Lesson n°1 - Don't trust me

Highschool Au - Izar x Altayr + Cain x Abel

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    Izar Al'Nair • 26 y/o • Insegnante di matematica
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    Il martedì era un giorno sacro ed inviolabile per Izar. Nessuna lezione pomeridiana, poche ore al mattino e tanto tempo libero per organizzare il resto della settimana. Verso la fine di maggio aveva verifiche su verifiche da pianificare, oltre alle lezioni supplementari per chi aveva preso brutti voti, per non parlare dei documenti da sistemare in vista del festival scolastico. Prima di buttarsi a capofitto nel lavoro, il ragazzo decise di aprire la finestra e godersi un po' di venticello, tanto per tenere il cervello attivo. Dopo pranzo gli veniva sempre un gran sonno. - Mi ci vorrebbero tre litri di caffè, a quest'ora -. Peccato che la pigrizia gli impedisse di scendere fino ai distributori automatici del piano inferiore. Sostituì il bisogno di caffeina con quello della nicotina, accendendo una sigaretta mentre attendeva che il computer tornasse in vita. - Con il prossimo stipendio ne compro uno nuovo, altroché -. Un vociare concitato nel corridoio lo fece voltare verso la porta, dove tre studentesse del primo anno irruppero insieme al profumo invitante di biscotti. « Prof, vuole assaggiare? Ne abbiamo fatti troppi! » disse la più alta, di cui in quel momento non ricordava il nome. Beh, odiava i dolci, ma rifiutare era da maleducati. Rivolse loro un sorriso sghembo e fece segno di appoggiarli sulla scrivania. « Grazie mille, ci volevano proprio ». Sospirarono tutte per il sollievo, ma non si mossero. Volevano che li assaggiasse, evidentemente. Izar deglutì. già schifato all'idea del sapore. Lui era per i gusti decisi, roba con un goccio di liquore e meno zucchero possibile, e sui biscotti a forma di cuore si intravedeva una glassa rosa. Mise la sigaretta in bilico nel portacenere e ne addentò uno, lo stomaco che si contraeva per il rifiuto.
    « Molto... buoni. Complimenti ». Gli costò uno sforzo enorme mandare giù l'impasto, un grumo di vaniglia da suicidio, per i suoi standard, e parve fingere abbastanza bene. Le studentesse lo salutarono tra mille risatine, dandosi di gomito una volta uscite, e lui corse a prendere la bottiglietta d'acqua nello zaino. Diamine, certe ricette dovevano essere bandite, tanto erano dolci. La risata di scherno della sua alunna preferita rese la sconfitta ancora più palese. « Perchè non le hai fermate? Lo sai che odio i dolci » brontolò. Altayr fece spallucce e posò due bicchieri di caffè sulla scrivania, accomodandosi su una delle due poltrone libere come le appartenesse di diritto. Si divertiva a vederlo soffrire, semplice. Izar adocchiò il bicchiere, poi la sigaretta che lo aspettava sul davanzale. Una combo perfetta per rimanere sveglio e finire il lavoro in fretta. La ragazza era stata una manna dal cielo. « Non sei con la tua amichetta bionda, oggi? » chiese, prendendo il caffè e tornando alla finestra. Da quando aveva stretto amicizia con la studentessa del primo anno si vedevano sempre più di rado, una grave perdita per il suo umore. Quando sentì il gusto amaro sulla lingua sorrise soddisfatto. Lei si che sapeva come farlo felice. La guardò di sottecchi mentre beveva la sua parte e mangiava i biscotti lasciati dal fan club, rigirandoli tra le dita con occhio critico. Nonostante il caldo pomeridiano, aveva lasciato i capelli sciolti sulle spalle, le ciocche sistemate dietro le orecchie per scoprire il viso. Anche se la divisa scolastica prevedeva una cravatta, sia per gli uomini che per le donne, Altayr la indossava di rado, il colletto sbottonato e la gonna rimborsata perché arrivasse sopra al ginocchio (una cosa che andava di moda tra le alunne più grandi). Avere le sue gambe lì, in bella vista, faceva parte della benedizione del martedì. Il fatto di non poter allungare le mani come un qualsiasi studente pervertito gli pesava un sacco, e tutte le fantasie formulate fin dal loro primo incontro dovevano rimanere tali, altrimenti addio posto fisso di insegnante. Si schiarì la voce e tornò a guardare fuori, dove una classe stava gareggiando in una staffetta. « Fai finta di studiare, almeno, sennò non posso coprirti ». La scusa del giorno era quella di una lezione di recupero privata, visti i voti pessimi della ragazza, che di fatto si trasformava in chiacchiere e caffé. Per ora ad Izar bastava trascorrere del tempo con lei a quel modo, dentro le mura scolastiche, ma non sarebbe durato in eterno. Se gli piaceva? No, "piacere" era riduttivo. Altayr era la metà che gli mancava. Sia alle superiori che all'università, l'insegnante aveva frequentato fanciulle senza tante pretese, con cui passare le giornate libere e le vacanze, ma nessuna di loro era durata più di una decina di mesi. Alla fine pretendevano di imporgli uno stile di vita diverso, o non apprezzavano le sue bizzarre abitudini alimentari, gli orari impossibili (era una creatura notturna), ed il bisogno di stare da solo che lo coglieva ogni tanto. Da quando era stato assunto a tempo pieno nella scuola fuori quartiere, Izar aveva cercato di accantonare il pensiero di trovare la persona giusta, dedicandosi anima e corpo alla professione, ma poi era spuntata lei, attaccabrighe, con la lingua tagliente e più testarda di un mulo. In classe non ascoltava una parola, anzi, a volte non si presentava proprio, così il ragazzo aveva deciso di andare a prenderla di persona, attirato da quel carattere rissoso e segretamente timido, che mostrava solo se punta sul vivo. Per la società quella sbandata che si era preso non prometteva niente di buono, ovvio, insieme al divario d'età tra i due, eppure erano talmente simili... Izar finì il caffè in un unico sorso, spegnendo dentro al bicchiere il mozzicone di sigaretta. Fine della pausa, il pc lo aspettava da troppo tempo. Si lasciò cadere sulla poltrona accanto a quella della ragazza, liberando un sospiro esasperato all'idea della montagna di lavoro che lo attendeva.
    « Ho incrociato Kevin in corridoio, prima » le disse, il ricordo dello sguardo di sfida ancora vivo nella memoria. « Credo che ce l'abbia con me perché ti tengo sempre relegata qui dentro ». In un gesto che ormai considerava abitudine, il professore le accarezzò la testa, costringendola a voltarsi verso di lui con una lieve pressione sulla nuca. Perfetto, ecco gli unici occhi che gli interessava vedere. « Ma, detto tra noi, non me ne frega niente di quello che pensa ». Le dita si richiusero tra i lunghi capelli castani, un sorrisetto a preannunciare le sue cattive intenzioni. Una rapida occhiata alla porta e fu subito sulle labbra della studentessa, da prima contratte per l'improvvisata, poi man mano più rilassate sulle sue. Aveva il gusto di quei maledetti biscotti mescolato al caffè macchiato, e non importava. Purtroppo fare attenzione era la loro priorità, specie quando la scuola era ancora aperta e piena di possibili spioni. Delle voci all'esterno costrinsero l'insegnante alla ritirata, e lui rise dell'espressione stizzita di Altayr. « Fai la brava e studia un po', magari torni di un colore normale ». Accarezzò con il dorso della mano una sua guancia arrossata, altamente insoddisfatto del breve bacio appena scambiato. Non che servisse cronometrarli, ma approfondire la questione non gli sarebbe dispiaciuto, per una volta, e lei era diventata fin troppo esperta per starle alla larga. Colpa di tutte le lezioni supplementari, senza dubbio.
    Inforcati gli occhiali, Izar si mise a sfogliare le ultime verifiche del secondo anno, cercando di proposito il cognome Windstorm nella casella in alto. Aveva riempito il campo degli esercizi con formule scritte per metà, insieme a disegni indecifrabili e risposte errate. « Devi impegnarti sul serio, Altayr. Ti voglio fuori da questa scuola il prima possibile » commentò, mentre cerchiava i primi errori con la penna rossa. Desiderava solo stare con lei alla luce del sole, senza bisogno di nascondersi come ladri. Chiedeva troppo?

