Treasure planet

Noah x Liane | Dahlu Wamy

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    Liane Iris Vernalis
    « For one so small, you seem so strong »
    10 agosto - ore 17.00

    Con il sole a picchiarle impietoso in testa, Liane mise in bocca l'ultima albicocca, buttando il nocciolo per terra senza alcun riguardo. Trovare un po' di refrigerio sembrava un'impresa persa in partenza in quell'afosa giornata di agosto. Anche stando all'ombra, la differenza di temperatura era minima. Forse sarebbe stato meglio se fosse rimasta a casa, ma aveva bisogno di qualcosa da mettere sotto i denti. I soldi che aveva guadagnato quella mattina, poco più di cinque dral, ed era riuscita a comprare qualche abicocca e due succhi di frutta. Niente male come bottino giornaliero. Magari l'indomani avrebbe comprato dei biscotti, ne era golosissima. Si alzò dalla panchina fuori da supermercato, riprendendo lo zaino in spalla per avventurarsi tra le strade di Dahlu Wamy. In quella saccoccia si trovavano i suoi attrezzi di lavoro, quelli con cui riusciva ad andare avanti giorno per giorno: fogli da disegno, matite varie e pochi colori. Paradossalmente, i disegni in bianco e nero le piacevano di più. Calciò un sassolino lungo la strada finché non cadde in un tombino, poi alzò lo sguardo davanti a sé, gli edifici candidi della città a rendere ancora più intensa la luce del sole. Non aveva una meta precisa, non ne aveva mai avuta una. Magari avrebbe potuto disegnare un po', le servivano altri pezzi da vendere per il giorno seguente, o addio pacco di biscotti. Non c'era molta gente per strada, ed era plausibile a causa del caldo torrido. Verso le cinque del pomeriggio avrebbe dovuto rinfrescare almeno un po', invece sembrava che stesse camminando sotto il sole di mezzogiorno. L'estate era una benedizione e insieme una maledizione: c'erano più turisti e per strada Liane riusciva a vendere di più, per non parlare delle bancarelle che si moltiplicavano ai lati della strada, e la ragazza riusciva a sopportare meglio il caldo che il freddo. L'inverno era sempre una tragedia dato che disponeva di pochi capi pesanti per ripararsi dal gelo, e disegnare si rivelava difficoltoso a causa del freddo che le ibernava le mani. Il monolocale che condivideva con altre due persone era squallido, e pagare l'affitto a fine mese era una delle sue maggiori preoccupazioni.
    Il lungo ponte che stava attraversando la portò su una strada che riconobbe come quella del suo negozio di dolci preferito. Vi passò davanti, mordendosi il labbro, e fermandosi davanti alla vetrina per ammirare le ciambelle colorate e le torte fatte in casa. In quel negozio era riuscita a comprare qualche ciambella per il suo compleanno, ma poi non vi era più entrata. Era una delle pasticcerie più costose del quartiere, ed ogni dolce sfornato lì dentro era una prelibatezza. « Ah, non sono invidiosa » esclamò, mento alto e tornando sui suoi passi. « Ho appena mangiato le albicocche più buone del mondo » il suo tentativo di auto convincersi a rinunciare a quei dolci sembrò funzionare, tanto che quando svoltò alla fine della via aveva ricominciato a cercare qualche volto da immortalare, accantonando la sua voglia di zucchero. Il problema non era trovare persone dai tratti particolari, bensì trovare persone. Non si sarebbe data per vinta, era impossibile che in tutta la città solamente lei fosse uscita di casa. Doveva tornare nei paraggi della via principale. Era a conoscenza di una scorciatoia, bastava girare in uno dei vicoli dopo il parco che si trovava alla fine della strada per arrivare dove era diretta in pochi minuti. Issò lo zaino in spalla, non ci avrebbe messo troppo. Le servivano solamente un paio di schizzi, poi avrebbe completato il lavoro una volta arrivata a casa. Sotto gli alberi che costeggiavano i viali del minuscolo parco si lasciò sfuggire un sospiro, facendosi aria - inutilmente - sventolando la mano vicino al viso. Se non si fosse data una mossa si sarebbe sciolta. E se dopo fosse entrata in negozio con l'aria condizionata? Ne avrebbe potuto approfittare facendo finta di essere interessata agli articoli in vendita, e poi uscire facendo finta di nulla. "Geniale" pensò, come se fosse appena venuta a capo di un complicatissimo rompicapo.
    Continuò a camminare nonostante il caldo atroce, e all'uscita del parco trovò una gradita sorpresa. Vicino al cancello era ferma una bestia che non le era mai capitato di vedere. Era un cane dal manto grigio, ma aveva le corna. Già, le corna. "Non me lo sto immaginando" fece, gli occhi che cominciarono a brillare incuriositi. Forse il sole le giocava brutti scherzi, ma il suo corpo era formato da, cos'erano quelle? Protesi meccaniche? Impossibile. Però la coda non era una normale coda, e le era parso che anche le zampe riflettessero la luce del sole. Se ne stava mansueto sotto l'ombra di un albero, ma non seppe dire se stesse dormendo o, al contrario, pronto a scattare per un attacco. Liane non si era ancora ripresa, osservava la creatura come se fosse un vassoio di ciambelle della pasticceria che adorava. Non aveva mai visto una cosa del genere. Si avvicinò di qualche passo, cauta, ma lo vide irrigidirsi senza alzare gli occhi su di lei. Magari era meglio starne alla larga, così torno indietro. « Fermo così cucciolotto » sussurrò rivolta al cane ma senza farsi sentire. Recuperò velocemente il suo album da disegno e si infilò in tasca un paio di matite, e poi si mise a sedere sull'erba, intenta a riportare sul foglio la figura dormiente di quella magnifica creatura. Chissà se sarebbe riuscita a vendere il ritratto di un cane con le corna. Poco importava, era un soggetto troppo invitante e particolare per non immortalarlo. Schizzò velocemente le proporzioni, ma quando cominciò a calcare il tratto per iniziare il disegno vero e proprio, alzando lo sguardo vide un ragazzo che prima non c'era. Da dove era saltato fuori? All'istante, portò l'album al petto e si nascose dietro il cespuglio più vicino, riuscendo ad inciampare nella radice di un albero. Scrollò le foglie che le erano finite tra i capelli, sbuffando, per poi studiare lo sconosciuto da dietro il fogliame. A quanto pare il cane era il suo, perché al vedere il padrone la creatura si alzò sulle proprie gambe, rivelando protesi che non si era accorta possedesse. « Wow » mormorò meravigliata, lo sguardo fisso sulla bestia. Era forse un robot? Di meccanica non capiva un accidente, ma le sembrava un'ipotesi plausibile. Il problema fu quando il ragazzo si allontanò attraversando il cancello, e il cane lo seguì. « No! » esclamò Liane, rialzandosi in tutta fretta per seguirli, inciampando di nuovo nella stessa radice. Ed ora? Non se la sentiva di lasciare un disegno a metà, non aveva mai visto una cosa del genere. Forse doveva chiedere al padrone di fermarsi e lasciarle finire l'opera? Sembrava essere l'unica opzione possibile. Per qualche strana ragione, continuò a pedinarli a distanza, cercando di cogliere ugualmente qualche particolare: la coda era molto lunga, così come le corna arcuate. Notò che aveva perfino la mascella d'acciaio, e diversi tubicini percorrevano il corpo snello. Non sapeva dove fossero diretti, ma a quanto pareva non avevano intenzione di fermarsi. La giovane prese un grande respiro, correndo verso di loro decisa a fargli la fatidica richiesta. « Scusa » esclamò in loro direzione, il blocco da disegno ancora in mano. Il giovane si voltò in sua direzione, ma non sembrava stupito. Che si fosse già accorto di lei in precedenza? « Il tuo cane è bellissimo! Avevo cominciato a disegnarlo, ma poi... » guardò la creatura, gli occhi vitrei e rossi come sangue. Quella caratteristica le era sfuggita, ma non le mettevano timore. « Vorrei finire il disegno prima di lasciarvi andare! » il suo sguardo tornò sul ragazzo, e standogli davanti non poté fare a meno di studiarlo. Aveva i capelli chiarissimi, così come la pelle, su cui risplendevano gli occhi grandi e di una tonalità da mozzare il fiato. Vedendo che lo sconosciuto non rispondeva, congiunse le mani davanti al viso, ululando un "Ti prego!" che sarebbe potuto suonare convincente. Forse a causa delle cuffie non l'aveva neppure degnata di attenzione? « ... Pronto? »

