My Only One

Noel x Evelya - Nimit

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    Quando sentì le braccia di Evelya circondargli il busto, Noel non poté fare altro che sorridere nonostante le difficoltà. Si sentiva incredibilmente in colpa per la sua gioia maledettamente fuori luogo, ma averla lì, così vicina e tra le sue braccia, non poté far altro che rafforzare le sue convinzioni. Non sarebbero riusciti a torcergli un capello. Pensare alla sua futura partenza faceva quasi male, il loro futuro barcollava nell'incertezza. La ragazza sembrava essersi calmata, ora i suoi respiri erano regolari almeno. Vederla in quello stato era un colpo al cuore ogni volta, e ogni volta lui non riusciva ad impedirlo. Davvero era stata Dixon a terrorizzarla? Plausibile, ma sembrava nutrire una sincera curiosità e quasi ammirazione per la loro razza. Tuttavia, cos'altro avrebbe potuto spaventarla, quella sera? Aveva giurato a sé stesso di volerla proteggere, ma non sapere da cosa doverla difendere rendeva tutto più complicato. « Solo finché ci sei tu » la sentì mormorare, la guancia appoggiata al suo petto. Meno male che non lo stava guardando, perché stava esplodendo di felicità. Non era la prima volta che la aveva vicina, ma era diverso, in un certo senso. A vederla così, gli sembrò quasi di avere una possibilità, di poter confessarle ciò che provava e sentirsi rispondere con un sincero "anche io". "Torna coi piedi per terra, Demone da strapazzo" Già, perché era sempre lui quello precipitoso a voler sempre ottenere tutto subito. Per cose del genere ci voleva tempo, lo sapeva, ma secondo i suoi standard aveva aspettato già abbastanza. Ma per lei, sarebbe stato disposto ad aspettare. Andava bene, alla fine avrebbe raggiunto il suo scopo. « Grazie, per tutto quanto » il rosso sorrise, passandogli una mano tra i capelli, morbidissimi al tatto. « Ma ti pare » rispose con un sorriso, il volto di lei ancora nascosto tra le pieghe della maglietta. « Grazie a te per il regalo » il ricordo del bacio sulla guancia che gli aveva concesso si materializzò nella sua mente, facendolo sorridere per l'ennesima volta da quando la loro serata insieme era cominciata. Sentire il tono tranquillo e rilassato di Evelya gli riscaldò il cuore, e non ci preoccupò che potesse sentire i battiti accelerati attraverso il tessuto. Averla lì, tra le sue braccia, gli faceva capire cosa fosse disposto a fare per tenerla al sicuro. Julian gli ripeteva spesso che si affezionava alla gente troppo in fretta, che avrebbe dovuto essere più guardingo, ma era sicuro di aver perso la testa per la persona giusta. Aveva solo bisogno di tempo. Quanto odiava quella parola, un tipo frettoloso come lui la utilizzava solo per riferirsi al tempo atmosferico, non di certo quello temporale. D'altra parte, non poteva imporsi su ciò che provava la fanciulla. « Stai meglio? » chiese in un sussurro, le dita che ancora si intrecciavano con le ciocche bionde. Non sentendo alcuna risposta, Noel abbassò lo sguardo su di lei nel momento esatto in cui la ragazza si alzò sulle ginocchia, di fronte a lui, e non poté fare a meno di indirizzarle un'occhiata scettica e curiosa allo stesso tempo. Il viso della ragazza non arrivava all'altezza del suo, ma riuscì comunque a catturare, nel buio, lo scintillio delle iridi dorate. Riusciva a sentire la morbidezza della felpa che nascondeva il corpo minuto, le gambe sottili vicino alle sue e i capelli biondi in disordine, ma rimaneva sempre una meraviglia. "Per me non c'è più speranza" pensò divertito, quando la biondina aprì bocca cogliendolo alla sprovvista. Un buon profumo? Sul serio? E pensare che aveva preso la prima maglietta che aveva trovato. Anche lei aveva un buonissimo odore, anche se non avrebbe saputo dire di cosa odorasse. Sapeva solo che gli piaceva, e tanto anche, e avrebbe pagato oro per far sì che inebriasse ogni stanza del suo appartamento. « E' un complimento » Noel rise, stringendole la vita sottile. Non esisteva qualcosa di più bello e tenero al mondo.
    « Ti ringrazio, Angioletto » fece entusiasta, lasciandola andare appena diede segno di volersi rifugiare sotto le coperte. La pioggia batteva impietosa sul vetro, ed essendo primavera non c'era da stupirsene più di tanto. Tuttavia, la pioggia non gli piaceva affatto, e avrebbe solamente voluto tapparsi le orecchie per non sentirla, la voce della madre a fare breccia nei suoi pensieri. Preferiva il silenzio, a confronto. Il tocco fresco della pelle di Evelya lo distrasse, focalizzando la sua attenzione sulla sua figura, e le sorrise gentile. Era per merito suo che riusciva a sopportare quel fastidioso ticchettio alla finestra. « Non vuoi stenderti? » Il Demone annuì in risposta, gli occhi della ragazza che si chiudevano pian piano. Si addormentò in un batter d'occhio, nessuna traccia del panico che poco prima si era impossessato di lei. Per fortuna ora stava meglio, non avrebbe sopportato vederla in quelle condizioni per chissà quanto tempo. Le scostò la frangetta dalla fronte, accarezzando il dorso della mano di lei con il pollice. Oh, diamine, era così bella. Scostò le coperte sdraiandosi accanto a lei, i loro nasi quasi a sfiorarsi. Se Evelya avesse aperto gli occhi in quel momento le sarebbe venuto sicuramente un colpo. Per fortuna non lo fece, e Noel poté ammirarla un po' più da vicino, gli occhi ormai abituati al buio. Chissà quando avrebbe preso sonno, perso nell'ammirare i tratti delicati del viso della fanciulla. Non si sarebbe mai stancato di farlo.

    • • •

    Un raggio di sole molesto lo svegliò, facendogli arricciare il naso nel vano tentativo di tenere gli occhi chiusi ancora per un po', e con un grugnito affondò la testa nei capelli profumati di Evelya. Alla fine, si era addormentato a tarda notte con l'Angelo tra le braccia. L'aveva tenuta stretta a sé per tutta la notte, e quando si convinse a sollevare una palpebra gli sembrò quasi surreale che fosse ancora lì. La ragazza dormiva ancora, ma il suo sembrava un sonno prossimo a finire. Studiò il suo volto addormentato, mettendoci qualche secondo a ripercorrere il filo degli eventi, e aspettò che aprisse gli occhi senza staccarsi da lei. Sghignazzò tra sé a pensare come avrebbe reagito Evelya, le avrebbe fatto una bella sorpresa. Averla lì, con lui, tra le sue braccia, a casa sua, era davvero una bella sensazione, qualcosa che avrebbe voluto ripetere al più presto. Svegliarsi così lo metteva subito di buon umore "E' davvero il compleanno migliore di sempre". Appena le iridi dorate della fanciulla cominciarono ad aprirsi, abituandosi alla luce del sole, Noel fu incapace di trattenere un sorriso spontaneo. Le guance di lei si colorarono gradualmente di rosso, fino ad arrivare quasi alla sfumatura dei suoi capelli, e la cosa lo fece ridere di gusto. « Buongiorno, principessa » la salutò, posandole un veloce buffetto sulla guancia. E se la prima cosa che avesse visto appena sveglio fosse stato il viso di Evelya anche in futuro? "Così sto correndo troppo, però" decisamente, ma non poteva che sentirsi euforico. « Dormito bene? » le domandò sorridendo, soffocando uno sbadiglio. Che ore erano? Aveva lasciato il cellulare in salotto, e la sveglia l'aveva infilata nell'armadio insieme ai vestiti. Non fece caso al fatto che stesse ancora abbracciando Evelya, anzi, si strofinò gli occhi lucidi a causa dello sbadiglio. « Ti preparo la colazione, dammi solo un minuto » allentò inconsciamente la presa su di lei, mentre sprofondava di nuovo nel dormiveglia.

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    Nonostante sapesse che Noel si trovasse lì, accanto a lei, Evelya non sperò in un sonno senza sogni, o meglio, incubi. Il passato l'aveva assalita tutto in una volta, rievocando immagini di cui credeva di essersi liberata. Rivide l'ultimo valzer passato nella presa possessiva di Azarel, le dita come artigli a pungerle il fianchi, mentre sua madre li guardava da bordo pista insieme ad altre donne. Parveen era a dir poco raggiante, quella sera. Lui continuava a sorriderle, lei si ostinava a guardare il pavimento con la scusa di non volergli pestare i piedi, e soffriva immensamente. - Le sue mani erano sempre fredde - pensò, rabbrividendo come se lo avesse a pochi centimetri di distanza. Una volta erano rimasti soli nel grande giardino del castello, e il Duca si era azzardato ad accarezzarle una guancia con fare confidenziale. Si era strofinata il viso fino a farlo diventare rosso, una volta tornata nella sua stanza. Per fortuna dormiva accanto ad un Demone che sembrava irradiare naturalmente calore, quello che le serviva per sentirsi al sicuro. Era imbarazzante? Sì, oltre ogni dire, eppure la loro vicinanza prolungata aveva inibito la timidezza iniziale, rendendo Noel più simile ad un fratello e meno ad un estraneo. Se la pensava in quei termini, Evelya poteva sopportare di buon grado tutti i tabù infranti. D'improvviso una luce tagliente s'infiltrò tra le palpebre chiuse, strappandola al sonno, e cercò d'istinto la fonte del tepore che l'aveva accompagnata durante la notte. Ah, quel profumo... era una fortuna indossare ancora la felpa del ragazzo, le pareva di averlo vicinissimo. Aprì piano gli occhi, man mano che il cervello tornava in funzione e metteva insieme i pezzi. C'era Noel di fronte a lei, la punta del naso a sfiorare il suo, e quelle iridi meravigliose che alla fioca luce del giorno apparivano più limpide che mai. Per una manciata di secondi non riuscì ad elaborare nulla di sensato, passando dagli occhi del Demone al suo sorriso canzonatorio, i canini ben in vista finché attendeva che facesse uno più uno. La vergogna le tinse le gote di un porpora acceso in maniera graduale. Si allontanò appena, giusto il tempo di vedere le sue stesse mani aggrappate alla maglietta di lui e i loro corpi oltraggiosamente vicini. Ricordava di aver preso sonno in quel letto, e ricordava la promessa del rosso di rimanerle accanto, ma quello era... troppo, troppo per il suo cuore, che fece un balzo non appena l'altro le diede il buongiorno, accarezzandole la guancia. Poteva sentire la presa che le attorniava la schiena, una scia incandescente sotto il tessuto pesante della felpa, e ne era letteralmente stregata. Una magia le impediva di balzare giù dal materasso e scappare via, non c'era altra spiegazione. « Dormito bene? » le chiese, come fosse normalissimo che due persone non sposate condividessero lo stesso giaciglio e non fossero separate da metri e metri di distanza. Noel non era imbarazzato, solo felice, quasi tenero mentre si strofinava gli occhi dopo aver sbadigliato. Visto che non sembrava dell'idea di lasciare la presa, l'Angelo trovò come unico rifugio il suo petto, dove poteva affondare il viso e sottrarsi al suo sguardo divertito. Gli rispose che sì, aveva dormito benissimo, anche se dubitò che si fosse sentito qualcosa, oltre al martellare ritmico del cuore.
    « Ti preparo la colazione, dammi solo un minuto ».
    « V... va bene... » balbettò, azzardandosi a sbirciare il suo volto non appena sentì il petto alzarsi ed abbassarsi più lentamente. Il sole aveva svegliato entrambi, ma Noel aveva ancora sonno, a differenza sua. Il braccio che la tratteneva cadde sul materasso, lasciandole spazio per sgusciare via dal calore che l'aveva avvolta per tutta la notte. Evelya si concesse di sfiorare una ciocca di capelli ribelli prima di scendere dal letto, ben attenta a non fare rumore. Scostò la tenda in modo da riportare la camera in ombra e sgattaiolò in bagno con i vestiti della sera prima sottobraccio, osservando con aria disgustata la piega che avevano preso i ciuffi biondi e il segno lasciato dal cuscino sulla guancia. Era in uno stato pietoso, imperdonabile, e la doccia la chiamava a gran voce. - Ma sì, faccio in fretta -. Accolse il getto d'acqua tiepida con un sospiro soddisfatto, annusando lo shampoo prima di versarlo sui capelli. Non aveva lo stesso odore che aveva sentito sul ragazzo prima di addormentarsi, eppure quella nota fresca permaneva, così come per il bagnoschiuma. - So di ragazzo - fu il suo primo pensiero finché si stringeva nell'asciugamano. Beh, non poteva certo pretendere che il Demone avesse una qualsiasi cosa profumata all'acqua di rose, no? Una volta tornata a casa avrebbe provveduto. Rimborsò la canotta negli shorts e andò alla ricerca del cellulare, i capelli ancora umidi sciolti sulle spalle. Aveva paura di ricevere notizie da Shedir, ma doveva sapere. - Zachary mi ha fatto sapere che la sua nave arriverà in mattinata. Verrà subito da noi. Torna a casa prima delle undici -. Tutto lì, nessuna spiegazione che le risollevasse il morale. La spia di Azarel era ancora in circolazione e lei non voleva incontrarla per nessuna ragione al mondo. Poteva chiedere a Noel di accompagnarla, ma poi? Non poteva diventare la sua guardia del corpo a tempo indeterminato. Guardò l'ora sul display, le nove meno un quarto, e rimase a fissare lo schermo finché non si oscurò. Tornare a casa era fuori discussione, ovviamente. Magari doveva solo cercare un'altra città, una città dove non l'avrebbe trovata, e dove Noel non era con lei. Il pensiero le strinse il cuore e chiuse lo stomaco, ma non seppe dire perché. Dovevano essere i suoi sorrisi, o il modo in cui pronunciava il suo nome, o il suo tocco caldo su di lei, o quegli irresistibili occhi ametista che l'attiravano come una calamita. - E' perché mi piace - concluse infine, nemmeno avesse ammesso una colpa. Il tempo che passavano insieme non bastava, le volte in cui si prendevano per mano durava sempre troppo poco, le cose che sapeva sul conto del ragazzo erano quelle essenziali, ma voleva di più. Che genere di cose gli piacevano da mangiare, quale musica preferisse, come andavano le sue giornate all'ambulatorio, quali ragazze aveva frequentato in passato e quali gli piacessero ora. Tutto inutile. Evelya era legata al Duca, ad una vita diversa e lontana da Nimit, ed il passato non si poteva seppellire in uno schiocco di dita. Era destinata ad andarsene, a dimenticarlo. Quando lo vide comparire in salotto riuscì a rivolgergli solo un sorriso triste, pensando a quanto sarebbe stato bello rifugiarsi in uno dei suoi abbracci proprio ora. « Avrei voluto preparare la colazione, ma non so cosa ti piace... e non vorrei dar fuoco a qualcosa ». Un'opzione molto probabile, trattandosi di lei, anche se avrebbe preferito rendersi utile. Posò il cellulare e lo raggiunse, osservando l'aria addormentata che si portava appresso e la chioma ribelle che andava in tutte le direzioni. « Vuoi dormire un altro po'? » chiese, allungandosi di riflesso verso i suoi capelli per farli tornare al loro posto. Dovette alzarsi sulle punte dei piedi, come sempre. « Io devo andare, tra un'oretta. Oggi viene uno dei miei fratelli a trovarmi ». Una notizia magnifica alle sue orecchie, eppure non riusciva a gioirne veramente, con tutto ciò che comportava.

