Let sleeping dogs lie

Cain x Abel

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    Cain Asriel Skriker
    31 Ottobre - Lancaster, Sede dei Marauders

    Dalla finestra della sua stanza, o meglio, nuova prigione, Cain guardò le squadre di Alpha e Beta lasciare l'istituto, mescolandosi alle ombre della sera. Una nebbia inquietante si era levata dai campi circostanti, rendendo l'atmosfera perfetta per Halloween. Un Halloween che lui avrebbe passato segregato in camera, con solo un mucchio di preoccupazioni a fargli compagnia. Grim era stato abbastanza chiaro al riguardo:
    il Black Dog era sollevato da qualsiasi incarico, e uscire dal perimetro dell'edificio era proibito. La rissa con Raphael gli era costata cara, alla fine, e il capo aveva disposto per lui un isolamento forzato finchè non si fosse schiarito le idee. - Ce le ho anche troppo chiare, vecchio pazzo -. Notò la testolina bianca di Abel tra le figure incappucciate prima che anche lui si nascondesse sotto al mantello, e l'ansia tornò ad artigliargli lo stomaco. Era in pericolo, se lo sentiva, e lui non poteva fare nulla per guardargli le spalle. I dettagli sulla missione degli Alpha gli erano giunti per vie secondarie (aveva le sue fonti), poco rassicuranti. Quando c'era di mezzo una cripta maledetta le cose non andavano mai bene. era risaputo. A quanto pareva, un ragazzino si era divertito a scassinare la vecchia costruzione in pietra di una famiglia nobile, usandola come nascondiglio per i suoi esperimenti da mago da strapazzo. Risultato? Dal pentacolo tracciato con il sangue era effettivamente uscito uno Spirito. Peccato non avesse la minima intenzione di dare ascolto al padrone. Ora si divertiva a risvegliare le anime di coloro che riposavano nel cimitero, in onore della Festa dei Morti, e i Marauders erano ansiosi di rimetterlo a nanna.
    Il ragazzo provò in ogni modo a darsi pace, ma non aveva nè sonno, nè fame, nè voglia di fare qualsiasi cosa che non fosse stare con Abel.
    Loro insieme erano inarrestabili, il braccio e la mente. Peccato che Raphael l'avesse minacciato di morte al loro secondo incontro, sfruttando la sua posizione di fidanzato e capo indiscusso.
    Sì, c'era in ballo la promozione ad Alpha e tutto il resto, eppure Cain ancora non si voleva rassegnare. Nessun uomo, mostro o Dio li poteva separare, e presto glie l'avrebbe fatto sapere. Dopo un'ora esatta dalla partenza delle due squadre, il rosso squarciò a morsi l'unico cuscino che aveva per sopprimere l'incazzatura,
    e prese la sua decisione. Sollevò la benda sull'occhio sinistro, che celava un'iride completamente nera, e richiamò il potere della maledizione su di lui. Strani tentacoli d'inchiostro gli si abbarbicarono lungo gli zigomi, e la pupilla si accese come una fiaccola nelle tenebre. Cain era consapevole del rischio che correva: ogni volta che utilizzava il suo potere per guardare al futuro, la vita si accorciava irreparabilmente. L'aveva usato solo tre volte nella vita, e sempre per prevedere la morte di qualcuno. - Non lui - pregò, mentre la vista si annebbiava e lo trascinava nell'oscurità. All'inizio non vide nulla,
    nemmeno le sue stesse mani, poi si ritrovò improvvisamente al centro di una sala in pietra dal soffitto basso che odorava di muffa.
    La cripta. Abel era accucciato accanto a lui, le parti bianche della pelliccia inzuppate di sangue, e ringhiava contro una creatura mostruosa dalla testa di ariete, un'evocazione potente e assetata di anime che non lo perdeva di vista nemmeno un secondo. Dov'erano tutti?
    Perchè Raphael non era lì ad aiutarlo? Voltandosi, Cain vide che l'entrata della cripta era crollata, ricoperta dalle macerie. - No... -
    La bestia alzò il machete sopra la testa del fratello, gli occhi rosseggianti e un vago ghigno soddisfatto, e il ragazzo tornò al presente prima di vivere quella scena spaventosa. Si risvegliò sdraiato a terra, la fronte imperlata di sudore e le mani tremanti, con il cuore che batteva impazzito nel petto. La maledizione aveva portato con sé una buona parte di energia, ma nulla gli avrebbe impedito di salvare Abel, nemmeno la morte. Si rialzò a fatica, vacillando, e spalancò la finestra. Non c'era tempo. Doveva andare subito, prima che la cripta cadesse a pezzi.
    Prese lo slanciò e saltò giù, trasformandosi a mezz'aria nel cane nero che avrebbe messo la parola fine a quella notte di fantasmi.

    Abel Cyril Gytrash
    31 ottobre - St. Thomas Church, Lancaster

    La notte di Halloween era sempre stato il giorno più impegnativo per i Marauders, da quando se ne aveva memoria: non era raro che tutti i membri della classe Alpha si muovessero per tenere sotto controllo i fantasmi che infestavano chiese e cimiteri - alcuni girovagavano per stradine e case abbandonate o vicino a ruscelli, o qualche bosco... Insomma, stavano dappertutto, e non si fermavano mai. Specialmente il 31 ottobre di ogni anno si trasformava in un inferno: gli spettri si facevano più agguerriti del normale, e d'altra parte anche i Black Dogs rispondevano agli attacchi con maggior vigore e forza.
    Quella notte, sia gli Alpha che i Beta erano stati mobilitati affinché mettessero a tacere un demone piuttosto scomodo e indesiderato, che stava creando scompiglio non molto lontano dalla loro sede. Un ragazzino si era divertito ad evocarlo, volendo dare sfoggio alle sue abilità da maghetto da quattro soldi. Oh, se solo Abel fosse potuto venire a conoscenza del nome di quel disgraziato lo avrebbe volentieri sbranato. Si sarebbe potuto risparmiare tutto quella lagna, andando a caccia di spiriti come suo solito - sicuramente sarebbe stata una missione molto più difficile del solito, ovvio, ma probabilmente non avrebbero dovuto affrontare una bestia scalmanata proveniente da chissà dove.
    Abel camminava a testa bassa, tra la calca di ragazzi di cui la maggior parte lo superavano in altezza, tutti diretti verso il cimitero dove albergava la creatura. Chissà cosa si sarebbero trovati ad affrontare: quella domanda vagava nella sua testa da un po', ma il ragazzo non era affatto agitato. Aveva sempre dimostrato una certa freddezza prima di ogni missione o combattimento: una buona dose di adrenalina c'era sempre, ma Abel sapeva che se si fosse affidato alla ragione, senza tentare mosse brusche, sarebbe riuscito a portare a casa la pelliccia.
    C'era anche il viso di Cain che appariva a tratti davanti ai suoi occhi, ma lo scacciava subito ogni volta. Non sarebbe stato al suo fianco quella notte. A causa del litigio di alcuni giorni fa con Raphael lo avevano confinato in camera sua e gli era stato proibito di muovere un passo fuori dalla sede dei Marauders. Il ragazzo non l'aveva presa affatto bene, e l'albino, a dirla tutta, mancava vederlo ronzargli sempre intorno. A lui avevano vietato di contattarlo fino alla fine del castigo. Per quanto riguardava Abel, Raphael non gli aveva fatto nulla: da una parte si considerava fortunato, dall'altra era evidente il rancore che il comandante serbava nei confronti dei due fratelli. Si era dimostrato più scostante del solito nei suoi confronti, e ormai non gli augurava neanche il "buongiorno" quando si incrociavano in mensa, limitandosi a studiarlo con i suoi occhi severi. L'albino continuava a salutarlo comunque, facendogli capire che continuare quella scenata era inutile, ma il comandante sembrava non volerne sapere. Quella situazione, al ragazzo, non faceva né caldo né freddo: passare i pomeriggi in solitudine non era cosa nuova, prima o poi Raphael avrebbe ricominciato a rivolgergli la parola e Cain sarebbe stato rimesso in libertà. Il problema persistente però, era che ad un paio di giorni senza parlare con Raphael poteva benissimo sopravvivere, ma lo stesso periodo di tempo senza il rosso al suo fianco era distruttivo.
    Alzò lo sguardo giusto in tempo per notare un ragazzo dei Beta venirgli addosso, ma prima che questo potesse accadere si sentì tirato dalla parte opposta, evitando lo scontro. I suoi occhi grigi incontrarono quelli scuri di Raphael, che si allontanò da lui affiancando Grim in cima al gruppo, senza spiccicare parola.
    "Come i bambini di cinque anni, uguale." Abel indurì lo sguardo, seguendolo con gli occhi tra la folla, fino a quando arrivarono al cimitero disegnato come luogo di evocazione del misterioso spirito. Si trattava di un cimitero dall'aria lugubre, e la nebbia che continuava a salire contribuiva a renderlo ancora più cupo. Al varcare il cancello, Abel riuscì ad udire le urla dei fantasmi e delle anime che popolavano quell'area e cominciò a guardarsi intorno, alla ricerca delle prede. Già, perché quella notte sarebbe stato lui il cacciatore.
    I primi spettri cominciarono ad apparire, e i Black Dogs ringhiarono all'unisono. Grim e Raphael diedero il segnale di attaccare, ed Abel si trasformò nell'unico cane dal pelo screziato in mezzo a tante bestie nere, e si gettò sul primo spirito alla sua sinistra. Nelle prime fasi non c'era molto da studiare, bisognava ucciderli prima che uccidessero lui. Era quando si accorgevano dell'attacco e iniziavano ad arrivare in gruppo che cominciavano i problemi.

    Cain Asriel Skriker
    Mentre correva a perdifiato, Cain continuava a ripetersi di mantenere la calma, di non ingigantire le cose come spesso tendeva a fare. Le visioni sul futuro erano imprecise, dato che anche il minimo cambiamento (un minuto di ritardo, un autobus mancato), poteva modificare le azioni ancora incompiute. Magari Abel era talmente fortunato da mancare il colpo fatale che aveva visto, o magari la cripta non sarebbe mai crollata, permettendo a Raphael di aiutarlo. Riflettendoci a mente lucida, però, il fratello non era esattamente quello che se ne stava fuori dai guai. Ragionava in fretta, ma il suo morso andava perfezionato. - Se gli succede qualcosa, sua madre mi ammazza - pensò a denti digrignati, dandosi un motivo in più per trascinarlo fuori dalla battaglia sano e salvo. La sagoma dei cancelli del cimitero emerse finalmente dalla nebbia, e il Black Dog li saltò via con un unico balzo, atterrando nella desolazione in cui riposavano i defunti. Vi erano numerose impronte a terra, zampe e solchi di unghie, e Cain si mise a cercare la traccia dell'albino. Sì, era stato lì, insieme all'odioso fidanzato/cagnetto Raphael. La St.Thomas Church vantava uno dei cimiteri più grandi di Lancaster, praticamente un parco giochi per gli Spiriti, e molti umani organizzavano delle prove di coraggio durante Halloween al suo interno. Forse ad uno di questi la cosa era sfuggita di mano, vista la bella evocazione fatta. Udì i lamenti delle creature dopo essersi lasciato alle spalle parecchie lapidi, raggiungendo la zona delle antiche cripte di famiglie illustri. Si gettò a zanne snudate sul primo fantasma che fu così stupido da sbarrargli la strada, riducendolo in fumo impalpabile, e cercò con lo sguardo la pelliccia striata di bianco di Abel. Dove diavolo era finito? Sentì il peso dello sguardo di Grim su di lui, che tutto si aspettava tratte trovarlo sul campo di battaglia. Le punizioni potevano aspettare, e non erano più spaventose di perdere un fratello. Cain cercò come un forsennato, gli occhi che saettavano da un punto all'altro mentre faceva strage di spettri. Erano tanti, troppi.
    Il Demone evocato doveva averli riportati in vita personalmente, e quando lo identificò, un mostro dalla testa di capra e il corpo umanoide, gli sorrise trionfante. - Trovato -. Era gigantesco per essere nato da un banale errore, e molto, molto incazzato. Stava dando del filo da torcere al capo degli Alpha, che lo azzannava senza sosta per poi venire rispedito a terra. Ad un tratto, il Demone fu travolto da una figura che, lesta, lo spinse giù per i gradini della cripta da dove era arrivato. Abel aveva puntato alla gola, facendogli perdere l'equilibrio, e quando il rosso lo vide sparire nelle profondità della piccola struttura in pietra perse un battito.
    Il Demone emise un verso di dolore che trafisse i timpani di tutti i Black Dog presenti, artigliando le mura per frenare la caduta, ma la sua forza era troppa per l'antica cripta.
    Come già accaduto nella sua visione, Cain guardò la prima pietra cadere, e scattò verso l'entrata senza troppe riflessioni. Superò il varco appena in tempo, sentendo le rocce rotolare giù e chiudergli ogni via di fuga. Una gli atterrò sulla schiena proprio finché cercava il profilo dei gradini sotto le zampe, e l'animale cadde rovinosamente verso il fondo in un coro di uggiolii. Raggiunto il pavimento della sala sotterranea cercò di capire quante ossa si fosse rotto nel mentre, ma il lamento del fratello gli fece dimenticare ogni dolore. « Abel! » abbaiò. Era buio pesto, ad eccezione di una candela consumata al centro del pentacolo che qualche fanatico si era divertito a disegnare.
    I sarcofagi in marmo della sfortunata famigliola erano stati completamente distrutti, tutto si era ridotto ad un mare di ossa, calcinacci e scie di sangue. Gli occhi rosseggianti del Demone rivelarono la sua posizione verso il fondo della stanza: si reggeva il collo, lacerato a morte, e l'albino lo puntava da una pericolosa distanza. Si reggeva a malapena in piedi, cosa credeva di fare? Eppure, nonostante la posizione di svantaggio, Abel tentò un ultimo, disperato attacco, prima che gli artigli del Demone gli si conficcassero nello stomaco, trapassandolo da parte a parte. Cain non gli diede nemmeno il tempo di voltare la testa. In pochi secondi posò i denti dove i solchi del compagno erano già affondati più di una volta, ma strinse così forte da poter chiudere la bocca completamente, tranciando di netto il collo di quella mostruosità che aveva osato ferire suo fratello. Il sangue nero scese a fiotti, un gusto ferruginoso e marcio, e alla fine la creatura cadde inerme sul pavimento, accanto alle ossa profanate degli abitanti della cripta.
    Quel che accadde dopo, il rosso lo vide a rallentatore: Abel era tornato alla sua forma umana, respirava a singhiozzi. La ferita inferta dal Demone gli aveva perforato la pancia e colpito gli organi interni, e in breve Cain si ritrovò mani e braccia zuppe del suo sangue. Tornò umano a sua volta per poter esaminare i danni, ma non aveva la minima idea di quel che stava facendo. Una patina di lacrime gli rese la vista offuscata, le dita tremavano nel chiudersi attorno al polso sottile per misurare i battiti. « Non provare a morire, capito? » gli sussurrò, adirato con sé stesso. « Se mi lasci da solo ti vengo a ripescare all'inferno ». Il fragore delle rocce coprì le ultime parole, rivelando un fascio debole di luce dall'esterno. Raphael si fece strada tra i detriti, guardando entrambi ad occhi sgranati, e quando provò ad avvicinarsi, Cain rispose con un ringhio furioso. « Non toccarlo » sibilò, i canini a sfiorare il labbro inferiore. « Se fai un altro passo ti uccido ». E mai prima di allora era stato così serio. L'Alpha non era degno di stare con Abel. Se fosse stato per lui, il Black Dog sarebbe già morto da un pezzo, lasciandolo orfano. Stranamente, Raphael si limitò ad un ringhio basso e la solita occhiata sprezzante, troppo in pensiero per il fidanzato per dare bado al suo nemico. Con le ultime forze rimaste, il Beta prese in braccio l'amico ferito e lo riportò all'esterno, incespicando ad ogni gradino. Grim lo attendeva in cima alle scale a braccia incrociate, un'espressione di pura rabbia impressa sul volto contrariato. « Sei duro d'orecchi, Skriker? ». Uno dei suoi migliori Black Dog era ferito a morte e lui trovava ancora il tempo per rimproverarlo. Incredibile. Lui non rispose, troppo concentrato a contare i respiri di Abel. Chiamò un compagno fidato tra la sua cerchia, Jael, affinchè controllasse lo stato dell'albino e ricucisse le prime ferite, mentre intorno a loro gli ultimi spettri facevano ritorno all'aldilà, impotenti senza la protezione del Demone. « Lo dobbiamo riportare indietro, Cain. Ci serve più di un medico per tenerlo tra noi » fu il verdetto, una volta terminata l'ispezione. « Allora andiamo ».
    Non gli era stato ordinato di lasciare il campo, nè tanto meno di occuparsi di un Alpha, ma questo non gli importava. Potevano morire tutti. Tutti tranne lui. Rafforzò la presa sul corpo gracile di Abel e si avviò a lunghi passi verso l'uscita del cimitero, la presenza di Raphael come un'avvoltoio sulla sua spalla. Non lo avrebbe ceduto a nessuno, di questo era certo.