    « Parlato » - Pensato -
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    La fine della scuola poteva essere vista come una benedizione, oppure no. Si avvicinava il caldo, l'ozio, le vacanze, e anche i festival scolastici e non, ma arrivare al termine dell'anno scolastico voleva anche dire verifiche, verifiche e ancora verifiche. Per gli studenti fannulloni come Altayr si aggiungevano anche i corsi di recupero pomeridiani, che diciamolo, non erano la cosa più divertente del mondo. Fatta eccezione per quello di matematica: il martedì era diventato il giorno della settimana che attendeva con più trepidazione. La maggior parte dei suoi pomeriggi erano occupati dai corsi di recupero e la preparazione per l'imminente festa dello sport, ma Altayr non se ne lamentava. Quei corsi erano l'unico momento della giornata in cui riusciva a trascorrere un po' di tempo con Izar. O meglio, il professor Al'Nair, ma ormai erano così in confidenza da permettersi di chiamarlo per nome e dargli del tu. Tuttavia, la ragazza era solo una delle tante persone presenti nella scuola, e il via vai di studenti che osservava ferma davanti alla macchinetta del caffè ne era la prova lampante. Almeno non era l'unica a non brillare per i risultati scolastici, si sentiva un po' meno sola. Il distributore emise un suono sostenuto e metallico, segno che anche il secondo caffè era pronto. Lo prese con una mano, attenta a non scottarsi, e imboccò le scale che portavano al primo piano, dove si tenevano i corsi di recupero. Il corridoio era silenzioso rispetto a quello del piano inferiore, se non fosse stato per un gruppetto di studentesse ferme proprio davanti all'aula che le interessava, quella di matematica. Altre ragazze del fan club del giovane professore, evidentemente. Perfino dall'inizio del corridoio si riusciva a sentire il buon profumo dei biscotti che avevano preparato per donarli ad Izar. Altayr avrebbe potuto benissimo farle togliere di lì con un'occhiataccia e una delle sue frasi poco gentili, ma non lo fece, anzi, si appoggiò ad una colonna e rimase in attesa ascoltando le voci squillanti delle tre ragazze indecise sul da farsi. Izar odiava i dolci, sarebbe stato uno spasso assistere al teatrino. Quando le vide entrare, la studentessa si avvicinò a passo leggero alla porta, sbirciando all'interno. Il professore se ne stava vicino alla finestra con un'espressione da immortalare, lei che lo conosceva riusciva a capire che stava fingendo, e fu faticoso riuscire a trattenere una fragorosa risata. Era palese che i biscotti appena ricevuti non gli piacessero, ma riuscì a nasconderlo con un sorriso di circostanza e un complimento. Le tre studentesse lasciarono la stanza tra gridolini estasiati, dirette verso l'aula dei corsi di inglese in fondo al corridoio. Una volta scomparse, Altayr fece la sua entrata ridendo della scena a cui aveva appena assistito, e Izar, bottiglia d'acqua alla mano, non poté che indirizzargli un'occhiataccia in tralice. « Buoni i biscotti, eh prof? » fece continuando a ridere, mentre la porta si richiudeva alle sue spalle. « Perché non le hai fermate? Lo sai che odio i dolci » la ragazza fece spallucce, un'espressione fintamente innocente dipinta in viso, e appoggiò i bicchieri di caffè sulla scrivania, dove troneggiava un computer attorniato da chissà quanti fogli. « Chissà » disse, per poi sedersi su una poltrona libera, proprio di fronte alla scatola di biscotti. Ne prese uno in mano, e prima di metterlo in bocca non poté fare a meno di notare la forma a cuore e la glassa rosa. Ecco, in quei momenti la gelosia veniva a galla, e il non poter farla fuoriuscire era devastante. Non si era presa una cotta per un normale studente, e la loro relazione non poteva essere sbandierata ai quattro venti. Ergo, a scuola non dovevano destare alcun sospetto ed erano costretti a vedersi in posti improbabili e sempre mantenendo i sensi all'erta. Di conseguenza, non poteva impedire a nessuno di mostrare effusioni nei confronti del professore, e la sua indole possessiva ne risentiva alla grande. Vedere le studentesse girargli attorno le mandava il sangue al cervello, anche con la consapevolezza che loro non sapessero del rapporto che intercorreva tra i due. Rigirò il dolcetto tra le dita con un gran desiderio di sbriciolarlo, invece lo mise in bocca. « Non è così male, su » disse, portandosi alle labbra un sorso di caffè. Era una bomba alla vaniglia, ma Altayr adorava le cose dolci, al contrario di Izar. Accavallò le gambe, buttando uno sguardo alla pila di fogli più vicina. Si trattava di verifiche da correggere, e un po' più in là c'erano dei documenti da compilare. Anche il lavoro degli insegnanti veniva duplicato alla fine dell'anno, dovendo occuparsi dei recuperi e dei documenti dei festival, qualche docente era addirittura responsabile di un club. L'unica cosa ad incoraggiare studenti e insegnanti in questo periodo infernale erano le vacanze estive. « Non sei con la tua amichetta bionda, oggi? » domandò Izar, avvicinandosi per prendere il caffè per poi tornare vicino alla finestra, e in quel momento l'odore di fumo le pizzicò il naso. L'aveva colto nella sua pausa sigaretta. « Come puoi ben vedere » sorrise, mettendosi in bocca un altro biscotto. Evelya non aveva certo bisogno dei corsi di recupero, brava com'era. Le due si incontravano solo la mattina, in infermeria, al cambio dell'ora o a ricreazione. A volte pranzavano anche insieme, se riusciva a beccarla in mezzo alla folla che si creava all'una. Lei era la sorella minore che non aveva mai avuto, e la considerava davvero come tale. Questo comportava però anche meno tempo per vedere Izar, come se quello a disposizione fosse tanto. « Oggi sono tutta per te » aggiunse, arrivando a metà caffè con un sorso. Lei se la prendeva comoda, nonostante il recupero che in teoria avrebbe dovuto fare. Con la coda dell'occhio, la sua attenzione cadde su Izar, che stava guardando fuori dalla finestra. Non c'era da meravigliarsi se le studentesse lo placcavano in corridoio ogni volta che gli si presentava la possibilità, bello com'era. Il sole primaverile colpiva la sua figura, facendo sembrare più chiari i capelli color carbone. E pensare che all'inizio non poteva sopportarlo, dato che cercava in tutti i modi di convincerla a presentarsi alle lezioni, e lei gli rispondeva in modo sgarbato, fregandosene del rispetto che avrebbe dovuto portargli in quanto insegnante. Chi l'avrebbe detto che avrebbe finito per innamorarsene? Col passare del tempo, Izar si era rivelato un ragazzo in grado di tenere testa al suo orgoglio e alla sua impetuosità, cosa che credeva possibile solamente per Kevin, suo amico d'infanzia. Non avrebbe saputo dire in che momento se ne fosse innamorata, semplicemente si era accorta che vederlo sorridere a causa sua la riempiva in un modo di cui non si sarebbe mai stancata. E poi il batticuore che le prendeva in sua presenza parlava da sé. Erano molto simili tra loro, ma allo stesso tempo ognuno compensava le mancanze dell'altro - lui aveva la pazienza che a lei mancava ad esempio, o il buon senso. Tra tutte spiccava, tuttavia, la loro differenza d'età e i ruoli che occupavano all'interno della scuola: nessuno dei due sembrava darci molto peso, eppure, per la società, erano presupposti totalmente sbagliati. E i due avevano scelto di correre il rischio.
    Altayr si ragguardò dal distogliere lo sguardo quando vide il professore avvicinarsi e prendere posto accanto a lei, fingendosi interessata ai biscotti a forma di cuore. « Ho incrociato Kevin in corridoio, prima » la studentessa annuì per fargli capire che lo ascoltava, finendo finalmente il caffè. Sapeva dell'antipatia dell'amico nei confronti del loro insegnante di matematica, che a sua detta le rubava del tempo prezioso costringendola a frequentare dei corsi supplementari all'infuori dell'orario scolastico. Altayr non poteva far altro che fingersi d'accordo, non potendogli dire che invece apprezzava le lezioni extra. « Credo che ce l'abbia con me perché ti tengo sempre relegata qui dentro » Ad Altayr scappò una risatina, mentre il ragazzo le accarezzava il capo. « Può essere » disse, fino a quando la lieve pressione delle dita di lui non la costrinsero a voltarsi in sua direzione. Oh cielo, quegli occhi verdi erano la sua debolezza. « Ma, detto tra noi, non me ne frega niente di quello che pensa » quell'ultima frase le provocò un'improvvisa accelerazione del battito cardiaco, unita al fatto che il viso di Izar fosse molto vicino al suo. Non le diede il tempo di replicare perché fu colta alla sprovvista da un bacio fugace da parte del professore. Sentiva chiaramente il sangue salirle alle guance, Izar l'avrebbe sicuramente presa in giro. Sapeva che sarebbe stato un bacio breve, quindi fece il possibile per imprimere la pressione e la morbidezza delle labbra di lui sulle sue. Inutile, non si sarebbe mai abituata a quella sensazione paradisiaca che provava quando la baciava. E il fatto di non poterlo fare quando voleva, in mezzo alla folla di studenti o al cancello della scuola come facevano le sue coetanee la faceva star male. L'insegnante si allontanò appena delle voci all'esterno giunsero alle loro orecchie, e come previsto, lui sghignazzò dell'espressione indispettita e del rossore della ragazza. « Abbi almeno la decenza di addossarti la colpa » replicò Altayr, mentre il dorso della mano di lui passava su una delle sue guance accaldate. La ragazza sorrise inconsapevolmente, finché il professore decise di cominciare a svolgere il lavoro che si era tenuto per il pomeriggio. Da parte sua, la studentessa afferrò il bicchiere di plastica che aveva lasciato sulla scrivania e mirò al cestino di fianco alla porta come se dovesse tirare a canestro. Lo centrò al primo colpo, l'osservazione del docente a coprire la sua esultanza. « Devi impegnarti sul serio, Altayr » La ragazza lo sguardò in tralice, sbuffando. Sapeva che prima si sarebbe messa sui libri e prima avrebbero potuto stare insieme anche fuori dalla scuola, ma c'erano materie in cui veramente era un caso perso, non importava quanto si impegnasse. Ecco, una di queste era matematica, insieme alle altre materie scientifiche. « Ho preso 83 ad inglese la settimana scorsa. E ho recuperato letteratura » esclamò, orgogliosa di sé stessa e dei suoi risultati, appoggiando i gomiti sulla scrivania di fianco al compito che Izar stava correggendo. Le venne da ridere quando si accorse che si trattava del suo, pieno di segni rossi. « Sbaglio, o ho fatto meno errori dell'altra volta? » che era tutto dire. Ormai lei e Cain Skriker, un suo amico del terzo anno, facevano a gara a chi andava peggio in matematica. Un 30 o un 40 le avrebbe alzato la media, in pratica. Le lingue straniere sembravano l'unica cosa in cui potesse definirsi brava, le altre materie le aveva tutte appena sopra la sufficienza e le bastava un niente per guadagnarsi un paio di settimane di lezioni supplementari. Scienze, matematica e fisica ci aveva rinunciato. Lo scorso anno era riuscita a recuperare all'ultimo solamente grazie a un qualche favoloso miracolo e a quell'angelo di Kevin, che aveva sacrificato numerose notti per cercare di ficcarle qualche nozione scientifica in testa.
    Buttò uno sguardo fulmineo alla porta chiusa, e dopo essersi assicurata che nessuno fosse nei paraggi, Altayr cominciò a giocherellare con le ciocche ribelli del ragazzo, mentre si impegnava a far roteare una penna nella mano libera senza farla cadere. « Ci sarai al festival sportivo quest'anno, vero? » chiese, poggiando la penna sulla scrivania e sorridendo verso di lui. « Gareggio in quasi tutte le discipline. Stracceremo quelli del terzo anno, me lo sento » continuò imperterrita, elettrizzata all'idea di strappare loro il titolo conquistato l'anno prima. E neanche il pensiero che Izar avrebbe potuto fare il tifo per lei dagli spalti le dispiaceva, anzi. Questo l'avrebbe spinta a dare il meglio di sé in ogni gara. « E... hai qualche programma per quest'estate? » chiese ancora, sollevando lo sguardo verso di lui. Non sarebbe stato male riuscire ad incontrarsi nei mesi di vacanza, con più tempo libero e meno probabilità di incappare in presenze indesiderate.

