pelare la prima patata. Se si fosse dovuta preparare il pranzo per sé o per Shelia o Ethan non si sarebbe posta così tanti problemi, anzi, sicuramente non le sarebbe saltato neanche in mente di cucinare delle patate. Eppure erano un paio d'anni che vagabondava per Andellen e le era capitato moltissime volte di prendersi un appartamento e dover badare a sé stessa, ma non si era mai messa di buona volontà ai fornelli. Ci aveva provato, ma aveva visto che non era granché: sapeva fare poche cose, quelle essenziali alla sopravvivenza. Male che andava, ordinava una pizza e stava a posto. In quel momento però, a casa di Izar, voleva dimostrare di saper fare qualcosa, non avrebbe fatto una chissà quanto bella figura a dirgli che andava avanti a uova, insalata e frutta.
    Non se la stava comunque cavando male, eh: la superficie della patata sbucciata non era una delle più lisce, certo, ma a fine operazione si sentì realizzata.
    « Mi autoproclamo miglior pelatrice di patate di Andellen! » esclamò, alzando le braccia al cielo e passare al secondo tubero, stavolta più rilassata. Cominciò perfino a canticchiare a bocca chiusa una canzone che aveva sentito quella mattina al bar doveva aveva comprato il cornetto, mentre dalla stanza vicino si sprigionava un buonissimo odore di curry. Altayr inspirò a pieni polmoni. Al contrario suo, Izar sembrava essere portato per la cucina. Era evidente il fatto che era lui a prendersi cura di Samael e non il contrario. Nascondeva una miriade di talenti, quel ragazzo, e la mutaforma non poteva fare a meno di ammirarlo e invidiarlo allo stesso tempo.
    Il ragazzo tornò da lei quando stava per finire di sbucciare la terza patata. « Ho quasi finito, eh » disse, senza alzare la testa dal suo lavoro. Tolto anche l'ultimo pezzo di buccia poggiò la patata sul tavolo, vicino alle altre due. Tutte e tre erano completamente bianche e irregolari, dato che la buccia era stata tolta 'a pezzettini' e non in maniera continua dall'alto verso il basso. Mostrò il suo operato visibilmente fiera di ciò che aveva fatto, accompagnato da un grande sorriso. « Non pensavo di essere così brava a sbucciare patate. » esclamò, spostando lo sguardo dal ragazzo ai tuberi appoggiati davanti a lei. Si strofinò poi il naso e incrociò le braccia davanti a lei.
    « Da qui si sente un odorino proprio niente male... » si complimentò lei, portandosi la frangetta davanti al viso. Notò poi le mani sporche di terra, alzando le sopracciglia. Fantastico, ora era anche sporca in viso. Perché era sempre così distratta e maldestra?
    Tentò di rimediare pulendosi il naso sporco con la parte interna del polso, sbuffando. Guardò poi Izar sorridendo imbarazzata, sperando di non avere ancora tracce di terra in volto. Si mise alla ricerca di un fazzoletto nelle tasche della giacca che aveva ancora legata in vita.
    « Sono proprio sbadata » fece, buttandola sul ridere, cercando di mascherare il lieve imbarazzo.


    Izar Al Nair

    A ben guardarle, si potevano scorgere delle facce dalle espressioni doloranti nei solchi delle patate, come fossero state intagliate di proposito. Quello era il lavoro di una persona poco avvezza alla cucina, ma sorrise comunque alle lodi che Altayr
    si stava facendo da sola. Si complimentò per il profumo che arrivava dai fornelli, e lui fece spallucce. Il curry era un pasto da tutti i giorni in casa sua, dato che era facile, veloce e piccantissimo. Negli anni aveva padroneggiato le tecniche, imparando vari trucchi per insaporirlo e cuocerlo alla perfezione, e l'aveva scelto proprio per far bella figura con la ragazza. Era una frana in molte cose, ma con il cibo ci sapeva fare.
    « Il gusto sarà anche meglio. Aggiungo queste e ci siamo ». Prese le patate ed il coltellino, radunando poi le bucce in un angolo del tavolo. C'era terra ovunque, sembrava un campo di battaglia. L'Aquila si era perfino imbrattata il naso, e nel tentare di ripulirlo peggiorò solo la situazione, procurandosi una sorta di striatura polverosa.
    Lui sospirò, fingendosi esasperato.
    « Ci penso io, maestà » si offrì, chinandosi su di lei per vedere da vicino quanto grave fosse la situazione. Da distante gli era sembrata un'enorme macchia indistinta, ma ora che stava a pochi centimetri dal suo viso si rese conto che era una cosa da nulla. Con un solo colpetto dell'indice la ripulì dalla terra, e fu proprio allora che si accorse di uno strano avvenimento. Ci vedeva bene, anzi, benissimo. Poteva scorgere ogni singolo dettaglio del faccino corrucciato di Altayr, le sfumature delle iridi, il lieve rossore delle guance... Poi capì. Stava usando gli occhi del Corvo, sfuggito al suo controllo nel momento in cui si era piegato verso di lei. Era inusuale che la sua parte di mutaforma prendesse il sopravvento. Gli era capitato poche volte, e sempre durante qualche rissa. Imbrigliare le emozioni caotiche che provava accanto alla ragazza gli risultava difficile, però ora stava esagerando. Le scapole iniziarono a prudergli, così come le mani ed i piedi. Sentiva le ali premere per uscire, e si allontanò bruscamente.
    « Se... se vuoi puoi lavarti le mani di la. Ultima porta in fondo al corridoio ».
    Izar cercò rifugio in cucina, tagliuzzando le patate con movimenti fin troppo veloci, e quasi non si accorse di averci rimesso un dito. Il dolore lo raggiunse in ritardo, facendolo imprecare a denti stretti. Non era da lui essere così maldestro, impacciato. Non era da lui dimostrarsi gentile con una ragazza che conosceva appena, riempiendola di attenzioni. Tante, troppe cose non erano da lui da quando aveva incontrato Altayr.
    - Cosa diavolo mi prende? Sto iniziando ad assomigliare a quel porco di Samael -.
    Portò alla bocca il dito sanguinante, ben attento a non farlo cadere nel curry, e fece una serie di profondi respiri per ritrovare la calma. Poteva farcela. Un pranzo e via.