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    Non appena uscì dal negozio di alimentari, il refrigerio donato dall'aria condizionata si disperse completamente, lasciando Noah in balia del sole di agosto. In un angolo della mente progettava un nuovo macchinario per spegnerlo, incurante dei danni che avrebbe provocato al resto del pianeta.
    Il sacchetto della spesa conteneva un sacco di materie prime che il ragazzo dubitava di aver mai maneggiato, ma Aster riusciva a ricavarne sempre roba buona, quindi, in un certo senso, aveva fatto un'opera di carità verso sé stesso. Di solito l'inventore non lasciava tanto facilmente il suo rifugio, specie con quell'afa soffocante, eppure capitava che l'aiutante fosse troppo impegnato con dei clienti per occuparsi delle faccende domestiche. - Proprio oggi, che stavo per finire il nuovo telescopio -. Cercò con lo sguardo la figura grigia e massiccia di Elnath, il suo animale/androide domestico che possedeva la facoltà di dileguarsi quando più aveva bisogno di lui. Voleva tornare al Taurus e bearsi della frescura dei climatizzatori, non chiedeva tanto. Portò pollice e indice in bocca ed emise un lungo fischio, ma niente, nessuna risposta. Dove poteva essersi cacciato? Magari si era stufato di aspettarlo al sole, cosa comprensibile, così l'albino si buttò il sacchetto su una spalla e diede inizio alle ricerche, la musica decisa di un pianoforte nelle cuffie. Dahlu Wamy in quella stagione si animava di gente curiosa, assetata di conoscenza, ed essendo periodo di vacanza per gli studenti, le università aprivano le porte ai visitatori improvvisando visite guidate per farsi pubblicità. Forse erano fuggiti tutti al Centro di Ricerca Botanico, con le sue serre che riproducevano i vari climi del mondo all'interno di serre ombrose. C'era stato anche lui una settimana prima, sorbendosi una spiegazione lunga eterna su come i cactus sopravvivessero al caldo. Sapeva già quelle cose, ma Aster aveva insistito. Durante il cammino, Noah individuò un parco che offriva esattamente ciò di cui Elnath aveva bisogno: ombra. Era una bestia delle montagne, abituata a inverni rigidi e neve alta, poteva capire la sua sofferenza. Dovette percorrere il sentiero di ciottoli fino in fondo per trovarlo, un lobos dormiente con le protesi meccaniche che riflettevano la luce filtrata dalle fronde. Piegò appena l'orecchio al suo arrivo, prima di rivolgergli un'occhiata che sapeva molto di "guastafeste". Per fortuna era abbastanza obbediente. Si alzò in uno scricchiolio di giunture (arrivava alla cinta del padrone), lasciando che lo precedesse prima di seguirlo a ruota.
    - Ho bisogno di una doccia in una vasca ghiacciata - pensò il ragazzo, mentre Elnath fletteva le orecchie e fiutava l'aria circostante. Bastò una rapida occhiata sopra la spalla per notare una persona sospetta a qualche metro di distanza, ma la bestia non dava segno di preoccuparsene, quindi non doveva essere pericolosa. Quando voltò la testa e si fermò, anche Noah interruppe la marcia forzata verso il Taurus, una sorta di oasi in mezzo al deserto. Dietro di loro, una ragazzina dagli accesi capelli arancio stava dicendo qualcosa, sembrava pure importante vista l'espressione determinata che aveva in viso. Beh, l'Angelo era una frana a leggere il labiale. « Che hai detto? » chiese, in un modo che di primo acchito sarebbe sembrato scortese a chiunque. Abbassò le cuffie sul collo, studiando la creaturina che lo implorava di lasciare lì Elnath come modello per il suo disegno. Le sue protesi erano ammirevoli, ma arrivare a ritrarle... « Ti piace così tanto? ». Era sinceramente confuso, lo sguardo che vagava dalla creatura alla figura minuta di lei. Assomigliava a una specie di folletto, o magari un faerico. Qualunque cosa fosse, lo stava trattenendo troppo a lungo sotto il sole, cosa che aumentava il suo cattivo umore a dismisura.
    « Non ho intenzione di restare qui a cuocere, ed Elnath si danneggia con il caldo. Vieni al mio negozio, piuttosto ». Senza volerlo si stava facendo pubblicità, anche se la ragazza non sembrava il genere di persona che aveva bisogno di un pezzo meccanico. Nonostante Noah non fosse il tipo più socievole della città, lei acconsentì a seguirlo comunque, trottandogli accanto con un gran sorriso stampato in faccia. Riuscì a sbirciare l'abbozzo di disegno sul blocco che si portava appresso, e rimase piacevolmente sorpreso dal tratto pulito delle forme. Aveva grande stima degli artisti, non importava il sesso o l'età che avessero. Da bravo asociale, l'inventore proseguì senza dire una parola, sorpreso di come la sconosciuta non smettesse mai di sorridere. C'era anche gente fatta così, al mondo, tipo Aster. La grande cupola di vetro del Taurus svettò presto tra le altre costruzioni, e Noah tirò un sospiro di sollievo.
    « Arrivati » annunciò, e le porte a vetri si aprirono al loro passaggio. Il cambio di temperatura fu repentino, ma perfetto. Aveva speso una fortuna per l'impianto di condizionamento, e ne era valsa la pena. Il lobos zampettò fino a raggiungere la zona adibita a sala d'attesa, occupando un divanetto con la mole ingombrante in assenza di clienti, e l'albino puntò direttamente alle scale del secondo piano dopo aver mollato il sacchetto della spesa in ingresso.
    « Aster, ci sono visite ». Da dietro la sua scrivania, il ragazzo dai capelli biondi indirizzò alla nuova arrivata un sorriso cordiale, mettendo da parte i documenti che stava compilando. « Oh, salve! Fa caldo oggi, eh? Vuole qualcosa da bere?». L'istinto da mamma chioccia dell'assistente ebbe la meglio sul suo lato professionale, specie alla vista di una creaturina indifesa e spaesata.
    La accompagnò alla poltrona libera accanto ad Elnath, recuperando da uno stanzino secondario la caraffa di té verde ghiacciato che offriva ai clienti in giornate come quella. Ovviamente non poteva limitarsi ad una sola cortesia, e dopo alcuni istanti tornò con una ciotola di piccoli wafer al cacao. « Prego, non faccia complimenti. E' così raro che il capo porti qualcuno! Come si chiama, signorina? Oh, è un blocco da disegno quello? Che meraviglia! ». Se le cose all'Università fossero andate male, Aster poteva sempre puntare ad un asilo nido. Adorava i bambini, i cuccioli e qualsiasi cosa fosse più bassa di lui in generale. Noah osservò la scena dal ballatoio, mentre armeggiava con il telescopio che aveva lasciato a metà prima di uscire. Ad agosto la clientela scarseggiava, e il Taurus pareva ancora più grande senza il solito via vai di gente. Noah approfittava dell'assenza di lavoro per dedicarsi alle sue passioni, come l'astronomia, appunto. Continuò a lanciare occhiate alla ragazza da dove si trovava, sbagliando ad avvitare i bulloni un paio di volte. Non sembrava una studentessa, chissà cosa faceva a Dahlu Wamy per tirare avanti.

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    L'espressione scocciata del giovane parlava da sé, eppure Liane sperava ancora che avesse ascoltato la sua richiesta nonostante le grosse cuffie a coprirgli le orecchie. Nonostante se lo immaginasse, rimase di stucco quando il ragazzo esordì con uno scontroso « Che hai detto? », capace di far perdere la voglia di conversare a chiunque. Beh, non a Liane. Fare un disegno di quel cane meccanico era l'unica cosa che le interessava al momento, e si soffermò ancora sulle corna argentee e gli occhi lucidi come biglie. La ragazza sbuffò, pestando i piedi a terra in un modo che avrebbe fatto invidia ad un bambino di due anni in preda ad una crisi di nervi. « Volevo ritrarre il tuo cane » ripeté, senza perdere l'entusiasmo. « Ti piace così tanto? » le sopracciglia, dapprima corrugate, si distesero, e sul suo viso comparve un grande sorriso. Liane annuì convinta, sottolineando il gesto con un "mh mh" che parlava da sé. Lui la fissava sbigottito, chiedendosi probabilmente come fosse possibile, mentre la ragazza non riusciva a distogliere lo sguardo dalle giunture metalliche della creatura possente e intimidatoria. Per qualche istante non badò alla pausa che lo sconosciuto prese prima di rispondergli, ma poi l'attenzione di Liane si spostò dalla bestia a lui, scrutando il suo viso cercando di leggervi qualche indizio. Non sembrava essere granché predisposto a concederle qualche minuto per completare l'opera, anzi, sicuramente non vedeva l'ora di tornarsene a casa insieme al suo fantastico cane robot. Sfoderò lo sguardo più dolce di cui fosse capace, ma l'albino non la guardo neppure in viso. Doveva passare all'azione, non aveva altra scelta. Fece per aprire bocca per tentare di convincerlo, ma lui fu più veloce: ciò che disse la fece rimanere a bocca aperta, e non per lo stupore, bensì per il dispiacere.
    « Come no? » lo interruppe, anche se il ragazzo sembrava che avesse qualcosa da aggiungere. Avrebbe potuto offrirgli un gelato dopo, peccato che non avesse i soldi neppure per pagare un cono vuoto. Poteva prendere il cane e scappare via, o piantarsi a terra per far valere i suoi diritti - sì, diritti - a finire lo schizzo. Erano entrambe opzioni plausibili.
    « Vieni al mio negozio, piuttosto » Liane sgranò gli occhi, colta alla sprovvista. Aveva sentito bene? Era un sì, dunque! Liane lo assecondò con un grande sorriso, l'album da disegno stretto tra le mani. Chi aveva avuto, fino ad allora, l'onore di ritrarre un cane-robot? Magari sarebbe riuscito a vendere davvero il disegno una volta ultimato. In caso contrario, sarebbe stato un piacere inserirlo tra i suoi schizzi preferiti. Il ragazzo si incamminò, e Liane lo raggiunse trotterellando. Cominciò addirittura a fischiettare un motivetto dalla dubbia origine, lo sguardo sempre a cadere, in un modo o nell'altro, sulla coda meccanica della creatura. Non scodinzolava, ma il movimento e la luce che vi si rifletteva catturava la sua attenzione, e le venne spontaneo chiedersi se solamente utilizzando una matita sarebbe riuscita a riprodurre lo stesso effetto luminoso. Durante il tragitto non parlarono, lei troppo impegnata a studiare l'oggetto del suo desiderio e lui a concentrarsi sulla strada. Chissà in che tipo di negozio lavorava, con un cane del genere al seguito poi. "Che importa, basta che ci sia l'aria condizionata" disse tra sé e sé, con l'impietoso sole di agosto che continuava a brillare sopra le loro teste. L'albino sembrava ancora più insofferente al caldo di lei, o forse era solo un'impressione. Dedicò poca attenzione al suo presunto interlocutore, perché con la coda dell'occhio catturava ogni singolo movimento della bestia, riportando all'istante lo sguardo su di essa. Non sapeva neppure dove stessero andando, si limitava a seguire l'albino docilmente. « Arrivati » la voce del ragazzo la distrasse, ed alzò lo sguardo sulla strada di fronte a lei. Indietreggiò davanti alla porta a vetri che lo sconosciuto attraversò, giusto per ammirare l'enorme struttura. Sembrava un tempio, e su di essa svettava un'immensa cupola di vetro che la lasciò a bocca aperta. Non era mai stata in quella zona di Dahlu Wamy, un negozio così se lo sarebbe ricordato. Che tipo di cainfrusaglie vendeva, all'interno? Entrò con il naso rivoltò all'insù, la trasparenza della cupola ad illuminare la stanza a giorno. Uno strano macchinario dominava la sala, un'infinità di scaffali colmi di libri a farle da sfondo. E c'era anche l'aria condizionata, ringraziando gli dei. Era tutto bellissimo, sembrava essere in un mondo fantastico. Non le era mai capitato di vedere un film di fantascienza, ma immaginava che l'ambientazione potesse essere simile. Le veniva vogia di premere ogni pulsante luminoso di quell'aggeggio mastodontico. « Oh, salve! » una voce diversa da quella del ragazzo dagli occhi mozzafiato attirò la sua attenzione, dirigendo lo sguardo verso la scrivania che stava in un angolo. A parlare era stato un tipo dal sorriso gentile, occhi chiari e capelli biondo scuro. Insomma, il tipico Angelo. « Buongiorno! » Il tono caloroso la mise subito a suo agio, tant'è che salutò entusiasta con un cenno della mano, saltellando fino al bancone. Lo sconosciuto di prima era scomparso, e non aveva prestato attenzione a dove si fosse rintanato il cane. Il biondino era l'unica presenza rassicurante, in quel momento. Quello spazio tanto meraviglioso quanto gigantesco la faceva sentire un po' fuori dal mondo. « Fa caldo oggi, eh? » Liane annuì con un'espressione addolorata.
    « Terribilmente » Era appagante vedere come avesse incontrato qualcuno disposto a fare conversazione. Solitamente lei non faceva altro che parlare a vanvera, e incontrare qualcuno con cui scambiare due parole era il massimo, in particolar modo dopo una giornata passata a soffrire sotto il sole cocente. « Vuole qualcosa da bere? » prima che potesse rispondere, il biondino scomparì in un'altra stanza, lasciando a Liane il tempo di metabolizzare la domanda. Le avevano appena offerto da bere? Senza pagare? Una bibita fresca gratis? No, era un sogno. Magari era davvero in un film di fantascienza. Il ragazzo tornò con una caraffa e le porse galantemente un bicchiere stracolmo di un liquido verde, e assaggiandola scoprì che si trattava di tè. Con gli occhi che le brillavano, lui la accompagnò ad un angolo della stanza, invitandola a sedersi su una poltroncina proprio vicino al cane-robot. « Ecco dov'eri finito cucciolotto! » esclamò, ma la bestia la degnò solamente di un'occhiata fugace, tornando ad appoggiare il muso sulle zampe. Liane tornò a guardare il bicchiere, stringendolo tra le mani. Da sudate che erano, stavano diventando fresche grazie alla bevanda che le avevano appena offerto. « Prego, non faccia complimenti » l'Angelo riapparve davanti a lei tendendogli una ciotolina piena di wafer, e la ragazza boccheggiò alla sola vista. Se nel corso degli anni aveva accumulato un po' di fortuna, la stava esaurendo tutta in giornata. « Questo è il paradiso » disse, allungando una mano verso la ciotolina, fermandosi prima di prenderne anche solo uno. « Posso prenderli davvero? » Aveva bisogno di una conferma, perché era tutto fin troppo assurdo per essere reale. Il ragazzo annuì, e lei si servì, mettendosi quattro quadratini in mano, assaporandone uno alla volta. Non li mangiava da una vita, e una confezione di wafer costava sempre un'occhio della testa. E quelli al cacao erano ottimi. « E' così raro che il capo porti qualcuno! Come si chiama, signorina? » La ragazza alzò lo sguardo su di lui, gli occhi lucidi a causa delle lacrime di gioia che sentiva potevano sgorgare da un momento all'altro. « Liane. Tu? » rispose subito, ingioiando l'ultimo pezzo di wafer. Non le pesava più presentarsi con quel nome oramai. I primi tempi esitava sempre nel rispondere a quella domanda, la voce sibilante e malvagia di Muriel a tornarle inevitabilmente in mente. Solo dopo un paio di secondi si rese conto che il biondino aveva pronunciato la parola "capo". Che si riferisse all'albino? Impossibile, era evidente di come fosse più giovane del ragazzo che aveva davanti. Eppure, chi altri poteva essere? Il cane, forse? Non aveva mai sentito di due commessi umani e un capo animale-androide.
    « Oh, è un blocco da disegno quello? Che meraviglia! » a quell'affermazione, Liane non esitò a porgerglielo. Quel tipo le stava già simpatico. Le piaceva come si era subito preoccupato per lei e di come si fosse interessato ad una completa sconosciuta. Di persone così ne aveva incontrate poche, per strada ognuno faceva i propri interessi. L'importante era sopravvivere, mica aiutare gli altri a farlo. « Sono venuta qua per finire un disegno » spiegò, rivolgendo uno sguardo adorante al cane vicino a lei. Gli indicò il foglio in questione con l'indice, e lo sconosciuto sembrava sinceramente impressionato dalle sue doti artistiche. L'album era pieno zeppo di schizzi incompleti e disegni invenduti, non erano di certo i suoi pezzi migliori, ma vederlo sorridere in quel modo gli scaldava il cuore. Aster - si era presentato così - la lasciò lavorare appena ebbe finito di spulciare tra i suoi disegni, e Liane appoggiò il blocco sulle gambe, rubando un altro quadretto di wafer dalla ciotola che l'Angelo le aveva gentilmente lasciato sul tavolino accanto. « A noi due, cucciolotto » mormorò tra sé e sé, studiando di nuovo le proporzioni dell'animale per riportarle su carta. La posa che aveva assunto era simile a quella che aveva già disegnato, solamente la coda e le zampe posteriori erano in una posizione leggermente differente, ma non lo avrebbe definito un problema irrisolvibile. La luce, poi, era decisamente migliore rispetto a quella del parco. Si concentrò subito sul soggetto, e tracciò le prime linee scure sopra il leggero schizzo preparatorio. Stavolta sembrava dormire sul serio, perché non gli indirizzò neppure un'occhiata ogni tanto o un ringhio. Avrebbe tolto il disturbo in fretta, il tempo necessario per ultimare il disegno e sarebbe tornata in strada, verso la via principale, dove era inizialmente diretta. Raramente alzava gli occhi dal suo operato, e se lo faceva era per guardarsi intorno. Quello era una sorta di paese dei balocchi. A cosa servivano tutti quei libri? E quella macchina che trionfava in mezzo alla stanza? Avrebbe voluto fare milioni di domande ad Aster, ma sembrava avere il suo bel daffare dietro la scrivania. In una di queste ispezioni - se così si può chiamarle - incontrò lo sguardo freddo dell'albino su di lei. Sembrava essere perennemente di cattivo umore, perché quando gli sorrise non si sforzò di ricambiare il gesto. Forse non gli piaceva la compagnia, o gli dava fastidio che una sconosciuta stesse ritraendo il suo cane. Era così geloso? Continuava comunque a studiarla, riusciva a sentirne lo sguardo su di lei. Non che la cosa la mettesse a disagio, ma facilitava la sua naturale inclinazione a distrarsi con poco. A volte alzava lo sguardo per vedere se la stava ancora guardando, gli sorrideva e tornava al lavoro.
    A disegno ultimato, Liane si alzò di tutta fretta, correndo verso la scrivania alla ricerca dello sguardo confortante di Aster. « Ti piace? » chiese, l'umore alle stelle, mettendogli il disegno davanti agli occhi. La luce ottimale del luogo le aveva facilitato il lavoro, permettendole di catturare ogni riflesso delle giunture metalliche e riportarlo sul foglio. Sorrise al sentire il suo stesso entusiasmo nelle parole del ragazzo, e quando le restituì il disegno alzò subito lo sguardo verso l'alto. L'albino era alle prese con un aggeggio di cui era sicura di conoscere il nome, ma sul momento non lo ricordava. Esitò nel dirigersi verso le poltroncine, dove aveva lasciato lo zaino e tutti gli attrezzi da lavoro, e prima di andarsene decise di salire le scale che portavano al pianerottolo dove stava il ragazzo. Aveva ancora le cuffie alle orecchie, e forse per questo non si accorse della sua presenza. « Ho finito » esclamò, entrando nel suo campo visivo. « Che ne pensi? » tese il foglio anche a lui con un gran sorriso, palesemente soddisfatta del suo operato. Si prese una manciata di secondi per osservarlo mentre gli occhi vagavano sul disegno. Era più alto di lei, seppur non esageratamente, e i suoi vestiti sembravano di due taglie più grandi rispetto a quella effettiva. I capelli erano disordinati, e il colore chiaro cozzava con quello più scuro e vivo delle iridi, di un meraviglioso verde tendente all'azzurro. Erano occhi profondi e indagatori, e non riuscì a distogliere l'attenzione da essi fino a quando lui non la guardò. « Oh, scusa, stavo guardando i tuoi occhi » spiegò, essendo stata colta sul fatto. « Sono proprio belli » non le sarebbe dispiaciuto affatto disegnare delle iridi di quella tonalità, ma non possedeva un colore come quello, neanche lontanamente simile. Disegnarli in bianco e nero sarebbe stato un peccato. A guardarlo bene, aveva un po' l'aspetto di un capo. Sembrava autoritario e risoluto, e non pareva stesse aggiustando oggetti senza sapere dove mettere le mani. « Tu sei il capo? » chiese, inclinando la testa di lato. Nel farlo, lo sguardo cadde irrimediabilmente sul marchingegno a cui aveva lavorato da quando aveva messo piede in quel luogo, e non poté fare a meno di esclamare un "wow" sottovoce. « E costruisci queste cose? » domandò ancora, sinceramente estasiata, sfiorandolo con la punta delle dita come se fosse cristallo. Beh, probabilmente era qualcosa di fragile. Tutto sembrava fragile e costoso, lì dentro. Decisamente, non un luogo in cui si sarebbe aspettata di entrare.