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    Il sonnellino che seguì fu breve, fin troppo, perché non si era neppure reso conto di essersi addormentato a dirla tutta. Quando aprì gli occhi, seppur controvoglia, non poté fare a meno di percepire il vuoto accanto a lui. Sbuffò lievemente, passandosi una mano sul viso nel vano tentativo di apparire fresco e riposato come una rosa. Di solito non gli servivano troppe ore di sonno, ma a quanto pareva aveva accumulato fin troppa stanchezza tra turni alla clinica, feste e studio. Andava continuamente a letto ad un´ora indecente, doveva darsi una regolata. "E pensare che le avevo chiesto di lasciarmi qualche minuto" sorrise tra sé e sé, puramente ironico, e si mise a sedere sul letto, una mano tra i capelli scompigliati a grattarsi la testa. Fece un veloce riassunto degli avvenimenti della sera prima - quel riposino lo aveva scombussolato alla grande, evidentemente - e abbassò lo sguardo a guardare lo spazio vuoto del letto, ´dove fino a pochi minuti prima riposava Evelya. Già Evelya. Dormire insieme era stato un gran passo avanti verso una futura convivenza, ce la poteva fare. Al volto splendido e sorridente di lei che aveva disegnato nella sua mente si sostituì però l´espressione di terrore che le aveva visto quella stessa notte, e serrò le labbra inconsciamente. Chissà se ora stava meglio, se il pensiero di avere qualcuno alle calcagna si era dissolto. Cercò il telefono sul comodino senya trovarlo - "Ah, giusto, in salotto" - e finalmente fece scendere le gambe dal letto, il piede sano a toccare il parquet freddo. Si accorse tardi delle tende tirate per non far filtrare la luce, e sulle labbra del giovane nacque spontaneo un sorriso. In un gesto ormai ripetitivo, la mano sinistra di Noel salì all´altezza della protesi, tastando il punto in cui il moncherino e la gamba di plastica entravano in contatto. Quel mattino gli bruciava immensamente. Chissà se nel sonno l'Angelo l'aveva inconsciamente sfiorata. L'importante era che non se ne fosse accorta, in ogni caso. I pantaloni della tuta che aveva indossato per dormire coprivano interamente le gambe, e si preoccupò di trovare dei calzini prima di fare il suo ingresso in salotto. Chissà se Evelya aveva già mangiato, lui la mattina non aveva mai troppa fame. La ragazza era seduta composta sul divano, e appena i loro occhi si incrociarono lei gli diresse un sorriso triste, e Noel non poté fare a meno di preoccuparsi. Aveva ancora in mente Dixon e la preoccupazione della sera precedente? Probabilmente sì, non gli sembrava il tipo da crucciarsi per averla fatta aspettare troppo. Anche se non era stato affatto carino da parte sua. « Scusa se ti ho fatto aspettare » esordì, avanzando lentamente verso il divano, le mani in tasca. La fanciulla si alzò appena lui si fece più vicino a dove stava seduta, scusandosi per non aver provveduto alla colazione. Noel sorrise di getto, facendo un gesto noncurante con la mano. « Ma figurati Angioletto, no worries » la rassicurò, soffocando uno sbadiglio. Quella sera sarebbe filato a letto appena finito il turno, poco ma sicuro. « Vuoi dormire un altro po'? » evidentemente anche la ragazza se n'era accorta, alzandosi sulla punta dei piedi per sistemargli i ciuffi ribelli. Noel scosse la testa energicamente, godendosi lo sfuggevole contatto tra loro e le dita sottili della biondina tra i capelli. In effetti non si era neppure guardato allo specchio, e non era sicuro di voler sapere che aspetto avesse. Evelya invece era un incanto, come al solito. Aveva addosso gli stessi vestiti della festa di primavera - logicamente - ma aveva lasciato i capelli umidi sciolti sulle spalle, la pelle che odorava di un profumo diverso dal solito. « Hai lo stesso profumo del mio bagnoschiuma » rise, incurante che fosse un odore tipicamente maschile. Sapeva che era il suo, e andava bene. Svegliarsi con i meravigliosi occhi di Evelya puntati nei suoi era... bello? Nah, troppo restrittivo. Sapeva solo che, al momento, non gli sarebbe dispiaciuto sperare in un futuro del genere. Ma forse, forse, doveva darci un taglio, stava correndo troppo. Doveva ancora assimilare il fatto di aver dormito con lei accanto quella notte, in fin dei conti. « Io devo andare, tra un´oretta » il rosso schiuse le labbra a quella notizia, come se si trattasse di un fulmine a ciel sereno. Beh, era ovvio che sarebbe dovuta tornare a casa propria prima o poi, nulla di nuovo. Però... così presto? « Oggi viene uno dei miei fratelli a trovarmi » « Grande! » esultò lui, ma sembrava più euforico Noel che la diretta interessata. Eppure gli aveva raccontato quanto ci tenesse ai suoi fratelli. Qualcosa non andava, era chiaro come la luce del sole ormai. « Niente musi lunghi di prima mattina » esclamò ad un tratto, posando l´indice sulla punta del naso di lei, richiamando così la sua attenzione. Appena i loro sguardi si incrociarono, il rosso sorrise, stringendole le guance tra il pollice e l'indice attento a non farle male. « Sei bella comunque eh, non fraintendermi, ma il tuo sorriso mi spiazza ogni volta » gli uscì tutto d'un fiato, ma diceva la verità. Purtroppo, essere schietto faceva parte del suo carattere. Le sue dita si richiusero sulle sue guance, gli occhi ametista che vagavano in quelli preoccupati di lei. Contro cosa stava combattendo? « Va tutto bene, Evie » le sussurrò, sperando che quella piccola rassicurazione potesse convincerla davvero. Avrebbe fatto qualunque cosa per non rivederla più in quello stato. Sospirò, sorridendole, per poi lasciarla libera. Le sistemò velocemente una ciocca dietro l'orecchio, cosa che ormai considerava abitudine, e si diresse a passo svelto verso la cucina. « Cosa vuoi per colazione? » domandò, aprendo le ante della dispensa alla ricerca di biscotti, pane e marmellata. Nel frigo era sicuro di avere il latte, forse qualche vasetto di yogurt. Il giorno prima non era andato a fare la spesa, se n'era completamente dimenticato. Di frutta però ne aveva a volontà, dato che lui a colazione mangiava solo quella. E una tazza di caffè, che di prima mattina era d'obbligo. Apparecchiò velocemente sul piccolo tavolo, sorridendo ad Evelya mentre entrava in cucina. « Chi viene a trovarti, dei tre? » le chiese, mentre metteva su il caffè. Non sarebbe stato male fare la conoscenza di uno dei suoi futuri cognati in fondo, ma aveva come l'impressione che quella di Evelya fosse una famiglia molto tradizionalista. Forse non era il caso Farsi vedere in buoni rapporti con la biondina. Ma Noel non era mai stato il tipo da preoccuparsi di queste piccolezze. « Ti accompagno se ti va » disse, facendole segno di accomodarsi a tavola e servendole la colazione. Lui prese posto lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo, la gamba ad implorare pietà. Era la seconda volta che condivideva un pasto con Evelya, l'unica differenza era che, ora, era conscio dei suoi sentimenti. Chissà fino a che punto sarebbe riuscito a nasconderli.

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    Edited by altäir - 23/8/2016, 10:20
     
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    Doveva sembrare strana l'espressione di scarso entusiasmo che Evelya mostrò nel dare la notizia, perché Noel le proibì immediatamente di tenere il muso. Le strinse le guance con un'unica mano in modo giocoso, non poté fare a meno di sorridere immaginando che faccia buffa dovesse avere in quel momento. « Sei bella comunque eh, non fraintendermi, ma il tuo sorriso mi spiazza ogni volta ». La ragazza pregò che il calore delle gote si confondesse con quello naturale delle dita del rosso, anche se poteva fare poco per il colorito acceso che le imporporava la pelle. Quando le disse che andava tutto bene avrebbe voluto crederci davvero, più di ogni altra cosa. « Sì... sì, lo so » rispose con voce flebile, forzando un sorriso finché l'altro le diede le spalle per raggiungere la cucina. Non voleva nascondergli fatti così importanti, specie dopo la gentilezza dimostrata nei suoi confronti, ma non aveva altra scelta se voleva proteggerlo. - Non pensarci, comportati come al solito -. Per colazione chiese soltanto della frutta - aveva adocchiato un paio di mele rosse la sera prima - e si sedette in quello che ormai considerava il suo posto abituale, tagliando delle fette sottili senza togliere la buccia. Eseguiva ogni azione in modo meccanico, la mente lontana anni luce dal presente, al punto da dover chiedere al Demone di ripetere la domanda. « Ah, uhm... Zachary, il più giovane dopo di me. Si preoccupa sempre troppo, crede che io sia ancora una bambina ». Stavolta la bocca si distese in un sorriso più leggero al ricordo dei rimproveri assurdi del fratello, l'unico con cui aveva condiviso maggior parte delle giornate per via della vicinanza d'età. Solomon e Aidan erano molto impegnati già all'epoca, seppur adolescenti.
    « Ti accompagno se ti va » propose il ragazzo, galante fino in fondo. All'inizio le sembrò un'idea magnifica, tanto che la prima risposta fu un cenno affermativo del capo, poi si ritrovò a pensare che forse Zachary potesse prendere male la presenza di un Demone accanto a lei, e il cielo solo sapeva quanto fosse rissoso. « Ci tengo a presentartelo, davvero, però devi sapere che è molto diffidente nei confronti della tua razza, e... Non vorrei che ti offendesse, ecco ». Probabilmente l'avrebbe fatto, era già capitato, però Noel non meritava un trattamento simile. Si era preso cura di lei fin dal loro primo incontro, riempiendola di calore e sorrisi, e Zachary doveva sapere quanto aveva fatto per tenerla al sicuro. « Qualunque cosa dirà, non prenderlo sul serio » concluse, a mo' di avvertimento. Terminata la magra, ma esauriente colazione, Evelya si propose di sparecchiare finché il rosso si rendeva presentabile, lavando le stoviglie e ripulendo la tavola. Pareva una scena tratta dai libri che leggeva sua madre, quelli in cui le mogli erano sempre felici e non facevano altro che riordinare casa, chiacchierare a vuoto e tentare di rubare i mariti altrui. Non era il caso dell'Angelo, che, al contrario, voleva lasciarsi alle spalle un amore morto sul nascere. Attese paziente il ritorno del padrone di casa, rannicchiata sul divano con un libro di medicina trovato sul mobile all'ingresso. Non ci capiva nulla, saltava le pagine con le immagini più rivoltanti nella speranza che si vedesse qualcosa di interessante, oltre che macabro, e infine incappò in un capitolo che illustrava la fisionomia delle ali. Quelle angeliche avevano una struttura ossea sottile, del tutto simile all'esoscheletro dei volatili, mentre quelle demoniache erano robuste, provviste di spine, e resistevano a molte ore consecutive di volo. Delle figure mostravano come l'unione delle due razze potesse dare vita ad ali piene di buone qualità, con piume scarlatte, nere, blu cobalto, o membrane bianche e traslucide. Cosa poteva esserci di sbagliato in creature tanto affascinanti? Le pagine successive parlavano anche di corna, pupille, colore dell'incarnato, tutte le variabili possibili nella nascita di un ibrido, e la ragazza si perse nella lettura fino all'arrivo di Noel in salotto. « Abbiamo lo stesso profumo! ». Sorrise entusiasta per quella sorta di connessione tra loro, perdendosi nello sguardo vivace di lui prima di tornare alla vita vera, quella fatta di oppressione e regole ferree. Zachary era venuto per riportarla indietro? Non ne era certa, ma di sicuro non portava buone notizie. Vedere Noel sarebbe stato sempre più difficile, d'ora in avanti. Rimase di fronte al Demone per qualche secondo di troppo, finché la voglia di ripararsi nel suo abbraccio prevalse su tutto. Fece un solo passo e lo strinse forte, per quanto deboli fossero le sue braccia, ed inspirò l'odore familiare che permeava in tutta la casa, in ogni luogo dov'era lui. « Grazie per l'aiuto. Sarei stata persa senza di te » disse in un mormorio inudibile, combattendo contro l'impulso di piangere.
    « Per fortuna c'eri tu all'ambulatorio, quel giorno ».
    Rise delle piccole fatalità che li avevano fatti incontrare, con la consapevolezza che la fortuna avesse colpito la persona sbagliata. Se Evelya fosse stata una ragazza normale, proveniente da una famiglia normale, probabilmente sarebbe stato facile esternare i sentimenti che provava.
    Noel meritava una compagna migliore, meno problematica, magari dal sangue demoniaco, che non lo mettesse in ansia per qualsiasi cosa e scoppiasse a piangere senza motivo. Si augurò che esistesse sul serio. Dimenticarlo sarebbe stato facile, a quel punto.

