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    - Evelya Sadalmelik -
    "If I had a flower for every time I thought of you, I could walk through my garden forever."

    Evelya guardava il proprio riflesso nello specchio, ma era come se ci vedesse attraverso. La sua mente era altrove mentre una serva dal tocco gentile le acconciava i capelli e fermava le ciocche con spille a forma di fiori. Erano bianchi, come il suo abito e le sue scarpe. Una triste premonizione del futuro che la attendeva.
    Fece scorrere una mano sulla pesante collana tempestata di gocce di cristallo, fredda sulla pelle, e fu presa dall'impulso di strapparla via.
    "Brillate come una stella, signorina Evelya" commentò la serva, contenta come se fosse una sua parente prossima. Era giovane e piena di entusiasmo, grata di trovarsi a quell'evento tanto chiacchierato nell'alta società. L'angelo le fece un sorriso privo di entusiasmo e tornò a rigirare intorno all'anulare sinistro l'anello che Azarel le aveva dato quella stessa mattina. Era largo, rischiava di perderlo ad ogni movimento della mano. Un'ottima scusa per liberarsene appena quella farsa fosse terminata, poteva dare la colpa alla pessima scelta del suo fidanzato di comprare un anello alla cieca. Fidanzato, già.
    Appena tornata in patria l'aveva trovato ad attenderla lì, sulla soglia di casa sua, mentre conversava amabilmente con sua madre e faceva complimenti al padre per il modo in cui l'aveva cresciuta. Le era sembrato viscido e scostante come un tempo, se non più agguerrito. Era bastata un'occhiata per rivivere tutti gli incubi legati alla figura di Azarel.
    "Visto? Vi avevo detto che l'avrei trovata."
    I genitori lo avevano applaudito per le sue gesta coraggiose, ed Evelya si era spenta come una fiamma sotto un bicchiere.

    Le giornate scorrevano a rallentatore attraverso i vetri delle grandi finestre di casa Sadalmelik, tra prove d'abito, inviti e tè pomeridiani con persone che conosceva a malapena. Alcune amiche, già sposate da anni, le avevano fatto visita per congratularsi con lei del matrimonio imminente, ed Evelya era stata sul punto di dire che non c'era niente da festeggiare, ma si era morsa la lingua appena in tempo.
    Per riempire il vuoto lasciato da Noel, dalla sua vita breve e meravigliosa nel Continente Ibrido, si ritrovava a riavvolgere i ricordi e proiettarli all'infinito nella testa, estraniandosi dalle conversazioni. Lui le avrebbe di certo strappato un sorriso anche in quelle occasioni, l'avrebbe presa per mano e portata via. Le avrebbe fatto fare un volo tra le sue braccia, offrendo la spalla come appoggio, poi sarebbero tornati nel suo appartamento, su quel piccolo divano che li costringeva a stare vicini. Ricordava la morbidezza dei capelli cremisi tra le dita, il magnetismo dei suoi occhi ametista quando la guardava per quello che era, e si sentiva subito meglio. Gli mancava, ma trascinarlo in quelle questioni fumose tra nobili era troppo. Noel doveva vivere libero, senza imposizioni.
    Senza di lei.

    Si alzò in piedi per verificare che l'abito non toccasse terra, appesantito dai fiori ricamati. Purtroppo era perfetto, cucitole addosso e ripreso più volte vista la sua tendenza a dimagrire di settimana in settimana. L'immagine nello specchio la guardò con aria costernata, sconfitta.
    "Sei pronta?" chiese Azarel entrando senza bussare. Era al massimo della sua eleganza, bello come poteva essere qualsiasi angelo con un vestito costosissimo addosso. La squadrò, compiaciuto di ciò che vedeva, e le offrì il braccio da bravo gentiluomo.
    "Non dire niente di superfluo, mi raccomando. E cerca di sorridere".
    Evelya si morse l'interno della guancia per non protestare, ma alla fine obbedì. Non aveva scelta, si trattava di mera sopravvivenza. La sua famiglia si sarebbe risollevata dalla polvere e avrebbero potuto condurre di nuovo una vita agiata grazie alle entrate del ricco fidanzato. Vincevano tutti, tranne lei.

    Entrarono nella sala dei ricevimenti tra mormorii di apprezzamento e falsi sorrisi di circostanza, incontrando gli sguardi affamati dei nobili di Dunne Peyhlra che non aspettavano altro che quell'occasione per nutrirsi di pettegolezzi. Le parole dei presenti erano lontane come echi, Evelya non riusciva a concentrarsi su niente e nessuno. Da brava bambola inanimata quale era, mantenne la stessa espressione artificiosa finché diceva grazie, grazie mille, che piacere, inchinandosi di riflesso. Azarel non la lasciò nemmeno per un istante, controllando che le sue reazioni fossero appropriate e non si lasciasse sfuggire niente di sconveniente.
    All'improvviso, qualcosa nell'aria cambiò. L'angelo avvertì un tepore familiare, una scintilla di vita che le fece battere il cuore. Davanti a lei, un giovane molto attraente dai capelli chiari porgeva i suoi omaggi. Era alto e snello, vestito di tutto punto, e nel suo sorriso scorse il profilo aguzzo di un paio di canini. Sebbene gli occhi fossero di una tonalità completamente diversa da quella di Noel, si trattava certamente di lui. Avrebbe riconosciuto quel tono allegro tra altri mille. Sentì un nodo stringerle la gola, rubarle le parole. Un misto di gioia e paura la immobilizzò mentre le labbra calde del demone le sfioravano la mano. Voleva afferrarlo, stringerlo forte, rifugiarsi nel suo abbraccio. Cosa gli era saltato in mente? Presentarsi proprio in quel momento, in territorio nemico, senza alleati. Si disse che non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male, tanto meno ad Azarel. Doveva agire in fretta prima che il fidanzato si accorgesse di qualcosa.
    "Forse la signorina Evelya se lo ricorderà, quando eravamo più piccoli ci incontravamo spesso ai balli. Sono felice di rivedervi dopo così tanto tempo."
    Lei sorrise, stavolta sul serio, e sentì la bocca dolerle per lo sforzo. "Claude, che piacevole sorpresa. Sono contenta che siate riuscito a venire."
    Erano le prime parole genuine che diceva dal suo ritorno. La voce le tremò nel pronunciare quel nome, e vi infuse tutto l'affetto che di solito riservava solo a Noel. Si inchinò aggraziata e non interruppe mai il contatto visivo tra loro, attenta a non lasciarsi tradire dall'emozione.
    "A quando il lieto evento?".
    "Tra una settimana. In quanto amico della mia Evelya consideratevi invitato, signor Gallagher" rispose asciutto Azarel, forse notando il cambiamento d'atmosfera.
    "Non volete aspettare, sarete innamoratissimi."
    Evelya strinse le labbra per non ridere a quella frecciatina, il futuro sposo invece la afferrò per la vita a mo' di conferma.
    Quando si congedò per lasciar passare gli altri invitati, la ragazza sentì il bisogno di rincorrerlo. Non voleva perderlo di nuovo, dovevano parlare, dirsi tutto prima che il corso degli eventi li separasse per sempre. Doveva dirgli che nel suo cuore c'era posto solo per lui, che lo pensava fino ad immaginarlo accanto a sé, che anche lei lo amava.
    "L'hai invitato tu?".
    "Sì, è un caro amico d'infanzia."
    Azarel mormorò un assenso privo di interesse e riportò l'attenzione sui nobili in attesa di stringergli la mano, ma Evelya aveva occhi solo per Noel. Lo cercò tra un saluto e l'altro, pregando che i festeggiamenti riprendessero quanto prima. Le parve di scorgerlo in un angolo della sala, attaccato distrattamente a un bicchiere. Adorava le sue fattezze demoniache, eppure anche come angelo attirava un sacco di sguardi.

    Voleva salvarla. Di nuovo. Alla fine ce la faceva sempre.
    Prese congedo da Azarel e raggiunse il fratello minore, scontroso come suo solito nonostante gli apprezzamenti delle giovani in sala. Parve accorgersi subito del cambiamento nel viso di lei, ora roseo per l'emozione e non per la maestria delle truccatrici, e fece schioccare la lingua.
    "Avrei preferito gettarlo in mare, ma ha insistito fino allo sfinimento."
    "Zach, cosa ti è saltato in mente? Se Azarel lo scopre..." bisbigliò allarmata, per lasciar cadere il discorso appena una giovane coppia le passò accanto, congratulandosi per il lieto evento.
    "Non ho potuto fare altrimenti. Ti sei trovata un ragazzo testardo come pochi" disse, fulminando con lo sguardo color rubino un punto ben preciso della sala. Noel riusciva ad adattarsi a qualsiasi ambiente, sembrava nato per la vita di corte. Sorrideva e chiacchierava con sconosciuti di un altro continente come se li conoscesse da sempre, un punto a suo favore se non volevano far insospettire Azarel. Ciò nonostante, si trattava di un Demone molto lontano da casa, in un territorio ostile, con i numeri a suo sfavore e un carattere impulsivo. Evelya si portò le mani al petto per calmare i battiti del cuore mentre cercava un modo per metterlo in salvo.
    "Se scappa adesso può ancora trovare qualche nave in partenza dal porto. Devi accompagnarlo subito, ti coprirò io."
    "Forse non hai capito: è qui per salvare te."
    "Non voglio essere salvata!" Il suo tono controllato s'incrinò, attirando l'attenzione della madre. Parveen era seduta al tavolo più riccamente apparecchiato della sala insieme al marito, e non perdeva occasione per tessere le lodi del futuro genero con chiunque. I suoi occhi, di un castano dorato spento dall'età, si assottigliarono come quelli di un falco durante la caccia. Avevano rotto gli equilibri della festa con un semplice baciamano ed sorriso, come potevano pensare di fuggire inosservati?
    "Questi ricevimenti sono una palla" enunciò Aidan con una drammatica entrata in scena, vestito da cavaliere delle fiabe con tanto di spada al fianco. "Ti autorizzo a dartela a gambe, sorellina."
    Evelya, sorpresa dal suo arrivo inaspettato, si gettò tra le braccia del primogenito con troppo entusiasmo, ed il vestito stretto la rimise subito al proprio posto mozzandole il respiro.
    "Non voglio che gli succeda qualcosa per colpa mia, Aidan. Non me lo perdonerei mai." Soffocò le parole nell'ampia spalla del fratello, che le carezzò la schiena intrappolata dal pizzo.
    "E io non mi perdonerei mai se ti facessi sposare un essere insopportabile come Azarel." Lo disse salutando cordialmente il soggetto in questione, poco lontano, strappando un ghigno a Zachary.
    "Al diversivo ci penso io. Una volta fuori di qui, scappa."
    "Cosa-".
    In un gesto assolutamente naturale, Aidan si volse per prendere un calice di vino dal vassoio traballante di un cameriere di passaggio, e nel voltarsi sbattè contro la sorella. Un'ampia macchia rossa iniziò ad espandersi sul vestito candido di Evelya, esterrefatta dalla piega improvvisa degli eventi, ma più lucida che mai. Si volse subito verso Azarel con aria mortificata, mentre una serie di bisbigli concitati riempivano la sala.
    "Ops, devo essere già ubriaco." Aidan finse di riparare al danno con il suo fazzoletto, inutile di fronte a quello scempio, sapendo comunque che una qualsiasi sfuriata del futuro marito era improbabile. Lo tenevano d'occhio tutti, e le loro famiglie stavano per unirsi. Un litigio in quel momento era poco auspicabile per Azarel.
    "Evie, il tuo bel vestito..." disse costernato, giungendo al suo fianco. Era furioso, glielo leggeva negli occhi.
    "Perdonami, vado subito a cambiarmi." Cercò di sembrare altrettanto preoccupata, contenta del fatto che il rossore sulle guance potesse essere scambiato per imbarazzo, anziché euforia. Dopo un inchino frettoloso e tante scuse agli invitati, Evelya corse fuori dal suntuoso salone, ma anziché imboccare il corridoio e le scale, seguì il vento che spirava dalla porta spalancata del terrazzo, lontano dai fasti del ricevimento.

    Una figura angelica dal sorriso diabolico attendeva trionfante in cima alla scalinata in pietra che conduceva ai giardini.
    Sentì le lacrime scorrere lungo le guance senza controllo, le gambe spingere per raggiungerlo. Le sembrò di tornare a respirare dopo una lunga apnea, un letargo che era durato fin troppo per il suo povero cuore. Si gettò tra le braccia di Noel e strinse forte, come a volerselo imprimere sulla pelle. Era lui, sarebbe sempre stato lui. Inspirò a fondo, senza parole, staccandosi solo quando il calore del ragazzo fu abbastanza per entrambi. Posò una mano sulla guancia calda di lui, guardandolo attraverso la patina acquosa del pianto, e sorrise.
    "Noel" sussurrò, e senza alcun ritegno, ignara di cosa stesse per dire, si alzò sulle punte dei piedi e posò le labbra sulle sue. Le sentì riprendere vita, il ghiaccio che l'aveva intrappolata si dissolse man mano che il ragazzo, superato lo sbigottimento iniziale, assecondava quel gesto. Le parve di ardere tra le fiamme che Noel controllava, ogni centimetro di pelle reagiva a quel contatto e bruciava. Aveva sognato tante volte di trovarsi stretta a Noel, persa in un lungo e tenero bacio, ma non di certo in una situazione del genere. Dopo un istante che parve infinito, Evelya si staccò dal Demone e lo prese per mano, senza fiato.
    "Vorresti volare via da qui insieme a me?".
    Le suonò solenne quanto una promessa di matrimonio, e in quel momento ne fu certa: sarebbe stato Noel o nessun altro.

    In fondo alla scalinata, nel buio del giardino, Azarel fece cenno alle sue guardie di rimanere in posizione.

    ---

    I due fratelli Sadalmelik, intenti a stordire di parole il presunto futuro parente per tenerlo occupato, si stavano divertendo un mondo. Zachary, dopo aver fatto un cenno a Noel, aveva iniziato a raccontare la dura vita accademica del soldato, e Aidan l'aveva assecondato mettendoci del suo. Era stranamente soddisfacente vedere lui e la madre nel panico più totale, umiliati ad un ricevimento su cui puntavano tutto. L'arrivo di Solomon, vestito in pietosi abiti da viaggio e senza fiato, diede l'occasione ad Azarel di allontanarsi per salutarlo. Fu uno scambio di convenevoli freddo e distaccato, Solomon non brillava per carisma e il fidanzato della sorella sembrava detestarlo in modo particolare. Una volta libero dalle formalità, Solomon raggiunse i fratelli e li trascinò da parte, lontano da orecchie indiscrete.
    "Ho scoperto una cosa, dobbiamo interrompere tutto. Dov'è Evie?". L'urgenza nella sua voce fece allarmare i fratelli.
    "A quest'ora i due piccioncino saranno già distanti" disse Aidan, "il suo cavaliere è venuto a portarla in salvo."
    "Cavaliere? Che stai dicendo?"
    Zachary si intromise a malavoglia, sempre scontento di parlare di Noel. "Vivevi con lei e non ti sei mai accorto che un Demone dai capelli rossi le gironzolava attorno?".
    Quel dettaglio parve rispondere alla sua domanda. Ricordava vagamente Noel, forse Evelya ne aveva parlato qualche volta, ma non sapeva della loro relazione. Questo complicava le cose.
    "Okay, non importa, statemi a sentire: dobbiamo disdire l'accordo matrimoniale, Azarel è un truffatore. Ha debiti con mezzo continente, se nostra sorella lo sposa ci porterà nella fossa con lui."
    Aidan cercò il suddetto truffatore nella sala, e scoprì con orrore che stava lasciando il ricevimento con un gruppo di guardie al seguito.
    "Andiamo" ordinò, con una mano pronta sull'elsa della spada.

    " Parlato Evie " - " Parlato Noel "

    Evelya Sadalmelik - Angel - 18 y/o - runaway bride - sheet
    — ‹ Halcyon Days Code by KL › —
  2. .
    Izar, Evelya, Cain.
    The slow dance of the infinite stars.

    Evelya

    La notte a Manchester sembrava non passare mai, con ragazzi che affollavano le strade, musica e schiamazzi ad oltranza, ma poco male, Evelya non riusciva comunque a dormire. Nella piccola casa di periferia del fratello, all'ultimo piano di un condominio alto e stretto, poteva vedere la città vivere e respirare, e per un attimo respirò anche lei. La moglie di Aidan, Harmonia, probabilmente le aveva rifilato una tisana dalle proprietà magiche. Riusciva a pensare con chiarezza, vedere le cose da una nuova prospettiva, ed ogni muscolo si stava finalmente rilassando.
    - Scappare ogni tanto fa bene - si disse, anche per giustificare la codardia degli ultimi giorni. Sarebbe stata la sua ultima fuga, basta negarsi la possibilità di essere felice. Ricordò la conversazione avuta con Abel un paio di giorni prima, il modo in cui entrambi esitavano ad uscire dai propri spazi per paura dell'ignoto. Per la prima volta l'amico le aveva aperto il suo cuore giusto di un piccolo spiraglio, e dentro serbava sentimenti molto simili ai suoi. Era rimasta ad ascoltare con attenzione le sue vicissitudini con Raphael, il loro rapporto traballante, segnali che non aveva colto pur frequentandoli ogni giorno. D'altronde se Abel era un muro, il suo ragazzo era una muraglia. La trattava sempre con la cortesia che si riserva agli anziani, non un commento di troppo, perciò era difficile decifrarne il carattere. Dubitava che non provasse più sentimenti per Abel. Forse qualcosa spaventava anche lui... ed in effetti il batterista degli Elysian stava mettendo in seria difficoltà il povero compagno.

    « Però sì, se potessi permettermi di essere egoista, mi piacerebbe rivederlo. ».
    « Puoi. Possiamo, di sicuro » aveva risposto lei, fiduciosa. « E se lo deluderai ci sarà qualcun altro. » Le parole di Aidan ora avevano molto più senso, oppure era l'effetto della tisana. Anche sapere dei concerti che avevano in programma le aveva trasmesso nuova speranza, seppur sul momento sentire il nome di Noel le avesse aperto una voragine nello stomaco.
    « E' tutto... a posto? ».
    « Non proprio, ma forse posso rimediare. » Gli aveva afferrato le mani, scavalcando i loro scones e le tazze vuote di tè.
    « Abel, per l'ennesima volta, ti andrebbe di accompagnarmi ad un concerto? ».

    Si erano separati con la promessa di pensarci su a mente fredda. Erano due creature ferite che necessitavano di tempo e spazio per riprendersi, per capire a cosa dare la priorità. Sentiva che il loro legame ora era un po' più saldo, e scoprire di non essere sola in questa battaglia la rincuorò.

    - E adesso diamo un'occhiata alle date dei concerti. -

    Si ritrovò di nuovo ad ammirare le foto sul profilo instagram del gruppo, prima di cercare storie in evidenza che potessero tornarle utili. Scoprì che in effetti ne avevano parecchi in programma, più o meno lontani, ma tutti a portata di macchina. Le date erano vicine al saggio scolastico, quindi il rischio di mandare su tutte le furie famiglia e professore raddoppiava. Fece uno screen e lo inviò ad Abel, scusandosi per l'orario, in attesa di uno dei suoi consigli, poi si ritrovò a vagare sul profilo personale di Noel a mo' di punizione. Non capitava spesso che qualcuno le piacesse al primo sguardo, senza sapere qualcosa sulla famiglia d'origine, la professione, i voti e altre informazioni che i Sadalmelik scandagliavano bene prima di dare confidenza a qualcuno. C'era qualcosa di autentico nel suo viso, un atteggiamento spontaneo e fuori misura che la travolgeva, una sicurezza che poteva solo sognarsi. Se voleva fare ammenda doveva sbrigarsi, vista la notorietà del cantante... ma come entrare in quel mondo caotico senza la minima esperienza in materia? Rimuginò sul da farsi con le canzoni degli Elysian nelle orecchie, appoggiata al davanzale della finestra proprio sopra il suo letto, mentre il baluginio lontano dell'alba iniziava a fare capolino.

    Cain

    Pestare su piatti e tamburi era la valvola di sfogo meno dannosa e più efficace che Cain conoscesse, forse l'unica. Non faceva male come le sigarette o il gin liscio, né come una corsa spericolata in moto di notte. Solo lui, il casino nelle orecchie e gli strumenti dei suoi compagni.

    I want a one night stand just one more time with you
    So give me one more night with you


    Noel aveva recuperato in fretta la melodia di una canzone trascurata per troppo tempo, una delle prime che avevano scritto al momento della formazione della band. All'epoca era fatta per spargere sentimentalismo spiccio tra il pubblico di adolescenti, ma ora era talmente verosimile da fare male. Con la testa che ancora cercava Abel, chiuse in bellezza e si complimentò con gli altri tre per la velocità con cui erano tornati sul pezzo.
    « Mi era mancata. Gran bella scelta Cain » commentò Altayr, nostalgica quanto lui quando si tiravano fuori certi cimeli.
    « Grazie, grazie. Spero che ci sarà una certa persona ad ascoltarla, la prossima volta. » Non si erano dati nessun appuntamento, però chissà, magari l'aveva incuriosito con la storia delle prove.
    Approfittò della breve pausa per bere un'intera bottiglietta d'acqua e controllare il cellulare, filtrando i messaggi in direct. Una notifica sul cuoricino in alto a destra dello schermo lo accese come una fiaccola, e corse a premere su quella richiesta d'amicizia accettata e ricambiata. Fu come ricevere la chiave della sua stanza, e in men che non si dica iniziò ad indagare sulla sua vita come uno stalker. Scorci di quotidianità, poche foto e persone. Il suo profilo era riservato quanto lui, ma notò che la musica era una costante.
    « Cain, senti- » lo chiamò Noel, che sembrava aver recuperato un briciolo di entusiasmo, « mi spiace per stamattina, sono stato davvero un egoista. »
    Il motivo principale per cui si era unito alla band, oltre alla voglia di spaccare, era il frontman. Si assomigliavano nel temperamento e nella durata delle incazzature. Se si scornavano non era mai niente di serio o duraturo, perché quell'amicizia si fondava sul perdono reciproco dei loro pessimi caratteri. Ascoltò le scuse di Noel con un sopracciglio alzato, il profilo di Abel che ancora lo guardava dallo schermo. Ogni volta che sbagliava nel pronunciare il nome dell'angelo albino la sua espressione si induriva, finché finalmente non lo azzeccò, strappandogli un "oh, alleluia!".
    A posteriori, comunque, era stato uno stronzo. Noel poteva avere tutte le ragazze che voleva, ricche o povere non importava, perché la sua specialità era piacere a tutti. L'aveva rimbeccato solo per essersi intromesso nel momento sbagliato, senza pensare al fatto che l'amico adorava rimuginare sui fallimenti. Non come quel corvaccio pessimista di Izar, ma abbastanza da deprimersi per un giorno o due.
    « Te l'ho detto che era destino, sai che non succede niente per caso! Dai, siamo apposto, dimentichiamoci questa giornata e basta. »
    « Però anche Noel ed Evelya suonano bene insie - »
    « Ehi, riprenditi. » Lo richiamò subito all'ordine, schioccandogli le dita davanti alla faccia trasognata. Quanto ci avrebbe messo ad uscire da quel loop? E non era nemmeno l'unico a sguazzare in un lago di problemi, vista la tensione palpabile che passava tra Izar ed Altayr quella sera. Mise il telefono in tasca e si accodò alle domande del rosso, sporgendosi oltre la grancassa per ascoltare meglio.
    Quindi il loro bassista si era deciso ad uscire dal guscio? Emise un fischio di ammirazione quando Altayr parlò dell'invito al concerto, sinceramente sorpreso dall'audacia del timido Izar, per poi dare una testata su un piatto appena la ragazza confessò di aver temporeggiato.
    « Non puoi perdere questo treno, passa una volta ogni dieci anni se va bene! » la rimproverò, con Noel che non sapeva più a che santo votarsi per appianare la questione. Capiva i timori della chitarrista, trattandosi di un'amicizia vecchia quanto loro, e capiva un po' anche Izar, così incapace di esternare i propri sentimenti da esserseli dimenticati chissà dove. Dovevano intervenire prima che i dubbi di entrambi bruciassero quella storia d'amore piena zeppa di potenziale, però sia lui che Noel non potevano spingersi oltre una certa soglia, né spingerli uno nelle braccia dell'altra... O forse sì? Scambiò una breve occhiata con il cantante, incoraggiante come sempre mentre rassicurava Altayr. Gli ingranaggi dei loro cervelli avevano iniziato a girare all'unisono, poteva sentirli cigolare.
    « Col tuo principe, invece? Che tipo è? ».
    « Un tipo piuttosto sulle sue, ma non mi sorprende che Cain si sia preso una sbandata. E' molto carino. »
    « Carino? Solo carino? Per favore, è chiaramente uscito da un sogno. Non vi specifico quale sogno perché poi divento volgare, ma insomma, ha tutte le carte in regola per diventare la mia prossima ossessione. »
    Abel non assomigliava a nessuno dei suoi ex, neanche lontanamente, ed era questo che l'aveva fatto uscire di testa. Sua madre, anni prima, in un rarissimo sprazzo di lucidità, gli aveva detto che le relazioni non erano fatte per renderti felice, ma migliore. Lui era sempre stato il solito idiota alla ricerca delle solite cose, eppure una specie di sesto senso gli suggeriva che l'albino poteva portarlo oltre, dargli di più. Che fosse prematuro scrivergli un messaggio? Sì, prematuro ed irritante. Era giunto il momento di testare la sua pazienza.
    Seguì con lo sguardo Izar, di ritorno dalla pausa, che chiamava da parte Altayr, e sussurrò un oooh di sorpresa.
    « Vecchio mio, ho un'idea. E a quei due non piacerà » disse Noel, precedendolo. Gli ingranaggi avevano fatto click.
    « Oh, a me piace già » rispose, fregandosi le mani.

    Izar

    Non si aspettava certo che Altayr reagisse a quella sorta di dichiarazione con un pollice alzato, ma girare attorno alle sue già deboli difese così era scorretto. Schiacciò la sigaretta nel posacenere appena capì il gioco, seguendo la ragazza che si avvicinava nonostante le avvertenze, finché non furono talmente vicini da sembrare equivoci agli occhi di chiunque passasse in quel momento. Come ogni volta che tentava di controllare le emozioni, Izar si fece estremamente serio, una statua con le sole pupille che seguivano i gesti della compagna per anticipare la prossima mossa. Si maledì per aver coperto il suo profumo con quello soffocante della nicotina.
    « Mi hai mai visto così vicino a Noel? O a Kevin? »
    « No » rispose freddo, inclinando un poco il capo di lato mentre i neuroni lavoravano a pieno regime per capirci qualcosa.
    « Fatti due domande, passerotto. Sei sempre stato diverso da loro. ».
    Corrugò le sopracciglia, e la sua compostezza s'incrinò fino a fargli attorcigliare la lingua, togliendogli tutte le parole. Era intelligente quando si trattava di mettere insieme formule e numeri, perché in amore non riusciva a ragionare con la stessa chiarezza? Non era diverso nel male, proprio all'opposto, quindi era... ricambiato?
    « Altayr- » mormorò, la mano tesa a raggiungere la sua guancia arrossata dal freddo della sera. In un battito di ciglia poteva essere sulle sue labbra, ma quel guastafeste di Noel, seguendo il trend della giornata, si palesò nel momento meno opportuno di tutti i momenti possibili. Si scostò alla velocità della luce, ficcando entrambe le mani nelle tasche come se fossero sempre state lì, e sperò che una saetta lo colpisse in quel preciso istante.
    « Finita la sigaretta? »
    « Giusto adesso. »
    « Datevi una mossa allora. »
    Con le spalle ricurve di un bambino contrariato, Izar seguì Altayr trascinando i piedi, esausto e francamente sconvolto dalle fatalità della giornata. Rispose alla sua linguaccia come avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione, ma fu più un riflesso incondizionato che un'intenzione. Non sapeva bene quale fosse il suo stato d'animo, cosa avrebbe dovuto dirle per convincerla che lei era stata speciale fin dal primo incontro, che la cercava, ne sentiva la mancanza quando erano distanti e teneva sempre il cellulare a portata di mano solo per i suoi messaggi. Imbracciò il basso e tirò le corde, fingendosi impegnato mentre attraverso le ciglia scure scrutava i movimenti della chitarrista. Come due pianeti che si gravitavano attorno, lui e Altayr finirono vicini e si allinearono in un istante, scambiando uno sguardo così intenso da tagliare il vetro. Attaccarono con la prima nota e tutto tornò al suo posto: erano lì, suonavano da Dio, c'era intesa e una sorta di preveggenza nell'accompagnarsi a vicenda, insieme a una tensione che faceva vibrare le corde. Noel era risalito dal baratro, Cain non perdeva un colpo. Potevano farcela.

    Al termine della serata, ormai tendente alla notte, Izar era tutto sudore e dita doloranti, striate di rosso. Fece un salto in bagno per sciacquarsi il viso e togliere le lenti a contatto, inforcando i tanto odiati occhiali. Lo imbruttivano, dandogli un'aria da secchione che giocava a fare il duro con tatuaggi e piercing all'orecchio, ma doveva vederci chiaro in ogni modo possibile. Provò a mente qualche discorso finché non fu soddisfatto, per poi dimenticarlo appena tornato in sala prove. Dedicò alla foto del nipote di Noel giusto un mezzo sorriso, infine il gruppo si spostò coeso all'esterno del Waterwitch per mettere la parola fine a quella giornata durata quarantotto ore. Altayr e Izar sparirono in fretta per raggiungere l'autobus di corsa, appesantiti dagli zaini e gli strumenti. Col fiato corto e la schiena dolorante, il ragazzo si appoggiò al palo accanto alla porta e lasciò sfuggire un "che culo", per sommo disappunto di una signora anziana lì vicino. Era troppo vecchio per certi sprint.
    « Ci sono dei posti per sedersi? »
    « No, non credo. »
    « O sennò fa niente, cioè, volevo solo... continuare il discorso di prima.»
    In tutti quegli anni di amicizia non aveva mai sentito Altayr faticare tanto con le parole, e la cosa lo lasciò spiazzato. Aveva sempre la risposta pronta, la più tagliente del repertorio, e in generale non indugiava in nessuna situazione. Era lui quello prudente, gli stava rubando il lavoro.
    « Possiamo farlo quando siamo da soli? » chiese, beccandosi un'altra occhiata disgustata dalla stessa signora che ormai aveva deciso di godersi lo spettacolo per intero. Capiva e assecondava la sua voglia di risposte, ma si trovavano sull'ultima corsa notturna, stipata di gente, ed era un argomento delicato. Furono anche interrotti da un uomo distinto con problemi di orientamento, e Altayr gli rispose piccata di cambiare linea.
    « Sbaglio o i ricchi hanno senso dell'orientamento pari a zero? »
    « I ricchi e quello stordito di Samael » puntualizzò, ricordando la tendenza del genitore adottivo di camminare a casaccio fino a perdersi del tutto.
    Riportò l'attenzione su di lei, ma ecco di nuovo il poveretto tornare sui suoi passi. A quel punto la pazienza della ragazza evaporò come neve al sole. Lo afferrò per la manica e saltò giù alla prima fermata utile, lasciandolo perplesso e a dir poco confuso.
    « So che la mia fermata era la prossima, ma quel tizio voleva parlarci di nuovo, e ne ho le palle piene di gente che continua ad interromperci. »
    « L'ho notato, tigre. Andiamo. » La apostrofò con un sorrisetto, quasi divertito dagli eventi tragicomici che si susseguivano. Almeno lì sembravano soli, un bene e un male insieme. Cos'era che voleva dirle? Che fine aveva fatto il suo vocabolario? Dunque, era speciale, no, diverso. Diverso da un amico, e ogni stadio prima dell'amicizia. Poteva considerarlo un successo dopo anni di tentativi, ma se un ragazzo ed una ragazza erano più di amici...
    « Credo di essere stata abbastanza chiara » iniziò la chitarrista, talmente seria da spaventarlo.
    - Ci siamo. - Si fermò e le rivolse tutta la sua attenzione, prendendo una lunga boccata d'aria. Rimandare l'inevitabile rischiava di compromettere il buono che era rimasto tra loro, quindi via il dente e via il dolore.
    « Mi piaci, Izar. Molto. »
    Lo zaino gli scivolò dalla spalla, e il tonfo riecheggiò per la via deserta. Izar rimase immobile, stralunato come un tossico dopo una dose di roba forte, a guardare quegli occhi determinati trapassarlo da parte a parte. L'aveva detto davvero, impossibile fraintendere.
    « C... credo di non aver sentito bene. »
    La lista di motivazioni che Altayr sciorinò in seguito, come un fiume in piena, prosciugò fino all'ultima parola dalla sua bocca. Era stato uno stupido codardo fin dall'inizio, convinto che la sua tecnica di aggirare il problema per non affrontare la verità potesse durare in eterno. Poi erano diventati famosi, i fan della ragazza la tempestavano di messaggi e allungavano le mani durante i concerti, e allora si era reso conto che quell'equilibrio era destinato a spezzarsi con l'arrivo di qualcuno migliore di lui. La loro relazione, data per scontata, poteva finire oggi, o tra un mese, ma sarebbe finita se non si fosse dato una mossa. E come ogni volta, Altayr l'aveva battuto sul tempo.

