Don't get too close, it's dark inside

Izar x Altayr | Sunda

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    12 marzo - ore 00:45

    Non avrebbe mai cambiato idea riguardo a Sunda: era una città maledetta e impregnata di terrore, a qualsiasi ora della giornata. Di notte era ancora peggio, perché c'era chi usciva a caccia. In giro c'era ben poca gente, e tutti quelli che aveva visto non sembravano far parte di qualche buon partito. Ma Altayr non poteva di certo dire nulla a proposito: lei stessa faceva parte di quel gruppo di persone. Vestita interamente di nero, si spostava lesta come un'ombra tra i vicoli della città, riuscendo a non farsi vedere. La missione di quella notte non era tanto diversa dalle altre, tranne per un particolare: siccome le richieste degli incarichi rimanevano del tutto anonime, dal nome del committente a quello dell'obiettivo, trovare l'indirizzo indicato sul foglio per cominciare l'operazione si stava dimostrando più difficile del previsto non essendo del posto. Si era anche studiata il percorso su una vecchia cartina trovata in casa di Sadir, ma a quanto pareva non lo aveva memorizzato granché bene.
    "Dove sono finita?" imprecò tra sé e sé, arrampicandosi sul tetto di una casetta isolata dalle altre per avere una visuale più completa dei dintorni. Si tenne bassa, schiacciata contro le tegole, e osservò il paesaggio. Individuò una piazza con una fontana a lei familiare: l'aveva evidenziata anche sulla mappa. Un sorrisetto soddisfatto si dipinse sul suo volto, e ricostruì il percorso partendo da là.
    "Prendere il vicoletto a forma di L, poi strada principale, seconda a destra..." Trovato. Da lontano non si vedeva chissà cosa, ma l'abitazione aveva un'aspetto piuttosto lugubre. Sfruttò la magia dell'aria per scendere dal tetto, percorrendo l'intero tragitto, l'arco e le frecce ben fermi sulla schiena. Quella sera non era calma come al suo solito, bensì percepiva una strana agitazione. Forse a causa del suo legame con Izar e la promessa che gli aveva fatto. L'indomani avrebbe dovuto raccontargli tutto, e il solo pensarci la faceva star male. Ma ora non era il momento di stare con la testa tra le nuvole o di preoccuparsi di altro che non riguardasse la missione di quella notte, altrimenti se la sarebbe potuta vedere brutta.
    Arrivò davanti al cancello di ciò che sembrava una casa stregata dopo una decina di minuti buoni, e trattenne il fiato alla vista. Non le sembrava affatto una casa abitata, e il gracchiare di qualche uccello non aiutava di certo a rendere più serena l'aria pesante che pareva circondarla. Non gli piaceva quel posto. Ispezionò i dintorni con cautela, ma non trovò nessuno nelle vicinanze. Il cancello era fin troppo alto per tentare di scavalcarlo, e spiegare le ali era fuori discussione: essendo una mutaforma nel continente demoniaco, chiunque avrebbe potuta riconoscerla facilmente. Il muro che circondava la casa era un po' più basso, avrebbe potuto raggiungere la cima anche solo utilizzando un po' del suo potere.
    Prese un respiro profondo, rifugiandosi dietro un angolo giusto il tempo per calmarsi. Doveva concentrarsi e liberare la mente da ogni influenza esterna, da lì in poi non poteva permettersi errori. Ora aveva una ragione in più per arrivare sana e salva fino all'incontro di quella sera. Non poteva permettersi di fallire, su nessun fronte. Uscì dal nascondiglio, scattando verso la recinzione che avrebbe dovuto superare. Saltò più in alto che poté, aiutandosi a salire sostenuta da una corrente d'aria per poi scendere in fretta dall'altra parte. Era riuscita ad entrare, e si nascose subito in una zona ombrosa. Non c'erano nascondigli di alcun genere all'esterno, avrebbe dovuto correre come una saetta per raggiungere la casa e sgattaiolare dentro. Sbuffò impercettibilmente, assicurandosi che metà viso fosse coperto dal tessuto scuro e che la coda fosse stretta bene. Dalla sua posizione, non notò alcun movimento: non c'erano guardie, quindi. Non poteva cantare vittoria troppo presto, eppure ne fu sollevata. Non le restava che tentare la sorte e raggiungere la reggia, ora. Se avesse percorso il perimetro sarebbe riuscita a non farsi scoprire.
    Cominciò a correre a perdifiato seguendo il muro, lo sguardo fisso davanti a sé onde evitare spiacevoli sorprese.
    Un fruscio la mise sull'attenti, e scartò appena in tempo l'affondo letale di una spada lunga. Quindi c'era qualcuno a guardia di quel castello decadente. Sfilò velocemente l'arco che aveva issato sulle spalle, incoccando una freccia e puntando all'uomo che aveva tentato di farla fuori. Non era uno di quegli omoni grossi e imponenti, ma per riuscire a sollevare una spada grossa come quella che aveva in mano doveva possedere una buona dose di muscoli. Lasciò andare la freccia senza pensarci un attimo di più, ma non riuscì a colpirlo. La guardia venne verso di lei, preparando un colpo che doveva affrettarsi a schivare se aveva cara la pelle. Lo scartò lateralmente, intenzionata a conficcargli una freccia nel fianco, ma questi la anticipò con un fendente mirato alle gambe. La spada colpì solamente la sinistra, procurandole però un taglio abbastanza profondo. Altayr si morse la lingua, e sguainò il pugnale pronta a trafiggere la gola scoperta. Riuscì comunque ad arrivare al viso, colpendolo forte alla mascella con l'elsa dell'arma, ma non riuscì a fare altro che un braccio possente le bloccò il movimento in una stretta dolorosa. Si voltò appena per incontrare gli occhi fiammeggianti di un altro soldato.
    "Merda." Doveva liberarsi in fretta di quei due, o poteva considerarsi davvero nei guai. Assestò una ginocchiata allo stomaco al più mingherlino dei due, quello che aveva di fronte, per poi buttarlo a terra con la mano libera. Aveva poco tempo prima che si rialzasse, doveva trovare un modo per occuparsi di quello che aveva alle spalle. Estrasse una freccia dalla faretra che portava sulla schiena, e ruotò fino a riuscire a guardarlo in viso: il buio della notte non aiutava, ma riuscì a trafiggergli la spalla. La stretta sul suo braccio diminuì, e l'Aquila ne approfittò per liberarsi con uno strattone. Strinse tra le mani l'arma, ma non fece in tempo a fare altro che sentì un improvviso dolore prima alla schiena e poi alla nuca, e la smorfia di dolore dell'avversario si tramutò in un ghigno. Fu l'ultima cosa che vide quando la vista cominciò ad offuscarsi, cadendo in un baratro di oscurità prima che potesse rendersene conto.

    • • •

    Il risveglio non fu sicuramente uno dei più delicati che le avessero mai riservato. A farle aprire gli occhi fu un calcio in pieno viso, che le fece arrossare e sanguinare la guancia, e il contatto con il pavimento freddo. Alzò il volto giusto per incontrare le facce divertite dei soldati che aveva affrontato poco prima, e gli indirizzò un'occhiata sprezzante.
    « Hai anche il coraggio di guardarci così, ragazzina? » risero, e il più grosso dei due gli venne vicino, afferrandogli le guance in una morsa ferrea. Sentiva ogni polpastrello dell'uomo premergli con forza contro la pelle, e capì di non avere più la maschera a nasconderle parte del viso. Fece per alzare le mani, ma scoprì di averle legate dietro la schiena.
    « Cosa cercavi di fare stanotte, eh? » sostenne lo sguardo divertito della guardia, e questo la lasciò andare, prendendola per un braccio e facendola alzare senza tanti complimenti. Erano all'interno del castello, completamente buio, e non sembravano esserci vie di uscita. I polsi le facevano male per quanto la presa su di essi fosse stretta.
    « Il capo ti farà abbassare la cresta » disse uno dei due, e Altayr non si trattenne dallo sputargli in faccia. Doveva trovare un modo per liberarsi e portare a termine, in qualche modo, la missione. Non era finita lì.
    Tentò un calcio diretto allo stomaco dello stesso soldato che aveva parlato poco prima, ma riuscì ad intercettarla e mandarla a terra. Altayr ammortizzò il colpo, riuscendo ad alzarsi alla svelta e colpendolo con una testata al mento. La guardia sembrò temporaneamente fuori combattimento, ma l'altra la fece piegare sulle ginocchia con un colpo allo sterno che le mozzò il fiato.
    « Ora te ne stai buona qui » gli sussurrò all'orecchio, alzandole il capo con la forza. Altayr strinse i denti, mentre davanti a lei si delineava una sagoma maschile. I due uomini si misero subito sull'attenti: a quanto pareva si trattava del "capo". Era alto e molto magro, sembrava quasi fosse malato, e i suoi occhi chiari nascondevano qualcosa di sinistro. La ragazza non abbassò lo sguardo, facendogli capire di non avere paura di lui. Anche se, a dire il vero, non sapeva cosa aspettarsi. Il suo unico obiettivo, in quel momento, era scappare da quel luogo il prima possibile, magari tutta intera.

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    « Altayr Clarity Windstorm »
    mutaforma demoniaco • 19 years old • librax



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    Izar Al'Nair

    CHARACTER SHEET
    Mutaforma demoniaco ‖ 19 y/o
    Previous Role ‖ Next Role
    Altayr Clarity Windstorm

    Non era inusuale che in casa Al'Nair capitasse qualche sicario (si erano fatti più nemici che alleati, in passato), ma il fatto che una donna, una ragazzina, avesse dato del filo da torcere a ben due guardie della sua cerchia lasciò Izarhaya perplesso e sorpreso allo stesso tempo. Si confrontò con lei, una sfida di sguardi, giusto il tempo di esaminarla attraverso le sbarre. Non emanava l'aura demoniaca che contraddistingueva la razza, bensì la sua vista lo nauseava, e c'era solo una cosa in grado di procurargli tale reazione. « Una mutaforma » constatò, per sorpresa dei soldati al seguito. Sì, ne riconosceva il sangue impuro, l'aspetto deviato dai geni di una bestia. La stessa che aveva preso possesso del suo corpo. « Come ha osato una nullità del tuo calibro mettere piede qui? Credevi che sarei rimasto a guardare le tue sudicie mani chiudersi attorno al mio collo? Piuttosto che morire per mano tua preferirei il suicidio ». Quando lo disse, una flebile immagine della sua defunta compagna gli oscurò la vista. Sarebbe stato facile seguirla nell'aldilà, eppure un attaccamento malsano alla vita lo costringeva tra quelle quattro mura decadenti. E così, mentre il Corvo dentro di sé ne divorava un brandello giorno dopo giorno, il capofamiglia guardava il corpo perdere energia, il colore lasciare la sua pelle, ma ancora non si arrendeva. Quando si piegò in avanti, i lunghi capelli neri gli scivolarono oltre le spalle, una cascata di inchiostro. « Ti sei disonorata solo venendo al mondo, lo sai? Scommetto che anche tua madre, vedendo cos'aveva partorito, ha scelto di uccidersi. E' la cosa giusta da fare. Avrei preferito che mia moglie si liberasse del bambino, anziché immolarsi al suo posto. Alla fine si è fatta prendere da uno sciocco sentimentalismo ». Tutti gli appartenenti al casato conoscevano la tragica storia della sua disfatta, del giorno infausto in cui aveva perduto le ali, ed un Corvo gli aveva concesso le sue per salvare la donna amata. Mai errore fu più grande. In quella mezza confessione, Izarhaya sostenne le occhiate di puro odio che l'assassina gli indirizzò, pensando che fosse un peccato liberarsi di lei. Non aveva sofferto abbastanza. Dei passi pesanti e frettolosi rimbombarono nel silenzio delle prigioni sotterranee, e la chioma rosso fuoco di Samael si stagliò nella semi oscurità. Il capofamiglia si accorse dell'espressione di stupore sul suo viso, anche se durò pochi secondi. « Non ricordo di averti fatto chiamare » sibilò, rialzandosi. Lo sforzo gli costò caro, lasciandolo senza fiato. Il Demone annuì appena, sempre concentrato sulla figura dietro le sbarre. Già, a lui facevano pena i mutaforma. Si era curato di suo figlio per quindici anni senza impazzire, dopotutto. Quanto poteva cadere in basso, ancora? « Scusa, vecchio mio. Ho sentito che hanno provato ad ucciderti e non volevo perdermi la scena ». Una delle due guardie sfilò la spada per metà, ma Izarhaya lo fermò. Aveva fatto il callo alla sua cattiveria, nel tempo. Un accesso di tosse convulsa interruppe la risposta che stava per dare all'uomo, costringendolo ad usare una delle pareti umide come sostegno finché le guardie lo circondavano con fare apprensivo. Era troppo debole, e nelle profondità delle segrete non passava il minimo spiraglio d'aria. « Finisco io con lei. Torna su » decretò il rosso, perentorio. Chiaro che il Corvo non gli credesse, e prima di prendere congedo ordinò ad uno dei due soldati (quello meno ferito), di rimanere a supervisionare la situazione. « Vedi di non farti intenerire com'è successo con mio figlio, Samael. Quelli come loro non valgono niente in confronto ai Demoni ». Fu l'ultimo ammonimento, insieme ad uno sguardo sprezzante alla fanciulla che non aveva mai abbassato gli occhi, poi una guardia lo aiutò a risalire le scale, trascinandolo letteralmente come una bambola inanimata. Una volta rimasti più o meno soli, Samael chiese in prestito la spada al soldato con la scusa di voler finire la faccenda senza troppi giri di parole, e l'altro fu abbastanza ingenuo da credergli, specie dopo aver sentito un sacco di storie sulla sua proverbiale sete di sangue. Pessima idea fidarsi di un Demone. L'uomo sfruttò la vicinanza tra i due per assestargli una ginocchiata allo stomaco, in modo da farlo piegare in avanti, e quando la sua nuca fu visibile, vi abbatté il pomolo dell'arma con un colpo netto, deciso. Stramazzò al suolo con un rantolo, cadendo a faccia in giù per suo sommo divertimento. Si sarebbe ripreso, nulla di grave. La parte peggiore arrivava adesso. « E dire che mi piacevi, passerotto » disse in un sospiro, seriamente dispiaciuto. Izar era davvero innamorato di lei. Al solo ricordo del suo sorriso a trentadue denti, la sera di ritorno della festa, gli pianse il cuore. Come avrebbe reagito alla notizia? Si voltò verso le scale, chiamando Argo a gran voce. Sapeva che era lì, nascosto nell'ombra, e che tremava come una foglia. L'ibrido odiava la violenza. « Signor Samael, passerà dei guai per questo » balbettò, sporgendosi appena dalla nicchia delle scale. « Bah, a quello ci penseremo. Vai a chiamare Izar ».
    L'altro scosse subito il capo. « Il mio Signore è molto impegnato, al momento. Non posso disturbarlo ».
    « Impegnato a sopportare quelle galline ». Samael sbuffò, grattandosi la testa. Era una situazione delicata, ma il pupillo doveva venire a conoscenza della cosa, o non ci avrebbe dormito per mesi. « Digli che un'aquila è finita nella nostra rete. Sono sicuro che arriverà al volo ».