    Abel Cyril Gytrash
    Era come se gli spettri non finissero mai. Aggredivano lui e i suoi compagni, e i Black Dogs li tramutavano in fumo evanescente: sembravano essere in netta superiorità, ma i fantasmi non osavano dargli un attimo di tregua. Aveva paura di vedere dei corpi senza vita di qualche compare, se mai si fosse voltato. Ad Halloween succedeva spesso, che la gente morisse. Dilaniando l'ennesimo spirito, vide avvicinarsi il temuto Demone evocato dal maghetto nulla facente. Gli occhi rosseggianti e minacciosi lo inchiodarono, e rabbrividì mentre ne studiava la struttura. Corpo dalle sembianze umane, testa d'ariete, armato di un gigantesco machete. Appena la creatura lo abbassò, puntando ai Black Dogs, questi lo scartarono il più velocemente possibile, radunandosi in gruppo. Non era affatto un bello spettacolo.
    Lo sguardo di Abel serpeggiò tra i compagni, incontrando quello di Raphael e di Grim. Gli bastò un cenno di approvazione, e insieme al comandante ed altri Alpha partì alla carica. Nel mentre, passò a comunicargli il piano: la gola era il punto da attaccare. Un terzo del gruppo avrebbe pensato a distrarlo, la parte rimanente l'avrebbe attaccato senza sosta.
    In un primo momento, l'offensiva parve funzionare. Eppure, pian piano rimasero in pochi Black Dogs a tenere occupato il mostro. Molti si fecero distrarre dagli spiriti, altri si ritirarono a causa di ferite più o meno gravi. Fortunatamente, la soglia del dolore di Abel era assai elevata: la pelliccia candida era sprizzata del rosso del suo stesso sangue, e in bocca si sentiva il sapore disgustoso di quello della bestia. Il suo collo era ridotto male, con pochi altri attacchi avrebbero potuto mettere fine a quella notte. Appena vide Raphael venire respinto e buttato giù a terra, l'albino scattò, puntando alla gola e chiudendo con forza. La creatura perse l'equilibrio, e il Black Dog non fece in tempo a staccarsi da essa che finì insieme a lui all'interno della cripta nella quale era stato evocato. Il frastuono dei massi che cadevano gli fece allentare la presa, e il mostro ne approfittò per allontanarlo violentemente, facendolo sbattere con la schiena su uno dei sarcofagi. L'Alpha si rialzò a fatica, e in quel frangente sentì abbaiare il suo nome. Non vi diede troppo peso, la sua attenzione era completamente rivolta verso quell'essere abominevole, probabilmente veniva da fuori.
    Non aveva via di scampo, l'unica cosa che poteva fare era affrontarlo. Era da pazzi, e ne era pienamente cosciente, ma non aveva altra scelta se non quella di tentare il tutto e per tutto.
    "Il collo è messo male. Se stringo abbastanza forte potrei farcela." ragionò in fretta, analizzando dalla distanza la gola sanguinante dell'avversario. La schiena gli doleva, e le ferite sparpagliate per il corpo di certo non aiutavano la sua lucidità e i movimenti, ma doveva farlo. Nessuno sarebbe corso in suo aiuto, o almeno non in quel momento. Prese un respiro profondo e abbaiò, per poi scattare verso il mostro, pronto ad azzannargli la gola. Mostrò le zanne, ma non riuscì a raggiungere il suo obiettivo che un dolore lancinante allo stomaco gli mozzò il respiro. La creatura lo rispedì a terra, ed Abel masticò il sapore caldo e ferruginoso del suo stesso sangue. Provò a prendere un respiro, ma non ce la fece. Un secondo, ma fallì anche stavolta. Il petto si alzava e si abbassava velocemente, e non si rese nemmeno conto di aver abbandonato la sua forma animale. Faceva male, malissimo. Non riusciva a prendere fiato, e la vista andava e veniva. Riuscì, con un grande sforzo, a portare una mano sullo stomaco, dove sentiva partire lo spasimo, e capì che forse aveva compiuto un gesto fin troppo avventato, nonostante tutte le precauzioni che aveva tentato di utilizzare. Era solo, nessuno lo avrebbe aiutato. Né Raphael né Grim, ostacolati dalle macerie all'ingresso, e tanto meno Cain, che non sapeva neanche che lui fosse lì, imprigionato in una cripta e con i minuti contati.
    Cain.
    Il suo ultimo pensiero fu per lui, e quando la sua sagoma si materializzò di fronte ai suoi occhi si convinse di star morendo nel modo migliore che avesse potuto immaginare. Eppure, la presa sul suo polso sembrava così reale, e quando si sentì sollevare da terra il freddo vento autunnale lo colpì in pieno viso. Gli mancava ugualmente l'aria, il dolore lo stava straziando. Non riusciva a respirare. Voleva solo chiudere gli occhi, e abbandonarsi alla fatal quiete una volta per tutte.
    « Cain » riuscì a sussurrare, per poi smettere di opporsi a quel suo egoistico desiderio, cullato dal dondolio molto poco delicato del rosso. Ecco, lui sarebbe stato il suo unico rimpianto.
    • • •
    Il fastidioso bip-bip di una macchina lì vicino lo svegliò, ma il ragazzo non aprì subito gli occhi. La timida luce del sole veniva spezzata dalle tende alle finestre, ma gli dava ugualmente fastidio, colpendolo in pieno viso. Schiuse le palpebre lentamente, nel silenzio assoluto della stanza in cui si trovava. L'inferno era una stanza d'ospedale adesso? Eppure, quella stanza gli era familiare. Volse la testa da un lato, poi dall'altro, guardandosi poi le braccia. Aveva tre flebo attaccate, più un quarto ago sul braccio sinistro inutilizzato. Non ebbe la forza per compiere altri movimenti, e cercò di ricostruire ciò che gli era accaduto. Ricordava solo una morsa straziante, sangue, un Demone e capelli rosso fuoco.
    "Halloween..." ricordò, i ricordi dellos contro che pian piano tornavano al proprio posto.
    Gli occhi grigiastri del giovane incontrarono la chioma accesa del fratello, al suo fianco. Da quanto tempo era in quelle condizioni?
    « Non c'è bisogno che piangi, pappamolle » disse, con la voce ridotta ad un sussurro. Sapeva che non stesse piangendo, eppure la sua felicità nel rivederlo al risveglio non poteva esprimerla in modo differente.
    « Da quant'è che sono ridotto così? » sbuffò, ma respirare si rivelò ancora una gran fatica. Lentamente, alzò il braccio sinistro, portandoselo all'occhio destro: sentì la cicatrice sotto i polpastrelli. Gli sembrò stupido constatare in quel modo che fosse effettivamente vivo, ma fu un sollievo.

    Cain Asriel Skriker
    I minuti passavano lenti mentre Grim scribacchiava sul registro delle missioni. L'agitazione del Black Dog davanti a lui non parve contagiarlo, dato che continuò imperturbabile l'attività. « Io me ne vado, vecchio ».
    « Non ricordo di averti dato il permesso ».
    Fu allora che Cain scattò in piedi, ringhiando furioso.
    Non aveva tempo per starsene lì ad aspettare i comodi del comandante. E se Abel si fosse svegliato, nel frattempo? Doveva essere con lui in quel momento cruciale, per sincerarsi che fosse ancora tutto intero e padrone di sé. I medici dell'Istituto lo dichiaravano fuori pericolo, ma la lesione allo stomaco si stava rimarginando troppo lentamente. Tutto per un maledetto secondo di ritardo. Se fosse arrivato prima che il Demone lo trascinasse nella cripta nulla di tutto quel casino sarebbe successo. « Siediti, Skriker. Tuo fratello non va da nessuna parte ». Il rosso imprecò a denti stretti, gettando un'occhiata alla porta dello studio. Era dentro da troppo tempo. « Parliamo del vostro piccolo incidente » disse Grim, posando la penna accanto al registro e congiungendo le mani sotto al mento. « Hai salvato la vita ad uno dei miei Alpha, ma, se ben ricordo, ti avevo proibito di uscire dalla tua stanza ».
    Cain tornò seduto, se pur riluttante, e grugnì in assenso.
    « Dovrei essere punito per una cazzata del genere? Abel stava per morire, ho fatto solo il mio dovere ». Il comandante sospirò, usando indice e medio per massaggiare la tempia. Anche lui non dormiva dalla fatidica notte, dovendo porre rimedio ai disastri causati dai suoi Black Dogs. « Sto dicendo che se te la faccio passare liscia avrò tutti i Marauders contro.
    I miei ordini non si discutono, tanto meno ignorano ».
    « Possiamo parlarne dopo? Non mi interessa molto la fine che farò ». Grim lo mise a tacere con un gesto seccato, come se ogni sua parola fosse uno stridio fastidioso. « Ti interessa eccome. Anzi, interessa a tutti e due ». Una volta ottenuto il suo silenzio, l'uomo dalla lunga chioma cremisi prese a passeggiare avanti e indietro, osservando i primi raggi dell'alba sollevarsi dalla nebbia. Il sole, in ottobre, si riduceva ad un'enorme sfera opaca, pressoché inutile ad illuminare o riscaldare. « Vi ho visti crescere, e ho capito che nemmeno la morte potrebbe separarvi. Se vi tengo divisi, né tu né Gytrash sarete di alcuna utilità a questo Ordine. Al momento state dando entrambi il cinquanta per cento, ma non è quello che voglio ». Osservò la luce della speranza attraversare lo sguardo collerico di Cain, improvvisamente immobile, e gli scappò un sorriso di scherno. « Sarete gli Omega, una sorta di asso nella manica. Dove vi manderò, voi andrete, che sia con gli Alpha o le donne delle pulizie. Ti è chiaro, Skriker? So che ultimamente non ci senti bene ». Il ragazzo rimase a fissare un punto nel vuoto per diversi secondi, finché la sua testa elaborava la notizia. Omega? Che storia era questa? Si aspettava di essere esiliato, o recesso a Delta per l'eternità. E poi, lui e Abel... insieme? « Dov'è la fregatura? » chiese, senza tanti mezzi termini. Grim scosse il capo. « Sto solo facendo ciò che è meglio per me. Se ci sarà Gytrash a tenerti d'occhio potrò stare tranquillo, e con te come guardia del corpo non gli succederà nulla. Due piccioni con una fava ». Niente da fare, l'emozione era troppo forte perché riuscisse a registrarla. Il rosso tornò in piedi e lì vi rimase, le mani strette a pugno. Era una notizia incredibile, la migliore che potesse ricevere, eppure sentiva che qualcosa non andava. Come l'avrebbe presa Abel? A ben pensarci, entrare a far parte di una classe speciale non era paragonabile all'essere un Alpha. Aveva perso il posto per colpa sua. « Ne parlerò con lui appena si sarà svegliato ».
    Cosa che poteva accadere da un momento all'altro. Cain si voltò e puntò alla porta, convinto che la conversazione fosse terminata, ma le parole di Grim lo bloccarono quando la maniglia era già mezza abbassata. « Raphael ha distrutto una parete quando gli ho dato la notizia. E il fatto che tu lo tenga lontano dal suo compagno l'ha reso parecchio nervoso ».
    « Affari suoi. Abel non ha bisogno di lui ».
    « Del suo fidanzato, dici? Io credo di sì. Ci sono cose che tu non puoi dargli, fratellino ». La maniglia scricchiolò, prima di essere sradicata dal legno e restare nella presa del rosso. Quando si voltò a fissarlo, Cain aveva l'occhio destro interamente tinto del colore del sangue, insieme ai pericolosi canini in mostra. « Non c'è niente che io non possa dargli ».