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    Niente da dire sul fatto che Aster avesse la stoffa del padre. Assecondò la nuova ospite come fosse una sorellina appena ritrovata, e le cose si calmarono solo quando lei si mise a disegnare sui divanetti della sala d'attesa. Dal punto in cui si trovava, Noah non sapeva dire se il ritratto di Elnath stesse riuscendo bene o meno, ma finché il lobos non protestava poteva benissimo farsi gli affari suoi. Prese il cacciavite a stella e fissò un minuscolo bullone del piedistallo, poi vi poggiò il cannocchiale e ripulì le lenti. Ogni tanto sbirciava la situazione al piano di sotto, e puntualmente il suo sguardo incrociava quello allegro della ragazzina. Sorrideva sempre e comunque, in quel modo spontaneo che aveva dell'incredibile. Chissà cosa la rendeva tanto felice. Il cibo? Anche, vista la velocità con cui erano spariti i wafer, ma sembrava trarre una gioia autentica dal disegnare. Noah cambiò canzone dall'mp3 che teneva in tasca e provò a focalizzarsi sul suo lavoro, un lavoro minuzioso, preciso, perché se quella lente non si avvitava alla perfezione rischiava di... « Ho finito! ». La scimmietta dai capelli arancio gli si parò davanti all'improvviso, un bel colpo per il suo cuore. Vide il foglio che porgeva, e lo prese con un sospiro rassegnato. Beh, diamine, era brava. Elnath era un ammasso di parti meccaniche, tutto spigoli e forme geometriche precise, eppure sulla carta pareva riacquistare il suo aspetto animale. Abbassò le cuffie sul collo prima di rispondere. « Non male » disse, passando dal disegno al lobos per confrontarlo. Lo richiamò con un fischio, e quello alzò la testa nella sua direzione con aria palesemente scocciata. Scese dal comodo giaciglio e salì la scalinata a chiocciola che portava al ballatoio, sedendosi buono buono accanto a lui in attesa di ordini. « Sì, gli assomiglia ». Un talento del genere gli sarebbe servito per creare i modelli delle sue future invenzioni, perchè a disegnare era una frana. Fece per ridarle il lavoro, ma rimase sospeso tra lui e la sconosciuta, persa a guardare chissà cosa sulla sua faccia. Forse si era sporcato con dell'olio? « Che c'è? » chiese di getto, e l'altra parve tornare sulla terra. « Oh, scusa, stavo guardando i tuoi occhi. Sono proprio belli ». Sulle prime non seppe cosa dire, alzando un sopracciglio con fare scettico. La gente non si complimentava con lui per l'aspetto esteriore, mai. Non era l'Angelo più attraente della città, né il più cavalleresco. Il fatto che le sue iridi fossero di un colore quasi elettrico significava poco o niente in mezzo ad altre razze con qualità esteticamente superiori. « Macchè, sono normali » borbottò, un lieve rossore ad imporporargli le guance. Che tipa strana. La conversazione proseguì anche quando Noah riprese a lavorare al telescopio, con Elnath che girava attorno alla ragazzina e lei che lo riempiva di domande. Mangiare cioccolato non le faceva bene. « Tu sei il capo? ». L'albino annuì mentre calibrava le lenti, puntando alla vetrata del soffitto.
    « E costruisci queste cose? ».
    « Beh, non proprio. Questo è un mio capriccio » spiegò, ancora piegato sull'obiettivo, « di solito faccio protesi meccaniche, come quelle di Elnath ».
    Una volta raggiunto l'inquadramento perfetto, Noah fece un passo indietro per ammirare il telescopio in tutta la sua magnificenza. Con il cielo limpido dell'estate avrebbe visto un sacco di stelle, quella notte. La voce di Aster raggiunse entrambi, strappando un grugnito all'inventore non appena sentì la parola "cena". Significava interrompere le sue attività per ben un'ora e mezza, un oltraggio. « La signorina Liane mangia con noi? ». In risposta, lui fissò la scimmietta da sopra la spalla. « Liane? Ti chiami così? Comunque se ti va resta pure. Aster fa sempre porzioni esagerate ». Non era da lui preoccuparsi per gli altri, eppure Liane gli sembrava... denutrita. Non nel modo drastico degli ammalati, ma i suoi polsi erano troppo sottili, le clavicole spiccavano dal colletto della maglietta, e le gambe erano al pari di due stecchini. « Quanto vuoi per il disegno? » domandò all'improvviso. Era fatto troppo bene perchè finisse nelle mani sbagliate, ma forse lei era una di quelle artiste che custodivano gelosamente ogni loro creazione. Aster decretò che per cena avrebbe fatto del riso freddo, ed Elnath perse subito l'interesse. Chissà se la piccoletta sarebbe rimasta a far loro compagnia. Per la prima volta Noah non si sentiva minacciato da un forestiero, e questo era così strano che decise di approfondire la questione in futuro. Intanto poteva impegnarsi per ricambiare i sorrisi di Liane, o almeno, provarci.