    « Sono innamorata di te, lo sono sempre stata. »

    Registrò quella frase con qualche secondo di ritardo, perso a cercare l'ombra di una bugia sul suo viso risoluto. Si aspettava che da un momento all'altro i due rossi diabolici sbucassero da una siepe urlando "scherzone!", ma nei momenti che seguirono non accadde nulla.
    Per assicurarsi che fosse tutto reale cercò la sua mano, ancora aggrappata alla manica della divisa, e la strinse fino ad assorbirne il calore. Era vera e bellissima ed innamorata di lui, cos'altro poteva chiedere all'universo?
    « Sei la stella più luminosa di tutte. »
    Doveva essere arrossito, si sentiva la faccia in fiamme fino alla punta delle orecchie. Maledizione, gli aveva rubato la scena, non poteva certo riciclare le stesse frasi ora.
    Condusse quella mano dalle dita sottili sul suo petto, nel punto in cui il cuore cercava di sfondare la cassa toracica a suon di pugni.
    « Vuoi farmi morire di felicità? Perché ci stai riuscendo. Chiudi quella bocca prima che mi prenda un colpo. »
    Riuscì a sorriderle davvero, le labbra rilassate e nessuna ruga di apprensione sulla fronte mentre riprendeva il gesto da dove l'aveva interrotto durante la pausa, circondandole la guancia e passando il pollice sullo zigomo.
    « Fammi ricominciare da capo: sono innamorato di te, lo sono sempre stato. » Ripeté le sue parole con la gravità di un voto nuziale, finalmente senza interruzioni. « Mi sei piaciuta da subito, e ogni giorno un po' di più. »
    Scese sul suo labbro inferiore e ne tracciò il profilo, ipnotizzato.
    « Quindi, per tagliare corto... vuoi metterti con me, Altayr? ».
    In quelle occasioni, ammise, era un tipo vecchio stampo. Gli piaceva fare le cose con ordine, chiedere il permesso, formalizzare l'atto. Niente ma o se, perché a quel punto aveva bisogno di almeno una certezza nella vita. Era anche certo che sarebbe morto se non si fossero baciati nei prossimi dieci secondi. Attese che recepisse il messaggio, che si avvicinasse di sua spontanea volontà per essere certo di non provocare altri incidenti diplomatici tra loro. La incontrò a metà strada e chiuse gli occhi, posando la bocca esitante sulla sua finché tutte le stelle si allineavano, davano un senso a quella storia. Aveva immaginato quella scena così tante volte da renderla un falso ricordo, ma nulla batteva la realtà del momento, il suo profumo, la sua morbidezza, il bagliore delle iridi acquose sotto le palpebre a mezz'asta che lo cercavano tra un respiro e l'altro. Potevano concedersi solo questo visto il luogo e la situazione, con gli strumenti in spalla a ridurre i movimenti ed il timore di essere interrotti da qualche passante. Izar non vedeva comunque nulla che non fosse Altayr, occupava tutto il suo campo visivo.

    Non appena si separarono crollò a terra come un palloncino sgonfio, sedendosi sui talloni e prendendosi la faccia tra le mani. Gli sfuggì una mezza risata, e forse aveva anche gli occhi lucidi. Espirò a lungo per buttare fuori tutta l'ansia accumulata, sentendosi improvvisamente leggero.
    « Mi sento così stupido per non avertelo detto prima » mugugnò, « a quest'ora saremmo tipo al decimo anniversario. »
    Alzò il mento e l'ammirò in tutto il suo fiero splendore, ancora incredulo. Era lì per lui, e ci sarebbe stata anche il giorno dopo, quando svegliandosi avrebbe creduto che si trattasse di uno dei soliti sogni.
    « Meglio se ti riporto a casa, uccellino. Devo fare bella figura con Mira. »

    Il viaggio di ritorno fu una lunga camminata sulle nuvole, per Izar. Guardava in continuazione le loro mani intrecciate e ogni tanto dava una stretta per assicurarsi che Altayr fosse davvero accanto a lui, sorridendo come un idiota appena la ragazza ricambiava il gesto. Avrebbe realizzato la cosa in una settimana o due, giusto il tempo di smaltire lo shock.
    La lasciò andare davanti al cancelletto di casa Windstorm, posando un ultimo bacio a fior di labbra prima di darsi la buonanotte.
    « Ci vediamo domani. Se ti faccio domande strane sopportami, sono ancora un po' fuori fase » la raccomandò, sentendosi lontano anni luce dal pianeta Terra anche in quel momento. Aveva bisogno di un cazzotto e una doccia gelida, proprio in quell'ordine, e forse dopo aver raccontato la storia al suo tutore se ne sarebbe beccato qualcuno.

    « Izar » « Evie » « Cain »


    — ‹ Finally Together Code BY KL › —
  3. .
    CAIN ASRIEL SKRIKER

    Era sempre stato così, fin dalla prima volta in cui aveva posato gli occhi su di lui: un calore al petto, una sensazione nostalgica che gli inumidiva gli occhi per un istante, e l'irrefrenabile voglia di corrergli incontro. Da bambino spiegava quel legame con la parola fratello perché amico era riduttivo, era solitario. Un termine che aveva fatto suo in mancanza d'altro, e che ora sentiva svanire mentre le mani di Abel lo cercavano, fresche contro la sua pelle bollente. Si adattava così bene a lui, lo seguiva in quella follia e si fidava dei suoi gesti, assecondandolo anche troppo. Cain non era stato addestrato all'autocontrollo, poiché i Beta erano la carne da cannone del branco e il più delle volte dovevano agire d'istinto, senza fermarsi a pensare, invece Abel teneva a bada il suo Black Dog senza sforzo. Lo guardava con occhi languidi, appannati dal piacere, e se era un sogno non voleva svegliarsi mai più.
    Si concessero un istante d'aria, e il rosso inspirò a fondo per riacquistare la calma. Doveva essere migliore di così. Migliore per lui.
    « A saperlo, ti avrei baciato molto prima ».
    Per l'ennesima volta, quella sera, il suo cuore si sciolse sotto il calore del timido sorriso di Abel. Dietro alla barriera d'indifferenza stava lo stesso bambino che aveva conosciuto anni prima, e capì che quelle mura erano servite a lasciarlo fuori, a nascondere ciò che provava.
    « Sei tutto ciò di cui ho bisogno ».
    « Abel... ». Non Gytrash, non fiocco di neve, non principessa. Gustò il sapore di quel nome finché il fratello lo reclamava, trascinandolo sopra di lui. Inizialmente rimase a carponi, con un istante di riguardo per la ferita dell'albino, poi seguì la bocca affamata di Abel e scese giù, ancora abbastanza in sé da tenere il bacino distante dal suo. Troppe informazioni, troppo in fretta. Stava ancora navigando in acque inesplorate e non voleva bruciare tutte le tappe solo perché era uno stupido adolescente in preda agli ormoni. Con lui voleva che fosse diverso, andava assaporata ogni piccola scoperta. Trattenne il respiro appena le dita di Abel si intrufolarono sotto la sua maglietta, lasciando una scia infuocata sulla pelle e nel suo stomaco. Sentì un morso tra spalla e collo, e il gemito che gli sfuggì non poteva essere frainteso.
    Lo guardò leccarsi le labbra, la vista più erotica che gli fosse mai capitata davanti, e la sua mano destra scivolò dal fianco snello al bordo dell'elastico dei pantaloni. Parlando di bruciare le tappe.
    « Cazzo, mi sento un idiota ». Alle parole di Abel si fermò, ridendo di sé stesso e della situazione.
    « Io mi sento drogato, ubriaco e completamente perso ». Si infilò appena sotto la cinta, sfiorando l'osso del bacino.
    « Non ci capisco niente, ma so che non voglio smettere ».
    Ascoltò le sue parole come fossero un sussurro nel vento, indistinte e lontane, concentrato sull'inscenare la migliore notte di tutta una vita per entrambi, finché un lamento di Abel lo riportò sulla Terra. La ferita era tornata a dargli il tormento, che tempismo perfetto.
    « Oh merda, scusa » disse, lasciandogli spazio e guardandosi attorno nel panico alla ricerca delle sue medicine. I canini si ritirarono all'istante, le iridi misero a fuoco l'intera scena: il letto era un disastro, i vestiti anche, le loro facce pure. Aiutò Abel a mettersi seduto con la schiena poggiata alla testiera del letto, tornando nei panni del fratello premuroso ed apprensivo.
    « Non è colpa tua, sono io che ho sfiga ».
    « Certo che è colpa mia, anche se tu hai contribuito. »
    Lo vide rabbrividire e si avvicinò subito, sbrogliando la coperta dall'intreccio delle loro gambe per avvolgerlo in un abbraccio. L'albino sembrò esitare. Ora che la bolla di passione era scoppiata restavano solo due fratelli con delle confessioni da fare, ed era difficile. Gli mostrò un mezzo sorriso incoraggiante e lo circondò con braccia e coperte, affondando il viso nei morbidi capelli arruffati. Probabilmente da quel contatto Abel poteva sentire l'effetto che gli faceva, però ormai era abbastanza palese, no? Non era neanche il tipo che si faceva problemi per simili sciocchezze. Lasciò un bacio leggero sulla nuca di Abel quando si appoggiò alla sua spalla e lì rimase, contemplando l'atmosfera di onirica calma che era scesa nella stanza.
    « Come... com'è stato? » gli chiese, così teneramente da farlo sentire un pervertito approfittatore.
    « Come una prima volta » ammise. Nulla di ciò che era accaduto gli sembrava paragonabile alle esperienze avute in passato, e con i partner precedenti non aveva mai rischiato di trasformarsi in Black Dog e sfondare il letto. C'era sempre stato qualcosa in lui che lo faceva scattare, che gli accendeva la miccia, nel bene e nel male. I litigi tra i due facevano tremare le mura del collegio, anche se era Cain il più teatrale. Ripensò alla prima volta che aveva trovato una traccia di Raphael sul cappotto di Abel e l'abbraccio si fece più stretto.
    « Non te la cavi male coi baci » disse a bruciapelo, e il rosso sghignazzò.
    « Già, beh, ho un degno avversario. » Lo guardò di sottecchi prima che si nascondesse di nuovo nell'incavo della sua spalla. Si vergognava? Che sensazione nuova e appagante vederlo arrossire. Gli faceva venire voglia di stuzzicarlo ancora.
    « Da quando non sono più solo un fratello, per te? »
    Cain mise il mento sulla sua testa e ci pensò, mentre si girava attorno all'indice una ciocca di capelli argentei.
    « Non so dirti il giorno preciso. Credo che questa cosa ci sia sempre stata e sia cresciuta con me » iniziò, finalmente tranquillo. « Ti credevo qualcosa di sacro e intoccabile, poi ti sei... allontanato, ed è stato come farsi accoltellare cento volte ogni notte, quando andavo a letto e tu non c'eri. »
    Il termine brotherzone gli strappò una risatina, anche se a ripensarci avevano sofferto entrambi per quel motivo. Per via dei loro caratteri agli antipodi i risultati erano stati molto diversi: Cain aveva usato tante persone come tappabuchi, Abel si era consumato il cervello sui suoi amati libri e il resto del tempo c'era Raphael a distrarlo. Già, quello era un problema irrisolto. Un fastidiosissimo problema. Gli salì alla gola un ringhio e lo mascherò con un colpo di tosse, allontanando brevemente il fratello.
    « Meglio sistemare la ferita. Dove hai messo il kit di salvataggio? »
    Abel gli indicò il borsone ai piedi del letto e lui ripescò un blister con quattro pastiglie mancanti su sei. La vacanza stava finendo, ancora un paio di giorni e sarebbero dovuti rientrare per la convalescenza dell'albino e le missioni del rosso.
    Nello spostarsi trovò anche la maglietta che poco prima gli aveva strappato via, lacerata sul colletto, e rimase a fissarla con aria colpevole.
    « Uh... spero non fosse la tua preferita. »
    Scese dal letto e barcollò, ancora frastornato dai baci bollenti e i respiri corti, completamente inebriato dal profumo di Abel. Provava un senso di intontimento piacevole, come se fosse stato stregato dal canto di una sirena. Aprì il grande armadio che odorava di polvere e vecchi ricordi e prese una t-shirt slavata, porgendola al fratello.
    « Copriti, svergognato » gli disse, usando il tono autoritario di Sarah.
    Si sedette sul bordo del materasso, in attesa che Abel sistemasse il danno allo stomaco, e per un istante il suo sguardo si perse oltre la finestra, dove si vedevano alberi e distese di campi. L'avevano fatto davvero. Loro due, proprio lì, insieme.
    L'ondata di adrenalina si ritirò, distendendo i muscoli e rallentando i pensieri. Prese una lunga boccata d'aria, portandosi una mano sul cuore per sentire i battiti regolari. Tutto sotto controllo.
    « E tu da quando... insomma, so di essere irresistibile, ma non credevo fino a questo punto. » Cercò di sdrammatizzare, ma la curiosità lo uccideva. Soprattutto, moriva dalla voglia di scoprire cosa sarebbe successo da quel momento in poi. C'era una certa persona a cui non vedeva l'ora di ridere in faccia, però in cuor suo sapeva che non si trattava di una questione facile. Gli Alpha erano territoriali ed orgogliosi, in più Cain e Raphael non si erano mai sopportati. Già una volta erano arrivati alle zanne, e il rosso era pronto a rifarlo. Non c'erano alternative, se non tenere nascosta la loro relazione.
    - Non ci penso nemmeno - si disse, ammirando il profilo regale di Abel illuminato dalla luna. Dopo anni di attesa era suo, avrebbe combattuto contro Grim in persona piuttosto che rinunciare a lui.

    ...

    Quando la stanchezza si impadronì di entrambi, Cain recuperò un paio di bicchieri d'acqua, una coperta extra e sgusciò vicino ad Abel, nella parte sinistra del letto. Al piano di sotto sentì la porta aprirsi e i passi leggeri di Sarah sul parquet.
    Cercò Abel nel buio, attento a dove toccava, e distese un braccio sotto la sua nuca a mo' di cuscino. Non gli pesava affatto, era morbido e caldo come un cucciolo rannicchiato su di lui.
    « Buonanotte Abel. Se è un sogno lasciami dormire per sempre. »
    Gli diede un bacio leggero sulla fronte e lasciò cadere le palpebre pesanti. Fuori non imperversava nessun temporale, eppure eccoli vicini nello stesso giaciglio. La felicità aveva i contorni della sua sagoma nel buio di una camera da letto, aveva il suo viso.

    Omega Black Dog | 19 y/o | Eye of the Future
    Clueless Dogs code by KL | vietata la copia anche parziale
  4. .
    Izar, Evelya, Cain.
    The slow dance of the infinite stars.

    Evelya

    Non ho fatto altro che pensare a te da quando ti ho vista.

    Evelya si gettò altra acqua fredda sul viso. Sperava di cancellare l'umiliazione insieme al rossore delle guance e degli occhi, ma non le si scrollava di dosso. Il riflesso allo specchio rimandò l'immagine di una ragazzina dall'aria affranta, debole e commiserevole. Ancora una volta era fuggita di fronte alla prima increspatura nella sua vita piatta e calma, impreparata all'audacia di una persona come Noel. Era sincero, trasparente. Nei suoi occhi vivaci non aveva visto alcuna malizia. Si era dichiarato senza la minima esitazione, con fermezza, come se avesse le risposte a tutte le sue domande in tasca. E lei? Beh, lei era scappata.

    Sei sempre stata tu. Voglio conoscere te.

    « Non voglio costringerti a sopportarmi. Credimi Noel, non sono la persona che pensi. »

    E con il pretesto dell'inizio delle lezioni, con un patetico sorriso di scuse, aveva lasciato la caffetteria, mettendosi a correre una volta varcata la soglia. Non sarebbe tornata in aula, tra le urla del professore e le occhiate scocciate di Raphael. Il bagno per ora andava bene, era stato pulito di recente e sembrava non esserci nessuno. Abbassò la tavoletta del wc e si sedette, tamponando gli occhi con la carta igienica che aveva la stessa consistenza di un fazzoletto di cotone. Era abituata a quel genere di privilegi, li dava per scontati.
    Noel invece riusciva a malapena a resistere nella divisa scolastica, dal taglio austero e i tantissimi bottoni.

    Mi cucirei questa divisa addosso pur di stare con te.

    Riprese a singhiozzare e tirò su con il naso. Era accaduto per colpa di anni ed anni di insicurezze, una pila traballante che le era crollata addosso tutta in una volta. Prima di incontrare Noel non aveva mai messo in dubbio la sua posizione nel mondo: era nata in quella famiglia, doveva assolvere quei compiti, non sbagliare, non alzare la voce, sorridere anche quando desiderava solo urlare. Poi si era ritrovata in mezzo ad una calca di persone, a fissare un palco illuminato a giorno. Lui era al centro esatto della scena e cantava dal fondo dei polmoni con tutta la sua energia, una macchia di colori sanguigni sotto i riflettori che lo facevano brillare come un secondo sole. Evelya voleva quel tepore per sé, quegli occhi puntati nei suoi finché le diceva che voleva conoscerla, che non era stato un caso se si trovava lì. Voleva tenergli la mano e camminare accanto a lui, così alto da poterla gettare nell'ombra e proteggerla allo stesso tempo.
    « Mi dispiace tanto » sussurrò al silenzio, o forse alla Evie che aveva maltrattato per tutti quegli anni. Doveva essere gentile innanzitutto con sé stessa, lo diceva sempre Aidan. Pensò di chiamarlo, e si sorprese di trovare un messaggio di Azarel sul display.
    Che richiesta strana da parte sua. Era raro che volesse stare solo con lei in un ambiente extrascolastico. Trattandosi di lui, purtroppo, non poteva rifiutare. Rispose un lacunoso "certamente" ed ignorò la risposta in cui chiedeva dove fosse finita. Compose invece il numero di Aidan e aspettò, soffiandosi il naso per non tradire il pianto disperato appena interrotto.

    « Ehi pulcino, non sei a scuola? »
    « Sì ma... vorrei tornare a casa. »
    Il chiacchiericcio in sottofondo si fece più ovattato. A quell'ora l'intero ambulatorio faceva pausa caffè, e la sala comune diventava un porto di mare, tra medici e infermieri che smontavano dal turno del mattino e attaccavano per quello serale. Il silenzio che seguì le fece capire che Aidan aveva trovato un luogo più appartato.
    « Parla. Mi basta un nome e gli faccio sputare tutti i denti. »
    « No no no, tranquillo! Niente bulli o cose del genere.
    È stata solo una brutta giornata. »

    Aidan rise di quella risata di gola che scaldava il petto.
    « Ma se non sono nemmeno le quattro! Dai, che è successo. »
    E suo malgrado Evelya vuotò il sacco. Raccontò tutto, dalla serata del concerto ai messaggi, fino all'improvvisata alla Ripley. Non aveva modo di confidarsi spesso con il maggiore dei Sadalmelik, dato che non viveva più nella tenuta di famiglia da almeno tre anni. Dopo un divorzio scandaloso ed un secondo matrimonio altrettanto scandaloso - in segreto da tutti -, Aidan stava insieme alla "luce dei suoi occhi", per citarlo, in una casetta a Manchester, lontano dal veleno dei parenti e dall'affetto dei tre fratelli, purtroppo.
    Al termine della storia calò uno strano silenzio, ed Evelya quasi temette che fosse caduta la linea. Un lungo sospiro le riempì l'orecchio.
    « Evie, sono abbastanza sicuro che se avesse solo voluto portarti a letto non si sarebbe sprecato così tanto. Non mi sembra che racconti balle. »
    Lei arrossì fino alla punta dei capelli. « N... non l'ho mai pensato, figurati. Solo che non mi conosce nemmeno e... »
    « E vuole farlo, quindi perché no. Parlaci un po', vedi come va. Sempre che quella serpe di Azarel non si metta in mezzo come al solito. »
    L'avrebbe fatto di certo. Frequentare un ragazzo come Noel alla luce del sole significava anche gettare in disgrazia il suo buon nome. Nemmeno con la divisa impeccabile della scuola passava per un secchione figlio di papà. Era la sua aura ad essere diversa, senza artefatti.
    « Perché io sono io » rispose in tono rassegnato, sentendo nuovamente la gola serrarsi. Il fratello captò subito il cambio di umore ed addolcì la voce, come quando consolava uno dei suoi piccoli pazienti.
    « Non c'è niente meglio di te, Evie. È stato fortunato ad incontrarti. Buttati, chiedi aiuto agli altri due disgraziati di casa e qualcosa combinerete. Se non va pazienza, ne arriverà uno migliore. »
    Come replica ricevette solo un pianto a dirotto, e dopo vari tentativi per farla calmare le propose di raggiungerlo per il weekend. La pressione dei Sadalmelik e della scuola la stava rendendo paranoica, a sua detta, ed Evelya la trovò un'ottima idea.

    Lo salutò dopo una ventina di minuti di conversazione, in cui recuperò un minimo di contegno e degli occhi un po' più asciutti. Al messaggio di Abel, inaspettatamente, rispose con un moto di ribellione.

    "Torniamo adesso? Non me la sento più di stare qui."

    Sperò in una risposta positiva. Aveva bisogno di stare con qualcuno che non annunciasse catastrofi imminenti ogni momento.
    Guardò un'ultima volta la pagina instagram degli Elysian, dove fino a poco prima poteva solo fantasticare. Noel era esattamente come appariva in foto: stesse espressioni, stessi sguardi di sfida e sorrisi a tutta faccia. Doveva averlo ferito parecchio con le sue parole, e soprattutto con i suoi silenzi. Spense il telefono e si alzò, puntando all'uscita sul retro dell'istituto. Se esisteva una possibilità di redenzione doveva coglierla prima che fosse troppo tardi.

    -

    Le parve che Abel, una volta arrivato, avesse l'espressione colpevole di un ladro. Era stato così gentile da portarle la cartella, per fortuna.
    Si scusò subito per la proposta che rischiava di mettere entrambi nei guai, dopo aver finto uno svenimento in corridoio ed ottenuto il l'esonero dalle lezioni pomeridiane. Abel era ligio al dovere come lei, sotto pressione e intenzionato ad uscire con i migliori voti. Azarel si sarebbe ricordato di questa negligenza.
    « Perdonami, preferisco te ad un professore asfissiante » ammise, rivolgendogli un sorriso affettato, ancora segnata dai pianti precedenti. Gli avrebbe offerto un caffè sulla via del ritorno come ringraziamento, era il minimo. Propose di fermarsi al bar di Greaves Park, così tranquillo ed immerso nel verde da rinfrancarle lo spirito dopo ogni giornataccia. Era il luogo di ritrovo preferito della borghesia di Lancaster, perciò incrociò le dita e pregò di non incontrare nessun conoscente.
    Sedettero nella lussuosa sala in stile coloniale, ad un tavolo dove li aspettava già dell'acqua versata e dei salatini. La cameriera fu ossequiosa come al solito, fin troppo, nel chiedere la temperatura del tè e quale dei quindici ripieni volessero negli scones, ma alla fine riuscirono ad avere il loro spuntino e un po' di pace.
    « Hai incontrato il ragazzo della batteria alla fine? » Abel era abbastanza inquieto da presupporre che qualcosa fosse successo mentre lei combatteva la sua, di battaglia, e anche Raphael era più scontroso del solito. Da osservatrice esterna non li aveva mai compresi del tutto, come coppia: avevano un modo pacato di dimostrare affetto, per quanto fosse ovvio che si volessero bene, e non si prodigavano in smancerie, parole dolci o effusioni in pubblico. Abel amava in un modo sottinteso, mentre il ragazzo della band era un libro aperto, senza segreti. Che fossero i famosi "opposti che si attraggono"? Evelya ascoltò il suo bizzarro racconto con le mani a coppa attorno alla tazza di tè, imbarazzata dall'audacia di quel tale Cain. Si erano scontrati contro un mondo alieno, a quel concerto.
    « Mi chiedo se non dovremmo tentare... sai, rivederli. » Lo disse in tono sommesso, pensierosa, e attese la reazione di Abel con gli occhi fissi nei suoi, oro e argento alla ricerca di risposte. Forse entrambi avevano bisogno di un cambiamento, e quel cambiamento era rosso come il fuoco.

    -

    Azarel, impeccabile nel suo abito da sera, le aprì lo sportello della macchina e l'aiutò a scendere. Evelya accettò la mano dell'insegnate solo perché si trovavano ad una serata di gala, circondati da sguardi indiscreti nonché spie di sua madre, ne era certa. La cena si era trasformata in un evento del country club con cena all'aperto, e nella grande casa dei Peterson donne indaffarate correvano a destra e manca per riempire bicchieri vuoti o ciotole di noccioline. Le conversazioni si assomigliavano tutte: come stai, cara? E i tuoi genitori? E la scuola? Emberthorn è sempre così premuroso!
    Evelya sorrideva a tutti, seppur stordita dalla stanchezza. Si era preparata in fretta, infilandosi in un vestito stretto e in tacchi alti e dolorosi. Sedette alla prima sedia disponibile e lì rimase, sorseggiando un analcolico con l'entusiasmo di uno zombie. Continuava a comparare i momenti della giornata al concerto, e non vi era paragone. Avrebbe pagato per ritrovarsi di nuovo al Black Dog.
    -Noel saprebbe come svegliare questa gente- pensò, immaginando il ragazzo che prendeva possesso del microfono e faceva scattare sull'attenti tutte le vegliarde che parlottavano in giardino.
    « Le feste dei Peterson attirano sempre molta gente » disse Azarel, sedendo di fronte a lei. Era al secondo bicchiere di vino, e la stanchezza della giornata pesava anche su di lui. I capelli ricadevano mollemente sulla fronte, e il colletto della camicia era sbottonato fino al terzo bottone. Si tolse gli occhiali per stropicciare il viso.
    « Sono bravi ad intrattenere gli ospiti » convenne Evelya, riferendosi alla parlantina infinita della signora Peterson.
    « Tranquilla, non facciamo tardi. Tua madre ha insistito perché ci facessimo vedere un po' in giro. »
    Con gli impegni scolastici e lo studio nessuno dei due metteva piede ad una festa da mesi, in effetti, ma quel "ci" le parve strano. Loro insieme, nell'alta società, a pochi mesi dal diploma di lei... Oh, no.
    Sperò di sbagliarsi, anche se tutti gli indizi suggerivano che fosse una trappola della capofamiglia per iniziare a diffondere chiacchiere di un futuro matrimonio. Era stato lo stesso per le sue conoscenti più grandi, che a vent'anni erano già accasate e sistemate per la vita. Era sorpresa solo in parte, però. Fin da bambina Parveen le aveva insegnato quali caratteristiche cercare in un buon marito, usando sempre come esempio Azarel. Di buon carattere, elegante, rispettoso delle tradizioni, intelligente, qualità che Evelya non considerava affatto importanti.
    L'insegnante si schiarì la voce e tentò di assumere un tono meno distaccato. « Ti sei ripresa? Gytrash mi ha detto che sei svenuta. »
    « Sì, ora sto bene, grazie. »
    « Niente crolli di nervi prima del concerto, mi raccomando. »
    Evelya faticò così tanto a sorridere che temette di non averlo proprio fatto. « Faccio del mio meglio. »
    « Ci mancavano solo i teppisti a fare irruzione nella scuola, oggi. »
    La ragazza bevve un lungo sorso del drink e guardò altrove. Teppisti.
    La banda che suonava al centro del giardino attaccò con un valzer molto lieve, ed Azarel si alzò lentamente, tendendole la mano.
    « Balliamo e mettiamo da parte i problemi, almeno per stasera. »
    Avrebbe voluto dirgli che lui era parte dei suoi problemi, se non un ostacolo alla sua felicità. Invece mise la mano fredda nella sua e si diresse al centro della scena, dove bisbigli e risatine si perdevano tra le note.


    Cain
    Avrebbe potuto evitare tante domande, e invece Abel scelse di non rispondere proprio a quella. Brutto segno. Lo lasciava in un limbo tra "sono impegnato, non provarci" e "sono libero ma non devi saperlo". La questione si stava facendo complicata per il suo cervello, che di solito non girava mai attorno ad un problema e ci si fiondava direttamente in mezzo. Lo vide tentennare solo per un attimo prima di tornare alla solita maschera di ferro, mentre considerava l'idea di un'uscita di gruppo. Okay, gli Elysian non erano il coro della messa domenicale, però non davano nemmeno fuoco ai cassonetti per strada. Noel era un cucciolo di labrador che faceva la voce grossa, Izar un emo d'altri tempi e Altayr se ne stava quasi sempre tranquilla finché non la provocavi. Aveva visto di peggio nel loro ambiente, eccome.
    « Certo, si vede che non sei un tipo che se la prende per delle sciocchezze simili. »
    « Nah, figurati. Però non mi dispiacerebbe. » Cercò di mantenersi vago, attirandolo nella sua ragnatela un poco alla volta. Quel "ci penserò" fu una piccola vittoria, e si concesse un lungo sospiro con la mano sul petto. Ora, come spiegare agli altri che dovevano lasciarli soli con qualche scusa? Magari potevano mangiare un boccone e casualmente ricordarsi di impegni già presi. A quel punto, con le strade buie e i mezzi pubblici pieni di gentaglia restava solo la sua moto e un casco in più.
    - Sì, perfetto - pensò, immaginando quelle braccia esili sulla schiena mentre sfrecciavano nella notte.
    « Ma sappi che non mi fido dei Don Giovanni come te- »
    Lo guardò stralunato, controllando se alle sue spalle ci fosse qualcuno che meritasse davvero l'appellativo. No, stava parlando di lui.
    « Abel, se cercassi un premio non sarei qui, credimi. » In una situazione normale lo avrebbe preso per mano, visto che lo considerava uno dei gesti più intimi che ci fossero, ma si fermò appena in tempo. Mise entrambe le mani dietro la schiena come un prigioniero legato e proseguì. « È solo che per quanto sembri assurdo ci credo nel destino, e tutta questa cosa non la vedo come una coincidenza. Potevi essere in mille altri posti l'altra sera, invece eri lì e non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso. » Non ci riusciva nemmeno adesso, anche se continuavano a sfuggirgli e lo trovava molto ingiusto.
    « E la cosa più assurda è che non mi è mai successo prima, capisci? Per questo sono insopportabile. »
    Si raddrizzò assumendo un'aria seriosa, i pugni stretti sulle ginocchia.
    « Quindi se basta non toccarti e non dirti in ogni momento quanto tu sia un problema per il mio autocontrollo okay, sono disposto a farlo. »
    Sperava di ottenere qualcosa di più da quel giuramento, peccato che le cose non andassero mai come programmava.