    « Parlato » || "Pensato"


    altayr clarity windstorm

    studentessa II anno ♦ 18 anni ♦ « She looked the way danger felt »

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    Edited by altäir - 20/8/2016, 14:47
     
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    Nell'ora della pausa pranzo, Cain aveva già cercato in tutti i posti possibili: l'aula di fisica, quella della lezione precedente, la sala insegnanti, l'angolo di giardino più silenzioso e l'infermeria. Niente, del professore nemmeno l'ombra. Diede un morso rabbioso all'ultimo pezzo di panino e guardò oltre le vetrate del corridoio con aria scocciata. Non era un po' troppo grande per giocare a nascondino? E gli riusciva pure bene, maledizione a lui. Fuori faceva abbastanza caldo per indurlo a cercare un posto adombrato dove fare il lupo solitario, ormai conosceva le abitudini di Mr. Gytrash troppo bene, e allora perchè non c'era? Delle studentesse del primo anno lo salutarono in coro, e rivolse loro solo un cenno con la mano libera (l'altra teneva il sacchetto del pranzo con il secondo panino e due succhi di frutta). La più coraggiosa gli chiese se avrebbe partecipato al festival dello sport, domanda retorica. « Ovvio, e manterremo il nostro primato! Se Windstorm pensa di fregarcelo è un'illusa ». Tutti a scuola sapevano della loro rivalità, che fuori dal campo si trasformava in cameratismo e una specie di amicizia. Peccato che entrambi odiassero perdere. Ricevette un mucchio di auguri e due quadrifogli porta fortuna, che decise di mettere nel tesserino scolastico nonostante non fosse per niente superstizioso. Erano pur sempre rari da trovare.
    « Strano non vederti a ripetizioni di fisica » azzardò una ragazzina dagli occhi tondi di bambola e due codini, aggrappandosi al suo braccio in modo confidenziale. Andava benissimo, più pecore nell'ovile c'erano e meglio era, ma ultimamente la sua attenzione era rivolta altrove. « Oggi ho preso una pausa ». La studentessa interpretò la risposta come un "sono libero, prendetemi pure", perché iniziò a strattonarlo verso le scale. « Eh sì, oggi il professore aveva l'aria di voler stare da solo. Lo abbiamo visto con uno dei suoi libri difficili sotto braccio. Beh, vieni con noi in giardino? ». Nella testa del giovane si accese una lampadina a quell'affermazione, e sgusciò via dalla presa di ferro per dirigersi al piano superiore, lasciando le pecorelle sole a piagnucolare. - Come ho fatto a non pensarci prima? -. Salì i gradini a due a due, nemmeno lo inseguisse una mandria di bufali, fino ad arrivare alla porta scorrevole che dava sul tetto. Gli studenti non avevano accesso a quell'area, ma gli insegnanti sì, e quando si aprì senza fare resistenza Cain esultò internamente. Un bel venticello lo invitò ad andare avanti, i capelli rossi in balia della corrente, mentre sopra di lui si apriva un cielo terso privo di nuvole. Sì, sembrava proprio il posto che lui avrebbe scelto per meditare in silenzio. Girò attorno alla piccola struttura e... bingo! Tana per il professore. « Complimenti, che bel posticino ». Gli fece un gran sorriso, contrapposto alla smorfia disgustata dell'albino che aveva appena concluso il suo ritiro spirituale. Poco male, l'avrebbe seguito in capo al mondo, se fosse stato necessario. Scivolò con la schiena contro la parete e prese posto vicino a lui, spostando un paio di quaderni ed una penna. Come poteva rilassarsi studiando era un mistero. « Ho preso il tuo succo preferito. Hai fame? Ho un panino in più. No, non devi ringraziarmi » disse, apparecchiando sopra al sacchetto di plastica un piccolo pic-nic. Oltre al panino aveva recuperato anche una confezione di Pocky alla fragola, perché prendere per la gola il suo insegnante era diventato quasi un dovere. Da un paio di settimane a quella parte comprava sempre il pranzo per due nella speranza di dividerlo con lui, ma Gytrash si era fatto molto più sfuggente nell'ultimo periodo, che fatalità coincideva con il giorno in cui gli aveva confessato i suoi sentimenti. Una coincidenza? No, non sembrava. Cain ci aveva provato a mettere da parte quello che provava per lui, sul serio, eppure ogni volta che lo incrociava nei corridoi o prendeva parte a una sua lezione ci ricascava. Quei burrascosi occhi grigi erano stati la sua rovina fin dal primo giorno di scuola, e di solito gli uomini non li calcolava nemmeno. Chissà cosa c'era in lui che lo rendeva indispensabile come ossigeno. Lo studente buco il brick con la cannuccia e prese un lungo sorso di succo, una gamba distesa e l'altra piegata, a sostenergli il mento con il ginocchio. Provava un gran senso di pace vicino a lui, una presenza pacata e tranquilla che nascondeva un caratterino niente male. Gli veniva voglia di stuzzicarlo, ma si trattenne per non rovinare il momento. « Evitarmi ti fa sentire meglio? Perché io sto da cani » confessò di getto, fissando con l'occhio buono un aereo che solcava il cielo in lontananza. Imporre la sua presenza a qualcuno era sbagliato, non poteva pretendere che Gytrash lo ricambiasse senza riserve e punto. Allora per quale ragione non riusciva a fare a meno di lui? Fece un gran chiasso quando arrivò alle ultime gocce di succo, accartocciando il brick e tenendo solo la cannuccia a mo' di sigaretta. « E' perché sono uno studente, o perché proprio non ti piaccio? Posso trovare un rimedio ad entrambe le cose ».
    Con i giusti abiti Cain poteva passare per un adulto fatto e finito, e migliorare sé stesso per piacere al professore non richiedeva un grande sforzo. Era arrivato al punto da sacrificare qualsiasi cosa, una novità assoluta per lui. Si voltò nella sua direzione, riuscendo a catturare un baluginio delle iridi argentate prima che l'altro guardasse altrove. Ecco, questo un po' lo irritava. « Abel » chiamò, senza onorifici di sorta, « vorrei mettermi con te ».
    La sua tendenza a dire tutto ciò che pensava poteva piacere come no, e l'insegnante era un tipo riservato. Arrossì quasi subito per sommo piacere dell'altro, che però in quel momento era terribilmente serio e deciso ad arrivare al dunque.
    « Non è un capriccio, e non ho intenzione di mollarti tanto in fretta ». Il fatto che fossero studente e professore contava meno di zero, Cain lo voleva come avrebbe voluto un qualsiasi coetaneo. Certo, frequentarsi apertamente era un rischio, ma conosceva qualche bel posto appartato dove non sarebbero stati scoperti. A tutto c'era un rimedio. « Guardami, almeno ». Perfino in classe evitava il suo sguardo, mentre lui seguiva ogni piccolo gesto come fosse il più prezioso. Lo adorava, era troppo tardi per rimangiarsi tutto e tornare a uscire con qualche ragazza che lo ammirava solo per il suo fisico e la bravura nello sport. Ormai era diventata una sfida personale quella di fare suo il povero albino. Una volta catturato il suo sguardo riluttante, Cain sorrise soddisfatto. « Mi piaci sul serio, anche se sei un secchione e abbiamo sette anni di differenza ».
    I loro problemi non si riducevano a quei soli due motivi, peccato che il ragazzo si rifiutasse di accettare la realtà. « Vorrei sapere la tua risposta adesso, professore ».

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    Cain Asriel Skriker - Studente III Anno - 19 anni