    « Parlato/Noah » - Pensato/Noah - « Parlato/Liane »

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    E così era lui il capo. A giudicare dall'aspetto fisico non lo avrebbe mai detto, ma la sua giovane età nascondeva, a quanto pareva, un'autorità di tutto rispetto. Tuttavia le riusciva ancora difficile immaginare Aster un gradino sotto di lui, nonostante si trattasse della realtà dei fatti. Ammirevole per un ragazzo così giovane. Liane stava ancora osservando il telescopio - sì, alla fine aveva ricordato come si chiamava - che tanto teneva occupato l'albino, quando si lasciò sfuggire una risatina nel momento in cui la coda del cane-robot le sfiorò i fianchi. L'animale sembrava la stesse studiando, probabilmente non era ancora abituato alla sua presenza. Come biasimarlo? Lo aveva praticamente preso in ostaggio per finire un disegno, piombando nel suo ambiente senza alcun preavviso. Le iridi dorate di lei scivolarono su tutta la figura meccanica della creatura per l'ennesima volta da quando lo aveva avvistato nel parco. Oh, era così bello! Come poteva vendere quel disegno? E se lo avesse appeso in camera? Ritrarre un cane robotico non era cosa da tutti i giorni, forse non le sarebbe più ricapitata un'occasione del genere. La ragazza riportò l'attenzione sullo strumento, gli occhi che viaggiavano dal viso concentrato di lui al corpo del telescopio, sgranandoli in un secondo momento quando lo definì un mero capriccio. Di scatto si rimise dritta con la schiena, le sopracciglia aggrottate nel tentativo di capire se stesse scherzando o meno. Quell'attrezzo era un capriccio? Eppure sembrava... perfetto, dal suo punto di vista. Insomma, se quello era semplicemente uno sfizio cosa era capace di fare con quelle manine d'oro che si ritrovava? « Di solito faccio protesi meccaniche, come quelle di Elnath » la risposta alla sua domanda non espressa arrivò subito dopo, e ci mise qualche istante a metabolizzare ciò che aveva appena detto. Si voltò, posando lo sguardo sul cane che si era sistemato vicino al padrone, per poi riportarlo sul ragazzo, e dopo ancora su Elnath. Studiò gli ati artificiali della bestia come fosse la prima volta, alzando ancora gli occhi sull'Angelo di fronte a lei. L'espressione sorpresa che aveva dipinto in viso si trasformò in pura ammirazione, gli occhi che scintillavano e le labbra aperte in un muto "oooh". « Hai costruito anche lui? » chiese Liane, incapace di contenere la meraviglia. Si piegò sulle ginocchia all'altezza del muso di Elnath, sorridendo, e allungò una mano nel tentativo di accarezzarlo. Tutto inutile, dato che il cane evitò di proposito la sua mano. « Guarda che non mi arrendo » gli sussurrò l'Ibrida facendogli una linguaccia, rialzandosi giusto in tempo per vedere ultimato il "capriccio" del ragazzo. Anche sua sorella Eirene ne aveva uno, nella casa a Ecumy Vyda. Era un regalo dei genitori, nulla di ricercato o professionale. Quando la mezzana non era in casa, Maya e Liane si divertivano ad usarlo, anche se non avevano la minima idea di come funzionasse, ma guardare le stelle da così vicino era bello, quasi quanto ammirarle ad occhio nudo. Fatto stava che di astronomia non ci aveva mai capito nulla, lei si limitava a meravigliarsi di quanto fosse bello il cielo notturno. Quella appassionata di stelle e pianeti era Eirene, e così sembrava esserlo il capo di quel posto strabiliante. « E' uguale a quelli che si vedono nei negozi » disse, toccandolo di nuovo con cautela, percorrendone il profilo con l'indice. Aveva seriamente paura di romperlo solamente guardandolo, e lui ci aveva messo così tanto impegno per rovinare il suo lavoro in un batter d'occhio. Doveva mettere un freno alla sua curiosità, altrimenti era probabile che sarebbe finito tutto in polvere. Era ancora persa a rimirare il magnifico strumento di cui ancora non si capacitava di come potesse essere stato costruito a mani nude da un ragazzo quasi della sua stessa età, quando l'attenzione di Liane venne rapita dalla voce rassicurante di Aster al piano di sotto. Raddrizzò il busto, sporgendosi leggermente per riuscire a vedere il viso del giovane sotto di loro, e alla parola "cena" lo stomaco le brontolò rumorosamente, nonostante i wafer che aveva appena mangiato. Che vergogna. A ben pensarci, per cena aveva solamente i due succhi di frutta, che doveva farsi bastare almeno fino al pomeriggio dell'indomani. Forse Khloe, una delle ragazze con cui condivideva il monolocale dove abitava, era riuscita a comprare qualcosa che avrebbero condiviso tutte insieme per quella sera. Se lo augurava, andare a letto a stomaco vuoto era sempre uno strazio, e benché ci avesse fatto l'abitudine rimaneva sempre un'esperienza alquanto spiacevole. Forse poteva chiedere ad Aster se gli era rimasto qualche wafer. "Però hanno già fatto così tanto" rifletté, accantonando l'idea. Forse avrebbe fatto meglio a tornarsene a casa e disegnare qualcosa da vendere il giorno dopo. Storse il naso all'idea, non aveva alcuna voglia di rientrare a casa. In quel negozio si stava così bene, ed erano tutti gentili. Osservò di nuovo il volto dell'albino, passando così a quello sorridente di Aster. Il pensiero di dover rivedere Raegan - la coinquilina più antipatica che potesse capitarle - aveva il potere di farle chiudere lo stomaco, era evidente di come preferisse scambiare ancora quattro chiacchiere con i ragazzi, ma c'era un limite a tutto. « La signorina Liane mangia con noi? » a sentire quelle parole, la ragazza strabuzzò gli occhi. Prese fiato per declinare l'invito, decisa a non approfittare oltre della loro bontà, ma un'occhiata dell'albino di fronte a lei fece morire le parole in gola. « Liane? Ti chiami così? » Annuì con un sorriso, contenta di sentire come il suo nome pronunciato da altri suonasse così bene. Cambiarlo era stata un'ottima scelta. « Comunque se ti va resta pure » la contentezza scemò sul suo viso, lasciando posto alla sorpresa. Si voltò velocemente verso Aster, dopo sull'albino, ancora incredula. Stava sognando, era troppo bello per essere vero. « Posso rimanere? Sul serio? » esclamò lei, la voce più acuta a causa della gioia che si era impadronita di lei. Riso freddo o no, da quanto non consumava un pasto decente? « Grazie, grazie, grazie! » squittì ancora, stringendo la mano del capo in segno di gratitudine. Erano i suoi salvatori, gli dei li avevano inviati apposta per lei, non c'era altra spiegazione. Gli occhi ancora le scintillavano quando salutò Aster che scompariva in un'ala dell'edificio. Avevano perfino una cucina? Quant'era grande quel posto? Liane finì per dondolarsi sui talloni, le dita incrociate dietro la schiena e un sorriso sornione dipinto in viso. Tutto quel cibo le sarebbe potuto bastare per l'intera giornata dell'indomani. « Quanto vuoi per il disegno? » chiese l'albino di punto in bianco, e la ragazza ne rimase per un attimo sorpresa. Non pensava che il lavoro potesse piacergli così tanto da volerla per sé, e una sensazione calda e piacevole si impossessò del suo corpo, come goni volta che qualcuno le faceva i complimenti per il suo operato per strada. « Quindi ti piace davvero! Per un attimo avevo pensato che lo avessi detto solo per farmi contenta » esclamò raggiante, pronta ad elencare i prezzi dei suoi disegni come faceva d'abitudine, ma si fermò appena in tempo. Suonava sbagliato chiedere dei soldi a lui. Le aveva offerto da mangiare e l'aveva fatta entrare nel suo negozio senza problemi, non poteva. Magari si poteva sdebitare così. « Te lo regalo » dichiarò infine, convinta della sua decisione. Quel ragazzo poteva apprezzare il suo disegno più di qualunque altro acquirente, anche più di lei stessa. Era in ottime mani. Lanciò un ultimo sorriso all'albino per poi scendere di corsa le scale. Un momento prima aveva deciso di scovare Aster e aiutarlo, ma subito dopo i suoi buoni propositi lasciarono spazio alla magia che sembrava aleggiare in quel posto. Inevitabilmente, si diresse subito verso il gigantesco macchinario che troneggiava al centro della stanza, girandoci intorno osservandolo con occhio critico. Cercò di capirne la funzione, ma, inutile dirlo, non ne venne assolutamente a capo. « Anche questo l'hai fatto tu? » domandò a voce alta, senza girarsi verso l'albino, troppo impegnata ad ammirare la costruzione davanti ai suoi occhi. Forse con quello costruiva le protesi meccaniche a cui aveva accennato prima, o forse un forno enorme dove si divertivano a cucinare pasticcini. E se fosse stato uno strumento di tortura? Liane saltellò fino a fermarsi di fronte ad un piano collegato al macchinario, pieno di bottoni colorati e indicatori. Solo a guardarli le girava la testa. « Vediamo un po' » mormorò tra sé e sé, l'indice a grattarsi il mento, indecisa su quale pulsante premere per primo. Per capirne la funziona, in fondo, doveva sperimentare, no? E poi la sua curiosità era troppa per rimanrsene ferma a guardare. Alla fine si decise a schiacciare un bottone totalmente a caso, e subito un fastidioso rumore invadé la stanza. Liane fece un passo indietro, presa alla sprovvista, osservando come del vapore uscisse dalle aperture della costruzione, insieme ad un sibilo acuto che non sembrava presagire nulla di buono. La ragazza si sbrigò a premere di nuovo lo stesso pulsante, ma non cambiò nulla finché non premette quello vicino. Solo quando tornò tutto alla normalità si accorse che aveva trattenuto il respiro fino a quel momento, e si sbrigò a fare un giro della macchina per controllare che tutto fosse come prima. Il suo gesto avventato, per fortuna, non aveva causato alcun danno, e meno male. Sulle sue labbra tornò un sorriso sollevato, come se nulla fosse accaduto, e si girò in direzione del capo stringendosi nelle spalle. « Scusa » disse, trattenendo una risatina, perché per quanto avesse rischiato, a ripensarci, era stato quasi divertente. Non avrebbe saputo dire se l'albino fosse arrabbiato o meno, così azzardò a fargli un'altra domanda. « A cosa serve? » doveva ammettere che la meccanica aveva un suo fascino, o forse era quel luogo ad incantarla, con tutto ciò che vi era stipato dentro. Incluse le persone che vi lavoravano.