    Altayr Clarity Windstorm

    La sua mano tastò un fazzoletto nella tasca della giacca, quasi sicuramente usato, ma non fece in tempo a tirarlo fuori per rimediare al pastrocchio che aveva in faccia perché si ritrovò il viso di Izar a pochi centimetri dal suo senza rendersene conto. Strabuzzò gli occhi e trattenne il respiro. Sinceramente, non sapeva dove guardare, quindi si decise a seguire il dito indice del ragazzo, con il quale la colpì per toglierle la terra di cui si era probabilmente riempita. Sollevò poi lo sguardo, puntandolo in quello di Izar. Da vicino, si rese conto che i suoi occhi erano proprio di un bel colore: un verde vivace, luminoso, che contrastava con il tono plumbeo dei capelli.
    Sbatté le palpebre, e si rese conto che la situazione si stava facendo abbastanza imbarazzante. Aprì la bocca per ringraziarlo, ma il ragazzo sia allontanò da lei all'improvviso e se ne ritornò in cucina, dopo averle proposto di lavarsi le mani.
    Altayr alzò un sopracciglio, lo sguardo puntato dove il ragazzo era scomparso. Come mai aveva reagito così? Forse perché era imbarazzato? Diavolo, anche lei lo era, ma aveva cercato di mantenere la calma. Sospirò, guardandosi le mani sporche: lavarle non si dimostrava affatto una cattiva idea. Si voltò verso il corridoio, per poi analizzare lo stato della caviglia. Provò a muoverla, e non le diede particolarmente fastidio. L'anestesia era ancora in atto, a quanto pareva. Avrebbe dovuto farcela senza tanti problemi ad arrivare in bagno.
    Si tirò su appoggiandosi al tavolino e poi al muro per mettersi dritta con la schiena, facendo attenzione a non mettere tutto il peso sulla caviglia che le faceva male. Non voleva chiedere aiuto a Izar: stava già pensando al pranzo e le era stato vicino fino a quel momento. E comunque, prima o poi avrebbe dovuto cominciare a camminare da sola. Avanzò dunque a piccoli passi, tenendo le mani sulla parete per evitare di cadere. Aprì l'ultima porta in fondo al corridoio, si appoggiò subito al lavandino e aprì l'acqua. Strofinandole, le mani stavano tornando pulite: ci vollero un paio di minuti prima che tornassero ad uno stato decente, e chiuse il rubinetto. Si guardò allo specchio e solo allora notò di avere le guance più rosse di un pomodoro. Sbarrò gli occhi, premendosi le mani fresche e bagnate sulle guance. Diamine, doveva darsi una calmata. Non era da lei arrossire per così poco. Era abituata alla presenza di maschi, uno dei suoi migliori amici e la maggior parte dei suoi colleghi lo erano. E allora perché? Sbuffò al suo riflesso, togliendo le mani dalle gote, che erano più o meno tornate al loro colore originale.
    "Cielo, ricomponiti!" si disse, facendo per uscire.
    Sentiva il profumo del curry chiamarla, e lei non si oppose di certo. Tornò in salotto camminando adiacente al muro, ma invece di puntare al tavolino deviò, raggiungendo Izar in cucina. Non entrò nella stanza, si appoggiò sullo stipite della porta e incrociò le braccia al petto.
    « Come procede? » fece, dirigendogli un sorriso. Doveva comportarsi come aveva fatto fino a quel momento, senza farsi troppi problemi. Come se non fosse accaduto nulla.
    Di spalle, sembrava che il ragazzo stesse supervisionando i fornelli, quando invece notò che aveva un dito in bocca. Aggrottò le sopracciglia e storse le labbra. Avanzò, con l'intenzione di avvicinarsi per vedere cosa fosse successo, ma fece il grosso errore di non appoggiarsi a niente. La raggiunse una fitta alla caviglia, e si sbilanciò in avanti: prima di cadere rovinosamente, riuscì a raggiungere il piano del mobile della cucina più vicino a lei, cadendo sulle ginocchia. Oh, perfetto, aveva di nuovo dato spettacolo di sé. Si rialzò facendo stavolta molta attenzione a non poggiare la caviglia mal messa a terra, e appena si rimise in piedi - è un eufemismo - incontrò lo sguardo preoccupato di Izar.
    « Ooops... Va tutto bene, tranquillo, ora me ne torno di là e ti lascio lavorare in pace. » disse. Non era riuscita a combinarne bene una da quando si erano incontrati. Probabilmente, l'avrebbe cacciata fuori di casa a momenti: era impossibile non entrare in una crisi di nervi dopo aver assistito ad una scena del genere. Forse gli dava fastidio la sua presenza? Era per quello che aveva reagito così bruscamente poco prima? La considerava una bambina capricciosa, sicuramente: tutto quello che aveva fatto fino ad allora era stato procurargli problemi. Si morse il labbro, cercando di scacciare quei pensieri.
    Stava per tornarsene in salotto, quando vide sul tagliere le patate che aveva pelato e un coltello. Il ragazzo tentava poi di nascondere la mano che prima aveva alle labbra. Non ci mise molto a fare due più due.
    « Ti sei tagliato? » chiese, guardandolo in viso.