    • • •

    Jael salutò il compare con un cenno disinteressato, ancora immerso nella lettura di uno dei suoi libri di anatomia.
    Era stato bravo a ricucire le ferite di Abel, e Cain l'aveva nominato guardiano ufficiale in sua assenza. Per i tre giorni successivi ad Halloween, il rosso era rimasto a vegliare sul fratello ogni momento, mangiando il minimo indispensabile e dormendo con la testa poggiata sulla sua brandina, in attesa che si risvegliasse. Tornò alla sua solita postazione, lo sgabello accanto al lettino, e controllò che le flebo fossero funzionanti e al loro posto. Il battito cardiaco era stabile, così come il respiro. Jael annunciò che sarebbe andato a fare colazione, ma Cain lo sentì appena, concentrato com'era. Guardò la placida espressione dell'albino mentre dormiva, i graffi lasciati dai calcinacci ancora ben visibili sulla pelle chiara. C'era andato molto vicino, stavolta. L'aveva quasi perso. Se non fosse stato per la sua maledizione in quel momento... no, non doveva pensarci. Stavano alla grande entrambi (Abel un po' meno), e presto avrebbero ricominciato la loro missione come Omega. Suonava bene, nonostante fosse l'ultima lettera dell'alfabeto. Forse era quella la punizione di Grim. Le sue ultime parole tornarono a riecheggiare nella mente, e strinse i lembi del lenzuolo di riflesso. - Vecchio idiota -. Era pienamente consapevole di non poter essere l'anima gemella che il fratello aspettava, anche se nessuno lo capiva meglio di lui.
    Il fidanzamento comprendeva un tipo di attrazione fisica, oltre che psicologica, che lui non sentiva di avere. Certo, quando lo stritolava in uno dei suoi abbracci da cobra o dormiva avvinghiato a lui poteva dare l'impressione sbagliata, ma stare con Abel era naturale come respirare, non poteva farci niente. Mai una volta l'aveva sfiorato con malizia, o si era messo a fantasticare su una loro ipotetica relazione. Eppure in che modo poteva spiegare la gelosia che provava ogni volta che Raphael era in circolazione? Sempre il famoso amore fraterno. « Non c'è bisogno che piangi, pappamolle ».
    Spalancò gli occhi, carichi di incredulità e contentezza.
    Era da un sacco di tempo che aspettava di sentire i suoi rimproveri. « Pappamolle a chi? Sei tu quello bloccato in un letto d'ospedale » lo rimbeccò, con un sorriso che nacque spontaneo. « Da quant'è che sono ridotto così? ». Cain rispose da in fondo alla stanza, dopo essersi alzato per recuperargli un bicchiere d'acqua e degli antidolorifici. « Tre giorni, Bella Addormentata. Mi hai fatto prendere un colpo ». Anche se, ora che era sveglio, gli sembravano solo un brutto ricordo. Passò il bicchiere ad Abel e riprese posto sullo sgabello, facendo finta di spazzarsi via una lacrima. « Ho atteso giorno e notte che tu riaprissi gli occhi, mia amata » recitò, citando un pezzo della favola che leggeva sempre alla sorella minore di lui, la piccola Hannah. Nei minuti che seguirono, il ragazzo prese molto sul serio il suo ruolo di badante, correndo a destra e sinistra per recuperare bende pulite, un cuscino per aiutarlo a tenere la schiena dritta e una coperta in più, dato il clima frigido. Controllò di nuovo il cardiografo, finalmente stabile, e solo allora si fermò. « Perfetto. Tutto a posto » sentenziò, fiero di sè stesso. Ricordò allora che Jael l'aveva informato sulla leggera febbre che poteva conseguire dall'infiammazione degli organi interni, così Cain, senza troppe cerimonie, afferrò l'amico per la nuca e fece scontrare la fronte con la sua. « Sì, scotti un po' ». Il bip bip del cardiografo accelerò all'improvviso, e lui sghignazzò, rimanendo lì di proposito. « Non sapevo di farti questo effetto, Abel Cyril Gytrash ». Fu allora che la chiacchierata con Grim gli tornò alla mente, e si affrettò a prendere le distanze. Riuscire a comportarsi normalmente sarebbe stato più difficile del previsto. « Ti fa male la pancia? Jael dice che dovresti tornare a mangiare tra qualche giorno, ma per ora è fuori discussione. Se ti serve qualcosa basta parlare. Chiedi e ti sarà dato ».

    Abel Cyril Gytrash
    Appena l'occhio smeraldino di Cain incontrò quelli poco vivaci dell'Alpha, il rosso cominciò a vorticare per la camera, andando da una parte all'altra, instancabile. Gli portò medicinali, cuscini per far sì che restasse dritto sullo schienale, coperte contro il freddo che pervadeva la stanza. Pareva essere di buono umore, al contrario di Abel che rassomigliava ad un fantasma. Guardò in tralice il suo riflesso nel vetro dello specchio: da lì, sembrava bianco quasi quanto i suoi capelli. Non era di certo al massimo della sua forma. La sua voce era flebile e i suoi respiri profondi, spesso seguiti da qualche fitta allo stomaco. Sempre se ne aveva ancora uno, ovviamente, perché da quel che ricordava il Demone contro cui aveva combattuto la scorsa notte gli aveva inferto una ferita mortale proprio in quel punto. Di quel frangente ricordava solamente un dolore atroce e la ricerca disperata di ossigeno, nient'altro. Portandosi in posizione eretta con il busto, appoggiandosi ai cuscini che il fratello gli aveva sistemato dietro la schiena, Abel non poté non notare le fasciature che gli stringevano il tronco quasi per intero. Erano candide, senza tracce di sangue, a quanto pareva le avevano cambiate da poco. Erano strette bene, probabilmente non era stato nemmeno Cain a farlo.
    « Ho atteso giorno e notte che tu riaprissi gli occhi, mia amata » Al ritorno di Cain sullo sgabello al suo fianco, Abel fece una smorfia di disgusto, non facendo assolutamente nulla per nasconderla.
    « Le favolette lasciale ad Hannah, per piacere » fece. « Mi fai ribrezzo. »
    Sua sorella Hannah, quindici anni, adorava il suo amico. Non sapeva se la sua fosse una cotta adolescenziale o un platonico attaccamento - non si era mai interessato più di tanto - ma a lei e al rosso piaceva passare del tempo assieme. Cain la trattava ancora come una bimba di dieci anni o poco più, e nonostante Hannah gli dicesse di smetterla in fondo era palese che non gli dispiaceva. Abel li lasciava tranquillamente fare gli idioti insieme, bastava che non andassero ad intaccare la sua sfera personale. Peccato che lo facevano spesso, soprattutto quando a loro si univa anche quel guastafeste di Noah. Con la sua famiglia attorno era impossibile starsene tranquilli.
    L'albino posò la testa alla spalliera, facendosi sfuggire un sospiro. Tre giorni di incoscienza, niente male. Per fortuna, uno dei vantaggi di essere un Black Dog era la discreta cicatrizzazione: probabilmente, senza quella sarebbe stato bello che morto, a quell'ora. Ma non era solo merito delle capacità dell'essere infernale che possedeva il suo animo. I capelli rossi e vivi che avevano catturato la sua attenzione al suo risveglio in ospedale, erano anche l'ultima cosa che aveva visto prima di chiudere gli occhi la notte di Halloween.
    Tornò con il collo dritto, pronto a dar voce ai suoi dubbi, quando si sorprese a sentire la mano del fratello sulla nuca, che lo avvicinò a sé per sentire se avesse la febbre. Abel serrò le labbra, come al suo solito: era abituato a nascondere i suoi sentimenti, perciò non si dimostrò essere più difficile di altre volte. Doveva ammettere però che era felice di essere vivo e al suo fianco. Non avrebbe mai potuto fare a meno dell'energia e la spontaneità di Cain. Quando però udì il bip bip del cardiografo farsi più insistente trasalì, e subito provò ad allontanarsi dal ragazzo, ma lui glielo impedì con un ghigno.
    « Non sapevo di farti questo effetto, Abel Cyril Gytrash »
    "Cazzo." riuscì ad elaborare solo questo semplice pensiero, seguito in un secondo momento da altre imprecazioni. Quell'attrezzo maledetto sarebbe stata la sua rovina se non si fosse staccato alla svelta. Percepì un brivido di terrore attraversargli la schiena da cima a fondo.
    « Staccati, cafone. » mormorò l'albino con voce flebile, tentando di usare un tono scocciato, e facendo pressione sulle spalle dell'amico per allontanarlo. Fortunatamente lo assecondò, e il cardiografo tornò a segnare dei battiti regolari dopo poco. Se l'era vista brutta. Gli riusciva difficile però mettersi sull'attenti, si sentiva senza forze per fare qualsiasi cosa.
    « Poco male, tanto non ho fame. » sentenziò quando Cain accennò al suo non poter mangiare. Il suo sguardo vagò sulle sue braccia fine e tempestate da aghi per le flebo, ricordandosi delle numerose volte che il rosso lo aveva rimproverato per il suo calo di peso. In quel momento, malconcio com'era, doveva risaltare ancora di più.
    « Sei stato tu a portarmi via? Ad Halloween, intendo. » domandò di punto in bianco, e il suo sguardo tornò a piazzarsi in quello del fratello. Meno parlava meglio stava, ma voleva sapere cosa era successo. Ragionando in fretta e furia, fece un paio di calcoli attendendo la risposta del compagno. Lui era imprigionato nella sua stanza, con ordini da seguire e divieti da rispettare, di cui si era altamente fregato. Come aveva fatto, però, a sapere che lui era in pericolo? Era sicuro di non averlo visto, durante il combattimento contro le anime. Non riuscì a porsi altri interrogativi, che subito i tasselli tornarono tutti al loro posto. Ma certo, la maledizione.
    « Hai attivato la maledizione? » aggiunse, prendendo un respiro profondo. Si sentì mancare l'aria per un breve istante, ma quella sensazione scomparì subito dopo. Non era tanto la prospettiva dell'usare la maledizione a spaventarlo, bensì l'accorciamento dell'esistenza che ne conseguiva. La stessa, maledetta sentenza che gli aveva portato via suo fratello Gabriel. Non sapeva con precisione quante volte Cain avesse utilizzato il potere di sbirciare cosa sarebbe accaduto nel futuro, ma gli si chiuse la gola al solo pensiero di avere ancora meno giorni da poter passare in sua compagnia a causa dell'abilità che lo aveva reso cieco ad un occhio.

    Cain Asriel Skriker
    Il fatto che Abel avesse ancora la forza di sgridarlo fu molto rincuorante. Sembrava essere tornato in sé definitivamente.
    « Le favolette lasciale ad Hannah, per piacere. Mi fai ribrezzo. »
    « Ti rode solo il fatto che io sia un fratello migliore di te » lo rimbeccò, con un sorriso vittorioso. « Mi manca la piccoletta. Appena guarisci facciamo un salto a casa tua ». I Gytrash erano praticamente una famiglia adottiva, dato il poco interesse che Eva Skriker dimostrava per suo figlio. Aveva trascorso tutta la sua infanzia nella grande casa a Wyre, prendendosi cura dei bambini della signora Sarah come se ne facesse parte. Hannah compensava alla dolcezza di cui Abel lo privava, insieme a quella peste di Noah. L'espressione di assoluto disgusto che l'albino gli riservò, dopo la battutina e il suono accelerato del cardiografo, servì solo ad alimentare il suo lato dispettoso.
    Era uno spasso prenderlo in giro. Quando affermò di non avere fame, Cain spostò lo sguardo sul braccio ricoperto di chiazze nerastre, laddove gli aghi delle flebo facevano presa:
    la circonferenza del polso faceva paura, tanto era sottile, e poteva distinguere la sagoma delle ossa. Una volta finita la convalescenza l'avrebbe messo all'ingrasso, poco ma sicuro. Doveva essere in forze per il nuovo ruolo di Omega, quello di cui non trovava il coraggio di parlargli. Appoggiò la testa sul materasso, vicino al braccio immobile di lui, e prese ad esaminarlo come fosse un vecchio reperto storico, ben attento a non tirare i tubicini. « Sei stato tu a portarmi via?
    Ad Halloween, intendo. » Lui non alzò nemmeno lo sguardo per rispondere. « Indovinato. Se aspettavo il tuo fidanzato potevo dirti addio per sempre ». Riuscì a nascondere l'astio che quelle parole celavano, anche se odiava Raphael dal profondo del cuore per la sua negligenza. La verità era che nessuno più del rosso poteva prendersi cura di lui, medici espertissimi a parte. Non poteva lasciarlo andare. Non voleva. Dopo l'incidente si era innescato in lui un senso del dovere ancora più forte verso il fratello, un istinto che gli imponeva di non allontanarsi, tenerlo d'occhio e, soprattutto, impedire al capo degli Alpha di avvicinarsi all'infermiera. Quel bastardo era solo capace di metterlo in pericolo. Prese le dita sottili e gelide tra le sue, e lì rimase, osservando quanto piccole sembrassero all'interno della sua mano. Eppure Abel non era debole, lo sapeva. « Hai attivato la maledizione? ». Cain fece spallucce, come fosse una cosa da niente. Privarsi di qualche anno di vita per salvare il compagno non era poi questa gran cosa. « Forse. Chissà ». Si aspettava una grossa ramanzina, e invece tra i due calò solo un immobile silenzio. Spostò l'occhio destro dalle loro mani al suo viso, e vi lesse un misto di rabbia e preoccupazione. Sapeva bene come Abel la pensasse al riguardo: la loro maledizione non andava mai usata, salvo casi eccezionali o ordine di Grim. Beh, era capitata a lui, poteva farci quel che voleva. La morte aveva smesso di spaventarlo da parecchio, ormai. « Ehi, è stata una mia scelta, e sono contento di averla presa ». Tornò con la schiena dritta, spostandosi i ciuffi ribelli dalla fronte. « O moriamo insieme, o continuiamo a vivere insieme. Non ci sono mezze misure ». Poi spezzò l'atmosfera creatasi con un ghigno animalesco dei suoi.
    « Non ti libererai di me tanto facilmente ». Sfociò tutto in una risata appena il cardiografo disse la sua, mentre Jael faceva capolino nella sala con i resti della colazione ancora sulla bocca. « Yo, Gytrash. Bentornato tra noi » salutò, passando a controllare le flebo. Quando gli capitò tra le mani il resoconto del cardiografo inarcò un sopracciglio, sorpreso dagli sbalzi innaturali, e rifilò a Cain un'occhiata severa. « La tua presenza non gli fa bene. Se continui a farlo arrabbiare non lo faranno più uscire di qui ». Il Black Dog proseguì con il lavoro, controllando i bendaggi e misurandogli la febbre, ancora alta a causa dei medicinali. Il verdetto fu "riposo assoluto", che implicava una certa distanza da parte del rosso e molta, molta tranquillità. « Ah, giusto. Raphael passerà a farti visita tra un po', dopo le lezioni » disse all'albino, la penna che scribacchiava sulla cartella clinica. Si bloccò al ringhio terrificante che udì, prima di incrociare l'occhio rosseggiante di Cain. Aveva perso l'allegria in un battibaleno, e mostrava i denti come la belva che era. « Puoi dire a Raphael che se prova a mettere anche solo un piede qua dentro è un uomo morto ». Non vi era nessuna traccia di ilarità o scherno. Il Black Dog faceva sul serio. Jael raccolse la sfida con un'espressione altrettanto dura, in allerta. Sapeva che il compagno era imprevedibile quando si faceva prendere dall'ira.
    « Non costringermi a buttarti fuori, Skriker. Hai tirato abbastanza la corda in questi giorni ». Il ragazzo imprecò a denti stretti. Se sgarrava di nuovo, rischiava di doversi separare in maniera definitiva dal fratello, e ciò non poteva accadere. Avrebbe concesso a Raphael una sola visita, sufficiente a rendersi conto che Abel era vivo grazie solo grazie a lui, il Beta che detestava. « Come volete. Io vado a mangiare » sbottò, alzandosi bruscamente e attraversando la stanza a grandi passi, prima di chiudere la porta nemmeno volesse buttarla giù. Jael tirò un sospiro di sollievo solo nel momento cui fu sicuro che non sarebbe tornato, guardando Abel con aria apprensiva. « Che fratello problematico. E dire che ha fatto lo sciopero della fame per stare con te ». Gli passò una pillola delle dimensioni di un bottone, nera e lucida. L'ultima invenzione dell'equipe medica. « Okay, prendi questa e mettiti a dormire. Sarò il tuo angelo custode finché Skriker non avrà sbollito la gelosia ». Il Black Dog aggiunse anche una frase che sapeva tanto di supplica, prima di tornare alla sua postazione accanto all'entrata: « Ti prego, guarisci in fretta. Sia lui che Raphael sono diventati insopportabili. Ma che diavolo fai agli uomini? ».