    « Parlato » || "Pensato"
    ibrido angelico ❖ scheda ❖ 17 y/o
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    Edited by altäir - 4/11/2016, 14:14
     
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    Quella ragazzina non aveva il minimo fiuto per gli affari. Poteva vendere un disegno "tecnico" del genere per molti soldi, o addirittura rivolgersi ad altri meccanici e mostrarlo come esempio di ciò che sapeva fare. Lì a Dahlu Wamy gli acquirenti non mancavano di certo. A ben guardarla, però, non sembrava il tipo di persona frugale che pensava sempre e solo al denaro, spensierata e molto alla mano. Magari era una studentessa che occupava il tempo libero a quel modo, chissà. « Uhm... grazie » disse infine Noah, arrotolando il disegno e posandolo sul tavolo lì vicino. Tempo di gioire per la cena offerta che già Liane era andata a curiosare in giro, tra i mille oggetti del piano inferiore di cui, personalmente, l'inventore andava piuttosto fiero. Fece spallucce e si mise a pulire le diverse lenti del telescopio, fin tanto che Aster accendeva i fornelli nella piccola cucina sul retro. Era instancabile, curiosa come un cucciolo - no, una scimmia - e non si dava pace. « Anche questo l'hai fatto tu? » gli chiese a gran voce, e quasi fece cadere una lente per lo spavento. Gironzolava attorno all'incubatore, una specie di serra che riportava in vita le piante in un sistema complesso di tecnologia e poteri della terra. - Lo sapevo che dovevo metterci delle transenne attorno a quel coso -. Le fece un cenno affermativo col capo, pensando che la questione si chiudesse lì, e invece la piccoletta si accostò al quadro dei comandi, l'aria indecisa di chi non sapeva proprio quale bottone premere. « No no no, ferma! » sbraitò l'albino, correndo giù per le scale con Elnath appresso, che in realtà lo seguiva solo per divertimento. Di tutte le cose che poteva toccare, Liane scelse il depressurizzatore, ed una nube di vapore invase la stanza. Persino Aster si affacciò dalla cucina, allarmato. Noah non seppe cosa le avesse poi suggerito di premere il meccanismo che richiuedeva le tubature, forse un colpo di fortuna, forse gli dei che avevano avuto pietà di lui. Quando raggiunse la scimmietta era talmente furioso da aver perso le parole, e cosa peggiore, la colpevole non sembrava minimanente pentita. « A cosa serve? ». Prese un lungo respiro, mettendosi a smanettare tra i comandi per riportare i parametri alla normalità. « Riporta in vita le piante. Liane, se lo fai di nuovo ti do in pasto al lobos ». Sarebbe stata una minaccia parecchio grave se Elnath non avesse risposto con uno scodinzolio frenetico, cercando la mano della ragazza per farsi accarezzare. Era un cagnolino che pesava parecchi chili - anche a causa delle parti in metallo - e arrivava all'altezza della vita di entrambi, perciò appena decise di alzarsi sulle zampe posteriori per raggiungere il viso di Liane, la sventurata finì col sedere a terra, troppo esile per sostenere tutto quel peso. Beh, Elnath non si fidava mai di nessuno, doveva essere una fanciulla particolarmente innocua per ingraziarselo a quel modo. « Perfetto, adesso anche il cane mi da contro » sbottò, mentre la risata di Aster risuonava dalla cucina. Con un fischio richiamò la creatura all'ordine, offrendo a Liane una mano per alzarsi. Era davvero troppo leggera rispetto all'appetito che aveva, e Noah non vantava chissà quali muscoli. Una volta in piedi, l'Angelo le rimise a posto il groviglio di capelli aranciati in un gesto molto fraterno, passandovi sopra la mano finché non tornarono in ordine. « Chiedi a me prima di toccare qualcosa, okay? ». Sì, un po' si sentiva in colpa. L'innocenza di Liane gli arrivava dritta al cuore, anche se era curiosa ai limiti del sopportabile.
    « Ragazzi, possiamo mangiare adesso? » inquisì l'assistente, fermo sulla porta con il mestolo in mano ed un'espressione divertita in volto.
    La cucina del piano terra era minuscola rispetto a quella che Noah aveva fatto costruire nel suo appartamento, sopra al laboratorio. Il tavolo poteva ospitare solo due persone, e Aster cedette il suo posto abituale alla nuova ospite con un sorriso. Il menù prevedeva verdure bollite e del tonno scottato - Noah non era un amante della carne - il tutto cotto ed insaporito divinamente. Era da un paio di settimane che il giovane inventore non cenava in modo decente, scaldandosi qualcosa di pronto mentre lavorava alle protesi meccaniche. Aveva quasi dimenticato che sapore avessero i cibi "normali". « Dimmi Liane, sei una studentessa? Sembri così giovane! ». Niente da fare, ormai Aster era partito.
    « Devi aver seguito dei corsi per disegnare a quel modo, immagino ».
    Noah non possedeva la curiosità morbosa dell'altro, ma dovette ammettere che un po' ci teneva a sapere qualcosa sul conto della minuscola creatura che era piombata nel suo negozio con la forza di un uragano, perciò rimase in ascolto, il viso chino sul piatto e il peso di Elnath contro le gambe.

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    L'albino sembrava davvero su di giri. L'aveva capito dalle sopracciglia corrugate, il viso teso e le dita che si muovevano veloci sopra i pulsanti dell'enorme macchina al centro della sala. A quanto pareva l'aveva combinata grossa, e pensare che aveva solo fatto uscire del fumo da quel marchingegno mastodontico. Non sembrava essere danneggiato, ma per quanto ne capisse di meccanica quel coso poteva anche essere bello che andato e Liane non se ne sarebbe resa conto. Se lei era il ritratto della serenità, il capo lo era decisamente meno, assomigliando di più a quello della preoccupazione. « Riporta in vita le piante » le sue labbra si schiusero in un muto "oooh" di sorpresa e ammirazione, e si avvicinò alla macchina tentando di scorgere qualcosa. Il ragazzo la batté sul tempo, fermandola con un'occhiataccia di cui lei non si accorse all'istante. Solamente quando cominciò a sentirsi osservata spostò lo sguardo vivace su di lui, per vedersi rispondere con un'occhiata fredda. « Liane, se lo fai di nuovo ti do in pasto al lobos » L'Ibrido fece un saltello all'indietro, staccandosi definitivamente dalla macchina, con gli occhi sbarrati e le labbra serrate. Qualunque cosa fosse, quel lobos, non sembrava promettere nulla di nuovo. Era una macchina assassina? L'aveva creata lui? Assottigliò le iridi dorate in sua direzione, tentando di decifrare quella specie di messaggio criptato, quando sentì qualcosa di freddo e metallico contro la sua mano. Puntò lo sguardo verso il basso e la ragazza sorrise alla vista del cane-robot che l'aveva ammaliata quel pomeriggio. Forse il lobos era lui, lì dentro era l'unica cosa in grado di mangiarla in un sol boccone. « Ehi cucciolotto, vuoi le coccole? » fece Liane, non potendo non notare lo scodinzolare della coda metallica. Si voltò verso di lui per accucciarsi davanti al suo muso, ma Elnath la anticipò, alzandosi sulle zampe posteriori e appoggiandosi sulle spalle della ragazza. Era un molosso, la superava in altezza di almeno una ventina di centimetri, e non ci volle niente a far cadere Liane a terra, il cane sopra di lei a reclamare la sua dose di coccole. Lei rise di gusto, circondando il collo dell'animale con le braccia esili e la fredda mascella meccanica del lobos contro la guancia. « Ti voglio bene anche io! » squittì, continuando ad accarezzarlo. Non le sembrava vero, e pensare che all'inizio la ignorava bellamente. « Perfetto, adesso anche il cane mi da contro » sbuffò l'altro, e la risata della ragazza si fece più acuta al sentirlo parlare. « Tu non mi mangeresti mai, vero? » chiese a mo' di supplica al cane, che per risposta avvicinò il viso al suo, « Ma certo che non lo faresti! » gli si stava rivolgendo come se si trattasse di un bimbo piccolo, i palmi a circondare il muso di Elnath e gli occhi dorati riflessi in quelli scuri e artificiali del lobos. Liane era davvero al settimo cielo: una cena degna di chiamarsi tale - sentiva già un buon profumo nell'aria - si era guadagnata la simpatia di Elnath e ben due nuove conoscenze, che a dirla tutta già adorava. Era la sua giornata fortunata, non c'era che dire, ci mancava solamente che trovasse una scatola di acquarelli per terra sulla via di casa. Impossibile avrebbe detto, ma fino a qualche momento fa credeva impossibile anche la prospettiva di un pasto decente prima di andare a dormire e che il cane-robot prima o poi si sarebbe fatto accarezzare. Magari avrebbe davvero trovato degli acquerelli per terra una volta uscita dal negozio. O, spiegazione molto meno complessa, si trattava di un sogno bellissimo. L'albino richiamò l'attenzione sia del lobos che di Liane con un fischio, e in un attimo l'animale la lasciò libera, la ragazza a tendere le braccia verso di esso in un vano tentativo di tenerselo stretto. Mormorò un "uffa" tra sé e sé, poggiando i palmi sul pavimento per riuscire ad alzarsi, quando il capo le offrì una mano per riuscire a sollevarsi da terra. Liane sollevò lo sguardo sul suo viso, non più scuro e arrabbiato come prima, e nel vederlo tranquillizzato accettò di buon grado l'aiuto, ritornando in posizione eretta in pochi secondi. Lo ringraziò stringendogli la mano che teneva ancora nella sua, e il gesto che seguì la fece rimanere di stucco. « Chiedi a me prima di toccare qualcosa, okay? » le intimò, mentre le dita passavano tra le ciocche aggrovigliate dei capelli dell'Ibrido. Lei lo stette a guardare ad occhi spalancati, le mani ancora intrecciate tra loro. Entrambe le sue sorelle, quando erano ancora insieme, si divertivano a giocare con i suoi capelli: Maya glieli spettinava solitamente, ed Eierene, mossa a compassione, glieli risistemava con movimenti delicati, attenta a non tirarglieli. Li aveva ancora lunghi, prima di tagliarseli come segno di ribellione contro Muriel. Il ragazzo aveva lo stesso tocco impercettibile e fraterno della mezzana, una carezza che da tempo desiderava di sentire e che la rassicurava oltre ogni dire. A primo impatto le era sembrato inavvicinabile, non capace di un gesto così affettuoso e fraterno, invece la faceva sentire al sicuro. « Okay » rispose dopo una manciata di secondi, il tempo di far comparire il suo solito sorriso sulle labbra. A quanto pare il capo era riuscito a sistemare il macchinario e non ce l'aveva più con lei, e meno male. Odiava mettersi contro la gente. Per andare d'accordo con l'albino, l'infinità curiosità che la contraddistingueva le sarebbe potuta essere d'intralcio. « Ragazzi, possiamo mangiare adesso? » la voce di Aster fece voltare l'improbabile trio verso di lui, e alle spalle del giovane si trovava l'origine di quel profumo buonissimo. « Oh, sì, sì! Assolutamente! » gioì la ragazza, trascinando con sé il capo seguito a ruota da Elnath. La cucina in cui entrarono non era grandissima, anzi, assomigliava molto a quella che si trovava nel monolocale in cui abitava a Dahlu Wamy. Era piccola ma ben pulita, e Liane non poté fare a meno che sollevarsi sulla punta dei piedi per vedere meglio la mensola delle spezie, vasetti colorati che avevano subito attirato la sua attenzione. Tuttavia, il profumo del tonno e delle verdure fu forte di qualsiasi altra distrazione presente in quella stanzetta, e quando Aster lo mise a tavola, offrendo oltretutto il suo posto alla ragazza, gli occhi di Liane non poterono che brillare. Per lei con "tonno" si intendeva solo quello in scatola, e spesso quello che costava di meno era insapore e molto meno invitante di quello che si trovava davanti. « L'hai fatto per me? » chiese, prendendo posto a tavola di fronte all'albino, sedendosi sulla sedia come se avesse paura di romperla. « Posso mangiarlo? » l'eccitazione e l'incredulità nella sua voce si facevano sempre più evidenti, e le dita strinsero la forchetta quasi tremando. Nel momento in cui mise in bocca il tonno, era convinta di star per morire per la felicità. « Ditemi che non è un sogno » disse, guardando il giovane davanti a lei, che a sua volta la studiava come se non fosse la cosa più normale che avesse mai visto. Stava mangiando del cibo vero, niente schifezze in scatola o frutta o insalate imbustate. Ancora stentava a crederci. « Dimmi Liane, sei una studentessa? Sembri così giovane! » sentendosi chiamare, l'Ibrido alzò lo sguardo sul volto sorridente di Aster, uno dei suoi Angeli custodi scesi dal cielo quel giorno solo per aiutare lei. « Beh, sono giovane in effetti! Ho diciassette anni » esclamò lei con lo stesso entusiasmo, non perdendo il sorriso neppure per rispondere alle domande di lui. In fondo, aveva fatto l'abitudine a non fare riferimenti al suo passato, né all'orfanotrofio, né tanto meno a Muriel, per quanto solo pronunciarne il nome la spaventasse. « Ho lasciato la scuola qualche mese fa, a dire il vero » disse dopo aver inghiottito una forchettata di verdura - buonissima! - , « ora sono un'artista di strada » quello stile di vita era il suo presente. Andare di strada in strada con zaino in spalla e carboncino alla mano, con pochi spiccioli in tasca a fine giornata e ancor meno cibo nello stomaco. A dirla tutta, non avrebbe saputo descrivere la vita che conduceva a Ecumy Vyda: tutto si riduceva a gite in campagna con i genitori e battaglie coi cuscini tra sorelle, ma del luogo dove era nata aveva pochi ricordi. L'orfanotrofio era diventato un posto grigio e triste dopo la partenza di Maya e Eirene, mentre la casa di Muriel era il buio totale, rischiarato dalla luce della lampadina della stanza delle torture. Una trappola. Niente a che vedere con la vivacità di Dahlu Wamy, gli edifici altissimi, gli spazi arieggiati e i colori tenui. Quel luogo soddisfaceva la sua sete di avventura, da quando era arrivata quella città non faceva altro che riservarle sorprese. « Vendo i miei disegni per vivere, ma non ho fatto nessun corso » continuò, grattandosi la guancia con l'estremità non appuntita della forchetta, « ho ancora tanto da imparare, però disegnare mi piace tanto e non mi pesa affatto » rise, puntando gli occhioni da gatto in quelli gentili di Aster, per poi passare alle iridi vivaci dell'albino. « E voi, invece? Lavorare qui sembra così difficile! » disse, e lo pensava davvero. Per una persona poco pragmatica come lei la meccanica era tutt'altro mondo, se non universo, e stare a contatto con tutti quei macchinari senza vita era... strano. Era un mondo interessante, senza dubbio, che la incuriosiva parecchio, ma sentiva di essere incompatibile con quello stile di vita. « Che altre macchine ci sono qui? » domandò ancora, il tonno ormai finito nel suo stomaco e sparito dal piatto. Da quant'era che non mangiava una cena con la C maiuscola? Troppo tempo, dato che non si ricordava l'ultima volta che aveva cenato decentemente. Quel posto e i due ragazzi erano davvero una benedizione, se non fosse stato per Aster e il capo si sarebbe limitata a bere del succo di frutta prima di andare a letto. « Ehi, io non so il tuo nome! » esclamò improvvisamente, voltandosi di scatto verso l'albino. « Come ti chiami? A meno che tu non voglia continuare ad essere chiamato il capo » mimò il segno delle virgolette con le dita per enfatizzare il soprannome, ma la verità era davvero curiosa di conoscere il nome del proprietario di quel negozio stratosferico, luogo da cui non avrebbe voluto andarsene.