    Izar Al Nair

    Izar aveva appena evitato l'ennesimo attacco di cuore della giornata. L'Aquila se ne andava in giro come fosse perfettamente in salute, incurante del dolore alla gamba e delle condizioni della caviglia. Dopo la caduta, in cui per fortuna non si fece altrettanto male, lo rassicurò con le solite frasi di rito e si rialzò subito, dicendo di non volerlo disturbare. Il problema era proprio quello: finchè lei stava nei paraggi non riusciva a ragionare in modo lucido. Non che fosse una seccatura, anzi, ma il ragazzo faticava ad accettare tutti i cambiamenti che il suo cervello operava, mettendo la mutaforma su un piedistallo e sè stesso in fondo alla lista delle priorità. La guardò imboccare la porta, l'espressione da cucciolo ferito che gli ruppe il cuore in mille pezzi, e tornò a rimescolare il curry con la mano sinistra. La destra per ora poteva stare a riposo.
    « Ti sei tagliato? ».
    Izar sobbalzò, colto di sorpresa. Non si era accorto di lei, ma ora che gli stava così vicina i suoi sensi tornarono di nuovo sull'attenti.
    « Sì. Sono un po' distratto oggi... » ammise, non volendole mostrare l'insulso taglietto.
    « Ah, il curry è pronto! Aspettami di la, lo porto subito ». Insieme alla pentola, appoggiata per prima sul tavolo, recuperò un paio di ciotole e cucchiai, e versò ad Altayr la sua parte.
    « Spero ti piaccia il piccante... ». Le patatine erano state di suo gradimento, quindi forse anche il curry non l'avrebbe delusa. Izar si sedette di fronte a lei, dando le spalle al vecchio televisore che prendeva giusto un paio di canali, ormai adibito a soprammobile. Di solito il suo posto era dove ora stava l'Aquila, ma pazienza. Il punto in cui Samael si sdraiava dopo i pasti era pieno di bruciature lasciate dalle sigarette, nascoste con il cuscino che usava a mo di sedia. Il mutaforma si chiese dove fosse scappato stavolta, e con quale delle mille amanti. L'ultima donna, un ibrido dagli occhi porpora e l'abito succinto, gli era sembrata particolarmente antipatica. Volse lo sguardo verso l'esterno mentre masticava piano, osservando come il sole giocasse a nascondino tra le nubi del cielo grigio di novembre.
    « Sai, stare da solo non è male, ma sono contento che tu abbia scelto Ta Nulli per romperti una gamba ». Anche se quell'affermazione sembrava assurda e un po' crudele, Izar le sorrise, davvero grato della sua presenza. Era una brava persona, orgogliosa ed indipendente al punto giusto. Lo teneva a bada e aveva sempre la risposta pronta, proprio come lui immaginava dovesse essere fatta una donna. Con il viso affondato nella ciotola e la bocca mezza piena le chiese:
    « E quindi, da quanto studi alla Ayle? Non mi ricordo di averti mai vista lì ».