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    Noel si stava sforzando davvero di credere che stesse andando tutto bene, ma la verità era che non ci capiva nulla. La sera precedente, Evelya sembrava essere spaventata a causa di Dixon, lo stramaledetto Demone con cui il rosso aveva diversi conti in sospeso, ma ora che il pericolo era ben lontano riusciva a leggere un velo di timore e tristezza nei suoi occhi. Solo nel suo sguardo, perché il sorriso della ragazza era davvero convincente. A guardarla sorridere sembrava davvero tutto a posto. Tuttavia, i suoi gesti si erano fatti più lenti e distratti, anzi che non si era ancora tagliata con il coltello che aveva in mano per sbucciare una mela. Non sapeva più a cosa credere, se al suo sesto senso che non dicava niente di buono, o ad Evie, che a sua detta quella situazione pareva qualcosa di facilmente risolvibile. Non sapeva se avrebbe dovuto proteggerla da un Demone dai lunghi capelli scuri o da altro. Mentre sorseggiava il suo caffè seduto di fronte alla biondina, il ragazzo combatteva contro il suo forte istinto protettivo e la parte destra del suo cervello, quella che gli suggeriva di avanzare con cautela e studiare il caso, nonostante non fosse nella sua indole. Perché avrebbe dovuto dubitare di lei, comunque? Non gli aveva mai detto una bugia, forse la sua era solo stanchezza, o nostalgia di casa, o che ne sapeva lui. Non doveva per forza trattarsi di un problema grosso e insormontabile, e lei non era obbligata a parlargliene. Anche se lui voleva saperlo. « Non vorrei che ti offendesse, ecco » Noel sorrise contro la ceramica della tazzina, mentre anche l'ultimo sorso di caffè gli finiva in gola. « Lo terrò a bada in qualche modo » fece, sicuro di sé e delle sue parole, appoggiandosi allo schienale della sedia, un braccio a penzoloni e l'altro a massaggiarsi la gamba, sotto il tavolo. Quella mattina la sinistra era in vena di capricci, non ci voleva. L'umidità era la sua bestia nera. « Qualunque cosa dirà, non prenderlo sul serio » aggiunse la biondina, e il ragazzo rise una seconda volta con leggerezza, nonostante lei sembrasse parlare sul serio. « Ci sono abituato » Zachary, il presunto fratello, non poteva essere peggio di tanti Angeli che aveva avuto il dispiacere di conoscere. Il disprezzo che intercorreva tra le due razze pure era storia vecchia ormai, era il primo requisito che si chiedeva agli eredi delle casate di ognuna delle due specie: l'odio verso la razza opposta alla propria. Dal canto suo, Noel non li odiava, non aveva mai avuto problemi a relazionarsi con loro anche per via del percorso lavorativo che aveva scelto. Se poi lo si provocava, beh, in quel caso poteva anche rispondere alle offese senza pensarci. Il problema non erano le razze, bensì i singoli individui. Il ragazzo si alzò subito dopo per sistemare le stoviglie e sparecchiare il tavolo, ma Evie, gentile fino al midollo, si offrì di farlo al posto suo. Seppur riluttante, Noel accettò infine l'aiuto della ragazza, andando subito in bagno a farsi una doccia veloce. Sotto il getto d'acqua calda, non poteva fare a meno di pensare allo sguardo vacuo di Evelya, in contrasto con il sorriso amichevole. Neppure gli esami che lo aspettavano al suo ritorno lo impensierivano al punto di lasciar perdere ogni cosa al di fuori di quelli. Doveva preoccuparsi? Era nei guai? A dirla tutta, non gli era parsa neppure così entusiasta all'idea di rivedere il fratello. « Mi sto solo facendo una quantità abnorme di seghe mentali » lo disse a voce alta, la fronte appoggiata alle mattonelle fresche che ricoprivano il muro, mentre l'acqua gi scivolava sulla schiena. Non era il suo fidanzato, né suo fratello, né nessuno che avesse il diritto - o comunque, il permesso - di impicciarsi nei suoi affari. Suo fratello gli avrebbe detto, senza fronzoli, di farsi "un po' di cazzi tuoi", e forse non aveva tutti i torti. Voleva essere di qualche aiuto, ma se Evelya non gli aveva detto nulla significava che non c'era niente di cui preoccuparsi, giusto? « Giusto » sospirò, chiudendo il rubinetto e uscendo definitivamente dalla doccia. Doveva darsi una mossa, sicuramente l'Angelo aveva finito di sparecchiare da un bel pezzo. Si presentò in soggiorno con una delle sue amate camicie e il suo paio di jeans scuri preferiti, entrando a passo felpato per non disturbare la lettura di Evelya. Aveva preso uno dei suoi libri di medicina, appartenuti al fratello prima di lui, e per darle ancora qualche minuto adocchiò il cellulare e lo prese in mano. Quindici per cento di batteria, ops. Appena lo schermo si illuminò, una valanga di notifica da ogni social network apparirono a coprire lo sfondo. Tutti i suoi amici gli avevano fatto gli auguri per il compleanno, e nel leggerli non poté che sorridere sotto i baffi. Li avrebbe letti appena tornato a casa, con calma, e magari nei momenti morti in ambulatorio senza farsi scoprire da Lyander. Chissà se i suoi genitori gli avrebbero augurato buon compleanno, se suo padre aveva guardato il calendario dicendo "Oh, oggi è il 7 aprile". Sua madre neppure ci sperava più, ormai, e da un lato era meglio così. Abbandonò il telefono accanto alla televisione, incurante di metterlo a caricare, per poi posare gli occhi su Evelya. Quel manuale l'aveva presa molto, a quanto vedeva. Ridacchiò nel vederla così attenta durante la lettura, curioso di cosa la affascinasse così tanto. Evidentemente era meno impressionabile di quel che pensava. Accorciò la distanza tra loro di pochi passi, e appena lo vide la biondina scattò come una molla. « Abbiamo lo stesso profumo! » la sua esclamazione lo lasciò di stucco per un attimo, poi si lasciò sfuggire una risata. Non era la stessa persona di prima, in quell'entusiasmo riconosceva l'Evelya di tutti i giorni. « Questo è sicuramente il destino » scherzò lui, che nel fato non ci credeva affatto. Credeva nella volontà delle persone e nel riuscire a stravolgere la propria esistenza con le sole forze. Altro che destino e destino. Se non si prendeva in mano la propria vita, credere in esso era del tutto futile. E cosa gli aveva permesso di incontrare Evelya? Nah, non il destino. Più probabile la casualità. Loro due non sembravano destinati a stare insieme, ma avrebbe combattuto per far sì che la situazione volgesse a loro favore, destino o meno. Noel era più forte, quando si trattava di lei. Rimase a sorriderle per qualche secondo, fino a quando lo sguardo di Evelya si perse nel suo, assente. Che le prendeva, di nuovo? Stentava a riconoscerla, e tutto il suo impegno nel convincersi che stesse bene stava barcollando. « Evie » la chiamò sottovoce, ma il respiro gli si mozzò appena sentì le braccia di lei circondarle il busto in un abbraccio inaspettato. La sentì mormorare qualcosa di incomprensibile contro il suo petto, ma andava bene, finché gli stava vicino andava bene. Ricambiò il gesto in men che non si dica, riscaldato da quel contatto così stretto e sincero. Fosse stato per lui non l'avrebbe lasciata andare, al diavolo fratelli, cugini e compagnia bella. « Per fortuna c'eri tu al laboratorio, quel giorno » ripeté la stessa frase di lei sorridendo tra sé e sé, passandole una mano tra i capelli in una carezza gentile. Chissà che effetto faceva vederli dall'esterno, un Demone e un Angelo abbracciati. Dal suo punto di vista, Noel si sentiva terribilmente e sinceramente felice. Era come se avesse trovato un modo per proteggerla, almeno temporaneamente. Sciolto l'abbraccio - durato troppo poco, secondo lui - il rosso afferrò la giacca lasciata la sera prima vicina all'entrata, tendendo poi ad Evelya le sue cose. I suoi movimenti si fecero più lenti mentre girava la chiave nella toppa, per poi farla scivolare nella tasca dei pantaloni. Improvvisamente, la strada per arrivare a casa del cugino della fanciulla gli sembrava fin troppo breve. Mentre camminavano fianco a fianco, cercò la mano della biondina senza farsi notare, il palmo freddo di lei a bilanciare la temperatura corporea troppo alta dell'altro. « Concedimelo fino all'arrivo di tuo fratello » esclamò ridacchiando, lo sguardo alto verso le nuvole candide che di tanto in tanto scendeva ad osservare il visino angelico di Evelya. Aveva ancora l'aria persa di poco fa, anche se sembrava più in pace con sé stessa. O forse sapeva fingere molto bene, e lui non riusciva a capirlo. Non riusciva a capire un bel niente, in realtà. « Senti, ma » fece un respiro, corto, il tempo di guardarla in viso, « sei felice di rivedere tuo fratello? » i loro passi rimbombavano sulla strada un po' sconnessa delle viuzze di Nimit, la città non ancora del tutto sveglia. Il suo turno alla clinica sarebbe cominciata tra poco, doveva avere la certezza di lasciarla in mani sicure. Non che non si fidasse del fratello, nemmeno lo conosceva, ma il pensiero di saperla in lotta contro qualcuno non lo faceva stare affatto tranquillo. « Stai bene, vero? » aggiunse dopo in un sussurro, stringendo la presa sulla mano della ragazza. « Scusa se ti rompo le palle » rise, per poi mettersi la mano davanti alla bocca e spalancando gli occhi in un gesto volutamente esagerato. « Volevo dire, le scatole » si corresse, nonostante l'espressione appena utilizzata non sembrava ugualmente idonea per un uomo del suo rango. « Suona ugualmente scortese » Pazienza, una risata ci era scappata ugualmente. Quando vide la familiare abitazione di Shedir, il rosso avrebbe voluto girare sui tacchi e tornare indietro, ma non gli fu possibile che gli occhi chiari di un ragazzo sulla porta lo trafissero. Chissà se era voluto, o stava cercando di metterlo a fuoco a causa di una brutta miopia. « Fine del tempo a mia disposizione » le sussurrò, lasciando la mano della fanciulla nascosta dietro la sua schiena. Forse era lui il famoso fratello. Oh cielo, come si chiamava? Zack? Zucca? « Sembri di otimo umore fin dal primo mattino » disse, e qualcosa gli suggerì di aver cominciato con il piede sbagliato. Ops. Non che se ne fosse pentito, ovviamente.

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    Le sarebbe sembrato di camminare verso il patibolo se non fosse stato per la mano calda di Noel a stringere la sua. L'ansia le raggelava il sangue nelle vene, ma il Demone aveva calore a sufficienza per tutti e due. « Concedimelo fino all'arrivo di tuo fratello » disse a mo' di scuse lui, ma Evelya non ci vide nulla di male, anzi. Ormai era talmente abituata ad averlo vicino da trovarla una cosa naturale. Allacciò le dita a quelle del ragazzo più che volentieri, sorridendogli di riflesso. Era una bella giornata, profumava di terra bagnata e fiori, ormai le nuvole di tempesta si stavano ritirando oltre la linea del mare. Guardò i negozi familiari già in piena attività, la strada che aveva percorso molte volte dal suo arrivo a Nimit, le sagome delle navi i cui alberi svettavano tra le case. Per quanto ancora vi sarebbe rimasta? « Senti, ma... sei felice di rivedere tuo fratello?» chiese l'altro a bruciapelo, e la fanciulla strinse di riflesso la presa nella sua mano. « C... certo, perchè non dovrei ». Amava i suoi fratelli, il senso di protezione che le davano, i loro modi diretti di fare e parlare, ma amava anche Noel. Si sentiva spezzata a metà, una parte voleva restare, l'altra ricominciare da capo con la sua vecchia vita per liberarsi di ogni rimorso. Una cosa era certa: stando nel continente ibrido le sue doti di attrice erano andate scemando. Il rosso insistette per sapere se stava davvero bene come sosteneva, usando poi termini che aveva sentito da Aidan più di una volta. Tra i tre eredi, era certamente quello meno diplomatico. « Suona ugualmente scortese » convenne infine, ed Evelya rise del suo tono dubbioso. « Sto bene, davvero, è solo che sono successe tante cose e non so da dove iniziare ». Nella sua testa quella frase aveva perfettamente senso, però dubitava che Noel l'avrebbe compresa. Era all'oscuro della sua storia, di Azarel, del vincolo che li univa e che non vedeva l'ora di spezzare. Lo sentì dire che il suo tempo a disposizione era finito, e appena la mano del ragazzo lasciò la sua fu tentata dal riacciuffarla subito, non capendo cosa intendesse. Alzando lo sguardo incrociò gli occhi freddi di Zachary - non l'aveva mai guardata così - e s'immobilizzò a pochi passi da lui. Era il solito fratellino dai capelli biondo miele, il viso fanciullesco, l'aria saccente che mal si accostava alla giovane età, eppure... no, non stava puntando lei, ma il Demone lì accanto. «Sembri di ottimo umore fin dal primo mattino». L'Angelo impallidì, passando rapidamente da Noel a Zachary come se si aspettasse una rissa. « Noel, per favore... » mormorò, aggrappandosi alla manica della sua camicia, ma ormai il danno era fatto, e il fratello minore rispondeva sempre alle provocazioni. Si staccò dal muretto su cui era poggiato, avanzando minaccioso nella sua divisa militare un po' sgualcita per il viaggio, finché non li divise appena un passo di distanza. « Mi succede quando la prima persona che incontro è uno stramaledetto Demone » replicò, astioso, preso a squadrare il nemico con occhio critico. La differenza tra loro era abissale, e non solo in aspetto o altezza. Emanavano due aure completamente differenti, e all'improvviso Evelya non fu più tanto felice del loro incontro. Si sarebbe aspettata un abbraccio commovente, magari anche qualche lacrima, e invece Zachary sembrava sull'orlo di una crisi di nervi, preso dalla nuova, sgradita conoscenza. « Con che insolenza ti permetti di... » qualcosa parve distrarlo all'improvviso, riportando l'attenzione sulla sorella. « Evie, cosa ci fai con le gambe scoperte?! Se ti vedesse la mamma farebbe un colpo! E quei vestiti? Lo sapevo che stare in mezzo a questa gentaglia ti avrebbe cambiata in peggio ». L'attirò a sé con una prepotenza che non faceva parte della sua indole, forse ancora infuriato per la presenza del Demone, ed Evelya pensò di non essere l'unica ad aver cambiato attitudini. « Dimmi che non ti hanno fatto il lavaggio del cervello ». La biondina dissentì, troppo scioccata da quella valanga di rimproveri per rispondere, e fece l'unica cosa che sapeva lo avrebbe rabbonito. Circondò il ragazzo in un abbraccio, avvolgendo un corpo esile che non poté fare a meno di paragonare a quello del rosso, bisbigliandogli nell'orecchio che gli era mancato un sacco. Zachary rispose al gesto con lentezza, lo sguardo sempre fisso su Noel oltre la spalla di lei. Poi un profumo prettamente maschile gli pizzicò il naso, e parve voler congelare l'altro dove si trovava. « Zach, va tutto bene. Non essere scortese ».
    Anziché prestare attenzione a ciò che le stava dicendo, Zachary scese dalla schiena della sorella ai fianchi, poco più su del bacino, e prese dei lembi di pelle tra pollice e indice.
    « Sei ingrassata » constatò, l'ombra di un sorriso nel tono velenoso. Evelya si staccò immediatamente, rossa in viso, solo per notare che Angelo e Demone avevano ripreso a guardarsi in cagnesco. Doveva distrarre entrambi, prima che accadesse l'irreparabile. « Lui è Noel Moore, studia medicina qui a Nimit ». Notò che la presentazione non era stata esauriente per il fratello, che si limitò ad inarcare un sopracciglio. « Mi ha aiutata molto da quando sono arrivata, forse anche più di nostro cugino. Ti prego di trattarlo con il rispetto che merita ». Era stata talmente decisa nel dirlo che suonò quasi come una minaccia. D'altronde non avrebbe permesso che qualcuno se la prendesse con Noel solo perché era di una razza differente. Il ragazzo strinse entrambe le mani a pugno, combattuto tra l'attaccare briga e girare i tacchi all'istante. Invece, com'era prevedibile, preferì restare per sputare altre cattiverie. « Lo sai che sono bravi a fregare le persone. Si vede subito che ha cattive intenzioni ». Inutile sprecare fiato, non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire. Poteva spiegargli per filo e per segno le buone azioni che l'altro aveva fatto, a cominciare dal difenderla da un estraneo pericoloso fino a condividere la sua casa con lei, sarebbe andato comunque su tutte le furie. Con un sospiro rassegnato, la fanciulla si voltò verso Noel per rivolgergli delle scuse sentite, davvero non meritava un simile trattamento. « Perdonalo, è solo preoccupato per me ». Non si accorse che Zachary si era diretto a passo di marcia verso casa di Shedir, fulminando entrambi da lontano in una richiesta esplicita a seguirlo. Il loro tempo insieme era scaduto. « Grazie per avermi accompagnata. Ci vediamo presto » sussurrò, in modo che nessun altro potesse sentire. Prese in fretta la mano destra del rosso e posò un bacio leggero sulle nocche, una tradizione angelica per congedarsi da un amico o un familiare, l'equivalente dei caldi abbracci della gente del posto. Non era certa di poter mantenere la promessa, né che sarebbe rimasta ancora a lungo a Nimit. Per ora poteva solo sperare di rivederlo un'ultima volta, poiché vi era ancora qualcosa di importante che doveva dirgli, prima di escluderlo dalla sua vita definitivamente.