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    Noah non capì la titubanza della piccoletta nell'accettare la cena. Certo, era stata una cosa improvvisa, ma fatta con le migliori intenzioni, nessun pagamento o ricatto. Aster camminava a tre metri da terra con tutti quei complimenti, incoraggiandola a mangiare e offrendole anche il bis. Nel frattempo i due nuovi amici del cuore conversavano come si conoscessero da secoli, e l'inventore ascoltava per il solo gusto di distrarsi. Non era il tipo da impicciarsi nelle questioni altrui, eppure si sorprese della giovane età di Liane, e della sua scelta di lasciare la scuola per darsi ad una professione che lasciava il tempo che trovava. Per quanto brava fosse, non era detto che ogni giorno qualcuno volesse acquistare un ritratto. « Quando fai un lavoro che ti piace è così » convenne l'aiutante, dopo aver sorriso entusiasta alla sua dichiarazione. « Ti auguro tanta fortuna, Liane. Il tuo talento non passerà inosservato ». Aster doveva sbrigarsi a cambiare professione, lo avrebbero accolto a braccia aperte in una scuola materna. « E voi, invece? Lavorare qui sembra così difficile! » esordì la ragazza, davanti al piatto perfettamente pulito.
    « Beh, al Taurus si aggiusta qualsiasi cosa, ma siamo specializzati in protesi meccaniche. Abbiamo ricevuto molti riconoscimenti dall'Università » spiegò il biondo, intento a sparecchiare e lavare della frutta. Noah non la mangiava mai, salvo rari casi, eppure la sua seconda madre insisteva affinché ne consumasse un tot a settimana. Non era di salute cagionevole, ma standosene sempre al buio era facile che si ammalasse al primo spiffero d'aria. Guardò male la ciotola di fragole che lui mise al centro del tavolo, prendendo la più piccola del mucchio e masticando lentamente finché Aster snocciolava una lista di macchine che possedevano: quella per risanare le piante, che già aveva visto e provato, quella per assemblare i pezzi, un fusore, delle braccia automatiche... neanche l'albino era certo di sapere quante fossero in tutto. Le aveva assemblate personalmente una ad una, erano creature familiari che gli ricordavano quanta strada avesse fatto in così poco tempo, tuttavia l'oggetto che preferiva dell'intero laboratorio aveva preso vita da una singola pianta, per mezzo di natura e magia: il suo violino. Non lo suonava da parecchio, preso com'era dal lavoro. Rimase imbambolato a fissare la fragola morsicata tra le dita per chissà quanto, gli arrivavano parole sporadiche della conversazione che avveniva nella stanza, quando all'improvviso Liane alzò la voce e lo chiamò in causa, una scossa elettrica che lo fece rinvenire all'istante. « Come ti chiami? A meno che tu non voglia continuare ad essere chiamato il capo ». Lui si grattò la testa - un riflesso incondizionato per arginare l'imbarazzo - e rispose: « Capo va ben... ». « Noah Aldebaran ». Aster sostenne con un ghigno la sua espressione scocciata, ritirandosi per rispondere al telefono giusto prima di beccarsi una fragola in faccia. Sospirò, esasperato da una confusione a cui non era per nulla abituato, e spinse verso la fanciulla la ciotola di frutta. « Non importa, chiamami come vuoi. Adesso mangia, che ne hai bisogno ». Aveva l'appetito famelico di un cucciolo denutrito, e sebbene fosse di costituzione esile, di certo qualche chilo in più le avrebbe giovato. Si chiese se quel suo lavoro le procurasse entrate sufficienti per permettersi una casa, dei pasti regolari, qualche sfizio... no, ne dubitava fortemente. La famiglia approvava quel tipo di scelta? Ne sapeva qualcosa su genitori che criticavano la condotta dei figli, era la storia della sua vita. - Mi sto preoccupando troppo per una tizia che neanche conosco -. Si stiracchiò e diede un'occhiata all'orologio, calcolando quanto tempo gli restava per terminare la protesi in ordine per il giorno dopo. Un sonnellino post-cena e poi lavoro fino all'alba, normale amministrazione. Aster intrattenne l'ospite con un mucchio di chiacchiere a vuoto, le rifilò una merendina e poco mancava che si mettesse a tirarle le guance a mo' di vecchietto. Anche se il sole tramontava più tardi, comunque, era arrivato il momento del congedo. « Torna a trovarci quando vuoi! Oh, capo, accompagnala per un po' » suggerì, ma sapeva tanto di ordine velato. Noah fece spallucce, Elnath già al suo fianco, e attese che la scimmietta uscisse fra mille ringraziamenti. Era davvero molto ossequiosa, si vedeva lontano un miglio che la cena era stata di suo gradimento.
    Fuori la temperatura si era abbassata, sebbene l'afa appesantisse l'aria e incollasse i vestiti alla pelle. Il ragazzo odiava il caldo, si sentiva un mollusco pronto da buttare in pentola, mentre la piccola accompagnatrice dava l'idea di essere euforica in qualsiasi stagione. Il lobos le camminava a fianco tutto scodinzolante, una vista più unica che rara. « E' distante casa tua? » le chiese, preoccupato di quanto tempo avrebbe passato fuori dall'amato laboratorio. Si erano incontrati a dieci minuti di strada da lì, ma non voleva dire nulla. La sorprese in un momento in cui era intenta a fissarlo - lo faceva spesso, in realtà - e subito si tirò un ciuffo di capelli sulla fronte, guardandosi i piedi. « Se devi dirmi qualcosa, dillo e basta ». Suonava abbastanza scortese, ma che poteva farci? L'attitudine da cavernicolo faceva parte di lui, un asociale in piena regola, e Liane era la cosa più socievole che avesse mai incontrato.