    • • •

    Non si scusò con nessuno, tanto meno con la fanciulla provocante che aveva lasciato ai suoi monologhi noiosi. Izar imboccò la porta dopo il messaggio ricevuto da Argo, e non sentì altre voci oltre a quelle nella sua testa. Le guardie avevano catturato un sicario, uno dei tanti, quella notte. Che cosa c'entrava con un'aquila? Eppure era abbastanza esplicito. No, si rifiutava di credere una cosa del genere. Scese i gradini a due a due, stretti e sgretolati in più punti, finché la luce elettrica veniva sostituita da fiaccole rimaste nei sotterranei dall'alba dei tempi. Non si era recato spesso nelle prigioni. Gli ricordavano troppo la sua infanzia. Era stato costretto a rimanervi dopo il suicidio della madre, una sorta di punizione per averla spinta a togliersi la vita. Una levatrice lo nutriva, di tanto in tanto, ma niente poteva sostituire il calore di una madre. L'odore di muffa si fece più forte, così come il chiacchiericcio di Samael. Che cosa ci faceva lì? Fu bloccato dalla sua mole prima di potersi affacciare per vedere oltre le sbarre. Non voleva accettarlo, gli stava giocando uno dei suoi soliti scherzi. « Izar, ascolta. Lo so che è difficile ». Il Corvo lo fulminò, togliendolo di mezzo con uno spintone, e quando vide il volto della ragazza lasciata solo pochi giorni prima, sentì il terreno aprirsi sotto i suoi piedi. No, no no no. C'era stato un malinteso. Altayr si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. « Stava provando ad infiltrarsi nella reggia. Una delle guardie sapeva che Rowen ci aveva mandato un'assassino, e siamo riusciti a fermarla in tempo » continuò imperterrito Samael, alle sue spalle. La parola "assassino" irritò particolarmente il mutaforma, che non era in grado di emettere il minimo suono. Niente aveva senso, in quel momento. « Dammi le chiavi ». Un ordine che non ammetteva repliche. Il Demone dissentì, per nulla scosso. « Tuo padre se ne accorgerà ». « Dammi quelle cazzo di chiavi, ho detto ». Con un sospiro rassegnato, il rosso gli lanciò la chiave sottratta alla guardia, ancora svenuta. Sapeva che con Izar non l'avrebbe spuntata. Non quando di mezzo c'era lei. Uno scatto del chiavistello nel silenzio, e il Corvo entrò senza la minima esitazione. Assassino, sicario, potevano darle tutti gli appellativi del mondo. Erano solo bugie. La sollevò per un braccio, accorgendosi dei polsi legati dietro la schiena e del livido fresco sulla sua guancia. Un paio di passi confermarono che anche la gamba era ridotta male. Possibile che avesse combattuto sul serio? Persino l'abbigliamento suggeriva che non stesse semplicemente passeggiando per la città. Era una sorta di divisa, qualcosa che agevolava i movimenti. Non seppe come, ma riuscì ad ignorare lo stato in cui era conciata, trascinandosela dietro in malo modo. Non voleva passare un secondo di più in quel buco soffocante. Seguì il consiglio di Samael di passare attraverso gli alloggi della servitù, sgattaiolando per i corridoi bui e salendo le scale che conducevano alle camere da letto. Era tutte vuote, ad eccezione di quella di Izar e del tutore. La reggia era semi disabitata da molto, ormai. Il percorso non lo aiutò a schiarirsi le idee, anzi. Una rabbia incontrollata lo spinse ad aumentare la presa sul braccio già malconcio di lei, l'unica persona che voleva proteggere davvero. La verità gli era stata sbattuta in faccia, una verità inevitabile e dolorosa, ma doveva sapere. Aprì la porta della camera e vi spinse dentro Altayr, controllando che nessuno li avesse seguiti, poi la imitò, richiudendosi l'uscio alle spalle con un tonfo. Non le diede il tempo di scappare o escogitare un modo per liberarsi: la sua parte animale stava prendendo il sopravvento, riducendo le mani ad artigli neri e affilati, che usò per immobilizzarla contro il muro. Chi era quella ragazza davanti a lui? Gli occhi verdi sembravano ricoperti da una patina di ghiaccio, come il volto imperturbabile. E dire che quando si erano separati gli aveva sorriso, e sembrava felice. « Ti sei divertita a prendermi in giro, Altayr? » sibilò, marcando sul nome che un tempo bastava a stringergli lo stomaco. « Facevo parte del piano o ero solo un ostacolo, per te? ». La vicinanza che in altre circostanze gli avrebbe mandato le guance in fiamme non lo disturbò, preso com'era dall'interrogatorio. E dire che ci era cascato così bene. La ragazza era davvero riuscita a fargli credere che... No, più ci pensava e più gli artigli si allungavano. Le grandi ali nere si fecero strada attraverso il completo costoso che era stato costretto ad indossare per l'incontro combinato, cancellando la luce lunare che filtrava dalla finestra. Incredibile come il fatto che fosse ferita non lo colpisse. Erano due sconosciuti, ora.

    « Parlato » - Pensato -

    raise crows and they will peck out your eyes

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    Il freddo della cella dove si trovava era paragonabile a quello delle parole che uscivano dalla bocca dell'uomo che aveva di fronte. Mantenne alto lo sguardo mentre gli sputava addosso il peccato della sua esistenza, reprimendo una grandissima voglia di prenderlo a pugni. Peccato ci fossero delle sbarre a dividerli, e i polsi della ragazza erano ancora legati dietro la schiena. Senza farsi notare, stava cercando di liberarsi della corda che gli stava incidendo la pelle, ma più faceva forza più bruciava e faceva male. Appena si sarebbe liberata, doveva controllare che il ciondolo a forma di piuma fosse ancora intatto nel taschino della parte superiore della tuta.
    « Scommetto che anche tua madre, vedendo cos'aveva partorito, ha scelto di uccidersi. » A quelle parole, Altayr si concentrò sul discorso del Demone, e lo sguardo di sfida si trasformò in puro odio. Certe cose avrebbe dovuto imparare a lasciarsele scivolare addosso come se fosse pioggia scrosciante: da quando ne aveva memoria, le persone non facevano altro che ripeterle di essere una creatura indegna. Eppure non riusciva ad ignorare ciò che si diceva di lei e della sua razza, e ogni volta ricorreva alle mani per far tacere quelle voci.
    « Avrei preferito che mia moglie si liberasse del bambino, anziché immolarsi al suo posto. » Il temporaneo silenzio diede il tempo all'Aquila di ragionare su ciò che l'uomo aveva appena detto. Cosa c'entravano i mutaforma con la famiglia di quel Demone? Era forse a causa del figlio che li odiava così tanto? Quella storia le suonava spaventosamente familiare. No, non poteva essere lui. Quella non era la residenza Al'Nair, non aveva accettato di uccidere proprio il ragazzo che amava.
    La storia del malinteso durò ben poco, il tempo di udire dei passi farsi sempre più vicini e ammirare dei capelli rossi cremisi illuminarsi grazie alle poche torce sui muri. Il suo cuore perse uno, due, chissà quanti battiti quando riconobbe nel nuovo arrivato il tutore del Corvo, Samael. Lo stupore sul viso di quest'ultimo era evidente, mentre Altayr si impegnò nel celare il terrore che si era insinuato in ogni fibra del suo corpo, continuando a tenere lo sguardo fisso sul Demone dai capelli scuri. Assistette al breve dialogo tra i due, ma la ragazza pensava a tutt'altro.
    Il suo obiettivo quella notte sarebbe dovuto essere Izar, e non riusciva a capacitarsene. Le tornarono in mente gli incubi ricorrenti che continuavano a riempire le sue notti, dove i suoi cari spiravano tra le sue stesse braccia a causa sua, e un'onda di puro terrore gli mozzò il fiato, insieme alla vista del corpo senza vita di Izar. Che cosa aveva fatto?
    Nel momento in cui Samael prese alla sprovvista la guardia, l'Aquila tornò al presente. Alzò il volto verso il Demone, che la guardava come se avesse commesso il peggiore dei reati. Ed era effettivamente così.
    « E dire che mi piacevi, passerotto » sospirò lui, e lo stomaco di Altayr si attorcigliò su sé stesso. Non voleva, non doveva essere lì. Che razza di incarico aveva accettato di portare a termine? Non riusciva a pensare in maniera lucida, la paura si era oramai impossessata di lei. Ed ora, cosa avrebbe fatto? E Izar?
    « Vai a chiamare Izar » l'Aquila sussultò al solo sentire quell'ordine, e un brivido freddo le attraversò la schiena da cima a fondo. No, no, no. Non poteva farlo, non doveva vederla così, nel suo palazzo.
    « Samael, ti prego » Era come se non riuscisse a respirare, le mancava l'aria, e riuscire a trovare la voce per dire qualcosa non fu semplice. « Izar non deve sapere che sono qua » il suo fu un appello disperato, che il Demone fece finta di non udire o che, effettivamente, non arrivò alle sue orecchie.
    « Digli che un'aquila è finita nella nostra rete. Sono sicuro che arriverà al volo » Altayr strabuzzò gli occhi, non preoccupandosi più di apparire forte di fronte a qualcuno. Il servetto in cima alle scale pareva titubante nell'eseguire ciò che gli era stato chiesto.
    « Ti prego! » ripeté con quanto fiato aveva in gola, ma il ragazzo non la ascoltò e si sentì mancare la terra sotto i piedi. Restò a guardare il punto in cui era scomparso, la bocca socchiusa, incapace di collegare i pensieri tra di loro. Provò un'ultima volta ad alzarsi in piedi, ma una fitta alla gamba ferita la bloccò, facendola rimettere a sedere. Sentiva la forza di volontà sbriciolarsi pian piano mentre si guardava attorno in cerca di una qualsiasi via di fuga, che alla fine non trovò. Samael uscì dalla cella, chiudendola nuovamente dietro le sbarre. Lo sguardo di lei era fisso sull'uomo in una muta richiesta di aiuto, terrorizzata, ma lui sembrava solamente provare compassione. Temette di sentire i passi veloci di Izar che si avvicinavano, e mai il silenzio gli sembrò più piacevole, seppur amplificasse all'ennesima potenza tutte le sue preoccupazioni.
    « Tutti, ma non lui » mormorò, la fronte appoggiata alla grata. In quel momento, le andava bene che chiunque scoprisse il suo segreto, ma non Izar. Non in quel modo. Avrebbe dovuto parlargliene lei, e invece tutti i suoi buoni propositi erano andati in fumo. Non l'avrebbe mai perdonata, e nemmeno lei stessa lo avrebbe fatto. Aveva avuto l'ordine di ucciderlo, e al solo pensiero cominciò a respirare a singhiozzi. Come poteva affrontarlo, adesso? La sua mente era totalmente offuscata dal panico più totale, e non riusciva a pensare in maniera razionale. Ora Izar l'avrebbe lasciata da sola, non c'era più niente da fare. Se non fosse accaduto nulla quella notte, magari avrebbe avuto la possibilità di spiegargli qualcosa, ma in quella situazione era impossibile.
    Vide Samael muoversi verso le scale, e solo in un secondo momento udì ciò che non avrebbe mai voluto che giungesse alle sue orecchie. Passi precipitosi. Il cuore le si bloccò letteralmente, e Altayr si sforzò di spostarsi verso il muro, ma le ferite ai polsi bruciavano troppo per tentare di far leva su di essi. Appena alzò lo sguardo nel sentire la voce del Demone, incontrò lo sguardo incredulo di Izar e davanti a lui si sentì completamente nuda e senza difese. In una qualsiasi occasione sarebbe stata la ragazza più felice di tutta Andellen nel vederlo, invece in quel momento desiderò ardentemente di non trovarsi davanti a lui. Avrebbe voluto scomparire in quello stesso istante, mentre il ragazzo continuava a guardarla. Mano a mano che Samael parlava, l'Aquila percepì un nodo alla gola che le impediva di respirare, e un buco allo stomaco. Quegli occhi verdi fissi su di lei facevano male più di mille pugnalate.
    Il mutaforma entrò nella cella e la fece alzare in piedi senza tanti complimenti, trascinandola con sé attraverso i corridoi della reggia. Più avanzavano, più la gamba le faceva male, ma era un dolore assolutamente sopportabile rispetto al macigno che sentiva all'altezza del petto. Nessuno dei due fiatò, ma quando percepì la stretta del Corvo farsi più solida intorno al suo braccio Altayr cominciò a preoccuparsi. Era arrabbiato, ovviamente, non poteva non esserlo, e lei non riusciva a trovare il coraggio per affrontarlo. Perché proprio lui tra tutta la gente di Sunda? Ad ogni passo le sembrava di affondare in un baratro senza fine. E pensare che si era ripromessa di proteggerlo e renderlo felice. Da quel momento in poi, non glielo avrebbe più permesso, e la prospettiva di perderlo le faceva paura più di qualunque altra cosa. Non riuscì neanche a trovare la forza di liberarsi, figurarsi. Si fermarono all'improvviso davanti alla porta di quella che sembrava la camera di lui, e Izar ce la fece entrare di fretta. Appena fu dentro, andò a cercare subito per una scappatoia, ma il Corvo fu più veloce di lei.
    La bloccò al muro, sovrastandola con la sua altezza mano a mano che il volatile che albergava dentro di lui si manifestava all'esterno. Altayr fu invasa dal terrore, una sensazione che pensava di non poter provare.
    « Ti sei divertita a prendermi in giro, Altayr? » calcò il suo nome in un modo che non le piacque affatto, ma nonostante avesse una paura folle continuò a guardarlo negli occhi e si dimostrò una sofferenza continua. « Facevo parte del piano o ero solo un ostacolo, per te? » Cosa stava dicendo? No, no, non era vero niente. Non si era mai preso gioco di lui, non sapeva nemmeno fosse dovuta arrivare in casa sua quella notte. Stava fraintendendo tutto, non lo aveva mai considerato come un oggetto. Lei era davvero innamorata di lui, non si sarebbe mai schierata contro il ragazzo che amava. Avrebbe voluto dirglielo, urlarglielo fino a sovrastare ogni altro suono, ma non uscì nulla dalle sue labbra. Il suo sguardo impaurito era fisso in quello furioso di Izar, e le mancò la forza nelle gambe per un momento. Doveva pur rispondere, ma se avesse detto qualcosa di sbagliato? Non voleva che la situazione degenerasse più di quanto non fosse già.
    « Non c'è mai stato nessun piano, e non ti ho mai preso in giro » riuscì a dire alla fine, con un tono più fermo di quello che si aspettava. Le ali del corvo si erano ormai fatte enormi, e le venne spontaneo pensare, per un attimo, di tirare fuori le sue, ma quella non era un normale scontro tra volatili. Avrebbe peggiorato solo le cose, e non doveva farsi pilotare dalla paura. Eppure le riusciva così difficile formulare frasi di senso compiuto.
    « Non mi sono mai schierata contro di te, non mi interessa nulla del casato! » ecco, la voce cominciava a vacillare. Non andava bene, doveva tentare di recuperare la lucidità, cercare di essere convincente. Stava dicendo la verità.
    « Gli incarichi sono del tutto anonimi, non si conoscono le identità dell'obiettivo e del committente. Non pensavo che... » fu costretta a fermarsi. Aveva voglia di piangere e urlare a squarciagola, ma non poteva. Doveva spiegargli la situazione al meglio delle sue possibilità, facendo fronte al terrore che aveva preso il controllo della ragazza. Studiò il viso alterato del Corvo, dove vi aveva sempre trovato un sorriso gentile. Cosa aveva fatto?
    « Non potrei mai farti del male, Izar! » disse con quanto fiato aveva in corpo, piantando le unghie nei palmi delle mani. Non gli serviva la conferma che sarebbe andato tutto bene, perché era ovvio che aveva appena rovinato tutto. Non aveva nessuna giustificazione, da qualsiasi parte la si vedeva era dalla parte del torto. Non sapeva se aveva più bisogno di un abbraccio o di andarsene via di lì. Prese un respiro profondo, che non servì a calmarla, ma almeno riuscì a mettere insieme qualche altra parola.
    « Avevo intenzione di parlartene quando ci saremmo incontrati, non volevo tenertelo nascosto » Izar continuava a fissarla, ma si impose di guardarlo negli occhi mentre riordinava i suoi pensieri. Stava perdendo tutto ciò che aveva, e non le sembrò un azzardo constatare che probabilmente lo aveva già perso.