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    Le urla degli studenti durante la pausa pranzo si udivano anche dal tetto, ma non importava. La sua oasi di pace era rimasta inviolata fino a quel momento. Dopo quasi sei ore di lezione, tutto quel silenzio gli sembrava surreale. Maggio era un mese terribile, e non solo per le interminabili verifiche, le lezioni di recupero all'ultimo momento e l'organizzazione dei festival scolastici, ma anche per il caldo e il sole che cominciava a farsi spazio tra le nuvole. Quel martedì era una giornata soleggiata, in effetti, fin troppo per i suoi gusti. Abel sopportava poco il calore, ogni volta che era costretto ad uscire ai raggi del sole era una tortura. Per fortuna dietro la piccola struttura al centro del tetto dell'edificio scolastico trovò un po' d'ombra, e si mise subito seduto con le spalle al muro, i cracker comprati quella mattina al distributore automatico in mano. Erano tutti schiacciati, ormai immangiabili, e aveva una fame tremenda. La sera non aveva cenato, e non aveva neppure colazione, preso com'era dagli impegni scolastici. Essere un insegnante era davvero dura, ma chi glielo aveva fatto fare? Il suo cervellone gli aveva fatto ottenere il posto facilmente, ma lo stress e la dinamicità che comportava quella professione non faceva proprio per lui. Per non parlare del contatto giornaliero con studenti, genitori di questi e personale scolastico. Era un disastro nei rapporti umani. Tra gli alunni suscitava reazioni contrastanti: chi lo giudicava intrigante per il suo carattere chiuso - pensavano probabilmente che dovesse nascondere un misterioso segreto - e chi invece non lo poteva proprio vedere, così come Abel non poteva sopportare chiunque invadesse il suo spazio privato. In un anno era riuscito a fare conoscenze per sua fortuna, come Dianne, la gentilissima vice-preside, o Cain, uno studente del terzo anno che non riusciva a togliersi dalla testa. La pausa pranzo era, per lui, come una manna dal cielo, l'unico momento in cui riusciva a starsene per i fatti suoi senza dover badare a nessuno. Alzò lo sguardo verso il cielo sereno, rinunciando alla prospettiva di mettere qualcosa sotto i denti. Se sua madre avesse scoperto che mangiava poco e niente sarebbe stata capace di ucciderlo. Non vivevano sotto lo stesso tetto da anni ormai, e da quando aveva comprato il suo primo appartamento seguiva una dieta irregolare e faceva le pulizie di rado, dati i suoi impegni universitari e poi lavorativi. Poteva anche possedere la mente ingegnosa di Einstein, ma era incredibilmente disordinato. Solo nella sua testa i dati erano archiviati secondo un preciso ordine, altrimenti in camera sua l'unico angolo curato era quello dei libri. Buttò con un gesto noncurante il pacchetto di cracker, che finì a qualche metro da lui, e prese dai pochi volumi che si portava dietro un quaderno e qualche matita, aprendo poi il libro che utilizzava per le lezioni per trovare qualche problema da svolgere. I compiti ancora da correggere li aveva lasciati in sala insegnanti, ma non aveva alcuna voglia di rivedere le verifiche dei suoi studenti. Li avrebbe lasciati per la sera, tanto non riusciva mai a prendere sonno prima delle una. Smise di girare le pagine quando notò due esercizi non segnati, e decise di fare quelli. Uno era decisamente troppo semplice, ma il successivo presentava ben tre pallini di difficoltà, i suoi preferiti. Prese subito a scrivere formule e numeri sul foglio, il libro poggiato sulle gambe, e concentrato com'era non aveva sentito il tonfo della porta che si chiudeva. « Complimenti, che bel posticino » la voce calda di uno dei suoi studenti gli fece alzare la testa, incrociando l'occhio smeraldino di Cain Skriker. Abel non rispose, convinto che l'espressione scocciata che aveva dipinto in viso parlasse da sé. Seppur non volente, non riuscì ad impedire che il cuore saltasse un battito. Era sempre così quando lo vedeva, anche se cercava in tutti i modi di evitare il suo sguardo a lezione o nei corridoi, e durante le pause si nascondeva, non era così difficile. Peccato che l'altro sembrava intenzionato a non lasciargli scampo. Solitamente non sopportava le persone invadenti, ma Cain, fin dal suo arrivo all'istituto, sembrava intenzionato a metterlo a suo agio. Lo aveva preso sotto la sua ala protettiva fin dal primo giorno, e seppur l'albino avesse tentato di tenerlo a bada, il suo sorriso sincero era sempre un toccasana per il suo perenne cattivo umore. Era una ventata di entusiasmo nel grigiore che pervadeva l'animo dell'albino, ma non era una presenza fastidiosa. Non gli dispiaceva passare del tempo insieme, eppure adesso inventava ogni genere di scuse per evitarlo. Era cambiato tutto da quando lo studente gli aveva confessato di provare qualcosa per lui, sconvolgendo lo statico mondo di Abel. « Hai fame? » il rosso fu irruente come al solito, rimpiazzando il quaderno che stava utilizzando per fare l'esercizio con un pic-nic improvvisato. « Non così tanta » rispose lui, ma dovette fare uno sforzo enorme per far uscire la voce. Era da settimane che non gli rivolgeva la parola, non ricordava nemmeno se lo avesse interrogato. Aveva fatto di tutto per sottrarsi ad ogni contatto con il suo studente. Patetico, ma dal suo punto di vista necessario. Il ragazzo esibì un brick di succo all'arancia, un panino ancora rilegato nel sacchetto di plastica e una scatola di pocky che notò immediatamente. Abel aveva un debole per i dolci, e Cain lo sapeva bene. « No, non devi ringraziarmi » l'albino lo scrutò di sottecchi, mentre beveva il suo succo. Di solito esibiva un sorriso spavaldo, ma era evidente di come fosse perso nei suoi pensieri. Il professore, da parte sua, era teso come una corda di violino, e non sapeva se definirla una sensazione spiacevole o meno. Dopo un paio di minuti di silenzio, tempo in cui Cain finì il succo fino all'ultima goccia, scartò il panino, e al primo morso gli sembrò di non aver toccato cibo da anni. Eppure non aveva mai troppo appetito, ma i suoi pasti miseri e sregolati non venivano mai intervallati con un pranzo o una cena degni di questo nome. « Evitarmi ti fa sentire meglio? » Lo stomaco, a quelle parole, gli si chiuse di colpo, e il panino non sembrava più saporito come pochi istanti prima. « Perché io sto da cani » Abel evitò di proposito il suo sguardo, richiudendo il panino nel sacchetto. Dal tono di voce non sembrava arrabbiato, piuttosto deluso e impaziente. Evitarlo non lo faceva sentire meglio, affatto, aveva solo peggiorato le cose. Pensava che potesse funzionare, che Cain avrebbe ricominciato a vederlo solo come un amico, e che soprattutto lui stesso avrebbe smesso di pensare al suo studente troppo frequentemente rispetto alla norma. Tutto maledettamente inutile, e ciò che aveva fatto non era riuscito a fargli schiarire le idee. « E' perché sono uno studente, o perché proprio non ti piaccio? » L'albino mantenne la sua solita compostezza, nonostante avesse voglia di urlargli che no, lui non aveva fatto nulla di sbagliato. I loro ruoli all'interno del sistema scolastico erano di sicuro un problema e che la società vietava relazioni del genere, ma ora come ora il problema era che non sapeva cosa stesse succedendo nella sua testa. Non poteva innamorarsi di lui, non doveva abbassare la guardia. Cain era capace di inibire ogni muro da lui costruito, e si era insinuato nella sua testa e nel suo cuore un po' troppo a fondo. Il rosso non poteva essersi preso una sbandata per lui, era sbagliato. Era giovane e popolare, gli sarebbe stato solo d'intralcio. E poi, sul serio, che ne avrebbe fatto di un musone come lui? Poteva ad ambire a molto meglio, perché proprio Abel Gytrash? Perché non una relazione normale con una delle tante belle studentesse che frequentavano quella scuola? « Abel » Lo osservava sempre con la coda dell'occhio, e alzare lo sguardo su di lui si rivelò più difficile del previsto. Guardarlo in viso gli provocò un'improvvisa accelerazione del battito cardiaco, fu come se il macigno di pietra che era convinto di avere nel petto fosse tornato a vivere.« Vorrei mettermi con te » Quello era decisamente troppo. Si portò una mano sul volto, coprendo il rossore delle guance, e rivolgendo di nuovo lo sguardo a terra. Lo stava mettendo con le spalle al muro, e non gli piaceva. Non sapeva cosa dire o cosa fare, non trovava alcuna risposta logica. « Non è un capriccio, e non ho intenzione di mollarti tanto in fretta » Sembrava che lo studente gli avesse letto nella mente, perché aveva risposto a una delle tante domande che gli frullava in testa da tempo immemore. Gli credeva, era così convinto delle sue parole, ma non avrebbe funzionato, e non per mancanza di serietà o volontà. Doveva tenere a bada i sentimenti. Abel alzò di nuovo gli occhi sul giovane Skriker, e percepì un lungo brivido lungo la schiena. Perché doveva prendersi cotte per persone non alla sua portata? « Mi piaci sul serio, anche se sei un secchione e abbiamo sette anni di differenza » « Anche se sono un secchione? » Abel alzò un sopracciglio, non troppo convinto che si trattasse di un complimento. Sollevò lievemente gli angoli della bocca, appoggiando la nuca al muro dietro di lui. Anche se era un secchione, che carino. « Vorrei sapere la tua risposta adesso, professore » Quello che temeva. Non aveva avuto abbastanza tempo, o forse anche troppo, ma era in trappola. Avrebbe dovuto continuare a scappare, anche se il suo istinto gli consigliava di restare con Cain, e di rimanerci più a lungo possibile. Mai seguire l'istinto, la ragione porta sempre la miglior soluzione, ma in questo caso non riusciva a trovarne neppure una. L'albino sospirò, in preda al nervosismo che seppe nascondere bene, ma l'occhio di Cain gli scavava sotto pelle, dentro l'anima. Era come se non potesse nascondergli niente. « Non ho una risposta Skriker, solo tanti dubbi » esordì, non avendo la minima idea di come spiegargli il casino che aveva in testa. « Non penso di essere la persona giusta per te » semplice e conciso. Non era stato così difficile, ma dirlo non fece altro che appesantirgli l'enorme macigno che sentiva di avere al posto del cuore. « Non dubito dei tuoi sentimenti, ma li stai nutrendo per uno come me, quando hai tante altre possibilità di gran lunga migliori » non si preoccupava di scegliere neppure le parole da utilizzare, ma era difficile da esporre a qualcuno di esterno. Abel aveva bisogno di lui, gli migliorava le giornate e riusciva a farlo ridere, ma Cain no, Abel non sarebbe stato capace di dargli nulla in cambio. Il rosso continuava a scrutarlo, e aveva davvero paura che potesse vedere di come avrebbe voluto dirgli tutto il contrario, che avrebbe voluto provarci, che non era affatto male come possibilità. Che avrebbe voluto stare con lui. Ma non era giusto per Cain. « Ti farei solo perdere tempo » quelli erano i momenti in cui avrebbe desiderato saper esprimere meglio ciò che provava, invece il suo tono freddo appesantiva solo l'atmosfera. Cosa gli costava dire di sì? Ben poco, andando incontro ai desideri di entrambi, ma non lo fece. Tuttavia, non riusciva neppure a dirgli di no. "Merda"

    « Parlato » || "Pensato"


    abel cyril gytrash

    professore di fisica ♦ 26 anni ♦ « Buried pain can become a hurricane »