    Abel Cyril Skriker
    Il rosso rispose affermativamente alla sua prima domanda. Non se l'era immaginato, quindi. Sul momento, in preda al dolore, aveva pensato che Cain fosse solo frutto di un'illusione, o qualcosa di simile. Invece no, l'aveva salvato lui da quella bestia demoniaca, portandolo poi indietro giusto in tempo per recuperarlo ad un passo dal baratro. Gli doveva la vita, come sempre. Era sempre Abel quello ad essere salvato dal rosso. Quella era solo l'ennesima prova che, da solo, non sarebbe riuscito mai a far nulla, se non superare a pieni voti tutti gli esami dell'anno scolastico. Era davvero il fratello minore, quello da proteggere. Essere deboli e non riuscire ad essere d'aiuto era proprio una gran fregatura. Avrebbe voluto dimostrare che anche lui era capace di cavarsela in situazioni complicate, che poteva fare affidamento sulle sue capacità, ma probabilmente sarebbe rimasta solo una mera utopia. D'altra parte, venire a sapere di essere riuscito ad uscire fuori da un combattimento per il rotto della cuffia spesso per merito di qualcun'altro non era un granché. Si sentiva un peso, non poteva continuare a gravare sulle spalle dei suoi compagni. Non voleva diventare un peso per Cain. Ma forse, lo era sempre stato.
    "Oh, e andiamo." fece, allontanando quei cattivi pensieri. Non poteva far trasparire la sua insicurezza per nessun motivo al mondo. Percepì il calore delle mani del fratello avvolgere le sue, che in confronto erano dei cubetti di ghiaccio. Era un tepore piacevole e rassicurante, al contrario della risposta che gli diede immediatamente dopo. Abel aggrottò le sopracciglia, e prese a fissare le pieghe del lenzuolo candido distribuite sulle sue gambe. Cain era impulsivo, testardo, ed era di tutt'altra opinione riguardo la maledizione, rispetto all'albino. Non aveva alcuna intenzione di inculcargli le sue convinzioni, ma ciò che gli dava più sui nervi era la leggerezza con la quale la utilizzava e lo ammetteva. Aveva veramente paura che quel dannato occhio cieco glielo potesse portare via da un momento all'altro, ed Abel non poteva far nulla per impedirglielo. Aveva bisogno di lui.
    « Ehi, è stata una mia scelta, e sono contento di averla presa » gli occhi tempestosi dell'Alpha si spostarono sull'amico, non così rincuorato come sarebbe dovuto essere. « O moriamo insieme, o continuiamo a vivere insieme. » Abel trattenne un sorriso spontaneo - non era una ragazzina, non poteva permettersi di sorridere a certe frasi, suvvia - e sospirò. Alla seguente affermazione di Cain, cominciò a pregare affinché il cardiografo non avvertisse alcun cambiamento. Fu tutto vano, e il fratello si fece anche una risata a vederlo in quelle condizioni. Per fortuna il battito cardiaco tornò nella norma in pochi secondi, ed Abel, se non avesse avuto difficoltà a muoversi, avrebbe colpito il rosso più che volentieri con un sonoro scappellotto.
    I due furono interrotti dall'entrata di un ragazzo in sala, quasi della stessa stazza del rosso. In un primo momento non seppe ricordarne il nome, poi ricordò di averlo affiancato varie volte in infermeria per aiutare i malcapitati di turno. Si chiamava Jael, se la memoria non lo ingannava, ma ricordare i nomi delle persone non era la sua massima priorità.
    « Giorno » lo salutò semplicemente l'Alpha, senza sforzarsi per parlare. Lanciò un'occhiataccia a Cain appena Jael ricollegò i suoi sbalzi a delle semplici arrabbiature.
    « Raphael passerà a farti visita tra un po', dopo le lezioni » Abel si degnò almeno di annuire, giusto per far capire di aver recepito il messaggio. Chissà se, in quei tre giorni, aveva sbollito la rabbia e si sarebbe deciso a parlare in sua presenza.
    L'esplosione improvvisa di Cain lo fece voltare di scatto verso di lui, confermando il fatto che il Beta non avesse fatto entrare una sola volta il comandante nella sua stanza. Eppure, non sembrava una di quelle minacce a vuoto, era terribilmente serio.
    « Cain » esordì l'albino, interrotto da un attacco di tosse che gli provocò delle grandi fitte allo sterno. Jael se la cavò egregiamente anche senza il suo aiuto a farlo stare buono, tanto che il fratello li lasciò soli sbattendo dietro di sé la porta.
    Al sentire "fratello problematico", Abel annuì rassegnato, abbandonandosi sui cuscini che aveva dietro la schiena con un sospiro. In diciannove anni, gli aveva fatto patire le pene dell'inferno, ma senza di lui non avrebbe saputo assolutamente come fare. Per quanto avesse un carattere difficile e instabile, non l'avrebbe scambiato per nessun'altro al mondo.
    Il ragazzo gli diede una pillola scura, che l'albino cominciò a rigirarsi tra le dita: non l'aveva mai vista, era forse l'ultima scoperta in campo medico? Se la mise in bocca, mandandola giù con un po' d'acqua e distendendosi di nuovo a pancia in su.
    « Ma che diavolo fai agli uomini? » l'Alpha fece spallucce, lasciando che Jael tornasse alla sua postazione. Semmai, cosa loro facevano a lui: la situazione poteva anche essere capovolta.
    L'albino osservava le lancette dell'orologio andare avanti in un irritante ticchettio, ma Cain sembrava essersi perso tra i corridoi dell'edificio. Jael cercava di scambiare poche parole con lui, ma non era molto incline a fare conversazione: non era chiacchierone di suo, poi ci si metteva la difficoltà respiratoria e si stava a cavallo. Trascorse una mezz'ora in silenzio, senza che nessuno si facesse vedere. Magari poteva concedersi un breve sonnellino - come se in quei giorni non avesse dormito abbastanza. Sospirò per l'ennesima volta nel poco tempo che era passato da quando aveva aperto gli occhi, buttando un'ultima occhiata all'orologio. Non sapeva quando finissero le lezioni quella settimana, dunque non seppe nemmeno teorizzare l'arrivo imminente del comandante.
    Il cigolio della porta d'ingresso gli fece voltare la testa, mentre la figura imponente di Raphael faceva capolino dietro di essa. Era composto e serio come suo solito, ma non gli indirizzò nessuna occhiata gelida, come invece aveva fatto fino a prima di Halloween. Jael si congedò con un lieve sorriso, per poi chiudere la porta dietro di sé.
    Abel si tirò su con la schiena, appoggiandosi ai cuscini, e Raphael avanzò a testa bassa verso di lui. Parevano essere passati secoli dall'ultima volta che si erano rivolti la parola. Il moro si sedette sulla prima sedia che trovò vicino al letto, e tra i due cadde un silenzio che nessuno sembrava voler infrangere. L'albino strinse i lembi del lenzuolo, mantenendo comunque la sua compostezza, e Raphael sembrava essere ammaliato dai suoi stessi pantaloni.
    « Allora? » sbuffò Abel, decisamente stufo di quella situazione. Ce l'aveva ancora con lui? Nemmeno i bambini protendevano un litigio così a lungo. « Hai ancora intenzione di evitarmi nonostante adesso ci separino poche decine di centimetri? »
    Il compagno sembrò sull'orlo di dire qualcosa, ma si bloccò ancor prima di aprire bocca. Dai, nemmeno il periodo che aveva passato su quel letto d'ospedale in bilico tra la vita e la morte gli aveva portato consiglio? Studiando la reazione del fidanzato, Abel si arrese alla prospettiva di passare l'intera visita senza spiccicare parola. Puntò quindi lo sguardo all'esterno, dove il sole era sparito dietro le nuvole grigiastre di Novembre.
    « Ti ho portato questo » udire la voce profonda del compagno lo sorprese, e riportò l'attenzione su di lui. In mano aveva il libro di fisica che ancora doveva finire di leggere, quello che aveva sul comodino della sua stanza. Dopo un primo momento di sorpresa, l'albino lo prese, appoggiandoselo sul grembo e accarezzando la copertina ruvida. Un libro da leggere gli mancava effettivamente, per passare i pomeriggi nei quali non avrebbe avuto nessuno intorno.
    « Come stai? » ogni parola sembrava costargli una gran fatica, proprio come alzare lo sguardo su di lui. Non seppe dire perché, ma sembrava, in qualche modo, afflitto a causa di chissà cosa.
    « Alla grande. » fece di rimando, indicando le bende che aveva attorno al busto. Entrambi i ragazzi erano di poche parole, davvero un'accoppiata vincente. Era comunque un sollievo vedere come le distanze che il moro aveva preso da lui si erano accorciate. Seguì il percorso della mano di Raphael, che pian piano si avvicinava alla sua, fino a posarsi su di essa.
    « E' stato difficile senza di te. » ammise il comandante, senza però levarsi il cipiglio serio che aveva perennemente dipinto in volto. Ciò che aveva detto contrastava da morire con il tono che aveva usato, ma ormai ci era abituato.
    « Immagino. » fece lui, lasciandosi sfuggire un colpo di tosse. Ricominciare a parlare con Raphael si era rivelato meno peggio di quel che si aspettava.

