Votes taken by altäir

  1. .
    Grazie mille, aggiunti! ♥
  2. .
    Aggiunti tutti! ♥
    yu6 visto che siete abbonati, avete diritto ad un numero extra! L'abbonamento vale fin da subito c:

    CITAZIONE (gem-y @ 30/3/2019, 18:31) 
    non ho inserito il numero come abbonata perché teoricamente mi ero disiscritta ai vari abbonamenti tempo fa ^^" Se non ti ho avvisato nel topic, scusami tantissimo per la svista 😓

    Tranquilla picci, ovviamente nessun problema ♥ Diciamo che ti ho avvisato in amicizia (???)

    CITAZIONE (maluncöeur @ 31/3/2019, 19:17) 
    mamma mia troppo belli questi banner *A*

    Ti ringrazio tantissimo, sei molto gentile! *w*
  3. .
    abbonamento

    Dopo un periodo di inattività, spero di tornare alla carica con qualche iniziativa carina ♥ Per ora, rinnovo l'abbonamento ai contest e alle lottery! Quello vecchio era pieno zeppo di forum inattivi o cancellati, quindi ne rifaccio un altro!

    I vantaggi sono i seguenti:
    ✧ due numeri in più ad ogni lottery che organizzo
    ✧ 70 up in più a ogni contest up che organizzo
    ✧ tre voti in più a ogni contest a voti che organizzo
    ✧ potrete scegliere un premio extra ad ogni contest/lottery, sia se siete tra i vincitori o tra i partecipanti
    ✧ se non riuscite ad usufruire dei numeri bonus, essi si accumuleranno per tutte le lottery successive, fino a quando non riuscirete ad esaurirli
    ✧ banner 88x31 esposto nella sezione delle lottery

    Le regole per iscriversi sono semplici, date una letta veloce qui sotto:
    ✧ si possono iscrivere forum dei tre circuiti fc/ff/bf a patto che non violino le leggi del circuito.
    ✧ appena richiesto l'abbonamento, inserite uno dei banner in tabella.
    ✧ potete scegliere di partecipare o no alle lottery e ai contest che organizzo, non verrete penalizzati, ma se noto che il vostro forum è inattivo o non partecipate a molte lottery di seguito, il vostro abbonamento sarà annullato. Vi sarà possibile richiederlo, ma, per favore, contate che inserisco un tot di numeri dopo una serie di conteggi che includono anche i vari bonus degli abbonati e se ignorate completamente le mie lotterie è tutto un cazzo
    ✧ il modulo per iscriversi all'abbonamento è il seguente:
    CODICE
    <div align="center"><div style="width: 410px; height: px; background-color: #66b2b2; border-radius: 0px 40px 0px 40px; border: 2px solid #008080; padding: 10px"><div style="text-align: center; font-style: georgia; font-size: 22px; letter-spacing: -2px; color: #006666; padding-top:10px; line-height:10px; text-transform: lowercase"><b><i>membership request incoming!</i></b></div>
    <div style="width:370px; margin-top: 5px; margin-bottom: 20px; text-align: justify; font-family: georgia; font-size: 12px; line-height: 14px; color: #004c4c"><hr><b>&#10533; nome + link forum:</b>
    <b>&#10533; avviso:</b>
    <b>&#10533; codice banner 88x31:</b> lo inserirò nella tabella sopra questa sezione per un po' di sana pubblicità gratuita <3
    </div></div></div>


    Infine, ecco i banner! :sbrilluccic2:
    wgo5OO2
    CODICE
    <a href="https://rurudie.blogfree.net/?t=6022512"><img src="https://i.imgur.com/wgo5OO2.png"></a>


    DO1lUxD
    CODICE
    <a href="https://rurudie.blogfree.net/?t=6022512"><img src="https://i.imgur.com/DO1lUxD.png"></a>


    dKmiDsF
    CODICE
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    Lista abbonati:
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    Edited by altäir - 22/6/2022, 17:00
  4. .