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    Izar Al'Nair • 26 y/o • Insegnante di matematica
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    Il professore avrebbe dovuto sentirsi molto più che colpevole per aver abbordato una studentessa, e invece gli sembrava il corteggiamento più naturale del mondo. Ascoltò dei progressi fatti dalla ragazza con un mezzo sorriso, parte del cervello concetrata nella correzione del compito. Tutti avevano materie preferite e odiate, e guarda a caso Altayr detestava la matematica, mentre Izar si sarebbe crogiolato nella logica rassicurante dei numeri notte e giorno. « Sbaglio, o ho fatto meno errori dell'altra volta? » indagò, forse sorpresa di vedere così pochi segni rossi sulla verifica. Che finalmente le ripetizioni iniziassero a dare i loro frutti? Il moro posò la penna una volta cerchiata l'ultima incognita ed aver scritto un cinquantotto sul davanti. « Ci sei quasi. Potrei commuovermi ». Anche se era pazzo di lei non aveva intenzione di viziarla e renderle tutto più facile, l'avrebbe solo danneggiata. Era importante che capisse, che se ne andasse dalle superiori con una buona media. Gli altri insegnanti l'avevano sotterrato di complimenti anche solo per essere riuscito a far frequentare tutte le lezioni alla studentessa ribelle, d'altronde. Optò per passare alla verifica successiva con un sospiro, sistemando meglio gli occhiali, quando il tocco leggero delle dita di Altayr tra i capelli rischiò di fargli venire un mezzo infarto. Era lei la più cauta, tra i due, cos'era quell'attentato al suo autocontrollo? Finse di non averla notata, ma gli sfuggirono tre errori di fila nel mentre. « Ci sarai al festival sportivo quest'anno, vero? ». Disse che sì, era costretto ad assistere in quanto supervisore delle seconde, e omise il fatto che si fosse proposto con insistenza solo per seguire le prodezze della ragazza da vicino. Era una forza della natura, ci voleva un atleta del terzo anno per tenerle testa, e tutti sapevano quanto Skriker fosse competitivo. « Ricordati di non strafare. Se ti fai male mi tocca lasciarti a Moore, che ultimamente non ci sta tanto con la testa ». L'infermiere pareva particolarmente distratto nell'ultimo periodo, sorrideva come un ebete anche se fuori veniva giù il diluvio o gli capitavano delle ore di lavoro extra, Dio solo sapeva perchè. « Hai qualche programma per quest'estate? » domandò a bruciapelo, proprio appena Izar si era convinto a mandare al diavolo tutte le verifiche per ricambiare le sue attenzioni. Posò il capo sulla mano aperta di lei come un gatto in cerca di carezze, chiudendo gli occhi da tanto era rilassato.
    « Sistemare casa, tenere il marmocchio del mio patrigno, bere birra ghiacciata davanti alla tv... cose da vecchi ».
    Non coltivava chissà quali hobby nel tempo libero, perchè di fatto non ne aveva. Gli piaceva cucinare, ma lo faceva solo per non morire di fame. Iniziò a capire come mai le donne non amassero la sua compagnia, e non poteva biasimarle. D'estate diventava ancora più noioso che durante il resto dell'anno, con il caldo afoso a privarlo delle forze necessarie per sostenere una conversazione decente. « Me lo concederai un appuntamento? » propose di getto, rizzando la schiena e afferrando la mano della studentessa per catturare la sua attenzione. Doveva essere impazzito a chiedere una cosa del genere. Se qualcuno li avesse visti insieme fuori da scuola sarebbe successo un putiferio. « Prendiamo la mia macchina e ce ne andiamo da qualche parte. Possiamo... ». Era così preso dal momento che non si accorse della porta che si stava aprendo, si allontanò da Altayr appena in tempo e finse di essere molto interessato alle verifiche da correggere. La professoressa di lettere, una donna sulla trentina che vestiva ancora come una teenager, buttò dentro la testa e gli sorrise raggiante. « Professor Al'Nair, aveva lasciato questo in sala insegnanti ». Sventolò il registro, poi lo sguardo cadde su Altayr e si rabbuiò. « Disturbo? ». Izar dentro di sé stava dando i numeri, ma all'esterno pareva calmo e composto, innocente dalla testa ai piedi. Nessuna relazione clandestina, solo una lezione supplementare di matematica. « Affatto, professoressa May. Stavo parlando con la signorina Windstorm della suo compito disastroso ». E delle vacanze, e dell'appuntamento, e del fatto che fosse maledettamente bella. Beh, l'ultima parte doveva ancora dirgliela, ci stava lavorando. La donna fece un vago cenno di assenso e posò il registro sulla scrivania, apertamente interessata ai residui di biscotti e i bicchieri di caffè. Sembrava che stessero banchettando allegramente, in effetti, altro che ripetizioni.
    « Gli studenti del secondo anno dovrebbero essere in palestra, a quest'ora ». L'insegnante, ignaro di quel piccolo dettaglio, fissò la ragazza come a voler chiedere "ah si?", mentre Miss May prendeva congedo con quell'ultimo monito. Attese che la porta si chiudesse, e sospirò. C'era mancato poco. « Vai, è meglio. Ti chiamo stasera » la rassicurò, carezzandole fugacemente la guancia. Non poteva tenerla tutta per sé, non con così tanti ficcanaso in giro, anche se separarsi da lei diventava ogni giorno più difficile, una tortura.


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    Altayr, con le dita intrecciate alle ciocche scure di Izar, non smise un secondo di seguire i movimenti della mano destra di lui. La penna tracciava segni rossi sulla carta bianca, uno dopo l'altro, eppure aveva una buona sensazione a riguardo. Erano errori, senz'altro, ma non erano troppi per il suo standard. Ricordava verifiche ben peggiori, come quella di inizio anno, dove sul foglio figurava un bell'undici, rosso e gigantesco. Per tutta risposta, guidata dalla rabbia e dallo sdegno, Altayr si era alzata, il foglio accartocciato tra le mani e lo aveva buttato nel cestino, uscendo dall'aula dopo avergli rifilato uno sguardo di sfida da poter spaventare chiunque. Chiunque, evidentemente, ma non lui, che aveva deciso di sfidarla apertamente e aiutarla ad aprirsi. Il primo compito in classe con il nuovo docente di matematica - ossia il professor Al'Nair - l'aveva cannato alla grande, ed era certa che anche lui se lo ricordava. Si sbilanciò leggermente in avanti, trattenendo a fatica un gridolino eccitato quando lesse il voto finale. « Ci sei quasi. Potrei commuovermi » La ragazza esibì un sorrisetto spavaldo appena il moro si voltò per pochi secondi verso di lei, spostandosi i capelli dalla spalla con fare teatrale e quasi melodrammatico. « Voglio un mio ritratto in corridoio, e una statua a grandezza naturale in cortile » esclamò, mentre l'altro tornò a concentrarsi sul suo lavoro con un sorriso appena accennato. Sapeva di essersi guadagnata quel maledettissimo cinquantotto, a un passo dalla sufficienza. Non importava che non fosse un sessanta tondo tondo, sapeva di esserci vicino e per la fine dell'anno ci sarebbe riuscita. Doveva solo mettersi sotto con lo studio, ma il pensiero le faceva rivoltare lo stomaco. La matematica non la digeriva proprio, e no, avere Izar come professore di quella materia non la invogliava a prendere in mano i libri. La odiava e basta. Meno male che esistevano le ripetizioni, che a dire il vero erano più ozio, chiacchiere e baci rubati, ma capitava anche di fare qualche esercizio. A volte. Non sempre. Questo implicava ancora più ripetizioni, e stare a scuola non le era mai piaciuto così tanto. Il ragazzo rispose alla sua domanda chino sulle verifiche, e non fu in grado di vederla sorridere soddisfatta. Sarebbe venuto a vederla. Okay, nessun tipo di incoraggiamento dagli spalti, come i fidanzatini di solito facevano, ma bastava saperlo lì, sapeva che avrebbe guardato lei. Era sicura che un incitamento migliore non potesse esistere. « Skriker non avrà alcuna possibilità » sogghignò, arricciando una ciocca di capelli di lui attorno al dito e perdendosi ad osservare la sua espressione concentrata. Un'occhiata alla porta la dava comunque, aveva una paura folle che qualcuno potesse scoprirli. Non era mai successo, ma non si era mai troppo cauti. « Ricordati di non strafare » le intimò lui, gli occhi fissi sulle verifiche e intento a scribacchiare annotazioni e correzioni a bordo pagina. Si sporse per vedere di chi fosse quel compito, ma le bastò leggere Patricia per capire. Non pensava fosse più scarsa di lei in qualche materia, ma quel trentacinque a fondo pagina parlava piano. Quasi le dispiaceva, anche se le due avevano scambiato al massimo due parole dall'inizio dell'anno. Era una ragazza bionda in prima fila, lo sapeva, grande amica di una certa Katya del secondo anno. Quest'ultima girava attorno a Izar un po' troppo, per i suoi gusti, e ogni volta che la incrociava per i corridoi, nonostante apparisse come una ragazzina inoffensiva, non poteva far altro che digrignare i denti e indirizzarle sguardi poco raccomandabili di nascosto. Essere gelosa e avere una relazione clandestina in contemporanea era terribilmente frustrante.
    « Va bene, prof » sospirò Altayr, con tono vagamente ironico. Il ragazzo si preoccupava troppo: l'infermeria era praticamente la sua seconda casa, tra risse, sport e lezioni da marinare finiva sempre lì, e sapeva anche della situazione dell'infermiere scolastico, il dottor Moore o, più semplicemente, Noel. Il rosso si era dimostrato subito affine a lei, e copriva le sue scappatelle e mentiva di fronte ai professori per non farla finire nei guai. Un angelo, si poteva dire, se poi non pretendeva qualcosa in cambio. Inizialmente si trattava di offrirgli il pranzo, una birra la sera, cose semplici e a portata di mano, ma negli ultimi tempi le chiedeva sempre di Evelya, l'amica con cui passava gran parte del suo tempo. Non ci voleva molto a capire che fosse interessato a lei, e sebbene lo avesse capito da tempo, la castana aveva cucito la bocca per il bene di entrambi. Per quanto fosse più grande di lei, sembrava un novellino in questioni di cuore, anche se apprezzava la sua sincerità e testardaggine. Altayr sorrise quando l'insegnante si accostò alla sua mano, lasciando finalmente cadere la penna sul tavolo. I compiti poteva benissimo correggerli a casa, adesso che lei era lì con lui. « Ma pensa un po', adoro la birra fredda » fece, dopo che il ragazzo ebbe elencato il suo interessante programma estivo. « I bambini un po' meno, a dirla tutta » ridacchiò, ma ammutolì appena Izar le afferrò la mano, gli occhi fissi nei suoi. Okay, era decisamente troppo. « Me lo concederai un appuntamento? » La ragazza socchiuse le labbra a quella proposta, non sapendo cosa rispondere. Fino a quel momento, erano usciti ben poche volte insieme, si potevano praticamente contare sulle dita di una mano. Entrambi sapevano che era rischioso, meno si vedevano meglio era, eppure a quella proposta esitò a rispondere. La verità era che voleva anche lei, terribilmente, uscire con lui. In estate. Come una dannatissima coppia normale. « Prendiamo la mia macchina e ce ne andiamo da qualche parte » sorrise al sentirlo parlare, già a programmare la giornata. Suonava bene, una gita in macchina, in qualche luogo lontano dove nessuno studente o insegnante avrebbe potuto riconoscerli e creare uno scandalo. Se solo lei fosse stata di qualche anno più grande... Doveva muoversi ad uscire da quella dannata scuola, anche se ogni volta che Izar glielo ricordava gli rispondeva male sapeva di doverlo fare. Per sé stessa e per loro, perché quella situazione cominciava a starle fin troppo stretta. Il discorso del moro venne interrotto d'improvviso, ed entrambi sentirono la maniglia della porta abbassarsi. Si lanciarono con le sedie il più lontano possibile l'uno dall'altro ai capi opposti della scrivania, e proprio in quel momento udì una squillante voce femminile, che al confronto lo stridio del gesso sulla lavagna le avrebbe fatto molto più piacere. Alzò lo sguardo sulla professoressa May, che si ostinava a portare quelle striminzite canottiere anche nell'orario di lavoro, e appena i loro sguardi si incrociarono volarono scintille. Era evidente come nessuna delle due sopportasse l'altra: la May non poteva vederla per la sua fama di studentessa ribelle e aggressiva, da parte sua Altayr avrebbe volentieri voluto sbatterla al muro perché continuava a provarci con Izar. « Disturbo? » « Sì » rispose lei secca, ma appena il ragazzo accanto a lei aprì bocca gli occhi della professoressa si posarono su di lui, e sorrise sorniona, come se Altayr non esistesse. Ma vaffanculo. Sentì le nocche di Izar colpirla al fianco, facendole capire che non doveva far trapelare nulla, così la studentessa sospirò, trattenendosi a stento dall'invitarla a uscire e a farsi gli affari suoi, ma non smise di guardarla in cagnesco. Il cuore prese a batterle a mille quando vide la donna indugiare sulla scatola di biscotti, e improvvisamente la finta lezione di recupero si trasformò, effettivamente, in una veramente finta lezione di recupero. - Non sarà così intelligente da arrivarci da sola, suvvia - Infatti, l'insegnante di lettere non disse nulla in merito, ma ciò che disse in seguito le fece ribollire il sangue nelle vene. Che cazzo gliene fregava? « La mia media in matematica mi sembrava un motivo più che valido per ritardare di qualche minuto alla lezione in palestra » disse Altayr, con una tranquillità che non le apparteneva e un sorrisetto di falsa cortesia a labbra serrate. Voleva solamente che se ne andasse in quel preciso momento. Accolse con un paio di insulti poco carini il suono della porta che si chiudeva, e Izar sospirò subito dopo. « Vai, che è meglio » le disse lui, all'oscuro del fatto che la ragazza dovesse essere da tutt'altra parte in quel momento. Era riuscito a mantenere a mantenere la calma in modo straordinario, mentre lei si era lasciata andare al risentimento che provava nei confronti della donna. Beh, si punzecchiavano sempre, nessun comportamento sospetto o anomalo. Izar e Altayr erano uguali, eppure così differenti. Aveva bisogno di lui, ad ogni ora del giorno, e doversi allontanare per colpa di una stronza guastafeste le mandava il sangue al cervello. « Non è meglio » sbottò la studentessa, appoggiando con ben poca grazia il gomito sul tavolo. « Cosa vuole quella racchia? Per una volta che ce ne stavamo in santa pace » ora Miss May avrebbe anche controllato se si fosse recata effettivamente in palestra, e se non voleva che la loro copertura saltasse doveva per forza scendere di sotto. « Ti chiamo stasera » aggiunse, e Altayr si voltò verso di lui, la rabbia che scemava dal suo viso al solo sentire la sua presenza accanto a sé. Era meglio di qualsiasi medicina, il suo antidoto.
    « Se non mi chiami ti riempio di biscotti dolci da far schifo » fece, alzandosi controvoglia dalla sedia, e, una volta controllato che nessuno stesse spiando alla porta, sorrise quando le dita del professore le sfiorarono la guancia. Aveva i secondi contati ormai, eppure non desiderava altro che prolungare il contatto, al diavolo la ginnastica o Miss May. « A stasera, prof » sussurrò a un soffio dalle sue labbra, poggiandogli un fulmineo bacio sulla bocca. Era stata poco cauta, doveva ammetterlo, ma doveva rivendicare la sua proprietà e, siccome non poteva farlo di fronte ad altri, tanto valeva chiarire le cose solo con lui. Non che le dispiacesse. « Bisogna continuare il discorso della macchina » poco prima di aprire la porta gli fece l'occhiolino, per poi uscire dalla stanza con la faccia di chi era, effettivamente, incazzato con il mondo intero. Incrociò per strada un suo compagno di classe diretto in infermeria - gli usciva sangue dal naso - e subito ripensò agli accenni della professoressa di educazione fisica alla lezione di quel giorno. Pallamano. Evidentemente Blair si era beccato una pallonata in faccia bella potente. « Com'è andato il compito? » Eccola, di nuovo. Altayr si voltò quando aveva già cominciato a scendere le scale, e in cima vi era lei, la trentenne dallo spirito di un'adolescente e dal buongusto inesistente.
    « Meravigliosamente » rispose lei, il sarcasmo ben presente e udibile nel tono della sua voce. « Beh, dopotutto Izar è un professore magnifico » Lo aveva chiamato per nome. Lo sguardo di Altayr si indurì, e se avesse potuto l'avrebbe fatta rotolare giù per le scale. Quella donna doveva solo cucirsi la bocca se non voleva peggiorare la situazione, ma doveva rimanere calma, ne andava della segretezza della relazione tra lei e Izar. « Ha pienamente ragione » la assecondò con un sorrisetto, e l'altra annuì in risposta. « Mi dispiace solo che sia circondato da colleghi di lavoro incompetenti » notò con soddisfazione che l'insegnate di lettere si era fatta scura in viso, e Altayr si strinse nelle spalle, scendendo gli scalini fischiettando.
    « Buona giornata, Miss May » gridò da in fondo alle scale, ma non ricevette risposta. Quel silenzio era più soddisfacente di qualsiasi altra cosa. Se la vedeva ronzare ancora una volta intorno a Izar, quella donna era finita.