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    Le iridi rossastre del fratello di Evelya lo squadravano da capo a piedi, lo sguardo duro come il ghiaccio e i muscoli tesi. Era ovvio che avrebbe voluto saltargli al collo, e da come lo salutò la cosa divenne evidente. E pensare che non lo aveva neppure provocato con l'intenzione di farlo. « Mi succede quando la prima persona che incontro è uno stramaledetto Demone » fece il ragazzo, il tono ostile e le scarpe a battere sui ciottoli della strada mentre si avvicinava ai due. A guardarlo da vicino, Zachary ed Evelya si assomigliavano. Condividevano l'incarnato chiaro, il biondo dei capelli, il visino fanciullesco... e anche la stessa altezza. Appariva spavaldo e malevolo, ma con il suo metro e settanta scarso rovinava tutta la scenetta. « Se fossi stato un po' più alto mi avresti seriamente messo paura » disse Noel, trattenendo una risatina a fatica. Doveva proprio odiarli, i Demoni, senza mezze misure, ma ci voleva ben altro per scalfirlo. Ben più di qualche insulto leggero. « Peccato, non rendi affatto l'idea » « Con che insolenza ti permetti di... » Zachary era palesemente sull'orlo di una crisi di nervi, e la sua giornata non sembrava essere iniziata nel migliore dei modi. Da parte sua non era affatto così: in fin dei conti la prima cosa che aveva visto al mattino era stato il viso di Evelya, meglio di così non poteva andare. Gli occhi del biondino si spostarono sulla figura dell'incantevole Angelo accanto a lui, un'espressione di sgradita sorpresa a disegnarsi sul suo viso. « Evie, cosa ci fai con le gambe scoperte?! » « E' una benedizione, nanerottolo » fece Noel a sua volta, ma quello era troppo preso a rimproverarla per far caso a ciò che il rosso aveva detto. A volte si dimenticava che Evelya faceva parte della nobiltà e proveniva da un clima totalmente differente da quello placido che si respirava a Nimit. Niente regole, niente costrizioni, niente permessi da chiedere. A lui non cambiava più di tanto, in fin dei conti se ne era sempre fregato delle imposizioni a cui doveva sottostare a causa del suo rango. L'Angelo invece no, il suo stile di vita era cambiato drasticamente nel continente ibrido. La immaginò costretta in abiti lunghi e sfarzosi, in contrasto con i pantaloncini e la camicia color pastello che indossava. Non parlavano spesso della sua vita precedente, si era accorto di come il viso della ragazza si rabbuiava all'istante appena toccava l'argomento. « Dimmi che non ti hanno fatto il lavaggio del cervello » il Demone alzò gli occhi al cielo, perché sul serio, lì si stava esagerando. « Hai la mentalità da uomo delle caverne » sospirò, i due fratelli stretti in un abbraccio. Eppure, invece di gioire per essere riuscito a ritrovare la sorella, Zachary non faceva altro che fulminarlo con lo sguardo. Se non ci fosse stata Evelya, probabilmente si sarebbe dovuto ricorrere a metodi più drastici. Poche persone potevano risultargli antipatiche a pelle, e Zachary Sadalmelik rientrava sicuramente nella categoria. Non stava solo denigrando lui, il che era il male minore, ma soprattutto Evelya. Era come se, nei mesi in cui non si erano visti, fosse diventata qualcosa di diverso - il che era vero, si era trasformata ed era sbocciata, ma in senso puramente negativo. Non andava bene ciò che indossava, non andavano bene le sue conoscenze, e nemmeno il fatto che avesse preso peso e sorridesse un po' più spesso. Una parola gentile avrebbe anche potuto dedicargliela, perché quell'abbraccio, dall'esterno, pareva non avere nulla di premuroso. Si augurò fosse solamente una sua impressione mentre sosteneva gli occhi del nanetto fissi su di lui. La biondina gli aveva detto che era in buoni rapporti con i suoi fratelli, ma aveva come l'impressione di non stare per lasciarla in buone mani. La vide sciogliere l'abbraccio in un lampo, imbarazzata, per poi passare alle presentazioni. Evelya aveva buone intenzioni, che però non coincidevano con quelle dei due ragazzi. La situazione non sarebbe migliorata sapendo l'uno il nome dell'altro. « Mi ha aiutata molto da quando sono arrivata, forse anche più di nostro cugino » la decisione nella voce dell'Angelo era palpabile, e Noel le indirizzò uno sguardo colmo di affetto, « Ti prego di trattarlo con il rispetto che merita » il rosso non poté che incrociare le braccia al petto, in un chiaro segno di sfida a contestare le parole della sorella da parte dell'ometto che aveva di fronte. Un sorrisetto irritato gli attraversò il viso a sentire le successive parole di Zachary, cariche di veleno come quelle pronunciate fino a quel momento. Possibile che un Angelo potesse essere così irritante? Non poteva condividere gli stessi geni della sua dolce Evie. « Attenzione Evie, potrei offrirti la colazione da un momento all'altro, merda, un piano davvero malvagio » lo disse in tono altamente sarcastico, tanto che vide le nocche di Zachary sbiancarsi ancora di più per quanto stringesse forte le mani a pugno. L'accenno di sorriso scomparve dalle labbra del rosso, nello sguardo ad accendersi la scintilla della rabbia. Non ci voleva. « Se avessi voluto farle del male, ne avrei approfittato molto prima che arrivassi tu » sibilò, e passarono diversi secondi prima che Zachary girasse sui tacchi per dirigersi verso la casa che Noel ricordava essere quella del cugino. La cosa peggiore che Evelya avesse fatto era quella di mettersi pantaloni e gonne corte, e se fosse venuto a sapere che il fratello aveva osato rimproverarle altro l'avrebbe rispedito a casa sua. Prima del suo arrivo si stava così bene. « Perdonalo, è solo preoccupato per me » esclamò l'Angelo, voltandosi verso di lui con aria mortificata.
    « Me lo auguro Evie, o potrei farlo arrosto » sbuffò l'altro, la figura mingherlina di Zachary ancora nel suo campo visivo, per poi scendere sul volto di Evelya. Non si sarebbe mai stancato di guardarlo, diamine, ed ora doveva lasciarla andare per rivederla chissà quando. Sperava si trattasse di una questione di un paio di giorni, perché andare a salutarla in negozio alla fine del turno nella clinica era diventata un'abitudine a cui non avrebbe voluto rinunciare per nulla al mondo. Rimase sorpreso quando la biondina posò un bacio sulle nocche della sua mano destra, neanche gli stesse bruciando una fiamma viva al posto del cuore. Come poteva lasciarla con quello lì? Avrebbe voluto prenderla per mano e scappare da qualche parte, ovunque, e alleggerire le sue pene. « Grazie per avermi accompagnata. Ci vediamo presto » mormorò, e quell'addio velato era fin troppo pesante. Non controllò neppure se Zachary si fosse voltato oppure no - perché, a dirla tutta, non gliene importava un accidente - e la strinse in un fugace abbraccio prima di vederla correre verso il fratello. Non era pronto a lasciarla andare, aveva una brutta sensazione che non riusciva a togliere di mezzo.
    « Non farmi aspettare troppo, Angioletto » sussurrò a sua volta, posandole un bacio sulla tempia, « che già mi manchi » nello slegarsi, Noel le fece l'occhiolino, per poi guardarla mentre la sua sagoma diventava sempre più sottile per scomparire dietro il portone di casa. Sperava davvero andasse tutto bene, perché qualsiasi cosa fosse successa - ed era certo che qualcosa fosse successo - Evelya non se lo meritava neppure un po'.

    L'autobus che prese per andare alla clinica era pieno zeppo, quel giorno. Era quasi ora di pranzo, in fin dei conti, tutti uscivano a quell'ora a fare la spesa. Approfittò del tragitto per rispondere ai messaggi di auguri - perfino alcuni sui compagni della Ayle si erano ricordati che era il suo compleanno, non se lo aspettava - e quando il bus passò davanti al negozio di fiori in cui lavorava l'Angelo, non poté fare a meno di guardarlo, una delle colleghe di lei a curare alcuni fiori all'esterno, fino a quando non scomparve alla vista, dietro i finestrini del veicolo. Chissà per quanto tempo avrebbe dovuto rinunciare al sorriso gioioso di Evelya. "Sono fin troppo drammatico" si appoggiò con la schiena al vetro, solamente un altro paio di fermate a dividerlo da quel vecchio di Lyander. Il ritorno di Zachary non significava nulla, Evelya sarebbe tornata presto. Doveva convincersi di ciò. Scese dall'autobus mentre finiva di ascoltare il messaggio vocale di sua cugina Gwen, a cui rispose allo stesso modo promettendole di chiamarla appena finito il turno, quindi la sera dopo cena. Almeno aveva qualcosa a cui ambire dopo le ore in ambulatorio, parlare con Gwen lo faceva sempre star bene. Varcò la porta scorrevole della clinica e salì le scale facendo i gradini a due a due per raggiungere lo studio di Lyander prima che lo rimproverasse per il ritardo di cinque minuti che era solito fare. Gli aveva ripetuto varie volte che faceva tardi solamente quando non aveva voglia di vedere facce a lui antipatiche, ma il vecchio non aveva colto il sarcasmo.
    « Buongiorno, signor Rimbaud » fece appena spalancata la porta del reparto dove si trovava lo studio del suo mentore. Un vecchietto sdentato attaccato al braccio del figlio gli aveva bloccato la strada, e gli fece un cenno con la mano prima di sgombrare il cammino. « Quand'è che mio padre potrà tornare a casa? » l'uomo lo fermò afferrandolo per il braccio, non sapendo che il giovane dovesse recarsi subito in ambulatorio per dare il cambio del turno. « Le ultime analisi erano buone, non abbiamo rilevato alcuna anomalia nei parametri, ma - » aveva iniziato il discorso con il petto in fuori come se fosse un vero medico, e non stesse ancora percorrendo l'arduo cammino che lo avrebbe portato alla laurea. Ad interromperlo ci pensò lo sguardo fulminante del dottor Griffiths alle spalle del suo interlocutore. « Ma il suo medico curante è il dottor Griffiths, lui saprà darle informazioni più dettagliate » lo congedò con un sorriso, dirigendosi a grandi passi verso la stanza degli infermieri dove aveva lasciato il camice bianco il giorno prima. Non aveva alcuna voglia di sentire gli sbuffi irritanti di Lyander, e quando abbassò la maniglia della porta non si aspettava certo di trovare tutti gli stagisti stipati all'interno di quella stanza in un tripudio di coriandoli e palloncini. Noel rise quando cominciarono a cantargli tanti auguri a te, travolgendo quelli in prima fila in un enorme abbraccio. Se l'erano ricordato, anche loro. Amelia cominciò a tirargli un orecchio tante volte quanti erano i suoi anni, mentre Oliver lo agghindò con un grosso cerchietto multicolore sui cui svettava la cifra 21, sicuramente di dubbio gusto. Si ritrovò le tasche del camice piene di caramelle, e non si trattenne dal ringraziarli uno per uno. « Questa festicciola è un pretesto per non lavorare, eh? » ironizzò lui, diretto a Jack che gli arruffava i capelli. « Secondo me, anche Lyander mi farà gli auguri » « Non pretendere troppo, è il tuo compleanno, mica il giorno dei miracoli » rispose Harry scuotendo la testa, e Noel fece un giro su sé stesso. « Già di per me sono uno splendido miracolo » affermò in modo teatrale, ma Jack fu pronto a mollargli un'energica pacca sulla schiena che gli fece risuonare la cassa toracica. « Il giorno in cui smetterai di sparare cazzate sarà un miracolo » fece, e scoppiarono di nuovo a ridere. La negatività che gli aveva infuso Zachary era quasi scomparsa, anche se nella sua mente tornò il ricordo del bacio ricevuto da Evelya come regalo di compleanno.