    « Ehy, Cain! »
    Un'espressione inadatta al luogo gli uscì tra i denti serrati mentre si girava a fulminare con lo sguardo Noel.
    « Posso sedermi qui con voi? Sono triste e dolorante, ho bisogno di un po' di compagnia. »
    « Si può sapere che cazzo stai facendo? » gli chiese in un ringhio appena si sedette in mezzo a loro senza tanti complimenti, mettendosi bello comodo a gambe distese. Voleva davvero morire lì, in mezzo a gente che se ne fregava di lui? Perché stava per accontentarlo. Attaccò con una lagna infinita sul rifiuto della ragazza, e questo significava che non avrebbe parlato di altro per il resto del mese. La band si sarebbe dovuta sorbire i suoi sospiri lunghissimi e le canzoni strappalacrime di Lewis Capaldi, monologhi su quanto l'amore fosse una menzogna e conseguenti sbronze tristi. Dovevano fare i migliori concerti della loro vita e Noel si piangeva addosso come una mocciosa delle medie. Senza contare che aveva appena mandato in pezzi un discorso accorato e la possibilità di trasformare il forse di Abel in un sì.
    « Senti, ti do cinque secondi per alzare il culo da questa panchina o giuro che- »
    « Pensate, mi ha addirittura chiesto perché sono venuto fin qui. Non è abbastanza ovvio? Io volevo... io volevo vederla di nuovo. »
    Trattenne il resto della minaccia perché, suo malgrado, si riconosceva in quelle parole. Erano gli stessi pensieri che aveva formulato lui, che continuava a rimescolare alla ricerca di una soluzione che mettesse fine alla sua agonia. Incrociò gli occhi argentati di Abel ed ebbe l'impressione che il ragazzo riuscisse a leggergli nella mente. Sbuffò e si distese come Noel, arreso all'idea che la magia tra loro fosse bella che finita, con un orecchio teso a cogliere la conversazione e la voce un po' meno seccata di Abel. Gli parve di leggere qualcosa tra le righe, specie nella parte delle attenzioni plateali, come se ci fosse una parte autobiografica nel discorso.
    - Quindi ho fatto gli stessi errori di Noel e adesso siamo tutti e due a piedi - concluse. Da quello che capì Abel era comunque un buon amico, e sensibile a modo suo. Nonostante non conoscesse bene nessuno dei due rossi cercava di trattarli con decenza e dare anche consigli al cantante dal cuore spezzato.
    « Voi, invece? Come sta andando? » chiese a tradimento, aumentando l'imbarazzo tra loro e soprattutto la frustrazione di Cain. Lo studente lo fissò per una manciata di secondi prima di rispondere che in realtà se ne stava andando, e se il rosso avesse avuto un coltello si sarebbe compiuto un omicidio. Quell'idiota piagnucolone aveva consumato il suo pochissimo e prezioso tempo a disposizione per delle cazzate ed Abel sgusciava via dalla rete come niente fosse. Maledizione.
    « Se ti va siamo nella sala prove del Waterwitch quasi tutte le sere » disse, dopo il consiglio di Abel di sparire dalla circolazione. Aveva la stessa faccia distrutta di Noel. Non tentò di fermarlo, sarebbe stato inutile ed invadente, ma gli prudevano le mani. Quel suo "a presto" mantenne viva la fiamma della speranza, per quanto piccola, e appena lo vide svoltare l'angolo espirò così a lungo da sgonfiarsi.
    « Dai, su, allora? Avete un appuntamento? Ho capito bene? »
    Pestò sulla mina antiuomo chiamata Cain e quello esplose, afferrandolo per il colletto della ridicola camicia da studente.
    « Tu, razza di samoiedo in carenza d'affetto. Se non fosse per la tua voce da sirenetta che ci fa guadagnare ti avrei già gonfiato di pugni. »
    Lo lasciò andare al primo bisbiglio allarmato, ma non aveva ancora finito con lui.
    « Non ci posso credere che ti sei ridotto così per una principessina del cazzo che neanche conosci. Sai perché le tue ex non le assomigliano? Perché hai degli standard e non li devi superare. Ma cosa ti dice il cervello? » In realtà erano parole rivolte più a sé stesso che non all'amico, lo sapeva. Difficilmente si struggeva così tanto per qualcuno che non lo considerava nemmeno un'opzione, ma c'era sempre quel destino di mezzo in cui sperare. Sbollito il momento di rabbia mormorò delle scuse e fece segno a Noel di seguirlo sul retro, dove li aspettava la sua moto. Propose di andare direttamente alle prove vista l'ora, e mangiare un boccone lungo la strada. Non che avesse molta fame, però a stomaco pieno si elaboravano meglio i traumi.
    « Scrivi alla coppia del disagio che ci vediamo lì » disse a Noel, sparendo sotto il casco. Dalla visiera oscurata la Ripley St.Thomas sembrava un castello gotico di mattoni neri, roba da film horror. Intercettò brevemente lo sguardo storto di un tizio alla finestra del primo piano che si era sporto per chiuderla, e ricordò di indossare ancora la divisa. Si sarebbe volentieri spogliato in mezzo alla strada pur di liberarsi di quella camicia di forza, e anche levarla ad Abel pareva una buona idea. Perfetto, il treno di pensieri sconvenienti era tornato in carreggiata. Si ripromise di suonare così forte da far venire il mal di testa anche ai suoi sogni erotici, quel pomeriggio.


    Izar
    Come previsto, Altayr venne irrimediabilmente contagiata dal malumore di Izar, una macchia di inchiostro che si espandeva attorno a lui e portava tutti con sé. Non si definiva un leader o un trascinatore, ma spesso le sue reazioni avevano un grande peso sul resto del gruppo.
    La ragazza si sfogò su di lui nel modo più silenzioso possibile, vista la calca di gente in autobus. Lei non capiva i suoi sentimenti, li sopportava. Lo faceva da quando si conoscevano, aveva imparato a riconoscere la tempesta di negatività quando arrivava e quando se ne andava, però non sempre lasciava correre. Era un periodo difficile per gli Elysian: stavano lottando per emergere dal numero impossibile di band inglesi che tentavano di sfondare. Mancavano i soldi, il tempo, l'equilibrio per mantenere vita privata e lavorativa sui piatti della bilancia e non far pesare troppo nessuno dei due. Anche lei, come tutti, era arrivata al limite.
    « Mi vuoi dire chiaro e tondo che ti prende? »
    Izar staccò il braccio dalla parete e guardò altrove, fulminando una coppia di ragazzini che stavano palesemente origliando. Non leggeva nel pensiero, eppure sapeva che era molto più perspicace di così. Non voleva ammetterlo perché non gli interessava? Un rifiuto categorico dopo così tanti buchi nell'acqua sarebbe stato distruttivo, anche se ci era abituato. Ascoltò le proteste sul suo silenzio ostinato e mantenne le distanze, mordendosi l'interno della guancia per la frustrazione. Arrivarono alla fermata dopo quelle che sembrarono ore, e appena la ragazza scese dal bus trovò i due rossi caotici che li attendevano con espressioni non migliori della sua. Noel era un disastro, gli occhi consumati dalle lacrime e la postura ingobbita di un vecchio malandato. Cain, al contrario, era un fascio di nervi prossimo a rompersi.
    « Noel, ti prego, non oggi » bofonchiò, mentre una canzone familiare iniziava a passargli per la testa.

    Now the day bleeds, into nightfall
    and you’re not here, to get me through it all


    Dio no, non Lewis Capaldi. Era l'ultimo ingrediente di una giornata da dimenticare. A quel punto l'unica cosa da fare era buttarsi anima e corpo nel lavoro fino ad isolare il problema per qualche ora. La scaletta non l'avevano ancora decisa, e doveva scrivere alla tizia delle foto per l'appuntamento. Poi la caparra degli strumenti, i biglietti del treno... La voce di Altayr continuava ad intromettersi nei suoi pensieri come un sasso lanciato in mezzo ad un lago tranquillo. Le increspature non sparivano mai, non riusciva a smettere di darle attenzione. Stava cercando di rimettere in sesto Noel, già deciso ad abbandonare le prove per il suo dramma, con Cain che spiegava dell'incursione nell'istituto St.Ripley's andata male per colpa del cantante e la sua tendenza a teatralizzare tutto.
    « Abel stava per accettare il mio invito, era praticamente fatta, ma tu hai deciso che quello era il momento perfetto per rompere i coglioni e così è stato. Userò la tua testa come tamburo stasera, vedrai come ti passa la depressione. »
    Invidiava Cain per due motivi: il fisico spaventoso e l'assenza di peli sulla lingua. Se avesse avuto metà del coraggio del batterista si sarebbe confessato quando, tre anni prima? Ma era solo il silenzioso, musone e serio Izar, e non parlava apertamente dei suoi sentimenti. Preferiva lavorarli finché non diventavano macigni da scaricare sui poveri innocenti che gli stavano attorno.
    « Spero che questa tortura finisca presto. »
    « Cazzo sì. »
    Izar seguì Cain all'interno del locale, e nel passare accanto ad Altayr, che teneva aperta la porta, mormorò un "scusa" così basso che dubitò l'avesse sentito.

    Imbracciò il basso mentre il resto dei membri del gruppo prendeva posto e Noel si lasciava morire su un divanetto. Il loro trascinatore, il pilastro portante degli Elysian, suggerì di piangersi addosso nelle due ore che avevano prenotato, ma Izar non gli avrebbe permesso di sprecare così le loro trenta sterline. Sempre armato di strumento si avvicinò al rosso e usò il manico per scollarlo dal suo trono del pianto, stando attento a non fare leva sulla gamba sbagliata.
    « Capo, abbiamo già buttato 20 minuti. Non siamo ancora così famosi da concederci degli sprechi. »
    Sperò che puntare sulla parte economica aiutasse, invece Noel rimase spalmato lì con la proposta di cantare canzoni tristi. Okay, ci aveva provato e no, niente canzoni tristi. Il prossimo concerto sarebbe stato decisivo in termini di visibilità prima del festival estivo, servivano i loro cavalli di battaglia e un paio di scelte audaci per tentare la fortuna.
    Suo malgrado fu costretto a rivolgersi ad Altayr, che al momento pareva sopportarlo come si sopporta un mal di testa, e propose "A love like war" e "Time-bomb" , sforzandosi di mantenere il contatto visivo.
    « Io voglio un don't you go e guai a chi protesta. » Cain fu adamantino, iniziando già a suonare il ritmo del ritornello mentre riscaldava le bacchette.
    « Come si fa a vivere dopo aver perso l'anima gemella? »
    « Cristo santo. »
    « Beh, tu hai perso tipo una trentina di anime gemelle, meglio di te non lo sa nessuno. »

    Izar lasciò che il dramma si consumasse alle sue spalle, esausto, finché prendeva un quaderno ed il cellulare, applicazione della calcolatrice alla mano. Trovò una penna sul fondo dello zaino ed iniziò ad annotare una stima delle spese della sala prove da lì a fine anno: il risultato gli fece gelare il sangue nelle vene. Appena il cantante propose di suonare qualcosa di Lewis Capaldi, di conseguenza, scattò come una molla e corse da lui, piantandogli in faccia un 128£ cerchiato in rosso. Ignorò persino l'assenso di Altayr, convinta che assecondare le sue lagne fosse una buona idea in quel momento. Premette il quaderno al centro esatto del suo viso da martire e lì rimase, ormai al limite della pazienza.
    « Li vedi questi? Non ne abbiamo neanche metà, e se non vogliamo ridurci a suonare nella topaia di Cain- »
    « Ehi! »
    « -dobbiamo fare le nostre cazzo di canzoni migliori e trovare qualcuno che ci metta una firma prima di giugno. » Lasciò cadere a terra il quaderno ed afferrò il leader per le spalle.
    « Perciò ti scongiuro, ti imploro di mettere da parte una delle tue solite delusioni d'amore per il bene della band e dei nostri portafogli. » Pregò davvero che il messaggio attraversasse il muro di depressione che circondava il cervello di Noel, perché in quanto contabile degli Elysium ci teneva che il sogno non finisse per colpa dei loro umori instabili. Voleva vivere della musica che facevano, non essere semplicemente un gruppo di quartiere che suonava per riempire il silenzio nei pub. Ci credeva così tanto da non aver pensato ad un'alternativa lavorativa o un college dopo le superiori. Dovevano spaccare, punto.

    Sussultò nel sentire la presa ferrea di Cain sul suo braccio mentre lo strattonava via, altrettanto furente.
    « So che non capisci niente perché sei bastardo senza cuore, ma guardalo bene: questi sono gli occhi di un uomo innamorato che ha perso tutto » disse, indicando la faccia da cane bastonato di Noel.
    « Quindi adesso lo aggiustiamo e poi pensiamo ai soldi, chiaro? E suoniamo before you go prima che vi prenda a calci tutti e due. »
    Suo malgrado Izar capitolò, dando una pacca di comprensione a Noel e raggiungendo Altayr per accordare gli strumenti. Si sedettero a terra in silenzio ed iniziò il supplizio strappalacrime. Chiese solo le cose essenziali alla ragazza, ma accorciò le distanze pian piano, un centimetro alla volta, fino a che le loro ginocchia si sfiorarono. Sbagliò a tendere le corde di proposito, per monitorare il livello di incazzatura di Altayr e la sua voglia di discutere. Non poteva leggergli nel pensiero, d'accordo, e nemmeno lui ci riusciva, però poteva usare la logica: passavano la giornata insieme tra scuola, lavoro part-time e prove, quindi non aveva un ragazzo, - o se lo aveva lo trascurava molto. - Aveva il lasciapassare per casa Windstorm e ci finiva spesso, che fosse per cucinare, dare ripetizioni a Saiph o guardare la tv con lei. Avevano le loro inside jokes, una serie di sguardi in codice e delle routine prestabilite, quindi perché no? Perché non provare a condividere l'1% di quello che sentiva.
    - Per non perdere tutto. -

    Alla fine della prima canzone decisero per una pausa bagno/caffè, ed Izar ne approfittò per andare a lavarsi la faccia e rinfrescare il cervello. Tornò in sala prove con un altro spirito, una scintilla di speranza negli occhi, e chiese ad Altayr di raggiungerlo un attimo fuori dal locale mentre si accendeva una sigaretta. Fu sorpreso della risposta positiva, onestamente, anche se non gli sfuggì la nota di irritazione nello sguardo freddo di lei. Doveva averne abbastanza dei suoi cambi d'umore, e come darle torto. Ci fosse stato Kevin avrebbero risolto con una parolaccia e una birra.
    - Che c'entra lui adesso. Concentrati, Izar. -
    Fece scattare l'accendino ed aspirò una lunga boccata di nicotina, posizionandosi accanto al posacenere esterno che già straripava di mozziconi. L'aria della sera sapeva di smog ed erba tagliata.
    « Scusa per oggi » tagliò corto, guardandosi la punta delle scarpe,
    « sono un coglione. » Attese una qualsiasi reazione finché poté, poi non riuscì più a trattenere le parole.
    « Però a volte fai delle cose che mi fanno credere che... cioè, se le facessi io a te sarebbe strano. » Molto chiaro, riflesso del casino che aveva in testa. Poteva spiegarsi senza giri di parole, per una volta? Sbuffò una nuvola di fumo e la guardò dritta negli occhi.
    « Non darmi false speranze se sono sullo stesso piano di Kevin o Noel. Mi mandi in confusione. » L'atmosfera si era fatta insostenibile, e decise di alleggerirla con l'accenno di un sorriso. « Da adesso ti do un ordine restrittivo, Windstorm. Resta sempre a cinque passi da me e nessuno si farà male. » Allungò una mano e le carezzò la testa, un gesto ancora tollerato in amicizia e molto lontano da zone equivoche, come la sua bella bocca contrariata.
    « A partire da domani, magari. »
    Si era esposto più del dovuto con quella dichiarazione. Le false speranze implicavano che ce ne fossero, tanto per cominciare, cosa mai detta in passato. Poi il biglietto del concerto, l'appuntamento... Praticamente girava con un'insegna luminosa sopra la testa.
    Nel rimettere la mano al suo posto trascinò una lunga ciocca di capelli con sé, facendosela scorrere tra le dita. Ne tenne l'estremità tesa e constatò che erano cresciuti molto dal loro primo incontro. Anni passati ad immaginare di affondarci il viso ed inspirare il suo shampoo, di scostarglieli e baciarla con trasporto quando il vento li metteva tra loro. Che idiota, accusava gli altri di perdersi in cazzate e il 99% della sua giornata girava intorno ad Altayr. La lasciò andare e mise la mano in tasca, un po' più leggero di quando era uscito.
    « Ora sai una piccola parte di cosa mi passa per la testa. Soddisfatta? »


    Cain, bonus
    Il numero dei follower era aumentato. Non tutti avevano un nome verosimile, ma sapeva che il suo obiettivo non era tipo da firmarsi "takemetoelysian" o cose sul genere. Scorse tra quelli più recenti lentamente, attento ad ogni lettera. Com'era? Eva... Ivy... Evelya.
    - Bingo. -
    La ragazza aveva una foto profilo così innocente da farlo sentire in colpa per averla usata. Durò poco.
    Smise di fissare i suoi occhioni da cerbiatta e passò ai follower, un numero esiguo rispetto a quello di Cain, ma comunque sorprendente. Sembrava tutta gente dell'alta società, su macchine costose, a cavallo o con uno sfondo tropicale di qualche meta turistica da ricchi. Quindi era vero che soldi chiamavano soldi. Con un bleah disgustato riprese lo scroll, trovando persino il professore che li aveva sbattuti fuori quella mattina. Come guidato da un intervento divino, il pollice si fermò su un nome inequivocabile.
    « Abelcgytrash, sei mio. »
    Una foto presa un po' da lontano. Se ne stava seduto al pianoforte, vestito di tutto punto, ed era lui. Non aveva dubbi.
    Prima di procedere a una richiesta d'amicizia che non era poi così tanto richiesta, Cain curiosò velocemente tra i follower del suo futuro ragazzo per assicurarsi che non ci fosse troppa concorrenza. Qualche bel faccino lo trovò, purtroppo, e un moto di gelosia ingiustificata gli fece digrignare i denti. Era ovvio, uno splendore come lui non poteva passare inosservato. Impresse a fuoco nella memoria le facce dei possibili rivali e premette su "segui", incrociando le dita.

    « Izar » « Evie » « Cain »


    — ‹ Finally Together Code BY KL › —
  5. .
    Izar, Evelya, Cain.
    "In the space between chaos and shape there was another chance."

    Evelya
    Scorrendo le foto del profilo instagram della band, Evelya intuì alcune cose: la fanbase era prettamente femminile - e agguerrita -, i due ragazzi dai capelli rossi amavano stare al centro dell'attenzione, quello con i capelli neri era schivo e serioso, e l'unica ragazza, Altayr, non sottostava alle regole di nessuno di loro. Era estremamente sicura di sé, almeno per come posava, ed Evelya dubitava di riuscire ad essere altrettanto sciolta e disinibita davanti a un obiettivo. La sua foto scolastica sembrava il ritratto ottocentesco di una vedova, a confronto.
    Respirò a fondo appena il profumo dei tigli entrò dalla finestra socchiusa. C'era un tepore piacevole vicino ai vetri, e fuori la primavera colorava di tinte pastello il grande cortile. Le parve di scorgere Abel, ma fu un'immagine fugace prima che il suo sguardo fosse catturato dal cremisi di una capigliatura familiare.
    « Ehi, quel posto è per me? ».
    Sobbalzò, e con lei ciò che restava nel bicchiere. La calma evaporò per lasciare il posto ad un'ondata di panico che le imporporò subito le guance, mentre Noel in persona prendeva posto di fronte a lei. Mantenne il contatto visivo per una manciata di secondi, giusto il tempo di notare quanto bene stesse la divisa su di lui e quanto vivaci fossero gli occhi che l'avevano rapita sin da subito alla luce del sole. Brillante era l'aggettivo giusto per descriverlo. Nonostante non avesse fatto nulla per attirare l'attenzione tutti i presenti sbirciarono verso il loro tavolo, incuriositi. Era l'effetto che faceva in pubblico, e sul palco il suo magnetismo si amplificava.
    « C... certo » balbettò, preda della solita insicurezza.
    « Non c'è bisogno di essere così agitata. »
    « Scusami, è... è una situazione nuova per me. » Gli rivolse un timido sorriso, facendo del suo meglio per radunare l'impassibilità propria della famiglia Sadalmelik. A casa tutti riuscivano a fingere indifferenza quando serviva, tranne lei. Era trasparente, le si leggeva ogni pensiero in faccia. Sperò che Noel non fosse un bravo lettore.
    « Spero che il caffè non si sia raffreddato mentre mi aspettavi. E scusa il poco preavviso, ma Cain ha avuto un'idea malsana e l'ho seguito a ruota. »
    « In effetti è stata una sorpresa. Non pensavo che vi avrei rivisto proprio qui. » Il caffè ormai era appena tiepido, ma non disse nulla a riguardo. Il bicchiere di carta fungeva solo da antistress, ormai.
    « Non sapevo cantassi, comunque. Hai una voce stratosferica! »
    Ogni sforzo di guardarlo in viso venne meno, e ruotò il capo verso la finestra. Ora i raggi del sole le parevano bollenti sulla pelle, come se le fosse salita improvvisamente la febbre.
    « Grazie, ma non sono niente di ché. » Le serviva un ventaglio, un sacchetto da tenere in testa, una botola in cui sprofondare. Nessuno aveva mai definito la sua voce "stratosferica". Forse soave, delicata, adatta ai canti di chiesa che Azarel le faceva ascoltare fin da quando era piccola. Fu allora che l'interruttore dell'insicurezza scattò, instillandole un pensiero malevolo: e se stesse fingendo? Se Noel dispensasse complimenti a tutte le sue seguaci? Certo, infiltrarsi in un istituto privato per conoscerne una poteva sembrare un gesto estremo, ma non così improbabile, trattandosi di lui. In fondo era una novità, una specie di animale esotico rispetto a quelli che era abituato a vedere nel suo habitat. Poteva essere solo un'esperienza da aggiungere al curriculum. - Ricordati che non sei poi così interessante. - Fece del suo meglio per non lasciare che quella tristezza trasparisse, sforzandosi di tenere gli angoli della bocca sollevati.
    « Potremo cantare insieme qualche volta, ti andrebbe? So anche suonare la chitarra, potrei accompagnarti! Anche se, beh, sei abituata a violino e pianoforte, roba di classe. »
    Il suo cuore fece una capriola. Avrebbe voluto saltare dalla gioia, prendergli entrambe le mani e urlare "Sì, lo voglio!", ignorando i compagni di scuola attorno a loro. Ma era Evelya, la posata, mite, timida Evelya.
    « Mi piacerebbe molto » disse, riportando l'attenzione su di lui. Ah, ecco l'indifferenza che cercava. Era tornata a riva e soffocava tutto l'entusiasmo, come un bicchiere calato su una candela.
    « Mi imbarazza ammetterlo ma non è un genere che conosco bene... però è stato bellissimo ascoltarvi! » Continuò su quell'onda, stringendo sempre più forte il bicchiere tra le mani. Voleva chiederglielo. La domanda era lì, sulla punta della lingua. - Puoi essere sincera, non hai nulla da perdere. -
    « Scusa, sono stato precipitoso, in fondo sono praticamente uno sconosciuto. »
    « No, non preoccuparti. Sono contenta di rivederti. » Mise il bicchiere da parte e allacciò le mani in grembo. Fece un respiro profondo e finalmente lo guardò dritto negli occhi. Noel non aveva detto una parola, eppure lesse solo genuina felicità nella sua espressione. I tratti rilassato del viso, il sorriso spontaneo, la postura spavalda, la parlantina a briglia sciolta. Non vide niente di artefatto.
    « Noel, so che è una domanda strana, però vorrei sapere se... Insomma, sei venuto fin qui e... » Ed era strano che l'avesse fatto per lei. Evelya era un numero sulla pagina della band. Una sconosciuta. Noel invece le riempiva la testa da quella fatidica sera, solo pensarlo bastava a scaldarle il petto. Se avessero messo i rispettivi sentimenti su una bilancia, il piatto della ragazza avrebbe subito toccato terra.
    « Perché io? » chiese infine, in un sussurro incerto. Attese immobile, stropicciando la gonna nei pugni serrati. Lo stava implorando di dire la verità, di darle un pizzicotto per farle capire che no, non stava sognando. Aveva le stesse possibilità di chiunque di condividere un tavolino al bar insieme a lui. « O forse qualcuno che conosci studia qui e ci siamo incontrati per caso? Mi sembra assurdo che tu... per me, che non c'entro nulla con... ».
    Si sentì una completa idiota, ed affondò il viso nei palmi aperti con uno sbuffo esasperato. Nessun ragazzo le aveva mai chiesto di prendere un caffè. Aveva fama di essere la prediletta del professore più influente della scuola, non ci si arrischiava a chiederle di uscire. Per quanto ne sapeva i genitori ed Azarel erano legati da una sorta di patto che la includeva, peccato che non ne conoscesse i dettagli. Il professore gravitava attorno alla casa dei Sadalmelik da quando Evelya aveva poco più di dieci anni, proponendosi come insegnante privato già all'epoca. Nonostante il tempo passato insieme conosceva solo il lato "scolastico" di lui, e non le piaceva.
    Riportò le mani a tormentare la gonna, lo sguardo rivolto al bordo del tavolo. « Scusa, non so che mi prende. »
    Ed era vero. Le sembrava di aver dimenticato le buone maniere ed il contegno, come se quella parte del suo carattere, costruita tanto duramente, stesse cadendo a pezzi.
    Non vide l'occhiata gelida di Azarel, passato fugacemente dal corridoio, né si preoccupò della vibrazione del cellulare all'arrivo di un messaggio che avrebbe reso quella giornata ancora più destabilizzante.

    - Possiamo cenare insieme stasera? Devo discutere con te di alcune cose. -

    Cain
    Puntò la preda con la precisione di un falco. Era strano, ma a Cain sembrava di captare la presenza di quel ragazzo esile e schivo come un sensitivo. L'aria attorno a lui cambiava in presenza di Abel, si faceva elettrica, gli pungeva la pelle. Non appena lo vide deviare in mezzo al via vai di studenti, probabilmente per far perdere le sue tracce, il rosso scattò in piedi ed imprecò sottovoce. Doveva concedergli un rifiuto più esplicito di una porta sbattuta in faccia. Gli aveva letto un conflitto interiore negli occhi, poco prima. Se poteva aggrapparsi a qualcosa - qualunque cosa - per attirarlo nella sua direzione l'avrebbe fatto. Tagliò attraverso un sentiero sterrato tra gli alberi del giardino e gli si parò davanti con un sorriso vittorioso, impedendogli ogni tentativo di fuga.
    « Non ci provare, vinco sempre a questo gioco » disse, muovendo il primo passo verso di lui.
    « Guarda, non è il momento. »
    « E' sempre il momento per me » lo rimbeccò, alludendo a qualcosa che non c'entrava affatto con il chiacchierare insieme. Gli sembrò più indisposto della sera in cui l'aveva conosciuto, rigido come un pezzo di legno e molto, molto nervoso. Conosceva alcuni modi per scaricare la tensione, peccato che non fossero nel mood giusto. Pensò di proporglielo, ma si diede un contegno appena captò i segnali che quegli occhi burrascosi gli mandavano da sotto le ciglia chiare. Un abbraccio, allora? Nah, ci teneva alla sua incolumità. Arrivò ad un soffio di distanza da Abel, che si ostinava a guardare per terra.
    « Di solito sbatti la porta in faccia a tutti quelli che ti piacciono o sono un caso speciale? Comunque la mia risposta è sì, possiamo iniziare uscendo questo weekend e poi si vedrà. »
    Niente, non abboccava proprio. Che gli fosse successo qualcosa? Aveva suonato divinamente a lezione, senza sbavature. Certo, il loro professore sembrava un gran pezzo di merda, eppure Abel non pareva il tipo di studente succube degli insegnanti. Si abbassò per guardarlo in viso, così vicino da potergli strappare un bacio, e fu allora che il ragazzo esplose.
    « Senti, ti prego, smettila. Se riesci a non flirtare per cinque minuti filati possiamo essere amici. »
    Cain abbassò subito le orecchie, come un cane ripreso dal padrone, e borbottò delle scuse non troppo sincere finché lo seguiva obbediente fino ad una panchina. Si erano allontanati dagli studenti, c'era molto più silenzio in quell'angolo del cortile. Fece per sedersi accanto a lui, ma deviò all'ultimo secondo per mettersi sul lato più assolato, impaziente di poter parlare di nuovo. D'altronde ogni sua frase era un rimorchio bello e buono, non poteva far altro che aspettare. Gli prese un tic nervoso alla gamba, ed iniziò a picchiettare le dita sul ginocchio a ritmo dei secondi che scandiva in testa. Pendeva dalle labbra di Abel, nel senso letterale del termine. Quella ricerca di intimità aveva acceso nuove speranze in lui, e nuove idee su come passare il tempo insieme. Restava solo da capire cosa l'avesse urtato tanto in quella scuola di snob. Potevano risolvere insieme qualsiasi problema e limonare come i giovani innamorati che erano per dimenticare tutto. A quanto era arrivato? Abel lo beccò mentre controllava l'ora sul cellulare, e fece un sorrisetto furbesco.
    « Stai davvero contando i minuti? »
    « Meno due e trentacinque. »
    Quasi gli faceva tenerezza. Non aveva la minima idea di quanto potesse rivelarsi tenace. Cain credeva nel colpo di fulmine, in quella freccia che ti colpiva in mezzo agli occhi e ti rendeva cieco a qualsiasi altra cosa. Era solito prendere le vittime per sfinimento, anche a costo di farsi odiare, e così sarebbe stato. Sentiva che tra loro poteva esserci qualcosa, che i contrasti dei due avessero le potenzialità per diventare un cocktail esplosivo di passione. Gli prudevano le mani.
    « Come avete fatto ad entrare qui? Siete riusciti addirittura ad eludere il personale, non male »
    « Mh? Ah, sì. Una vecchia conoscenza mi ha recuperato le uniformi. »
    « Non avevi affatto pensato che avreste potuto
    cacciarvi in un guaio serio? »

    « Sinceramente no, sai, pensavo ad altro. Ops. » Si mise una mano sulla bocca dal momento che mancava ancora meno di un minuto, simulando un'espressione dispiaciuta. Appena Abel volse gli occhi stanchi verso di lui un brivido gli percorse la schiena.
    - 45, 44, 43, 42... -
    « Sei fin troppo impulsivo per i miei gusti. »
    « Ma non mi dire. »
    « E confusionario. La batteria ti si addice perfettamente. »
    Non seppe se prenderlo come un complimento o come un insulto. Abel era molto schietto, nel senso più cinico del termine, anche se non pareva avere intenzione di attaccare briga. Era sfinito, probabilmente se ne sarebbe andato presto. Scivolò in modo impercettibile verso di lui appena finito il conto alla rovescia, percependo di nuovo quella sensazione di elettrostaticità. Forse veniva dai suoi occhi, che erano un'eterna tempesta di nubi e lampi fugaci. Intravide delle sfumature azzurre che lo intrigarono. Abel era un concentrato di dettagli bellissimi.
    « Grazie tante, sono fiero di essere un casinista » ammise infine con orgoglio, una mano sul petto e l'altra casualmente buttata sullo schienale della panchina. Guadagnò altri centimetri.
    « Come va con la tua band? »
    « A meraviglia. Ci stiamo facendo conoscere in zona e abbiamo già tre concerti programmati. Speriamo di tirare su qualche soldo con i festival di quest'estate. »
    Il braccio ora circondava Abel, seppur senza toccarlo. Era finito nella sua rete, ma Cain attese a stringere la morsa. Allargò le gambe e si stese per prendere più sole possibile, guardando le fronde degli alberi sopra di loro. Doveva apparire calmo e disinteressato, circumnavigare il malumore dell'albino fino a comprenderne la causa e poi offrirgli la miglior soluzione.
    « Quindi il pianoforte, eh? Devi essere un cazzo di genio per studiare qui. Non ho capito che avesse da urlare il tuo professore. » La St. Ripley non accettava tutti i ricchi, solo quelli talentuosi. Da lì uscivano compositori e cantanti lirici che facevano il giro del mondo, come era stato per la sua ex. Ancora una volta rifletté su quali punti d'incontro potessero trovare, perché con la musica non c'erano proprio.
    « Lo suonavo anche io da piccolo, solo che gli mancavano dei tasti e non ho mai scoperto che rumore facessero. » Lo guardò di sbieco, con un ghigno. « Magari puoi farmeli sentire tu, qualche volta. »
    Mostrò il display del cellulare, dove un timer segnava 00:00. Avrebbe dovuto chiedere più di cinque minuti per liberarsi di lui.
    « Non ci sto provando, è solo curiosità. Se non sei già impegnato, ovviamente. » Impegnato con una ragazza altrettanto dolce o un ragazzo a cui piacevano i tipi difficili. Poteva attirare entrambi gli estremi.
    - Dio, se mi senti fa che sia single perché ho promesso di non prendere a cazzotti nessuno per quest'anno. -
    Non voleva tutto subito, gli bastava un assaggio. Un piccolo morso per capire se fosse il suo genere, se fossero compatibili nonostante gli screzi degli incontri precedenti. In nessuno dei due casi si erano trovati in un posto tranquillo dove poter dialogare in pace, e Cain era parecchio su di giri dopo i concerti. Aveva bruciato la fatidica prima impressione, difficile risalire da lì. Invitarlo ad un altro live significava ripetere una brutta esperienza, però. Lasciare Abel in mezzo al casino, tra gente sudata e sbraitante, l'avrebbe certamente indotto alla fuga.
    Dopo un istante di riflessione si decise.
    « Sai, facciamo le prove in una sala qua vicino, praticamente ogni giorno. Se ti va puoi tenerci compagnia, e poi usciamo a mangiare qualcosa tutti insieme. » Ci tenne a specificarlo in modo che si sentisse a suo agio, o quantomeno non incastrato in un appuntamento. Doveva andarci cauto con lui, o sarebbe fuggito al minimo movimento brusco.
    « Se porti anche la tua amica Noel ti fa una statua, sicuro. In ogni caso è solo una proposta, puoi rifiutare e non me la legherò assolutamente al dito. » Il sorriso sardonico che seguì la fece passare come una minaccia, più che altro, e sotto sotto lo era.