    Altayr Clarity Windstorm

    A quanto pareva non era nulla di grave, dato che il Corvo la invitò a tornare in salotto per cominciare a mangiare. Altayr si sedette al tavolo, che per afortuna dalla cucina non distava più di tanto: con la caviglia che si era risvegliata non sarebbe riuscita a fare un metro di più di quel che aveva già fatto. Izar arrivò poco dopo con la pentola strapiena di curry e quando glielo mise nel piatto, apriti cielo: il profumo era sublime e ugualmente l'aspetto. Il ragazzo la mise sull'attenti, alludendo al piccante del curry.
    « Io adoro il piccante! » fece, entusiasta. Al contrario della madre, amava i cibi speziati e dal sapore forte, che però Mira le preparava raramente. Per fortuna esistevano i distributori automatici che offrivano le patatine alla paprica. E Izar che si era rivelato un cuoco provetto e amante del piccante.
    Non esitò un minuto di più e affondò il cucchiaio nel curry: passò un minuto buono a soffiare per raffreddarlo un po', poi se lo mise in bocca. Il curry più delizioso e piccante che avesse mai mangiato.
    « E' squisito! » esclamò. Non sapeva se le aveva cucinato il suo piatto forte, ma quel ragazzo ci sapeva davvero fare in cucina. Provava per lui un misto di ammirazione e invidia: lei non trovava affatto semplice cucinare, per quanto invece altre persone come colui che aveva di fronte non trovavano nessun problema.
    Alzò lo sguardo su Izar, che guardava fuori dalla finestra. Senza rendersene conto, cominciò a mangiare più lentamente. Per la milionesima volta da quando l'aveva incontrato, le tornò alla mente l'intermezzo a Mekar Ledo. Era passato all'incirca un mese, un giorno più un giorno meno, e quel ragazzo antipatico che aveva conosciuto sotto la pioggia stava lasciando lentamente il posto ad una persona più premurosa e socievole. Era un misto di orgoglio e gentilezza, e ci stava andando perfettamente d'accordo. Bastava solo conoscerlo un po' meglio, magari. Non le sarebbe dispiaciuto incontrarlo di nuovo, possibilmente in circostanze diverse.
    "Ma cosa vai farneticando?" si riprese, ficcandosi in bocca una cucchiaiata più grande delle precedenti.
    Venne poi riportata alla realtà da Izar, e sentì le guance accaldarsi appena finì la frase. Sperò solo di non essere diventata un pomodoro come poco prima. Era contento? Lo era, lo aveva detto lui. E lei? Lei era contenta?
    « Siamo in vena di galanterie quest'oggi, Corvo? » rise, appoggiando il mento sul palmo della mano e guardandolo in viso.
    Ma sì, lo era.
    « Ne sono contenta anche io. Per quanto sfracellarsi una caviglia e un ginocchio sia una bella cosa, s'intende. » disse alla fine, provando a mantenere la voce ferma, senza farlo passare per qualcosa di non vero, e sorridendo. Era contenta di averlo rivisto e aver scoperto delle parti di lui che non pensava esistessero e di averlo rivalutato; era contenta di stare insieme a lui a mangiare del buonissimo curry ed era contenta che si fosse preoccupato per lei. Da sola chissà cosa avrebbe fatto. Doveva finirla di pensare a queste cose comunque, sul serio, o sarebbe impazzita.
    A bocca piena, il ragazzo le chiese dei suoi studi alla Ayle. Non era di sicuro l'argomento di conversazione preferito di Altayr. « Da più o meno un anno » disse, dopo aver mangiato giù il boccone. « Non mi hai mai visto probabilmente perché non partecipo granché alle lezioni. Non amo particolarmente studiare, a dirla tutta. »
    "Preferisco creare disordine in giro per la scuola e dare fastidio al corpo docenti" pensò di aggiungere, ma non lo fece, forse era già andata in classe di Izar a fare confusione qualche volta dall'inizio delle lezioni. Aveva fatto almeno una capatina in tutte le classi dell'istituto da quando aveva cominciato a studiare alla Ayle.
    « Me ne sto per di più in camera o in biblioteca. O in mensa. » disse ancora, poi rivoltò la domanda. « Tu invece? »


    Izar Al Nair

    Strano, non avrebbe mai pensato che Altayr fosse il tipo di ragazza che marinava le lezioni. Forse era proprio per quel motivo che non l'aveva mai notata. Nè la mensa nè la biblioteca erano posti dove si dirigeva abitualmente, e la sua stanza era solo un posto poco accogliente dove stipare i libri che a casa non trovavano una collocazione. Il fine settimana tornava sempre a Ta Nulli per far visita al tutore e sistemare i vari disastri che il Demone combinava, quindi la sua vita sociale alla Ayle era pari a zero. Nel risponderle alzò lo sguardo, ma se ne pentì immediatamente e lo riportò sul fondo vuoto del piatto. Dopo averle sentito dire che anche lei era contenta di ritrovarsi lì, le sue budella avevano iniziato ad attorcigliarsi ogni volta che i loro occhi si trovavano alla stessa altezza.
    « Io... non so, non mi dispiace studiare, e cerco di non perdere lezioni » disse, mentre raccoglieva anche il piatto della ragazza per fare più spazio sul tavolo. « Ho dato un sacco di problemi a Samael quando ero più piccolo, quindi sto cercando di farmi perdonare ».
    Nella sua fase ribelle, Izar si era inimicato tutti i bambini della città per il solo gusto di deriderli. Non essendo esattamente un sollevatore di pesi, utilizzava le parole per ferire chiunque si prendesse gioco di lui, e spesso si rivelavano più efficaci di un pugno in faccia. Lo sfiorò un pensiero bizzarro, e sorrise fra sè. « Dubito che saremmo andati d'accordo in quel periodo. Odiavo stare in compagnia delle femmine ».
    Si alzò, pronto a sparecchiare e procedere con della frutta per tenere a bada il piccante che ancora gli bruciava la lingua, quando una presenza familiare si avvicinò alla casa. Una presenza scomoda, ingombrante, e che puzzava di alcool. - Oh, no. Non proprio adesso! -.
    Sentì i suoi passi pesanti risalire la scalinata, e pensò a come mettere al sicuro Altayr. Come minimo l'avrebbe messo in imbarazzo, oltre a fare le avance alla povera ragazza convalescente. Il panico s'impossessò di lui, e non fu abbastanza veloce nel reagire.
    La porta si spalancò con un tonfo, e il grosso Demone fece la sua comparsa nella stanza. Aveva gli occhi appannati dall'ubriachezza e un sorriso da vecchia volpe stampato in faccia, segno che le cose erano andate alla grande la notte prima. Non notò subito Altayr, e si gettò a braccia spalancate sul suo pupillo com'era abitudine.
    « Izaaar! Papà è tornato! ». Samael era un omone che superava in stazza un orso bruno, e la sua stretta era micidiale. Non appena gli fu addosso, il Corvo agì di riflesso: con i suoi poteri dell'aria radunò una folata gelida che sbalzò via il Demone, rispedendolo alla porta d'entrata in un frastuono di cose rotte. « Arrivi tardi, vecchio. Non c'è più niente da mangiare per te ».
    Si sentì una risatina, e il Demone tornò subito in piedi, se pur barcollante. Nonostante i capelli cremisi in disordine e la camicia sbottonata, riusciva a sembrare quasi un adulto responsabile. Il suo fiuto lo portò prima verso i piatti vuoti e poi sulla figura della giovane Aquila, e Izar sentì un brivido freddo lungo la schiena.
    « Ma guarda, non sapevo avessi la ragazza. Sei proprio il degno figlio di tuo padre! ». Prima che il mutaforma potesse dare spiegazioni, rosso come un pomodoro, Samael s'inginocchiò accanto a lei ed esibì uno dei suoi sdolcinati baciamano.
    « Signorina, lieto di fare la vostra conoscenza. Sono Samael, ma potete chiamarmi suocero, se vi va. Perdonate la stupidità del mio bambino, è un po' imbranato con le donne ».
    Una seconda folata di vento tagliente lo mandò contro il muro, ben lontano da Altayr.
    « E non farti le storie da solo, scemo! » sbraitò lui, ormai paonazzo. La sua copertura era saltata.
    Poteva dire addio ad ogni prospettiva di fare bella figura davanti alla ragazza con un elemento del genere in casa.