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    Non poteva trattarsi di gente qualunque. Dovevano per forza essere degli angeli custodi, scesi su Andellen solo per aiutare lei. Aster era troppo gentile, non faceva altro che riempirle lo stomaco, sorriderle e rispondere alle sue curiosità con entusiasmo, e il capo non l'aveva ancora buttata fuori dal negozio nonostante fosse evidente che tutto quel chiasso non era la normalità, lì dentro. « Ti auguro tanta fortuna, Liane. » fece lui, continuando a sorriderle in un modo che avrebbe potuto far sciogliere qualsiasi ghiacciaio, « Il tuo talento non passerà inosservato » Sulle labbra della giovane prese forma un immenso sorriso, ed esclamò un « Grazie mille! » fin troppo eccitato che risuonò nel temporaneo silenzio dell'abitacolo. Incrociò momentaneamente lo sguardo dell'albino, che li guardava quasi frastornato, ma appena udì la voce dell'Angelo la fanciulla si voltò di nuovo verso di lui, pendente dalle sue labbra. Lui disse che erano specializzati in protesi meccaniche, e se non ricordava male anche il capo, prima, le aveva nominate. Cercò Elnath sotto al tavolo, rammentando che anche le sue erano protesi di quel genere, e gli fece una fugace carezza sul muso, il discorso di Aster interrotto dal suono della coda scodinzolante dell'animale che, essendo metallica, sbatteva per terra, producendo un suono affatto piacevole. « Ti fai male, piccolo » gli intimò Liane, e quello sembrò capirla dopo qualche secondo, quando si sdraiò di nuovo a terra, il muso appoggiato su uno dei piedi del padrone. Ancora non riusciva a credere di aver fatto amicizia con un lobos, incredibile. La sua attenzione tornò sulla voce dell'assiste, e fece per sollevare la testa per mettersi di nuovo seduta composta, ma sbatté la nuca sul bordo del tavolo prima che potesse riuscirci. « Ahia » miagolò, la mano a massaggiarsi il punto colpito, che sul momento faceva un male cane. Si riportò dritta con la schiena, lo sguardo preoccupato degli altri due fisso su di lei, ma per quando li rassicurò il dolore era già scomparso. « Riconoscimenti dall'Università? » riprese come se nulla fosse successo, ripetendo la stessa frase che aveva utilizzato Aster, come se non credesse. E, a dirla tutta, non c'era molto da chiarire. Aveva visto poco o niente di ciò che quel luogo nascondeva, eppure era evidente di come fosse intriso di genialità. Era qualcosa di inspiegabile, di bizzarro, e seppure la meccanica non avesse a che fare con essa, sembrava quasi magico agli occhi di una ragazzina che di quel mondo non sapeva proprio nulla. Stette ad ascoltare Aster elencare le macchine che avevano lì, in laboratorio, con gli occhi che luccicavano per l'incredulità, interrompendolo qualche volta per domandargli dove erano collocate, come erano state costruite, a cosa servivano e se poteva toccarle senza rischiare la vita. L'assistente era la creatura più paziente dell'universo, perché rispose a tutti i suoi quesiti senza battere ciglia o arrabbiarsi, neppure una volta. Parlare a ruota libera era un suo difetto, ma ad Aster non sembrava pesare, anzi. Più andava avanti la conversazione, più le sembrava di conoscerlo da tempo immemore. Questo non valeva per l'albino, che se ne stava in disparte, attento a non spiccicare parola. Chissà se ascoltava o meno. La sua espressione era indecifrabile. Approfittò del momento in cui Aster andò a prendere un po' di frutta per osservarlo di sottecchi, per poi appoggiare i gomiti sul tavolo e le mani chiuse a pugno a sostenere le guance. Il ragazzo sembrò accorgersene, perché fece di tutto per evitare il suo sguardo. Anche quando l'assistente posò di fronte a loro una ciotola ricolma di fragole - oh mamma, cosa vedevano i suoi occhi - non accennò a sollevare gli occhi su di lei. Forse si vergognava, o era lei ad essere insistente. Nah, decisamente la prima. Evidentemente non era abituato ad essere osservato. Le era parso un tipo piuttosto introverso, era comprensibile non aprirsi con una ragazza conosciuta giusto un paio di ore prima. Le iridi dei due giovani si incrociarono solamente quando lui dovette rispondere alla domanda posta da Liane riguardo il suo nome, che inizialmente decise di evitare. « Capo va ben... » cominciò, ma l'Ibrido sbuffò ancor prima che riuscisse a finire la frase. « No, dai, capo no! Te l'ho chiesto apposta » disse gonfiando le guance e corrugando le sopracciglia in un'espressione terribilmente bambinesca, e l'assistente corse subito in suo aiuto. « Noah Aldebaran » la stanza si fece silenziosa, e lo sguardo di Liane passò dal viso divertito e soddisfatto di Aster a quello visibilmente irritato del capo. O meglio, di Noah. Era un bel nome, gli piaceva come suonava. Semplice e conciso, nulla di complicato. « Perché chiamarti capo con un nome così bello? » esclamò lei, alzandosi dalla sedia e sporgendosi dall'altra parte del tavolo, neanche si trattasse del suo nome. Non voleva metterlo a disagio, ma pensava davvero che Noah fosse un nome orecchiabile. Aveva anche un cognome particolare, non l'aveva mai sentito. L'albino alzò gli occhi al cielo, palesemente scocciato e stanco - chissà da quante ore era in piedi? - e appena Aster lasciò la stanza le passò la ciotola di frutta, sebbene lui non avesse ancora finito di mangiare la sua porzione. « Non importa, chiamami come vuoi » fece lui per eludere il discorso, e Liane si portò una mano stesa a paletta alla fronte, come a voler salutare un superiore dell'esercito. « Noah! » fece convinta, lo sguardo scettico di questo ancora su di sé. Almeno adesso la guardava. « Adesso mangia, che ne hai bisogno » la ragazza gli sorrise in risposta, annuendo convinta, per poi guardare le fragole in modo fin troppo famelico e adorante. Stava mostrando fin troppo il fatto che non consumava un pasto decente da settimane, ma non riusciva a fare diversamente. Afferrò una fragola come se si trattasse dell'oggetto più fragile di tutta Andellen, e la mise in bocca cominciando a saltellare sul posto. Un finale degno di chiamarsi tale. Una volta che la ciotola fu vuota, si rese conto di essere veramente sazia, e finì per sollevare leggermente la maglietta per guardarsi la pancia. Non era gonfia, anzi, non osservava alcuna differenza, eppure era una sensazione gradevole. La accarezzò come se al posto del cibo ci fosse un bambino, per poi battere un paio di volte le mani su di essa a mo' di tamburello e sbrigandosi a tornare all'ingresso. Una volta lì, l'assistente fece cadere nei palmi di Liane una merendina, e la ragazza prese a guardarla come se si fosse trattato di un diamante. Non si sarebbe mai abituata a cotanta gentilezza. In fondo era una sconosciuta, non avevano alcun obbligo nei suoi confronti eppure erano stati così cordiali. Avrebbe voluti ringraziarli in una maniera degna delle loro maniere e della loro ospitalità, ma non sapeva far altro che disegnare, e un fogliaccio colorato potevano trovarlo ovunque. « Torna a trovarci quando vuoi » disse lui, sorridendogli come al suo solito, e Liane gli afferrò la mano in segno di ringraziamento. Un Angelo fatto e finito, e non solo per la razza. « Grazie ancora! Siete stati... una benedizione! » fu la prima parola che le venne in mente, ma si avvicinava abbastanza per spiegare il concetto e l'idea che si era fatta di loro. « Spero di incontrarvi di nuovo, il più presto possibile » esclamò ancora, anche se non era del tutto pronta a prendere congedo. Fosse stato per lei, avrebbe passato ancora più tempo in compagnia dei due giovani, ma non poteva assolutamente approfittare oltre della loro sconfinata gentilezza. La fanciulla si mise in spalla lo zaino che aveva lasciato vicino al divanetto, avviandosi verso l'ingresso camminando all'indietro, il viso ancora rivolto verso Aster per perdersi negli ultimi saluti e ringraziamenti. Forse agli occhi dell'altro stava decisamente esagerando, ma quello che avevano fatto per lei era straordinario. Nessuno le aveva mai offerto la cena. Figurarsi, ad un'artista di strada giovane come lei davano a mala pena gli spiccioli necessari per arrivare a fine giornata, Aster e Noah invece erano stati incredibilmente cordiali e fiduciosi. Aveva la pancia piena. Nessun gorgoglio. Non ci credeva. Gioì della presenza dell'albino e di Elnath al suo fianco sulla via di casa, e non poté trattenersi dal trotterellargli accanto. « E' distante casa tua? » domandò lui, e Liane si voltò in sua direzione per rispondergli. Era troppo felice per far caso al ben poco entusiasmo dell'altro. « Un po', puoi anche solo accompagnarmi fino alla fine della via » propose la giovane, e sembrò un accordo ragionevole per entrambi, dato che lui non fece obiezioni. Elnath si strofinò contro la sua gamba - il metallo che lo componeva era davvero gelido contro la pelle - e lei gli rifilò una carezza affettuosa, per poi tornare a studiare il volto di Noah. Se n'era accorta subito - era difficile ingannare un'artista -, ma il suo viso era davvero armonioso. Seppur scompigliati, i capelli chiarissimi facevano un gran contrasto con gli occhi accesi, circondati da ciglia lunghe e nerissime, messi in risalto anche dall'incarnato pallido. Noah era bello, porca miseria se lo era. Finì per essere ipnotizzata, per l'ennesima volta in quella giornata, dal colore cangiante delle iridi, e lui sembrò accorgersene prima che lei potesse far finta di nulla. Non avrebbe distolto lo sguardo ugualmente, ma lui parve infastidirsi, nascondendosi parte del viso facendo ricadere delle ciocche di capelli su di esso. « Se devi dirmi qualcosa, dillo e basta » bofonchiò lui, e Liane continuò a camminare senza perderlo di vista. « Stavo pensando che mi piacerebbe tantissimo farti un ritratto. Saresti un soggetto perfetto » rise piano, allacciando le dita dietro la schiena e lanciandogli un'ultima occhiata prima di guardare avanti. Possibile che non se ne fosse accorto? La sua era una bellissima combinazione di colori e tratti somatici angelici, difficili da trovare in un ragazzo della sua età. Era giovane, ma possedeva la maturità di tutt'altra fascia d'età. Avrebbe dovuto lavorare un po' sulle espressioni del viso, questo era vero, ma avrebbe scommesso che non avrebbe faticato a vendere un suo ritratto, bello com'era. « Un giorno mi verrai a trovare? » domandò euforica, ricominciando a saltellare ad ogni passo. « Di solito mi apposto vicino all'Università a vendere i miei disegni, o nella via principale ─ che non mi ricordo ancora come si chiama » l'ultima parte la mormorò tra sé e sé, ma probabilmente il ragazzo la sentì comunque. Si trovava lì da poco, in fin dei conti, appena tre mesi, ma a ricordarsi il nome di città, vie e compagnia era una frana. La via principale andava più che bene. Guarda caso, i nomi delle persone se li ricordava alla perfezione. Forse perché voleva dimenticare il suo. « E porterai anche Elnath, vero? » aggiunse, e a sentirsi chiamare il lobos prese a scodinzolare. Non voleva perderli di vista, e poi doveva ricambiare il favore in qualche modo. Fare loro un disegno le sembrava maledettamente riduttivo per ciò che gli avevano offerto quella sera, ma era l'unica cosa che le veniva in mente, oltre all'unico talento che sembrava avere. « Sono stata benissimo con voi, e tu dirigi un negozio meraviglioso! » esclamò, inutile tentare di zittirla ormai, anche se lui, al contrario, era di ben poche parole. Non sapeva quanti anni potesse avere l'Angelo, forse pochi più di lei. Frequentava l'Università, ma aveva un viso fin troppo fanciullesco per dargli più di vent'anni. « Le costruisci tutte tu le macchine? Un giorno potrò provarne una? » domandò ancora, e quando lo vide rabbuiarsi rise. « Una che non rischio di far esplodere toccando un solo bottone, magari » si strinse nelle spalle, riportando alla mente l'episodio di poco prima. Era stato davvero divertente, e il pentimento non l'aveva sfiorata neppure per un secondo. Certo, vedere Noah andare in panico significava aver fatto qualcosa di catastrofico, ma alla fine era andato tutto bene, no? Non aveva combinato nulla di irreparabile e il marchingegno che tanto la intrigava ancora funzionava. Probabilmente non le avrebbe fatto toccare niente all'interno del negozio, visti i precedenti avrebbe voluto evitare, ma Liane ci avrebbe provato ugualmente. Il telescopio che aveva finito di costruire quel pomeriggio la intrigava particolarmente, ma non se la sentiva di toccarlo. Le ricordava fin troppo casa, con le lamentele di Eirene e le risate sguaiate di Maya. Non se la sentiva, a dirla tutta. Guardare il cielo con quell'affare senza una di loro al suo fianco, com'era sempre abituata a fare, era quasi doloroso. I due arrivarono allo sbocco della strada poco dopo, sicuramente per immensa gioia di Noah. Era evidente quanto avesse voglia di rientrare nelle familiari quattro mura del Taurus. La ragazza si voltò verso di lui con un sorriso smagliante, lo zaino ben issato in spalla, e prima che potesse ringraziarlo - ancora - Elnath si avvicinò a lei, pronto ad alzarsi sulle zampe posteriori. Liane lo anticipò, abbassandosi alla sua altezza piegandosi sulle ginocchia, e gli circondò il collo con le braccia, strofinando la guancia contro la mascella metallica del cane-robot. « Mi mancherai anche tu cucciolotto! Ci vediamo presto! » gli fece, neanche stesse dicendo addio all'amico di sempre, e posò un bacio sul naso che lui sembrò apprezzare enormemente. « Dillo anche al tuo padrone » fece poi, tirandosi su in posizione eretta, « che ci rivedremo » gli sorrise di nuovo, catturando finalmente lo sguardo evasivo di lui, e finì per ringraziarlo ancora una volta. Probabilmente ne aveva abbastanza anche lui. Girò sui tacchi, diretta verso casa, ma si fermò dopo aver fatto pochi passi. Si girò sulla via che aveva appena percorso, il ragazzo che era già tornato sui suoi passi. L'indice della mano destra salì fino a toccare una ciocca di capelli vicina al viso, arricciandosela intorno al dito. Non si chiese neppure se fosse un'azione azzardata o da evitare, bensì non si fece scrupoli a correre verso di lui e a chiamarlo per nome. Diamine, Noah suonava veramente bene, e si rallegrò nel vedere come lui si voltò al richiamo, seppur un po' confuso. « Perdonami, solo che... » iniziò, ma il fiato le morì in gola. Si sentiva lo stomaco terribilmente pesante, adesso. Noah continuava a guardarla scettico, così lei prese con entrambe le mani la destra di lui, e la sollevò fino a farla poggiare sulla sua testa, replicando il gesto fraterno di poco prima, quando l'aveva aiutata ad alzarsi. Improvvisamente, le sembrò di avere qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che le fece sentire le sue sorelle più vicine di quanto non fossero veramente. La cosa buffa era che cercava disperatamente di non rivangare il passato, e puntualmente era alla ricerca di un'azione, un oggetto che le ricordasse la sua vita precedente. Quando andava ancora tutto bene, erano ancora tutti uniti, Maya ed Eirene non erano disperse chissà dove e al nome Iris non collegava né una voce melliflua e inquietante né un dolore atroce. Stette per un po' immobile in quella posizione, stringendo la mano fredda del ragazzo nelle sue, il capo chino e gli occhi chiusi. Ne aveva bisogno. Quello era il gesto più affettuoso che aveva ricevuto da quando era uscita dall'orfanotrofio, e voleva approfittarne ancora qualche secondo. Si chiese cosa stesse pensando Noah, e dopo qualche secondo mollò la presa, lasciandolo libero. « Grazie » ripeté ancora una volta, salutandolo con un gesto della mano e lanciando un bacio ad Elnath. Sparì dietro la curva alla fine della via così come era arrivata, di corsa. Sperava davvero di poterlo vedere di nuovo, aveva un debito con lui. In caso contrario, si ricordava abbastanza bene il suo viso imbronciato da poter provare a disegnarlo.