    Izar
    Non si definiva uno sportivo, ma sul tavolo di air hockey ci aveva lasciato sudore, sangue e lacrime - in senso figurato. - Se in palio ci fossero stati un mucchio di soldi, tanti da sistemarsi per sempre, non avrebbe comunque giocato così bene. Aveva combattuto per l'unica risposta che valeva davvero, e ora ne usciva vittorioso. Fece un inchino teatrale al pubblico invisibile, negando la rivincita ad Altayr dopo che la sua superiorità era stata confermata più e più volte. « C'è dignità anche nel saper perdere. »
    Incassò il colpo al braccio con un sorrisone trionfante, gonfio d'orgoglio, e si stranì nel vedere altri gettoni in mano alla ragazza. Quel calvario pareva non finire mai. « Per stavolta ti accontento, ma questi punti me li segno. E adesso vediamo chi ammazza più zombie. »
    Nel passarle accanto le diede una spallata leggera, niente a che vedere con quelle che piazzava a Noel o Cain, e prese posto davanti allo schermo con due pistole giocattolo, appropriandosi di quella rossa e lasciandole la blu. Era una vecchia tradizione, una cosa solo loro. In quella sala giochi ci buttavano le giornate dai tempi delle medie, e l'unica costante in tutto quel tempo era solo l'amicizia che li legava.
    - Che parola orrenda - pensò amaramente Izar, sparando sulla parola play.

    Scaricare la tensione su degli zombie, se non altro, lo aiutò a pensare con più razionalità. Se Altayr avesse voluto rifiutarlo sarebbe successo molto tempo prima. Non avrebbe avuto senso temporeggiare così, al solo scopo di buttare soldi in sala giochi. Quindi poteva escludere un "no", ma c'erano sempre i "forse" e i "vedremo" dell'incertezza. C'era sempre Kevin che le girava attorno, svariati fan tra cui scegliere, altre opzioni.
    Mentre scriveva i punteggi finali su un foglio strappato dal quaderno di matematica, - una vittoria di appena due punti per lui - iniziò a sentire la tensione farsi palpabile. Era pronto a quasi tutto, come se le delusioni fossero diventate abitudine.
    « Ti odio, profondamente. La prossima volta non avrò nessuna pietà. »
    « Certo, certo » disse lui, per nulla impressionato, con il cellulare sotto mano a recuperare i messaggi del gruppo. Gli sfuggì un gemito quando la ragazza lo colpì allo sterno, e la dichiarazione seguente si prese un altro po' del suo ossigeno. Che cosa voleva chiederle? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, impossibile dirle di no. Che fosse qualcosa di strano, tipo rapinare una banca? Il suo sguardo, solitamente inespressivo, si accese d'interesse.
    « Mi sottovaluti, come al solito » mormorò, spostando l'attenzione dal viso di Altayr al semaforo dall'altra parte della strada. Non ragionava bene a pancia vuota, meglio puntare al fast food.

    « Allora, passerotto, quando sarebbe questo concerto? Spero vivamente che tu abbia preso i biglietti per il parterre»
    Izar si bloccò sulla prima striscia pedonale, voltandosi con la lentezza di una moviola. Aggrottò le sopracciglia, come a volersi concentrare su ciò che aveva appena sentito. Allucinazioni uditive? Da sobrio? Strano.
    « Che? »
    « Hai un capito che è un sì, vero? »
    « Uh... okay. » Che fine avesse fatto il suo vocabolario non seppe dirlo. Anche articolare le parole gli riusciva difficile, mentre sbatteva gli occhi incredulo. Rimase congelato sul posto finché Altayr non gli rifilò una gomitata, e scoppiò così la sua bolla di confusione. Era un sì, cazzo. Ringraziò di non poter vedere il suo stesso sorriso ebete in quel momento, doveva essere ridicolo.
    « Saremo solo io e te, non è che è una specie di appuntamento? »
    « Il piano era quello » confermò, concentrato su ogni minima reazione dell'altra. No, non stava bluffando. Si diede mentalmente il cinque e trotterellò allegro dietro ad Altayr dopo la proposta di mangiare insieme. Quella leggerezza che sentiva ai piedi era molto simile all'ubriachezza, la gioia spensierata di non esserci con la testa.
    Entrarono nel pub ed Izar la aggiornò sul concerto e la serata degli OLN a Lancaster, con lo stesso entusiasmo ed un sorriso da scemo perennemente incollato in faccia. Okay, anche l'hype era autentico. Un altro punto per lui.
    Guardò distrattamente la lista di panini, rileggendoli più volte per la totale mancanza di concentrazione.
    « Hai scelto? Sto andando alla cassa ad ordinare ».
    Focalizzò l'attenzione sulla scritta hamburger di manzo e salsa chili e lì puntò il dito, aggiungendoci una birra scura a completare il tutto. Che importanza aveva, comunque? Non avrebbe distinto nessun sapore visto lo stato catatonico in cui versava. Avrebbe potuto mangiare manciate di sabbia e non sentire la differenza. Vista l'intenzione di Altayr di ordinare per entrambi - e la sua rinomata cocciutaggine - non protestò, dicendole che avrebbe cercato un tavolo nel mentre. Le rifilò anche un vecchio scontrino trovato nel fondo della tasca che aggiungeva uno sconto all'ordine, oltre a quello già in possesso della ragazza. Magra consolazione vista la voglia di offrirle il pasto, peccato che non gli concedesse mai di fare l'uomo della coppia.

    Izar si lasciò cadere sulla prima sedia libera, praticamente sotto al mega schermo che a quell'ora faceva passare le notizie. Un pessimo presagio di maltempo nelle settimane successive, nuovi blocchi stradali, l'inaugurazione di un centro commerciale e altri casi di molestie nello Scotch Quarry Park. Ottimo, ci passavano anche spesso da lì.
    Ringraziò Altayr per il panino e lo addentò pochi secondi dopo l'avviso della ragazza, rimanendo a bocca aperta finché il calore gli ustionava la lingua. Si fece aria con la mano a ventaglio, gli occhi lacrimanti e tante imprecazioni poco chiare. Afferrò subito la sua birra e la scontrò con quella di lei, trangugiando il liquido fresco per spegnere l'incendio.
    « Brindiamo alla speranza che Noel e Cain non ci tengano fino a tarda notte nello studio a parlare di quanto belli siano quei due ragazzi incontrati ieri al Black Dog. ».
    « Li avevo già scordati. Pensi che facciano sul serio? Perché sembravano molto diversi dal nostro solito pubblico. »
    Andava bene espandere la cerchia di fan anche tra le classi più agiate, per carità. E magari con amicizie influenti sarebbero arrivati lontano senza spaccarsi la schiena e rinunciare al tempo libero, per non parlare dello studio. Izar ci teneva a finire la scuola con voti dignitosi. Lo doveva al padre adottivo, una specie di rivalsa sulle persone che non gli avevano mai dato la minima fiducia. Altayr gli metteva i bastoni tra le ruote in questo senso, vista la picchiata del suo Q.I. ogni volta che si avvicinava, gli parlava un po' troppo vicina, mandava un messaggio con mille sottintesi nel mezzo di una sessione di studio eccetera.
    « Vuoi un morso? ».
    Di cosa? Ah, il panino. « No grazie, devo finire di lottare contro il mio. » Rispose a bocca piena, ancora lacrimante per il caldo e la salsa chili. Ne sentì il bruciore sull'angolo della bocca, ma non ci arrivò mai.
    Altayr, senza nessun riguardo per la sua tachicardia, lo ripulì con l'indice, portandolo poi alle labbra. Non seppe dire cosa lo avesse trattenuto dal rispondere a tutti gli stimoli che il cervello gli stava mandando: una vocina gli suggeriva di morderle il dito, intrappolare il polso, scattare in piedi e trascinarla sul retro, invece rimase semplicemente congelato, fissandola con l'espressione distante di un paziente sotto morfina. Quando si ricordò di avere del cibo in bocca fu troppo tardi. Gli andò di traverso e tossì nel tovagliolo, correndo alla birra per calmare gli spasmi. Al ragazzino alla cassa non era sfuggita la scena, e se la rideva sotto i baffi.
    « Ma che cazzo fai, sei impazzita? » tossicchiò, riprendendo fiato. Per qualche motivo era arrabbiato, in primis con sé stesso per la magra figura. Non capiva proprio cosa ci fosse di sbagliato nel fare certe cose con lui, agiva e basta, come se ogni tocco non fosse una scarica elettrica sui nervi. Stavolta schivò la gomitata e si alzò in piedi per ordinare un'altra birra, stritolando nel pugno quella vuota.
    - Adesso che problema ho? Non è il momento di fare il lunatico. -
    Stavano succedendo troppe cose, troppo in fretta. Accettava un appuntamento, gli ripuliva la bocca, e poi cos'altro doveva aspettarsi? Sperò davvero che non fosse tutto un gioco a chi tirava più la corda.
    Ignorò la vibrazione del cellulare in tasca, perso in mille ragionamenti, e quando tornò al tavolo Altayr stava leggendo qualcosa sul suo. Posò in modo non molto delicato la lattina tra loro e liberò un lungo sospiro alla ricerca della compostezza perduta.
    « Rosso numero uno ci ha ricordato che abbiamo un pomeriggio da trascorrere a spettegolare anziché suonare tutti insieme. »
    « Per fortuna ho già bevuto. Andiamo, c'è il bus tra un quarto d'ora. » Il tono non era esattamente allegro come avrebbe voluto, si sentiva ancora una nota di risentimento. Sperò che la ragazza non ci facesse troppo caso, abituata ai suoi sbalzi d'umore.
    Trangugiò la lattina in fretta e si caricò lo zaino su una spalla, uscendo sulla strada più trafficata in prossimità dell'ora di punta. Rimase in silenzio fino alla fermata dell'autobus, mormorando monosillabi di tanto in tanto con gli occhi persi verso un punto distante. Come si aspettavano il mezzo era pieno di persone che uscivano da uffici e negozi della zona, e dovettero farsi strada a spintoni. Izar trovò un angolo libero accanto alle porte in fondo dove sarebbe stato facile scendere di lì a poco, e si frappose tra Altayr ed il casino di gente che urtava ad ogni curva, schermandola con la schiena. Messo di fronte a lei, senza possibilità di fuga, non poté far altro che guardarla. Chissà se faceva sul serio, o se trattava tutti gli amici a quel modo. Piantò una mano a lato della sua testa per non schiacciarla quando l'autobus frenò bruscamente, ma era comunque troppo vicino.
    « Non farlo più, per favore » disse in tono cupo, forse troppo basso.
    « Non è uno scherzo con te. »

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

    — ‹ Finally Together Code BY KL › —
  6. .
    CAIN ASRIEL SKRIKER

    Rimase immobile, completamente pietrificato, finché il panico del suo sguardo si rifletteva negli occhi esterrefatti di Abel. Uno scatto e fu subito in piedi, con la bocca nascosta nella piega del gomito e le gambe traballanti come quelle di un cerbiatto appena nato. - E adesso... E adesso? -. Non si era preparato nessuna brillante scusa, perché fino ad un secondo prima era convinto che non gli servissero. Ora la realtà dei fatti era lì, aleggiava tra loro, e non aveva parole. Sentir chiamare il proprio nome ebbe l'effetto di un proiettile in pieno petto, gli tolse quel poco di respiro rimasto e fece un passo indietro, sconvolto dalla sua stessa stupidità. Ovvio che se ne fosse accorto, maledizione. Aveva il sonno leggero e dei dannati sensi di lupo. Quelli come loro non si prendevano alla sprovvista. Mai. Era stato un gesto istintivo, forse addirittura voluto. Forse desiderava che Abel si svegliasse e capisse che faceva sul serio, in modo da mettere fine a quell'inseguimento. Forse doveva uscire a prendere aria.
    « Cos'era - Cos'era quello? ».
    Cain fece per rispondere, ma gli uscì solo un guaito spezzato. Gli prudeva la pelle e i canini si facevano più appuntiti dietro le labbra serrate. Il Black Dog scalpitava per uscire e non sapeva perché. Non sapeva niente. Non capiva niente. Faceva caldo ma sudava freddo. Doveva chiudere la questione prima che il silenzio diventasse una risposta.
    « Perché prima ti metti a metri di distanza da me, e poi mi baci? ».
    Abel era spietato, sconvolto. Non si guardavano negli occhi così a lungo da quando Raphael si era intromesso nelle loro vite.
    « Abel, ascolta. Dammi un attimo, devo - ».
    « Perché ». Lo afferrò per la maglietta e lo ebbe completamente in pugno. Il magnetismo di quelle iridi argentate lo costrinse a non abbassare mai lo sguardo, anche se avrebbe tanto voluto farlo. Si vergognava di sé stesso.
    Inspirò a denti stretti appena Abel lo attirò a sé, poggiandosi sul suo petto con aria sconfitta. Ah certo, lui non capiva un cazzo, invece Cain era padrone della situazione, aveva tutte le soluzioni in tasca. D'altronde era talmente facile ragionare con il fratello così vicino che non poteva essere altrimenti. Mise le mani sulle fragili spalle di Abel per cercare di allontanarlo, eppure non fece nessun tipo di pressione. Rimase con le unghie conficcate nella carne, concentrato sul tenere a bada gli artigli ed un gorgoglio sinistro che gli ribolliva in gola.
    - Respira, Cain. Respira. - si disse, mentre Abel abbatteva ogni barriera ed arrivava dritto al suo cuore con quella risatina disperata, come se fosse certo che si trattasse di uno dei suoi soliti scherzi.
    « Dico sul serio, rischio di farti male » tentò di nuovo, con una voce troppo greve per essere fraintesa. Però non gli stava rispondendo, ed Abel non lo avrebbe lasciato andare. Improvvisamente stavano giocando alle regole del fratello, intenzionato a farlo impazzire.
    « Ti prego, dimmi una volta per tutte cosa sono io per te.
    Almeno mi metto l'anima in pace. »

    Per l'ennesima volta quella notte, spense il cervello. Una mano si spostò dietro la schiena ossuta, l'altra afferrò la nuca e si arpionò ai capelli bianchi, costringendo Abel ad incontrare la sua bocca. Era così tante cose per lui. Il sole del mattino, la luna piena, l'ossigeno nei polmoni, l'appiglio quando rischiava di cadere. Dimenticò l'abituale delicatezza con cui lo toccava di solito, spingendolo contro il materasso che odorava di entrambi. « Sei... sei tutto » disse con il fiato corto, tra un bacio e l'altro, per permettere ad entrambi di riprendere aria. « Sei quello che ho sempre voluto, ma non potevo avere. »
    Gli sfilò la maglietta del pigiama con uno strattone impaziente, e nemmeno ricordando la medicazione sullo stomaco riuscì a darsi un contegno. Non ci vedeva bene, il campo visivo era sfocato attorno alla faccia arrossata di Abel, come se lui fosse l'unica cosa importante. Erano appena emersi gli occhi del Black Dog, quelli fatti per la caccia, fissi sulla preda ingabbiata sotto al ragazzo. Lo voleva divorare, e con quella precisa intenzione ne assaggiò il sapore, facendo scorrere la lingua dallo sterno fino al collo, sulla giugulare, dove chiuse i denti quel tanto che bastava per lasciare il segno. Poteva fare qualsiasi cosa. Ormai era uscito allo scoperto, nessuna scusa a giustificare le sue azioni. Rimase sospeso sopra le labbra di Abel, guardando il capolavoro che era.
    « Senza di te posso anche morire. »
    E per evitare un rifiuto scese nuovamente su di lui, avvinghiato a quel corpo fragile che lo scaldava come un incendio.
    Aveva rovinato qualcosa coltivato con cura per anni, che non sarebbe mai più tornato come prima. Loro non erano gli stessi ragazzi entrati in quella casa di campagna la mattina stessa, né quelli che litigavano al quartier generale. Erano qualcosa di nuovo su cui nessuno avrebbe mai scommesso.

    Omega Black Dog | 19 y/o | Eye of the Future
    Clueless Dogs code by KL | vietata la copia anche parziale
  7. .
    Izar, Evelya, Cain.
    "In the space between chaos and shape there was another chance."

    Evelya

    Ad Evelya tremavano le mani mentre rimetteva il cellulare in cartella. Noel era contento che gli avesse scritto, così come lei era contenta di aver ricevuto una risposta subito dopo le minacce dell'altro amico, che avevano giustamente urtato l'umore di Abel. Guardò preoccupata il suo volto corrucciato, sbagliando così la prima strofa. Conosceva benissimo quella canzone, l'aveva ripetuta più e più volte per il solo gusto di farlo, perché ne amava le parole ed il suono nelle orecchie, ma le pareti dell'aula sembravano averla imprigionata. L'atmosfera era davvero pesante, e non a causa dei tre ragazzi.
    Azarel picchiò la bacchetta da direttore d'orchestra sullo spartito, che vacillò come la voce di Evelya. Lei fece un cenno di scuse e bevve un goccio d'acqua, fingendo che il problema fosse la gola secca. La presenza di altri studenti, ammucchiati sulla porta d'ingresso, la fece trasalire. Era prassi comune sbirciare le esibizioni altrui, eppure Evelya aveva una paura tremenda di cantare in pubblico da solista. Di solito si nascondeva all'interno di un coro, protetta da altre voci molto più incisive della sua.
    Inspirò a fondo, dando le spalle ai presenti per non farsi condizionare troppo. Davanti a sé stavano solo Abel e Raphael, in stagnante attesa che il professore abbaiasse un ordine. Doveva farlo per loro. Sarebbero stati valutati al concerto dell'equinozio di primavera con voti veri, quindi non c'era tempo per la timidezza.
    "Dreams are like angels, they keep bad at bay.
    Love is the light scaring darkness away."

    Intonò i primi passaggi a voce troppo bassa, che corresse dopo un'occhiataccia di Azarel. L'insegnante le aveva suggerito di cambiare alcune strofe in modo che il brano si adattasse meglio ad una funzione religiosa, togliendo qualsiasi riferimento all'amore passionale e sacrilego di cui lei raccontava. In quel momento Evelya non ricordava nessuna correzione.
    Alzò il mento, drizzò la schiena e si fece forza, proseguendo in modo che tutti potessero sentirla.
    "I'm so in love with you. Make love your goal."
    Non permise ad Azarel di interromperla, non ora che aveva ripreso le redini della canzone. Sentì che anche Abel si era rimesso in gioco, dato che la seguiva senza difficoltà ed eseguiva ogni nota alla perfezione. Il violino di Raphael graffiava insieme ai tasti del pianoforte, un rumore affilato quanto il suo sguardo, diretto alla porta d'ingresso. Nessuno dei tre amava stare al centro dell'attenzione, del resto, anche se nulla impediva agli studenti di assistere.
    Sussurrate le ultime strofe, Evelya tirò un sospiro di sollievo finché alle sue spalle si levavano dei mormorii di assenso. Il professore era immobile come una statua, visibilmente adirato, e la sovrastava con la sua figura allampanata, non soddisfatto quanto lei o il piccolo pubblico. Fu da lì che si udì un commento, un "wow" che fece voltare tutti e quattro all'unisono.
    Evelya perse voce e stabilità delle gambe insieme mentre le guance diventavano paonazze dall'imbarazzo. Quindi non era una bugia. Noel si era davvero infiltrato nella scuola per cercarla e adesso se ne stava in prima fila ad esultare, chiamandola a gran voce. Si sentì svenire appena le fu davanti, vestito come un qualsiasi studente con i soli piercing a tradirlo. L'aula si riempì di luce appena le sorrise.
    « Noel... » bisbigliò, gettando occhiate incerte all'insegnante e ad Abel, pronto a fuggire. Stava sognando, non c'era altra spiegazione. Solo in un sogno avrebbe potuto sentire Noel farle dei complimenti.
    « Senti, mi dispiace per quel messaggio, Cain è un coglione. »
    «Un... cosa? »
    « Un imbroglione. »
    Azarel si schiarì la voce un po' troppo forte e Raphael abbandonò il violino per accostarsi all'invasore, interrompendo la marea di proposte che stava rivolgendo alla giovane circa l'andare a prendere un caffé insieme.
    Evelya era stordita, incapace di formulare frasi coerenti. Se ne stava ad osservare esterrefatta Noel, sbattendo le palpebre come se si trovasse di fronte ad una luce accecante. Il ringhio di Raphael la colpì al pari di un ceffone, ricordandole dove si trovava e con chi.
    « Fammi sapere, il mio numero ce l'hai » disse il rosso a mo' di saluto, per nulla intimidito dalla presenza infausta del violinista. Evelya avrebbe voluto fermarlo, dire qualsiasi cosa che rimpiazzasse la penosa scena muta appena fatta, e invece a mettere la parola fine ci pensò Raphael, con la sua proverbiale gentilezza. Se l'era presa con una seconda chioma rossa - il batterista? - prima di sbattere la porta dell'aula in modo che il concetto "smammate" fosse chiaro. Persino Abel intervenne una volta riconosciuto il ragazzo pieno di tatuaggi, ansioso di vederlo sparire oltre la porta.
    « Abel, che succede? » gli domandò, tirando appena la manica della divisa. Tra lui e Raphael passava una corrente d'aria gelida, alimentata dal malumore del professore. Sul fatto che quel ragazzo fosse impudente e sfacciato non ci pioveva, ma di solito l'albino ignorava certi soggetti. Non sprecava fiato ed energie per respingerli in modo così crudele.
    Evelya attese che Raphael prendesse le distanze prima di parlargli sottovoce.
    « Fai una pausa, ti copro io. » Sapeva molto poco della relazione tra lui ed il violinista, e quel poco bastava per intuire che ci fossero dei problemi irrisolti. Erano entrambi testardi e poco inclini al dialogo, d'altronde. Gli avrebbe fatto bene uscire a prendere una boccata d'aria e distanziarsi dalla negatività di Raphael per qualche ora. Ne avrebbe approfittato anche lei, giusto in tempo per un caffè iper zuccherato di metà mattina ed un messaggio.
    Finse di cercare qualcosa in cartella mentre armeggiava con il cellulare, riaprendo la conversazione con Noel.
    Sto andando alla caffetteria del primo piano. Prendiamo qualcosa insieme?
    Attese parecchio prima di inviarlo, finché Azarel non le fu accanto. Quel che era fatto era fatto. Aveva appena accettato di uscire con un ragazzo pieno di follower che con lei non c'entrava proprio nulla, tenendo conto che Noel aveva sfidato l'ira di una scuola intera per trovarla.
    « Evelya, sono preoccupato per il tuo rendimento » iniziò il professore, usando il banco della ragazza come appoggio. Notò con apprensione che erano rimasti soli nell'aula. « Quella canzone non piacerà al consiglio studentesco, e vorrei che uscissi da qui con il massimo dei voti. »
    Era anche il desiderio dell'intera famiglia, che da anni produceva artisti di fama internazionale. Beh, fino a quel momento: dei quattro figli solo due, Evelya e Zachary, avevano intrapreso la carriera musicale.
    « Scusi, non ricordavo più le strofe... deve essere la stanchezza. »
    Puntò dritta al suo animo di Guardiano, che doveva mettere davanti a tutto il benessere della pupilla assegnatagli. Vide l'espressione contrita di Azarel addolcirsi di colpo, e seppe di aver vinto.
    « Vado a bere qualcosa, se non le dispiace. »
    « Certo che no. Vuoi che ti accompagni? »
    « No, non serve! » replicò di getto, forse con troppa foga. Prima che il professore si insospettisse prese sottobraccio la cartella e puntò alla porta, finalmente libera da quell'atmosfera opprimente. Perché stava correndo, comunque? Non aveva i minuti contati. Nessuno la inseguiva. E il batticuore doveva essere frutto di quello sprint improvviso, senza dubbio.

    Con un bicchiere di carta tra le mani, Evelya prese posto accanto ad una delle grandi vetrate della caffetteria. Non bevve nemmeno un sorso di caffè. Cambiò posizione sulla sedie per tre volte, chiuse e riaprì l'applicazione dei messaggi, si alzò per prendere dell'altro zucchero e infine premette entrambe le mani sulle guance, preda del panico più totale. Non poteva averlo fatto davvero. Lei non interagiva in quel senso con i ragazzi. Ne conosceva pochissimi, faticava a capirli, però aveva abboccato immediatamente all'amo di Noel. Instagram le restituì una foto del cantante con il viso premuto nella pelliccia folta di un labrador. Aveva così tanti like da spaventarla.
    - Non è niente. Prova a parlarci, si renderà subito conto di quanto tu sia noiosa e tanti saluti. - Provenivano da pianeti diametralmente opposti, ed il suo sembrava molto più vivido di quello in cui la biondina era cresciuta. Avrebbe voluto farne parte, ma come?
    Mise un cuore sulla foto e sospirò, scorrendo in giù con aria sognante in attesa di una vibrazione del cellulare.

    Cain

    Sul finire dell'esibizione Cain dovette passarsi il dorso della mano sulla bocca per controllare che non ci fosse alcun rivolo di bava. L'albino era così bello da far male, ed altrettanto irraggiungibile. Aveva un aspetto solenne mentre suonava al pianoforte, come una creatura ultraterrena scesa sulla Terra per gentile concessione di Dio. Abel era una palette di colori burrascosi, tra il grigiore degli occhi, la pelle ed i capelli chiari ed i toni blu scuro della divisa. Sembrava voler passare inosservato, ma gli riusciva malissimo.
    « Cazzo, Cain, è vera? » chiese Noel, altrettanto ipnotizzato da quel pezzo di cupcake che canticchiava una canzone strappalacrime.
    « No, siamo in due con le allucinazioni. »
    E dire che non era nemmeno il suo tipo. Di solito puntava a giovani fanciulle fanatiche del punk-rock, qualcuna che lasciasse sulla sua pelle segni di rossetto, graffi, morsi, cose che sarebbero sparite con la facilità con cui lui le dimenticava. Che fosse la purezza del ragazzo ad attirarlo? La voglia di fargli provare l'ebrezza della trasgressione? Probabile. Ed era lì per esaudire quel piccolo desiderio.
    Noel fece il primo passo a canzone terminata, sprezzante del pericolo come al solito, lanciandosi nella gabbia dei leoni per andare a salutare la sua bella. Ovviamente i principini non gradirono quell'incursione, a cominciare dal violinista altissimo ed incazzato. Non lo conosceva e gli stava già sulle palle, magnifico.
    S'illuminò appena Abel giunse alla porta, tutto occhiatacce e labbra contratte, proprio mentre i due rossi optavano per una ritirata tattica. Ficcò le mani in tasca per non correre il rischio di abbracciarlo e gli sorrise raggiante, convinto per un attimo che si fosse avvicinato per salutare.
    « Vattene » disse invece, lasciandolo spiazzato davanti ad una soglia sbattuta in faccia. Ci mise un po' ad elaborare il rifiuto esplicito dell'albino, e a messaggio ricevuto diede un calcio alla porta che fece scricchiolare il bel legno bianco. Voleva almeno una possibilità, che diamine. Noel se ne stava lì a blaterare come una teenager delle riviste e l'altro tornava a casa a pancia vuota? No, neanche per sogno.
    « Ci facciamo un altro giro o devi aspettare il tuo coso? »
    « Lo aspetto al varco. Non ho finito con lui. »
    Prima o poi sarebbe uscito, meglio approfittare della divisa per avvicinarlo in quel lussuosissimo posto, stravaccato su una panchina del cortile che a momenti era più comoda del suo materasso. Ne approfittò anche per rendere gli Elysian partecipi della figuraccia di Noel, e scrisse sulla loro chat comune:
    Da oggi non abbiamo più un cantante, ma un organista.
    Ridacchiò fra sé con lo sguardo rivolto all'ingresso, scandagliando ogni studente che passava nella speranza di beccare il suo nuovo futuro ragazzo.