    Altayr Clarity Windstorm

    Quando realizzò di aver finito il curry ci rimase di sasso. Scrutò la ciotola vuota e ripulita quasi supplicante, ma ebbe un'ulteriore conferma quando Izar le tolse il piatto da sotto il naso. Sospirò, la lingua ancora le pizzicava. Prestò attenzione poi alle parole del ragazzo: non gli dispiaceva studiare? Oh cielo, cosa udivano le sue orecchie?
    « Vade retro! » esclamò con voce profonda, formando una croce con il cucchiaio che teneva in mano e il dito indice di quella libera. « Voglia di studiare, stammi lontana! » concluse, restando immobile per qualche secondo.
    Il Corvo aggiunse di aver dato del filo da torcere al tutore in tenera età, quindi il suo era una sorta di ringraziamento nei suoi confronti. Anche lei non era stata - e non lo era nemmeno a diciannove anni - una figlia placida e mansueta: aveva passato dei momenti difficili insieme a sua madre e anche lei le aveva dato non pochi problemi. Non aveva mai trovato comunque un modo per sdebitarsi, qualcosa di concreto. Ci aveva pensato numerose volte, ma oltre che farle qualche regalo dopo aver ricevuto i soldi di una missione o aiutarla con il negozio le poche volte che tornava non si era impegnata più di tanto. Forse doveva prendere esempio da Izar e... cosa diavolo stava pensando? Studiare e impegnarsi a scuola? Lei? Era come chiedere ad un pesciolino rosso di scalare un albero. Non era proprio dotata per lo studio, non ci si impegnava più di tanto e voleva uscire dall'Accademia il più presto possibile.
    Rise alla seguente affermazione del ragazzo, indicandolo poi con il cucchiaio, con la quale stava giocherellando da quando aveva finito di mangiare.
    « La cosa sarebbe stata reciproca » rispose. « Io odiavo stare in compagnia di chiunque. »
    Il viso di Kevin le apparve dal nulla, e chiudendo gli occhi scacciò quell'immagine dai suoi pensieri. Non nutriva risentimento nei suoi confronti, anche volendo non avrebbe mai potuto: era stato lui ad infonderle coraggio e a spronarla a combattere quando non aveva più le forze per reagire. Ma doveva staccarsi da lui: a distanza di anni, gli era ancora legata. Ovviamente, ciò che provava per Kevin era scomparso da tempo, ma troppo spesso pensava all'Angelo. Era scomparso, e probabilmente lui non si ricordava neanche chi fosse dopo la loro separazione.
    Izar si immobilizzò all'improvviso, e Altayr non poté non notarlo. « Ehi..? » lo chiamò, ma i suoi occhi erano puntati sulla porta. Appena la ragazza si voltò, un uomo dal vestiario assai discutibile e i capelli cremisi fece la sua entrata in scena in casa del ragazzo. Non fece nemmeno in tempo a chiedersi chi fosse che trovò subito la risposta: lo sconosciuto si diresse verso Izar per abbracciarlo, e capì immediatamente che si trattava di Samael. Era meno vecchio e sobrio di quel che si era immaginata. Il ragazzo rifiutò il gesto e lo mandò contro la porta utilizzando il suo elemento.
    Era evidente che il loro non era il classico rapporto padre-figlio, ma non ci rifletté molto: era ancora un po' spaesata a dirla tutta.
    L'uomo si riprese in fretta, e si precipitò accanto a lei appena i loro sguardi si incontrarono.
    « Il piacere è, ehm, tutto mio. » biascicò, rivolgendo un'occhiata ad un Izar paonazzo. Cercò comunque di ricomporsi, doveva pur dire qualcosa.
    « Mi atterrò a Samael, se non le dispiace. » gli stava dando del lei senza nemmeno accorgersene. Anche il nuovo arrivato le si stava rivolgendo dandole del voi. « Io sono Altayr e » pausa, giusto per enfatizzare la cosa ed evitare fraintendimenti e momenti di imbarazzo « mi dispiace deluderla, ma non sono la sua ragazza. »
    Il Corvo lo scagliò lontano da lei senza tanti complimenti. La ragazza osservava la scena quasi... divertita? Izar era diventato dello stesso colore dei capelli del suo tutore: sorrise sotto i baffi. Era una famigliola decisamente stramba e, probabilmente, unica nel suo genere.