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    Non era facile lasciare Noah senza parole, più che altro per l'indifferenza che mostrava nei confronti di qualsiasi cosa al di fuori del Taurus, di Elnath o di sé stesso. Un ritratto? Proprio a lui? Quella ragazzina era proprio stramba. La sua faccia era una maschera inespressiva e... noiosa, tutto il contrario rispetto alla nuova conoscenza, che pareva uscita da un programma televisivo per bambini. Come faceva a sorridere sempre, senza stancarsi di essere gentile con tutti? Probabilmente nemmeno Aster arrivava ai suoi livelli. « Sei brava, ma non ne uscirebbe niente di buono » replicò, sentendosi in dovere di uccidere l'entusiasmo sul nascere, ma nulla da fare, Liane proseguì imperterrita. « Un giorno mi verrai a trovare? ». Noah inarcò un sopracciglio alla richiesta bizzarra, ancora sconvolto dall'ondata di cordialità che gli riversava contro. Si conoscevano da poche ore e già voleva rivederlo, incredibile. Il fatto che fosse socievole quanto un sasso non la infastidiva nemmeno un po'? « Di solito lavoro tutto il giorno » disse, gli occhi posati su un lobos troppo coccolone per essere il suo « vedremo ». Non voleva darle false speranze, anche perchè odiava uscire - soprattutto d'estate - e il laboratorio senza di lui non andava avanti. Era un periodo relativamente tranquillo, gli restavano giusto un paio di protesi da mettere a punto, forse poteva trovare il tempo di passare dalle parti dell'Università, caldo soffocante permettendo. « Beh, gli piaci. Te lo ritroverai tra i piedi spesso » rispose alla richiesta di portarsi appresso l'animale meccanico con una nota di ilarità appena accennata, sorpreso a sua volta dall'attaccamento spontaneo che dimostrava. Di solito odiava le persone, come il suo padrone, eppure Liane aveva sconvolto la loro routine a tempo di record. Come faceva un esserino così piccolo a contenere tanta energia restava un mistero. Lo stava costringendo a parlare un sacco per i suoi standard. L'inventore era abituato a rispondere a monosillabi a chiunque, motivo per cui Aster si occupava di relazioni con il pubblico e lui lavorava dietro le quinte in religioso silenzio. La creaturina gli fece un sacco di complimenti - il laboratorio l'aveva lasciata senza parole, se n'era accorto - arrivando persino a chiedere di usare qualche macchina. « Una che non rischio di far esplodere toccando un solo bottone, magari » suggerì, e Noah sentì il sangue defluirgli dal viso al ricordo dei rumori tremendi che la serra aveva fatto dopo il suo passaggio. « L'hai preso per un parco giochi, mi sembra ». Nonostante la rispostaccia ci pensò su davvero, ripassando mentalmente tutti i macchinari che aveva per capire se qualcuno fosse a portata di scimmietta. No, per niente. Costruiva cose utilil, complesse, ma inadatte a chi non era del settore. Gli balenò l'idea di progettare un oggetto a suo uso esclusivo, eppure quello stesso pensiero lo turbò. Da quando si preoccupava di fare regali agli sconosciuti? Il caldo gli dava alla testa. « Posso farti vedere come funzionano, ma non devi toccarle. E' pericoloso ». L'indole da fratello maggiore tornava a galla in sua compagnia, gli sembrava di riprendere il maldestro Fay ai tempi in cui ancora viveva a Wanta Unu. Forse era per quel motivo che la sopportava così bene, e così a lungo. Tra una chiacchiera e l'altra arrivarono nei pressi di un quartiere appartenente alla parte antica della città, dove l'avvento della tecnologia era giunto tardi, in modo sporadico. I lampioni erano pochi e tutti sfarfallanti, le strade malridotte e gli edifici a dir poco cadenti. Come poteva non preoccuparsi per Liane, a quel punto? Sembrava il genere di quartiere malfamato dove rischiavi la vita anche solo a passeggiare alla luce del sole. Inutile sprecare fiato, la ragazza era allegra e spensierata come sempre. O era molto forte, o molto stupida. Noah guardò lei ed Elnath scambiarsi gli ultimi saluti, una strana sensazione di disagio ad attanagliargli lo stomaco. Sarebbe stata al sicuro da sola? Ne dubitava. « Ci vediamo. Sai dove trovarmi, ormai ». Fece un vago cenno con il capo e si voltò nella direzione opposta, imitandola, ma riuscì a fare solo pochi passi. Aveva camminato lentamente di proposito, tentato dall'accompagnarla con lo sguardo finchè non fosse sparita dietro a qualche vicolo. La sentì chiamare il suo nome, sinceramente sorpreso dalla naturalezza con cui lo pronunciò, dato che per tutti lui era solo "Aldebaran l'inventore", e attese in silenzio il responso. Il fatto che non sorridesse lo sconvolse, forse anche più del modo in cui gli afferrò la mano per posarsela sul capo. I capelli aranciati erano sottili e lisci, quasi impalpabili, di un colore talmente brillante da risaltare alla poca luce presente lungo la via. « Sei davvero strana, Liane » disse, un minuscolo sorriso ad increspare le labbra. Pareva un cucciolo bisognoso d'affetto. Accolse la richiesta e fece scorrere le dita sulla testolina di lei, che arrivò persino a ringraziarlo. C'era qualcosa dietro a quella facciata da ragazza allegra che non lo convinceva, una solitudine profonda ed una tristezza tale da cercare anche la più insulsa delle carezze. Noah le tirò indietro i capelli fino a scoprire la fronte, liscia e tonda come quella di un bambino, in modo che fosse costretta ad alzare la testa e guardarlo in faccia. Era una brava attrice, doveva dargliene atto. « Non sei costretta a sorridere sempre con me » mormorò, prima di scompigliargli le ciocche e rimettere le mani in tasca. « Buonanotte ». Elnath abbaiò i suoi saluti un paio di volte, ancora scodinzolante, finché entrambi imboccavano la via del ritorno. Okay, aveva detto qualcosa di totalmente stupido e fuori luogo, ma in quel momento gli era parso sensato. Nessuno poteva essere felice ventiquattr'ore su ventiquattro, neppure il più ricco degli Angeli di Dahlu Wamy. - Ecco perchè odio l'estate. Mi rammollisco -.

    Di ritorno al Taurus evitò bellamente le domande di Aster, fin troppo inquisitorie, e salì al piano di sopra, tra le mura rassicuranti del laboratorio. Anziché riprendere il lavoro da dove l'aveva interrotto - la protesi di un braccio stava sdraiata sul bancone da lavoro dal giorno prima - Noah prese carta e matita e fece qualche schizzo veloce di un'immagine che gli frullava per la mente da quando aveva salutato Liane. - Dunque, leggero, rumoroso, colorato... -. Il risultato fu un uccellino dalla testa tonda ed il becco minuscolo, sul quale appuntò peso e grandezza approssimativi. Ovviamente doveva volare per stare al ritmo frenetico di Liane e non esserle d'intralcio, e con una ricetrasmittente all'interno sarebbero potuti rimanere in contatto nel caso le fosse successo qualcosa, no? Un'ottima trovata. Tempo di realizzare l'assurdità della situazione e l'albino accartocciò il progetto, chiedendosi se per caso non ci fosse stata qualche strana droga nel pesce che Aster gli aveva propinato a cena. « Cosa cazzo mi prende? ». Lo chiese a sé stesso e ad Elnath, sdraiato sotto al bancone, che in risposta sollevò appena l'orecchio. Magari era per via delle poche ore di sonno. Sì, doveva dormirci su e smetterla di preoccuparsi. Srotolò il materasso di fortuna che gli faceva da secondo letto, spense la luce, chiuse gli occhi e imprecò a denti stretti, poi prese il foglio stropicciato ed iniziò a scrivere numeri su numeri.

    « Parlato/Noah » - Pensato/Noah - « Parlato/Liane »

    Fallen Angel ♦ 18 y/o ♦ April 22 ♉ ♦ Earth ♦ Char. Sheet


    NB: l'uccellino è l'ultimo a destra <3
     
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