    Cain Asriel Skriker
    Tanto per cambiare, il tempo volgeva al peggio. Cain si strinse nella sciarpa e sospirò, alla disperata ricerca della pace dei sensi. Doveva smettere di pensare a tutte le cose che lo facevano incazzare, prima di distruggere l'edificio che gli faceva da casa a suon di calci e pugni. Un grosso gatto grigio richiamò la sua attenzione, dato che reggeva la scatola di croccantini in mano da dieci minuti buoni e ancora nessuno dei felini ne aveva visto uno. « Ops, scusate ». Erano sette in totale, ognuno con nome e personalità differente dall'altro. Assieme al giardino sul retro, costituivano il suo angolo di Paradiso personale, un luogo appartato immerso nel verde (beh, nelle piante incolte), dove poteva rilassarsi e stritolarli di abbracci. Doveva sfogare il bisogno di affetto su qualcuno, in fondo. Riempì le ciotole fino all'orlo e si sedette sull'erba umida lì accanto, gli occhi fissi sulla finestra del piano rialzato che si affacciava proprio sul giardino. Non era alto abbastanza da raggiungere il davanzale, ma poteva sentire la voce di suo fratello e quella cavernosa di Raphael. - Quel maledetto pezzo di... - « Ah, allora eri qui! ». Dianne sbucò dall'angolo dell'Istituto, il solito sorriso raggiante ad illuminarle il volto. Lei sì che era un toccasana per il cattivo umore, oltre che una delizia per gli occhi. Peccato che in quanto compagna di Grim fosse intoccabile. « Ehilà » salutò di rimando il rosso, già meno depresso di prima. « Sei venuta a salutare i miei bambini? ». Dianne ridacchiò, accarezzando il preferito del Black Dog di proposito. Era una bestiolina dal corpo sottile e armonioso, con la pelliccia folta e tigrata di grigio, e lo seguiva ovunque andasse. L'aveva chiamato Abel Junior, in onore del compagno che, a differenza sua, non lo coccolava mai. « Grim mi ha detto del caos che hai combinato. Sono giorni che è intrattabile ».
    « Ti ha anche detto che ho salvato la vita di Abel? ».
    Dianne annuì, mentre il gattino le si arrampicava sulla spalla.
    « Penso che la gente non sia stata abbastanza riconoscente con te, sai? Se gli fosse successo qualcosa sarei stata la prima a scatenare l'inferno ». Detto da un'umana non suonava così spaventoso, ma la ragazza sapeva essere molto pericolosa quando si impegnava. Aveva la forza di cento uomini in un solo pugno, Cain lo sapeva bene. Il suo attaccamento ad Abel, neanche fosse la madre o la sorella maggiore, gli aveva sempre fatto un sacco di invidia. « Volevi qualcosa? » chiese infine, assalito dai gatti che, ormai a pancia piena, facevano a gara per sonnecchiare sulle sue gambe. Abel Junior arrivò per ultimo, ma il ragazzo gli fece saltare la fila e lo mise direttamente sul posto d'onore. Dianne si sedette vicino a lui, seguendo la traiettoria del suo sguardo verso la finestra. « Sei consapevole del significato della vostra promozione, vero? Omega non è un titolo, è l'ultima lettera. Siete quelli che chiamano quando le cose vanno male, e non avrete molti trattamenti di favore. Abel potrebbe arrabbiarsi ». Cain ne era pienamente consapevole. Con il suo comportamento sconsiderato aveva sottratto il fratello agli agi dell'essere Alpha, grado più ambito fra i Marauders. Aveva faticato per arrivarci, ed ora Grim l'aveva spedito in fondo alla scala delle priorità. Chissà con che faccia poteva presentarsi da lui, adesso. Magari Raphael lo stava già mettendo al corrente della novità, o magari si stavano godendo un po' di tempo insieme. In entrambi i casi gli sarebbe piaciuto spaccare la faccia del comandante con un destro ben piazzato. « Mi odierà, come minimo. Però ho fatto tutto con le migliori intenzioni. Io voglio davvero che sia al sicuro, e felice » ammise, con il gattino in grembo che gli mordicchiava la mano per giocare. La fanciulla dagli occhi color ametista parve afferrare il concetto, seppur riluttante ad ammettere che il Beta stesse agendo nell'interesse di entrambi. Anche lei, come Grim, li aveva visti crescere insieme, indivisibili e pronti a sacrificarsi uno per l'altro. E non le era sfuggito il modo in cui Abel guardava il fratello nell'ultimo periodo. Raphael era un'illuso se sperava di averlo tutto per sé. Quei ragazzi si appartenevano, due metà di una sola anima.
    « Non ti preoccupano i sentimenti che Abel prova per te? » domandò, convinta che anche il rosso, perspicace com'era, se ne fosse accorto. Purtroppo, quando si toccava l'argomento "amore", lui era più lento di un bambino delle elementari.
    « Tipo rabbia, odio allo stato puro e risentimento? Sì, a dire il vero ». Dianne scosse il capo, improvvisamente seria.
    « Non sei più solo un fratello per lui. Le noto certe cose, soprattutto se riguardano il mio Black Dog preferito ».
    Cain si immobilizzò, smettendo di accarezzare la testolina dell'animale. Un sorrisetto nervoso si fece strada sul suo viso, molto più pallido di qualche secondo prima. « Non sei brava a fare scherzi ». « Negare l'evidenza non ti servirà ».
    L'Omega si alzò di scatto, procurandosi un'ondata di graffi e lamentele da parte delle bestiole che dormivano su di lui. Solo Abel Junior gli rimase attaccato, per nulla scosso dal movimento brusco. Capiva quel che Dianne voleva dire, ma non lo capiva. Era impossibile da spiegare a parole. Nell'ultimo periodo il fratello era diventato schivo, suscettibile ad ogni battuta, e meno incline al contatto fisico. Non che prima fosse diverso, ma gli capitava di ricevere una carezza sulla testa o una pacca sulla spalla, e tanto bastava. E poi Raphael era entrato in scena, con un fidanzamento che sapeva di bugia e che l'aveva mandato su tutte le furie. Come poteva la loro unione influire sul rapporto fraterno dei due? In situazioni normali non sarebbe cambiato nulla, e invece Cain aveva reagito nel peggior modo possibile, comportandosi come se fosse il proprietario dell'albino e non volesse cederlo a nessuno. Non aveva il diritto di fargli una cosa del genere.
    « Io non vado bene per lui... » mormorò a denti stretti, le mani chiuse a pugno lungo i fianchi. « Sei l'unico, invece ».
    Lanciò un'occhiata in tralice all'avvenente giovane donna, che ora sorrideva di nuovo, e marciò a grandi passi verso l'ingresso, il gatto in equilibrio sulla spalla a mo' di gufetto. Dianne aveva il potere di insinuare il seme del dubbio in chiunque. Ti leggeva dentro. Raggiunse l'infermeria, dove Jael attendeva di poter rientrare, addossato alla parete. Sembrava sul punto di dire qualcosa, ma la porta si spalancò, rivelando un Raphael fin troppo rilassato per aver quasi fatto uccidere un compagno. Cain fece del suo meglio per non dare inizio ad una rissa, limitandosi a ringhiare quando gli passò accanto. Non era il momento di sgarrare, rischiava di finirci in mezzo anche il fratello. Una volta entrato, notò subito una sostanziale differenza: il libro preferito di Abel giaceva sul comodino, un regalo premuroso del fidanzato. - Ah, poteva farlo chiunque! -.
    Purtroppo, la felicità che provò nel vederlo in uno stato di salute accettabile non fu sufficiente a spazzare via le nubi del cattivo umore. Guardò la nuova sedia comparsa accanto alla branda e provvedette a spostarla lontano, un gesto infantile che sentiva di dover fare. Anziché prendere posto sullo sgabello, Cain tolse gli stivali e si sdraiò sopra al lettino lì accanto, le braccia incrociate dietro la testa ed un'espressione corrucciata. Non doveva dare peso alle parole di Dianne. L'albino era cotto del suo superiore (forse, non esternava molto la cosa), lui fungeva da terza ruota del carro. Fine della storia. Eppure si sentì in dovere di confermare ciò che lo tormentava. « Lo ami davvero? » domandò, guardando il soffitto ricoperto di ragnatele con il solo occhio scoperto.
    « Posso farmi da parte, se serve, ma starti lontano mi ucciderebbe ». Era di nuovo incappato in uno dei suoi discorsi egoistici, quelli in cui voleva confermare cosa il fratello provasse sul serio. Perché non poteva essersi innamorato di lui. Non poteva e non doveva.

    Abel Cyril Gytrash
    « Com'è andata l'ultima missione? » l'ennesima domanda che Abel gli pose. Il moro era meno incline del solito a conversare, quel giorno. Era come se stesse parlando da solo, le belle parole che aveva detto poco prima sembravano essergli sfuggite per sbaglio.
    « Tutto bene » eccola, l'ennesima risposta concisa e di poco valore.
    Raphael continuava a scrutarlo e a parlargli mantenendo la sua solita faccia di bronzo, senza lasciar trapelare alcuna emozione. Perché? Era abituato a vederlo così, e sicuramente l'albino non era meglio di lui. Ma il suo fidanzato, al quale tanto teneva, era su un letto d'ospedale, e aveva rischiato di non svegliarsi più. Nemmeno in quell'occasione riusciva a rilassarsi un po'? Forse gli dava fastidio il fatto che fosse stato Cain a salvarlo? O forse non era riuscito a mettere da parte il suo orgoglio una volta per tutte? Quel ragazzo lo stava mandando fuori di sé.
    « Se non avevi voglia di vedermi bastava dirlo » fece, poggiando il libro sul comodino per poi puntare i suoi occhi in quelli plumbei del comandante. La sua compostezza sembrò incrinarsi, ma forse se l'era immaginato.
    « Non è come pensi. » rispose, ma Abel notò che non stava guardando lui, bensì il muro alle sue spalle. Non riusciva a confrontarsi con lui, per caso?
    « Me lo stai dimostrando adesso » disse, sull'orlo di una crisi di nervi. I due ragazzi, nel corso della loro relazione, non avevano litigato chissà quante volte: possedevano entrambi personalità simili, decisamente fredde. L'unica cosa su cui si scontravano era la perenne presenza di Cain tra i due, ma solitamente Raphael preferiva non affrontare direttamente l'albino sull'argomento. Poteva diventare una belva se gli si toccava il suo adorato fratello. Quella che stavano affrontando era ciò che si chiamava "prima crisi di coppia", inevitabile.
    « Non dico che avresti potuto buttarmi le braccia al collo, ma sembra quasi che tu stia qui per dovere » il suo sguardo si indurì, e Raphael accennò ad una smorfia con la bocca. Poteva avere il diritto di aspettarsi qualche gesto affettuoso dal suo fidanzato, no?
    Il calore che gli riservava Cain era del tutto differente, platonico e spropositato. Vedere la sua chioma rossa e il suo sorriso sollevato al risveglio lo aveva fatto sentire felice di essere ancora vivo.
    « Non volevo che tutto questo accadesse a te per colpa mia » mormorò ad un certo punto il comandante, stringendo forte un lembo del lenzuolo. Abel distese le sopracciglia corrugate, analizzando il significato della frase. Per colpa sua? Stava scherzando. Come poteva essere colpa di qualcun'altro?
    « Sono stato io l'incosciente della situazione » gli disse, con un vago tono di disapprovo nella voce che avrebbe preferito non utilizzare. « Non hai nulla da rimproverarti » il moro lasciò la presa sul tessuto, e si rilassò un poco. Non che la maschera d'indifferenza fosse del tutto caduta, ma ora sembrava meno sulle spine.
    Tra di loro calò un muto silenzio, che Abel non si impegnò di riempire con qualche domanda. Sentiva ancora i nervi a fior di pelle, ma doveva calmarsi: Raphael si era sentito in colpa, lui l'aveva rassicurato, fine. Eppure avrebbe preferito rimandare quell'incontro al giorno seguente, ormai poco restava dell'atmosfera intima che si era creata all'inizio e non se la sentiva di parlare con lui. Era davvero deplorevole da parte sua pensare una cosa simile, ma non riusciva a silenziare del tutto quel pensiero.
    « Hai sentito del nuovo ruolo che Grim ti ha affidato? » la voce profonda di Raphael lo fece voltare, le sopracciglia aggrottate e uno sguardo interrogativo rivolti verso di lui.
    « Cosa vuoi dire? » lo spronò a continuare, ma sulle labbra del ragazzo si disegnò un leggero sorriso di scherno, che scomparì con la velocità con la quale era apparso.
    « Skriker potrà raccontarti tutto nei dettagli. » sembrava godere della situazione di impotenza e non conoscenza nella quale era relegato l'albino, e lo seguì con lo sguardo mentre si alzava dalla sedia. « E' colpa sua, dopotutto. » con una mano, alzò la frangetta di Abel per posare un fugace bacio sulla fronte, con la promessa di ripassare l'indomani. Il ragazzo tentò di dire qualcosa, ma la porta si richiuse alle spalle di Raphael prima che potesse farlo. Nuovo ruolo? Cosa diavolo era successo in sua assenza? E cosa c'entrava Cain in tutto questo? La sua testa si riempì di interrogativi in sospeso, e quando vide entrare il fratello si lasciò sfuggire un lungo sospiro.
    Non sembrava di buon'umore, probabilmente aveva incrociato Raphael in corridoio. Scostò la sedia che quest'ultimo aveva utilizzato e si distese sul lettino accanto al suo, lasciando lo sgabello vuoto. Abel restò a guardarlo, per poi fissarsi su uno degli aghi che aveva attaccati alle braccia. Gli stava quindi nascondendo qualcosa? Non era mai successo da quando si conoscevano.
    « Lo ami davvero? » l'Alpha spalancò gli occhi, lo stomaco si contorse su sé stesso. Dove voleva arrivare con quella domanda improvvisa? Non poteva rispondere, doveva cercare una via di fuga. Per fortuna il fratello non stava guardando lui, altrimenti lo avrebbe visto sbiancare, intuendo la risposta - anche se avrebbe potuto farlo passare per un malessere temporaneo dovuto al trauma.
    Amare era una parola grossa, e no, lui non amava Raphael. Lo rispettava, lo incuriosiva, ma non avrebbe dato la sua vita per lui, non lo avrebbe protetto fino a perdere i sensi. Come invece avrebbe fatto per Cain. Ciò che provava era un amore malsano e disgustoso, ma non riusciva a sopprimerlo. Dopo un'intera giornata passata in compagnia del comandante si illudeva di esserci riuscito, ma subito dopo la voce entusiasta e calda del rosso gli faceva dimenticare i suoi buoni propositi. Sapeva di non avere speranze, di doversela far passare perché ai suoi occhi era solo il fratellino da proteggere, nient'altro, ma come? La presenza di Raphael aveva solamente complicato le cose, ma era necessaria.
    « Posso farmi da parte, se serve, ma starti lontano mi ucciderebbe » il ragazzo sembrò riprendere a respirare dopo quest'affermazione, e decise di aggrapparsi ad essa ed eludere il discorso come meglio poteva.
    « Non provare a farti da parte » decretò, uscendone con una convincente tranquillità. « Altrimenti ti ammazzo io » non avrebbe mai potuto sopportare l'idea di averlo lontano.
    Si decise finalmente di voltarsi verso di lui, e prima che potesse porre qualche altra domanda a riguardo si sbrigò a cambiare argomento.
    « C'è qualcosa che devi dirmi a proposito di un nuovo ruolo, per caso? » domandò, facendogli comunque capire che non avrebbe accettato un no come risposta. Perché sapeva che il rosso aveva qualcosa da dire al riguardo. Al contrario, Cain non avrebbe mai dovuto sapere che il cardiografo in compagnia di Raphael non aveva registrato alcuna anomalia.