    Izar Al Nair

    « Ha! Ti ha già scaricato! » disse Samael, dando una pacca sulla schiena del figlioletto fino sentir vibrare la cassa toracica. Izar fece del suo meglio per non prenderlo a pugni (avrebbe perso in una vera sfida corpo a corpo), e cercò invece di orientare la sua attenzione su qualcos'altro.
    « Perchè sei già a casa, vecchiaccio? Resta fuori per un altro paio di secoli ».
    Il Demone si stiracchiò come avesse appena fatto un po' di sana ginnastica. Non sembrava minimamente scalfito dalla cattiveria del mutaforma.
    « Il marito di Eris è tornato prima del previsto. Sono scappato dalla finestra » rispose con aria innocente, nemmeno fosse lui il cornuto della situazione. Barcollò fino al cassetto dove teneva le sigarette e l'accendino, e presa la sua scorta si sedette al posto occupato da Izar fino a poco prima, di fronte alla ragazza.
    « Izar, me lo fai un caffè? Papino è tanto stanco ».
    Grazie alla sua prontezza di riflessi, il Demone riuscì ad afferrare la scodella vuota prima che lo colpisse in faccia. Nonostante l'avvertimento velato, sorrise fra sè quando il ragazzo sparì in cucina per accontentarlo. Alla fine il suo animo gentile prevaleva sempre su quello malvagio.
    Samael inspirò una lunga boccata di fumo, concentrando l'attenzione sulla nuova arrivata, una tipetta tosta con lo sguardo da assassina.
    Non assomigliava ad una studentessa, e portava lo stesso odore di vento del suo pupillo.
    « Dunque, finalmente una presenza femminile in casa! Pensavo che questo giorno non sarebbe mai arrivato. Izar sta così tanto per i fatti suoi che temevo avrebbe smesso di parlare di nuovo ».
    Fece cadere la cenere sul tovagliolo usato dal ragazzo ed esalò una sottile spirale di fumo verso l'alto, visibilmente rilassato.
    « Da piccolo non diceva una parola, sai? Non era proprio capace. Per fortuna stando qui è guarito, e sono contento di vedere che ha trovato un'amica così carina ». Fece l'occhiolino alla giovane Aquila e rise tra sè, preda dei ricordi. « Ma dimmi, com'è il mio bimbo fuori di qui? Si comporta bene? ».
    Anche se non lo vedeva, poteva sentire l'occhiataccia di Izar trafiggerlo dalla stanza a fianco, il che rendeva le cose molto più divertenti.


    Altayr Clarity Windstorm

    Samael era proprio un uomo dalle mille risorse, ma a quanto pare era di casa comportarsi in quel modo, e sembrava aver maturato una certa immunità al comportamento di Izar. Si sforzò di non ridacchiare ad ogni scambio di battute: lo trovava divertente in qualche modo, ma non avrebbe saputo spiegare il perché. Era una realtà diversa dalla sua, con sua madre l'atmosfera era molto più tranquilla. Quando l'uomo spiegò la sua presenza in casa - non sarebbe dovuto esserci - Altayr si ricordò che Izar aveva accennato al fatto che fosse stato fuori con la sua ragazza del momento. Non avrebbe però immaginato che potesse trattarsi di una donna già sposata.
    Samael chiese poi al ragazzo di andargli a preparare un caffè, e seppur riluttante quest'ultimo sparì in cucina. Preso un pacchetto di sigarette, si sedette poi al tavolo con lei e cominciò a chiacchierare. Lo stette ad ascoltare, sorridendo, trattenendosi dal fare domande. Davvero Izar da piccolo era muto come un pesce? Stando con un tutore chiacchierone come lo era lui, comunque, era inevitabile recuperare l'uso della parola, ma non lo disse, non voleva apparire scortese a primo impatto. Parlava a voce alta, probabilmente lo faceva per farsi sentire dal suo pupillo. Aveva però una parlantina magnetica, non ci si annoiava ad ascoltarlo. Izar aveva appreso quest'arte da lui, probabilmente.
    « Il suo bimbo l'ho incontrato per caso poco fa » rispose, appoggiando i gomiti sul tavolino. « E lo vedo raramente. Questa è la seconda volta che ci vediamo, sempre per caso. »
    L'odore del fumo non le dava fastidio, in un certo senso le piaceva. Più che altro, ci aveva fatto l'abitudine: molti suoi colleghi fumavano e stando con loro non ci faceva neanche più tanto caso.
    « Ma fino ad adesso si è comportato bene, glielo posso assicurare. » aggiunse, mostrandogli poi il ginocchio fasciato con un gesto teatrale. « Si è anche improvvisato infermiere! »
    Si sporse leggermente per guardare dietro la schiena del tutore e, come si era aspettata, la faccia di Izar non faceva presagire nulla di buono. Le venne da ridere, ma si coprì la bocca con la mano. Quella situazione era quasi comica, e non si sentì troppo in colpa nel pensarlo.