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    Edited by altäir - 19/11/2016, 19:13
     
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    « Di tutte le persone che vivono su quest'isola, proprio un Demone?! Perchè non un lobos famelico, a questo punto, o un drago! ». Evelya e Shedir sospirarono all'unisono, seduti in salotto mentre l'altro urlava il suo disappunto camminando avanti e indietro, probabilmente con l'intenzione di consumare il tappeto. Non aveva gradito il modo diretto - e volgare, a detta sua - con cui Noel si era espresso in risposta alle accuse. In realtà, non aveva gradito proprio nulla del ragazzo a cui Evelya teneva tanto, etichettandolo subito come maniaco deviato. Non era così che immaginava l'incontro fra i suoi due mondi, fra la famiglia che aveva lasciato e la persona che non poteva avere, ma amava intensamente. Il punto in cui il rosso aveva posato le labbra in un bacio fugace ancora scottava, sentiva il suo profumo dappertutto, la stretta rassicurante di quelle braccia attorno alle spalle. "Già mi manchi" aveva detto, e il cuore dell'Angelo si era fermato per un istante. C'erano tante cose che voleva dirgli, tante verità nascoste. Cercò conforto negli occhi blu del cugino, che la guardò per un breve istante prima di schiarirsi la voce. « Zach, piantala di fare il melodrammatico. Fuori dal castello esistono anche Demoni normali, che fanno cose normali ». Lui fece una risatina a mo' di scherno, un ghigno simile a quello di Aidan quando era ad un passo dal dire cose molto pungenti.
    « Come offrire la colazione ad una ragazza non sposata, tenerla per mano e guardarle spudoratamente le gambe? ».
    Evelya avvampò nello scoprire che li aveva visti passeggiare insieme. Non era una cosa che due conoscenti facevano così alla leggera. « Ma quelle sono cose da uomini, che c'entra? Se ad Evie va bene non capisco quale sia il problema ».
    Per fortuna Shedir aveva vissuto lontano da Dunne Peyhlra per abbastanza tempo da arginare gli antagonismi delle due razze. Lì a Nimit Angeli e Demoni - che erano comunque pochi - non si guardavano in cagnesco come nei continenti vicini, vi era una sorta di pace immobile ad unirli. « Noel non ha mai fatto nulla di disdicevole, fratello, a differenza di tanti nobili che nostra madre mi presentava ». Touché. Alcuni individui che frequentavano casa Sadalmelik erano ragguardevoli solo per il denaro che possedevano. Azarel, tanto per citarne uno. Il Demone non la trattava con la stessa malizia, non la fissava come fosse un cibo prelibato. L'aveva detto lui stesso: se avesse voluto farle del male, sarebbe già capitato, invece era stata accolta con una familiarità ed un calore che non meritava, mangiando alla sua tavola e dormendo nel suo letto. Zachary alzò le braccia al cielo e borbottò un paio di imprecazioni da soldato, abbastanza crude perché Shedir tappasse le orecchie alla cugina, poi prese posto sulla poltrona di fronte e si decise a parlare di argomenti più importanti, quelli che l'avevano portato ad attraversare il mare. « Solomon ha scoperto un paio di cose sul tuo fidanzato ». La biondina spalancò gli occhi, amareggiata nel sentire la parola fidanzato proprio quando era riuscita a dimenticare i trascorsi della sua vecchia vita. « Gli Emberthorn sono Angeli puri da generazioni, ma Azarel è nato dalla relazione con una mezzosangue. Ti lascio immaginare la faccia di mamma. E, ciliegina sulla torta, fino a poco tempo fa vendeva schiavi alle famiglie angeliche della capitale. Non sono sicuro che abbia smesso, forse è diventato solo bravo a nascondersi ». Shedir emise un fischio di ammirazione, Evelya era così incredula che temeva di stare per impazzire. Sapeva che c'era qualcosa di subdolo in lui, lo attorniava un'aura di malignità tipica di chi ha una lista molto lunga di peccati per cui fare ammenda. - E io stavo per sposarlo -. Era grata al suo sesto senso, fuggire l'aveva salvata da una vita di abusi e falsità, nonché infelicità assoluta. « Dopo che te ne sei andata ha fatto il diavolo a quattro per cercarti. Una cosa ammirevole, se non fosse stata parte dei suoi piani. Uomini come lui non prendono bene i rifiuti ». Ora il tono del ragazzo si era fatto più morbido, fissava la sorella con apprensione, tormentandosi le mani. Il legame che univa gli eredi era forte, empatico, si sarebbero sacrificati uno per l'altro senza pensarci, sebbene Zachary avesse un modo particolare di dimostrare il suo affetto. « Cosa dovrei fare, adesso? » gli domandò lei, spaventata da qualsiasi risposta avrebbe ricevuto. In cuor suo se n'era già resa conto, solo... non voleva accettarlo. Non si accorse della mano di Shedir posata sulla schiena, né delle lacrime che le rigarono il viso appena incrociò lo sguardo eloquente del biondo, scuro e vuoto. Le parve che il tempo si fosse fermato.
    « Andiamo a casa ».

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    Fuori tutto taceva, una quieta notte di primavera. La sveglia sul comò segnava le quattro, ancora poche ore e si sarebbe messa a suonare, dando inizio alla sua routine. Colazione, lavoro, pranzo, lavoro, cena. Durante il lavoro chiacchierava con le colleghe, apprendeva cose nuove, seguiva i clienti per allestire matrimoni e feste, con una strana agitazione a pervaderla man mano che si avvicinava l'orario di chiusura, quando lui sarebbe passato a salutarla. Louise, di solito, faceva la posta davanti alla vetrina, dandole di gomito appena una familiare chioma rossa sbucava all'orizzonte. Evelya aveva imparato a salutarlo con un breve abbraccio - le ragazze di Annery insistevano perché seguisse le usanze di Nimit - rinfrancata dai sorrisi euforici del Demone. A volte si fermavano al supermercato per rifornire le rispettive dispense di casa, oppure passavano davanti a qualche bancarella per rimediare una cena al volo. Noel le raccontava un sacco di cose interessanti, non sempre allegre, ma che valeva la pena ascoltare, e poteva ben capire il motivo che l'aveva spinto a diventare medico. Lui amava aiutare gli altri, senza discriminazione alcuna. Ora che aveva conosciuto la bellezza di un mondo nuovo e perfetto come poteva tornare indietro, in un luogo dove il ragazzo non poteva raggiungerla? - Dimentica. Sei brava a dimenticare - si disse, aggrovigliata nelle coperte. Dopo il bagno tutto il buon profumo di Noel era sparito, lasciandola solo con l'odore di vaniglia che un tempo reputava ottimo, e adesso quasi non sopportava. Andava bene così, era la cosa giusta da fare. Una nave stava venendo a prenderla, con a bordo le guardie fidate di Aidan a proteggerla, poiché il fidanzato aveva occhi ed orecchie ovunque, e un'imboscata non era da escludere. L'Angelo stava facendo i conti con la sua nemesi, e nessuno era lì a stringerle la mano. Tastò il materasso alla ricerca del cellulare - oggetto di cui si sarebbe dovuta liberare presto - e scorse velocemente i messaggi che lei e il Demone si scambiavano quotidianamente. Non mancava di darle il buongiorno e la buonanotte, ogni tanto mandava delle foto degli spuntini che consumava tra una visita e l'altra, oppure di lui e i giovani tirocinanti in pose ridicole, strappandole una risata. Negli ultimi due giorni non era andata al lavoro, reclusa in casa fino a nuovo ordine, perciò i messaggi del ragazzo si erano fatti più seri. Preso un gran respiro, Evelya iniziò a digitare poche frasi alla volta, cancellarle e riscriverle da capo. Non esisteva un modo indolore di dirsi addio, perciò tanto valeva andare dritti al sodo. - Ci possiamo vedere domani? Devo darti un vero regalo di compleanno -. Guardò la piuma bianca posata accanto alla sveglia, la più lunga dell'ala sinistra, e si disse che ne era valsa la pena. Doveva fare tesoro di tutte le cose apprese, i sentimenti riscoperti, il sapore della libertà che stava scemando lentamente, ma una parte di lei sarebbe rimasta con lui.

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    Il clima mite era ideale per una passeggiata nel parco, piccolo ed intimo, pieno di piante in fiore. Evelya seguì con lo sguardo due bambini che giocavano brandendo spade di legno, proprio come Aidan e Solomon da piccoli, e ne ammirò le prodezze finché la madre non li richiamò all'ordine. Era l'atmosfera che le serviva, vivace e frizzante, perchè se si fosse messo a piovere in quel momento i suoi nervi sarebbero di certo crollati. Zachary aveva acconsentito a quell'incontro dopo mille proteste, accompagnandola personalmente fino all'entrata ed esigendo che indossasse un abito abbastanza lungo da coprirle le gambe. Per fortuna il tessuto era leggero. Era arrivata in anticipo rispetto all'orario stabilito, incapace di restare chiusa nella sua stanza un momento di più, ma ora che si trovava all'esterno l'ansia di essere spiata si palesava, le sembrava che il pericolo fosse dietro ogni angolo. Sobbalzò all'arrivo di Noel, alzandosi di scatto dalla panchina per raggiungerlo. Non si vedevano da ben quattro giorni. Un'infinità, praticamente. Quando si profuse nell'abbraccio di rito ricordò perchè adorava così tanto stare tra le sue braccia, si concesse qualche secondo di scarto per assaporare la sensazione fino in fondo. « Ciao » salutò infine, rossa d'imbarazzo, « Scusa il poco preavviso. Non ti hanno rimproverato alla clinica, vero? ». Il fatto che avesse preso mezza giornata di permesso per stare con lei la faceva sentire doppiamente colpevole... e doppiamente felice.
    « Camminiamo un po' » propose, la sua mano già avvolta in quella del ragazzo, calda come sperava.

    « Parlato Evie ». - Pensato Evie -. « Parlato Noel ».

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    Le giornate si erano fatte grigie e insignificanti senza la presenza di Evelya, e il grosso problema era che non la vedeva tre, massimo quattro giorni. Come avesse fatto ad arrivare fino a ventun'anni suonati senza incontrarla era un mistero, a questo punto. Era partito, ormai non c'era più alcun dubbio a riguardo, ma non pensava che la biondina potesse insinuarsi nel suo cuore così a fondo. Passare ogni giorno davanti ad Annery alla fine del turno nella speranza di vederla e sentirsi dire che neanche stavolta si era presentata lo riempiva di tristezza e irritazione. L'Angelo rispondeva di rado ai messaggi, e a dirla tutta non sapeva cosa pensare. Sapeva che con l'arrivo di Zachary - ribattezzato più o meno amichevolmente fratellone Zaccaria - si sarebbero visti di meno, se non per niente, eppure si aspettava almeno qualche notizia. Non sapeva niente. Forse passavano allegri pomeriggi insieme tra fratelli, senza alcuna scocciatura, o Zachary la teneva relegata in casa perché non voleva che lo incontrasse o si facesse influenzare dall'atmosfera cittadina, così diversa dalla nobiltà angelica. Non ne aveva idea. Sapeva solo che ogni volta che accendeva lo schermo del cellulare per controllare se fosse arrivato qualcosa non c'era alcuna notifica da parte di Evelya, e si stava impegnando per non pensare al peggio. "Quattro giorni non sono assolutamente niente, che mi preoccupo a fare?" si disse il rosso, il mento appoggiato sul palmo della mano, guardando attraverso il vetro sporco dell'autobus di linea che prendeva sempre per andare a casa, quello che si fermava in piazza poco prima del negozio di Evelya. Ci avrebbe provato anche quel giorno, sperare non costava nulla, nonostante la delusione che aveva sempre ricevuto dopo essere passato da Annery e non aver trovato la biondina. Le iridi ametista passavano da macchina a macchina, da casa a casa, ma in verità non prestava attenzione a niente, la strada gli passava davanti come un vecchio film in bianco e nero. Sapeva di star esagerando, ma lui esagerava sempre, sotto ogni punto di vista. Rideva sguaiatamente, parlava a voce fin troppo alta, dimostrava le sue abilità ogni volta che poteva, odiava a fondo e amava troppo. In quel caso, si stava preoccupando troppo. Non vedeva suo fratello da mesi, volevano solo stare un po' insieme. Niente di grave, lo avrebbe fatto anche lui se Julian fosse venuto a fargli visita. Era tutto normale. L'ultimo messaggio di Evelya, risalente a due giorni prima, dichiarava che stava bene. Non doveva preoccuparsi. Eppure, più se lo ripeteva più la brutta sensazione che aveva a riguardo ostentava a tormentarlo, da mattina a sera.
    « Va tutto bene, lei sta bene » sussurrò al suo riflesso nel vetro, anche se il tono che aveva utilizzato non era uno dei più convincenti. Tuttavia doveva farlo. Lei doveva stare bene, per davvero, altrimenti avrebbe scatenato un putiferio. Fece scivolare il cellulare fuori dalla tasca della giacca che aveva indosso, per poi aprire ancora la conversazione in sospeso con Evelya. L'aveva fatto milioni di volte, in quelle giornate piene di lavoro e vuote di lei. Gli ultimi messaggi erano tutti del Demone, messaggi a cui non aveva ancora ricevuto stranamente risposta, e l'ultimo da parte sua era stato breve e chiaro. Un "sto bene, non ti preoccupare" che aveva riletto chissà quante volte, per convincersi di ciò, per calmarsi, perché era l'ultima volta che avevano parlato. Sospirò, le parole in nero su fondo bianco che pian piano perdevano di significato a forza di leggerle, perciò chiuse la schermata, rimettendo il telefono dove stava prima. Stava bene, l'avrebbe rivista presto. Riprese a guardare fuori dal finestrino, vari negozi a passargli sotto gli occhi di cui ancora non conosceva il nome. Riconobbe però un tripudio di fiori familiare, e l'insegna su cui scritto "Annery" svettare su di esso. Noel imprecò ad alta voce, alzandosi di scatto dal sedile. Pessima decisione, la gamba sinistra fu vittima di una fitta lancinante, e fu costretto a rimettersi seduto. Aveva saltato la fermata, e la prossima era troppo lontana dal negozio. Batté un pugno sul posto davanti al suo, spazientito, facendo girare un uomo di mezz'età piuttosto arrabbiato, ma non vi fece caso. Aveva come l'impressione di non aver perso nulla, comunque. Se Evelya fosse tornata a lavoro glielo avrebbe scritto, in fin dei conti, e il suo ultimo messaggio recitava "Sto bene, non preoccuparti!". Sta bene, non devo preoccuparmi.