    Cain Asriel Skriker
    Non si aspettava una risposta esauriente, a dirla tutta. Abel era un maestro nel nascondere gli stati d'animo, ma Cain era un maestro nel fargli sputare il rospo. Quel suo intimargli di non andarsene voleva dire tutto e niente, avrebbe preferito un chiaro e tondo "sì". Sentiva l'odore di Raphael su di lui e quasi gli veniva da coprirsi il naso, segno che era rimasto abbastanza a lungo da rivendicare la proprietà del fidanzato. Okay, a parole non sarebbe arrivato da nessuna parte, serviva un piano d'azione. « C'è qualcosa che devi dirmi a proposito di un nuovo ruolo, per caso? ». Ah, ecco cos'era andato a fare il comandante. Non poteva tenere la bocca chiusa, vero? No, qualsiasi cosa pur di metterlo in cattiva luce. Cain avrebbe preferito aspettare che il fratello si fosse ripreso per dargli la "lieta notizia", in realtà. Attese qualche secondo prima di rispondere, mentre Abel Junior sbucava da sotto la brandina e lo raggiungeva, appallottolandosi nell'incavo del suo braccio e riempiendo il silenzio di morbide fusa. « Ah, sì. Quello. Chissà perchè sono l'unico a dover rispondere alle domande, qui dentro » iniziò, restando sul vago. L'idea un po' lo spaventava. Non sapeva come l'avrebbe presa l'ormai ex Alpha. Insomma, non si trattava di una promozione, anzi, più un declassamento. Ed era colpa sua. « Grim ci ha dato un grado diverso. Ora siamo Omega, gli ultimi della fila. Delle ruote di scorta, insomma ». Dare pessime notizie non era la sua specialità, vista la mancanza di tatto. Non riuscì nemmeno a guardare il fratello in faccia, sentendosi colpevole di un grande crimine. « Ah, sai la vecchia torre, quella che non usa più nessuno? Ci toccherà dormire lì. Non appena ti sarai ripreso faremo un piccolo trasloco ». Quando il capo lo aveva messo al corrente dei cambiamenti, Cain era stato felice all'idea di poter condividere di nuovo la stanza con l'albino. Ora, invece, si sentiva il peggiore dei bastardi. Tutta colpa della sua proverbiale negligenza. Chissà come l'avrebbero presa a casa Gytrash i familiari. Abel era sempre stato il migliore della classe, l'orgoglio della madre e dei fratelli minori, e per lui si prospettava un futuro promettente come quello del padre. Sarah avrebbe appeso al muro il rosso con chiodi e martello, già se lo immaginava. « Ovviamente è una punizione. Mi spiace averti spodestato dal trono, sul serio ». Cercò di pensare ad un modo migliore di esprimere la vergogna che provava, pur sapendo che Abel non si sarebbe mai arrabbiato con lui fino al punto da escluderlo dalla sua vita. Niente, di tutti i metodi che conosceva, nessuno sembrava consono alla situazione. Magari chiedere scusa guardandolo negli occhi poteva essere un inizio. Ruotò la testa verso la brandina circondata da flebo e tubicini sospesi, l'iride smeraldina fissa su di lui. « Scusami. Non te lo meritavi ». Ogni cosa che faceva a fin di bene diventava una catastrofe, e Abel spesso ne pagava le conseguenze. Sospettava che la rabbia di Mauthe non avrebbe impiegato molto a manifestarsi una volta digerita la questione "declassamento" del fidanzato, ora costretto a stargli lontano durante le missioni. Le parole di Dianne gli tornarono alla mente in quell'istante, finché era impegnato ad esaminare ogni minima espressione del volto dell'albino per captarne lo stato d'animo. « Non sei più solo un fratello per lui ». Perchè non aveva risposto quando gli aveva chiesto se fosse davvero innamorato dell'Alpha? Sarebbe stato molto più semplice per lui insabbiare la cosa, e invece no, lo teneva sulle spine con mille dubbi. Ma cos'avrebbe fatto se Abel avesse ammesso di provare qualcosa per lui? Un sentimento diverso dall'amore fraterno che li univa, più forte, più profondo. Si alzò dalla brandina, il movimento accompagnato dal ciglio delle molle del materasso e le proteste del felino, svegliato all'improvviso. La priorità era raccogliere prove su quanto sosteneva la compagna di Grim, prima di decidere il da farsi. Sovrastò il compagno con la sua altezza, quasi minaccioso, storcendo il naso una volta individuata la traccia di Raphael sulla pelle bianca di Abel. Per capire da dove provenisse con esattezza, Cain si sporse verso il ragazzo convalescente, annusandolo da vicino come il segugio provetto qual'era. No, non era sul collo. Forse più su... -Trovato. Ma dai, è più pudico di quanto pensassi-. Il suo fidanzato era tornato sano e salvo da una missione ad alto rischio e lo accoglieva con un innocente buffetto sulla fronte? Roba da matti. « Comunque non voglio che ti preoccupi adesso di questa cosa. Appena ti reggerai in piedi vedremo di parlarne con Grim » disse, a un soffio dal suo viso, con il tono rassicurante di una madre che tranquillizza il figlio. Accolse con un ghigno il segnale del cardiografo, mentre una mano gli afferrava il mento per impedirgli di distogliere lo sguardo. L'occhio verde passò dalle iridi argentee di lui al tatuaggio che li accomunava, fino a cadere sulle labbra sottili, contratte in una smorfia contrariata. - Possiamo smettere di essere fratelli? - fu la domanda che Cain pose a sè stesso, incuriosito e spaventato allo stesso tempo. Ormai mancavano un paio di centimetri alla bocca di Abel, e il rosso si chiese cosa sarebbe mai cambiato tra di loro se avesse fatto quello che il cervello stava già registrando come "fratricidio". Lo voleva anche lui? Oppure stava solo approfittando di quel momento di debolezza per entrambi, guidato dalla gelosia? Il frastuono della vecchia porta che si apriva lo bloccò, e Jael fece capolino con una sacca in mano. « Gytrash, ti ho portato un cambio di vestiti. E tu, Skriker, fuori di qui » ordinò, per nulla scandalizzato. Il rosso sghignazzò, pensando che li aveva interrotti nel momento giusto. Ma perché non togliersi quel sassolino dalla scarpa, prima di prendere congedo? Posò un bacio frettoloso sulla fronte del fratello, allontanandosi prima che potesse colpirlo con qualcosa. « Voilà, disinfettato! Non c'è bisogno che mi ringrazi ». Il medico sbraitò qualcosa riguardo al non molestare i pazienti e non far entrare animali, così Cain prese sotto braccio il gatto e salutò Abel da distante, molto meno depresso di prima. « Ci vediamo, Trash. Passerò per darti la buonanotte ». E lasciò l'infermeria con un nuovo obiettivo in mente: scoprire cosa vi fosse di più forte del legame fraterno.

    Abel Cyril Gytrash
    Prima che Cain potesse dire qualcosa, l'albino notò una figura felina accoccolarsi tra le braccia del fratello e si trattenne dal ringhiare. Non sopportava quelle bestioline, più stavano lontano da lui meglio era. Peccato che il suo adorato fratellone adorasse i gatti, al contrario suo. E per di più, gli affibbiava nomi ridicoli: uno lo aveva pure battezzato col suo stesso nome.
    Appena sentì la voce del rosso, l'attenzione tornò su di lui: non sembrava granché su di giri. Era forse una brutta notizia? Raphael aveva affermato che fosse colpa sua, ma di cosa si trattava precisamente?
    Sembrava fossero passate ore quando Cain aprì di nuovo la bocca, e ciò che disse lo fece restare di sasso.
    « Omega? » ripeté a bassa voce, come se sillabandola tra sé e sé potesse aiutarlo a intenderne il senso. Non aveva mai sentito parlare di quella classe all'interno dei Marauders. Cosa voleva dire appartenere ad essa? L'Omega era l'ultima lettera dell'alfabeto, simboleggiava la fine. Non avrebbe assunto lo stesso significato anche nei ruoli dei Black Dogs, vero?
    « Gli ultimi della fila. Delle ruote di scorta, insomma » Il fratello diede conferma ai suoi pensieri, e Abel si sentì privato della poca forza che gli era rimasta. Si appoggiò alla spalliera, lo sguardo fisso su Cain ma senza guardarlo veramente. E i loro titoli di Alpha e Beta, non valevano più niente? Tutti gli sforzi e i sacrifici fatti per riuscire ad entrare nella classe più prestigiosa dei Marauders potevano anche essere buttati nella pattumiera, allora. Aveva patito le pene dell'inferno per riuscire ad ottenere la promozione pochi anni addietro: dato il suo fisico poco allenato, nelle missioni, nei primi tempi, aveva rischiato varie volte di rimetterci la pelle. Si era dovuto fare in quattro per spiccare in qualcos'altro che non fosse il combattimento, e quando si era fatto riconoscere per la sua abilità nelle strategie e nello studio - che spaziava in molti ambiti, d'altronde - si era sentito davvero capace di fare qualcosa. Molti degli Alpha, tutt'ora, erano ancora scettici riguardo la sua entrata nella loro stessa classe: continuavano a non riconoscerlo come degno erede dei precedenti Gytrash, ma Abel era riuscito comunque a farsi strada con le sue sole forze. Li aveva abbattuti tutti, uno ad uno, raggiungendo il titolo più alto e tenendoselo stretto. E ora?
    « Mi spiace averti spodestato dal trono, sul serio » Ma come mai Grim aveva deciso di declassarli? Forse per il comportamento impulsivo di Cain, ma non era una motivazione abbastanza solida. Il vecchio non agiva guidato dal risentimento. Entrambi i fratelli avevano fatto cose sbagliate nel corso del tempo, forse era una punizione a scoppio ritardato. Eppure, non riusciva comunque a trovare una risposta logica ai suoi dubbi. Non era colpa di Cain, di questo ne era sicuro, al contrario di ciò che affermavano sia Raphael sia lo stesso rosso. Si sentiva così vuoto, come se il tempo passato a superare mano a mano tutte gli ostacoli non fosse valso nulla.
    « Scusami. Non te lo meritavi. » Ancora con quella storia. Avrebbe voluto gridargli che doveva smetterla di scusarsi, che non doveva prendersi la colpa di nulla, ma non trovava né il fiato né la forza per farlo.
    Era in squadra con Cain adesso, sarebbe filato tutto liscio, come ai vecchi tempi quando appartenevano entrambi ai Beta. Non era il nuovo ruolo che non riusciva a mandare giù, bensì tutta gli sforzi e tutti i limiti che aveva sorpassato per arrivare in cima. E non sapeva nemmeno con chi prendersela. Ora che era diventato l'ultima ruota del carro, probabilmente, i Black Dogs avrebbero anche ricominciato a puntargli il dito contro rinfacciandogli la storia della famiglia e del non essere all'altezza né di suo padre né di suo fratello. Fantastico, che prospettiva allettante. Meno male che c'era il fratello su cui poteva contare: con lui vicino, sarebbe stato un po' più facile, si augurò.
    Abel non si accorse dei movimenti del rosso, e lo notò solamente quando gli fu ad un palmo dal naso. Il compagno prese ad annusarlo, sfruttando l'olfatto sviluppato che si ritrovava.
    « Che stai facendo? » domandò scettico, ma lui non gli rispose. Dopo qualche secondo, lo rassicurò dicendogli di non preoccuparsi di ciò che gli aveva appena raccontato, e la prospettiva di riuscire a parlarne con Grim non lo entusiasmò. Gli ordini del grande capo non potevano essere messi in discussione, ma almeno avrebbe potuto chiedergli il perché di quella scelta. La mano di Cain gli afferrò il mento, puntando l'occhio luminoso nei suoi. Era troppo vicino, poteva sentire il suo respiro sulle guance. Il bip bip accelerato del cardiografo non tardò ad arrivare, insieme alle maledizioni dell'albino. Sentiva il cuore battere all'impazzata, e quella testa calda di suo fratello sembrava esserne molto soddisfatto. Ed era una sua impressione, o si stava avvicinando? Stava seriamente rischiando un infarto, e il terrore gli offuscò la mente. No, non lo stava facendo. Assolutamente no. "Porca puttana."
    « Allontanati, idiota che non sei altro » fece, suonando ben poco autoritario e contrariato a causa della voce spezzata dalla mancanza d'aria che si ritrovò ad usare. Non sembrava averlo comunque sentito. Cosa stava cercando di fare? Non poteva essere quello. Tentò di voltarsi, ma la presa di Cain glielo impedì.
    « Cain » chiamò di nuovo, più agitato di prima. Per fortuna, l'entrata in scena di Jael fermò le intenzioni del rosso, che con un sorrisetto innocente e irritante gli stampò un fugace bacio in fronte, proprio dove Raphael aveva poggiato le labbra poco prima. Prima che potesse afferrare la lampada sul comodino e tirargliela in testa, il compagno si allontanò alla velocità della luce, uscendo dalla stanza con la promessa di venire a fargli visita dopo cena.
    Non poté fare a meno di seguire la traiettoria dello sguardo di Jael: guardava stranito il cardiografo, che ancora registrava i battiti accelerati del ragazzo. Effettivamente, il petto gli stava andando in fiamme.
    « Non ha capito che se continua a farti arrabbiare rischia di non mettere più piede qui dentro, eh? » fece l'altro, appoggiando i vestiti su una sedia lì vicino. Se si fosse trattato di un litigio avrebbe avuto sicuramente meno pensieri di quanti ne stesse avendo in quel momento.
    « Si può staccare questo aggeggio? » disse spazientito, riferendosi a quel fastidiosissimo bip bip. Gli stava dando veramente sui nervi.
    « Dovresti sapere meglio di me che non posso accontentarti » Abel accompagnò la risposta del compagno con uno sbuffo sonoro, che poco dopo si trasformò in un colpo di tosse. « Piuttosto, fatti una bella dormita Gytrash. Magari ti calmi un po' » indicò con un cenno della testa l'attrezzo infernale al lato del letto, e l'albino gli rifilò uno sguardo non troppo divertito. Lo seguì di sottecchi mentre lasciava la stanza, e Abel prese il libro che gli aveva portato Raphael tra le mani. Di dormire non se ne parlava, aveva troppi pensieri per la testa. Tuttavia, dopo un'ora buona, ciò che leggeva cominciava a non avere più un senso, e dovette rileggere alcune pagine un paio di volte prima di capirne il significato.
    Cain non aveva fatto niente di cui preoccuparsi tanto. Voleva solo prenderlo in giro come al solito, niente di che. Non si trattava di ciò che stava pensando. Non si era avvicinato a lui per dargli un bacio, si stava solo prendendo gioco di lui approfittando del fatto che fosse bloccato a letto, tutto qua. Erano fratelli, il loro rapporto non poteva crescere più di così, doveva farsene una ragione. Era tutto così sbagliato, maledizione.
    Magari Jael aveva ragione, doveva davvero mettersi a letto e dormire un po', ma aveva dormito a sufficienza fino a quel momento a dire il vero. Avrebbe voluto alzarsi dalla brandina e mettersi vicino alla finestra, ma tubicini e medicinali vari glielo impedivano, per non parlare della debolezza fisica.
    « Che palle » mormorò a denti stretti, e i suoi occhi finirono di nuovo sul paesaggio spento attraverso i vetri.

    • • •

    Abel non aveva cenato, ma a guardare l'orologio infisso sulla parete l'ora del pasto era passata da un pezzo. Aveva passato il pomeriggio a leggere - alla fine era riuscito a concentrarsi -, a scambiare qualche messaggio con Dianne - il giorno dopo l'avrebbe rivista, meno male - e si era anche fatto un pisolino. Non poteva di certo lamentarsi, eppure mancava qualcosa. O qualcuno. La porta lo attraeva come fosse una calamita, ma nessuno osava aprirla. Da una parte, ringraziava il cielo perché ritrovarsi da solo con Cain dopo quello che era successo gli avrebbe mandato in pappa il cervello, dall'altra sentiva il bisogno di vederlo. Ormai la sua presenza era diventata di vitale importanza, da quando erano piccoli. Il pensiero della scenata di prima continuava a tormentarlo, così come la faccenda del cambio di classe. Che risveglio tormentato, eh?
    Ad un certo punto, sentì la porta aprirsi, ed Abel, stando sdraiato a pancia in su, si voltò in quella direzione. « Finalmente mi hai degnato della tua presenza » lo accolse con il solito calore, portandosi, pian piano, ritto con la schiena. Nel guardarlo, sperò con tutto il cuore che il suono regolare del cardiografo durasse ancora per molto.
    « Dove sei stato a bighellonare fino ad adesso? »