    Izar

    Si rigirò nel lettino dell'infermeria finché non trovò una posizione comoda e prese a sonnecchiare, grato che non vi fosse il minimo rumore. Per una band come gli Elysian il silenzio era pressoché sconosciuto: nella sala prove, al bar, sull'autobus, durante il lavoro, la musica era una costante. Ce n'era sempre tanta, e ad alto volume. Izar non se ne separava mai, ma in quel momento gli avrebbe dato fastidio. Persino la suoneria del cellulare gli urtò i nervi, così come il messaggio di Noel che lo invitava caldamente a non saltare le prove. Che male poteva fargli un giorno di pausa? Ah, giusto, nel fine settimana avevano un evento insieme ad altri gruppi ed uno shooting fotografico. Ecco perché Cain non perdeva un istante per andare in palestra, doveva essere perfetto per denudarsi davanti all'obiettivo.
    Lasciò cadere il cellulare in cartella e cercò di tornare alla pace dei sensi, almeno finché dei passi leggeri non risuonarono nella stanza.
    Sapeva di chi si trattava. Da parecchi anni aveva sviluppato una sorta di radar che suonava all'impazzata quando Altayr era nei paraggi,cosa che stava accadendo proprio in quel momento. Da bravo codardo si finse morto, non capendo cosa ci facesse lì né che intenzioni avesse. Per un po' si accontentò di ascoltare i loro respiri, quasi in sintonia, conscio dello sguardo della ragazza contro la schiena.
    « Se ti do fastidio me ne vado... Ma sono io, quindi starò qui a romperti le palle. »
    Gli scappò un sorriso nonostante volesse tenerle il muso. Voleva evitarla per non pensare alla delusione imminente, per non pensare a niente. Voleva perfino rivendere i biglietti del concerto su internet, anche se la figura di merda ormai l'aveva fatta. Non si girò, non le diede risposta, fece solo del suo meglio per isolarsi e aspettare che Altayr si stancasse di giocare a quel gioco. Purtroppo sapeva quali tasti toccare, e propose a bruciapelo l'Arcade dove buttavano tutti gli spiccioli delle mance, un rifugio sicuro quando la voglia di studiare era poca.
    « E' da mesi che non mettiamo piede lì dentro. »
    Sì, da quando la fama era cresciuta e stavano richiusi in sala prove 24/7.
    « Se mi batti ad air hockey ti darò una risposta. »
    Sgranò gli occhi e sorrise come un ebete, urlando vittorioso internamente. Voleva scattare in piedi e correre alla sala giochi, spendere le poche sterline ammucchiate nelle tasche per assicurarsi almeno tre partite.
    Era il posto migliore dove scaricare i nervi, ridere, punzecchiarsi, stare vicini con la scusa che alcuni giochi di coppia lo richiedevano e ridere ancora. Ovviamente Altayr aveva scelto qualcosa in cui era brava - più di lui, comunque - per non essere costretta a rispondergli subito. Però aveva considerato la cosa, ed un gioco da tavolo l'avrebbe fatta parlare. Doveva stracciarla una volta per tutte, altrimenti...
    « Se vinco io... Non lo so, ci penso. »
    Il ragazzo sghignazzò, sicuro del risultato ancor prima di iniziare. Ogni briciolo di materia grigia si sarebbe concentrata su quella partita, fanculo ai compiti in classe imminenti e le canzoni da imparare a memoria. Il suo cervello doveva bruciarsi sul tavolo da air hockey fino a fargli sanguinare il naso.
    « Ci stai, Al'Nair? »
    Ora la voce di Altayr era più vicina, quasi a soffiargli sull'orecchio. Un brivido gli percorse la spina dorsale prima che si decidesse a girare la testa verso di lei. Era rosso fino alla radice dei capelli e così serio che non si riconobbe. I loro sguardi si incontrarono ed Izar immaginò di scrivere una canzone su quegli occhi incredibili che lo stregavano ogni volta.
    « Affare fatto. Non vedo l'ora di sapere cosa risponderai. »
    Condividevano lo stesso ghigno strafottente, entrambi determinati a vincere... e forse troppo vicini. Il sorrisetto di Izar vacillò poco a poco mentre la sua testa elaborava una serie di scene: un bacio e uno schiaffo, un bacio e una risata imbarazzata, un bacio che si prolungava e le dita di lui tra quei lunghi capelli scuri. Non poteva buttare all'aria ogni cosa per uno stupido impulso da adolescente. Non si chiamava Noel, o Cain. Era un maestro dell'attesa e aveva una pazienza infinita. - Respira, Izar. Respira. -
    Finì per stropicciarle la guancia e si alzò alla ricerca delle scarpe, notando un sacchetto di carta vicino alla ragazza. Ispezionò il contenuto e rimase incredulo davanti alla vista di due panini.
    « Ma... mi hai preso il pranzo! Ti senti bene? » chiese, pescandone uno. Era il suo giorno fortunato, e gli stava anche tornando l'appetito. Non si vinceva una guerra a stomaco vuoto, d'altronde.

    I due uscirono di soppiatto dal cancello sul retro, quello che usavano i professori per entrare con le auto, in un modo che si ripeteva sempre uguale da cinque anni. Ormai conoscevano la procedura.
    Mangiucchiarono il loro pranzo al sacco fino alla fermata dell'autobus, dove Izar ne approfittò per cercare qualche tutorial di air hockey su Youtube in gran segreto. Purtroppo Altayr era una distrazione continua, e non poté fare a meno di chiacchierare con lei una volta saliti sul mezzo.
    « Hai visto che foto fa quella dello shooting? Non sono male. » Le mostrò il profilo Instagram di una certa Clara, che nel fine settimana avrebbe immortalato la band prima del concerto per piazzarla su una rivista. Finalmente iniziavano ad essere famosi. Chissà, magari avrebbero anche cominciato a pagarli, prima o poi.
    Scorse le immagini di gruppi di ragazzini e ragazzine in abiti strappati, alcuni noti ed altri completamente sconosciuti. Nel mostrarle il cellulare usò la testa della ragazza come appoggio, perché ogni scusa era buona, no? Mai sprecarle.
    « Cain si spoglierà, lo so » disse con aria rassegnata. Tornava tutto a loro vantaggio, per carità, ma non volevano essere ricordati come una boyband di spogliarellisti. Ad ogni modo le fan li adoravano, per non parlare di una buona fetta maschile che metteva mi piace solo alle foto in cui Altayr compariva da sola.
    Izar scandagliava i profili di quei pervertiti come se ne andasse della sua vita.
    « Mi dispiace per te, la mia bellezza ti metterà in ombra » aggiunse alla fine, dandole una gomitata. Era una bugia colossale, non poteva che dirlo ridacchiando. La osservava da quando era una piccoletta insolente e violenta, e già allora gli piaceva da impazzire. Sotto le luci giuste avrebbe fatto un figurone, altroché batterista a petto nudo.

    L'Arcade li accolse con il suo odore di chiuso, le luci al neon sfarfallanti ed una cacofonia di musichette sparate al massimo. Izar gonfiò il petto, pronto a lanciarsi nella battaglia. I tutorial non gli avevano insegnato nulla, i suoi riflessi erano pronti quanto quelli di un bradipo ubriaco ed il panino era servito solo a ricordargli quanta fame avesse in realtà, però la posta in gioco era troppo alta per rinunciare. Poteva uscire con lei, un appuntamento vero, con la a maiuscola, e magari dichiararsi. Magari.
    « Preparati, passerotto. Non ci andrò leggero con te. »

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

    — ‹ Finally Together Code BY KL › —
  8. .
    Cain Asriel Skriker

    C'era un silenzio irreale quella notte. Nel buio della stanza si udivano solo i loro respiri, lo scricchiolare del letto ed il frusciare delle lenzuola. Cain posò un bacio leggero sulla fronte del fratello, accoccolato contro di lui, e capì che il vero silenzio era nella sua testa. Per una volta nessuna preoccupazione lo tormentava, come se fosse stato sollevato da ogni incarico e potesse semplicemente dormire accanto al ragazzo che aveva amato per anni senza mai realizzare che si trattasse di amore. Rimboccò le coperte per tenere al caldo entrambi, mentre Abel scivolava nel sonno ed allentava la presa sulla sua maglietta. Cain si chiese se la felicità avesse quello stesso spettro di emozioni, quell'odore e quel calore, perché davvero poteva toccare il cielo con un dito ora che il fratello gli si affidava anima e corpo, tranquillo e spontaneo come il bambino che aveva conosciuto a Lancaster quattordici anni prima.

    Erano entrambi molto piccoli. Il rosso si esprimeva più a gesti che a parole, ed Abel non parlava affatto.
    Le loro famiglie si incontravano ogni primavera per ricordare i padri scomparsi e far esaminare i figli a Grim, che ne registrava i progressi e controllava il potere tramandato negli occhi dei giovani Black Dog. Cain stuzzicava il nuovo amico, costringendolo a trasformarsi ed inseguendolo per tutto il cortile del collegio tra guaiti ed abbai. Eva Skriker lo rimproverava, Sarah Gytrash lasciava che giocassero e si tenessero compagnia. Ad entrambi mancava un fratello, dopotutto.
    - Se Gabriel fosse ancora vivo non avrei mai incontrato Abel - si ritrovava a pensare. Era il destino che faceva girare la ruota.

    La primavera dell'ottavo compleanno, Cain ed Abel avevano varcato la soglia del collegio insieme, spaesati da tanto movimento ed un numero inusuale di Black Dog. Si tenevano per mano, a testa alta, e Cain ringhiava quando le occhiate dei superiori si facevano troppo insistenti. Ad ogni ringhio Abel stringeva la presa, rimettendolo al suo posto.
    Se non fosse stato per lui l'avrebbero sbattuto fuori in una settimana. Doveva tutto al temperamento controllato del fratello, che gli aveva permesso poi di salire ai ranghi più alti.
    « Quindi vai davvero » gli aveva detto mentre Abel faceva i bagagli, pronto a trasferirsi all'ultimo piano insieme agli altri dignitosi Alpha. I libri complicati che adorava leggere erano già riposti di sopra. Stava liberando un letto che Cain già pensava di buttare, dato che senza il fratello a dormirci non aveva alcun senso. Nessuno poteva prendere il suo posto.
    « Ti aspetto l'anno prossimo. »
    « Contaci. »

    Ma la sua stanza era rimasta vuota l'anno seguente, e quello dopo ancora. Finché l'albino compiva gesta eroiche e riceveva le lodi di Grim l'altro viveva nella sregolatezza, scappando dalla finestra quando le responsabilità divenivano oppressive, lo soffocavano.
    L'unico in grado di calmarlo andava a caccia di fantasmi e demoni ogni notte, possedeva un'innaturale pelliccia bianca e degli occhi così severi da far sentire giudicato persino un santo.
    Oh, e aveva un buon odore.
    Questo dettaglio gli era sfuggito. Lo sentiva fin da piccolo, sapeva di casa e lo dava per scontato. Un giorno ne aveva catturato la traccia addosso a Raphael Mauthe, ed ancor prima di capire il perché, l'Alpha era stato appeso al muro da un pugno.
    Quel cane borioso si era permesso di contaminare Abel, alzare le zampacce su una creatura pura ed innocente che fino a pochi mesi prima viveva in piena simbiosi con lui.

    Ora capiva cosa lo avesse spinto a difendere ciò che sentiva suo.
    Con le gambe di Abel attorcigliate addosso ed il respiro lento a scaldargli il petto finalmente capiva.
    « Abel » chiamò in un bisbiglio, sentendosi rispondere solo un mmm contro la maglietta. Era esausto, ma trovò comunque la forza di aprire un occhio a mezz'asta per guardarlo.
    « Grazie per aver scelto me. »
    Le braccia esili dell'albino gli circondarono la schiena, e Cain si sentì al sicuro, come chiuso tra mura impenetrabili, per quanto quella stretta non fosse né forte né pretenziosa.
    Sorrise nel dormiveglia, immerso nel profumo fresco del compagno, con i capelli bianchi a solleticargli la guancia, e pregò che ogni risveglio d'ora in poi fosse identico a quello, con quella stessa persona avvinghiata a lui.

    19 y/o • Omega Black Dog • Marauder • Sheet

    — ‹ Hellhound Code by KL › —
    don't steal, create!
  9. .
    Izar, Evelya, Cain.
    "In the space between chaos and shape there was another chance."

    Per quanto le indicazioni di Noel fossero ben accette e i due studenti avessero i minuti contati, Evelya non voleva andarsene, anche a costo di mettersi contro l'insegnante, i genitori ed il disonore generale derivante da quella scelta. Voleva sotterrare il cantante di domande - tra cui la data e ora di nascita, a scopo astrologico - per sapere cosa li accomunasse. Le band esercitavano un certo fascino su di lei, che mai ne avrebbe avuta una vista l'accademia che frequentava. Al massimo sarebbe finita nel coro di qualche chiesa molto frequentata, o tra gente dell'opera lirica, secondo il volere della madre. Rise all'affermazione di Noel quando giurò che non avrebbe tenuto d'occhio il cellulare in attesa di un messaggio, così come gli esami passati per un pelo, segno che era davvero devoto ai suoi Elysian.
    - Esami? Oh, buon Dio... Un universitario?! -. Non riusciva ad immaginare cosa potesse studiare un personaggio tanto esuberante, ma adesso era ancora più curiosa. Cantava benissimo, quasi sospettava che provenisse da una qualche Accademia alternativa dove non esisteva l'obbligo della divisa. Persino il fatto che fosse riuscito a fare del canto un lavoro vero e proprio - all'incirca - dimostrava la sua determinazione, vista la difficoltà di farsi spazio nell'ambiente ed avere un seguito così nutrito. Solomon li tallonava da qualche mese, sempre attaccato al cellulare per sbirciare foto o mettere cuoricini lontano dagli occhi giudiziosi della madre, ed Evelya pensò che una volta tanto avrebbe potuto rispolverare i social abbandonati a causa dello studio. Delle foto di Noel erano quello che ci voleva per indurla a scrivergli, e poteva farsi un'idea su che tipo di persona fosse.
    « Ti faccio sapere per il prossimo concerto allora » le disse a mo' di addio, posando una carezza leggera sulla guancia che la lasciò letteralmente a bocca aperta. Si fidava di lei - che non poteva essere più subdola di un bambino di tre anni, parole sue - e la cosa era reciproca. Poteva scrivergli, poteva farcela, anche solo per sapere che università frequentasse, quanti anni avesse, se fosse fidanzato, cose normali da chiedere ad una persona appena conosciuta.
    « Certo, verremo volentieri. Vero A... bel? ». Si sporse per cercare l'approvazione dell'amico, ma tutto in lui gridava "no". Non gradiva le attenzioni del batterista, davvero molto impulsivo per gli standard di Abel e la sua proverbiale freddezza. Anche dopo anni nella stessa classe, lui ed Evelya mantenevano una certa distanza. Non era diverso nemmeno con Raphael, o forse erano entrambi poco inclini a manifestare le proprie emozioni in pubblico. A tal proposito, chissà cos'avrebbe pensato Raphael vedendo quei due insieme, così vicini. Iniziò a temere il peggio non appena il ragazzo attirò Abel in un abbraccio, posandogli un bacio sulla testa con una naturalezza disarmante.
    « Dobbiamo proprio andare » disse a Noel con un cenno di scuse, imbarazzata per la scena appena vista ed il tocco ancora caldo del cantante che permeava sulla guancia. Chiedergli di accompagnarli fino all'auto del professore era pericoloso, anche se avrebbe prolungato la loro chiacchierata di qualche prezioso minuto. Erano stati già abbastanza gentili a lasciare pubblico e palco per scortarli fin lì, dopotutto.
    « Spero di rivederti presto. » Il colpo di grazia, perché sembrava che Noel intendesse davvero quelle parole. Ogni cosa che diceva suonava sincera dal profondo del cuore, gentile o maliziosa che fosse, perciò si fidava di lui.
    « Anche io » riuscì a dire infine Evelya, sorridendo come una sciocca alla prospettiva di infiltrarsi di nuovo tra ragazzine urlanti in un pub.
    Abel la strattonò via prima che gli addii ritardassero l'incontro con Azarel, costringendola a guardare dove metteva i piedi mentre entrambi incespicavano nel buio di una stradina secondaria. Si era fatto molto tardi. Le ore passate ad ascoltare gli Elysian le aveva fatto perdere la cognizione del tempo, ma ci pensò il professore a ricordare ai due studenti le loro mancanze.
    Azarel Emberthorn stava poggiato contro la sua lussuosa auto nera quando arrivarono, aggirando completamente il pub. L'espressione seriosa si distese un poco nel vedere i giovani tutti interi, subito rimpiazzata dallo sguardo accusatorio attraverso le lenti sottili. All'inizio non disse nulla, aprendo le porte ed indicando con un gesto seccato i sedili in pelle chiara, poi, una volta al volante, diede il via a ciò che i due temevano di più. La ramanzina toccò diversi campi: dall'obbligo di uno studente modello di dormire almeno otto ore per migliorare le prestazioni a scuola all'indecenza di vagare per le strade quando il momento della cena era passato da un pezzo, specie se ancora in divisa. Evelya cercò il sostegno di Abel nella semi-oscurità dell'abitacolo, seduta accanto a lui, eppure il ragazzo pareva distante chilometri e chilometri da quel posto, con gli occhi persi oltre il finestrino. Posò una mano sulla sua, un contatto leggero pieno di parole non dette, finché l'auto non si fermò davanti alla grande casa dei Gytrash.
    « Ci vediamo domani » gli disse, con un sorriso d'incoraggiamento. Qualsiasi cosa lo turbasse, ora necessitava di un bel sonno ristoratore. Anche Evelya avrebbe riposato volentieri durante il tragitto in macchina, ma con Azarel così vicino non se la sentiva di chiudere gli occhi. Se Noel era un libro aperto, il professore faceva attenzione a non lasciar trasparire nemmeno la superficie dei suoi pensieri. Dietro ad un banale sì o no potevano nascondersi una marea di significati.
    « Ero molto preoccupato » cominciò l'uomo, adocchiandola dallo specchietto retrovisore. « La tua famiglia ti ha affidata a me. Dovresti dirmi dove vai quando decidi di uscire, per sicurezza. » Dovresti, ma suonava come un comando assoluto che non ammetteva repliche.
    Evelya mormorò delle scuse e fece l'espressione più struggente che le riuscì in quel momento, promettendo che non sarebbe accaduto di nuovo. Manteneva sempre le promesse. Faceva ciò che le veniva detto senza protestare, ma forse per una volta avrebbe infranto le regole.

    • • •

    Quindi il principino non gradiva il punk-rock? Bella scoperta. Diamine, Cain si sarebbe messo a suonare uno di quegli strumenti pomposi da un sacco di soldi pur di compiacerlo. Che fosse ora di studiare il flauto traverso? Poteva pensarci. Nel frattempo osservare le reazioni di Abel era abbastanza soddisfacente, specie perché dietro ogni rifiuto vedeva l'ombra del dubbio: ogni "no" era più un "forse", solo che non riusciva ad ammetterlo. Tipi - e tipe - così toste non erano una novità. Sorpresa sorpresa, alla fine riusciva sempre a portarli fuori e strappare qualche uscita dopo i live. Se le cose andavano davvero bene potevano persino ammirare lo squallore di casa sua prima di finire a letto, ma era presto per dire quanto in la potesse spingersi con l'albino. Ah, giusto, andava ancora a scuola. Marcia indietro, Cain. Era difficile fare promesse dopo il bacio posato su quella chioma morbidissima, comunque. Abel poteva provare quanto voleva a nascondere le guance imporporate. Il rossore si stava propagando fino alla punta delle orecchie ed era a dir poco adorabile, insieme alle imprecazioni non verbali che rimandavano gli occhioni grigi. Lo salutò con la mano finché marciava via, portando con sé la piccoletta e le speranze disilluse di Noel.
    « A quando il prossimo concerto qui? Domani? » chiese il leader, condividendo la tua stessa aria da inebetito.
    « Anche subito. Ma l'hai visto? Mi stava praticamente implorando di portarlo fuori! ». L'unica cosa per cui implorava Abel era una fuga rapida da quel covo di casinisti, lo sapeva, ma sognare non costava nulla.
    « Andato anche tu, eh? ».
    « Puoi giurarci. » Scoprì del giochetto del numero di telefono solo in seguito, una volta tornati dentro a distribuire magliette al popolo, e si congratulò con il rosso per la trovata. Usare la bionda per arrivare ad Abel era una soluzione indolore, molto meglio che setacciare tutte le scuole del paese alla sua ricerca. Strano a dirsi, però, che Noel facesse una cosa del genere. Il cantante era amico di tutte e fidanzato di nessuna, sebbene in passato vi fosse stata qualche fiamma passeggera. Di solito non andava alla ricerca di compagnia, non chiaramente più ricca ed assennata di lui, tra l'altro. Lo sbirciò con la coda dell'occhio buono mentre mollava il merchandising per fare altre foto, spontaneo ed allegro come sempre, e si chiese se le sue intenzioni fossero serie quanto quelle di Cain. Perché per lui la caccia era appena iniziata, ed era disposto a trascinarla fino alla sua completa riuscita, con o senza un concerto a fare da tramite.

    • • •

    Promemoria per Izar: smettere di dare ascolto ai rossi malefici e fare le cose di testa sua. La nuova tecnica non era andata affatto a buon fine, perché Altayr - divertita ed imbarazzata insieme - aveva detto che ci avrebbe pensato. Né sì, né no. Una classica risposta da friendzone. Forse avrebbe dovuto aspettare un altro momento per chiederle del concerto, a scuola o durante le prove, ma sarebbe davvero cambiato qualcosa? Vista la sua fortuna, no.
    « Non fare quella faccia, ti farò sapere. » La buttò sul ridere, mentre il moro si struggeva e sentiva gli angoli della bocca sciogliersi, fino a toccare il pavimento. Gli sarebbe piaciuto avere una reazione più composta e meno disperata, magari con un sorrisone alla Noel come a voler dire che non faceva niente, non era importante. Avrebbe pescato dalla rubrica di contatti un'altra persona altrettanto appassionata al gruppo e voilà, divertimento assicurato anche senza quella meraviglia di nome Altayr, a cui, per inciso, andava dietro dai tempi della prima superiore. Una cosa da nulla, poteva passarci sopra ed uscirne con dignità. « Sei la prima persona che mi è venuta in mente, ma se non puoi pazienza. » Ci aveva solo speso l'ultimo stipendio, anziché comprare un paio di scarpe senza buchi. Per quanto il grazie della ragazza paresse sincero, Izar non si dava pace. Rispose con un cenno del capo ed un sorriso forzato, gettandosi poi nel caos ad allungare magliette ed intascare sterline dalle fanciulle che facevano del simbolo degli Elysian un qualcosa di sacro. I rossi si degnarono di raggiungerli poco dopo, entrambi con un'espressione sorniona che non lasciava presagire nulla di buono. Altri guai in vista, insomma. Quando ci si mettevano loro le cose potevano farsi molto complicate, perciò sospettò che avrebbero rivisto presto i principini tra il pubblico di tigri affamate. Un bell'impiccio, soprattutto perché gli era sembrato che tra la nanerottola ed Altayr ci fosse una sorta d'intesa, roba che gli uomini non potevano capire. Altre distrazioni a mettersi in mezzo, come se non bastasse quel cretino di Kevin con i suoi atteggiamenti da bff che lo mandavano fuori di testa. Eh sì, perché lui era l'amico d'infanzia, quindi aveva la precedenza. Se glie l'avesse chiesto lui, Altayr avrebbe accettato al volo? Non poteva saperlo. A volte le reazioni della chitarrista erano imprevedibili. Quanto gli sarebbe piaciuto prenderla in disparte e chiederle direttamente di mettersi con lui. Una cosa schietta e veloce a cui non poteva rispondere solo "ti farò sapere". Ed ecco l'inghippo: distruggere un'amicizia o dare inizio ad una nuova relazione? I due si vedevano a scuola, al negozio di dischi e alle prove. Dopo un rifiuto eclissarsi e sparire dalla circolazione pareva l'unica idea sensata. Rimase a rivangare i pensieri finché sorrideva distratto alle ragazze, e disse ad Altayr di tornare da sola a fine serata, vista l'urgenza di prendere le distanze da lei ed avvicinare una birra.
    Non si diresse verso casa, bensì all'altro capo di Lancaster, dove la villetta del padre adottivo si mescolava a mille altre uguali. L'unica eccezione era l'abbondanza di giocattoli sparsi per il giardino, opera del piccolo Seth.
    « Guarda chi torna strisciando a casa mia! » tuonò l'uomo dalla veranda, intento a fumare l'unica sigaretta concessa dalla moglie sugli scalini d'ingresso. Samael non era il tipo di padre a cui si affidava un bambino rimasto orfano, con molti problemi di comunicazione ed alcuni traumi infantili difficili da gestire, ma in qualche modo Izar era sopravvissuto, e non poteva essergli più grato.
    « Ciao, stupido genitore » rispose il ragazzo, sedendosi vicino a lui. La notte era tranquilla, tiepida, portava l'odore d'acqua dolce del fiume Lune mista alla nicotina che si spargeva nel vento. Izar moriva dalla voglia di stendersi e chiudere gli occhi, ma l'ansia lo divorava e non lasciava spazio al sonno.
    « Mi ha detto che ci pensa. »
    Samael scoppiò a ridere, beccandosi una gomitata dal figlioccio prima che svegliasse l'intero quartiere.
    « Io lo sapevo che non era una tipa facile, e tu niente, avanti per la tua strada. Mai ascoltare il tuo vecchio, mi raccomando. »
    « Lo so, ma ne vale la pena. » Aleggiò uno strano silenzio tra loro. Samael, una volta tanto, era rimasto senza parole. Doveva essere a causa della serietà di Izar, o dello sguardo triste dietro le lenti degli occhiali. Il patrigno annunciò che avrebbe recuperato delle birre, lasciando il figlio solo all'ingresso con una sigaretta gentilmente offerta ed il canto di qualche strano uccello notturno. Arrendersi era fuori discussione, l'aveva capito pronunciando quelle parole.

    • • • Il giorno dopo

    La vera punizione di Azarel si manifestò alle prime ore di lezione, con uno spietato quanto soporifero Debussy. Abel era un mago quando si trattava di pianoforte, rendeva la melodia perfetta, una carezza per i timpani, ed Evelya si ritrovò a sbadigliare cinque volte di seguito mentre cercava di decifrare gli spartiti per il concerto dell'equinozio di primavera. Aveva passato la notte a scorrere le foto degli Elysian, tutti i concerti che si era persa, i magnifici sorrisi di Noel da qualsiasi angolazione. Era affascinante, attirava lo sguardo, forse anche più dell'appariscente batterista e la sua tendenza a denudarsi in pubblico. Si era addormentata con il viso del cantante che ammiccava anche attraverso le palpebre chiuse, per poi constatare con orrore che la sveglia aveva suonato ad oltranza ed era in estremo ritardo. Non aveva avuto tempo di legare i capelli, e forse il trucco non stava facendo il suo dovere nel nascondere le occhiaie visti i commenti di Azarel durante il tragitto a scuola. Ora la sua attenzione ricadeva sugli errori di Abel, non più sveglio della compagna, che all'ennesimo rimprovero marciò fuori a prendere un caffè. Era di pessimo umore, anche più silenzioso del solito, e questo impensierì molto Evelya. Era colpa sua, l'aveva trascinato ad un concerto e gettato in pasto ad un molestatore famelico, e Dio solo sapeva come l'avrebbe presa Raphael. « Abel... » chiamò, con l'intenzione di seguirlo e chiedergli scusa, ma l'insegnante la trattenne per un polso. « Lascia che faccia. Prima gli passa e prima arriviamo in fondo alla questione. » La ragazza annuì, sottraendosi prontamente alla stretta e tornando al banco accanto alla finestra, dove spartiti ed appunti reclamavano la sua attenzione. Aveva composto un brano in occasione del concerto, una canzone che parlava d'amore nel senso stretto del termine, ispirata ad un libro letto di recente. La coppia d'innamorati ed i loro sentimenti l'avevano commossa a tal punto da cantarci sopra, poi Azarel aveva analizzato il testo e tracciato una serie di segni rossi e correzioni, infrangendo i suoi sogni. Lesse sotto le righe cancellate "I'm so in love with you" e si morse il labbro. Definiva l'anima stessa del brano, voleva cantarla, ma non era abbastanza classica per lo stile dell'Accademia. Sotto al quaderno sbucava lo spartito dell'Ave Maria consigliato dal professore, sentito e risentito un milione di volte e già cantato da altre classi. Si disse che non l'avrebbe letto, così da arrivare impreparata al concerto e risparmiarsi quel supplizio. Sua madre l'adorava, ovviamente. Era stata lei a suggerire ad Azarel di assegnarla ai tre rappresentati dell'ultimo anno, con Abel che aveva subito alzato gli occhi al cielo e Raphael del tutto indifferente. Chissà cosa sarebbe accaduto se avessero portato un pezzo degli Elysian in quel corteo di musoni. Solo immaginare la reazione dei familiari la fece sorridere.
    « Professore, esco anch'io per una pausa » annunciò, prendendo le cuffiette dallo zaino. Non riusciva a formulare un solo pensiero coerente dalla sera prima, ogni cosa andava a quel gruppo di ribelli tatuati che l'avevano stregata anima e corpo. In giardino, anziché bearsi dei suoni armonici che provenivano da ogni angolo dell'istituto, Evelya si rintanò nel mondo dei suoi nuovi idoli, chiassoso come non mai, con la voce di Noel a farla da padrone. L'unione di brani forti, aggressivi, e di quelli più scherzosi - e a volte romantici - la sorprese. Parevano andare di pari passo con l'umore del cantante, mentre alla ragazza non era permesso dare un'intonazione diversa alle canzoni che da secoli si ripetevano sempre uguali. Scorse la pagina ufficiale del gruppo nel mentre, dove i sorrisi di Noel si alternavano alle boccacce del ragazzo dai capelli neri e la bellissima Altayr.
    - Voglio conoscerli. Davvero tanto. - E la risposta stava in quel nome aggiunto di recente alla rubrica. Così, finché Noel chiedeva a Wendy di scappare con lui, Evelya aprì la schermata di un nuovo messaggio e prese fiato.

    Ciao Noel, sono Evie.
    Come stai? Avete prove anche oggi?


    Perfetto, disinteressato e molto formale. Non lasciava trasparire la sua voglia di rivederlo o di ascoltare le sue canzoni dal vivo. Rimase con il dito sospeso sul tasto d'invio per parecchi minuti, con le ultime note che sfumavano nelle orecchie ed i bellissimi occhi del rosso impressi a fuoco nella mente. Stava facendo un errore, anzi, un azzardo. Andare ad un concerto degli Elysian significava scappare di casa dopo l'ora di cena, infilarsi in posti dove la gente beveva, fumava e chissà cos'altro, tutto senza scorta. Abel avrebbe acconsentito ad accompagnarla di nuovo? Da sola non poteva proprio riuscirci. Ad un tratto il suono della campanella irruppe nella quiete e la fece sobbalzare. Quando abbassò lo sguardo sullo schermo del telefono comparve la doppia spunta dell'inviato e ricevuto.