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    Edited by altäir - 25/4/2016, 20:48
     
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    Izar Al'Nair

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    Mutaforma demoniaco ‖ 19 y/o
    Previous Role ‖ Next Role
    Altayr Clarity Windstorm

    Committenti, incarichi, denaro sporco... lui non conosceva questo mondo, e pensare che la ragazza ne facesse parte lo nauseava. No, la cosa peggiore era che lui si fosse innamorato di una persona che uccideva per vivere, e nascondeva con successo la sua doppia vita. Dopotutto le aquile erano così, no? Fameliche, crudeli, approfittartici. Doveva sapere che il suo istinto non sbagliava. Al loro primo incontro non gli aveva fatto una buona impressione, con quegli occhi troppo attenti e le movenze troppo calcolate. E mentre negava ogni accusa, Izar era solo capace di guardarla in cagnesco, sempre più combattuto. Una parte di lui voleva crederle, l'altra non vedeva l'ora di sbatterla fuori dalla sua proprietà. Le avevano chiesto di uccidere lui, l'erede degli Al'Nair, sotto diretta richiesta di Rowen e dell'intera famiglia Endor. Un metodo subdolo di gente senza spina dorsale, insomma. Però Altayr aveva fegato da vendere, visto lo stato in cui erano ridotte le guardie che l'avevano catturata. « Silenzio, non voglio ascoltarti » sibilò, entrambe le mani strette a pugno ai lati della sua testa, contro il muro. Perché se anche stesse dicendo la verità, restava sempre un'assassina, e lui non poteva amare chi si arricchiva sulle vite altrui. Era una cosa da Demoni, quelli che disprezzava.
    « Non potrei mai farti del male, Izar! » gridò Altayr, al culmine della disperazione, e il Corvo indirizzò un pugno ad un soffio dal suo zigomo, lasciando una crepa sulla parete ed un minuscolo rivolo di sangue. Nonostante tutto, il suo stesso corpo si rifiutava di ferirla. « L'hai fatto. Proprio adesso ».
    Un leggero colpo di nocche sulla porta fece voltare entrambi, insieme alla flebile voce di Argo e le solite maniere ossequiose.
    « P... perdonate il disturbo, Signore. Avete visto la prigioniera? Nessuno sa dove sia, e non vorrei che la notizia arrivasse a vostro padre... ».
    Il moro fissò Altayr dritta negli occhi, la rabbia a deformargli il viso come una maschera spaventosa, e rispose in tono monocorde: « No, non l'ho vista ». Ed era davvero così. Non vedeva nessuno che gli ricordasse l'Aquila per cui aveva perso la testa. Davanti a lui c'era solo un sicario senza cuore.
    Quando fu certo che il servetto se ne fosse andato, una volta capita l'antifona, Izar ascoltò l'ennesima scusa con aria annoiata, nemmeno l'avesse sentita cento volte prima di allora.
    « Adesso è tardi per le spiegazioni ». Una mano, quella lacerata dal colpo al muro, scese lenta contro la sua schiena, gli artigli a segnarne la superficie, fino ad arrivare ai polsi legati. Infilò l'indice nel nodo stretto della corda e tirò, utilizzando l'unghia aguzza da mutaforma per liberare l'assassina dall'unica cosa che la tratteneva. Avrebbe accettato solo uno scontro alla pari, niente sotterfugi. Cos'era quell'espressione affranta? Era venuta per ucciderlo, e gli stava servendo l'occasione su un vassoio d'argento. La stessa mano andò a posarsi alla base della schiena di lei, senza la minima gentilezza, e strinse il corpo della ragazza contro il suo per impedirle di fuggire subito. C'erano ancora troppi interrogativi che non aveva risolto, e voleva che Altayr adempiesse al suo compito.
    « Perché non riesco ad odiarti? » chiese, forse più a sé stesso. « Ho confessato i miei sentimenti ad una persona, l'altra notte, ma non eri tu. La ragazza che amo non farebbe mai qualcosa di così meschino ». Le dita della mano libera si chiusero attorno alla sua guancia contusa, stavolta con più delicatezza, ed Izar sentì qualcosa spezzarsi all'altezza del petto. Sì, lei era Altayr, ed era anche un'assassina. Lo stava implorando di crederle, sull'orlo delle lacrime e con una paura tangibile negli occhi smeraldini. Davvero era stato tutto un malinteso? E se l'avesse saputo il giorno seguente sarebbe riuscito comunque ad accettare la cosa? Sì, perché si parlava di lei, non di una ragazza qualunque. L'odio s'incrinò, divenne sconforto, e Izar la strinse in quello che sapeva essere il loro ultimo abbraccio. « Non volevo che fossi tu. Chiunque, ma non tu ». Sentiva la testa pesante, i poteri fuori controllo, e quegli sbalzi d'umore lo stavano uccidendo. Pregò che fosse solo un incubo, che l'indomani si sarebbe svegliato con la prospettiva di un appuntamento con la ragazza che aveva accettato di stare con lui, e basta. Solo quello. Niente casato, niente scontri, niente riunioni interminabili. Eppure lei era lì, poteva avvertire una traccia del suo naturale profumo nei capelli legati, misto all'odore di terra e sangue. La sua Altayr. Con un sospiro di rassegnazione la lasciò andare, chiudendo le ali sulla schiena per potersi muovere più facilmente, ed andò all'unica finestra di tutta la stanza. Lo scatto metallico rimbombò nel silenzio tra i due quando aprì le imposte, ed un vento dal gusto di pioggia si frappose tra loro. « Vai, prima che cambi idea. Se ti scoprono non potrò aiutarti ». Guardò la sagoma snella di lei illuminata dai raggi lunari, un perfetto sicario a cui veniva offerta la libertà senza nulla in cambio.
    « E non tornare » aggiunse, ma la tristezza che segnava il suo volto sembrava dire tutto il contrario, un supplica velata.
    Non voleva perderla, qualunque crimine avesse commesso.

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    Tenere alto lo sguardo, fisso in quello di Izar, si stava dimostrando un supplizio senza fine. Riusciva a leggervi tutto l'odio e la rabbia che nutriva nei suoi confronti e che non tentava in alcun modo di nascondere. Non ricordava di aver mai provato così tanta paura come in quel momento, ma doveva riuscire a riprendere il controllo di sé stessa. Più facile a dirsi che a farsi, le pareva un'impresa impossibile, e le parole taglienti del Corvo non aiutavano di certo. Ignorò il suo invito - che non era da interpretare come tale - al silenzio, tentando di spiegare la situazione, ma non poté fare lo stesso con il pugno che il ragazzo direzionò a pochissima distanza dal suo viso, andando però a scontrarsi contro il muro. Altayr trattenne il fiato, gli occhi inchiodati a quelli di lui. Perché proprio lui? Perché lei, perché quella notte? Erano tutte coincidenze orribili, che avrebbero fatto sì che la persona alla quale teneva più al mondo si trasformasse in un completo estraneo. E pensare che fino a ventiquattro ore prima la stava accompagnando a casa con la promessa di rivedersi presto.
    Al sentir bussare, Izar le diede un attimo di tregua ma il buco allo stomaco e il vuoto nel petto rimasero comunque. Non riuscì ad approfittare del momento per tentare di calmarsi, e l'occhiata rabbiosa che il Corvo le dedicò pochi attimi dopo fu deleteria. Aprì la bocca per cercare di parlare, ma boccheggiò soltanto, quasi in cerca di aria. Risolvere la questione sembrava impossibile, Izar nemmeno la ascoltava. In fin dei conti, cosa c'era da dire? Si trattava di un terribile malinteso, ma il suo essersi macchiata del sangue altrui molteplici volte non era giustificabile. Era pur sempre un'assassina, aveva ucciso persone per guadagnare qualche spicciolo. Quegli occhi riuscivano a farla sentire un mostro, erano la prova tangibile che non poteva essere definita in altro modo.
    « Adesso è tardi per le spiegazioni » L'Aquila scosse il capo, incapace di fare altro. Doveva parlare, dire qualcosa, avanti!, ma un nodo alla gola glielo impediva. In ogni caso, non avrebbe saputo nemmeno cosa dire, tutto suonava come scuse inventate sul momento. Un brivido freddo percorse la schiena della mutaforma contemporaneamente alla mano artigliata del ragazzo, che finì per tagliare la corda che aveva attorno ai polsi. Lo stesso palmo si immobilizzò alla base della schiena, e Izar la attirò verso di sé. Peccato che quello che seguì non fosse un abbraccio, al contrario il volto del Corvo era ancora contratto in una smorfia incollerita. D'altro canto, lei non riusciva ad abbassare lo sguardo nonostante avesse paura e si sentisse ad un passo dal toccare il fondo.
    « La ragazza che amo non farebbe mai qualcosa di così meschino » l'Aquila si sentì mancare la terra sotto i piedi, e le venne spontaneo mordersi il labbro inferiore quando la mano del ragazzo si posò sulla sua guancia ferita. Si era sempre ripetuta che Altayr e Libra erano due persone diverse, non potevano coesistere. Quest'affermazione la faceva sentire un po' meglio, come se non fosse lei a commettere crimini. Il Corvo gli stava sbattendo la cruda realtà in faccia: Altayr era anche un'assassina, e allo stesso tempo Libra era anche una ragazza normale. Non era un ragionamento complicato, ma la ragazza si era creata una sorta di piccola bugia per riuscire a sopravvivere ai primi e difficili tempi da cacciatrice, che nel corso del tempo aveva cominciato a smontarsi per poi distruggersi quella sera.
    In quel frangente, lo sguardo di Izar le apparve più avvilito, e la avvicinò a sé cingendola in un abbraccio. Altayr affondò il volto nell'incavo della spalla, dove riusciva sempre ad incastrarsi, e respirò a pieni polmoni il buon odore che impregnava i suoi vestiti. Non aveva ancora fumato una sigaretta a quanto pareva, o se lo aveva fatto chi di dovere si era impegnato nel farlo apparire al meglio per la serata. Non seppe come, ma riuscì a recuperare un po' di lucidità mentale che le era venuta a mancare. Non importava il contesto, Izar riusciva sempre a farla sentire bene.
    « Non volevo che fossi tu. Chiunque, ma non tu » utilizzò un tono diverso da quello che aveva usato fino a quel momento, era più scoraggiato. Altayr mosse le braccia per la prima volta da quando il Corvo le aveva liberato i polsi, e le sue mani andarono ad intrecciarsi dietro la schiena di lui. Pregò affinché quel contatto potesse durare giorni interi, ma il ragazzo lo interruppe prima del previsto, dirigendosi verso l'unica finestra della camera e lasciando Altayr senza alcun sostegno. Lui aprì le imposte e un vento freddo si fece strada sotto i vestiti dei ragazzi. L'Aquila approfittò del momento per prendere dei respiri profondi, tentando di zittire le vocine spaventate che le rendevano la testa più pesante di un macigno e le impedivano di ragionare lucidamente. Andava meglio, per quanto la definizione di "meglio" fosse alquanto ristretta in quella situazione.
    Izar le stava offrendo la libertà che lei aveva bramato da quando aveva messo piede nella sua dimora. Il volatile che albergava in lei fremeva al solo pensiero di spiegare le ali, ma si rifiutò di ascoltarlo. Non poteva abbandonare tutto così, non...
    Le successive parole del Corvo interruppero i suoi pensieri, facendola spalancare gli occhi.
    « Cosa intendi dire? » la sua voce, stavolta meno vacillante, quasi rimbombò nel silenzio della stanza. Non c'era molto da capire, a dire il vero, ma Altayr stentava a credere alle sue orecchie. « Non tornare qui o non tornare da te? » Una voragine si aprì nel petto della ragazza, al posto del cuore, ma riuscì ad impedire che le si formasse l'ennesimo nodo in gola che le avrebbe impedito di spiccicare parola. No voleva vederla più, giusto? La sua paura di rimanere sola e senza il Corvo al suo fianco si materializzò, facendosi palpabile, ma tenne comunque lo sguardo fisso nel suo. Pensava di poter riuscire a costruire finalmente qualcosa, a far crescere un legame, e invece era tutto finito ancor prima di iniziare. Non poteva chiedergli di rimanere con lei, non quando aveva scoperto la sua doppia vita nel peggiore dei modi.
    « Mi dispiace » mormorò, e per una persona guidata dall'orgoglio fu quasi doloroso dire una cosa del genere, ma era colpa sua, d'altronde. La ragazza si avvicinò cautamente di qualche passo, quasi come che se avesse accorciato troppo le distanza sarebbe volato via spaventato e inorridito. Allungò una mano verso il viso del ragazzo, ma si fermò a metà strada. Gli uccelli non si facevano toccare, spiegavano le ali prima che qualcuno potesse farlo, e aveva paura che Izar potesse fare lo stesso. Ebbe un flash dove vide le sue dita coperte di sangue scarlatto, e la ritirò, posandola lungo il fianco.
    « Non posso costringerti ad accettarmi, nessuno lo farebbe » si prese il tempo di fare un respiro profondo. Non voleva perderlo, non lui. « Ma non voglio che questa sia l'ultima volta che ci vediamo » Cosa stava dicendo? Era davvero una regina prepotente. Scosse la testa.
    « Non darmi retta, sono solo egoista, ecco tutto » Lei avrebbe combattuto, ma non poteva forzarlo nelle sue decisioni. In fondo, chi sarebbe rimasto al fianco di un'assassina? Forse solo un altro assassino. Ma Izar era tutto ciò che di bello il mondo aveva da offrire, lui con la morte non aveva nulla a che fare.
    « Solo che mi piaci davvero, e quando sto con te sento di non essere poi così male » stava dicendo le cose sbagliate, probabilmente Izar si sarebbe infuriato e si sarebbe rifiutato di tenerla in casa sua un minuto di più. Ma era vero, era tutto dannatamente vero. « Non riuscirei ad andarmene via da qui come niente fosse, non voglio scappare via » che stupida, era in pericolo, doveva andarsene, eppure non sarebbe riuscita a far fuoriuscire le ali neanche a volerlo. Sentì pizzicare gli occhi, e vi passò la manica della tuta con rabbia, prima di combinare qualche guaio. Non doveva farsi vedere in lacrime.
    « Ho una gran paura di perderti, è questo il punto » esclamò alla fine. Al diavolo la lucidità mentale, stava dicendo tutto ciò che le stava passando per la testa. Dove erano andati a finire tutti i suoi buoni propositi? Il terrore di vederlo allontanarsi definitivamente la faceva straparlare, neanche la birra le faceva questo effetto. « E mi dispiace di essere... così » chiese scusa per la seconda volta, stringendo le mani a pugno. Stava lottando anche contro sé stessa, e per la prima volta si rese conto che il suo essere una cacciatrice non avrebbe potuto danneggiare solo gli altri, ma anche lei avrebbe potuto rimetterci più di chiunque altro.
    « Avrei tanto voluto che filasse tutto liscio, tra noi » si lasciò sfuggire un sorriso del tutto fuori luogo, che si spense subito. Guardò fuori dalla finestra, e notò che il cielo non era del tutto terso come la sera prima, un po' come il suo animo. « E' troppo tardi, mh? » La sua attenzione tornò sul Corvo, e si trattenne dall'avvicinarsi ancora. Aveva già parlato troppo.
    Non voleva che la lasciasse da sola. Chiunque, ma non lui. Eppure, se avesse scelto di fare il contrario, non sarebbe stato da biasimare. E il solo pensiero la faceva stare male.