    Cain Asriel Skriker
    « E insomma, adesso sono l'ultimo degli ultimi. Capisci, Will, l'ultimo. Non c'è niente dopo l'ultimo ». Il vecchio barista continuò a lucidare i boccali di birra come niente fosse, impassibile di fronte alla disperazione del rosso. Quando le cose andavano male, Cain si rifugiava sempre nel suo pub per piangersi addosso di quanto la vita facesse schifo e fosse ingiusta con lui. Il proprietario dell'Old Mill era il fornitore ufficiale di birra dei Marauders, nonché stregone di una certa fama. Usava il locale come copertura, e aveva le mani in pasta ovunque, nel mondo magico. Quale posto migliore per parlare della frenetica vita da Black Dog, se non quello? Il ragazzo appoggiò la guancia sul bancone e guardò la tappezzeria attraverso il boccale che gli stava davanti, e che rendeva tutto giallo ed ondulato, tipo pesce in un acquario. Aveva frequentato le lezioni del pomeriggio senza mai addormentarsi, e per i primi dieci minuti aveva persino preso appunti. Quello sforzo immane gli era costato una buona porzione di sanità mentale. La verità era che voleva migliorarsi, diventare qualcuno di cui il fratello sarebbe andato fiero, un giorno. Non riusciva a togliersi dalla vista la sua espressione affranta, il palese dispiacere provato alla notizia che era passato dall'Alpha all'Omega in una notte. Strisciò la mano verso il boccale e si sollevò quel tanto che bastava per riuscire ad appoggiarvi la bocca, ingurgitando una lunga sorsata. Will era cattivo come la fame, ma la sua birra era la migliore in circolazione. « Perchè quando provo a fare una cosa giusta ne succedono cento di sbagliate? » borbottò, preda di una sbornia triste. Will ascoltava le sue lamentele da più di un'ora, ormai. « Tu non sai fare cose giuste, moccioso. Dovresti smetterla di comportarti da eroe ed eseguire gli ordini, come ogni stramaledetto cane pulcioso dei Marauders ».
    « Ehi, sono uno Skriker. Gli ordini mi stanno stretti ».
    « Per fortuna Abel ha più cervello di te. Senza di lui ti avrebbero già mollato in mezzo a una strada ».
    Nel sentire quel nome, Cain sbatté con violenza il boccale sul ripiano, facendo voltare i pochi clienti che si trattenevano lì fino a tarda sera. « Ho già deciso che da oggi mi comporterò bene, okay? E sarò il suo angelo custode, e non lo metteranno più in punizione per colpa mia ». L'occhiataccia di Will lo costrinse ad abbassare la voce, ma ormai era partito.
    « Ha sempre dovuto pagare le conseguenze delle mie cazzate. Sempre, da quando eravamo due bimbetti alti così ». Mimò l'altezza di entrambi, un metro e venti circa, sbilanciandosi oltre lo sgabello come una torre pericolante. « Ma adesso basta. Giuro solennemente, in nome di questa birra favolosa, che io, Cain Asriel Skriker, sarò il fratello migliore che si possa desiderare. Mi hai sentito, Will? Il migliore! ». Il barista gli fece un mezzo applauso, per niente entusiasta dell'infuocata dichiarazione, e si mise seduto di fronte a lui con un boccale identico, pieno solo per metà. Visto il poco giro di gente poteva concedersi una pausa. « Non credo che a Gytrash serva una balia, se la cava bene anche da solo. Se tu che non puoi fare a meno di lui, temo ». Il rosso lo guardò storto, un po' per i tre boccali che aveva in circolo, un po' perché diceva cose strane, ma sagge. Mandò giù l'ultimo sorso, restando appeso al bicchiere anche quando l'ultima goccia gli fu scivolata in bocca. Già, era lui che lo cercava in continuazione, che gli ronzava intorno e lo prendeva in giro. Era lui che si intrufolava tra le sue coperte quando il temporale si abbatteva su Lancaster, sperando in una pacca rassicurante sulla testa. Lui, solo lui. Il malsano attaccamento al fratello gli aveva fatto fare un sacco di cose stupide, in passato e adesso. Possibile che si fosse affezionato ad Abel fino al punto di non volerlo lasciar andare? Era per quel motivo che odiava Raphael con tutto sé stesso?
    « E se mi fossi preso una cotta per lui? » chiese, sorpreso da dove i ragionamenti l'avevano condotto. Will scoppiò in una risata di scherno, tenendosi la pancia. Doveva essere uno spasso fare il barista. « Macché, sei solo iperprotettivo.
    E ubriaco. Torna a casa e fatti una bella dormita, invece di stare qui a straparlare ». No, non poteva andare a dormire prima di aver dato la buonanotte al fratello. Che ore si erano fatte? Magari Abel era nel mondo dei sogni da un bel pezzo. Quando beveva, Cain perdeva la cognizione del tempo, e l'albino teneva d'occhio l'orologio per lui. - Diamine, sono davvero un caso perso se non c'è lui -. Una considerazione che lo lasciò basito, immobile, con l'occhio sano a guardare il fondo del boccale.
    Magari si immaginava tutto, o magari no. Prima di prendere congedo barcollò fino al bagno per liberarsi dei litri di birra che aveva assorbito come una spugna, sentendosi già più lucido. Will non ritenne opportuno appioppargli un accompagnatore, e il Black Dog si immerse nell'aria fredda della sera con un sospiro di sollievo, sentendosi leggero come una piuma. Peccato non ci fosse Abel con lui. Di solito si mettevano a cantare canzoni da marinai e si sfidavano a camminare su una gamba sola, ma quelli erano altri tempi.
    Inforcò una stradina poco illuminata e si fece coraggio ad ogni passo. Doveva dirglielo. Doveva renderlo partecipe del casino che aveva in testa, eppure bastava una parola sbagliata per mandare a monte un'intera fratellanza. E lui era ubriaco fradicio, pur nascondendo la cosa con grande maestria.

    • • •

    Passò diversi minuti davanti alla porta dell'infermeria, una sorta di bodyguard che non riusciva a decidersi ad entrare. Beh, stare in piedi gli costava un certo sforzo, e il sonno stava avendo il sopravvento, ma doveva resistere. Appoggiò l'orecchio per accertarsi che non vi fosse già qualche scomodo individuo al capezzale del fratello, e abbassò la maniglia a rallentatore, buttando dentro la testa. Ovviamente era sveglio. « Finalmente mi hai degnato della tua presenza ». Cain fece un sorrisetto a mo' di scuse e sgattaiolò all'interno della stanza, dando un'occhiata al pendolo maledetto che gli faceva sempre una gran paura. « Scusa, fiocco di neve, ho perso di vista l'ora ». Fece un enorme sforzo per camminare come una persona normale, del tutto inutile nel momento in cui una sedia si mise fra lui e il suo obiettivo. Cadde a faccia in giù come il peggiore degli imbranati e rise a crepapelle della sua stessa gaffe.
    Ogni tentativo di sembrare sobrio era andato in fumo, alla fine.
    « Ero da Will, e ho bevuto anche per te » confessò candidamente, strofinandosi l'occhio destro per asciugare le lacrime. Non c'era nulla di divertente, eppure l'alcool faceva diventare simpatica anche una faccia come quella di Raphael. Il rosso si tirò su a fatica, per poi crollare in fondo alla brandina di Abel tipo sacco di patate, con braccia e gambe a penzoloni.
    « Ormai è stufo di vedermi, lo so. Se venissi anche tu sarebbe più contento. Appena la tua pancia si sistema andiamo a sbronzarci in nome dei vecchi tempi ». Al ricordo si mise a canticchiare la loro canzone preferita, Drunken Sailer, un vecchio pezzo irlandese che andava forte al pub. Da quando Mr. Comandante degli Alpha aveva fatto la sua comparsa, Abel non si era più fatto vivo all'Old Mill. Cain si girò di schiena, le gambe del compagno a massacrargli la spina dorsale, e liberò un lungo sospiro di sollievo. Stargli vicino era meglio di tutti gli antidolorifici post-sbornia, per quanto non fosse ancora lucido.
    « Stavamo bene senza il tuo fidanzato tra i piedi » disse, senza più il buon senso a frenargli la lingua. « E sai, prima pensavo... e se ti facessi io da ragazzo? Cioè, alla fine basta aggiungere qualche cosa sconcia in più e siamo a posto. So già tutto di te, siamo insieme da quanto? Quattordici anni? Sì, all'inizio sarebbe strano, ma io... ». Già, chi era lui per avanzare certe proposte? Sarebbe stato in grado di amarlo quanto Raphael? E poi tra i due mancava un'attrazione fisica di base. Ruotò la testa verso l'albino, seduto contro un enorme cuscino che fungeva da schienale, e si rese conto di non averlo mai guardato in quel modo. Aveva la bellezza raffinata di sua madre, dei capelli bianchissimi che Cain adorava spettinare, e quegli occhi tempestosi che a primo impatto sembravano indifferenti, ma in realtà erano curiosi e attenti ai dettagli.
    E poi quando sorrideva ringiovaniva all'improvviso.
    « Lasciamo stare. Sono l'unico che si preoccupa di queste cose. L'idea di restare da solo mi fa straparlare, tutto qui. Come stai? Sei riuscito a dormire dopo il mio bacio magico? ». Il Black Dog sfoggiò il ghigno che ormai era un po' il suo marchio di fabbrica, singhiozzando di tanto in tanto per suo sommo divertimento. Già sapeva che si sarebbe pentito di averglielo chiesto, una volta sobrio.

    Abel Cyril Gytrash
    Cain era un bravo attore, soprattutto quando si trattava di fingersi sobrio. Aveva anni di esperienza alle spalle, in fondo erano andati a bere insieme abbastanza volte da riuscire a sgattaiolare dentro le rispettive stanze, a notte fonda, prede di una sbornia niente male. Aveva dalla sua anche la scarsa illuminazione, ma Abel si accorse che qualcosa non andava quando cadde rovinosamente a terra per colpa di una sedia che avrebbe potuto semplicemente spostare. Ed era fin troppo allegro. L'albino comunque non si scompose, limitandosi a sporsi dalla brandina prima che il rosso cominciasse a ridere.
    « Ero da Will, e ho bevuto anche per te » ecco, come non detto. Cain non sapeva proprio darsi una regolata sotto qualsiasi punto di vista: risse, bevute, missioni. Non erano rare le volte in cui Abel aveva deciso di non bere per fare da spalla a quella testa calda di suo fratello, anche se c'era da dire che, insieme, ne avevano combinate di cotte e di crude. Soprattutto da ubriachi. Chi avrebbe detto che l'erede dei Gytrash potesse andare a riempirsi lo stomaco di birra insieme all'inseparabile amico? Lui stesso in primis, ma Cain lo aveva trascinato con sé poco a poco in quel mondo, anche se Abel si impegnava comunque a tenerlo d'occhio in stato di ebrezza o meno.
    « Ormai è stufo di vedermi, lo so. » biascicò il fratello, buttandosi a fondo del letto senza badare alla presenza delle sue gambe.
    « Comprensibile » fece l'albino di rimando, tentando di scaraventarlo giù dalla brandina. Per tutta risposta, Cain si girò, finendo con la schiena sui suoi stinchi. Il ragazzo imprecò a voce alta, mentre l'altro continuava a parlare.
    « Appena la tua pancia si sistema andiamo a sbronzarci in nome dei vecchi tempi »
    « A patto che tu mi offra la birra » effettivamente era un bel po' che non lo accompagnava all'Old Mill, più o meno da quando si era fidanzato con Raphael. Gli mancava andarci e lamentarsi con Will dei comportamenti incivili del fratello mentre controllava non bevesse troppo, o semplicemente bere qualche bicchiere di troppo insieme a lui. Da quando era arrivato Raphael erano cambiate un mucchio di cose, seppur entrambi si impegnassero a non darlo a vedere. Cain aveva maturato un estremo astio nei confronti del comandante degli Alpha, mentre Abel, da parte sua, aveva costruito un perfetto teatrino, prendendo in gioco sia gli altri che lui stesso. Si rendeva conto di essere diventato più scostante nei riguardi del fratello con l'obiettivo di cancellare quell'orribile affetto che provava nei suoi confronti, ritornando ogni volta al punto di partenza. Non voleva perderlo, voleva che restasse al suo fianco, ma per fortuna nascondere le proprie emozioni gli riusciva naturale. Doveva continuare a fingere e a sopprimere quell'amore malsano. Ce l'avrebbe fatta, alla fine.
    Alzò un sopracciglio quando udì l'affermazione di Cain, che in parte condivideva. Poteva essere più meschino?
    « E se ti facessi io da ragazzo? » Abel quasi rischiò di soffocare. Gli mancò l'aria per quelli che sembrarono dieci minuti, e il cardiografo cominciò a segnalare i primi battiti accelerati. No, non poteva essere vero. Era ubriaco fradicio, stava dicendo solo un mucchio di cazzate.
    « Cioè, alla fine basta aggiungere qualche cosa sconcia in più e siamo a posto. » il fratello continuò a parlare, ma Abel lo fissava a occhi sgranati senza riuscire a dire una parola. Era il desiderio che cercava di reprimere, Cain non si stava rendendo conto di ciò che stava dicendo, non ne era affatto cosciente.
    "Ha bevuto come una spugna, non può essere serio" tentò di calmarsi, mentre gli si formava un vuoto all'altezza dello stomaco. Era ciò che voleva, ma allo stesso tempo lo negava con tutto sé stesso. Non sapeva come reagire, non avrebbe mai immaginato che il fratello potesse arrivare ad una conclusione simile. Questo significava forse che anche lui... No, impossibile. Da sobrio avrebbe ricominciato ad affermare quanto volesse bene a suo fratello. Appunto, fratello. Non sarebbe potuto essere qualcosa di più, per lui. Eppure il cuore non voleva saperne di rallentare.
    Il rosso si girò verso di lui, e il suo sguardo spaesato lo colpì in pieno. Aveva sempre dato tutto per lui, tutto. Lo faceva incazzare come pochi, c'era da dirlo, ma dove sarebbe potuto arrivare senza di lui? Prese un respiro profondo, trattenendosi dal tirare un pugno al cardiografo per silenziarlo.
    « Domani mattina non lo penserai più » disse l'albino in un sospiro, riuscendo a camuffare la confusione che aveva in testa con il solito tono freddo. Non sapeva se stesse desiderando che Cain fosse effettivamente serio o meno. Quella richiesta era uno dei suoi sogni proibiti e al contempo una delle sue paure più grandi.
    Fu sollevato quando il rosso accantonò l'argomento, ma segretamente avrebbe voluto saperne di più. Doveva starsene zitto, la sua curiosità non avrebbe portato a niente di buono. Quei sentimenti erano da cancellare, non da alimentare.
    « Avrei dormito ugualmente » rispose, osservando come il suo solito ghigno furbesco si stesse disegnando sulle sue labbra. Aveva perfino cominciato a singhiozzare. Non ci stava con la testa, l'indomani non si sarebbe ricordato nulla di ciò che gli aveva appena detto. Abel invece se lo sarebbe portato nella tomba.
    « Questa storia dello stare solo ti fa delirare » sospirò. La storia dell'anima gemella, trovare la persona giusta... prima non capiva affatto questo suo timore, ma da quando aveva cominciato a desiderare qualcosa di più della semplice amicizia da parte di Cain, poteva comprenderlo in un certo senso. Il suo timore però non era solo il non venir corrisposto, ma anche il contrario. Era tutto un gran casino, probabilmente neanche lui sapeva ciò che voleva veramente.
    « Hai un sacco di amici, la mia famiglia è la tua, perfino Grim ti vuole bene, finiscila di deprimerti per questo » poteva anche essere anche un discorso toccante, peccato che il tono che usò non fu uno dei più calorosi, anzi. E poi aveva lui, ma non lo avrebbe mai detto.
    « Ti fa solo sparare cazzate, come quella di prima » lo disse guardando fuori dalla finestra in modo freddo ma leggermente avvilito. Si voltò a guardarlo, conscio che con molta probabilità non stesse prestando tanta attenzione a ciò che l'albino stava dicendo. Magari non avrebbe neanche risposto alla sua imminente domanda. « E' la paura di restare da solo o la rabbia che provi nei confronti di Raphael che ti spinge a dire certe cose? » non che si aspettasse una vera e propria risposta da un ubriaco, ma neanche Abel aveva riflettuto molto prima di parlare. Non sarebbe stato serio in ogni caso.