    La fuga su per le scale la lasciò senza fiato. Non aveva mai corso così tanto e così in fretta, nemmeno per educazione fisica, ma si trattava di un'emergenza. Incontrò gli occhi cupi di Raphael in un breve scambio di saluti, finché la testolina chiara di Abel in lontananza la incoraggiò ad accelerare il passo. Voleva chiamarlo, e invece riuscì solo ad aggrapparsi alla manica della sua divisa ed ansimare per lo sforzo. « Ho fatto... un messaggio... e adesso... » balbettò, piegata in due alla ricerca di ossigeno. Abel doveva pensare che fosse impazzita. La vibrazione del cellulare, ancora stretto in mano, le fece temere il peggio. La risposta era arrivata praticamente subito, lampeggiava in un angolo dello schermo in attesa che Evelya trovasse il coraggio - e la forza - di premere quel singolo tasto. Ormai il danno era fatto, e lei aveva cominciato. Tornare indietro dopo aver fatto un passo così grande era inutile. Ciò che lesse, però, la lasciò a dir poco senza parole, e girò il telefono verso il compagno con aria stranita.
    « Credo che sia per te. »
    Il messaggio era in maiuscolo, irrispettoso, e suonava come una minaccia.

    HEY ABEL, LASCIAMI IL TUO NUMERO.
    IN CAMBIO AVRAI FOTO SEXY A VI_


    S'interrompeva bruscamente, ma il senso era abbastanza chiaro. Evelya arrossì di botto, sobbalzando al secondo messaggio.

    RIPLEY ST. THOMAS, GIUSTO? ARRIVIAMO!

    « Ho combinato un guaio. »
    L'ultima campanella d'avvertimento fece da sottofondo al momento d'immobilità dei due, increduli e congelati sul posto. In qualche modo sapevano dove studiavano, e... volevano fargli visita. Loro, i due rossi degli Elysian, in pasto all'elite di Lancaster, sotto lo sguardo vigile di Azarel e un mucchio di santi in generale. Perfetto. Ora quale piano di fuga potevano adottare per salvare da morte certa due musicisti promettenti e la loro stessa carriera? « Non dicono sul serio. Torniamo in classe? » propose, muovendo un solo passo in direzione dell'aula e niente di più. Nella seconda parte della mattinata avevano le prove ufficiali per il concerto, che si traduceva in due ore non-stop di Azarel ed i suoi commenti severi, inchiodati al pavimento come marionette. A volte non li lasciava nemmeno andare al bagno, perciò incontrare qualcuno fuori dai cancelli era improponibile. Non dicevano sul serio, era uno scherzo. Potevano tornare alla loro vita di tutti i giorni indisturbati, come se la sera prima non fosse accaduto nulla ed Evelya non avesse accidentalmente inviato un messaggio al ragazzo dei suoi sogni.
    Il professore era dello stesso avviso, spazientito come non mai. Raphael stava provando il pezzo in solitaria, e proseguì anche quando lei e l'albino presero posto al pianoforte e davanti al microfono. Era impeccabile quanto un robot addestrato all'unico scopo di esibirsi, il suo approccio con la musica freddo al pari di quello che usava con gli esseri umani.
    « Iniziamo a lavorare, sì? Gytrash, non ti muovi da lì fino a nuovo ordine. »
    Evelya lesse un'odio indescrivibile nelle iridi chiare di Abel, preferendo fissarsi i piedi anziché mettere alla prova la pazienza dello studente e del - forse - fidanzato con qualche scusa. Spartiti alla mano, la fanciulla si schiarì la gola e fece qualche esercizio di respirazione, davvero difficile con il cuore che batteva a mille. Era uno scherzo, non sarebbe venuto nessuno.
    « Rifacciamo il pezzo da capo. Vi voglio concentrati. »
    Ma non appena la musica partì Evelya seppe che la sua testa era altrove, e pregava nell'arrivo di un certo qualcuno dai capelli color mogano.

    • • •

    Cain era un cinico, da sempre. Si divertiva a tenere la gente sulle spine e giocare scherzi di cattivo gusto, in particolare a quell'ingenuo di Noel. Quando vide il suo catorcio fare capolino si sfregò le mani come l'antagonista di un cartone animato, perché lui sapeva cose che l'altro neanche sognava. Buttò il bicchierino di caffè e si ripulì le mani sulla tuta da meccanico, pronto a soccorrere il macinino che il cantante si ostinava a voler riparare. A stento riusciva a trattenere il suo ghigno malefico.
    « Vediamo di riportare in vita i morti anche oggi! » disse, aprendo il cofano. Ormai sapeva dove cercare i danni e come sistemarli, e poi era una mattina tranquilla, poteva dedicarsi al suo compare per un po'. Noel, irrequieto come al solito, gironzolava con il cellulare in mano, lamentando il fatto che la bionda non gli avesse scritto immediatamente e tante altre paranoie che di solito non si faceva. Povero stolto, se solo avesse saputo.
    « Voglio rivederla, che palle. E se non mi scrive? Cain, cazzo. » Il tonfo del suo pugno fece vibrare i resti della povera macchina, strappandole un suono cigolante. Era troppo divertente guardarlo struggersi così. Ancora un pochino e glie l'avrebbe detto, ma non subito.
    « Perché avevi grandi piani per lei, no? Magari volevi portarla a fare un giro sulla tua decapottabile. » Oggettivamente, cosa poteva offrire ad una tipa del Ripley? La gente che frequentava l'Accademia pagava una retta pari a dodici stipendi di Cain, e proveniva da famiglie di una certa levatura di Lancaster e non solo. Anche Abel - il suo adorato Abel - doveva essere dello stesso avviso. Fece uno sforzo enorme per non far saltare la copertura, mordendosi il labbro e pregando che Noel non facesse il perspicace proprio ora. Fu difficile ingoiare le risate allo sfogo dell'altro, mentre lo scuoteva tutto frustrato.
    « Certo che voglio rivederlo, e toccarlo, e fare un sacco di altre cose, ma non passo la giornata a piagnucolare. Ho ancora una dignità, » assottigliò lo sguardo, il mezzo sorriso che nonostante tutto saliva a galla, « e ho un piano. » Al suono improvviso e benedetto del cellulare approfittò dell'incredulità del rosso numero uno per agire, rubandoglielo di mano e correndo via. Era lei, la piccoletta dal nome strano. Ottimo. Senza badare troppo ai tasti chiese subito il numero di Abel, inviando un messaggio a metà a causa della presa ferrea di Noel sul suo braccio. « A cuccia, dopo mi ringrazierai » lo ammonì, stringendogli il collo nella famosa morsa del cobra, imparata nei sobborghi di Lancaster da ragazzino. Quando gli restituì il telefono l'atto era compiuto.
    « Datti una sistemata, playboy. Andiamo a prenderceli. »

    Cain condusse la moto fino ad un parcheggio pieno di auto costosissime, poco frequentato vista l'avvicinarsi dell'ora di pranzo. Fare un'entrata trionfale a bordo del catorcio di Noel era fuori discussione, perciò aveva messo a disposizione la sua Cindy Lou per quella missione di spionaggio. Beh, che la Ripley St.Thomas fosse ricca si sapeva. L'intero quartiere trasudava denaro, e ci avrebbe scommesso un rene che il cancello d'entrata era d'oro massiccio.
    « Ecco cosa faremo, capo » bisbigliò, approcciandosi al leader del gruppo.
    « Qui dentro ci studia una mia ex - non fare domande, tutti possono sbagliare - e tra poco ci farà entrare dal retro. Lo so cosa stai pensando, ma io sono un genio del male e non trascuro niente. » La ex in questione era alta quanto Noel, impossibile da non notare, ed ondeggiava con la grazia di una ballerina. Fece loro segno di avvicinarsi dalla porta di servizio del custode, ad est dell'edificio, finché reggeva un sacchetto piuttosto ingombrante.
    « Cain, tesoro, ricordati la promessa » miagolò, prima di lasciare il prezioso carico tra le sue mani. Ovviamente quella soffiata gli era costata qualcosa, ma cos'era un'appuntamento contro la possibilità di rivedere Abel? Mostrò al compare un paio di divise perfettamente piegate ed inamidate, blu scuro, con una camicia così bianca da sembrare al neon. Lo stemma della scuola era il loro lasciapassare. « E adesso andiamo a sporcare questo posto da snob. »

    La divisa si rivelò essere un sofisticato strumento di tortura, stretto e succinto. La cravatta pareva un collare pronto a strozzarlo, e Cain la allentò prima di soffocare. Okay, era povero in canna, ma almeno non doveva soffrire a quel modo ogni volta che usciva di casa. Noel, tutto impettito accanto a lui, pareva avere i medesimi problemi. Gli suggerì di tenere la schiena dritta ed essere disinvolto per passare inosservato, poiché era ancora tempo di lezioni e loro, tecnicamente, le stavano marinando alla grande. La scuola dentro era una specie di piccola Versailles, tutta marmo, specchi e quadri giganteschi, con quelle vetrate dei tempi andati alte e strette. C'era un buonissimo profumo di pulito per i corridoi, oltre alle soavi canzoncine che gli studenti provavano e riprovavano.
    « Se vedi una graziosa creatura dai capelli chiari dimmelo, e non parlo di... come si chiama? ». Era pessimo con i nomi, eccezione fatta per Abel. Gli interessava solo lui, il suo broncio, gli occhioni tempestosi che sembravano volerlo tranciare a metà con uno sguardo. Da parecchio non s'intratteneva con un uomo, e lui aveva riacceso la scintilla. Un segno del destino. Nel tentare di indovinare l'aula giusta, i due rossi vagarono per le aree immense dell'Accademia da bravi turisti, incappando in ragazzine ben vestite che subito si diedero all'inseguimento. Ora i membri degli Elysian erano due spocchiosi studenti d'elite, rispettivamente un sassofonista ed un organista di grande talento. Avevano studiato la parte mentre si cambiavano, sghignazzando come vecchie volpi. Trascorsero una ventina di minuti così, a vagare a vuoto, incappando perfino in oggetti poco classici, tipo i distributori di merendine ed una macchina del caffè da dieci gusti diversi, finché una musica più coordinata attirò la loro attenzione. Si stava esercitando un gruppo, pochi strumenti insieme ad una voce femminile, e Cain suggerì di andare a sbirciare giacché la porta era rimasta aperta. Se non avessero trovato i principini sarebbe stata comunque una bella gita nei quartieri alti, no?
    Altri studenti si erano appostati all'ingresso della stanza, in rispettoso silenzio, e parvero ignorare i due stranieri tanto erano rapiti dalla musica. Non si trattava di punk-rock, né di niente che il gruppo conoscesse, ma i ragazzi non erano degli zotici completi: la canzone era di una dolcezza disarmante, avrebbe messo a nanna qualsiasi teppista, e tecnicamente perfetta. La cosa più sconvolgente, però, fu vedere chi era l'artefice delle note di pianoforte.
    Cain mimò con la bocca un'imprecazione poco accademica, dando di gomito al compagno mentre stupore e rapimento gli cavavano qualsiasi parola sensata. Abel era l'incarnazione della compostezza, chino sui tasti. Ogni tanto chiudeva gli occhi, per poi riaprirli e fissare le proprie dita scivolare con maestria, padrone della situazione. Il suo viso era così adulto durante l'esibizione... sembrava un'altra persona. Ed era illegalmente bello, anche. Se non fosse stato per quel guastafeste dell'insegnante, che ogni tanto passava a correggerlo ed oscurare la visuale a Cain, si sarebbe avvicinato per ascoltare meglio. Oltre a lui - l'unico che contava - un tipo dai capelli lunghissimi armeggiava con il violino, e la cantante dava loro le spalle. Ogni volta che il professore occhialuto le passava accanto la vedeva stringere l'asta del microfono, nemmeno fosse pronta ad usarla come arma, e la voce si riempiva d'incertezza. Capiva solo ora quanta pressione mettessero certi ambienti ai futuri musicisti. Doveva essere uno strazio non potersi esibire secondo il proprio gusto. « Psst! Ti presento il mio nuovo ragazzo » bisbigliò a Noel, che nel frattempo pareva immerso in una sorta di trance. Oh, giusto. Quella era la bionda della sera prima. La riconobbe non appena volse lo sguardo verso la porta, le sue guance a prendere fuoco. Sia lei che il leader erano fin troppo facili da leggere, gli facevano tenerezza. Quanto ci avrebbe messo Abel ad accorgersi che il suo principe azzurro era venuto a prenderlo? Perché lasciarlo in pace non era un'opzione contemplabile, ormai.

    • • •

    Svegliarsi con il peso di un bambino di venti chili sullo stomaco non era una novità, ma incideva parecchio il fattore alcol della sera prima. Seth aveva dato il buongiorno ad Izar saltellandogli addosso con tutta la grazia di un bambino di quattro anni, iniziando così quella che si prospettava una gran giornata di merda. Con mal di testa ed acidità di stomaco come compagni, il ragazzo si avviò a scuola dopo una colazione a base di analgesico e l'abbraccio soffocante del padre adottivo. Sarebbe volentieri rimasto a letto, ma era un secchione e non poteva permettersi di fare troppe assenze, ne andava del suo orgoglio. Non pensò al problema Altayr finché non mise piede in classe e la intercettò subito, ricambiando la linguaccia di malavoglia. Si comportava come al solito, e come al solito Kevin si era seduto vicino a lei. Una scazzottata di prima mattina non la toglieva nessuno a quel coglione. Peccato che i postumi della sbornia gli offuscassero vista e sensi. Izar si sciolse letteralmente sul banco, massaggiando la radice del naso da dietro gli occhiali alla ricerca di un po' di sollievo. La prospettiva di lavorare fianco a fianco alla ragazza che l'aveva friendzonato, nel pomeriggio, lo sconvolgeva anche di più. E le prove, maledizione. Non poteva evitarla in nessun modo. Quanto l'avrebbe fatto aspettare prima di dire il fatidico "no, vacci da solo"? Stava solo prolungando la sua agonia. Ad addolcire la pillola arrivò Mr. Powell con uno di quegli esperimenti di gruppo che tanto gli piacevano, per fortuna. Perdersi tra i numeri era la soluzione ideale per non pensare alla ragazza, all'emicrania e all'impulso di affondare un pugno nella pancia di Kevin. Perché il destino ce l'aveva con il moro, e aveva appena messo in coppia il cretino e la sua bella. « Oh, ciao Noah » borbottò, finché l'albino prendeva posto vicino a lui ed apriva il quaderno. « Scusa se non sono Altayr. » Il piccoletto stava zitto per la maggior parte del tempo, ma quando parlava lasciava sempre tutti interdetti. Izar grugnì qualcosa d'incomprensibile e cominciò a ricopiare le formule dalla lavagna, la soluzione già pronta in mente. Facile, troppo facile. Gli servivano altri cento quesiti per distrarsi. « Come hai chiesto a Liane di mettersi con te? » domandò di getto, con gli occhi che passavano dal quaderno, alla cattedra ad Altayr, intenta a ridersela con Kevin.
    Noah fece spallucce, neanche stessero parlando del tempo.
    « Non gliel'ho chiesto. E' successo e basta. »
    « E come fate a sapere di stare insieme? ».
    « Lo sappiamo, punto. E adesso lavora. »
    Possibile che non vi fosse un solo uomo in tutta la città in grado di dargli qualche consiglio? La situazione lo stava mandando fuori di testa, e intanto vedeva coppiette felici ovunque. Già, come i due amiconi che si davano di gomito nei banchi accanto al muro, un tripudio di sorrisi. Dio, odiava essere così indeciso. In un momento di stizza comunicò al proprietario del negozio di dischi che non sarebbe andato al lavoro, per poi scrivere a Noel un messaggio molto celere in cui dichiarava di avere le palle girate e zero voglia di suonare. Che lo mandassero pure a quel paese. La giornata stava prendendo una pessima piega e non aveva l'energia per affrontarla. Alzò la mano e chiese al professore di andare in infermeria dopo aver consegnato il compito, e dato che non vi era il minimo errore l'insegnante acconsentì senza fare problemi. Nel passare accanto alla porta evitò lo sguardo di Altayr, ma quello di Kevin arrivò forte e chiaro. Lo compativa, e nel frattempo sghignazzava. Izar digrignò i denti e mimò un "vaffanculo" prima di sbattersi la porta alle spalle. Non contento sfogò il resto della rabbia contro il muro dell'aula, sentendo ogni singolo osso della mano fare crock in risposta. Al diavolo il mondo intero, voleva dormire e non pensare a niente.
    L'infermeria era vuota, ovviamente, dato che il medico veniva pagato poco e si presentava solo due volte alla settimana, perciò puntò subito al lettino e lì vi rimase, posando gli occhiali sul davanzale della finestra soprastante. Silenzio, finalmente. Benedetto silenzio. Sperò che gli altri del gruppo lo perdonassero, abituati ai suoi sbalzi d'umore, e che Kevin si rompesse l'osso del collo prima che provvedesse lui a sistemarlo.

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

    — ‹ Finally Together Code BY KL › —
  10. .
    Izar, Evelya, Cain.
    "In the space between chaos and shape there was another chance."

    La situazione stava diventando insostenibile per Evelya ed il suo fragile cuore, impegnato in una corsa sfrenata che pareva solo peggiorare ogni volta che osava alzare gli occhi dal pavimento. Il cantante le stava chiedendo - un po' divertito e un po' seriamente preoccupato - se fosse spaventata. Certo che lo era! Un tizio tutto muscoli la teneva imprigionata contro la sua volontà, il professore poteva entrare in qualsiasi momento, Abel era vicinissimo ad un raptus omicida e lui era così bello da togliere il fiato. Non parlava di bellezza canonica, ma di quella di un tramonto nella natura incontrastata, qualcosa di libero, selvaggio e bruciante come il sole stesso. Improvvisamente capiva il numero di fan che si accanivano sul ragazzo come fosse un pezzo di carne succulenta, quasi le invidiava per la schiettezza con cui dimostravano la loro ammirazione.
    « Io... no, sto bene. È solo che... » provò a balbettare il suo disagio, però proprio non riusciva a dare un senso alle parole. In più si esprimeva a voce troppo bassa per il frastuono che li circondava. Il cantante indovinò subito quale fosse il problema, per fortuna. Sì, il caos, e l'averlo così vicino. Quasi le dispiacque quando il bodyguard mollò la presa, perché le serviva con urgenza un sostegno. Scosse il capo in risposta e massaggiò il polso dolorante, finché un minimo movimento del rosso non la costrinse ad alzare lo sguardo.
    « Io sono Noel, e tu sei bellissima. » Cosa? Oddio, non l'aveva detto sul serio.
    Non con quel sorriso! Lo shock quasi le fece scordare le buone maniere, dando il tempo all'altro di recuperare in calcio d'angolo e offrirgli una vera presentazione. Evelya arrossì senza ritegno appena sentì le risatine del tipo senza maglietta.
    « Evelya... ah, Evie va bene! So che è un nome difficile da ricordare. »
    Invece Noel non lo era affatto, perché in quelle poche lettere era racchiusa tutta la schiettezza e naturalezza che lo contraddistingueva. Se chiudeva gli occhi e lo ripeteva nella mente immaginava proprio una persona come lui. Allungò la mano di riflesso, gesto che parve infastidire le ammiratrici al punto da costringerla a ritrarla per paura che gliela tagliassero via. Le donne innamorate erano davvero pericolose, e i due si erano conosciuti nel peggiore degli scenari. Era impensabile avere una discussione decente sopra quel baccano, ma soprattutto con gli occhi delle fanciulle puntati contro peggio dei cecchini. Evelya avrebbe voluto scambiare giusto pochi convenevoli - sua madre l'aveva addestrata per anni ad intrattenere conversazioni - peccato che qualcuno stesse venendo a prenderla proprio sul più bello. La voce seccata di Abel, ancora prigioniero dell'avvenente batterista, la riportò al presente. Gli mostrò gli ultimi messaggi di Zachary, che spiegavano alla perfezione in che brutta faccenda si erano ficcati.
    « Se ci vede qui sono guai. » Poteva solo immaginare i commenti durante il viaggio di ritorno sulla lussuosa auto di Mr. Emberthorn, una sviolinata sul senso del decoro, sulla musica che non prevedeva strumenti lirici e così via. Un fischio acuto la fece voltare in direzione del piano rialzato dove qualche coraggioso iniziava a cenare - era quasi mezzanotte. Che tipi bizzarri! -. Solomon teneva sospese oltre la balaustra le rispettive borse dei ragazzi, facendo segno di recuperarle e sparire prima che accadesse il peggio. La biondina si allontanò in fretta, chiedendosi se e quando il senza maglietta si sarebbe deciso a lasciare il suo migliore amico. Il modo in cui lo squadrava non era normale. Pareva pronto a mangiarselo in un sol boccone.

    • • •

    Non un principe, ma sicuramente un conte o un duca. L'albino trattava Cain con la freddezza spietata che di solito quelli del suo rango riservavano alla servitù. Abbaiava e non mordeva, per il momento. Gli venne spontaneo chiedersi se la bambolina fosse la sua ragazza, l'unica persona che conosceva e con cui voleva darsi alla fuga, o se fosse "curioso" di esplorare nuovi orizzonti con lui.
    « Pensa a placare le bimbette qui dietro, invece di sequestrare persone a caso » lo rimbeccò. Che offesa! Non pescava mai alla cieca, anzi. Era molto selettivo nella scelta delle sue vittime. « Ti tenevo d'occhio da un po', sai? »
    Con uno sbuffo esasperato liberò la preda di Noel, che già si buttava avanti con i complimenti. L'aveva visto circondato da donne per i tre quarti della loro carriera insieme, ma mai così coinvolto.
    « Potresti lasciarmi adesso? ».
    « No, non credo. »
    Il ragazzo dai capelli bianchissimi e le guance imporporate non aveva ancora capito in che guaio si era cacciato presentandosi ad un live degli Elysian proprio la sera in cui lui era alla ricerca di compagnia. Passò dal polso alla mano, fragile e dalle dita affusolate, intrecciandola con la sua e portandone il dorso alle labbra senza mai interrompere il contatto visivo. Aveva gli occhi grigi, corrucciati, che sotto i riflettori colorati assumevano mille sfumature diverse.
    « Abel » chiamò, « piacere di conoscerti. Sono Cain, ma tu puoi chiamarmi come vuoi. » Visto che le bimbette stavano dando in escandescenze voltò loro le spalle, proteggendo a quel modo anche l'albino dagli sguardi assassini.
    « Dove devi andare? Ti do uno strappo. » Era un piano ben progettato prima che Altayr arrivasse a rovinare tutto, portando la soluzione di cui i due stranieri avevano bisogno. Maledizione a lei, proprio ora che aveva trovato un giocattolo interessante. Oltretutto stava ignorando bellamente i fan, che nei post-concerti non vedevano l'ora di allungare le mani su ogni singolo membro della band. Oh, e dovevano vendere i cd e le magliette, altrimenti addio soldi per l'affitto! Diamine, urgeva un'opzione alternativa. Non se ne sarebbe separato senza il numero di cellulare, fossero cascati il mondo e tutti i pianeti, e a riprova di ciò scelse di accompagnarlo verso la porta sul retro per mano, stringendo più forte ogni volta che Abel dava segno di volersi sottrarre alla presa con un ampio sorriso sornione stampato in volto. Passando per il backstage afferrò la maglietta e la buttò con noncuranza su una spalla, pronto a sfidare il clima mite all'esterno da bravo edonista. Davanti a loro aprivano la fila Noel e la bambolina, due tipi completamente opposti e sbagliati, in qualche modo. Il leader non parlava spesso delle sue relazioni, visto che era amico di tutte e non stava davvero con qualcuna, eppure per lui avrebbe visto bene una fanciulla meno raffinata. Sia lei che Abel indossavano divise scolastiche dall'aria costosa. Chissà cosa studiavano, e soprattutto quanto pagavano di retta. « E dai, non tenermi il muso. Ci vedo poco da quest'occhio, non l'ho detto per prenderti in giro. » Dire ad un uomo che era bello o grazioso, nel suo linguaggio, era un gran complimento. Slacciò la mano dalla sua solo una volta che furono usciti dalla pesante porta antincendio del retro, finché ne approfittava per rimettere la t-shirt nera addosso. « Sarei molto molto contento se tu tornassi ad ascoltarci. Magari la prossima volta ti tengo il posto in prima fila, così puoi vedermi da vicino senza rimetterci il collo. »
    Gli fece l'occhiolino, ridendo della sua espressione frustrata. Era adorabilmente cocciuto, al punto da non dargli il numero di cellulare tanto alla buona. Doveva farsi furbo. Ascoltò la conversazione imbarazzante del leader e la biondina accanto a loro, e notò come Noel - quel Don Giovanni mascherato - stesse lasciando il suo numero su un quaderno dove in teoria sarebbe bastato solo l'autografo. Numero della bambola uguale numero di Abel, se erano amici come dicevano. Bingo. « Una stretta di mano per salutarci? » propose, quando ormai era chiaro che i due non avessero più tempo per intrattenersi e chiacchierare. L'albino non si prodigò in chissà quale ossequio, anzi, parve riluttante ad allungare la mano, ma Cain sapeva come mitigare la sua timidezza. Lo attirò a sé con uno strattone breve e deciso, trattenendolo per la nuca mentre posava un bacio sui capelli morbidissimi dell'altro. Se non fosse stato per il briciolo di buon senso che lo coglieva ogni tanto l'avrebbe trattenuto ancora, perché il rossore profuso sulle guance era molto più soddisfacente di qualsiasi contatto fisico tra loro. Okay, aveva fatto una scelta avventata, ma non era il tipo che tornava sui suoi passi. Non senza averlo conosciuto meglio, prima.

    • • •

    - Ugh, contatto fisico. - I post-concerti erano anche più impegnativi dei concerti stessi. Azzeccare tutte le note non era niente in confronto all'accogliere una mandria di persone - principalmente donne - che contavano i centimetri che le separavano dal palco per potersi arraffare un membro degli Elysian e riempire il cellulare di foto. Izar diede un'occhiata al leader, meno entusiasta del solito, per poi essere trascinato in mezzo alla folla. Ogni ragazza che chiedeva un selfie gli si aggrappava al collo, oppure gli posava un bacio sulla guancia all'ultimo secondo, senza che avesse il tempo di scansarsi. Quando qualcuna gli sollevò la maglietta iniziò a temere per la sua incolumità, ma per fortuna Altayr restava nei paraggi e rabboniva le fan, infilandosi tra le foto e rubando autografi. Peccato che così facendo non si rendeva conto dell'altra parte di pubblico, quel dieci per cento maschile che la stalkerava sui social e commentava le sue misure, credendosi invisibile. Un giorno li avrebbe gonfiati di botte tutti, uno per uno, minacciandoli di non provarci con la sua ragazza. - Già, continua a sognare Izar. -
    Certo, la chitarrista non gli facilitava il lavoro. Stava al centro di un gruppo di cani sbavanti con una buona porzione di pelle scoperta. Appena dava le spalle ai ragazzi quelli si davano di gomito con aria da intenditori, mandandolo su tutte le furie. Uno con i capelli blu, in particolare, sembrava intenzionato a fare un bel primo piano del suo sedere, lo vedeva attraverso lo schermo del cellulare.
    Si fiondò davanti all'obiettivo alla velocità della luce, sfoggiando il dito medio per sommo divertimento delle fanciulle. « Spiacente, quelle foto costano un cazzotto e mezzo. » Era consapevole che così facendo si sarebbe inimicato parte dei sostenitori, ma il fondo schiena di Altayr era sacro, che diamine. Era sicuro che Noel avrebbe capito, se non fosse stato tanto preso da qualcosa sotto al palco. Dopo che la formidabile chitarrista ebbe sparpagliato il gregge, Izar poté notare due personcine vestite di tutto punto nelle grinfie di Cain, in evidente confusione e desiderose di scappare quanto prima. Okay, il loro genere di musica piaceva ai giovani, ma quelli erano freschi di conservatorio. Da vicino riuscì a capire un paio di cose: Cain era partito all'attacco, e Noel era partito e basta. Strano a dirsi, perché gli aveva visto un'espressione del genere solo davanti ai video di golden retriver. Tra tutta la scelta che c'era nel fanclub proprio dei principini dovevano pescare? Altayr mise subito in chiaro che l'educazione, anche tra tipi tosti come loro, era d'obbligo, strappandogli un cenno d'approvazione. « Rosso Uno e Due, state lasciando a secco le ragazze » puntualizzò, indicando le signorine alle sue spalle. Qualunque cosa li distraesse andava rimossa in tempi brevi. Nel backstage avevano uno scatolone pieno di magliette da vendere ed iniziava a farsi tardi. Inoltre le lenti a contatto bruciavano già da un po'. Gli sovvennero strascichi di conversazioni per cui le due maestà necessitassero di una fuga alternativa, ovvero l'uscita sul retro, con Noel tutto contento di fare da guida fin la. Una scrollata di spalle comunicò agli altri membri che li avrebbe accompagnati per pura aggregazione - e perché vedere Noel fare il cascamorto era uno spasso -. Altayr non perse tempo, come sospettava. Si era accorta dell'errore di lui, e moriva dalla voglia di prenderlo in giro fin dalla prima canzone. Accettò la gomitata con un ouch molto teatrale, scompigliandole i capelli in risposta. Lo faceva spesso con Saiph, lo scorbutico fratello minore, che di solito ricambiava con un morso o una protesta. Erano due tipetti difficili da gestire, ma poteva farcela. « Okay, okay, sono cose capitano. I posti piccoli mi mettono in soggezione, e poi tu- » si morse subito la lingua, annaspando per trovare una frase scontata come "tu mi distrai". « Devo tenerti d'occhio, altrimenti perdi il tempo. » Durante una delle tante sbronze con Cain, i due avevano parlato dei metodi di abbordaggio del bassista, ritenuti inefficaci perché giocava in difesa e non in attacco. Secondo il rosso non serviva farsi dei riguardi, a riprova di come teneva per mano lo sconosciuto davanti a loro. Bene, ma cosa doveva fare? Mettersi in ginocchio, tirare fuori un anello e vissero per sempre felici e contenti? Oppure sbatterla contro il muro e rendere chiare le sue intenzioni? No, se non voleva un occhio nero. Altayr andava approcciata lentamente, alla maniera in cui si avvinca un gatto randagio, e ci provava da diversi anni. Poteva dirsi ospite in pianta stabile a casa sua, per esempio, cosa che Kevin - quello stronzo - si sognava soltanto. Erano nella stessa classe, nella stessa band, si vedevano tutti i giorni... e ancora niente. - Giocare in attacco, mh? - La mano che sostava sulla testolina scura di Altayr le scostò i capelli dalla fronte, finché i due non si guardarono negli occhi. « Stai bene con i capelli sciolti, ma non muori di caldo? » Con un sorrisetto divertito sfiorò le ciocche all'altezza delle tempie. « Guarda, iniziano già ad arricciarsi. » Non che fosse una cosa grave, ma sapeva che sua maestà era molto vanitosa. Per quanto il trucco fosse rimasto intoccato, i capelli mal sopportavano l'umidità dei pub. I due ragazzi si fermarono nello stanzino dove avevano lasciato le custodie degli strumenti ed il merchandising, tanto per lasciare un po' d'intimità alle coppiette. L'unico che cercava intimità era Izar, a dirla tutta. Aprì uno scatolone ed iniziò a contare le magliette, strofinando gli occhi arrossati finché cercava di leggere le taglie. I fan non lo vedevano spesso con gli occhiali, ma che andassero al diavolo. Iniziava a vederci doppio. « Vado a togliere le lenti. Arrivo subito. » Una volta raggiunto il camerino - una camera squallida adibita a deposito - frugò nello zaino alla ricerca dell'astuccio, incappando in due rettangoli di carta spessa che aveva lasciato a far polvere sotto i libri. Il mese prima aveva comprato i biglietti per andare a sentire un concerto del loro gruppo preferito, quello da cui traevano ispirazione per la maggior parte delle canzoni, ma ovviamente chiedere ad Altayr di uscire era peggio che sconfiggere un drago a mani nude. Insieme da soli, una cosa che succedeva spesso, dopo scuola o dopo le prove, niente che assomigliasse ad un appuntamento. Doveva dirglielo. Mancavano due settimane allo spettacolo. Inforcò gli occhiali e ficcò i biglietti in tasca, rinvigorito da una nuova ondata di positività. O la va o la spacca. Attendere significava lasciare posto a qualcun'altro e non poteva permettere che accadesse. La raggiunse in fretta, aiutandola a raccogliere le scatole per portarle ai fan e racimolare qualche soldo. Prima che Altayr mettesse piede sul palco, tuttavia, le bloccò il passaggio con l'espressione di un mafioso che chiedeva il pizzo. Era così agitato da dimenticarsi di sorridere. « Vieni con me al concerto degli Our Last Night? Sono riuscito a trovare i biglietti. » Perché non riusciva a suonare più entusiasta di così? Maledizione a lui. E adesso arrossiva pure. « Sarebbe un... appuntamento. Noi due da soli. » I richiami delle ragazze nell'altra stanza non lo toccavano minimamente. Ciò che voleva sentire era solo la risposta di Altayr, finché lo stomaco si annodava e gli tranciava il respiro. Esibirsi davanti a un milione di persone sarebbe stato più facile.