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    Izar Al'Nair

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    Ogni alternativa remava contro ai desideri di Izar. Non voleva che l'Aquila tornasse tra le mura di casa sua, questo mai, specie dopo aver giocato un brutto scherzo al padre, ma non rivederla più... Le ferite del cuore erano lente a guarire, a distanza di qualche anno si sarebbe dimenticato di lei e di ciò che erano stati. Poteva farcela. La ragazza azzardò qualche passo di troppo, allungando la mano nella sua direzione, e fece per scostarsi quasi subito, come un gatto infastidito. « Non posso costringerti ad accettarmi, nessuno lo farebbe, ma non voglio che questa sia l'ultima volta che ci vediamo ». Maledizione a lei. Una parola azzeccata e avrebbe potuto fare del Corvo quello che voleva. Inutile prendersi in giro. Izar aprì e chiuse le dita in modo ritmico, mentre gli artigli tornavano al loro posto centimetro dopo centimetro, un vano tentativo di recuperare la sua umanità, e tenne gli occhi serrati per impedirle di corromperlo oltre. Aveva preso la decisione più dolorosa, e nel sentire la ragazza darsi dell'egoista gli venne quasi da ridere. Altayr era il ritratto dell'animale che portava dentro, sul serio. « Solo che mi piaci davvero, e quando sto con te sento di non essere poi così male » disse, nella voce una convinzione spiazzante. Aveva la capacità di abbattere tutte le barriere tra loro, compresa quella che Izar aveva innalzato con così tanta fatica. Lui era la causa del suo cambiamento, li univa un sentimento nato da poco, ma molto più profondo di quanto pensasse, e uno non poteva esistere senza l'altro.
    « Perchè vuoi rendere le cose ancora più difficili? ».
    Una domanda che non necessitava di risposta. Incontrò lo sguardo fermo di Altayr e sentì la volontà sbriciolarsi.
    « Non riuscirei ad andarmene via come niente fosse, non voglio scappare via ». Lui scosse il capo. Era un caso senza speranza, ormai. « Devi scappare, Altayr. Credimi, ti sto facendo un favore ». Izarhaya non era il tipo di Demone che provava compassione, motivo per cui le celle degli Al'Nair erano sempre vuote. Gli erano giunti racconti tremendi sulla fine che facevano i prigionieri. « Non si tratta solo di noi due. Se scoprono chi sei puoi dire addio alla tua nobile carriera, perchè mio padre odia i mutaforma ». Non avrebbe permesso al genitore di metterle le mani addosso, e l'unico modo per evitarlo era farla scappare subito, prima che qualcuno facesse irruzione nella sua stanza e scoppiasse il finimondo. Argo non era chissà quanto intelligente, ma sapeva che tra i due mutaforma c'era qualcosa. L'Aquila era inaffondabile, nonostante gli occhi lucidi e la voce spezzata dai singulti. Aveva paura di perderlo? Sul serio? Una persona abituata a trattare gli altri come carne da macello temeva di restare senza qualcuno? Perchè diavolo gli suonava così sincera, poi? Stava dicendo la verità, ecco tutto, e lui voleva vederci chiaro. Al piano inferiore si levò un gran chiacchiericcio (gli ospiti dovevano essersi accorti del caos che regnava tra le guardie), seguito da passi veloci ed ordini impartiti a destra e manca. Izar imprecò a denti stretti e trascinò Altayr per un polso, finchè non si affacciò al davanzale. Il segno lasciato dalle corde, a contatto con la sua mano, lo fece rabbrividire. Quel bastardo che aveva osato legarla doveva iniziare a pregare subito per fare ammenda. « Torna a casa, per favore. Domani verrò da te ». Gli serviva tempo per digerire la cosa, far ordine nei suoi sentimenti confusi. La rabbia aveva guidato ogni azione fino a quel momento, facendogli sputare sentenze come fosse un dio onniscente. Voleva capire il motivo per cui Altayr aveva scelto di diventare quello che era, perchè c'era sicuramente una ragione plausibile. Passò dal polso alla mano fredda, stringendola lievemente. « Fa attenzione, e non mettere più piede qui ». La voce astiosa del capo delle guardie riecheggiò nel corridoio, e il ragazzo si affrettò a lasciare la presa.

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    Qualunque cosa dicesse sembrava non scalfire minimamente la volontà di Izar, e l'Aquila sentì un grande desiderio di mollare pugni al muro. Quel turbinio di emozioni negative la stava sopraffacendo, e le riusciva difficile opporsi. E se avesse chiuso gli occhi, sarebbe scomparso tutto? No, certo che no, era la dura realtà. Ancora sperava che fosse un incubo, che sciocca. Era tutto vero invece: Izar l'aveva colta in flagrante e non voleva più rivederla, giustamente. E allora perché non riusciva a farsene una ragione, seppure fosse dalla parte del torto?
    « Devi scappare, Altayr. » chissà se lo stava facendo effettivamente per lei o perché voleva che scomparisse dalla sua vista. Non sapeva nemmeno più cosa pensare, aveva perso la fiducia del ragazzo nel giro di pochi minuti. Risolvere immediatamente la questione era impossibile, non avrebbe avuto senso rimanere lì un minuto di più. Preda dello sconforto qual'era, non aveva pensato minimamente al destino che le attendeva se le guardie la avessero presa e riportata nelle segrete. La sua fine era passata totalmente in secondo piano di fronte alla prospettiva di perdere lui. L'abbattimento che provava in quel momento non era nemmeno paragonabile al momento in cui Kevin se n'era andato, anni fa: la partenza dell'Angelo era stata inevitabile e non per loro scelta, mentre stavolta era lei la causa di tutto. Se fosse riuscita a parlargliene con calma magari sarebbe andata in modo diverso, ma l'espressione combattuta del ragazzo la fece vacillare anche su questo. Rimaneva comunque un'assassina, si sarebbe allontanato ugualmente da lei.
    Un sonoro chiacchiericcio arrivò fino alle loro orecchie dal piano inferiore, misto al rumore di passi pesanti, e lo sguardo dell'Aquila vagò dal volto di Izar fino alla porta chiusa. Stavano cercando lei, senza ombra di dubbio. Stranamente, il cuore le batteva più lentamente di quando aveva incontrato il Corvo nelle prigioni sotterranee. Abitualmente, avrebbe affrontato le guardie o se la sarebbe data a gambe non lasciando tracce, ma non riuscì a muovere un passo finché il Corvo non la afferrò per il polso trascinandola fino al davanzale. Trattenne una smorfia di dolore quando la strinse sul segno delle corde e una fitta la colpì alla gamba ferita, ma quando percepì il flebile calore della mano del ragazzo nella sua ogni dolore scomparì, per quanto il contatto risultò breve e sfuggente. Alzò gli occhi verso di lui, mentre le impartiva le ultime raccomandazioni. Le stava dando un'altra possibilità? Non lo capiva, nella sua testa c'erano solo idee confuse di quel che era successo fino a quel momento, che si sommavano in un inghippo di spavento, tristezza e rabbia.
    Il baccano in corridoio la fece tornare con i piedi per terra, e sentì la sua mano tornare a stringere il nulla. Doveva scappare, o sia lei che Izar avrebbero passati guai grossi. Dedicò un'occhiata di sfuggita al ragazzo, lo sguardo fermo e affatto arrendevole, e gli mimò con le labbra un "Grazie" prima di balzare sulla balaustra e aprire le grandi ali al vento. Si alzò in volo pochi attimi prima di sentire la voce cavernosa di uno dei soldati e il tintinno delle spade al loro fianco, e si innalzò in cielo, nascondendosi tra le nuvole affinché le guardie non la scorgessero alzando lo sguardo. L'espressione rabbiosa di Izar le passò davanti agli occhi, e sentì come se il macigno che si era posato all'altezza del petto potesse farla tornare a terra per quanto fosse pesante.

    • • •

    Altayr aprì la porta di casa, fiondandosi all'interno e sbattendo la porta senza pensare al fatto che Sadir fosse a letto. La prima cosa che fece fu tornare in camera, alla ricerca del portafoglio che scoprì essere vuoto. Sentiva il bisogno di andarsene a fare una bevuta, ma senza soldi la prospettiva di bere qualche boccale di birra sfumò. Si diresse quindi a grandi passi verso il bagno, doveva almeno disinfettare le ferite. Andò alla ricerca di bende e medicinali nell'armadietto apposito, e posò il necessario sul ripiano vicino al lavandino. Imprecò sottovoce quando premette il cotone pregno di disinfettante sulla ferita alla gamba, per poi fasciarla. Quei movimenti le ricordarono la volta che Izar l'aveva medicata a casa sua, a Ta Nulli, e subito scacciò via quel pensiero. Come poteva rivederlo di nuovo, dopo averlo lasciato in quello stato? Avrebbe voluto spiegarsi, parlargliene, ma allo stesso tempo sentiva di non riuscire ad affrontarlo. Eppure doveva farlo, si sarebbe fatta coraggio a tempo debito. Sollevò lo sguardo, incontrando la sua immagine riflessa nello specchio. Quella era Altayr, Libra non esisteva. Era un'assassina ed era sempre riuscito a nasconderlo. Non quella notte, e non con una dell persone a cui avrebbe voluto evitare di incappare in una verità orribile come quella. Si sciolse velocemente la coda, tirando l'elastico con un gesto stizzito e rabbioso, sistemandosi i capelli sopra le spalle. Non cambiava assolutamente niente, ma quello era il primo passo per tornare alla realtà di tutti i giorni. Lo sguardo accigliato vagava sul suo riflesso, non riuscendo a trovare alcun punto di forza per infondersi un po' di coraggio. La tristezza aveva mutato in rabbia, ormai.
    Dietro di sé, vide stagliarsi un'ombra, che illuminata dalla lampadina sopra lo specchio si scoprì essere Sadir. Era evidente come si fosse svegliato in quel momento.
    « Ah, sei tu » sbadigliò, appoggiandosi allo stipite della porta. Assottigliò gli occhi verso di lei, e sembrò notare la guancia gonfia e ferita. « Vado a prenderti il ghiaccio »
    Sentì i passi dell'uomo allontanarsi, e l'Aquila prese un cerotto grande dalla pila che aveva tirato fuori insieme alle garze, per poi seguirlo a ruota. Si sarebbe dovuta cambiare, aveva ancora la tuta addosso, piena di tagli e sporca. Chissà se sarebbe riuscita a farsi una doccia, ora che non poteva uscire avrebbe voluto solo infilarsi nel letto e non svegliarsi più.
    « Com'è andata? » la voce assonnata di Sadir la fece immobilizzare sul posto, e non allungò la mano per prendere il ghiaccio. Male, malissimo, ecco com'era andata. Aveva perso tutto in una sola notte, e non sarebbe tornato da lei, non importava quanto avrebbe combattuto per riaverlo indietro.
    « Lascia perdere » mugugnò, la voce intrisa di collera mal celata. Sadir assunse un'espressione scettica, avvicinandosi a lei di qualche passo. « Sai cosa succede a chi accetta un incarico e poi non lo porta a termine, vero? »
    L'Aquila si morse il labbro: certo che lo sapeva. Sospensione da ogni missione per qualche mese. Ergo, niente lavoro, e quindi niente soldi. Avrebbe dovuto vagare alla ricerca di altro, o né sua madre né lei avrebbero avuto pane da mettere sotto i denti.
    « Pensavo fossi infallibile » Altayr si voltò di scatto verso di lui, il sorriso denigratorio dell'uomo a mandarle il sangue al cervello. I Demoni erano davvero tutti uguali. « Non concludere una missione è roba da principianti. Hai avuto paura per caso? »
    Una folata di vento gelido lo investì, bloccandolo con le spalle al muro, e Altayr si lanciò su di lui, le dita strette attorno al colletto della maglietta. « Se hai voglia di litigare, potrei anche accontentarti » sibilò, mentre nel suo petto divampava la fiamma dell'ira. Sadir ne rimase impressionato, ma pochi secondi e quel maledetto sorrisetto ritornò sulle sue labbra. La ragazza allargò le narici, e prima che potesse anche solo fiatare indirizzò un pugno al muro che risuonò nel silenzio della stanza.
    « Un'altra parola, solo una » sillabò, ad un soffio dal suo viso. « E questo te lo becchi in faccia » gli occhi scuri del Demone erano fissi in quelli della mutaforma, colmi di rancore e lacrime che non avrebbe mai lasciato uscire. Altayr si allontanò da lui, liberandolo dalla presa, e tornò in camera afferrando il ghiaccio poggiato sul tavolo e il cerotto squadrato. Si distese sul letto, un braccio a coprirle il viso e l'altro impegnato nel pressa la busta gelida sulla guancia. Non aveva neanche voglia di cambiarsi, l'indomani avrebbe preso qualche vestito pulito dal borsone che aveva portato con sé.
    Cosa diavolo aveva fatto? Non quella notte soltanto, ma che razza di decisioni aveva preso nella sua vita? Tutte quelle che le erano sempre sembrate delle valide motivazioni non le parvero più tali. In passato le era sembrato non avere alternative. I maltrattamenti, la povertà della sua famiglia, tutto scompariva di fronte al pensiero di dover uccidere qualcuno per far sì che lei e sua madre riuscissero ad arrivare a fine mese. L'aveva sempre considerata una cosa immonda, ma l'incontro con Izar aveva reso la verità palpabile e dolorosa.
    Raggiunse con la mano il cerotto che aveva poggiato sul comodino, non alzandosi nemmeno per vedere come metterlo. La mattina seguente lo avrebbe cambiato. Una lacrima le rigò la guancia, ma se la tolse subito, impedendo ad altre di fuoriuscire. Avrebbe passato l'ennesima notte in bianco, e sentiva di star vivendo un incubo senza il bisogno di chiudere gli occhi.