    Cain Asriel Skriker
    Cain ascoltò il fratello elencare tutti i buoni amici che aveva con aria trasognata, ad un passo dall'addormentarsi. La birra si era depositata, finalmente, appesantendogli la testa e attenuando i suoni attorno a lui, a parte la voce ferma dell'albino. « Sì, in effetti sono fortunato » ammise, stiracchiandosi. Le gambe ossute di Abel erano peggio di uno strumento di tortura, e il fastidioso bip bip del cardiografo gli trapanava il cervello. Aveva bisogno di tranquillità per riposare, cos'era quel baccano? Con molta fatica si sporse verso l'aggeggio infernale e prese il primo cavo utile, staccandolo dal macchinario. Magari era importante che rimasse acceso, ma potevano almeno silenziarlo nelle ore notturne, che cavolo! Poi Abel, con il cinismo che lo contraddistingueva, smontò pezzo per pezzo la teoria da lui elaborata, e stavolta fu un'altro cavo a staccarsi: quello del buon senso. « Cazzate? » ringhiò sottovoce, fulminandolo da in fondo al lettino. Gli era costata una certa dose di coraggio tutta quella dichiarazione da fidanzato/fratello, non era qualcosa da prendere alla leggera. « E' la paura di restare da solo o la rabbia che provi nei confronti di Raphael che ti spinge a dire certe cose? ». L'alcool gli aveva tolto molte cose, ma non la naturale impulsività. Si tirò su piano, a gattoni, mentre la brandina protestava per il troppo peso, e con la calma di un leone che sa di aver attirato la preda in trappola, Cain sovrastò il fratello, le mani poggiate ai lati dei suoi fianchi in una giungla di tubicini di plastica, con solo il suo autocontrollo a separarli. « Non mi credi, vero? Pensi che sia la solita battuta ». La vista dall'occhio destro iniziava ad appannarsi a causa della stanchezza e della birra, ma fece del suo meglio per rimanere concentrato sul volto di Abel, in evidente stato di shock.
    « L'unica paura che ho è quella di perderti. E odio Raphael perché è un coglione, punto. Ti riesce così difficile accettarlo? Vuoi continuare ad ignorarmi? ». Suonava a metà tra una minaccia ed una supplica. Il rosso non aveva idea di cosa stesse facendo, affidandosi semplicemente a ciò che il cuore (forse più il corpo), gli suggeriva. Doveva approfittare del fatto che Abel fosse bloccato lì, tra mille flebo e fasciature, finché ne aveva l'occasione. In situazioni normali gli sarebbe sfuggito con la solita noncuranza, accantonando il discorso, ma non quella notte. Per la seconda volta in quella lunghissima giornata rimase ammaliato dagli occhi grigi e freddi come acciaio, ora non più tanto minacciosi, vista la vicinanza. Per Cain era quotidianità stargli appiccicato, anche se di solito lo esaminava con meno minuziosità, e lo sguardo che vagava dalle iridi argentee alle labbra contratte implicava ben altro. Gli voleva bene. Fratello era solo la parola più facile per descriverlo, per spiegare il legame indissolubile tra loro. Rivide in un istante il giorno del loro incontro, nel giardino di casa Gytrash, mentre il piccolo Abel se ne stava seduto in mezzo all'erba a fissare chissà cosa, lontano da tutti. Era una creaturina pelle e ossa, le sue espressioni lo facevano sembrare un adulto intrappolato nel corpo di un bambino. Per il rosso fu naturale prendere l'iniziativa ed attaccare bottone, tanto per vederlo sorridere. La loro storia aveva avuto inizio lì, in un prato incolto che odorava di erba bagnata, di pioggia.
    « Sei l'unica persona che voglio. Al diavolo gli amici ». Le parole gli uscirono di bocca con un tono cavernoso e rauco, impastate dall'ubriachezza, eppure non stava mentendo. Le mani gli servivano come sostegno, non poteva usarle per intrappolare nuovamente il viso del fratello, così si affidò alla fortuna per mettere in atto il suo piano. Risalì a galla la parte maliziosa di lui, quella che di solito gli assicurava una compagna (o un compagno) di letto, e che non aveva mai osato provare su Abel. Purtroppo la parte cosciente era al dieci per cento, contro un novanta per cento di cazzate di cui si sarebbe pentito la mattina seguente, se mai se ne fosse ricordato. Inclinò il capo e fece i suoi calcoli, un sorriso pericoloso che affiorava man mano. « A Raphael non dispiacerà se prendo la mia parte, vero? » sussurrò a pochissimi centimetri dall'obiettivo. Vide l'albino farsi più guardingo, e annullò le distanze prima che potesse trovare qualche metodo fantasioso per darsela a gambe. Incontrò delle labbra fredde che mai in vita avrebbe pensato di sfiorare, che cercava di far sorridere ogni santo giorno, e che spesso dicevano frasi taglienti e prive di tatto.
    In qualche modo sapeva già come comportarsi, come muoversi, e non riuscì a reprimere un sospiro di soddisfazione quando sentì l'altro trattenere il fiato. Sembrava un sogno, una delle visioni che lo coglievano quando utilizzava il suo potere. Cain si perse nel contatto maldestro tra loro, l'occhio chiuso e la testa leggera, finché la stanchezza non si abbatté su di lui tutta in una volta, facendolo scivolare contro il petto di Abel lentamente. Cadde di lato, nel minuscolo spazio tra il fratello e la fine del materasso, trascinando con sé una vasta gamma di tubicini. Dormiva come un sasso, esibendo il sorriso ebete di chi si trovava nel mezzo di un sonno pacifico e ristoratore, la mano a grattare la pancia sotto la maglietta e gli ultimi singhiozzi a spezzare il suo sonoro russare. Così, come niente fosse successo.

    Non passò molto tempo prima che Jael lo coprisse di insulti, trascinandolo via a mo' di cadavere fino al pianerottolo, dove altri compagni Beta si erano offerti di portarlo in spalle fino alla sua stanza. Allo scoccare della mezzanotte, il medico finì di rimettere flebo e cardiografo al loro posto, maledicendo il rosso per la sua propensione a far danni. Notò che Abel sembrava più scosso del solito, come di chi aveva visto un fantasma, e gli provò la febbre per scrupolo.
    « No, non ne hai. Saranno le medicine che fanno effetto, altrimenti non mi spiego il tuo colorito » disse, perplesso.
    « Se domani te la senti puoi provare ad alzarti. Ormai sei fuori pericolo, e non vedo il motivo di tenerti qui ».
    Lasciò l'albino con l'augurio di una buona notte, dicendogli che l'avrebbe trovato nella stanza accanto per qualsiasi evenienza, poi spense la luce, e l'infermeria divenne un antro buio e maledettamente silenzioso.

    Abel Cyril Gytrash
    Il fratello non sopportava quando Abel demoliva le sue teorie in quattro e quattr'otto, come aveva appena fatto, e il suo ringhiare soffuso gli confermò che anche questa volta non aveva digerito la cosa. Non vi diede bado, attendendo una qualche reazione con la schiena appoggiata al cuscino e le mani in grembo. Cain era imprevedibile da sobrio, figuriamoci da ubriaco cosa sarebbe potuto diventare. Negli anni aveva imparato a conoscere ogni parte di lui, e ciò includeva anche quella poco lucida a causa dell'alcool. Seppur fosse ancora un po' scosso dalla dichiarazione di poco prima, l'albino si impegnò nel mostrarsi calmo come al suo solito, e lo sforzo fu ancora maggiore quando il ragazzo risalì da in fondo al lettino per mettersi a gattoni sopra di lui. Era abituato all'avere Cain sempre appiccicato, non era il contatto fisico a disturbarlo: il problema era che il rosso sembrava terribilmente serio. Forse per questo non riuscì a nascondere un'espressione decisamente sorpresa.
    « Non mi credi, vero? Pensi che sia la solita battuta » Oh, andiamo, era ubriaco, come poteva credergli?
    « Ti ricordo che hai bevuto come una spugna, è ovvio che io pensi una cosa del genere » rispose Abel, lo sguardo fisso sull'occhio sano del compagno. Mettendosi sopra di lui aveva ostacolato la luce della luna che entrava dalla finestra, andando ad oscurare entrambi i loro corpi. Si dovette impegnare affinché i suoi occhi non vagassero sul suo viso: era innegabilmente bello, c'era poco da fare, e se ne era solamente accorto quando aveva cominciato a provare qualcosa di più nei suoi confronti. Era stato quello il primo segnale di allerta, e il fatto che lo stesse pensando anche in un quel momento poteva significare solo una cosa. Era più forte di lui, ma non poteva abbandonarsi ai sentimenti.
    « L'unica paura che ho è quella di perderti » non era la prima volta che gli diceva una cosa del genere, ma il modo in cui lo disse gli fece perdere un battito. Non poteva fare sul serio: chi mai avrebbe creduto alle parole di un ubriaco? Eppure, l'alcool spingeva a dire inconsciamente la verità, lo sapeva per esperienza personale. « Ti riesce così difficile accettarlo? »
    Le dita andarono a stringere il bordo del lenzuolo, l'occhio di Cain che gli impediva di abbassare lo sguardo come fosse una calamita. Fortunatamente il cardiografo era staccato e nascondere i suoi stati d'animo era il suo forte, altrimenti non ne sarebbe uscito vivo. Era pericolosamente vicino, e il ragazzo tentò di prendere le distanze premendo i palmi delle mani sulle spalle del fratello e spingendolo.
    « Quand'è che te ne vai a nanna, eh? » fece, annoiato, ma lo stomaco che non la smetteva di attorcigliarsi su sé stesso implicava ben altro. Non era affatto tranquillo, e le sue difese furono del tutto vane. Stava solo facendo il cafone, dopo un po' non era più divertente. O almeno, sperava lo stesse facendo, perché gli stava mandando letteralmente in corto circuito il cervello.
    « Sei l'unica persona che voglio. Al diavolo gli amici » Abel sbarrò gli occhi, colto di sorpresa dalle parole del rosso, e il cuore prese a battergli ad una velocità sovrumana. L'unica persona che voleva? L'aveva detto davvero? Una parte di lui toccò il cielo con un dito, l'altra non riusciva a comprendere appieno il significato di quell'affermazione. Non riusciva a capire se tutto quello che aveva detto fino a quel momento era frutto dell'ubriachezza di cui era vittima - e quindi tutte balle - o una confessione in piena regola, di cui era riuscito a parlarne solamente dopo un bel po' di boccali di birra. Quindi era innamorato di lui, lo ricambiava? No, non poteva. Non faceva altro che ripetere "mio fratello qua", "mio fratello là", la loro relazione non poteva andare più in là di così. Eppure, le parole che aveva appena usato facevano intendere ben altro.
    Gli stava per scoppiare la testa, e perse una buona percentuale di capacità di ragionamento quando un ghigno affiorò sulle labbra di Cain, sempre più evidente e sempre più vicino al suo viso. Abel si fece più guardingo, tentando di nuovo di spingerlo via. Che cosa gli era saltato in mente, stavolta? Non era quel che pensava, no, no, no. Se solo non ci fossero state i tubicini delle flebo a tenerlo attaccato al letto se la sarebbe svignata senza pensarci due volte, ma in quel momento non aveva alcuna via d'uscita. « A Raphael non dispiacerà se prendo la mia parte, vero? » mormorò il rosso, e la schiena del giovane Gytrash venne percorsa da un lungo brivido quando sentì le labbra di Cain premere sulle sue.
    Non stava accadendo sul serio. Ci mise qualche secondo di troppo a metabolizzare la cosa, e gli venne naturale trattenere il fiato e serrare gli occhi, le dita a stringere il tessuto all'altezza delle spalle del fratello. Non aveva neanche la forza di volontà necessaria per allontanarlo, si sentiva quasi mancare le forze nonostante non si trattasse di un bacio chissà quanto impegnativo. Lo avrebbe definito goffo, impacciato più che altro, e totalmente sbagliato. E non per la faccenda che portava il nome di "Raphael", anzi, sul momento neanche gli passò per la testa, bensì perché gli stava piacendo, lo aspettava da tempo immemore, ma così tutti i suoi sforzi stavano andando in fumo. E Cain sicuramente stava agendo guidato dall'istinto e nient'altro. Da una parte avrebbe voluto che continuasse per ore, ma quando il rosso interruppe i contatto rotolando al suo fianco e tirando tutti i tubicini attaccati agli aghi che aveva sul braccio Abel trasse un sospiro per riprendere l'aria che gli era mancata fino a quel momento.
    Percorse la linea del corpo dormiente del fratello, che si era addormentato di colpo e senza nessun preavviso, e una morsa dolorosa gli attanagliò lo stomaco. Si sentì in colpa per aver provato piacere nel baciarlo, e la prospettiva che Cain non si sarebbe ricordato di nulla il mattino seguente lo tranquillizzò sul momento. Però, c'era sempre quella parte di lui che desiderava averlo solo per sé, fregandosene della loro amicizia durata anni. Sentiva ancora la pressione delle labbra del rosso sulle sue, e si passò le mani sul viso in fiamme. Non aveva idea di cosa volesse, e tutti quei pensieri lo avrebbero portato alla pazzia, presto o tardi. L'attenzione finì ancora sulla figura del fratello, il momento fatale che gli passava davanti agli occhi di continuo e il ritmo del battito cardiaco paragonabile ad un martello pneumatico. Lo aveva baciato sul serio, non se l'era sognato.
    Jael irruppe nella stanza senza alcun preavviso, rabbuiandosi alla sola vista di Cain nel suo stesso letto. Lo portò fuori dalla stanza continuando a imprecare, e rientrò in fretta per ricollegare il cardiografo e controllare gli aghi attaccati al braccio sottile dell'Omega. Visto il colorito e lo sguardo perso che aveva, pensò bene di misurargli la febbre, e si stupì quando vide che era tutto nella norma. Annuì distrattamente alle successive affermazioni del Black Dog, e quando lo lasciò da solo lo stomaco riprese a fargli male. « Fanculo » esclamò, dando una botta al cardiografo che aveva ricominciato a segnare il battito irregolare.
    Quel bacio se lo sarebbe portato nella tomba.
     
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