    • • •

    Il suo telefono squillò alle sei del mattino, e seppur avesse passato la notte in bianco e la protesi gli facesse un male del diavolo si precipitò verso il tavolino all'ingresso dove lo aveva lasciato la sera prima per rispondere, nella speranza che si trattasse di lei, di sentire che era davvero tutto a posto, di risentire la sua voce. E invece no, era Julian, e in quel momento, seppur si volessero un gran bene, non poté fare altro che maledirlo a denti stretti prima di pigiare il tasto verde con rabbia. « Che vuoi? » fece Noel, non nascondendo il suo dispiacere nello scoprire da chi provenisse la chiamata. « Innanzitutto buongiorno » si udì dall'altra parte della cornetta, e il minore sbuffò pesantemente senza ricambiare il saluto. « Ti sembra un buongiorno? Jul, sono le sei! » « Il mio turno è finito adesso. Lyander ha chiamato me e papà, ieri sera » Noel aggrottò le sopracciglia in disappunto, facendosi cadere sul divano a peso morto per dare un po' di sollievo alla gamba. Lyander? Che voleva da loro? « Ha affermato che sei più intrattabile del solito » « Ma un po' di cazzi suoi? No? » « E' il tuo tutore, idiota, non dovresti parlare di lui in questo modo » « E questi sono affari miei, e lui non deve impicciarsi » sbraitò, in un tono di voce più alto di quello che avrebbe voluto utilizzare, ma alle sei del mattino poche persone erano di buon'umore. Noel non era tra questi, soprattutto con tutto il mistero che ruotava intorno alla situazione di Evelya e che non contribuiva a renderlo tranquillo. « Cos'è successo? » sospirò Julian dopo una decina di secondi in silenzio, tempo che Noel non utilizzò per riordinare i pensieri e prendere un respiro profondo.
    « Affari miei » ripeté, passandosi una mano sul viso. Non gli aveva ancora detto di essersi innamorato di un Angelo, e quello era il momento peggiore per confidarglielo. Non sapeva come avrebbe potuto reagire alla notizia, e il pensiero di tagliare i ponti anche con lui, l'unico membro della famiglia che era rimasto al suo fianco, lo distruggeva. « Quando hai la visita alla gamba? » Julian cambiò discorso, e gliene fu grato. Peccato che l'argomento verteva sempre su qualcosa di cui non parlava affatto volentieri. « Dovresti farti sostituire la protesi, ormai. E' vecchia e rovinata. Dovresti farti riguardare seriamente, non è un gioco » Noel borbottò un "lo so" sfinito, buttando uno sguardo al piede di plastica che si intravedeva sotto i pantaloni della tuta che usava per dormire. Quella notte gli aveva fatto un male cane, sicuramente a causa dell'umidità che era aumentata negli ultimi giorni. Quella mattina piovigginava, per sua sfortuna, e sperava si fermasse presto. Ci voleva solo la pioggia a fargli peggiorare l'umore. « Scusa Jul, non ho voglia di parlare. Ci sentiamo un altro giorno, tra poco ho il cambio turno » disse, inventandosi una scusa bella e buona per agganciare. Il fratello lo salutò con le solite raccomandazioni che il rosso ormai sapeva a memoria, perciò lanciò il telefono dall'altro lato del divano, aspettando che Julian chiudesse la chiamata una volta finito di parlare. Con sua sorpresa, lo schermo rimase acceso anche dopo la fine della telefonata, e Noel si allungò giusto per vedere di cosa si trattasse. Quando notò l'icona dei messaggi nella barra delle notifiche, il ragazzo si svegliò tutto d'un tratto, gli occhi sbarrati per la sorpresa e lo stomaco sottosopra. Era lei, era lei, era lei. Leggere il nome dell'Angelo in cima alla conversazione lo riempì di gioia. Un nuovo messaggio, stava bene sul serio. O almeno, era viva. L'orario d'invio segnava le quattro e qualcosa del mattino, e il testo lo fece saltare sul divano come un bimbo piccolo sul letto dei genitori, al diavolo la gamba. "Ci possiamo vedere domani?" Domani? Sarebbe piombato a casa sua anche alle sei, in quel preciso istante. "Devo darti un vero regalo di compleanno" Lesse l'ultima parte del messaggio di fretta, soffermandosi di più sulla richiesta di lei. L'aveva scritto proprio Evelya, e se l'indomani poteva uscire significava che stava bene. Solo al pensiero di rivederla sentiva le farfalle nello stomaco, e vedere la nuvoletta bianca del messaggio della ragazza interrompere la marea di suoi messaggi rinchiusi in tante nuvolette verdognole era quasi surreale. Era lei, e l'avrebbe rivista. Neanche la pioggia leggera che cadeva su Nimit lo metteva tanto in pensiero, e neppure il dolore alla gamba sembrava così insopportabile come pochi minuti prima. Si era sentita la sua mancanza, decisamente, ed ora come ora si sentiva rinvigorito al pensiero di poterla stringere di nuovo tra le braccia. Il vero regalo di compleanno, come aveva detto lei, era vederla sana e salva.

    • • •

    Perdere l'autobus proprio quel giorno era da considerarsi il colpo di fortuna del secolo. A dieci minuti dall'orario d'incontro, poi. Domandò alla dea Mirianda un pizzico di pazienza - anche se gliene sarebbe servita di più, visto che lui ne era totalmente sprovvisto - e cominciò a camminare più veloce che poté verso il parco in centro città. Purtroppo, avanzando a passo svelto si vedeva un sacco che zoppicava a causa della gamba finta, quindi preferiva non esagerare nonostante fosse già in ritardo. Era una tipica giornata primaverile, mite e soleggiata, come se volesse rispecchiare il suo umore. Era in brodo di giuggiole, e Noel arrivò perfino a sorridere a perfetti sconosciuti che incontrava sulla strada. Probabilmente, avrebbe potuto anche augurare il buongiorno a Lyander, anche se non ne era troppo sicuro. Arrivò al parco in una ventina di minuti, ma ciò implicava che avesse fatto aspettare Evelya. Una volta entrato, la cercò in ogni dove, gli occhi illuminati dall'entusiasmo che viaggiavano da tutte le parti e su ogni viso che incrociava. All'improvviso, notò una chioma bionda che avrebbe riconosciuto tra mille, e notò che gli dava le spalle seduta su una panchina. Il ragazzo si avvicinò di soppiatto, attento a non far rumore, temendo che il martellare del suo cuore avrebbe potuto tradirlo. « Signorina, chiunque l'abbia fatta aspettare così tanto è davvero un ingrato » esordì alle sue spalle con una risata, e incrociare le iridi dorate di lei fu la cosa migliore che gli fosse capitata negli ultimi giorni. La ragazza si alzò subito e il rosso la accolse tra le sue braccia senza esitazione. Era lì, era davvero lì, e sembrava star bene. Niente graffi, contusioni o sorrisi tristi. Si era preoccupato per nulla, insomma. « Ciao » disse Evelya una volta separati, e non si era reso conto di quanto gli fosse mancato sentire la sua voce fino a quando non la sentì parlare. Lui la salutò di rimando con un sorriso smagliante, scusandosi poi del ritardo. La ragazza non sembrava essersela presa, comunque. « Non ti hanno rimproverato alla clinica, vero? » domandò lei, un filo di preoccupazione nella voce, e Noel scosse prontamente il capo. « Figurati, sarei scappato in caso » rise, tendendole la mano in un gesto che ormai considerava abitudinario, e il suo sorriso si allargò senza che potesse fare nulla appena le dita della ragazza si intrecciarono alle sue. Il grigiore e la pesantezza di quei giorni si dissipò improvvisamente, come se Evelya fosse sempre stata lì, a migliorargli le giornate. Gli era mancata così tanto, ed erano passati solo quattro giorni. Rivedendola sembrava essere trascorsa un'eternità. « Come stai, Evie? » fu la prima cosa che uscì dalle sue labbra, ancor prima di chiedersi se Zachary fosse nei paraggi a lanciargli continue maledizioni. « Mi sei mancata terribilmente, Angioletto » confessò subito dopo, stringendo la presa e avvicinandola a sé con un leggero strattone. Non riusciva a fare a meno del contatto fisico, era più forte di lui. Ne approfittò per ammirarla fasciata da un vestito che non ricordava di aver avuto l'onore di vederle addosso, e doveva ammettere che stava benissimo. Soffermandosi sul suo viso, però, sembrava le mancasse qualche ora di sonno. « Passare davanti al negozio e non vederti lì mi stringeva il cuore » esclamò, ricordando di come la sua testolina bionda facesse subito capolino tra le piante, e in quei giorni invece non l'avesse vista. « Stare con te è meglio di qualsiasi altra cosa » esclamò poi, come se si trattasse dell'affermazione più normale e ovvia del mondo, la parlantina ormai irrefrenabile. Avrebbe voluto raccontarle tante cose, delle mattinate trascorse tra visite e pranzi coi colleghi, una nuova festa a cui avrebbe voluto invitarla, che avevano ampliato il menù del fast food dove qualche volta si fermavano a mangiare proprio due sere prima. Tutto però era marginare, rispetto alla curiosità di sapere cosa aveva fatto Evelya. « Allora, cosa hai fatto in questi giorni? Zachary se n'è andato? » domandò, circumnavigando una grossa fontana e prendendo un vialetto di ghiaia affiancato da aiuole fiorite. Per un attimo gli saltò in mente di aggiungere qualche brutto aggettivo davanti al nome di suo fratello, ma si trattenne. Non riusciva a togliersi il sorrisetto dalla faccia, e ogni tanto stringeva la presa sulla mano di Evelya, come per assicurarsi che fosse davvero là. E lo era davvero.

    « Parlato » || "Pensato"

    « Noel Hamal Moore »
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    Edited by altäir - 24/11/2016, 12:59
     
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    ⚘ EVELYA SADALMELIK ⚘

    Era una domanda semplice, quasi di rito, eppure sulle prime Evelya non seppe rispondere. Come stava? Bene e male insieme, ansiosa e felice di una felicità ingannevole. Finché Noel era con lei andava tutto per il meglio, ma non sarebbe durato, quindi... « Tutto bene. Zach si è calmato e siamo riusciti a parlare civilmente. Mi dispiace molto per il modo in cui ti ha trattato ». Aveva scelto l'avversario peggiore, visto il temperamento del Demone. Con lei non si era mai permesso di alzare la voce o sbottare, però sapeva che all'occorrenza poteva essere parecchio rissoso, esattamente come Zachary. Gli stessi bambini che poco prima giocavano a far la guerra li superarono di corsa, e notò solo allora che uno dei due aveva una lunga coda felina. Mutaforma, un'altra particolarità che l'affascinava, e a cui doveva rinunciare. Al castello persino i servitori erano Angeli, non vi era posto per nessun tipo di diversità. Forse vedendola distratta, Noel l'avvicinò ulteriormente a sé, le braccia a sfiorarsi mentre camminavano. « Mi sei mancata terribilmente, Angioletto » disse con la solita naturalezza con cui diceva qualsiasi cosa, dalla più seria alla più imbarazzante, ed Evelya sentì il cuore sobbalzare nel petto. - Anche tu mi sei mancato, e mi mancherai ogni singolo giorno quando sarò partita -. Era certa che a quel punto qualsiasi parola sarebbe sgorgata in un fiume di lacrime, perciò si limitò a sorridere, sperando di essere arrossita quel tanto che bastava per confondere il silenzio con l'imbarazzo. Nonostante l'evidente assenza dal lavoro, il ragazzo era passato ogni giorno a controllare se ci fosse, non poteva sapere che aveva già comunicato le sue dimissioni. « Stare con te è meglio di qualsiasi altra cosa ». Come poteva tacere ancora? Lui era sempre così gentile, premuroso, gli doveva la verità. « Noel, io... » iniziò, dopo aver preso un lungo respiro, e la forza di volontà andò in pezzi appena vide il sorriso raggiante del rosso. « ... a-anche io sto bene con te ». Beh, era la sua ultima occasione per dire qualcosa di sensato. Sospirò e fece del suo meglio per apparire tranquilla, quasi allegra come lui, per non destare sospetti. Continuarono a chiacchierare del più e del meno - Noel chiacchierava, Evelya si sforzava di rispondere senza scoppiare a piangere - finchè il parco davanti a loro si apriva su uno spiazzo circolare con al centro una fontana d'acqua pulita e gorgogliante, solo alcuni petali caduti dagli alberi di pesco a lambire la superficie. La superarono, finendo in un dedalo ombroso e fresco, con molti meno bambini e qualche sporadica coppia che camminava a braccetto. Persino un cieco li avrebbe scambiati per fidanzati, a quel punto. « Allora, cosa hai fatto in questi giorni? Zachary se n'è andato? ». L'Angelo rise piano al ricordo del loro scambio acceso di battute, ariete contro ariete. La prospettiva di vederli andare d'accordo era lontana come un sogno. « Ha fatto proprio una brutta figura, vero? Vorrei dirti che di solito non è così, ma sarebbe una bugia ». Zachary era l'unione della caparbietà di Aidan e la freddezza di Solomon, un mix esplosivo che lo portava a cacciarsi nei guai molto spesso. « Abbiamo parlato di tante cose. A quanto pare manco anche ai miei genitori, sai? Non l'avrei mai detto ». Stava circumnavigando il problema con frasi a vuoto, ne era consapevole. D'improvviso una leggera folata di vento scosse le fronde sopra di loro, ed una pioggia di petali cadde giù lentamente, ricoprendoli come neve. Non seppe perchè, ma la cosa la fece sorridere. Forse era per l'espressione contrariata di Noel, intento a scrollarseli di dosso. « Aspetta, ce n'è ancora uno » disse, alzandosi in punta di piedi per spazzarlo via dalla chioma cremisi. Fece l'errore di guardarlo in viso, di indugiare sullo sguardo allegro e malizioso che le mandava sempre il cuore a mille. Si era innamorata del ragazzo perfetto, e non poteva fare nulla per restare con lui. Persino confessare i suoi sentimenti era inutile, a quel punto. Con Azarel escluso dalla lista di pretendenti, la madre avrebbe cercato qualcun'altro che potesse riparare al danno e l'umiliazione subita dal mancato matrimonio. « Il regalo... posso dartelo adesso? » chiese titubante, e al suo cenno d'assenso si fece coraggio. « Va bene, chiudi gli occhi ». Era stranamente collaborativo, quasi si aspettava che sbirciasse, ma non fu così. Evelya prese la lunga piuma bianca dalla tasca dell'abito, i riflessi dorati dell'attaccatura che brillavano al sole, e presa la mano di Noel ve la posò. « Puoi aprirli adesso ». Si sentì liberata di un grosso peso appena gliela porse, come se quell'unica parte di lei fosse al sicuro nella presa del Demone. Il ragazzo la guardò con aria confusa, ovviamente, ma capì che una parte di lui aveva intuito cosa significasse quel gesto. « Domani partirò per Dunne Peyhlra. Ho pensato che ti saresti scordato di un bacio sulla guancia, perciò vorrei tenessi questa ». Strinse le dita attorno a quelle di Noel, come combattuta tra il lasciargli o meno la piuma, che era un addio definitivo ed irrevocabile. La cosa migliore che potesse fare, in quel momento, era trattenere le lacrime.