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    Al terzo pugno nello stomaco, Izar smise di provare dolore. Era come se la forma della mano di Izarhaya si fosse adattata al livido sulla pancia, e presto sarebbe arrivato il turno dello zigomo. Restò riverso sul pavimento polveroso dello studio e sputò un grumo di sangue particolarmente fastidioso. Odiava il gusto ferruginoso che lasciava in bocca. « Non dovrei essere sorpreso, a questo punto. I mostri si aiutano a vicenda per sopravvivere » disse l'uomo, massaggiando le nocche della mano destra. Una soffiata delle guardie era stata sufficiente a dissipare ogni dubbio circa l'intervento del Corvo nel salvataggio della prigioniera, e lui non si faceva mai sfuggire l'occasione di punire qualcuno. Il figlio non aveva reagito alle provocazioni, mantenendo i nervi saldi e riducendo a dei sibili le urla di dolore. La vita nel mondo demoniaco l'aveva temprato, glielo leggeva nello sguardo. « Cosa farai se tornerà di nuovo, le offrirai del té? Sei patetico ». Gli assestò un calcio all'altezza del costato, poi una fiammata lo allontanò da lui. Samael aveva osservato in silenzio abbastanza a lungo, non poteva sopportare oltre la vista del suo povero figlioccio ridotto a quel modo. « Ha capito l'antifona, puoi smetterla di sfogare la tua rabbia repressa su di lui ». Izarhaya si spazzò la tunica bruciacchiata come fosse sporca di polvere, visibilmente scocciato. « Sparite dalla mia vista, tutti e due. E non farlo vedere ai nostri ospiti in quello stato ». I Demoni che fino a poco tempo prima conversavano nel salone da pranzo, ora pretendevano spiegazioni per il tumulto in casa Al'Nair, questione di cui si sarebbe occupato il capofamiglia una volta ripulite le mani dal sangue del suo successore. Il fedele tutore si caricò il corpo esanime di Izar in spalle, nemmeno fosse un tappeto arrotolato, e lo riportò dove le guardie l'avevano prelevato prima, mentre Altayr volava libera oltre la finestra della sua stanza. Non si sarebbe aspettato niente di meno dal ragazzo, lo conosceva troppo bene. Quando Izar toccò il letto iniziò a tossire, il respiro spezzato dal dolore alle costole e la vista annebbiata. Lo stato di shock in cui era crollato lo aiutava a mantenere la calma, una vera fortuna per Izarhaya.
    « Con tutte quelle che c'erano in giro, proprio un'assassina dovevi prenderti? ». Samael invocò un incantesimo curativo nel palmo della mano e scandagliò per intero il petto martoriato del mutaforma, un'abitudine presa da quando erano iniziate le dispute tra la casata del Corvo e quelle demoniache avversarie. Ne usciva sempre malconcio, e gli Al'Nair non erano famosi per le loro abilità di guarigione. « Che so, magari un'infermiera, di quelle in uniforme ». Izar roteò gli occhi in risposta, i polmoni che tornavano ad alzarsi ed abbassarsi con più facilità. Gli sarebbero rimasti dei bei lividi, incantesimi o meno. « La prossima volta m'informerò meglio ». Il sarcasmo gli costò un colpo di tosse che fece risalire il gusto di sangue in gola, quindi optò per un momento di silenzio. Con la delicatezza di un gorilla, il rosso gli prese il mento tra il pollice e l'indice, ruotandogli il viso dalla parte contusa: aveva il labbro inferiore spaccato ed un livido verdastro sotto l'occhio, una bella tavolozza di colori. Il padre ci era andato giù pesante. « Ne valeva davvero la pena? » chiese, stranamente serio. Izar lo guardò con una determinazione spiazzante che rispose per lui. O era molto innamorato, o molto stupido, e spesso le due cose andavano a braccetto. « Come vuoi, moccioso. Non dire che non ti avevo avvertito ». Lo lasciò riposare in pace, solo insieme ai suoi dubbi, mentre il cielo andava sfumando verso tonalità di grigio più chiare, ormai prossimo all'alba.

    • • •

    13 Marzo - 08.20 a.m.

    Non fu il sole a svegliare Izar, bensì il dolore al petto ed un forte senso di nausea. Il sonno l'aveva colto per inerzia, come se il suo corpo pretendesse di ricaricare le batterie dopo la pessima nottata, ma non aveva affatto voglia di dormire. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva lei nelle vesti di sicario, sull'orlo delle lacrime, e un misto di rancore e tristezza gli chiudeva lo stomaco. Si alzò dal giaciglio con estrema lentezza, tastando il ventre alla ricerca delle lesioni che mandavano fitte per tutto il corpo. Samael aveva fatto un buon lavoro, peccato che le chiazze violacee non fossero sparite, e sospettava che la faccia non fosse messa tanto meglio. Lo specchio del piccolo bagno nello stanzino accanto, collegato tramite una porta masticata dai tarli, confermò la sua ipotesi: lo zigomo destro era tumefatto, il labbro percorso da un taglio richiuso alla bell'e meglio. Sembrava appena uscito da una rissa, e non come vincitore. - Però sono sopravvissuto -. L'Izar di un tempo non avrebbe incassato altrettanto bene dei colpi così, in un certo senso poteva dirsi soddisfatto. Gettò via la camicia sporca di sangue e i pantaloni bucati, recuperando dei jeans che non ricordava nemmeno di avere. Lì ci si vestiva solo e unicamente di nero, come se non fosse già abbastanza deprimente vivere in una specie di casa dell'orrore. Era già davanti alla finestra quando infilò la t-shirt scura che pianificava di mettere per l'appuntamento, quello che non ci sarebbe mai stato. Doveva vedere Altayr per tutt'altro motivo, o non si sarebbe dato pace per il resto della vita. Preso un lungo respiro, Izar mutò nella forma di corvo per sgusciare via indisturbato, nonostante il dolore al petto gli rendesse difficile volare in linea retta. Era ancora presto, le strade di Sunda apparivano deserte come ogni altro giorno, monotone al limite della depressione. Il mutaforma radunò i ricordi della sera in cui aveva accompagnato l'Aquila a casa, librandosi sopra i tetti e fermandosi di tanto in tanto per riprendere fiato. Incredibile quanta energia gli togliesse la semplice operazione di farsi trasportare dal vento. Per fortuna riconobbe l'abitazione in un guizzo d'occhio, e vi planò accanto per sbirciare all'interno: la sala da pranzo e la cucina stavano al piano di sotto, dove un uomo si preparava il caffè, mentre di sopra... - Trovata -. Che avesse lasciato la finestra aperta di proposito? Conoscendola forse sì, e lo stava aspettando. Il ragazzo atterrò sul pavimento e riacquistò la sua forma umana, scrollandosi di dosso le ultime piume nere che tanto detestava. Lo sguardo percorse Altayr da capo a piedi, soffermandosi sul suo viso solo in un ultimo momento. Sembrava lo spettro di sé stessa, i capelli aggrovigliati e la pelle contusa dove ricordava. Dio, gli piangeva il cuore a vederla ridotta in quello stato. Avvertiva il bisogno di abbracciarla, di prendersi cura di lei, di sentirla vicina, eppure l'orgoglio gli impediva di muovere anche solo un passo. Izar scandagliò velocemente la stanza, la strada sottostante, e richiuse la finestra dopo essersi assicurato che nessuno l'avesse seguito. Non voleva interruzioni, stavolta. Doveva sapere la verità. « Dovevi dirmi qualcosa, giusto? » disse a fatica, il respiro mozzato dal dolore al petto, « Ti ascolto ». Cercò di non pensare a cos'era accaduto, per evitare che le sue idee contrastassero con la realtà dei fatti. Voleva capire cosa l'aveva spinta ad arrivare a tanto, e cosa ne sarebbe stato di loro.

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    Altayr aprì gli occhi di scatto e si alzò, mettendosi seduta sul letto, il respiro irregolare e in cerca d'aria. Izar. L'aveva ucciso? Lo aveva visto chiaramente, il sangue, il pugnale... Si guardò intorno, ma riconobbe le pareti scure della casa di Sadir, e anche lo specchio a figura intera in un angolo della camera. La ragazza strinse di riflesso le lenzuola tra le dita, posando una mano sul petto all'altezza del cuore che batteva all'impazzata. Un incubo, un altro. Inizialmente non era stato diverso dagli altri: Izar davanti a lei in un luogo buio, lei di fronte a lui con in mano un pugnale. Dopo un tempo che le sembrava sempre infinito, l'Aquila piantava la lama nello stomaco del ragazzo, ma stavolta non cadeva inerme ai suoi piedi. Aveva parlato. Ricordava il discorso a pezzi, ma non riusciva a togliersi dalla testa l'espressione affranta e rabbiosa della sua vittima. E una parola, "mostro", che lui gli aveva gidato contro in sogno. Altayr sentì l'ossigeno cominciarle a mancare, e si alzò nella disperata ricerca della maniglia della finestra per poterla aprire. Quando spalancò le persiane, buttò la testa fuori, inspirando a pieni polmoni l'aria di cui necessitava. Non andava meglio, affatto. Quell'orrenda immagine non spariva e continuava a comparirle davanti agli occhi, non facendo altro che farla stare peggio. Era riuscita a chiudere gli occhi, e subito quell'incubo l'aveva risvegliata. Aveva sonno, e aveva paura. Una paura tremenda, che non l'aveva mai lasciata da quando aveva messo piede nella residenza degli Al'Nair, che non era nemmeno riuscita a mascherare perché non si era mai impossessata interamente di lei come quella notte. Era tutto finito, i suoi crimini non potevano essere redenti o sminuiti. E allora perché si ostinava a tenere salda la presa sulla sua relazione con Izar? Lui non avrebbe mai voluto, non poteva dare ascolto ai suoi desideri egoisti, non in quella situazione.
    La voce del Corvo le riecheggiò nelle orecchie. Mostro. Prese un respiro profondo, appoggiando gli avambracci sul davanzale della finestra, affondò il viso nello spazio tra di essi e serrò le palpebre, tentando di scacciare le immagini terribili che le riempivano la testa. Non gli avrebbe mai fatto del male. « L'hai fatto. Proprio adesso. »
    « No, no, no » camminò all'indietro verso il letto, sdraiandocisi sopra, i palmi delle mani a coprirle il volto contratto in una smorfia sofferente. Non era vero niente, si sarebbe risvegliata la mattina con la prospettiva di dover incontrare il Corvo la sera stessa, ritrovandosi un suo messaggio sul cellulare appena aperti gli occhi. "Bugia" smontò ogni sua convinzione in pochi secondi, era inutile, lei per prima sapeva che quella era la dura realtà. Si morse il labbro, così forte che percepì presto il gusto ferruginoso del sangue sulla punta della lingua e strinse le ginocchia al petto, portandosi sul fianco sinistro. Doveva farcela, per loro due e per lei. Eppure, arrivare al mattino seguente, in quel momento, sembrava la cosa più difficile da fare.