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    altayr clarity windstorm

    studentessa II anno ♦ 18 anni ♦ « She looked the way danger felt »

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    Al diavolo. Gli sembrava di essere riuscito a rabbonirlo con tutta la storia del pranzo, il flirt spudorato e il resto delle sue infallibili tecniche di seduzione. Sembrava, perchè con il Professor Gytrash non avevi mai la certezza di nulla. Persino quando qualche studente prendeva il massimo dei voti non lo lasciava intuire in alcun modo fino alla consegna dei compiti corretti, e l'esito di un'interrogazione restava un'incognita. Beh, non per Cain, che in fisica era un somaro. Aveva iniziato a capirci solo frequentando le lezioni supplementari, e non perchè tutto d'un tratto fosse preoccupato per il suo rendimento scolastico. Abel si scompose solo al sentirsi chiamare "secchione", l'ombra di un sorriso fugace sul volto, prima di farsi serio e terribilmente professionale. Parlava in modo meccanico, come gli stesse impartendo una lezione, e Cain andò su tutte le furie. « Non ho una risposta Skriker, solo tanti dubbi ». Skriker, un alunno fra tanti. Ripensandoci, l'aveva mai chiamato per nome? Probabilmente no, l'avrebbe scritto sul calendario se fosse successo. « Non penso di essere la persona giusta per te ». Gli mostrò un'espressione di puro stupore, ma l'altro non poté vederlo. Era troppo impegnato a scrutare il cielo sopra di loro. Gli capitava spesso di guardare in alto quando tentava di ricordare qualcosa, conosceva le sue abitudini a memoria, ormai.
    « Ma che ne sai » borbottò sottovoce, masticando la cannuccia fino ad appiattirla completamente. Pareva di essere tornato al punto di partenza, anche se ora non c'era nessuna cattedra a dividerli. Se aveva letto correttamente tra le righe, il succo del discorso era che l'insegnante capiva la sua infatuazione, ma non gli dava il minimo peso, poichè non si reputava il partner migliore per lui. Un mucchio di stronzate, insomma. Era un prof. di fisica, mica relazioni sentimentali. « Ti farei solo perdere tempo » concluse, sempre meno convinto della sua stessa tesi. Cain era una persona pratica, non amava i giri di parole, e dalle labbra dell'albino non era uscito né un sì né un no, quindi poteva ancora sperare in qualcosa. Qualsiasi cosa, anche una stretta di mano andava bene. « Lo so che nella tua materia non sono granché, ma ho un cervello, al contrario di quello che sostiene tanta gente ». Allungò un braccio fino a circondare la schiena del professore, trascinandolo accanto a sé in un gesto pigro e senza pretese. Aveva solo bisogno di sentirlo vicino, perchè Abel era un mago nel mettere barriere tra loro. « Ci ho pensato un sacco prima di dichiararmi, sai? Avrei voluto farlo il primo giorno che sei entrato in classe, ma non sarebbe stato sincero ». Abel si dibatteva nella presa, Cain stringeva sempre di più per fargli capire l'antifona. « Tu sei diverso da tutti. Non vuoi che le persone ti stiano addosso, però hai bisogno di qualcuno con cui parlare. Una contraddizione vivente ». Gli sovvenne un dettaglio importante e si voltò subito a guardarlo, anche se l'altro faceva di tutto per evitarlo. « Penso di essermi convinto quel pomeriggio che siamo rimasti qui a fare ripetizioni. Ti stavo raccontando della volta in cui mi sono travestito da donna per entrare in un istituto femminile e nessuno mi ha riconosciuto, e tu ti sei messo a ridere, tipo così ». Gli sollevò un angolo della bocca con l'indice, affondando nella guancia morbida finché Abel non protestò.
    « Voglio vederti farlo di nuovo, tutti i giorni. Per favore Abel, non dirmi di no ». Stavolta gli uscì come una supplica, perchè era davvero agli sgoccioli. Nel caso di un rifiuto sarebbe stato impossibile fare finta di niente da lì fino al termine dell'anno scolastico. « Ti prometto che farò il bravo. Non lo saprà nessuno ». Allentò la presa per concedergli un po' di spazio, ma la mano rimase posata sulla schiena, quasi avesse paura a lasciarlo andare.