    « Parlato Evie ». - Pensato Evie -. « Parlato Noel ».

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    Sentire la sua voce era come raggiungere la luce in fondo ad un tunnel completamente buio: rassicurante, ed estremamente piacevole. Incrociare le iridi dorate della ragazza gli sembrava quasi surreale, eppure lei era lì, mano nella mano con lui, era tornata. Non che fosse andata via, ma quella separazione forzata era stata devastante. E chi avrebbe pensato che si fosse innamorato così pesantemente? Lui non di certo. Non avrebbe neppure immaginato che avrebbe potuto trovare una ragazza che gli piacesse nel continente ibrido, per giunta un Angelo. Per restare lì, avrebbe anche potuto pregare affinché rimanesse a lavorare a Nimit, anche essere seguito da quel vecchiaccio di Lyander, se questo significava rimanere con lei. Okay, magari avrebbe preferito cambiare tutore, ma era disposto a tutto. Mancava almeno un mese alla fine del suo stage, ma il tempo sembrava trascorrere fin troppo in fretta, e neanche si degnava di ascoltare le preghiere di un povero innamorato, dannato. Doveva sfruttare ogni secondo, eppure i momenti che passavano assieme non gli sembravano mai abbastanza. Né le feste a cui erano andati assieme, né le passeggiate dopo il lavoro e neanche i pranzi e le cene che condividevano quasi ogni giorno. « Tutto bene » quelle due parole bastarono a riempirgli il cuore di sollievo e gioia, e si fece scappare un sospiro. Stava bene, era andato tutto bene. Aveva fatto male a preoccuparsi, sprecando solo energie e ore di sonno. « Mi dispiace molto per il modo in cui ti ha trattato » Noel ridacchiò, ripensando al loro pessimo primo incontro. Evie aveva addirittura avuto la premura di addossarsi le colpe del fratello, quando Zachary era solamente un aristocratico dai mille pregiudizi. Possibile che quei due fossero fratelli? Una fanciulla angelica e premurosa come lei non aveva nulla a che vedere con quell'essere ignorante e maleducato che era l'altro. Nello sguardo disgustato di Zachary non aveva rivisto quello dolce della biondina. « Non sa contro chi si è messo » lo disse con tono leggero, per nulla rancoroso, ma la verità era che alla prossima battutaccia gli avrebbe volentieri rifilato un pugno in pieno viso. Udendo alle sue spalle dei passi sommessi, Noel tirò a sé Evelya per lasciar passare due bambini intenti a rincorrersi con delle spade giocattolo in mano, ed entrambi i giovani li seguirono con lo sguardo fino a che non scomparirono dietro degli alti cespugli. Anche lui e Julian si divertivano in quel modo, da bambini, e ripensandoci quasi si pentì di essergli rivolto così sgarbatamente quella mattina, al telefono. Quasi, perché dopo aveva visto il messaggio di Evelya, e tutto era diventato marginale. Lo avrebbe chiamato quella sera e avrebbe espiato ogni peccato, adesso aveva altro a cui pensare.
    « Noel, io... » la voce di Evelya lo catturò di nuovo, e le rivolse un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Sembrava che fosse sul punto di dire qualcosa di importante, perciò stette in silenzio, in attesa. « ... a-anche io sto bene con te » sentirle dire una cosa del genere gli fece sobbalzare il cuore in petto e il suo sorriso, se possibile, si fece ancora più largo e raggiante. Non ce la poteva fare, quella ragazza lo avrebbe ucciso, un giorno. Come doveva prenderla? Forse era una proposta di matrimonio, in senso che stava così bene con lui che ci sarebbe voluta rimanere per tutta la vita. Non lo aveva detto esplicitamente - era timida, dai - ma era sicuro che ci fosse un significato nascosto. Avrebbe risposto di sì, comunque. « Diamine, mi hai colto alla sprovvista » rise, fissandosi sulle gote rosse di lei, per poi osservare il volto, e i capelli, lasciati sciolti sulle spalle e mossi leggermente dal vento, poi sul collo scoperto e sul vestito svolazzante, che Mirianda solo sapeva quanto potesse essere bella quel giorno e quanto le donasse. Non era normale, insomma. I due continuarono a camminare a parlare tra di loro, anche se il ragazzo non poté fare a meno di notare quante poche parole avesse pronunciato lei dall'inizio dell'incontro. Forse lui parlava decisamente troppo, e l'Angelo non riusciva ad infilarsi nel discorso. Quando lui gli porse una domanda la sentì ridere e, davvero, avrebbe potuto stare ad ascoltare quel suono per ore, giorni interi, senza mai stancarsi. « Vorrei dirti che di solito non è così, ma sarebbe una bugia » « Tranquilla, voglio incontrare te, mica lui » affermò, facendo spallucce. « Non muoio dalla voglia di conoscerlo meglio, sinceramente » ed era vero, sperava che quella fosse la prima e l'unica volta che si fossero visti, perché ne aveva abbastanza per tutta una vita. In caso contrario, avrebbe conciato quel nanerottolo per le feste. La biondina continuò, nominando addirittura i suoi genitori. Non ne avevano mai parlato. Avevano toccato l'argomento "fratelli", sì, ma dei genitori di lei sapeva ben poco. Sapeva che la madre la considerava una mera esca per attrarre giovani di buona famiglia, ma pensava ci fosse un minimo di affetto a legarli. Non avevano mai sentito la mancanza della loro unica figlia femmina? Noel fece per aprire bocca, quando una folata di vento - maledetto - fece cadere un bel po' di petali dai rami dell'albero sotto al quale stavano, facendo sì che piovessero su di loro e si posarono sui capelli e sui vestiti. Il rosso fu costretto a lasciare la mano di Evelya per riuscire a toglierseli di dosso, un cipiglio infastidito che prendeva il posto del sorriso che aveva indossato fino a quel momento. « Dai, non è possibile » si lamentò, mentre l'altra, se non altro, sorrideva. Meno male, almeno quello. La vedeva stanca, come se non dormisse da giorni, e il suo essere taciturna un po' lo preoccupava. Ma stava sorridendo, adesso, e quanto cazzo gli era mancato vederla così. « Aspetta, ce n'è ancora uno » osservò lei quando il Demone pensava di aver finito, e gli sfuggì un grugnito di disappunto. La fanciulla si alzò in punta di piedi per riuscire a raggiungere i suoi capelli, e non riuscì a trattenersi dall'inchiodare lo sguardo a quello di lei, che, per fortuna, non abbassò gli occhi. Era un incanto, e dovette resistere all'impulso di baciarla, in quell'esatto momento, adesso che ne aveva l'occasione. Sentiva lo sconfinato bisogno di contatto fisico, dato che ne era rimasto privo per giorni. Sentire le dita fresche di lei intrecciate alle sue e circondarla in un abbraccio erano diventati gesti quotidiani, che solamente facendone a meno aveva capito quanto contassero, e quanto non riuscisse a fare a meno di lei. Era troppo tardi, ormai, per cercare una via di fuga in quella situazione, ma non se ne pentiva. Lei era tutto. « Il regalo... posso dartelo adesso? » domandò lei quando si fu allontanata dal suo viso, e Noel si ricordò, tutto d'un tratto, della seconda parte del messaggio che gli aveva scritto, dove diceva che, per l'appunto, avrebbe voluto dargli un regalo di compleanno vero e proprio. Lui fece un segno di assenso col capo, e chiuse gli occhi come richiesto. « Non ce n'era bisogno, eh, mi hai già dato quel che avevo richiesto » osservò, impegnandosi a non sbirciare. Doveva essere serio, per lei sembrava una cosa importante. Non sapeva cosa aspettarsi, a dirla tutta, e quando tastò qualcosa di morbido tra le mani, senza sollevare le palpebre, se ne stupì. Aprì gli occhi quando lei glielo concesse, e guardò il viso di lei prima di guardare in basso: sorrideva, ma era palesemente triste e sofferente. Come mai? Abbassò lo sguardo, e non credette a ciò che vide. Una piuma bianca, grande. Non poteva appartenere ad un uccello. Dove l'aveva presa? Riportò l'attenzione su Evelya, terribilmente confuso, per poi tornare a studiare la piuma, rigirandosela tra le mani incredulo. Non era finta, affatto, e fin troppo lunga per appartenere alle ali di un qualche volatile. Non era la piuma di un'ala d'Angelo, vero? Non era di Evelya, vero?
    « Evie » chiamò, sentendosi un buco nero al posto dello stomaco per l'agitazione, « Che significa? » sperava solo si trattasse di qualcosa di positivo. Non conosceva le abitudine angeliche, ma magari si trattava di un'usanza della sua terra. Aveva qualcosa da dirgli, e la possibilità che non fosse andato "tutto bene" in quei giorni lo colpì in pieno. Non si trattava di una buona notizia, lo capiva guardandola in faccia. « Domani partirò per Dunne Peyhlra » Fu come se l'intero universo gli crollasse sulle spalle, e il cuore gli smettesse di battergli in petto per pochi, interminabili secondi. Non aveva sentito bene. No, decisamente no. « Ho pensato che ti saresti scordato di un bacio sulla guancia » continuava a non capire, gli occhi violacei del ragazzo a vagare su quelli chiari di lei nella speranza di trovare un qualcosa - qualsiasi cosa - che gli facesse intendere che si trattava di uno scherzo, « perciò vorrei tenessi questa » dimenticare? Come poteva? Perché avrebbe dovuto dimenticarla? Non stava per lasciare Nimit, giusto? Aveva sentito male, qualcosa non andava. « Ti prego, dimmi che ho capito male » percepì la stretta delle mani di Evelya sulle sue, e mai gli era capitato di sentirle più fredde di così. « Evie, ti prego » la sua voce non era rotta dalle lacrime, ma suonava più come una supplica disperata. Perché questo era ciò che sentiva: intesa e pura disperazione. Era destabilizzato, incredulo, e realizzare ciò che l'Angelo aveva appena detto faceva più male di ogni fitta alla gamba e di ogni pugnalata. Il silenzio della ragazza parlò da sé, e il parcò si ammutolì insieme a lei. Era come se non fosse più primavera. Aveva sentito bene, suo malgrado. Si inumidì le labbra con la lingua, alla ricerca di qualcosa di sensato da dire. « Ma a casa tua troverai lo stesso inferno di prima » disse, ripensando alla notte di pioggia quando lei gli aveva confessato di essere scappata di casa per sfuggire alla volontà e ai progetti dei genitori. Come poteva far ritorno? Si sforzò di abbassare il tono della voce, perché non voleva spaventare Evelya, ma non riusciva più a ragionare. Il cervello non gli suggeriva nulla di sensato, e si sentì mancare la terra sotto i piedi quando ricollegò l'arrivo di Zachary e il motivo per il quale si trovasse lì. Doveva portarla via. Nessuna visita di piacere. « Non posso lasciarti andare, perderai tutto ciò che sei riuscita a guadagnarti qui » strinse le dita della ragazza tra le sue, aggrappandocisi come se quella presa potesse impedire ad Evelya di andarsene, gli occhi fissi su di lei a muoversi frenetici su ogni parte del suo viso, alla ricerca di una soluzione, una scusa, un pretesto.
    « Non puoi tornare alla vita di prima, se sei scappata c'è un motivo » Era inutile negare la realtà, ma Noel non riusciva a farne a meno. La piuma era stretta nella sua mano destra, che a sua volta stringeva le dita della ragazza in un vano tentativo di convincerla a rifiutare, a ribellarsi, e a rimanere lì. Sapeva che era quella la vita che desiderava davvero. « Sono quasi impazzito quattro giorni senza di te, figurarsi non rivederti più » doveva fermarsi, decisamente, ma aveva paura, una paura enorme che lo abbandonasse, che tornasse al castello e vedersi privare di tutte le libertà che aveva acquistato nel continente ibrido, lontana dalla famiglia. « Per favore, Evie, rifiutati » Zachary avrebbe fatto di tutto per lei, no? Poteva schierarsi dalla sua parte e inventarsi qualche balla per la gente che lo aspettava nel Ludh Yhkam.
    « Perderai tutto, e anche io perderò tutto » perché la amava, cazzo, se la amava. « perché voglio stare con te, anche tutta la vita, e perché » non doveva dirlo, non avrebbe risolto assolutamente nulla. Cosa sperava, che dichiarandosi l'avrebbe fatta restare? Imbecille. Certo che no, i suoi sentimenti contavano meno di zero in quella situazione. « perché mi piaci, più del dovuto, e non posso sopportare il pensiero che ti facciano qualcosa che tu non vuoi » Il suo cervello era andato in tilt, e prese un paio di respiri profondi per tentare di calmarsi. Lo aveva detto, nel peggior modo possibile, ma in mezzo a tutto quel casino nulla gli pareva acquistasse un senso. Non poteva essere vero. Lei non poteva andarsene sul serio. Lasciò una mano della ragazza per posarla sul capo di lei, avvicinandola sé di pochi passi in un abbraccio, e incastrò il viso nella curva tra collo e spalla di Evelya, non smettendo di sperare che quello non fosse altro che un incubo. Era abituato a perdere le persone, per un motivo o per un altro, ma lei era l'unica che non voleva che sparisse dalla sua vita. Non lei.