    • • •

    Non sapeva che ore fossero quando Sadir la trovò seduta sul cornicione della grande finestra in soggiorno, l'orologio sulla parete non funzionava. Non era riuscita a dormire da quando si era svegliata a causa dell'incubo, ed era sicura che delle grandi occhiaie le incorniciassero gli occhi facendola sembrare un fantasma. Non chiudeva occhi da giorni ormai, fatta eccezione per qualche sonnellino pomeridiano di durata massima di un paio d'ore. I soliti incubi tornavano a farle visita ogni volta.
    « Buongiorno fiorellino » Altayr lo salutò con un cenno della mano, non preoccupandosi di aggiungere altro. La loro ultima discussione era stata archiviata ormai, ma si sentiva ugualmente un nodo alla gola. « Sono le sette della mattina, lo sai? » continuò l'uomo, e la ragazza fece di sì con la testa anche se non era vero, continuando a guardare fuori. Le costruzioni alte e scure di Sunda si stagliavano contro il cielo ancora chiaro, anche se cominciava a tingersi di sfumature plumbee che non promettevano una bella giornata.
    « Hai già fatto colazione? » chiese Sadir prima di avviarsi al piano inferiore per prepararsi qualcosa da mangiare. « Yep » rispose lei, e udì i passi pesanti dell'uomo farsi più distanti. Aveva mangiato un paio di biscotti, di più non era riuscita a mandare giù. Non sapeva per quanto da quanto tempo fosse lì e quanto ancora ci rimase prima di decidere di andare a farsi una doccia calda e tornare in camera a prepararsi. I problemi non scivolarono via insieme all'acqua, così come rivedere il suo riflesso nello specchio non la fece sentire meglio. Il bendaggio all'altezza della ferita alla gamba era sporco di sangue, avrebbe dovuto cambiarlo al più presto. Partendo da quel punto, non poté fare a meno di come il suo corpo fosse coperto di cicatrici: la più evidente le attraversava il fianco destro, ed altre più insignificanti le segnavano la schiena, il costato, le spalle. Altayr tracciò la cicatrice sul fianco con i polpastrelli, mentre quella visione la convinceva sempre di più di essere un mero soldato dedito alla guerra e nient'altro. Le dita della mano sinistra raggiunsero il polso del braccio opposto, e le fece scorrere sul segno lasciato dalle corde sul polso quella notte, e a vedersi in quello stato le si chiuse lo stomaco. Poteva considerarsi un'essere umano? Non si era mai ribellata del tutto a quello stile di vita, sebbene avesse provato, in passato, a staccarsi dai cacciatori. L'incontro non programmato con Izar era stata la goccia a far traboccare il vaso: forse aveva superato il limite, forse doveva pensarci su. Ma aveva come l'impressione che fosse troppo tardi per tentare di rimettere insieme i pezzi.
    Sbuffò, e aprì il borsone contenente i pochi vestiti che aveva portato: ne tirò fuori un paio di pantaloni scuri e una maglietta larga e anonima, appartenuta a sua madre anni prima. L'aspetto di Altayr aveva visto giorni migliori, su questo non ci pioveva. Non sapeva quando il ragazzo sarebbe arrivato, ma aveva tenuto la finestra aperta per farlo entrare senza dover passare dalla porta principale: voleva evitare ogni domanda e commento di Sadir a riguardo. In cerca di un fermaglio per legarsi i capelli, lo sguardo cadde sulla tuta infilata nel borsone in malo modo, e la ragazza aggrottò le sopracciglia. Il futuro che la attendeva era incerto, la presenza di Izar al suo fianco un grande punto interrogativo, si era trovata improvvisamente senza alcun punto fisso. Altayr aprì una delle tasche dell'indumento scuro, trovandoci la collana che Izar le aveva regalato mesi fa. Attorcigliò la collanina intorno alle sue dita, lasciando dondolare il ciondolo a forma di piuma davanti agli occhi. Non voleva che tutto finisse lì, ma lei era ciò che era. Non sarebbe mai riuscito a convincerlo a darle un'altra possibilità, quel che aveva fatto aveva fatto. Aveva le sue ragioni, ma si trattava sempre di omicidi, spionaggi e rapine.
    Un rumore dietro di lei la fece voltare, portando la collana dietro la schiena, e ritrovò un volatile dal piumaggio corvino al centro della stanza. La sua seguente trasformazione dissipò ogni dubbio al riguardo, rivelando la figura slanciata di Izar. Il suo cuore perse un battito, e il silenzio che seguì non giovò all'atmosfera. L'attenzione della ragazza si focalizzò subito sul viso del mutaforma, e quello che vide la fece trattenere il respiro.
    « Cosa ti è successo? » chiese a voce bassa, gli occhi sbarrati. Il labbro era spaccato, un livido affatto rassicurante spiccava sulla pelle diafana e il respiro era irregolare. Chi l'aveva ridotto così? Lei l'aveva lasciato al castello, e... Un pensiero fastidioso le si insinuò nella testa: e se fosse stato ridotto in quel modo per colpa sua? Forse avevano scoperto dell'aiuto che le aveva concesso? Un brivido freddo le percorse la schiena da cima a fondo, lo sguardo dell'Aquila che vagava sulle ferite del ragazzo. Era colpa sua, sua.
    « Dovevi dirmi qualcosa, giusto? » Izar si mosse per chiudere la finestra, e lei strinse tra le dita il ciondolo. Con che coraggio poteva chiedergli di rimanere con lei? Era ferito perché l'aveva aiutata a scappare, in futuro sarebbe potuto succedere di peggio. « Ti ascolto » la voce del ragazzo era flebile, ma i suoi occhi trasmettevano sicurezza e determinazione. Ce la doveva fare, aveva diritto di sapere. Prese un respiro profondo, non riuscendo a muoversi di un solo passo.
    « Nascere mutaforma è una maledizione in questo mondo, dovresti saperlo bene. » prese un respiro profondo, sentiva il cuore batterle in gola. Non era una bella sensazione. « Per me non è stato differente. Mia madre faceva la prostituta quando è rimasta accidentalmente incinta, ma nonostante le gravi condizioni economiche ha deciso di tenere il bambino » Non le piaceva definire sua madre in quel modo, quindi deglutì prima di continuare, lo sguardo fermo in quello del ragazzo di fronte a lui. « Dopo la mia nascita cambiò vita, trasferendosi a Sodony e aprendo un negozio tutto suo. I problemi arrivarono quando cominciò a spargersi la voce della sua vita passata, e i clienti si facevano sempre più rari. »
    Forse sarebbe stato meglio prepararsi un discorso prima. Sentiva un gran vuoto al posto dello stomaco. « Io la difendevo come potevo. Inevitabilmente, cominciarono ad evitare anche me. Fu un processo lento, che cominciò con l'esclusione dal gruppo dei bambini del vicinato fino ad arrivare ai maltrattamenti fisici e psicologici » Altayr provava a non fermarsi, ma era difficile. Le parole gli uscivano dalla gola a stento, e si impose di non piangere o alzare la voce, per nessun motivo. Non sentiva gli occhi bruciare, almeno quello era un buon segno. « Avevo sopportato tutto in silenzio, ma dopo un po' cominciai a reagire. Le risse erano all'ordine del giorno, e perdevo sempre, erano in tanti. Piccola com'ero non riuscivo a farmi valere, ma mi rialzavo ogni volta. E i ragazzi mi picchiavano più forte, e di conseguenza lo facevo anche io. » Se pensava a tutte le botte che aveva preso, poteva percepire i lividi che quelle risse le avevano lasciato sul corpo. I ricordi di quel periodo la assalivano ancora a volte, ma parlarne era tutta un'altra storia. Non pensava potesse essere così difficile aprirsi completamente a qualcuno. Tenere alto lo sguardo era difficile, ma non poteva abbassarlo, non se lo poteva permettere. Doveva dimostrarsi sicura e convinta.
    « Diventai una poco di buono, una ragazzina violenta e problematica, nessuno voleva intorno me o mia madre. Eravamo scarti, errori, e la nostra condizione economica precipitò di colpo. Non riuscivamo ad incassare abbastanza, uno strazio » Mano a mano che avanzava il nodo alla gola si faceva sempre più fastidioso. Non erano motivazioni valide, per niente, ma per sua madre avrebbe dato il mondo.
    « Lasciai la scuola per cercarmi un lavoro, ma data la mia cattiva fama nessuno mi accettò. Non avevamo soldi per trasferirci, e la vita a Sodony stava diventando un inferno. Finché, una sera, una donna mi ha proposto di seguirla in questo mondo sanguinario e impietoso » Voleva Izar, lo voleva davvero. Era tutto ciò che aveva, tutto ciò a cui poteva appigliarsi. Ma stava svanendo anche lui, insieme a tutte le convinzioni avute fino a quel momento.
    « Mi sembrò la mia unica possibilità. Mia madre ha dato e continua a dare tutto per farmi stare bene, e io voglio aiutarla. Non so fare altro, sono una macchina da guerra. » La ragazza si morse il labbro, riaprendo così la ferita. Non doveva piangere o perdere la calma, maledizione, eppure la sua voce si ruppe sull'ultima parola.
    « Così facendo riusciamo ad arrivare a fine mese. Lei ha sacrificato sé stessa per me, e io » si interruppe, gli occhi che cominciavano a bruciare. « Cazzo » si lasciò sfuggire, puntando il viso verso il soffitto e asciugandosi gli occhi lucidi con la manica della felpa. Non doveva piangere, non voleva mostrarsi debole o degna di compassione. « Mia madre c'è sempre stata. Non vado fiera di quel che faccio e ciò che è successo stanotte mi ha sbattuto la verità in faccia. Ci sono altri modi per sostenere una persona, lo so, ma al tempo mi sembrava l'unica via tra tutte le porte che mi hanno sbattuto in faccia. » prese un paio di secondi di pausa per riprendere il controllo del tono di voce, diventato troppo alto per quel che si era promessa di mantenere. « Forse con la rampolla di una ricca famiglia demoniaca non avresti avuto brutte sorprese » aggiunse, facendo spallucce, mentre un sorriso triste e appena accennato si disegnò sulle sue labbra. « E seppure io desideri più di ogni altra cosa averti con me, questa decisione non è da prendere alla leggera. Sono un sicario, in fondo. Chi mai amerebbe un sicario? » Era riuscita a non far fuoriuscire una singola lacrima, anche se si sentiva fragile come un cristallo. Avrebbe capito ogni sua decisione, nonostante il vederlo volare via fosse una visione terribile da sopportare. Ma sarebbe stato comprensibile. Non sarebbe mai stato al sicuro con lei, e nessuno si sarebbe fatto toccare da delle mani sporche di sangue.

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    Da che avesse ricordi, Izar non aveva mai sentito di un mutaforma che gioisse delle sue condizioni, o che fosse nato con la fortuna dalla sua parte. In quanto frutto di esperimenti mal riusciti, quelli come lui e Altayr lottavano fin dalla più tenera età per ritagliarsi un posto nel mondo, e per l'Aquila non era stato diverso. Ascoltandola raccontare tutto da principio, il ragazzo capì molte cose. Il carattere battagliero, l'orgoglio smisurato, la voglia di indipendenza e l'obbligo che sentiva verso la madre, tornava tutto. In fondo la capiva, anche lui si faceva in quattro per aiutare il tutore, all'epoca in cui viveva a Ta Nulli. Dio, sembrava passata un'eternità. - Però arrivare ad uccidere per denaro... -. No, quella soluzione non l'approvava, per quanto redditizia, ma chi era lui per dirle cosa fosse giusto o cosa no? Il suo fidanzato? Già, bella soddisfazione. Sentì la forza di volontà vacillare quando il tono di Altayr s'incrinò, raccontando di che cosa fosse diventata per il bene dell'unico genitore ancora in vita. Davanti a lui si dimostrava sempre forte, inaffondabile, e ora mostrava man mano la parte debole di sé che era stata costretta a sopprimere. Non aveva scelto chi uccidere quella notte, eppure si era resa disponibile a fare qualsiasi cosa le venisse ordinata, e non vi era una grande differenza. « Forse con la rampolla di una ricca famiglia demoniaca non avresti avuto brutte sorprese » azzardò, mentre impediva alle lacrime di sfuggire agli occhi. Izar si lasciò scappare un sorrisetto ironico, una reazione minima per impedire alle costole di tormentarlo. « Già, una donna furba aspetterebbe di sposarmi prima di infilarmi un coltello nella schiena ». Lo disse a bassa voce, la poca che gli era rimasta, e usò il muro come appoggio per prevenire qualunque svenimento da donnicciola. Non gli arrivava abbastanza ossigeno al cervello, evidentemente, e il sarcasmo aggravava le cose. Altayr non scherzava affatto, invece. Credeva in ogni singola parola appena detta, ripetendo ciò che lui stesso aveva affermato la notte prima. « Sono un sicario, in fondo. Chi mai amerebbe un sicario? ». Il Corvo radunò le poche energie rimaste per avvicinarsi di qualche passo, anche se l'assenza di un sostegno lo faceva sentire instabile. Non riusciva a vederla bene, eppure erano i suoi veri occhi a guardarla, non quelli dell'animale che si portava appresso, e tanto bastava. Era bellissima, non gli servivano certo un paio di occhiali per dirlo.
    « Io non posso farlo » le rispose, il respiro tagliato dalle fitte ai polmoni, « ma posso amare te ». Cercò d'istinto la sua mano, la stessa che aveva tenuto camminando in mezzo alla neve, quando si era reso conto di non poter stare senza di lei, e vi trovò una catenella intrecciata tra le dita. Era un dettaglio troppo piccolo perchè potesse distinguerlo, così fece scorrere un'estremità fino ad incontrare il pendaglio a forma di piuma.
    « Devi lasciare quel... quel lavoro. Cercheremo dell'altro, basta che tu sia al sicuro. Non puoi chiedermi di stare buono ad aspettare il tuo ritorno ogni giorno, adesso che so la verità ». Non si trattava di roba leggera, avrebbe fatto le notti in bianco sapendola coinvolta in qualcosa di pericoloso.
    Per la prima volta la pelle di entrambi era fredda, il tocco estraneo. Izar cercava una soluzione a tutto quel casino senza impazzire, e non era facile. Perchè una persona normale, un Demone normale, avrebbe condannato a morte un sicario sulle sue tracce, e il ragazzo riusciva solo a pensare quanto fosse rasserenante vedere Altayr ancora intera. Passò dalle dita al polso, sfiorando gli sfregi lasciati dalle corde, per poi far scorrere il pollice sulla pelle liscia della guancia. Aveva rischiato di perderla per sempre, le aveva rivolto parole orribili senza sapere nulla sul suo conto, ed ora sembrava quasi che fosse lui a chiedere perdono. « Avresti dovuto dirmelo prima » disse, quasi a volerla rimproverare. Poi un mezzo sorriso fece crollare il palco. « Mi sarei innamorato di te comunque ». Sì, era abbastanza masochista da prendere il rischio. Altayr non gli aveva lasciato scampo dal primo momento in cui si era presa gioco di lui. La smorfia, anche se appena accennata, riuscì a riaprire il taglio sul labbro, e tra un'imprecezione e l'altra il Corvo si vide costretto ad usare l'orlo della maglietta per asciugare il sangue. Poco importava, tutto il suo armadio era da buttare. Ebbe la compiacenza di voltare le spalle alla ragazza per nascondere gli ematomi sul petto e la pancia, uno spettacolo raccapricciante di cui nessuno dei due aveva bisogno, al momento. « Mio padre non vedeva l'ora di pestarmi, gli serviva giusto una scusa » spiegò, una volta rimessa la t-shirt al suo posto. « Tu non c'entri. L'avrebbe fatto comunque, prima o poi ». Adocchiò il letto addossato al muro con interesse, visto lo stato in cui era ridotto, e ci si sedette di riflesso. La stanza era talmente spoglia da fare invidia alla sua, segno che non vi passavano la notte in tanti. Altayr si trovava a Sunda per la cosiddetta "missione", e aveva unito l'utile al dilettevole incontrando anche lui. Chissà a cosa pensava mentre ballavano sul terrazzo, durante la loro stupida sfida a chi pestasse meno i piedi all'altro. « Cos'hai intenzione di fare adesso? » chiese, concentrato il gusto tremendo del sangue che gli riempiva la bocca. Era una domanda in apparenza semplice, ma che celava un sacco di trappole. « Non posso darti ordini, è la tua vita, ma se volessi continuare a fare quello che fai, sarei costretto a... ». Lasciò la frase in sospeso, bloccato da un colpo di tosse che assomigliava più ad una spada incandescente al centro delle costole. Si chiese cosa l'aveva frenato dal rispondere ai colpi di Izarhaya. Forse lo stato di shock. « Lascia perdere. Non dobbiamo parlarne per forza adesso ». Le sue priorità, al momento, erano ben altre, e la vicinanza della mutaforma continuava a portarlo fuori strada.