    Edited by altäir - 1/3/2021, 22:59
     
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    Izar Al Nair

    Samael guardò ammirato la fasciatura ben stretta attorno al ginocchio della ragazza, facendosi mentalmente i complimenti per aver addestrato così bene il suo pargolo. In realtà Izar si era solo abituato a medicarlo quando, ancora anni prima, il Demone aveva ripreso a fare a botte con chiunque gli capitasse a tiro nei suoi momenti no.
    « Ma guarda, non è da lui prendersi cura della gente. Pensavo di essere l'unica eccezione ».
    Finì la sigaretta e spezzò a metà il mozzicone, usando poi il suo angolo di pavimento per spegnerla del tutto. C'erano già altri segni di bruciature, non si sarebbe notata la differenza. Izar arrivò di fretta dalla cucina, l'espressione furiosa di un ariete in piena carica, e gli poggiò la tazzina davanti sbattendola sonoramente.
    « Toh. Nero come la tua anima ».
    « O come il tuo umore »
    .
    Il giovane mutaforma lo snobbò, porgendo poi ad Altayr la tazza migliore che avevano in casa.
    Per lei aveva preparato il caffè con molta più cura, mettendole a disposizione latte e zucchero su un vassoio. Forse non era il tipo da caffè, ma si era scordato di chiederle se ne voleva.
    Si sedette a destra dell'Aquila, studiando i movimenti del Demone e spostandosi inconsciamente verso la compagna con fare protettivo. Samael era solito fare il cascamorto con chiunque, persino le bambine, ma Altayr non era chiunque. Intercettò una sua gamba sotto al tavolo e la ricacciò indietro con un calcio.
    « Piantala, vecchio » gli intimò, guardandolo con aria minacciosa da sopra il bordo della tazza.
    Samael finì di sorseggiare con calma il caffè, un sorrisino beffardo a prendersi gioco di lui e il suo eccessivo attaccamento verso la nuova arrivata. Da quel che gli aveva detto si erano visti solo due volte, no? Forse il suo bimbetto era alle prese con una cotta adolescenziale e non voleva essere disturbato. Per quanto approvasse i suoi gusti (la ragazza era molto carina), non poté fare a meno di notare che dietro quell'aspetto apparentemente normale vi fosse qualcosa di diverso, di cattivo.
    Non era l'aggettivo giusto per descriverla, ovvio, ma era proprio l'impressione che gli dava. Aveva lo sguardo di una persona molto più vecchia della sua età, come di chi ha vissuto una guerra o due.
    Doveva avere sangue demoniaco nelle vene.
    « Ho capito, ho capito. Me ne vado a dormire » disse, spingendo la tazzina vuota verso Izar. « Ricordati di scortare la signorina. Quella gamba è messa male ».
    Il Corvo gli fece un cenno di noncuranza, come a dire "lo sapevo già", e quando il tutore gli stampò un bacio sulla fronte scattò indietro a tutta velocità, strofinando col dorso della mano il punto infetto.
    « Altayr, è stato un piacere. Tieni d'occhio Izar in mia assenza, mi raccomando! ».
    Si congedò con uno sbadiglio e sparì oltre il corridoio, salendo le scale che portavano alla zona notte. Al momento il tetto non era ancora stato riparato, quindi occupava il letto del pupillo finchè lui stava all'Accademia.
    Passata la tempesta, il mutaforma tirò un sospiro di sollievo. Samael era il genitore più imbarazzante che potesse capitargli.
    « Scusa il casino. Pensavo stesse via di casa per qualche altro giorno » mugugnò, facendo ondeggiare nella tazza ciò che rimaneva del suo caffè. Era sicuro che Altayr lo considerasse un idiota dopo tutto il bel teatrino inscenato con il rosso. Aveva rovinato il momento di intimità tra loro, se così si poteva definire, e ormai l'occasione di conoscerla più a fondo era sfumata.
    « Se sei stanca ti posso accompagnare... Come va il ginocchio? ».
    Sperò che non notasse la sua aria da cane bastonato, per quanto inevitabile.