    « Parlato » || "Pensato"

    « Noel Hamal Moore »
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    Il suo egoismo l'aveva portata a questo. Per un capriccio ora Noel non sorrideva più, e faceva male, un male fisico, al pari di una pugnalata in pieno petto. Il ragazzo le stringeva convulsamente le mani, incredulo ed affranto, e lei non riusciva a rispondere ad una sola domanda. Temeva che le parole si sarebbero trasformate in singulti, finché le lacrime radunatesi sotto alle palpebre iniziavano a sfuggirle.
    « Non puoi tornare alla vita di prima, se sei scappata c'è un motivo ». Oh dei, lo sapeva fin troppo bene! La libertà che si era presa con la forza, rinunciando a tutto, stava tornando ad essere un sogno irrealizzabile e distante, con la differenza che ora, per l'Angelo, non vi era più alcuna possibilità di redenzione. « Ascoltami, ti prego... » lo supplicò, quasi dolorante nella sua stretta. La piuma bianca stava tra loro come una bandiera di resa - la sua resa - ed Evelya non riusciva a pensare a nessuna giustificazione plausibile. Doveva dirgli di Azarel? Di quanto aveva messo in pericolo il Demone solo con la sua presenza? No, certo che no. Non poteva aggiungere preoccupazione ad altra preoccupazione. « È necessario che io parta, devo... ».
    « Sono quasi impazzito quattro giorni senza di te, figurarsi non rivederti più ». D'un tratto guardarlo negli occhi le riuscì molto difficile, soprattutto perché era conscia di avere il viso rigato di lacrime ed un'espressione miserabile. Possibile che Noel tenesse così tanto a lei? Credeva che fosse nella sua indole aiutare il prossimo, e la fanciulla era stata solo l'ennesima poveretta da consolare, probabilmente. Il fatto che si tenessero per mano sempre più spesso o che i loro abbracci durassero alcuni istanti oltre il necessario non significavano certo un attaccamento profondo. Evelya era sicura dei suoi sentimenti tanto quanto era sicura di quelli del rosso, che la considerava una specie di sorella minore da trarre in salvo. Sì, era l'unica spiegazione. « Stai esagerando. Mi conosci appena » mormorò, sorridendo tristemente delle sciocche idee che le frullavano nella testa. Se avesse continuato a fingersi tranquilla, padrona della situazione, magari anche Noel si sarebbe calmato, insieme al fastidioso pulsare del suo cuore. Alla richiesta dell'altro di opporsi alla volontà del fratello - e di tutta la famiglia - Evelya scosse subito il capo. « Non posso, Noel. Sono già fuggita una volta, e da allora ho causato solo guai ». La prospettiva di una vita da reietta, con un pretendente alle calcagna che tutto pareva fuorché un gentiluomo, la terrorizzava davvero, ma coinvolgere il ragazzo di cui si era invaghita e metterlo in pericolo... no, questo mai. Aveva il diritto di proseguire per la sua strada, diventare il grande medico che aspirava ad essere e continuare a sorridere gioioso, evitando di immischiarsi in faide tra casati angelici. « Perderai tutto, e anche io perderò tutto » disse lui, rincarando la dose, intaccando fino all'ultimo briciolo di volontà rimastole,
    « perché voglio stare con te, anche tutta la vita, e perché... ». Evelya rimase senza fiato e parole, sfilando una mano dalla sua presa per chiuderla sul petto, attorno alla stoffa leggera del vestito. Uno di loro stava delirando, e non era certa che fosse il ragazzo. Nessuna persona sana di mente avrebbe dichiarato di voler passare la vita con un Angelo indegno perfino di una dote, rigettato dalla famiglia stessa. Aveva interpretato male il discorso, chiaramente. « ... Perché mi piaci, più del dovuto, e non posso sopportare il pensiero che ti facciano qualcosa che tu non vuoi ». Per un lungo istante, la fanciulla si sentì chiusa in una bolla: il mondo spense tutti i rumori, la vista si offuscava quando provava a mettere a fuoco il verdeggiante parco che li circondava, e l'unica macchia distinta di colore era il rosso cremisi dei capelli di lui. Poi sbatté le palpebre e tornò a vedere la figura slanciata del Demone come gli era sempre apparsa. Confortante, un rifugio sicuro, un appiglio. - Non l'ha detto... non l'ha detto - ripeté a sé stessa, perché se il suo sciocco amore era corrisposto allora poteva dire addio alla felicità per sempre. Noel l'avvolse in un abbraccio così lentamente che le parve non arrivare mai, finché sentì il respiro caldo sulla pelle scoperta del collo. Era un bene che non la guardasse in faccia, per tutti e due. « T... ti piaccio in che senso? Come un'amica? » chiese, titubante, ma perfino quell'unica speranza le fu negata appena Noel fece cenno di no con la testa. Se Zachary non fosse venuto a prenderla, se il fidanzato avesse semplicemente rinunciato ad averla, se la vita avesse ripreso il suo corso, Angelo e Demone sarebbero rimasti insieme. Quella realizzazione consumò l'ultimo briciolo di compostezza. Evelya posò la fronte sulla spalla del rosso, osservando le lacrime cadere ai loro piedi e le mani ancora giunte a stringere la piuma. Non era giusto, per nessuno dei due. « Vorrei non averti mai incontrato ».
    Con un considerevole sforzo - mentale e fisico - fece un passo indietro, ritraendo entrambe le mani per pulirsi le gote umide di pianto. « Se non mi fossi innamorata di te ora non soffrirei così, e invece ho complicato tutto ». Fece il possibile per non vacillare sotto lo sguardo sconvolto di lui, consapevole che poche confessioni d'amore corrisposto dovevano essere finite a quel modo. Nelle favole che leggeva il cavaliere salvava la principessa, le giurava fedeltà eterna e la chiedeva in sposa. Ora Noel non poteva fare altro che dirle addio. « Mi dispiace, non sai quanto, ma devo tornare a casa. La mia famiglia ha bisogno di me, e non posso voltarle le spalle... non più ». Era precisamente così: con la sparizione della figlia, i Sadalmelik sarebbero stati derisi in eterno, sommersi dagli scandali, e nessuno avrebbe chiesto in moglie una donna fuggita dal primo marito in un semplice gesto di ribellione. Inoltre, fin tanto che Azarel il traditore era in circolazione non poteva vivere tranquilla.
    « Farò tesoro dei nostri momenti insieme. Quella piuma non ricrescerà mai, quindi non credo che ti dimenticherò facilmente ». Sorridere le costò molta energia, eppure ritenne giusto salutarlo con un po' meno di lacrime. Dei, ne aveva versate talmente tante che credeva fossero esaurite.
    « Sono stata... ingiusta con te. Come potrò ripagarti di tutti i favori che mi hai fatto? Non basterebbe una vita sola ». Fissandosi le dita intrecciate sul ventre, Evelya non osò alzare lo sguardo. Sapeva che il minimo tentennamento l'avrebbe ricondotta al punto di partenza, e si era impegnata tanto per non crollare davanti a Noel, per separarsi da lui con le dovute maniere. « Credimi, farei qualsiasi cosa per rimanerti accanto, ma questo è un addio ».

    « Parlato Evie ». - Pensato Evie -. « Parlato Noel ».

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    La voce flebile e arrendevole di Evelya gli arrivò all'orecchio come se fosse lontana chilometri, come se fosse già partita, quando invece la stringeva tra le braccia. Era lì, e finché l'avrebbe stretta non sarebbe scappata. Il ragazzo prese un profondo respiro, aveva davvero bisogno d'aria, e scosse la testa alla domanda dell'Angelo, mordendosi la lingua. Si stava lentamente rendendo conto di ciò che aveva appena detto, e fu come se il mondo gli crollasse addosso, ancora più pesante di prima. Che aveva fatto? Evelya se ne sarebbe andata - no, no, non poteva andarsene -, e se non lo avesse corrisposto sarebbe andato tutto in malora. Magari era troppo presto, e lui troppo espansivo, e la situazione troppo drammatica. Era tutto quanto troppo. Non voleva rendere tutto più difficile, ma diamine, neanche lui si spiegava come non fosse riuscito a cucirsi la sua stramaledetta bocca. Ah, giusto, non lo faceva mai. E ovviamente non si era reso conto che potesse essere il momento sbagliato per confessarle i suoi sentimenti, certo che no. Evelya non rispondeva, e il rosso non poté far altro che stringerla più forte a sé. Non poteva accettare che tutto questo presto gli sarebbe stato negato, non poteva partire davvero. Non per compiacere qualcun'altro, doveva pensare anche a sé stessa. A Nimit era felice, aveva costruito la sua vita, perché proprio doveva finire tutto? Gli parve di sentirla piangere, e fece risalire una mano fino alla sua nuca, le dita ad intrecciarsi coi capelli chiari di lei. L'aveva distrutta, come se lasciarsi la nuova vita alle spalle non fosse già abbastanza difficile per lei. « Vorrei non averti mai incontrato » mormorò tra le lacrime, e Noel sorrise mesto. « Io invece fingerei di essere un dottore e non un semplice apprendista milioni e milioni di volte » fece lui di rimando, ed era vero, maledettamente vero. Perché non riusciva ad immaginarsi senza di lei. Probabilmente l'avrebbe notata in mezzo anche a centinaia di persone, e si sarebbe presentato e sarebbero finiti comunque così. Evie non avrebbe comunque avuto scampo. Si sarebbe innamorato di lei e sarebbe finita male in ogni caso. L'Angelo si ritrasse dalla sua stretta, e lui la lasciò libera senza contestare, anche se avrebbe voluto rimanere in quell'abbraccio tiepido ancora un po', quell'abbraccio che era diventato un rifugio per entrambi. La guardò in viso e, sì, stava piangendo, ma tentò di porvi rimedio asciugandosi le lacrime che correvano lungo le guance. Era bellissima e disperata allo stesso tempo, e Noel sentì un tuffo al cuore quando la sentì parlare. « Se non mi fossi innamorata di te ora non soffrirei così » Non si fosse... cosa? Il ragazzo schiuse le labbra, certo di aver capito fischi per fiaschi. « e invece ho complicato tutto » Un attimo. Aveva complicato le cose perché era innamorata di lui, giusto? Non era affatto sicuro di aver interpretato il discorso nella giusta maniera, ma non riuscì affatto a gioire del lieto evento. - sempre se aveva capito bene, che anche quello era da mettere in dubbio. Non ci credeva, perché non poteva essere vero. Davvero gli piaceva? E davvero non si sarebbero più rivisti? « No, no » bisbigliò, lentamente e tristemente, l'espressione sconvolta ancora puntata sulla ragazza di fronte a lui. Non era capace neppure di formulare un discorso di senso compiuto, in quel momento. Sarebbe potuta finire bene. Avrebbero potuto continuare a vivere normalmente, insieme, nella tranquilla Nimit ancora per un mese per poi ripromettersi di vedersi ancora. Avrebbe potuto portarla fuori a cena, regalarle rose rosse ogni volta che aveva qualche spicciolo in tasca, invitarla a dormire a casa sua senza problemi di sorta e baciarla quando ne aveva voglia. Sarebbe potuta finire bene, se solo la famiglia di lei non fosse intervenuta, portandogliela via. Nessuna certezza di rivedersi, nessuna promessa. Evelya parlò di nuovo, e lui la capiva, eccome se la capiva. Erano questione da nobili che lui conosceva bene, questione di onore e legami di sangue indistruttibili. Che, in quel caso, avrebbe volentieri spezzato. E non per suo capriccio, ma perché Evelya era scappata da quel posto, non poteva tornarci. Non quando sapeva che la situazione non era cambiata e lei avrebbe desiderato di nuovo la libertà. Temeva che succedesse, anzi, purtroppo ne era quasi del tutto sicuro. Era raro che le famiglie di alto rango cambiassero improvvisamente idea per l'amore di un figlio, anche se sperava che gli Angeli fossero più clementi dei Demoni che conosceva. « Farò tesoro dei nostri momenti insieme » a quella frase fu come se qualcuno gli desse un pugno allo stomaco, perché era destinato a diventare nient'altro che un ricordo nella mente di Evelya. Un bel ricordo, magari, ma non era presente. « Quella piuma non ricrescerà mai, quindi non credo che ti dimenticherò facilmente » Noel trattenne il respiro, guardando la piuma che lei gli aveva dato e facendo attenzione a non rovinarla. Era bella, candida, probabilmente la più lunga della sua ala, ma si trattava di un regalo d'addio, e tutto avrebbe collegato ad un dono della ragazza di cui era innamorato tranne quel momento straziante. « Evie, per favore » fece con ben poca sicurezza nella voce, cosa nuova anche per lui, e si fermò quando vide che Evelya stava sorridendo. O almeno ci provava, e fu certo di non aver mai visto niente di più triste e bello, così come era sicuro che il suo cuore si era appena spezzato a metà. Vederla in quello stato era un vero e proprio supplizio. « Tutto ciò che ho fatto è stato per te, non mi devi niente » disse subito, tentando di suonare meno affranto di quel che era. Perché, sul serio, si sentiva come se avesse perso ogni cosa. Non aveva possibilità di farla rimanere? Non voleva mettersi in mezzo, ma se ne andava la felicità e il benessere di Evelya doveva pur fare qualcosa. « Non voglio costringerti a rimanere » sospirò, perché se fosse dipeso da lui e non si fosse accorto di quanto Evie si stesse impegnando per mantenere la distanza da lui avrebbe impedito con ogni mezzo la sua partenza. Per la prima volta, si sarebbe dovuto affidare alle parole, che negli anni non erano mai state sue fidate alleate. « E non voglio che tu lo faccia per me, ma almeno per te stessa » suonava al pari di una disperata supplica, lo sapeva benissimo, ma come poteva restare a guardare? Allungò lentamente la mano libera in direzione di quella della biondina, stringendola in una presa pigra e poco invadente. « Sei letteralmente sbocciata, e non devi nemmeno tener conto delle aspettative di nessuno » Lo sapeva, perché era a conoscenza del suo passato per quanto poco ne parlasse e aveva ammirato la sua lenta trasformazione giorno dopo giorno. « Per quanto io voglia stare con te, per favore, mettiti al primo posto. Non voglio che tutto ciò che sei riuscito a costruire qui risulti vano, capisci? » mano a mano, stava riuscendo ad utilizzare un tono sempre più controllato, anche se gli riusciva alquanto difficile. Perché avrebbe voluto urlare, tirare pugni ad un muro, e perché no, anche a Zachary, e la gamba continuava a fargli inspiegabilmente male. Ma soprattutto, non avrebbe mai voluto lasciar andare quella mano. « Né tu né io potremmo sopportare un addio »

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