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    Dopo aver finito di parlare, Altayr prese un paio di respiri profondi e si passò il braccio sugli occhi, facendo scomparire le lacrime che stavano per rigarle le guance. Non si era mai fatta vedere piangere di fronte a qualcuno, e quella non sarebbe stata la prima volta. Si era fatta conoscere per la ragazza forte e spavalda che era, non era il momento per far crollare tutto, anche se sentiva che le sarebbero bastate un paio di braccia a stringerla forte per far sì che cominciasse a piangere. Aveva sempre incanalato le sue emozioni negative in pugni diretti alla faccia di qualche malcapitato, ma non poteva permetterselo in quel momento.
    "Non davanti ad Izar" continuava a ripetersi, lo sguardo fisso sulla figura del Corvo. Mano a mano che si avvinava a lei, il vuoto all'altezza dello stomaco si espandeva, facendole trattenere il fiato. Gli occhi smeraldini di lei vagavano sul volto imperscrutabile del ragazzo, soffermandosi sulla ferita allo zigomo. Non aveva conferme, eppure sapeva che era ridotto in quello stato per colpa sua, e ciò non poté che farla sentire peggio.
    « Io non posso farlo » Altayr trattenne il fiato, non riuscendo a nascondere lo sconforto. Fu come se il mondo le cadesse sulle spalle, e lei riusciva a tenersi in piedi a fatica. Ed ora? Non riusciva a connettere un solo pensiero logico, dimenticandosi anche di respirare. Aveva perso tutto, tutto, e non le rimaneva più nulla. Sentì le ali premere per uscire, aveva solamente una gran voglia di andarsene da lì e urlare a squarciagola. Davvero aveva sperato lontanamente che Izar potesse accettarla? Che sciocca. « ma posso amare te » ciò che aggiunse dopo le provocò un brivido lungo la schiena, prendendola alla sprovvista. Cosa aveva detto? No, doveva aver sentito male. Le dita di Izar toccarono le sue, intrecciandosi con la collana che aveva tenuto stretta in pugno fino a quel momento. Quel contatto la riportò con i piedi per terra, forse l'aveva detto davvero, non se l'era immaginato. Era tutta una gran confusione, e la testa le stava per scoppiare. Non amare un sicario, ma amare lei, una ragazza apparentemente normale. Eppure, stentava a crederci. Izar stava facendo uno sforzo immane, sapeva che digerire una scoperta del genere non fosse facile.
    « Devi lasciare quel... quel lavoro » sembrava affranto, in qualche modo, e le parole gli uscivano a fatica. Vederlo in quello stato le provocò una stretta allo stomaco, così forte che le parole le morirono in gola per l'ennesima volta. Non riusciva ad immaginarsi in alcun ruolo se non nelle vesti di cacciatrice, purtroppo sembrava nata per stare sul campo di battaglia, in un modo o nell'altro. La prospettiva di lasciare le poche certezze che aveva si fece palpabile, e l'idea di un futuro incerto le si parò davanti agli occhi senza che lei potesse impedirlo. I cacciatori con cui era entrata in confidenza in quei pochi anni erano diventati la sua famiglia, l'avevano accolta quando sembrava non esserci speranza per una come lei. Tuttavia, le bastava guardarsi allo specchio per capire che c'era qualcosa che non andava in tutto ciò: gli occhi cerchiati a causa delle notti insonni, il poco appetito, dava l'idea di essere un fantasma, e tutti quegli incubi che continuavano a farle visita non miglioravano la situazione. Stava impazzendo, c'era poco da dire. Un cambio d'aria le avrebbe fatto senz'altro bene, ma sarebbe riuscita a trovare dell'altro? Quello poteva essere un nuovo inizio. Non lo faceva solamente per Izar o per sua madre, lo faceva anche per sé stessa, una rinascita. Ma era pronta ad abbandonare uno dei suoi pochi punti fermi? Doveva, anche perché per qualche mese non avrebbe potuto far ritorno alla gilda a causa dell'abbandono della missione.
    Percepì il tocco del ragazzo risalire verso la guancia sana, e l'incrocio di sguardi fu inevitabile. Le lacrime che era riuscita a nascondere fino a quel momento risalirono fino a bagnare le iridi, e impedire che uscissero si rivelò un'impresa titanica. Con gli occhi puntati in quelli del Corvo, Altayr riusciva solamente a gioire della presenza di lui nella sua stessa stanza. Era tutto un'intruglio di emozioni positive e non, tale da non sapere cosa provasse precisamente, ma su tutte prevalevano il sollievo e un persistente senso di paura e tristezza. Malgrado ciò, Izar era lì, non se n'era andato. Non si era avvicinato tanto a lei da quando si erano salutati la notte della festa, e non poté che rallegrarsene in minima parte. Diamine, avrebbe dato la sua vita per lui, e questa considerazione la spiazzò. Quel ragazzo era la sua stella polare, altro che dodicesima stella più brillante del firmamento.
    « Avresti dovuto dirmelo prima. Mi sarei innamorato di te comunque » l'Aquila ricambiò il mezzo sorriso del ragazzo, sfiorando con le dita il dorso della sua mano. Sembrava passata un'eternità da quando le aveva concesso una carezza. Chissà se si stava rendendo conto dello sforzo che stava facendo, e cosa stava accettando. A primo impatto, chi mai avrebbe detto che un tipo come lui potesse celar una forza d'animo tanto grande? Era fortunata, sul serio, non avrebbe mai smesso di ripeterselo ogni volta che lo avrebbe guardato negli occhi.
    Notò un rivolo di sangue fuoriuscire dal taglio sul labbro, e Izar, prontamente, si voltò per ripulirlo. Guardò come le spalle seguissero il ritmo irregolare del respiro, e le pianse il cuore. Il ragazzo tentò subito di rassicurarla, ma probabilmente le aveva dato le spalle proprio per non farle vedere i lividi che i colpi del padre avevano lasciato, non c'era altra spiegazione. Il solo immaginare la scena la fece rabbrividire. Imprecò a denti stretti al ricordare gli occhi maligni del padre di Izar, e strinse le mani a pugno, desiderosa come non mai di incontrarlo ancora e rifilargli un destro dritto in faccia. Il mutaforma andò a sedersi sul letto, e gli pose una domanda a cui perfino lei cercava una risposta.
    « Non ne ho idea » fece spallucce, rimanendo in piedi di fronte a lui. « Sono stata sollevata da ogni incarico fino a data da destinarsi, quindi dovrò andare alla ricerca di altro » spiegò in un sospiro, interrompendosi quando Izar prese parola. Non finì la frase a causa dell'improvviso colpo di tosse, e Altayr serrò le labbra a vederlo in quello stato e non poter fare assolutamente niente. L'impotenza era una di quelle sensazioni che più odiava al mondo, e la cosa peggiore era che avrebbe spostato le montagne per farlo stare meglio.
    « Penso invece che questo sia il momento adatto » disse, prendendo posto di fianco a lui e guardandolo dritto negli occhi. Le venne l'idea di abbassare lo sguardo, consapevole che avesse un aspetto terribile, ma si rifiutò di farlo. Doveva continuare ad affrontare la questione in modo convinto e a cuore aperto. In un momento di silenzio, portò la mano libera verso il viso di Izar, e attese pochi secondi prima di posare il pollice sul livido che aveva sotto l'occhio, le altre dita a sostegno della mascella. Era ovvio che fosse colpa sua, inutile tentare di non farla sentire in colpa. Fece poi scorrere il pollice sulle labbra, attenta a non riaprire il taglio. « Io non c'entro, eh? » un sorrisetto puramente ironico si fece strada sulle labbra della ragazza. « Tuo padre ti ha messo le mani addosso perché ha scoperto che mi hai aiutato, giusto? » Altayr trovò conferma nello sguardo del Corvo, e le sue certezze fecero crescere rabbia e frustrazione. La mano ancora ferma sulla sua guancia passò a stringere una di quelle del ragazzo, senza però lasciare scampo agli occhi di lui. « Non puoi ancora andartene? » mormorò, nonostante sapesse già la risposta. No che non poteva tornare nel continente ibrido. A dire il vero, non sapeva nemmeno e sarebbe potuto tornare, prima o poi.
    All'improvviso, le tornò alla mente come la scorsa notte il ragazzo avesse evitato accuratamente ogni contatto fisico e si fosse scostato infastidito al suo tentativo di toccarlo, perciò lasciò andare lentamente la presa, appoggiando la mano sul copriletto scuro. « Puoi rimanere ancora un po'? » voleva essere un invito, ma forse suonava più come una richiesta puramente egoista. « Non mi va a genio l'idea che tu debba tornare » si morse il labbro mentre cercava di spiegarsi al meglio, ma lei stessa aveva le idee confuse. Magari lui in primis desiderava andarsene da casa di Sadir, ma aveva affermato di voler restare al suo fianco - non letteralmente - « Se vuoi, ovviamente, l'ultima cosa che voglio è tarparti le ali » aggiunse, giocherellando con a collana che aveva ancora in mano. Mal sopportava l'idea che Izar, a Sunda, avesse solamente un luogo dove tornare.

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    Edited by altäir - 1/6/2016, 00:48
     
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    Altayr Clarity Windstorm

    Anche se il ragazzo avesse voluto dimenticare Altayr, il suo corpo non si sarebbe scordato facilmente delle sensazioni che provava stando a stretto contatto con lei. Quando posò una mano sul suo viso martoriato, Izar trattenne il respiro per la sorpresa, e ringraziò che il Corvo fosse troppo stanco per reagire al tocco delicato com'era solito fare. Gli occhi non mutarono, era in pieno controllo delle sue facoltà, ma pur sempre schiavo dei sentimenti che provava. Si accostò al palmo tiepido e ricambiò lo sguardo serioso per farle capire che stava ascoltando. Ora sembrava più calma, come se rivelargli il suo passato l'avesse alleggerita. « Io non c'entro, eh? » disse, un pollice a scorrere piano sul labbro inferiore di lui. Completamente rapito da quel gesto, Izar dimenticò ogni forma di dolore provata, riportando alla mente il loro primo bacio. Voleva che fossero felici entrambi, tanto quanto lo erano stati su quella terrazza, con il resto del mondo messo da parte. Non seppe cosa rispondere, nemmeno quando indovinò il motivo dei lividi che si portava appresso. L'ultima cosa che voleva era farla sentire in colpa, eppure l'espressione di puro sgomento parve tradirlo. « Preferisco che sia successo a me, piuttosto che a te ». Non era certo che con Altayr suo padre ci sarebbe andato così leggero, poi. Aveva una malsana passione per le torture e tutto ciò che ne conseguiva, Samael lo diceva spesso. Mosse appena le dita nel momento in cui la ragazza vi posò la mano, come colpito da una breve scossa elettrica, e guardò in basso per pochi secondi prima di riportare l'attenzione su di lei.
    « Non puoi ancora andartene? ».
    « Finché non avremo ripreso il controllo dei territori che ci hanno sottratto sono obbligato a restare » replicò, sospirando per lo sconforto. « Potrebbe volerci un anno come alcuni mesi, dipende da quanto sarò bravo a... negoziare ».
    Un termine riduttivo per descrivere i duelli a cui Izarhaya lo sottoponeva. Pochi Demoni accettavano di scendere a patti in modo pacifico, gli altri usavano i metodi tradizionali del "se lo vuoi, vieni a prenderlo". Finora ne era uscito vittorioso, ma sentiva che il suo corpo da mutaforma andava debilitandosi di giorno in giorno, sopraffatto dal Corvo che provava ad emergere. L'assenza di calore gli fece capire che Altayr si era sottratta al loro flebile contatto, ed ebbe la compiacenza di non commentare. « Puoi rimanere ancora un po'? Non mi va a genio l'idea che tu debba tornare ». Una richiesta innocente che lo riempì di contentezza, sebbene non riuscisse ad esternarlo come voleva. Avrebbe passato volentieri l'eternità con lei, figurarsi qualche minuto in più. « Se vuoi, ovviamente, l'ultima cosa che voglio è tarparti le ali ».
    « Non sia mai » disse, un vago tono sarcastico. « Ho smesso di essere libero da quando ho messo piede in quella dannata casa, figurati ». Cercò fra le sue dita le estremità della collana e la fece lentamente scivolare dalla presa, fino a sentire il gancetto tra pollice e indice. Non era quello il posto dove doveva stare, anche se capiva la riluttanza ad indossarla. Izar strinse gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco il collo sottile della ragazza, riallacciando la collana con non poca difficoltà. Indugiò sul pendente prima di lasciarla, soddisfatto dell'operato. Era una sorta di marchio, indicava che l'Aquila gli apparteneva tanto quanto lui era suo. Durante il rito del matrimonio i Demoni si scambiavano una goccia di sangue, gli Angeli una piuma. Loro non erano né una né l'altra cosa, ma l'idea di ferirsi per giurare fedeltà eterna gli dava il voltastomaco, specie dopo gli eventi trascorsi. Quell'unica piuma nera simboleggiava tutto l'amore che provava, seppur in via non ufficiale. « Tienila, per favore » sussurrò a mo' di supplica, mentre il braccio sinistro le attorniava il busto per trarla a sé. Non riusciva più a sopportare la freddezza imposta dagli spiacevoli eventi della notte prima. Voleva rassicurarla, farle capire che accettava il suo passato ed il suo presente allo stesso modo. Gli attimi di silenzio che passarono a guardarsi negli occhi furono sufficienti a ristabilire l'intesa che tanto faticosamente avevano creato, incoraggiando Izar ad annullare i pochi centimetri che li dividevano per raggiungere le sue labbra. Vi posò un bacio delicato, il taglio che minacciava di riaprirsi da un momento all'altro, e la spinse lentamente contro il materasso, attento ad ogni segnale di protesta. Non aveva cattive intenzioni, ma aveva letto la stanchezza sul suo viso, la stessa che provava lui. « Resto solo se mi prometti di dormire un po' » disse, spostandole i capelli dalla fronte. Le serviva qualche ora di sonno per poter tornare in forma ed affrontare tutto quello che la vita le serbava. Come avrebbero reagito i suoi "superiori", sapendo della missione andata a monte? Altayr diceva di voler cercare un altro lavoro, eppure la situazione non era tanto semplice. Si chiese come aiutarla ad uscirne incolume, agendo all'insaputa degli Al'Nair. Dopo l'episodio disastroso, dubitava che Izarhaya gli permettesse di uscire dalle mura domestiche per cose che non riguardassero gli affari di famiglia: contratti da firmare, armi da comprare... D'un tratto gli venne un'idea, e buona, anche.
    « Conosco qualcuno che potrebbe darti un lavoro.
    La compagna di Samael ha un negozio di armi qui a Sunda, fuori dal centro. Presto le servirà una mano, visto che... beh, è incinta ».
    Strano a dirsi, ma il malefico tutore aveva trovato la sua dolce metà. Izar soppesava sempre con cura le rivelazioni del Demone, visto il numero di donne che passavano da casa loro ogni giorno. Deneith, al contrario di tutte le altre, era riuscita a renderlo docile come un cagnolino, e Samael la adorava. Aveva preferito nascondere la relazione per un primo periodo, poi il ragazzo si era accorto che facevano visita al negozio della donna un po' troppo spesso. Era felice per entrambi, soprattutto per il padre adottivo, e l'idea di diventare zio non gli dispiaceva affatto. « È solo una proposta, pensaci su. Appena mi lasceranno andare farò la mia parte per aiutare te e tua madre ». A questo punto era davvero curioso di conoscere la donna che aveva cresciuto Altayr, e che meritava il migliore dei trattamenti. Beh, erano fidanzati da pochi giorni e già pensava a cose come suoceri, lavoro, vita di coppia eccetera. Un premio per la fervida immaginazione. La comodità del minuscolo letto lo attirò come una calamita, e calcolò di avere ancora qualche ora prima della riunione del giorno. Sì, poteva concedersi una pausa. Scalciò via le scarpe da ginnastica, una reminiscenza della vita a Ta Nulli, e sgusciò nello spazio libero tra Altayr ed il muro. Le costole parvero sfregare una contro l'altra, ma durò poco, giusto il tempo di sdraiarsi a pancia in su. Usò la scusa di ottimizzare lo spazio per stringere la ragazza contro di lui, lasciando che il suo braccio le facesse da cuscino. Si stava dannatamente bene vicino a lei, più di quanto avesse immaginato. Il suo respiro era tranquillo, gli occhi arrossati e cerchiati dalla stanchezza cercavano quelli del Corvo mentre arrotolava una ciocca dei lunghi capelli al dito.
    « Mi dispiace averti detto quelle cose. Se avessi saputo tutta la storia avrei reagito in modo diverso, ma... è stato un vero shock ». Sghignazzò al ricordo dei racconti da teppista che circolavano su di lei a scuola, ben poca cosa in confronto all'essere un sicario. « Che sei pericolosa l'ho sempre saputo, però. Un'altra cosa che mi piace di te ». Avrebbe potuto fare una lista chilometrica sui motivi che l'avevano spinto a dichiararsi, eppure uno sbadiglio gli suggerì di accantonare la questione. Era stanco morto, e con l'adrenalina che se n'era andata in un colpo si sentiva peggio di una gelatina. Diede un'ultima occhiata alla finestra, ascoltando l'eco della televisione al piano di sotto. Sembrava tutto tranquillo, per ora.
    « Dormi, Altayr. Prometto di tenere le mani a posto ». Sperò di strapparle un sorriso, anche se non era del tutto certo di poter mantenere la promessa.