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    Altayr. La sua salvatrice aveva il nome di una costellazione. Evelya fu molto grata di quella rassicurante presenza femminile, che emanava un'aura d'indipendenza che lei nemmeno si sognava. Teneva a bada gli uomini della band con una facilità disarmante, mettendo a tacere perfino il carismatico leader. Avrebbe voluto un pizzico del suo carattere, specie per confrontarsi con i genitori. Non aveva il coraggio di rispondere a tono, figurarsi picchiare qualcuno. « Chiamami Evie » disse, con un sorriso sollevato. La chitarrista indossava abiti succinti in linea con il fisico longilineo, cose da far svenire tutti gli antenati Sadalmelik, ma la dignità con cui li portava la rendevano, se possibile, ancora più attraente.
    « Grazie comunque. » Bisbigliò quelle parole appena Noel si offrì di scortarla alla porta sul retro, rubando il ruolo di guardia del corpo alla ragazza. Le sarebbe piaciuto scambiare qualche parola con lei, almeno il rossore alle guance si sarebbe attenuato. Incespicò nel buio del backstage, seguendo l'ampia schiena del cantante attraverso cavi e scatoloni, con un occhio rivolto al povero Abel dietro di loro. Buon Dio, cos'avrebbe pensato Raphael se l'avesse visto così vicino ad un altro ragazzo? Il compagno era molto possessivo, forse troppo. Sentiva che tra i due le cose non andavano bene come all'inizio della relazione. Evelya respirò a pieni polmoni, sconvolta dalla galanteria di Noel nel tenerle aperta la porta mentre usciva. La luce improvvisa quasi l'accecò, lasciando posto ad un vicolo deserto ed aria fresca dal sentore di pioggia.
    « Spero ti sia piaciuto il concerto stasera. »
    Lei ci mise qualche istante di troppo a radunare le parole, le mani strette attorno alla cartella. « Sì, assolutamente! Sei... siete molto bravi. » Un po' se ne vergognava, ma davvero ricordava poco delle prestazioni degli altri membri, concentrata com'era sulla voce di Noel. Poi il rosso la invitò a tornare e le gote ripresero la sfumatura di poco prima, nemmeno fosse ancora nella soffocante area del palco. « Mi piacerebbe » ammise, guardandosi le punte dei piedi. Nel caso non fosse successo a breve, comunque, doveva portare un ricordo di quella strana e bella serata. Fece cenno a Noel di aspettare, accucciandosi a terra per frugare tra i quaderni. Quello di matematica poteva andare, prendeva sempre pochi appunti. « Non vorrei approfittarne, ma mio fratello è un vostro grande fan. Posso chiederti un autografo per lui? » Non era certa che avrebbe regalato così facilmente un autografo di quel meraviglioso cantante, in realtà. Voleva essere egoista, solo per una volta. Porse al ragazzo il quaderno, aperto su una pagina bianca, e una penna, in trepidante attesa. Forse poteva incorniciarlo, oppure nasconderlo nel diario segreto in cui lasciava a seccare i fiori. Quando lo riprese era già pronta a ringraziarlo all'infinito, peccato che appena lesse quello che l'altro aveva lasciato le mancarono le parole. C'era la sua firma, uno scarabocchio veloce ed appuntito, frutto di molta pratica, e più in basso delle cifre. Un numero di telefono. Sgranò gli occhi, incredula, restando con il quaderno a mezz'aria fra loro. « Questo è... Noel, sei sicuro? E se fossi una malintenzionata? In fondo mi conosci appena. » Pur mettendolo in guardia, Evelya si ritrovò a stringere il quaderno al petto, come se avesse paura che qualcuno glielo strappasse via. Quel gesto spontaneo di fiducia combaciava con l'idea che si era fatta di lui. Non pareva il tipo pronto a dubitare di chiunque, a differenza dei suoi familiari. Era il ragazzo che non doveva frequentare. Era il ragazzo con una voce ipnotica e lo sguardo pieno di calore che l'aveva rapita fin dal primo istante. « Ti ringrazio, davvero. Se potrò scriverti lo farò. » Solo una persona molto vicina avrebbe potuto udire quelle parole, tanto erano sussurrate. La fanciulla non sapeva più come gestire le guance infuocate ed i battiti del cuore a singhiozzo. Una vibrazione del cellulare bastò a ricordarle che il vero problema stava fuori dal pub, e non aveva un sorriso ammaliante come quello di Noel.

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

    — ‹ Finally Together Code BY KL › —
  11. .
    Izar, Evelya, Cain.
    "In the space between chaos and shape there was another chance."

    L'eccitazione era palpabile nell'aria prima di un live, anche se ormai suonavano insieme da abbastanza tempo da non considerarlo un evento straordinario. Izar seguì il consiglio di Altayr nel sistemare una delle quattro corde del basso, scoprendo che il cuore aveva accelerato la sua corsa una volta resosi conto che mancava poco, e lei era lì accanto a lui. Nemmeno alla presenza della ragazza riusciva a farci l'abitudine, per quanto fossero inseparabili a scuola, al lavoro e alle prove. Nel negozio di dischi combinava i turni in modo che coincidessero con quelli della chitarrista - era diventato bravo a fregare il titolare - ed i loro pomeriggi trascorrevano sempre a meraviglia. Ora, che fosse innamorato perso era un dato di fatto, punto. Cain, che ci vedeva lungo, lanciava frecciatine da un bel po', mentre non capiva se Noel lo ignorasse di proposito o fosse effettivamente un ingenuo. Il fanclub di entrambi negava l'evidenza, invece.
    In breve gli Elysian furono al completo, un cantante molto agitato, un batterista che dispensava sorrisi come se piovesse, e la sua Altayr concentrata sul pezzo. Avrebbe voluto un briciolo del suo entusiasmo, una fiammella della passione che bruciava quando il plettro sfiorava le corde. Si avvicinò al microfono per la seconda voce ed entrò nel personaggio, indirizzando un occhiolino a delle tipe dal trucco pesante e le magliette del gruppo bene in vista. Che lo volesse o meno, loro erano qualcuno solo grazie al pubblico radunato in quel pub, andavano trattati come ospiti d'onore ogni santa volta. Cain gli fece una linguaccia durante un fugace contatto visivo, il segnale che era pronto e perfettamente rilassato. Era senza maglietta, d'accordo, ma tempo un paio di brani e sarebbe stata l'invidia di tutti i colleghi, perché suonare richiedeva le stesse energie di una staffetta e Dio santo, il locale era claustrofobico, scuro e quasi privo di finestre. I piccioncini si scambiarono uno sguardo d'intesa al via di Noel, con A Love Like War a richiedere le loro chitarre per l'intro, mentre il rosso numero due teneva il tempo con un solo rullante prima di scatenare tutta l'energia accumulata durante l'attesa, riscoprendosi a ghignare divertito man mano che la canzone entrava nel vivo. I membri della band comunicavano in un modo silenzioso ma efficace, così in simbiosi gli uni con gli altri da non necessitare di parole. Occhi ametista ed occhi verde acqua si squadrarono a mo' di sfida quando Izar fece eco alle parole del cantante con "we go together or we don't go down at all", e seppe dal sorriso dell'altro che il ritardo era già acqua passata. Un problema in meno a cui badare. Ora doveva solo resistere alla tentazione di scaraventare il basso in faccia al gruppo di cani sbavanti che si spingevano per arrivare sotto al palco, in prossimità di Altayr. Non fosse stato legato al filo dell'amplificatore le avrebbe chiesto subito di fare cambio, mettersi dietro di lui, ma chi era per oscurare una stella tanto brillante? Un amico. Sentiva che la minaccia della friendzone era dietro l'angolo, e perso in quella moltitudine di pensieri, infatti, dimenticò una nota per strada. La ragazza se ne accorse, e fu veloce a rimettersi in pari prima che lo prendesse in giro. Nell'intervallo di applausi al termine della canzone - un successo, ovviamente - Izar le fece segno di non proferire parola, l'indice davanti alla bocca, ma già immaginava gli scherni che lo attendevano nel backstage.

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    L'hamburger degli studenti finì presto dimenticato nel piatto. La canzone d'apertura era energica, viva, un'esplosione di suoni chiassosi e decisi a rimbombare nel petto perfino a quella distanza. Evelya non ascoltava quel genere di musica, non per scelta personale, ma per rientrare nei canoni della brava progenie Sadalmelik secondo cui tutto era classico, dagli abiti alle letture, dall'arredamento alle sinfonie. Non rivedeva sé stessa nella band sul palco, viaggiavano su frequenze diverse. La biondina ebbe giusto il tempo di preoccuparsi per Abel, sul punto di uccidere qualcuno, prima che altri clienti urtassero le loro sedie per precipitarsi giù dalla breve scalinata e poi sotto lo stage, trascinati dalle melodie violente e rivoluzionare che paragonavano l'amore ad una guerra. Il professor Azarel sarebbe svenuto sul colpo a sentire un testo così, e Raphael con lui. Il fidanzato dell'albino aveva declinato l'invito con un "no grazie, i pub sono per ubriaconi" senza preoccuparsi minimamente di Abel, stremato dalle prove e soprattutto affamato. Non comprendeva appieno il rapporto che li univa, quale collante legasse i due e li avesse spinti a fare coppia, ma di una cosa era certa: non aveva mai visto Abel fissare qualcuno come fissava il gruppo di artisti. No, non il gruppo, qualcuno in particolare. « Indecente » borbottò, per poi mantenere viva l'attenzione sul personaggio senza maglietta. Abel era una contraddizione vivente, perciò Evelya annuì appena con un sorriso soddisfatto che lui non poté vedere. Per quanto la batteria risuonasse con forza, comunque, la voce del ragazzo dai capelli rossi la faceva da padrone, impertinente e graffiante, come se stesse incitando il pubblico a seguirlo in quella battaglia a cui inneggiava. Evelya si rese conto che l'avrebbe seguito in capo al mondo se avesse continuato a cantare per lei. Gli Elysian erano il genere di gruppo da ascoltare quando tutto andava a rotoli, quando urgeva una scappatoia dalla monotonia di giornate sempre uguali, e capì l'entusiasmo con cui Solomon batteva le mani. Anche lui stava cercando una valvola di sfogo lavorando lì. Qualsiasi cosa pur di mettere gli studi da parte ed essere il ventenne intraprendete che i genitori volevano soffocare. « Se ti vuoi avvicinare ti accompagno. Finisci dopo di mangiare » propose Abel, stranamente deciso, ed Evelya annuì con entusiasmo. Aveva perso l'appetito già da un pezzo, comunque. Si lasciò guidare per un braccio nella calca di gente delirante, pestando qualche piede insieme a grugniti di protesta. Alcune ragazze la squadravano come fosse un alieno appena sceso sulla Terra, e in effetti doveva essere così. La divisa dell'Istituto Ripley Saint Thomas era elegante, curata nei dettagli, ed i due ragazzi sembravano pronti per una cerimonia ufficiale dalla regina in persona. I capelli biondo miele di Evelya non avevano nessuna ciocca colorata, né un taglio particolare o spettinato. Se ne stavano ben saldi in uno chignon attorniato da una treccia, lasciando scoperte le orecchie prive di orecchini - o peggio, piercing -. La parola tatuaggio era vietata quanto una bestemmia nella sua famiglia, insieme agli abiti neri e strappati che indossavano tutti tranne lei ed Abel. Nel caos di urla, fischi e battiti di mani la fanciulla era come una pallina in un flipper, ancorata al braccio del compagno per paura di perderlo. « Che te ne pare? ».
    « Non è affatto male » replicò, costretta ad alzare la voce per farsi sentire sopra al frastuono della seconda canzone, che parlava di una ragazza troppo presa dallo stereo per notare le attenzioni del suo corteggiatore. A suo modo aveva una nota di romanticismo, niente a che vedere con quella specie di poemi classici che il professore le rifilava. Forse il cantante si stava dichiarando a qualcuno, o forse era solo un brano tra tanti. Aveva un tono determinato, come se volesse che i suoi sentimenti raggiungessero la persona in questione a tutti i costi, ed Evelya pensò alla fortuna della sconosciuta nel ricevere una dichiarazione del genere, cantata da un tipo affascinante come lui. Non erano vicinissimi al palco, ma abbastanza da vedere i volti dei membri della band nel dettaglio: la ragazza dai capelli lunghi era il suo esatto opposto, una creatura selvaggia che non sottostava alle regole e mangiava letteralmente lo stage, insieme al bassista con cui scambiava un sacco di sguardi maliziosi. Capì che Abel puntava al batterista appena gli altri tre musicisti si spostarono sulla destra ed i suoi occhi non li seguirono, ben saldi sul rosso svestito. In un secondo momento parve risvegliarsi dal sogno ad occhi aperti. « Ah, e il tizio rosso sembra stia guardando noi. » Allora aveva ragione! Rivolse l'attenzione al tatuato - quello con i tatuaggi più evidenti, almeno - solo per scoprire che era fissato sul charleston e la grancassa per il finale. Beh, di tizi rossi ce n'erano due. Con malcelata sorpresa incontrò le iridi purpuree del cantante, che stava effettivamente guardando verso quel punto della platea. Evelya rimase senza parole, come una ladra colta sul fatto, stringendosi ad Abel di riflesso. Il "wow" che bisbigliò al microfono divenne una specie di eco, e le fan iniziarono a reclamare quel complimento con una nuova ondata di spintoni. Se l'era immaginato, punto. L'unico motivo che aveva per fissarla era il vestiario fuori tema. « Ma no, figurati... » disse, nascondendosi dietro di lui per celare il rossore delle guance. Impossibile, era impossibile che tra tutti i suoi simili guardasse proprio la meno appariscente.

    Il concerto fu un susseguirsi di "baccano", per usare le parole di sua madre, che Evelya seguì a malapena, sorpresa di trovare quel genere attraente tanto quanto il cantante dai capelli rossi. Non sentì mai la dolcezza delle corde di un violino, né una voce soave a parlare di amore platonico. No, i loro testi parlavano di eccessi, gioventù, sbagli, uno sprazzo di volgarità, tutto per il sommo godimento dei fan che sapevano a memoria la maggior parte delle parole. Doveva essere così liberatorio. Per lei cantare era dare un suono alle emozioni che celava dentro, ma da quando frequentava l'Istituto le venivano assegnati solo brani preimpostati, dove non poteva scegliere nulla. Abel era contrariato quanto lei, anche se eseguiva i pezzi alla perfezione dietro il suo fidato pianoforte da bravo professionista. "Essere una cantante significa fare tua qualsiasi canzone" sosteneva Azarel, un uomo giovane all'antica, perciò la biondina si ritrovava con pezzi di lirica noiosi e già sentiti, provandoli fino a sera inoltrata. Se solo avesse potuto esprimersi come il leader degli Elysian... Trascorse il resto del tempo ad evitare lo sguardo vivace del rosso, troppo imbarazzata e sotto diretta minaccia delle fan, che approfittavano della sua bassa statura per oscurarle la visuale. Tuttavia non vi era riparo dal rombo della batteria, il suono elettrico delle chitarre, e quella voce. L'intensità scese unicamente verso la fine. Dopo un pezzo adatto ad una rivolta scolastica, bassista e chitarrista scesero a scambiare strette di mano con le prime file, tra selfie ed autografi sulla pelle o sulle magliette, mentre il batterista si faceva passare una birra e spazzava via il sudore dalla fronte. Il cantante, però, non aveva ancora finito. Si assentò qualche istante per tornare con una chitarra acustica, e buona parte del pubblico sospirò all'unisono - soprattutto le ragazze -. Diede ai suoi seguaci un pezzo in contrasto all'energico pop-punk di pochi istanti prima, con un timbro più dolce ed accorato. Ora che tutti si erano calmati, Evelya vedeva bene il suo nuovo idolo, quella voce le s'insinuava nei timpani e nel petto, raccontando di un'Isola che Non C'è ed una Wendy con cui voleva stare ad ogni costo.

    Wendy we can get away. I promise if you’re with me, say the word and we’ll find a way. I can be your lost boy, your last chance. Your "everything better" plan.
    Oh, somewhere in Neverland.


    Una fuga dalla realtà, esattamente ciò di cui aveva bisogno. Intercettò solo più tardi l'occhiata curiosa di Abel, riscoprendosi con le guance umide e gli occhi acquosi. Si stava commuovendo, ovviamente. Secondo il fratello minore aveva la sensibilità di un neonato, ma non riusciva a darsi un contegno in nessun caso.
    « Sto bene, tutto normale » rassicurò l'albino con un breve sorriso, usando la manica del cardigan per rimuovere le prove del misfatto. La melodia sfumò nelle ultime note, e solo allora Evelya sentì la suoneria del cellulare proveniente dalla tasca della gonna. Aveva completamente dimenticato che ora fosse, i genitori dovevano essere in pensiero. I genitori, o Zachary. In quattro messaggi distinti l'avvertiva che il professore di famiglia si era offerto per scortarla a casa, viste le strade buie e piene di malintenzionati. "Sta arrivando al pub. Fatti trovare fuori". Perchè Azarel insistesse così tanto a farle da custode restava un mistero. Sia la madre che il padre lo adoravano in quanto uomo talentuoso e molto benestante, ma la freddezza che riservava alla gente cosiddetta "povera" era deplorevole, lontana dall'educazione che gli attribuivano. Evelya guardò in direzione della porta, la luce dell'esterno che ne illuminava la vetrata in fondo al locale come l'uscita di un tunnel, e l'ansia prese il posto dell'estasi accumulata durante il concerto. Avrebbe detto ai familiari dov'era stata, ovvero nel mezzo di un branco di rivoluzionari dai capelli tinti e le magliette strappate. Poteva dire addio a quel poco tempo libero che le restava. - Basterà non farlo entrare. - Cercò il braccio di Abel, suo unico appiglio per tutta la sera, ritrovandosi però ad afferrare il vuoto, e subito andò nel panico. Che fine aveva fatto? Intravide una chioma di capelli bianchi al margine della platea, vicinissima al palco, ma come aveva fatto a finire lì? Combattuta tra due scelte cruciali, Evelya si liberò degli ultimi residui di lacrime e nuotò letteralmente tra la gente, intenzionata ad arrivare da lui prima che accadesse l'irreparabile. Una bella sfida, giacché le gentili fanciulle facevano a pugni per aggiudicarsi un posto in prima fila. Non appena fu ad una distanza accettabile perché la sua voce lo raggiungesse, la biondina si sbracciò per farsi notare. « Abel! Dobbiamo andar- ». Si sentì afferrare da una mano sicura, la stretta ferrea di uno squalo che emerge dall'acqua per trascinare giù la preda, ed in un istante la calca sparì, lasciandole l'ossigeno a cui tanto agognava. Il batterista li aveva in pugno, e quel sorriso le metteva i brividi.

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    Niente soddisfaceva di più di un concerto ben riuscito. I fan avevano abboccato all'amo e cantato tutte le canzoni in cori sguaiati, Noel non perdeva un colpo e il resto della band teneva il passo nel pieno dell'euforia. Cain aveva le braccia a pezzi, ma non importava. Voleva essere all'altezza del rosso numero uno, darci dentro fino a stirarsi i muscoli. Quando lo sentì dire un wow che con Lost in Stereo non c'entrava un cavolo lo guardò come se fosse impazzito, o meglio, guardò la sua schiena, certo che anche i piccioncini gli stessero riservando la stessa occhiata. C'era un cagnolino in mezzo alle persone, forse. Bella trovata per ingraziarselo! Izar tornò in fretta sul pezzo, lo stesso che aveva scritto pensando alla sua cotta in un pomeriggio al negozio di dischi, invece il leader ci mise un po' a rimettersi in carreggiata. Oddio, se era un labrador potevano dirsi fottuti. Puntava al centro della platea, dove le luci intermittenti illuminarono due ragazze dai capelli chiari, così chiari da catturare i riflettori. Facendovi più attenzione non ricordavano il pubblico medio che seguiva gli Elysian, perché diamine, dov'erano le magliette nere? Lì le aveva chiunque, anche il titolare. Tra un sorriso lascivo e l'altro, Cain prestò attenzione al cantante e a dove il suo sguardo finisse ogni benedetta volta, ovvero sempre lì. - Uuuh, qualcuno si è beccato un colpo di fulmine - pensò divertito, tirando ad indovinare chi delle due strane tipe avesse catturato il suo interesse: una era talmente bassa da sbucare appena tra la folla, l'altra poco più alta, composta, mostrava i denti appena qualcuno la sfiorava.
    - Devo fargli un discorsetto. Non se le sa scegliere le ragazze. - Quella alta, poi, lo guardò senza ritegno - lui, non Noel - ed iniziarono un inseguimento silenzioso: ogni volta che Cain lasciava la batteria per concentrarsi sull'ammiratrice segreta, quella puntualmente girava la testa verso l'amica, o il resto delle persone, o un punto che non fosse il batterista. Faceva la difficile, insomma. Che problema c'era nell'ammettere che stava bene senza maglietta? Diamine, avrebbe girato nudo per tutta la città tanto andava fiero del risultato dei suoi sforzi. Le donne proprio non le capiva. Neanche gli uomini, ma sapeva di avere la delicatezza di uno schiacciasassi quando si parlava di sentimenti. Dopo un susseguirsi di canzoni spacca timpani, gli Elysian chiusero in bellezza tra applausi, fischi e frasi sconce - la maggior parte venivano dal suo fanclub, quelle di Noel erano molto più pudiche -. Anziché dedicarsi agli ammiratori, Cain prese un attimo di pausa per trangugiare la birra fredda che un tizio dello staff gli passò di soppiatto, con i muscoli delle braccia che bruciavano e gli occhi appannati di sudore. Accettò ben volentieri anche l'asciugamano, guardando Izar ed Altayr che scendevano di sotto per salutare e fare le dive, finché il leader recuperava la chitarra acustica dal backstage per dare un ultimo zuccherino ai fan. Quella canzone era davvero strappalacrime. Il rosso numero due stava per gettarsi in pasto ai leoni quando notò la testolina chiara della ragazza alta, lo sguardo fermo che a volte sembrava sfidarlo, altre volte eluderlo. Beh, se piaceva a Noel aveva il dovere di recuperarla e portarla in salvo. Preso un lungo respiro, Cain posò la bottiglia di birra vuota e si fece avanti, in un mare di mani che toccavano ovunque ed urla estasiate nelle orecchie. « Permesso, scusate, dopo facciamo tutte le foto che volet- ehi! Il braccio mi serve! ». Gli serviva eccome, per suonare ed acchiappare il sacrificio umano dai capelli bianchi - bianchi, che figata! -. In un gesto svelto l'afferrò per il polso, trainandola oltre quell'inferno verso la safe zone del palco, dove Noel aveva giusto finito di suonare. Sentiva di aver appena combinato la coppia del secolo, il nuovo Cupido di Lancaster. Gli avrebbe chiesto dei soldi, se la cosa fosse andata in porto. Chiamò il capo a gran voce, sopra al baccano dei fan, indicando la prigioniera con un sorriso trionfale. « Noel, la tua principessa è qui! ». La esibì come un trofeo, ma appena si voltò a guardarla l'espressione gioiosa si sgretolò. Okay, aveva un fisico esile, un visetto angelico, degli occhi spaventosi, ed era... beh, un uomo. Inequivocabilmente uomo. E sul punto di ucciderlo. « Cioè, un principe. » La divisa maschile lo provava, no? Però sul serio, come faceva un ragazzo ad essere così bello? E bello era riduttivo. Possedeva la bellezza delle cose fragili, delle opere d'arte, quelle che Cain non toccava per paura di romperle. Quelle iridi cupe, peculiari e adir poco accattivanti parevano volergli perforare il petto. Al diavolo il sacrificio umano, quello se lo teneva lui. Lo avvicinò con uno strattone, ancora padrone del suo polso, dando le spalle a Noel e il resto della banda. « Ciao » disse, mangiandoselo con gli occhi, « da vicino sei anche meglio. » Quella pelle bianca e liscia doveva essere illegale, veniva voglia di morderlo. Che serata fortunata. Di lì a poco anche l'amica - stavolta davvero donna - trovò il coraggio di farsi avanti, un pulcino in mezzo a galli feroci che si sforzava di raggiungerlo senza morire soffocata. Appena fu a portata di mano, Cain la recuperò, e voilà, due bellezze niente male pescate dal mazzo. Mostrò entrambi al cantante con un gran sorriso. « Qual'era dei due che continuavi a guardare? Spero la bionda, perché questo qui lo voglio io ». Già, delicatezza di uno schiacciasassi.

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    Evelya non ebbe tempo di elaborare l'accaduto: un attimo prima battagliava per uscire illesa dalla folla e un attimo dopo si trovava tra le grinfie dello svergognato senza maglietta, lei ed Abel come due merci in vendita al mercato. Era questione di secondi prima che l'albino uccidesse qualcuno. Cosa peggiore, il batterista si stava rivolgendo al ragazzo che l'aveva commossa fino alle lacrime, ora vicino e reale, un figuro altissimo, tatuato e con le orecchie punteggiate di piercing. Tutto ciò che sua madre non avrebbe voluto per lei, insomma. Evelya sentì le gambe cedere, quasi fu grata che l'altro la sorreggesse, mentre avvertiva il calore espandersi sul viso e l'imbarazzo crescere di pari passo. Il fanclub avrebbe linciato entrambi, e il professor Azarel sarebbe arrivato a momenti. Non doveva trovarli lì.

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    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

    — ‹ Finally Together Code BY KL › —
  12. .
    Izar, Evelya, Cain.
    "In the space between chaos and shape there was another chance."

    Lancaster, primavera.
    Izar aveva un paio di scuse ben elaborate per non sollevare sospetti. Lui e Altayr erano usciti da scuola un po' più tardi del solito, casualmente ogni due passi al ragazzo si slacciava la scarpa, e sempre casualmente avevano passato troppo tempo al fast food, perdendo l'ultimo autobus che portava in centro. Un sacco di casualità, o forse voleva solo monopolizzare la compagna di classe - nonché collega - prima che lo facessero quelli del fanclub. Gli Elysian erano diventati popolari quell'anno grazie alla propaganda sfacciata di Noel e i loro live in giro per il paese, un continuo volare di pub in pub fino ad addormentarsi in sala prove per la stanchezza. Non era un lavoro che pagava bene, ma la gavetta toccava a tutti. Il bassista issò lo strumento su una spalla e tenne la porta aperta alla chitarrista - un vero galantuomo - mentre entrambi prendevano familiarità con il Black Dog, un pub immenso che puzzava di birra e aria viziata. Era il loro standard, nessuno si aspettava che quei posti cupi profumassero di violette. Mancava una buona mezz'ora all'inizio della performance, e già un branco di ragazzine incallite piantonava il palco in fondo al locale. Izar intercettò dei tipi loschi prima che sbarrassero la strada ad Altayr, mettendole di riflesso un braccio attorno alle spalle. « Che gran rottura » ringhiò, indirizzando ai poveri sfigati uno sguardo assassino. « Va bene, dobbiamo ingraziarci la gente, ma che ci venga il rosso a farsi fotografare. » Lui era famoso solo tra le donne più coraggiose, quelle che non si lasciavano intimidire dalle sue occhiatacce. Peccato che la più coraggiosa di tutte non se lo filasse come voleva. I due studenti passavano insieme gran parte della giornata, tra lezioni, prove e concerti, eppure di "fare coppia" ancora non se ne parlava, principalmente perché ad Izar mancava il coraggio e Altayr lo teneva sempre in riga. Non appena misero piede nel backstage - una stanza piccola piena di cavi, apparecchiature antiquate e nessuna finestra - l'espressione adirata di Noel parlò da sé. « Che vuoi? Abbiamo fatto in tempo, no? ». Bassista e cantante comunicavano così, a minacce. La loro era una guerra aperta a chi avesse l'ultima parola. Il moro spostò l'attenzione su Cain, spudoratamente senza maglietta, che gli sorrise sornione. « Vi dobbiamo lasciare soli? C'è un ripostiglio molto intimo di la. » Merda. Si era dimenticato di aver tenuto il braccio sulle spalle di Altayr fino a quel momento. Il batterista ci mangiava con i pettegolezzi, e gli aveva appena dato qualcosa per cui sfotterlo per l'intera settimana. Izar mise subito entrambe le mani in tasca, come se potesse migliorare la situazione, ed evitò di guardare la ragazza in viso. Si sentiva le guance calde. « Fottiti, Skriker. » Il ripostiglio era la parodia di un camerino - c'era anche uno specchio logoro in un angolo - dove i due liceali potevano togliersi la divisa per indossare qualcosa di consono alle canzoni pop-punk degli Elysian. Niente camicia inamidata e cardigan, insomma. Il bassista buttò a terra il borsone e recuperò una maglietta nera tra i libri di scuola, spiegazzata ma accettabile, insieme ai jeans strappati che completavano il look da cattivo ragazzo. Peccato che a scuola fosse un secchione, gettasse le cartacce nella spazzatura e aiutasse gli anziani ad attraversare la strada. Un paradosso. Come d'abitudine, Izar diede le spalle alla collega ed iniziò a slacciare i pantaloni, approfittando di un amplificatore dismesso per nascondersi dalla vita in giù. Okay, era cotto, ma non così viscido da sbirciare mentre lei si cambiava. Andava contro i suoi principi morali, per quanto la tentazione fosse forte.
    « C'è più gente del solito » constatò, sbottonando la camicia ed allentando la cravatta. « Attenta a non sbagliare. Le bimbe in prima fila sembrano esperte, se ne accorgono subito. » Le "bimbe" non facevano un cervello in dieci, e li seguivano come ombre da qualche mese. Da quel che sapeva avevano fondato un fanclub ufficiale, con tanto di blog e foto vendute ad altre disperate per tante, troppe sterline. Il grande capo diceva che gli facevano un sacco di pubblicità, motivo per cui dovevano subire le loro grida in silenzio e fingere che non esistessero, ma sapeva quanto irritavano l'unica ragazza della band. Stuzzicarla con quelle frecciatine era sempre un piacere.