    Altayr Clarity Windstorm

    Appena il tutore dai vividi capelli rossi finì di fumare la sua sigaretta, Izar tornò di nuovo in salotto, evidentemente su di giri. Piazzò la tazzina del caffè davanti all'uomo in modo volutamente sgarbato, per poi passare ad Altayr, alla quale porse non solo il caffè, ma anche latte e zucchero. C'era un po' di differenza tra come stava trattando i due, ma la mutaforma pensava fosse normale, dunque cercò di non dargli molto peso.
    « Oh, ti ringrazio! » fece. Non pensava potesse preparare il caffè anche a lei, in fondo non glielo aveva neppure chiesto. Era stato gentile da parte sua, e la ragazza apprezzò enormemente il gesto. L'animo gentile del ragazzo veniva fuori anche in momenti di rabbia come quello.
    Afferrò subito lo zucchero, mettendone due cucchiaini pieni, e vi mise anche un po' di latte, giusto per scrupolo: non sapeva se ci andasse prima l'uno o l'altro, ma il Corvo era stato tanto gentile da metterle a disposizione entrambi. Vi soffiò un po' sopra, per raffreddarlo leggermente; nel mentre, Izar si sedette al suo fianco. Si morse l'interno della guancia, imponendo alle sue guance di non fare figuracce come prima proprio davanti a Samael nel caso fosse successo qualcosa, e cominciò a bere. Era caldo, e in quella mite giornata di novembre ci voleva.
    Con la tazzina in mano, spostò lo sguardo su Izar, che a sua volta squadrava il tutore: si stava sbagliando, o si era avvicinato? Strinse le dita intorno alla tazzina, portandosela alla bocca per finire il caffè. Quando sentì la minaccia del ragazzo rivolta a Samael e un movimento brusco sotto al tavolo, alzò la testa di scatto per capire cosa stava succedendo. Il suo sguardo vagava da Izar - "Oh cielo, ma è davvero più vicino di prima!" - alle sue gambe per poi passare all'uomo seduto di fronte a lei, che sorseggiava il caffè sorridendo. Si arrese e appoggiò la tazzina vuota sul tavolo.
    Alzando lo sguardo, incontrò gli occhi dorati di Samael. Un brivido le percorse la schiena, ma non lo diede a vedere: aveva una strana sensazione, e non le piaceva. Gli avrebbe dato massimo trent'anni, ma era certa che ne avesse molti di più di quelli che dimostrava. Da come la scrutava, sembrava la stesse spogliando e studiando: si sentiva nuda e indifesa di fronte a lui, come se potesse guardarle dentro e scoprire ciò che nascondeva senza alcuna difficoltà. Sostenne comunque lo sguardo, e gli dedicò un sorriso accennato. Aveva come l'impressione che se avesse continuato a guardarla avrebbe potuto indovinare la sua seconda natura. Con Izar non c'era stato alcun problema, ma il tutore portava sulle spalle anni di esperienza, probabilmente ne aveva viste di cotte e di crude. L'aveva intuito da come la studiava, come se sapesse già con chi aveva a che fare.
    Fortuna volle che l'uomo si congedò, scomparendo in fondo al corridoio. Quando baciò il suo pupillo e quest'ultimo scattò via, le scappò una risata.
    « Lasci fare a me! » fece, portandosi la mano sinistra alla tempia, come fosse un soldato, e mettendosi dritta con la schiena. Lasciò la posizione dopo pochi secondi, portando l'attenzione su Izar e gli rivolse un sorriso.
    « Ma scherzi? E' forte. » disse, mettendosi a gambe incrociate. Il ginocchio non le fece brutti scherzi, fortunatamente.
    « Piuttosto » fece, sporgendosi verso di lui. « Cos'è quella faccia? » e gli diede una leggera gomitata sul braccio, sorridendo. « Su col morale, non è successo nulla! »
    Il ragazzo sembrava davvero un cane bastonato, ma non ne aveva assolutamente ragione: non poteva predire l'arrivo di suo padre, e si dava il caso che non era comunque successo niente di spiacevole. Anzi, probabilmente le aveva dato più pensiero lei per maggior parte della mattinata che il tutore per una mezz'ora o anche meno.
    « Il ginocchio va alla grande. » esclamò convinta, alzandosi in piedi senza nessuna difficoltà - o quasi nessuna, aveva sentito una piccola fitta alla caviglia, che però si era silenziata immediatamente.
    « Beh, è ora per me di andare. » si portò le mani sui fianchi, guardando il ragazzo. Fece caso solo in quel momento alla loro differenza di altezza di pressapoco una quindicina di centimetri. Non erano poche le ragazze che la superavano in altezza, ma non aveva mai notato quanto alto fosse Izar. Volse volutamente lo sguardo verso l'esterno, per mascherare il temporaneo imbarazzo.
    « Tranquillo, volare non mi da' problemi. » lo rassicurò, aprendo poi la porta della casa. Inspirò a fondo, e si girò nuovamente verso di lui.
    « Ci si becca a scuola, allora. » no, non avrebbe mai ammesso a sé stessa che avrebbe preferito restare in sua compagnia ancora un po'. Era stato piacevole stare con lui, ma il dovere la chiamava e non poteva essergli di peso più di quanto avesse già fatto.
    « Grazie di tutto, sul serio! » cominciò a scendere le scale, per poi aprire di nuovo le ali. « E ancora complimenti per la cucina, il tuo curry è entrato ufficialmente nella mia top 3. »
    "Taglia corto, cretina che non sei altro."
    Agitò la mano in segno di saluto, e non indugiò oltre: sbatté le ali con potenza, librandosi in volo verso la città. Non si voltò indietro, lo sguardo fisso verso le case di Ta Nulli.
    Era riuscita ad ammettere che l'aiuto di Izar era stato indispensabile e le era grata, ma affermare che avrebbe passato volentieri un altro paio d'ore a casa sua andava oltre le sue possibilità.


    Izar Al Nair

    Altayr si era ripresa, aveva fatto i complimenti per il cibo ed era riuscita a tornare a casa tutta intera. Allora perchè Izar sentiva solo sensazioni spiacevoli svolazzargli intorno? L'aveva salutata con un sorriso talmente tirato che quasi gli si slogava la mascella. Rimase sulla porta fin quando la figura della ragazza non si ridusse a un puntino indistinto nel cielo, ignaro del vento freddo che iniziava a spirare. C'era qualcosa di sospetto in lei che lo affascinava e tormentava allo stesso tempo, come se vi fosse una verità che temeva di scoprire, e che forse li avrebbe allontanati.
    Nah, probabilmente stava fantasticando troppo. Era stata una giornata strana, piena di sorprese e tutto sommato divertente, quindi perchè preoccuparsi tanto. Doveva far tesoro di quelle poche ore trascorse con una persona a cui si sentiva affine. Non capitava tutti i giorni di salvare un'aquila dai guai, no?
    L'odore di sigaretta si sparse nell'aria.
    Samael, sul balcone di camera sua, fumava pensieroso guardando nella stessa direzione.
    Anche lui doveva aver letto qualcosa nel comportamento della mutaforma, e con un occhio ben più allenato del suo.
    Una volta rientrato, il Corvo tornò a sedersi a tavola, dove le tre tazze di caffè aspettavano di essere lavate. Con un gomito a sostenergli il mento, rimase imbambolato ad osservare lo spazio vuoto lasciato dalla ragazza alla sua destra e sospirò. Aveva ancora le guance bollenti.
     
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