    « Parlato » - Pensato -
    Cain Asriel Skriker - Studente III Anno - 19 anni

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    Uno studente così persistente non l'aveva mai visto. Certo, la sua carriera di insegnate contava un solo anno, ma non aveva incontrato nessuno, fino a quel momento, che potesse eguagliare Cain in quanto a testardaggine e spirito combattivo, che lo avesse affrontato così apertamente e dicendogli la verità in faccia. Era una dote che Abel invidiava tantissimo, a dirla tutta, perché lui era cresciuto col dire bugie. Si nascondeva dietro di esse, sopprimendo i propri sentimenti e facendo largo alla logica, sua fedele consigliera. Capitava di far del male agli altri, ma molte volte lo faceva a sé stesso. Aveva sempre pensato che fosse meglio così, che a seguire l'istinto ci avrebbe solo rimesso. Eppure, la sua vita era piena di rimorsi. Non ci voleva molto a capirlo, lo sapeva, ma provare a cambiare era estremamente complicato, richiedeva un coraggio che non sentiva di avere. Lui era un tipo estremamente razionale, sistematico, mentre Cain era una fiamma viva. Abel, vicino a lui, era riuscito a riscaldarsi, traendone solo benefici, ma Cain? Non se ne sarebbe fatto niente di un tizio noioso come lui, bisognava accettare la realtà. « Ma che ne sai » bofonchiò lo studente, evidentemente irritato dalla risposta che aveva ricevuto, e lo poteva comprendere. Aveva arginato il discorso fino a non poterne più lui stesso. « E' palese » rispose lui, sempre mormorando. Erano l'uno il contrario dell'altro, e per quanto ad Abel piacesse il carattere esplosivo dell'altro, il rosso non aveva nulla da invidiargli. Che ci trovava in lui? Non lo capiva, affatto. Era una persona dall'aspetto normale - anzi, forse anche un po' sciatto - e una personalità difficile, perché volerlo accanto a tutti i costi? Lui doveva trovare qualcuno che lo spronasse, qualcuno che gli fosse affine, e Abel non lo era. Tuttavia, c'era sempre quel però, l'indecisione, la voglia di mettersi in gioco, che però mascherava con belle parole, affermazioni ben poco convinte e la solita maschera di bronzo che esibiva 365 giorni l'anno. Il cuore gli stava per scoppiare nel petto, non sapeva come Cain potesse reagire. Si sarebbe aspettato un gesto brusco, un bel meritato vaffanculo, qualcosa di questo genere, invece sembrò mantenere una calma apparente, che, per l'appunto, calma non era. L'albino sperava di essersi liberato di un peso, invece scoprì che no, a guardare l'espressione dello studente non ci era riuscito. « Lo so che nella tua materia non sono granché, ma ho un cervello, al contrario di quello che sostiene tanta gente » Giusto, il rosso era considerato come uno sciupa femmine solo incline al divertimento e poco altro, ma lui sapeva che non era così. Aveva visto come frequentava le lezioni di recupero e i consecutivi miglioramenti, la passione che metteva in qualsiasi sport - passava per la palestra e i campi di atletica assolutamente per sbaglio, voleva sottolinearlo - o sfida, perché non ne rifiutava mai una, e come aiutava gli studenti più piccoli e rideva con i compagni di classe, facendo sembrare tutto più leggero, e lo sguardo attento quando doveva copiare i problemi scritti alla lavagna nonostante la scuola non fosse la sua priorità. Era un ragazzo assolutamente a posto, capace di illuminare qualsiasi luogo in cui si trovasse. « E' chi lo dice a non avere un cervello » fece l'insegnante, come se si trattasse di una questione personale, ma le ultime sillabe gli morirono in gola , appena sentì il braccio del ragazzo circondargli la schiena, e non fu troppo sicuro di riuscire a respirare quando si ritrovò vicino - troppo - a lui. Non era la prima volta che lo toccava - figurarsi -, ma non era mai riuscito a capacitarsi di come potesse essere sempre così caldo e avere un odore così buono. Come reazione naturale, cercò subito di liberarsi dalla presa ferrea del giovane senza il risultato sperato, nonostante si trovasse benissimo lì, vicino a lui. Non andava bene. Ciò che disse in seguito lo fece trattenere il respiro, e non sapeva se per lo stupore o per sentirlo meglio e memorizzare le parole, il tono della voce e ripetersele dentro la propria testa per i giorni a seguire. Cain lo aveva sempre riempito di apprezzamenti, eppure non vi era stata una sola volta in cui avesse captato dell'ironia o dello scherno in ciò che diceva. Lo guardava sempre negli occhi, sempre. Era Abel a non volerci credere - e non perché il rosso non lo pensasse davvero, era il professore ad essere convinto di non meritare nessuna di quelle attenzioni - e ad abbassare lo sguardo. « Non vuoi che le persone ti stiano addosso, però hai bisogno di qualcuno con cui parlare » a quella constatazione, l'albino smise di muoversi, la mano dello studente sulla sua schiena calda come mai prima d'allora, e si voltò verso di lui appena ebbe finito di parlare. Non lo stava guardando, per fortuna, ma aveva il solito ghigno dipinto sulle labbra, e chissà come mai, ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Si conoscevano da appena un anno, e in un tempo relativamente breve come quello era riuscito a comprenderlo meglio di chiunque altro. Era vero. Era un disastro a rapportarsi con la gente, non gli piaceva stare in compagnia, eppure sapeva di non farcela da solo. Aveva rifiutato tutti, chiunque avesse provato ad avvicinarglisi e dargli fastidio, perché non lui? Perché era egoista, ecco perché. Cain era ciò che avrebbe potuto renderlo migliore e non riusciva e non voleva allontanarlo, quando per il giovane non sarebbe cambiato nulla, e se fosse successo non in meglio. Non era un esempio da seguire, ne era consapevole. Sorrise quando lo definì una contraddizione vivente, un sorriso che si spense appena il rosso si girò in sua direzione, e gli occhi argentei dell'albino presero a vagare indecisi sul viso dell'altro, per poi poggiarsi sullo stemma cucito sulla giacca della divisa, il primo oggetto su cui poteva posare lo sguardo che non fosse il volto di Cain. Doveva riprendere a respirare normalmente, dannazione. La confessione che seguì non aiutò nell'intento, e fu costretto ad alzare il mento quando il dito del giovane si posò sulla sua guancia a sollevargli un angolo della bocca, e Abel gli indirizzò un'espressione scettica. La sua faccia poteva spaventare in quel momento, ne era certo. Sbuffò, un chiaro invito a lasciarlo in pace, e il rosso lo accontentò dopo qualche altro secondo di tortura. Certo che si ricordava di quel racconto. A dirla tutta, Cain gli aveva raccontato un sacco di cose, e Abel se le ricordava tutte - o quasi, almeno. Gli piaceva ascoltarlo, aveva fatto esperienze che lui, da studente, non si era mai permesso di fare, fin troppo diligente e studioso per pensare di infiltrarsi in una scuola femminile sotto mentite spoglie. Ricordava anche la maggior parte delle lezioni supplementari, perché non riusciva a smettere di guardarlo e sorprendersi di quanto impegno ci mettesse a migliorare nella sua materia. Era un paradosso, ma le lezioni di recupero con Cain erano divertenti. Non solo quelle, perché passare del tempo con lui lo divertiva sempre. Sapeva come farlo sorridere e rendere più sopportabili le ore di lezione. Poi, ad Abel era venuta la grande idea di ignorarlo per tentare di far passare l'infatuazione, ma non era stata la scelta più saggia che avesse fatto, seconda solo a quella di accettare il ruolo di insegnante a tempo indeterminato. « Come scordarselo? » sussurrò, sorridendo inconsapevolmente al ricordo, e si portò le ginocchia al petto. « Voglio vederti farlo di nuovo, tutti i giorni » Abel si dovette sforzare per sostenere lo sguardo serio del compagno, e la vide anche stavolta, la verità nei suoi occhi. « Per favore Abel, non dirmi di no » sentirsi chiamare per nome, di nuovo, da quella voce profonda, gli fece mancare un battito, così come il tono supplicante che utilizzò. Era davvero così importante? Sì che lo era, ma non potevano farlo. Si sarebbe trattato di una relazione clandestina e non stimolante per l'altro, se li avessero beccati sarebbe successo una catastrofe. Eppure, nessuno sapeva quanto desiderasse dirgli di sì e al diavolo tutto il resto. « Ti prometto che farò il bravo. Non lo saprà nessuno » di conferme ne aveva avute abbastanza, il problema era lui, solo lui. Sentì la presa sulla sua giacca allentarsi senza però lasciarla del tutto, e gli fu estremamente grato. Voleva sentirlo lì, averlo accanto, che cazzo stava facendo? Bah, a dire il vero non aveva la benché minima idea di cosa fare. Il cervello gli diceva di no, il cuore tutto il contrario. O meglio, ogni fibra del suo corpo desiderava Cain, il che era ben diverso. Oh, e vaffanculo. « Se vuoi vedermi sorridere » sospirò, appoggiando la nuca sul muro dietro di loro e guardando il cielo sopra di loro. No, doveva guardare lui. Si morse il labbro inferiore, per poi girare la testa verso Cain e incrociare, finalmente, il suo sguardo interrogatorio. Si sentiva la gola secca. « devi starmi vicino » lo disse piano, perché la voce non gli usciva, e il tamburellare insistente del cuore sovrastava ogni altro suono. Aspetta, che diavolo aveva detto? Era un sì, giusto? In senso, si era deciso. Gli aveva dato una risposta. Cazzo, quella sbagliata. « In senso, non ho mai dubitato di te o ciò che provi » doveva porre rimedio a quel casino. Eppure, il volto di Cain si era improvvisamente illuminato, come poteva dirgli di no, andando contro i suoi stessi desideri? « Il problema sono io, non posso permettere che uno come te stia con uno come me » non era all'altezza, semplicemente, sarebbe stato uno spreco, bello, talentuoso e spigliato com'era. Tuttavia, Abel lo voleva. Sul serio. Perché, per una volta, non poteva essere onesto con sé stesso? « Però, c'è sempre un dannato però » sbuffò, passandosi una mano sul viso. Non era mai stato tanto agitato, e mantenere la solita compostezza si stava dimostrando una vera sfida. « Sei l'unico che abbia provato a capirmi un po', Cain » disse, pregando che le guance non fossero più rosse di quanto temeva. Si rese conto solo dopo pochi secondi di averlo chiamato per nome, cosa che non aveva mai fatto, e subito borbottò "Skriker" per rimediare al suo errore. Ne aveva fatti tanti, di errori, e altrettanti rimorsi. Perché non provare ad eliminarne uno dalla lista? Sì, potevano scoprirli, ma se ci avessero provato? Poteva anche andare male, ma poteva anche andare bene. « Questo sarebbe una specie di sì poco convinto » bofonchiò, quasi incazzato con sé stesso per essere l'imbranato che era. Aveva sconvolto completamente ogni suo credo con quella frase ma, da parte sua, Abel sapeva solo che sorrideva un po' più spesso da quando c'era Cain nei paraggi. Quindi non poteva aver fatto un errore così grave, no?