    Raggiunsero gli altri poco dopo, vestiti per l'occasione e strumenti alla mano. Altayr era una visione impagabile come ogni dannatissima sera, ovviamente, tanto per Izar quanto per gli animali affamati sotto al palco. La sua pelle era così bianca. I tatuaggi l'abbracciavano ad ogni curva, non sporcandola, ma abbellendola ancora di più, tracciando disegni di rose su entrambe le clavicole fino a nascondersi nel top nero. - Di tutte le cose che poteva mettere... - pensò, un nodo alla gola mentre gli occhi scendevano dalla sinuosità del petto al ventre scoperto. Non poteva, che so, mettersi una tunica super coprente? Un maglione a collo alto? Solo per il concerto, poi in sua presenza poteva anche restare in - In niente, idiota. - Nel frattempo Cain, che faceva dell'aspetto esteriore un culto, sembrava intenzionato ad uscire senza maglietta. Il tatuaggio intricato che gli copriva la parte destra del corpo - collo, braccio, torso e fianco - poteva passare per un indumento aderente, in effetti. « Buon Dio, non siamo in uno strip club! » lo appuntò il bassista, coprendosi teatralmente gli occhi. Il rosso in risposta gli prese la mano e se la premette sugli addominali. « Tocca qui e invidiami, signorina. » Izar scattò indietro e si pulì subito, un bleah schifato a parlare per lui finché l'altro se la rideva. Propose anche ad Altayr di tastare il frutto dei suoi duri allenamenti, e per fortuna Noel lo interruppe prima che scoppiasse una rissa.
    « Mi hai detto di attirare l'attenzione, cos'altro devo fare? Mettermi in mutande? Peccato che stasera non ho quelle in pizzo. » Dunque era un'idea del leader. Erano così disperati da necessitare di uno spogliarello?
    « Ehi, non farmi immaginare cose strane, che poi vomito. »
    Cain fece spallucce. « Se si spoglia la chitarrista facciamo sold-out, altroché. »
    « Nessuno si spoglia! ». Anziché risparmiare il fiato per il live, Izar lo stava esaurendo in battibecchi sconclusionati, e la concentrazione andava a farsi benedire. Quando decise di aver fatto il pieno di stronzate, il bassista si fece coraggio e mise piede sul palco per collegare lo strumento all'amplificatore, isolandosi dal brusio che gli ronzava nelle orecchie. Ripassò la scaletta a mente, una parte concentrata sugli accordi e l'altra sugli occhi verdissimi di Altayr. Era tutto il giorno che la guardava, che ascoltava la sua risata sommessa. Dio, che dolce tortura averla così vicina. Avrebbe sbagliato almeno una nota ogni dieci, se lo sentiva.

    • • •

    « Abel, è questo qui! ». Evelya si sbracciò per catturare l'attenzione del compagno di classe, indicando un locale dall'insegna nera che recava la scritta "Black Dog" con il bianco slavato di un gessetto. Le loro uniformi sarebbero risaltate di certo in mezzo all'arredamento spartano del pub, tra ragazzi più o meno giovani dai vestiti strappati, piercing e tatuaggi esagerati. Strano pensare che proprio Solomon, il fratello maggiore tutto perfezione e ordine, avesse accettato di lavorare proprio lì. Che si fosse sbagliata? « Beh, è un posto... carino. » Cercò l'approvazione di Abel, incoraggiandolo ad avanzare tra la calca con un sorriso fiducioso. Non era a suo agio, glielo leggeva in faccia, ma come dargli torto? Per fortuna Solomon era proprio dove si aspettava di trovarlo, indaffarato a spillare birra dietro al bancone circolare. Salutò i ragazzi con un cenno, indicando un tavolo libero appena prima dei gradini che conducevano allo spazio per le esibizioni, gremito di giovani fanciulle adoranti. La biondina lesse su una maglietta la scritta Elysian, e si chiese chi fosse. Poteva solo intuire il genere di musica dall'abbigliamento dei fan, qualcosa che non prevedeva né pianoforte né violino. « Vedrai che si mangia bene. Mi dispiace solo aver scelto la serata dei live. » Entrambi avevano provato e riprovato un brano per l'imminente concerto di fine anno, erano davvero troppo stanchi ed affamati per fare gli schizzinosi. Intanto il fratello di Evelya passò dal tavolo a prendere l'ordinazione. Teneva gli occhi puntati a calamita sul palco, non guardava nemmeno cosa stava scrivendo sul blocchetto, e alla ragazza parve un comportamento davvero inusuale. « Conosci il gruppo? » chiese innocentemente. Il biondo fece cenno di sì e girò i tacchi, fine della spiegazione. Lei ed Abel si scambiarono uno sguardo confuso, giusto il tempo di chiedersi perché fosse arrossito a quel modo, poi le grida assordanti delle fan giù al palco divennero un boato, attirando la loro attenzione altrove: un tipo dai capelli scuri stava accordando uno strumento - chitarra o basso non sapeva dirlo - e una ragazza in top lo imitava con grande nonchalance, come fosse sola al centro della stanza e non circondata da una folla urlante. Ad Evelya parvero selvaggi ed accattivanti, tutti vestiti di nero, e per un attimo le venne voglia di gettare via il blazer color crema che indossava. Era lei quella fuori posto. Fu costretta a coprirsi le orecchie quando un terzo figuro si affacciò verso il branco di femmine impazzite, scatenandone uno schiamazzo assordante. Abel era sul punto di tirare fuori un fucile e fare una strage, poteva scommetterci. Beh, ecco spiegata la reazione entusiasta: il ragazzo dai capelli rosso fuoco ed il fisico prestante era a petto nudo, roba da far svenire l'intera famiglia Sadalmelik con tanto di antenati. Ci mise un po' a notare che i tatuaggi sparsi per il corpo non erano un indumento. - Oh, che vergogna! Spero che Sol non lo racconti alla mamma! -. Evelya credeva che il volume del coro non potesse salire più di così, ma si sbagliava. Un'altra chioma rossa fece capolino, brillante come una fiamma viva sotto i riflettori. Dal modo in cui si muoveva capì che il palco era la sua seconda casa. Era lui a guidare gli altri, era lui che aspettavano per partire. Il silenzio da parte di Abel non la stupì - era sempre silenzioso - perciò non si accorse di condividere con il compagno lo stesso sguardo trepidante, in attesa che la musica partisse.

    « Izar » « Evie » « Cain »

    Evelya Sadalmelik (18) • Izar Al'Nair (19) • Cain Asriel Skriker (22)

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    Izar Al'Nair • 26 y/o • Insegnante di matematica
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    L'atmosfera si alleggerì non appena Altayr e la professoressa May lasciarono l'ufficio, ma non in maniera definitiva. Semplicemente, il temporale stava viaggiando altrove, senza smettere di gettare saette. Sapeva che la studentessa aveva un carattere particolare, un muro impenetrabile in cui era difficile vedere attraverso. Gli altri insegnanti si lamentavano spesso della sua condotta disastrosa e, in generale, della poca voglia di fare che metteva in tutto, sport escluso, eppure Izar vedeva in lei molto potenziale. Si trattava solo di incanalare quell'enorme quantità di energia in qualcosa di utile, e soprattutto trattarla come un essere umano, non una mina vagante. Già, all'inizio era solo questo: una ragazza problematica da riportare sulla retta via. Com'erano finiti a flirtare di nascosto davvero non se lo spiegava. Forse era per le cose che avevano in comune, o per i sorrisi che gli riservava dopo una lunga giornata in cui tutto era andato storto, o per la pace interiore che provava solo quando la stringeva tra le braccia. Izar si passò il pollice sul labbro inferiore, memore del bacio fugace accompagnato dalla minaccia di sotterrarlo di dolci, e vide il suo riflesso nella finestra mentre ridacchiava soddisfatto. Beh, aveva accettato l'invito a uscire, se non altro. Doveva pensare a qualcosa di divertente da fare, possibilmente lontano chilometri e chilometri da scuola. Altayr non sembrava il tipo da mazzo di rose e cioccolatini - anche se adorava il cioccolato - e il professore era davvero arrugginito in fatto di corteggiamenti. A chi poteva chiedere consiglio senza risultare sospetto? Noel era fuori discussione, l'avrebbe sfottuto a vita, e Abel... Abel amava solo i suoi libri. Bella fregatura. Gli tornò in mente la ragazzina bionda che accompagnava sempre Altayr, un involucro di dolcezza ed ingenuità che lei adorava, e pensò che forse la soluzione era più semplice di quel che sembrava. Non si sarebbe insospettita - non lo faceva mai - e aveva le risposte che Izar cercava. La fortuna di essere un insegnante era che poteva avvicinare chiunque con la scusa di un compito da correggere o un richiamo da fare, così come attirava la sua studentessa preferita quasi ogni giorno. Provò a concentrarsi sul lavoro per i restanti quaranta minuti, passati a stropicciarsi gli occhi dietro le lenti ed imprecare contro un computer che procedeva a rilento. Lo raggiunse anche il professore di storia, un ometto vecchio quanto la sua materia ma davvero comico, seguito a ruota da Miranda May, un po' più truccata di prima. La zaffata di profumo che lo investì appena lei si sedette cancellò l'aroma di caffè in un battibaleno. « A che punto sei? Ti vedo in difficoltà! » L'insegnante di lettere parlava in quel modo civettuolo che di solito Izar associava alle commesse dei negozi di vestiti: dovevano convincerti a comprare, lusingandoti su quanto un pantalone ti stesse bene e ti facesse un bel culo, ovvero "hai tutta la mia attenzione, ma ricordati di pagarmi". Cercava di conversare a tutti i costi, quando il ragazzo voleva solo continuare il lavoro nel silenzio zen di poco prima. Finse di guardare l'orologio, giusto per sembrare preoccupato. « Mi ci vorrà parecchio. Ho i compiti di altre due sezioni. » Il vecchio Mosley, sulla scrivania di fronte, gli diede del povero sfigato e se la rise, accendendosi la pipa.
    « Oddio! Pensi di farcela per le sette? ». Miss May era davvero costernata, per quale motivo poi non si capiva.
    « Beh, credo di sì » azzardò lui, gli occhi che viaggiavano dal compito di uno studente alle formule sullo schermo. Nemmeno avesse vinto alla lotteria, la professoressa batté le mani ed emise un gridolino ad ultrasuoni che, ci scommetteva, aveva fatto incrinare qualche vetro. « Allora puoi venire alla cena! È tutta la settimana che ne parliamo. Vero Mosley? ». Mosley bofonchiò un boh e si stravaccò sulla sedia girevole, una mano sulla pancia ed una tra le pieghe del libro di testo. Non era di grande aiuto, perciò Izar dovette fare i calcoli da solo: una cena tra colleghi il martedì sera. Ultimamente era così preso da mille impegni che poteva averlo sentito, ma non appuntato. Di solito Noel era sempre entusiasta quando si trattava di cene fuori, e non gli parve di ricordare che gli avesse rotto le scatole a riguardo i giorni precedenti. Okay, stava proprio invecchiando. « Me n'ero scordato... Dove si va? ». Il ristorante in questione, che May descrisse con aggettivi tipo "buonissimo" ed "elegantissimo" era a pochi minuti di distanza da scuola, in un quartiere troppo giovane per chi, come lui, di giovane aveva solo il viso. « Però sai, la mia macchina è dal meccanico. Posso contare su di te? » Riecco la commessa petulante, solo più vicina di venti centimetri. Che Izar sapesse, la macchina della donna era ferma dal meccanico da almeno due mesi, motivo per cui l'aveva accompagnata in stazione un sacco di volte. Guidare non gli dispiaceva, ma era tutto tempo che non passava con Altayr, quindi sprecato. E quel maledetto profumo era penetrato nei sedili, ormai. Rifiutare pareva l'unica opzione contemplabile, soprattutto perché stava cercando di risparmiare, però quegli incontri informali tra colleghi erano un po' alla base delle regole scolastiche non scritte dei professori. Serviva a legare, collaborare meglio, la Preside ci teneva. « Va bene » disse, rassegnato, « allora tra un paio d'ore ci vediamo in parcheggio. » Miranda May esultò di gioia, raccolse la borsetta e lo salutò un paio di volte, dimenticando Mosley e l'odore acre della sua pipa. Era venuta lì solo per chiedere uno strappo, quindi. E rovinare l'umore di Izar. « Magari le dici che sei già occupato, mh? » punzecchiò l'anziano, sbuffando fumo come una ciminiera ingolfata. Per fortuna non si accorse del colore terreo che il ragazzo assunse a quell'affermazione, nascosto dietro lo schermo. Era stato scoperto? La sua carriera era in pericolo? La reputazione di Altayr era... « Fa pure scena muta, furbastro. Ce ne siamo accorti tutti che hai la testa da un'altra parte. Tu e il rosso dell'infermeria fate a gara, ultimamente. »
    « Ah giusto, sì. Dovrei dirle che sono... occupato. » Occupato, certo. Occupato a non farsi beccare dagli insegnanti mentre pomiciava con una studentessa otto anni più giovane di lui. Pensava di essere stato discreto, maledizione! Doveva parlarne con Noel, al diavolo le prese in giro. E poi, se i sospetti di Izar erano fondati, rischiavano entrambi. L'amica di Altayr passava decisamente troppo tempo in compagnia del medico, ed era il ritratto della salute.

    Alle sei e mezza, tra uno sbadiglio e l'altro, il professore di matematica raccolse le sue cose e preparò la sigaretta in tasca. Fumare in un abitacolo chiuso avrebbe dato fastidio a chiunque, magari Miss May si sarebbe stancata di chiedere passaggi proprio a lui. Comunque, Mosley gli aveva dato uno spunto interessante. Avrebbe parlato alla donna di questa "fidanzata" che lo teneva occupato, ottimo modo per mettere dei paletti tra loro e troncare ogni possibilità di una futura relazione. Nel tragitto verso l'auto scrisse un messaggio ad Altayr sul suo rincasare tardi - mettendo un numero illegale di cuori in fondo alla frase - e pregò che la serata si concludesse senza intoppi. Miranda lo aspettava, appoggiata contro la porta del passeggero con un nuovo paio di tacchi - che dentro l'edificio scolastico non erano ammessi - l'aria compiaciuta ed una manicure che minacciava di graffiargli tutta la carrozzeria. Izar avrebbe pagato miliardi per vedere una certa ragazza al suo posto, intrecciarne le dita sul cambio, lasciarle scegliere la musica che voleva e sparare il volume a mille. La collega si sedette a gambe accavallate ed abbassò il finestrino appena il fumo di sigaretta le arrivò al naso, blaterando di giornate noiose passate da sola, del suo ultimo San Valentino di solitudine, di un compleanno deludente fatto con poche amiche... Okay, aveva recepito il messaggio. « Spero che non ci mandino via troppo presto, ho bisogno di bere. »
    Izar colse la palla al balzo, finse di guardare qualcosa sul cellulare e al verde del semaforo ripartì con un colpo secco di acceleratore, l'aria ancora più dispiaciuta. « Bevete anche per me. La mia ragazza mi aspetta a casa alle dieci. »
    Bomba sganciata. Non si tornava indietro. Osservò la reazione della donna di sfuggita - era concentrato sulla strada - ma il silenzio che seguì fu abbastanza eloquente. Per riempirlo accese la radio su un notiziario a caso, subito rimpiazzato dalla voce nervosa di Miss May. « Alle dieci è un po' presto... ».
    « Sì beh, volevo stare con lei. » Eccome se voleva. Non desiderava altro. Invertire la rotta e andare a prenderla sotto casa per mangiare ad un fast food era mille volte più allettante che passare un altro minuto con la donna molto single e molto offesa lì accanto. « Windstorm lo sa? » chiese all'improvviso, un ghigno dipinto sulle labbra color prugna. Credeva di farla da padrone, metterlo in imbarazzo, e intanto lui rideva internamente. « Perché dovrebbe? Insomma, sono faccende private. » Miranda annuì, gli occhi alla ricerca di un elemento femminile in macchina che potesse tradirlo e l'unghia a picchiettare sul sedile. « Credo che tu le piaccia, ma solo un pazzo frequenterebbe quella delinquente. Chissà come ci rimarrebbe male se lo sapesse! ». Con ogni probabilità non vedeva l'ora di incrociarla il giorno seguente per darle la triste notizia. Il fatto che l'avesse chiamata delinquente, comunque, invogliò Izar ad inchiodare bruscamente e far finire quel trionfo di trucco e profumo sul cruscotto. Peccato che ci tenesse al suo vecchio catorcio. La conversazione verté altrove fino all'arrivo al ristorante, dove i professori erano solo due: educazione fisica e chimica. Altra carne giovane per l'avvoltoio Miranda May. Prima di entrare nel caos del locale, Izar si concesse un ultimo messaggio.

    - Quanto si arrabbiano i tuoi se ti vedono scappare di casa alle dieci di sera? -

    « Parlato » - Pensato -
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    Code by Kalameet

  14. .
    ⚘ EVELYA SADALMELIK ⚘

    Il suo egoismo l'aveva portata a questo. Per un capriccio ora Noel non sorrideva più, e faceva male, un male fisico, al pari di una pugnalata in pieno petto. Il ragazzo le stringeva convulsamente le mani, incredulo ed affranto, e lei non riusciva a rispondere ad una sola domanda. Temeva che le parole si sarebbero trasformate in singulti, finché le lacrime radunatesi sotto alle palpebre iniziavano a sfuggirle.
    « Non puoi tornare alla vita di prima, se sei scappata c'è un motivo ». Oh dei, lo sapeva fin troppo bene! La libertà che si era presa con la forza, rinunciando a tutto, stava tornando ad essere un sogno irrealizzabile e distante, con la differenza che ora, per l'Angelo, non vi era più alcuna possibilità di redenzione. « Ascoltami, ti prego... » lo supplicò, quasi dolorante nella sua stretta. La piuma bianca stava tra loro come una bandiera di resa - la sua resa - ed Evelya non riusciva a pensare a nessuna giustificazione plausibile. Doveva dirgli di Azarel? Di quanto aveva messo in pericolo il Demone solo con la sua presenza? No, certo che no. Non poteva aggiungere preoccupazione ad altra preoccupazione. « È necessario che io parta, devo... ».
    « Sono quasi impazzito quattro giorni senza di te, figurarsi non rivederti più ». D'un tratto guardarlo negli occhi le riuscì molto difficile, soprattutto perché era conscia di avere il viso rigato di lacrime ed un'espressione miserabile. Possibile che Noel tenesse così tanto a lei? Credeva che fosse nella sua indole aiutare il prossimo, e la fanciulla era stata solo l'ennesima poveretta da consolare, probabilmente. Il fatto che si tenessero per mano sempre più spesso o che i loro abbracci durassero alcuni istanti oltre il necessario non significavano certo un attaccamento profondo. Evelya era sicura dei suoi sentimenti tanto quanto era sicura di quelli del rosso, che la considerava una specie di sorella minore da trarre in salvo. Sì, era l'unica spiegazione. « Stai esagerando. Mi conosci appena » mormorò, sorridendo tristemente delle sciocche idee che le frullavano nella testa. Se avesse continuato a fingersi tranquilla, padrona della situazione, magari anche Noel si sarebbe calmato, insieme al fastidioso pulsare del suo cuore. Alla richiesta dell'altro di opporsi alla volontà del fratello - e di tutta la famiglia - Evelya scosse subito il capo. « Non posso, Noel. Sono già fuggita una volta, e da allora ho causato solo guai ». La prospettiva di una vita da reietta, con un pretendente alle calcagna che tutto pareva fuorché un gentiluomo, la terrorizzava davvero, ma coinvolgere il ragazzo di cui si era invaghita e metterlo in pericolo... no, questo mai. Aveva il diritto di proseguire per la sua strada, diventare il grande medico che aspirava ad essere e continuare a sorridere gioioso, evitando di immischiarsi in faide tra casati angelici. « Perderai tutto, e anche io perderò tutto » disse lui, rincarando la dose, intaccando fino all'ultimo briciolo di volontà rimastole,
    « perché voglio stare con te, anche tutta la vita, e perché... ». Evelya rimase senza fiato e parole, sfilando una mano dalla sua presa per chiuderla sul petto, attorno alla stoffa leggera del vestito. Uno di loro stava delirando, e non era certa che fosse il ragazzo. Nessuna persona sana di mente avrebbe dichiarato di voler passare la vita con un Angelo indegno perfino di una dote, rigettato dalla famiglia stessa. Aveva interpretato male il discorso, chiaramente. « ... Perché mi piaci, più del dovuto, e non posso sopportare il pensiero che ti facciano qualcosa che tu non vuoi ». Per un lungo istante, la fanciulla si sentì chiusa in una bolla: il mondo spense tutti i rumori, la vista si offuscava quando provava a mettere a fuoco il verdeggiante parco che li circondava, e l'unica macchia distinta di colore era il rosso cremisi dei capelli di lui. Poi sbatté le palpebre e tornò a vedere la figura slanciata del Demone come gli era sempre apparsa. Confortante, un rifugio sicuro, un appiglio. - Non l'ha detto... non l'ha detto - ripeté a sé stessa, perché se il suo sciocco amore era corrisposto allora poteva dire addio alla felicità per sempre. Noel l'avvolse in un abbraccio così lentamente che le parve non arrivare mai, finché sentì il respiro caldo sulla pelle scoperta del collo. Era un bene che non la guardasse in faccia, per tutti e due. « T... ti piaccio in che senso? Come un'amica? » chiese, titubante, ma perfino quell'unica speranza le fu negata appena Noel fece cenno di no con la testa. Se Zachary non fosse venuto a prenderla, se il fidanzato avesse semplicemente rinunciato ad averla, se la vita avesse ripreso il suo corso, Angelo e Demone sarebbero rimasti insieme. Quella realizzazione consumò l'ultimo briciolo di compostezza. Evelya posò la fronte sulla spalla del rosso, osservando le lacrime cadere ai loro piedi e le mani ancora giunte a stringere la piuma. Non era giusto, per nessuno dei due. « Vorrei non averti mai incontrato ».
    Con un considerevole sforzo - mentale e fisico - fece un passo indietro, ritraendo entrambe le mani per pulirsi le gote umide di pianto. « Se non mi fossi innamorata di te ora non soffrirei così, e invece ho complicato tutto ». Fece il possibile per non vacillare sotto lo sguardo sconvolto di lui, consapevole che poche confessioni d'amore corrisposto dovevano essere finite a quel modo. Nelle favole che leggeva il cavaliere salvava la principessa, le giurava fedeltà eterna e la chiedeva in sposa. Ora Noel non poteva fare altro che dirle addio. « Mi dispiace, non sai quanto, ma devo tornare a casa. La mia famiglia ha bisogno di me, e non posso voltarle le spalle... non più ». Era precisamente così: con la sparizione della figlia, i Sadalmelik sarebbero stati derisi in eterno, sommersi dagli scandali, e nessuno avrebbe chiesto in moglie una donna fuggita dal primo marito in un semplice gesto di ribellione. Inoltre, fin tanto che Azarel il traditore era in circolazione non poteva vivere tranquilla.
    « Farò tesoro dei nostri momenti insieme. Quella piuma non ricrescerà mai, quindi non credo che ti dimenticherò facilmente ». Sorridere le costò molta energia, eppure ritenne giusto salutarlo con un po' meno di lacrime. Dei, ne aveva versate talmente tante che credeva fossero esaurite.
    « Sono stata... ingiusta con te. Come potrò ripagarti di tutti i favori che mi hai fatto? Non basterebbe una vita sola ». Fissandosi le dita intrecciate sul ventre, Evelya non osò alzare lo sguardo. Sapeva che il minimo tentennamento l'avrebbe ricondotta al punto di partenza, e si era impegnata tanto per non crollare davanti a Noel, per separarsi da lui con le dovute maniere. « Credimi, farei qualsiasi cosa per rimanerti accanto, ma questo è un addio ».

    « Parlato Evie ». - Pensato Evie -. « Parlato Noel ».

    Angel - 18 y/o - Runaway Bride - Sheet
    “Wherever you go, take yourself with you.”
    — ‹ Lovebloom Code BY KL › —
  15. .
    —⎿ NOAH ALDEBARAN ⏋—

    Non era facile lasciare Noah senza parole, più che altro per l'indifferenza che mostrava nei confronti di qualsiasi cosa al di fuori del Taurus, di Elnath o di sé stesso. Un ritratto? Proprio a lui? Quella ragazzina era proprio stramba. La sua faccia era una maschera inespressiva e... noiosa, tutto il contrario rispetto alla nuova conoscenza, che pareva uscita da un programma televisivo per bambini. Come faceva a sorridere sempre, senza stancarsi di essere gentile con tutti? Probabilmente nemmeno Aster arrivava ai suoi livelli. « Sei brava, ma non ne uscirebbe niente di buono » replicò, sentendosi in dovere di uccidere l'entusiasmo sul nascere, ma nulla da fare, Liane proseguì imperterrita. « Un giorno mi verrai a trovare? ». Noah inarcò un sopracciglio alla richiesta bizzarra, ancora sconvolto dall'ondata di cordialità che gli riversava contro. Si conoscevano da poche ore e già voleva rivederlo, incredibile. Il fatto che fosse socievole quanto un sasso non la infastidiva nemmeno un po'? « Di solito lavoro tutto il giorno » disse, gli occhi posati su un lobos troppo coccolone per essere il suo « vedremo ». Non voleva darle false speranze, anche perchè odiava uscire - soprattutto d'estate - e il laboratorio senza di lui non andava avanti. Era un periodo relativamente tranquillo, gli restavano giusto un paio di protesi da mettere a punto, forse poteva trovare il tempo di passare dalle parti dell'Università, caldo soffocante permettendo. « Beh, gli piaci. Te lo ritroverai tra i piedi spesso » rispose alla richiesta di portarsi appresso l'animale meccanico con una nota di ilarità appena accennata, sorpreso a sua volta dall'attaccamento spontaneo che dimostrava. Di solito odiava le persone, come il suo padrone, eppure Liane aveva sconvolto la loro routine a tempo di record. Come faceva un esserino così piccolo a contenere tanta energia restava un mistero. Lo stava costringendo a parlare un sacco per i suoi standard. L'inventore era abituato a rispondere a monosillabi a chiunque, motivo per cui Aster si occupava di relazioni con il pubblico e lui lavorava dietro le quinte in religioso silenzio. La creaturina gli fece un sacco di complimenti - il laboratorio l'aveva lasciata senza parole, se n'era accorto - arrivando persino a chiedere di usare qualche macchina. « Una che non rischio di far esplodere toccando un solo bottone, magari » suggerì, e Noah sentì il sangue defluirgli dal viso al ricordo dei rumori tremendi che la serra aveva fatto dopo il suo passaggio. « L'hai preso per un parco giochi, mi sembra ». Nonostante la rispostaccia ci pensò su davvero, ripassando mentalmente tutti i macchinari che aveva per capire se qualcuno fosse a portata di scimmietta. No, per niente. Costruiva cose utilil, complesse, ma inadatte a chi non era del settore. Gli balenò l'idea di progettare un oggetto a suo uso esclusivo, eppure quello stesso pensiero lo turbò. Da quando si preoccupava di fare regali agli sconosciuti? Il caldo gli dava alla testa. « Posso farti vedere come funzionano, ma non devi toccarle. E' pericoloso ». L'indole da fratello maggiore tornava a galla in sua compagnia, gli sembrava di riprendere il maldestro Fay ai tempi in cui ancora viveva a Wanta Unu. Forse era per quel motivo che la sopportava così bene, e così a lungo. Tra una chiacchiera e l'altra arrivarono nei pressi di un quartiere appartenente alla parte antica della città, dove l'avvento della tecnologia era giunto tardi, in modo sporadico. I lampioni erano pochi e tutti sfarfallanti, le strade malridotte e gli edifici a dir poco cadenti. Come poteva non preoccuparsi per Liane, a quel punto? Sembrava il genere di quartiere malfamato dove rischiavi la vita anche solo a passeggiare alla luce del sole. Inutile sprecare fiato, la ragazza era allegra e spensierata come sempre. O era molto forte, o molto stupida. Noah guardò lei ed Elnath scambiarsi gli ultimi saluti, una strana sensazione di disagio ad attanagliargli lo stomaco. Sarebbe stata al sicuro da sola? Ne dubitava. « Ci vediamo. Sai dove trovarmi, ormai ». Fece un vago cenno con il capo e si voltò nella direzione opposta, imitandola, ma riuscì a fare solo pochi passi. Aveva camminato lentamente di proposito, tentato dall'accompagnarla con lo sguardo finchè non fosse sparita dietro a qualche vicolo. La sentì chiamare il suo nome, sinceramente sorpreso dalla naturalezza con cui lo pronunciò, dato che per tutti lui era solo "Aldebaran l'inventore", e attese in silenzio il responso. Il fatto che non sorridesse lo sconvolse, forse anche più del modo in cui gli afferrò la mano per posarsela sul capo. I capelli aranciati erano sottili e lisci, quasi impalpabili, di un colore talmente brillante da risaltare alla poca luce presente lungo la via. « Sei davvero strana, Liane » disse, un minuscolo sorriso ad increspare le labbra. Pareva un cucciolo bisognoso d'affetto. Accolse la richiesta e fece scorrere le dita sulla testolina di lei, che arrivò persino a ringraziarlo. C'era qualcosa dietro a quella facciata da ragazza allegra che non lo convinceva, una solitudine profonda ed una tristezza tale da cercare anche la più insulsa delle carezze. Noah le tirò indietro i capelli fino a scoprire la fronte, liscia e tonda come quella di un bambino, in modo che fosse costretta ad alzare la testa e guardarlo in faccia. Era una brava attrice, doveva dargliene atto. « Non sei costretta a sorridere sempre con me » mormorò, prima di scompigliargli le ciocche e rimettere le mani in tasca. « Buonanotte ». Elnath abbaiò i suoi saluti un paio di volte, ancora scodinzolante, finché entrambi imboccavano la via del ritorno. Okay, aveva detto qualcosa di totalmente stupido e fuori luogo, ma in quel momento gli era parso sensato. Nessuno poteva essere felice ventiquattr'ore su ventiquattro, neppure il più ricco degli Angeli di Dahlu Wamy. - Ecco perchè odio l'estate. Mi rammollisco -.

    Di ritorno al Taurus evitò bellamente le domande di Aster, fin troppo inquisitorie, e salì al piano di sopra, tra le mura rassicuranti del laboratorio. Anziché riprendere il lavoro da dove l'aveva interrotto - la protesi di un braccio stava sdraiata sul bancone da lavoro dal giorno prima - Noah prese carta e matita e fece qualche schizzo veloce di un'immagine che gli frullava per la mente da quando aveva salutato Liane. - Dunque, leggero, rumoroso, colorato... -. Il risultato fu un uccellino dalla testa tonda ed il becco minuscolo, sul quale appuntò peso e grandezza approssimativi. Ovviamente doveva volare per stare al ritmo frenetico di Liane e non esserle d'intralcio, e con una ricetrasmittente all'interno sarebbero potuti rimanere in contatto nel caso le fosse successo qualcosa, no? Un'ottima trovata. Tempo di realizzare l'assurdità della situazione e l'albino accartocciò il progetto, chiedendosi se per caso non ci fosse stata qualche strana droga nel pesce che Aster gli aveva propinato a cena. « Cosa cazzo mi prende? ». Lo chiese a sé stesso e ad Elnath, sdraiato sotto al bancone, che in risposta sollevò appena l'orecchio. Magari era per via delle poche ore di sonno. Sì, doveva dormirci su e smetterla di preoccuparsi. Srotolò il materasso di fortuna che gli faceva da secondo letto, spense la luce, chiuse gli occhi e imprecò a denti stretti, poi prese il foglio stropicciato ed iniziò a scrivere numeri su numeri.

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    Fallen Angel ♦ 18 y/o ♦ April 22 ♉ ♦ Earth ♦ Char. Sheet


    NB: l'uccellino è l'ultimo a destra <3
95 replies since 24/1/2016
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