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    Altayr sapeva di non potersi aspettare una risposta positiva, era cosciente che non le avrebbe detto "torno a casa tra un paio di settimane". L'ovvietà della cosa fece più male delle ferite della scorsa notte, facendole stringere le dita a pugno. Lo sapeva, riconquistare il potere nella società demoniaca non era affatto facile, in particolar modo se le responsabilità gravavano sulle spalle di un solo, giovane individuo. Non era una cosa da poco, ne aveva preso atto quando Izar gliene aveva parlato mesi prima, durante la gita in montagna. Eppure, la prospettiva di non poterlo rivedere per altri chissà quanti mesi la fece rabbrividire, e si accorse di quanto fosse impotente. Cosa poteva fare di concreto, se non aspettare? Avrebbe voluto aiutarlo come lui stava facendo con lei, ma immischiarsi in una lotta tra casati non era una scelta molto saggia, poteva rendersene conto da sola. Non poteva fare altro che fargli da supporto, seppur non si sarebbero visti per chissà quanto tempo. Tra il Corvo che non poteva lasciare il Luhd Tasuh e la ragazza che aveva perso ogni fondo monetario, sicuramente avrebbe dovuto aspettare. Il problema è che sentiva che non ci sarebbe riuscita, non dopo tutto quello che era successo nel giro di pochi giorni, ma la loro era una costrizione. Se il destino esisteva, aveva riservato ai due giovani una sentenza crudele. Prima che potesse dire qualcosa, le dita di Izar si incastrarono tra le sue nel tentativo di liberare la collana dalla sua presa e lei glielo lasciò fare. Averlo vicino gli faceva sempre infiammare le guance, ma quando la toccava era come la prima volta che si erano presi per mano. Da quando Izar aveva scoperto la sua doppia vita poi, non poteva che considerare importante ogni contatto tra loro, la collera di lui della notte precedente che pian piano veniva sostituita dal calore di quei piccoli gesti. Quando lo sentì armeggiare con il gancetto dietro il suo collo, lo stomaco prese ad aggrovigliarsi su sé stesso: questo voleva davvero dire che la accettava, nonostante tutto ciò che aveva fatto? « Tienila, per favore » Non poteva desiderare di meglio, e si sentiva così felice, e fortunata. Altayr gli sorrise, mentre il Corvo la stringeva a lui. « Non sarei riuscita a separarmene nemmeno se mi avessi lasciata » affermò convinta, specchiandosi nello sguardo intenso del compagno. Non poté fare a meno di meravigliarsi dello splendido verde che la catturava ogni volta, cosa a cui avrebbe voluto abituarsi e che invece non faceva altro che farle aumentare il battito cardiaco. Il viso di Izar era tremendamente vicino al suo, ma l'Aquila chiuse gli occhi solamente quando sentì le labbra del ragazzo sulle sue. Cielo, da quanto bramava un suo bacio? Era davvero un caso senza speranza. Si fece guidare da lui contro il materasso, e appena lui si staccò, la stanchezza la colpì improvvisamente, e lo stare distesa non aiutava affatto. « Resto solo se mi prometti di dormire un po' » Altayr si sollevò appoggiandosi sui gomiti, alzando poi un sopracciglio in sua direzione. « Oh, e andiamo, non sono così stanca » fece, sbattendo le palpebre un paio di volte per recuperare la lucidità. « Resteresti con me a prescindere » lo disse con un tono fin troppo provocatorio, ma questo era il segnale che ormai la tensione tra loro poteva definirsi scomparsa. Stava tornando l'Aquila di sempre, seppur con qualche occhiaia di troppo.
    Notò Izar perdersi tra i suoi pensieri, lo sguardo vagamente assente, quando se ne uscì con un'affermazione che la lasciò di stucco. « Conosco qualcuno che potrebbe darti un lavoro » la ragazza strabuzzò gli occhi, incredibile. Fece per chiedere di cosa si trattasse, ma il Corvo continuò senza che lei dovesse porre alcuna domanda. La prima cosa su cui la sua attenzione si focalizzò fu la parola "armeria", per poi tornare indietro a "la compagna di Samael". Da quando il Demone faceva coppia fissa con qualcuno? Da quel che sapeva, lui adorava alla follia le scappatelle senza impegno. Quando poi annunciò che la donna in questione fosse incinta, le braccia quasi le cedettero. Rimase imbambolata per qualche istante, poi un grande sorriso apparve sul suo volto. « Non mi dire... congratulazioni! » L'ultima volta che si erano visti, beh, non era andata alla grande. Molto probabilmente Samael avrebbe faticato ad accettarla come fidanzata del suo adorato figliastro, ma come dargli torto? Eppure era sinceramente felice per lui, chi l'avrebbe detto. « Ce lo vedo con un pargoletto in braccio. Ha già fatto pratica con te in fin dei conti, partirà avvantaggiato. Vedi di dare il buon esempio, fratellone » il sorriso non scomparì, anzi, si allargò ancora di più quando vide Izar intenzionato a sistemarsi accanto a lei. « E' una proposta invitante, però » continuò, mentre si accoccolava contro di lui attenta a non fargli male. Lavorare in un'armeria sarebbe stato il massimo per un'appassionata di armi e combattimento come lei, e vivere a Sunda significava incontrare Izar con più frequenza. D'altra parte, odiava quella città con tutta sé stessa, lì i mutaforma erano visti come feccia della società e la lontananza dalla madre che voleva proteggere e sostenere non era una cosa facile. Ma se avesse accettato avrebbe goduto di un sostegno economico non indifferente, entrambe avrebbero potuto guadagnarci nonostante la distanza. Nel fratemmpo avrebbe cercato qualcos'altro.
    « Mi dispiace averti detto quelle cose » la voce del Corvo placò i suoi dubbi, ma non era lui quello a doversi scusare. Tra i due, non era lui l'assassino. « Scherzi? Me le sarei dette da sola » ammise a voce bassa. Cosa avrebbe dato per liberarsi degli incubi e del sangue che aveva versato. Eppure, anche quella era stata una tappa della sua crescita, seppur cupa e sanguinaria. Lo aveva fatto per sua madre, e nonostante avrebbe preferito intraprendere un altro percorso, per lei ne era valsa la pena. Che poi il suo passato l'avrebbe perseguitata per lungo tempo da lì in avanti, quella era un'altra storia. Se Izar era al suo fianco era certa di poter sopportare ogni cosa. « Che sei pericolosa l'ho sempre saputo, però » Su questo non ci pioveva, alla Ayle aveva affrontato più risse che esami, e su di lei circolavano storie sulla sua carriera da teppista senza cuore. « Un'altra cosa che mi piace di te » quella confessione la colse in contropiede, e sentì le guance scaldarsi tutto d'un tratto. Izar rimaneva il solito giocatore sleale fino al midollo, e solo lo sbadiglio che seguì impedì ad un sorrisetto compiaciuto di fare la sua comparsa. Lesse nelle iridi chiare del ragazzo la sua stessa stanchezza e il bisogno di riposare. Da quante notti non dormiva? Forse doveva smetterla di fare l'egoista e fargli chiudere gli occhi per un po', invece di tenerlo alzato. « Dormi, Altayr. Prometto di tenere le mani a posto » l'Aquila sorrise spontaneamente, e presto quella curva si trasformò in un ghigno. « Mollo pugni anche nel sonno per tua sfortuna, io non rischierei » fece, avvicinandosi pericolosamente al suo volto e una mano a raggiungere i capelli, neanche fosse un predatore alle prese con la sua preda. « Me l'hai chiesto tu, ricordi? » sussurrò ad un soffio dalle sue labbra, poggiandovi le proprie senza indugi. Non si trattava di un bacio delicato come il precedente, ma non volle rischiare che il taglio sul labbro del ragazzo potesse aprirsi di nuovo: per questo, negli istanti iniziali si lasciò travolgere, per poi rallentare immediatamente. Interruppe il contatto dopo un tempo che le sembrò infinito, con la sensazione che avrebbe potuto toccare il cielo con un dito. Nei suoi incubi aveva sempre temuto che sarebbe rimasta sola, e invece... ancora stentava a crederci, meno male che il contatto fisico riusciva a convincerla che non se lo stesse immaginando. Stargli vicino e sostenerlo era tutto ciò che desiderava, esattamente come lui le aveva dimostrato in quel momento. Incastrò il viso nell'incavo della spalla, diventato ormai il suo angolino prediletto. « Grazie » mormorò, la voce impastata dal sonno e gli occhi che le si chiudevano contro la sua volontà. Doveva resistere, non poteva addormentarsi proprio mentre lui era lì, con lei. Non lo avrebbe rivisto per mesi dopotutto. « Dammi retta, la classifica delle stelle più luminose non vale più niente. La più brillante sei tu » Contro il suo volere, la mente le si appannò e le palpebre le si chiusero inesorabilmente, addormentandosi nonostante i suoi buoni propositi. Sarebbe stato un sonno senza incubi, data la sua vicinanza.

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    Parlare del futuro in quelle circostanze faceva quasi male. Izar accolse con un sorriso le congratulazioni della ragazza circa il suo diventare zio, ma in realtà era molto preoccupato per il nascituro. Samael non aveva nulla che assomigliasse all'istinto paterno, si poteva paragonare ad un leone con il suo cucciolo: la leonessa lo cresceva, lui lo degnava di qualche attenzione e lo proteggeva, niente più. Non che fosse stato un cattivo padre, per carità. « So già che mi chiameranno ogni giorno per fare il babysitter ». Ascoltò le parole di Altayr mentre ricucivano la loro storia, il modo scherzoso in cui si prendevano costantemente in giro, la sensazione dei loro corpi vicini in un dolce tepore. Non stava così bene da mesi. « Mollo pugni anche nel sonno per tua sfortuna, io non rischierei ». « La cosa non mi sorprende » replicò, un sorrisetto che ben presto si spense nel sentire le dita di Altayr tra i capelli. Un giorno o l'altro tutta quella sfacciataggine le avrebbe procurato dei guai, poco ma sicuro. Non era padrone delle sue reazioni da quando aveva messo piede nel territorio demoniaco, nemmeno ci fosse una droga nell'aria che gli imponeva di fare tutto quello che il cervello suggeriva. « Me l'hai chiesto tu, ricordi? ». No, improvvisamente si era dimenticato tutto, eccetto la presenza dell'Aquila a un centimetro da lui. Sulle prime non chiuse neanche gli occhi, preso in contropiede da un bacio diverso dal solito, più profondo e maturo. In quel senso stavano facendo passi da gigante. Fosse stato per lui sarebbero andati ben oltre, ma doveva imparare a reprimere la sua parte puramente maschile ed istintiva. Assaporò la sensazione paradisiaca tenendola stretta con il braccio che la circondava, il profilo snello della sua schiena a tentarlo. Stava giocando ad un gioco pericoloso, e lui era un maestro quando si trattava di barare. Rispose al gesto di lei con la stessa foga, usando la mano libera per scendere dal profilo accentuato delle costole fino al fianco sinistro, una curva troppo invitante per essere ignorata, ma poi il gusto ferruginoso del sangue gli ricordò del taglio sul labbro inferiore, che maledisse con tutto sé stesso quando Altayr si separò da lui. Sollevò piano le palpebre, scorgendo ogni minimo dettaglio sul viso accaldato della ragazza, segno che il Corvo si era appena svegliato dal suo sonnellino. « Per tua fortuna sono troppo stanco per continuare, ma la prossima volta non ti andrà così bene ». Suonava come una minaccia, specie con il tono di voce cavernoso e roco che gli uscì. La voglia di scoprire cosa si celasse sotto quei vestiti lo divorava, anche se un'idea poteva già farsela. Era uno splendore, non sarebbe rimasto deluso. - Gli dei sono stati clementi con me, altroché -. Altayr si accoccolò nell'incavo della sua spalla nel più tenero dei modi, chiaramente esausta e felice quanto lui, e Izar affondò il viso nei suoi capelli, posandovi un bacio. « Grazie » gli disse, un'unica parola che gli scaldò il cuore. Sapeva a cosa si riferiva, ma anche lui aveva molti motivi per cui esserle grato. La mutaforma era la sua ragione di vita, adesso.
    « Grazie a te ». « Dammi retta, la classifica delle stelle più luminose non vale più niente. La più brillante sei tu ».
    « Questa avrei voluto registrarla ». Nonostante la risatina, Izar ne afferrò il senso. Il loro primo dibattito al riguardo risaliva al giorno piovoso di Mekar Ledo, dov'erano due sconosciuti troppo orgogliosi per cedere terreno. - E guardaci adesso -. Il destino aveva davvero uno strano senso dell'umorismo. Guardò gli occhi di Altayr chiudersi lentamente, soddisfatto di essere riuscito a metterla a nanna senza troppe proteste. Doveva essere in forze per affrontare quello che la attendeva da lì in avanti, non voleva correre rischi. Giocherellò con la sua collana per diversi minuti, forse un'ora, poi un debole raggio di luce disegnò le ombre delle tende sul pavimento, segno che il tempo a loro disposizione era terminato. Sgusciò via dalla stretta pian piano, scendendo dal letto alla ricerca delle scarpe. Diamine, si stava così bene con lei, il casato poteva andare a farsi fottere. Peccato che fossero tutti in allerta per il piccolo incedente della notte prima, e la sua presenza fosse indispensabile per riportare ordine. Si voltò indietro una sola volta prima di aprire la finestra, contemplando la figura dormiente della sua compagna come fosse una bellissima opera d'arte, di quelle che lasciano senza fiato. Si sarebbero rivisti presto, o almeno, ci sperava. Si lanciò oltre il davanzale con un balzo e mutò forma a mezz'aria, nel singolare quanto comune corpo di corvo nero, una corrente a sospingerlo verso l'alto. Tornava nella sua prigione con rinnovata motivazione, conscio del fatto che prima il casato si sarebbe ripreso, prima avrebbe levato le tende e passato la vita insieme a lei, e solo l'idea gli dava l'energia necessaria per andare avanti.

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    - raise crows and they will peck out your eyes -

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