    « Parlato » || "Pensato"


    abel cyril gytrash

    professore di fisica ♦ 26 anni ♦ « Buried pain can become a hurricane »

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    Izar Al'Nair • 26 y/o • Insegnante di matematica
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    L'atmosfera si alleggerì non appena Altayr e la professoressa May lasciarono l'ufficio, ma non in maniera definitiva. Semplicemente, il temporale stava viaggiando altrove, senza smettere di gettare saette. Sapeva che la studentessa aveva un carattere particolare, un muro impenetrabile in cui era difficile vedere attraverso. Gli altri insegnanti si lamentavano spesso della sua condotta disastrosa e, in generale, della poca voglia di fare che metteva in tutto, sport escluso, eppure Izar vedeva in lei molto potenziale. Si trattava solo di incanalare quell'enorme quantità di energia in qualcosa di utile, e soprattutto trattarla come un essere umano, non una mina vagante. Già, all'inizio era solo questo: una ragazza problematica da riportare sulla retta via. Com'erano finiti a flirtare di nascosto davvero non se lo spiegava. Forse era per le cose che avevano in comune, o per i sorrisi che gli riservava dopo una lunga giornata in cui tutto era andato storto, o per la pace interiore che provava solo quando la stringeva tra le braccia. Izar si passò il pollice sul labbro inferiore, memore del bacio fugace accompagnato dalla minaccia di sotterrarlo di dolci, e vide il suo riflesso nella finestra mentre ridacchiava soddisfatto. Beh, aveva accettato l'invito a uscire, se non altro. Doveva pensare a qualcosa di divertente da fare, possibilmente lontano chilometri e chilometri da scuola. Altayr non sembrava il tipo da mazzo di rose e cioccolatini - anche se adorava il cioccolato - e il professore era davvero arrugginito in fatto di corteggiamenti. A chi poteva chiedere consiglio senza risultare sospetto? Noel era fuori discussione, l'avrebbe sfottuto a vita, e Abel... Abel amava solo i suoi libri. Bella fregatura. Gli tornò in mente la ragazzina bionda che accompagnava sempre Altayr, un involucro di dolcezza ed ingenuità che lei adorava, e pensò che forse la soluzione era più semplice di quel che sembrava. Non si sarebbe insospettita - non lo faceva mai - e aveva le risposte che Izar cercava. La fortuna di essere un insegnante era che poteva avvicinare chiunque con la scusa di un compito da correggere o un richiamo da fare, così come attirava la sua studentessa preferita quasi ogni giorno. Provò a concentrarsi sul lavoro per i restanti quaranta minuti, passati a stropicciarsi gli occhi dietro le lenti ed imprecare contro un computer che procedeva a rilento. Lo raggiunse anche il professore di storia, un ometto vecchio quanto la sua materia ma davvero comico, seguito a ruota da Miranda May, un po' più truccata di prima. La zaffata di profumo che lo investì appena lei si sedette cancellò l'aroma di caffè in un battibaleno. « A che punto sei? Ti vedo in difficoltà! » L'insegnante di lettere parlava in quel modo civettuolo che di solito Izar associava alle commesse dei negozi di vestiti: dovevano convincerti a comprare, lusingandoti su quanto un pantalone ti stesse bene e ti facesse un bel culo, ovvero "hai tutta la mia attenzione, ma ricordati di pagarmi". Cercava di conversare a tutti i costi, quando il ragazzo voleva solo continuare il lavoro nel silenzio zen di poco prima. Finse di guardare l'orologio, giusto per sembrare preoccupato. « Mi ci vorrà parecchio. Ho i compiti di altre due sezioni. » Il vecchio Mosley, sulla scrivania di fronte, gli diede del povero sfigato e se la rise, accendendosi la pipa.
    « Oddio! Pensi di farcela per le sette? ». Miss May era davvero costernata, per quale motivo poi non si capiva.
    « Beh, credo di sì » azzardò lui, gli occhi che viaggiavano dal compito di uno studente alle formule sullo schermo. Nemmeno avesse vinto alla lotteria, la professoressa batté le mani ed emise un gridolino ad ultrasuoni che, ci scommetteva, aveva fatto incrinare qualche vetro. « Allora puoi venire alla cena! È tutta la settimana che ne parliamo. Vero Mosley? ». Mosley bofonchiò un boh e si stravaccò sulla sedia girevole, una mano sulla pancia ed una tra le pieghe del libro di testo. Non era di grande aiuto, perciò Izar dovette fare i calcoli da solo: una cena tra colleghi il martedì sera. Ultimamente era così preso da mille impegni che poteva averlo sentito, ma non appuntato. Di solito Noel era sempre entusiasta quando si trattava di cene fuori, e non gli parve di ricordare che gli avesse rotto le scatole a riguardo i giorni precedenti. Okay, stava proprio invecchiando. « Me n'ero scordato... Dove si va? ». Il ristorante in questione, che May descrisse con aggettivi tipo "buonissimo" ed "elegantissimo" era a pochi minuti di distanza da scuola, in un quartiere troppo giovane per chi, come lui, di giovane aveva solo il viso. « Però sai, la mia macchina è dal meccanico. Posso contare su di te? » Riecco la commessa petulante, solo più vicina di venti centimetri. Che Izar sapesse, la macchina della donna era ferma dal meccanico da almeno due mesi, motivo per cui l'aveva accompagnata in stazione un sacco di volte. Guidare non gli dispiaceva, ma era tutto tempo che non passava con Altayr, quindi sprecato. E quel maledetto profumo era penetrato nei sedili, ormai. Rifiutare pareva l'unica opzione contemplabile, soprattutto perché stava cercando di risparmiare, però quegli incontri informali tra colleghi erano un po' alla base delle regole scolastiche non scritte dei professori. Serviva a legare, collaborare meglio, la Preside ci teneva. « Va bene » disse, rassegnato, « allora tra un paio d'ore ci vediamo in parcheggio. » Miranda May esultò di gioia, raccolse la borsetta e lo salutò un paio di volte, dimenticando Mosley e l'odore acre della sua pipa. Era venuta lì solo per chiedere uno strappo, quindi. E rovinare l'umore di Izar. « Magari le dici che sei già occupato, mh? » punzecchiò l'anziano, sbuffando fumo come una ciminiera ingolfata. Per fortuna non si accorse del colore terreo che il ragazzo assunse a quell'affermazione, nascosto dietro lo schermo. Era stato scoperto? La sua carriera era in pericolo? La reputazione di Altayr era... « Fa pure scena muta, furbastro. Ce ne siamo accorti tutti che hai la testa da un'altra parte. Tu e il rosso dell'infermeria fate a gara, ultimamente. »
    « Ah giusto, sì. Dovrei dirle che sono... occupato. » Occupato, certo. Occupato a non farsi beccare dagli insegnanti mentre pomiciava con una studentessa otto anni più giovane di lui. Pensava di essere stato discreto, maledizione! Doveva parlarne con Noel, al diavolo le prese in giro. E poi, se i sospetti di Izar erano fondati, rischiavano entrambi. L'amica di Altayr passava decisamente troppo tempo in compagnia del medico, ed era il ritratto della salute.

    Alle sei e mezza, tra uno sbadiglio e l'altro, il professore di matematica raccolse le sue cose e preparò la sigaretta in tasca. Fumare in un abitacolo chiuso avrebbe dato fastidio a chiunque, magari Miss May si sarebbe stancata di chiedere passaggi proprio a lui. Comunque, Mosley gli aveva dato uno spunto interessante. Avrebbe parlato alla donna di questa "fidanzata" che lo teneva occupato, ottimo modo per mettere dei paletti tra loro e troncare ogni possibilità di una futura relazione. Nel tragitto verso l'auto scrisse un messaggio ad Altayr sul suo rincasare tardi - mettendo un numero illegale di cuori in fondo alla frase - e pregò che la serata si concludesse senza intoppi. Miranda lo aspettava, appoggiata contro la porta del passeggero con un nuovo paio di tacchi - che dentro l'edificio scolastico non erano ammessi - l'aria compiaciuta ed una manicure che minacciava di graffiargli tutta la carrozzeria. Izar avrebbe pagato miliardi per vedere una certa ragazza al suo posto, intrecciarne le dita sul cambio, lasciarle scegliere la musica che voleva e sparare il volume a mille. La collega si sedette a gambe accavallate ed abbassò il finestrino appena il fumo di sigaretta le arrivò al naso, blaterando di giornate noiose passate da sola, del suo ultimo San Valentino di solitudine, di un compleanno deludente fatto con poche amiche... Okay, aveva recepito il messaggio. « Spero che non ci mandino via troppo presto, ho bisogno di bere. »
    Izar colse la palla al balzo, finse di guardare qualcosa sul cellulare e al verde del semaforo ripartì con un colpo secco di acceleratore, l'aria ancora più dispiaciuta. « Bevete anche per me. La mia ragazza mi aspetta a casa alle dieci. »
    Bomba sganciata. Non si tornava indietro. Osservò la reazione della donna di sfuggita - era concentrato sulla strada - ma il silenzio che seguì fu abbastanza eloquente. Per riempirlo accese la radio su un notiziario a caso, subito rimpiazzato dalla voce nervosa di Miss May. « Alle dieci è un po' presto... ».
    « Sì beh, volevo stare con lei. » Eccome se voleva. Non desiderava altro. Invertire la rotta e andare a prenderla sotto casa per mangiare ad un fast food era mille volte più allettante che passare un altro minuto con la donna molto single e molto offesa lì accanto. « Windstorm lo sa? » chiese all'improvviso, un ghigno dipinto sulle labbra color prugna. Credeva di farla da padrone, metterlo in imbarazzo, e intanto lui rideva internamente. « Perché dovrebbe? Insomma, sono faccende private. » Miranda annuì, gli occhi alla ricerca di un elemento femminile in macchina che potesse tradirlo e l'unghia a picchiettare sul sedile. « Credo che tu le piaccia, ma solo un pazzo frequenterebbe quella delinquente. Chissà come ci rimarrebbe male se lo sapesse! ». Con ogni probabilità non vedeva l'ora di incrociarla il giorno seguente per darle la triste notizia. Il fatto che l'avesse chiamata delinquente, comunque, invogliò Izar ad inchiodare bruscamente e far finire quel trionfo di trucco e profumo sul cruscotto. Peccato che ci tenesse al suo vecchio catorcio. La conversazione verté altrove fino all'arrivo al ristorante, dove i professori erano solo due: educazione fisica e chimica. Altra carne giovane per l'avvoltoio Miranda May. Prima di entrare nel caos del locale, Izar si concesse un ultimo messaggio.

    - Quanto si arrabbiano i tuoi se ti vedono scappare di casa alle dieci di sera? -

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