    « Bang Dream! Lottery »

    Benvenuti ad una nuova e banalissima lotteria del Ruru LOL! Ne è passato di tempo, eh? Quattro anni, ve lo dico io, un'infinità. L'ultima lotteria è stata un po'... un casino? Posso dirlo?? Visto che però vorrei far risorgere questo portfolio cosa c'è di meglio di una bella lotteria fresca fresca? Il tema? Ovviamente la mia fissa del momento, ossia Bang Dream!, con protagoniste una manciata di band femminili ognuna col proprio stile. Una mia amica dell'università mi ha traviata, e siccome sono debole, eccomi qua, senza via d'uscita :> Non che mi dispiaccia, adoro ascoltare le canzoni del franchise e leggere le avventure di queste bimbe <3

    « Regolamento »

    ⤷ Possono partecipare i forum di ogni circuito (fc, ff, bf) a patto che rispettino le regole del circuito.
    ⤷ Ogni forum ha diritto a un numero tra quelli disponibili; ogni tesserino ha 10 numeri, i tesserini sono 5, quindi in totale sono 50 numeri.
    ⤷ I primi cinque iscritti hanno +1 numero bonus; gli abbonati hanno +1 numero bonus; gli affiliati e i gemellati hanno +1 numero bonus (se siete sia affiliati che gemellati, i numeri bonus diventano 2).
    ⤷ Il tesserino va esposto dal momento dell'iscrizione fino alla conclusione della lotteria e la conseguente distribuzione dei premi; prima di estrarre farò un giro di controllo, e chi non rispetterà questa regola verrà escluso dall'estrazione dei vincitori.
    ⤷ Se il numero da voi scelto fosse stato già prenotato, io ve ne assegnerò un altro, ovviamente il più vicino a quello da voi scelto; per questo vi consiglio di leggere gli ultimi messaggi onde evitare ciò.
    ⤷ I vincitori saranno cinque e potranno scegliere quattro premi dalla lista, mentre i partecipanti potranno sceglierne due. In ogni caso, gli abbonati hanno diritto ad un premio in più. !! importante !! Ho rinnovato l'abbonamento ai contest, quindi se volete abbonarvi (anche i vecchi abbonati, per favore!) basta che cliccate qui! Se vi abbonate adesso, potete comunque prendere il numero bonus!
    ⤷ I vincitori verranno estratti una volta occupati tutti i numeri tramite il sito Random.org. Se la lottery si protrae per troppo tempo, verrà chiusa e l'estrazione finale avverrà ugualmente.

    « Premi »

    ♬ affiliazione o gemellaggio
    ♬ banner 88x31 esposto in home per un mese
    ♬ banner 200x50 esposto in home per due settimane
    ♬ banner 500x100 esposto in fondo al forum per una settimana
    ♬ messaggio spam reso importante nell'apposita sezione spam per due settimane
    ♬ 5 spam in altri forum del vostro forum/di una vostra contest/di una vostra iniziativa
    ♬ set di 6 banner statici, dimensione a scelta
    ♬ set di 2 banner animati, 88x31 o 200x50
    ♬ 1 numero in più alla prossima lottery
    ♬ 1 premio in più alla prossima lottery
    ♬ 1 richiesta grafica a scelta, no html e skin
    ♬ lottery condivisa
    ♬ partecipazione ad una vostra lottery (potete richiederlo anche se sono già iscritta, a questo punto potete darmi un massimo di due numeri in più)
    ♬ iscrizione ad una vostra iniziativa (ovviamente dovrò essere d'accordo con essa prima di aderire)
    ♬ 20 up ad un contest up a cui partecipate
    ♬ un voto ad un contest a voti a cui partecipate
    ♬ raddoppio di un premio a scelta

    « Forum con numeri bonus dalla precedente lottery »

    Diversi forum hanno richiesto un numero in più alla scorsa lottery, ma nel frattempo sono diventati inattivi o sono stati cancellati, dunque questo spazio rimarrà vuoto.

    « Modulo d'iscrizione »

    CODICE
    <div align="center"><div style="width: 300px; height: px; background-color: #fff; border-radius: 0px 40px 0px 40px; border-right: 4px solid #F4B36C; border-left: 4px solid #F4DEC2">
    <div style="background-color: #E98977; width: 270px; height: 10px; border-radius: 0px 40px 0px 0px"></div><div style="width: 270px; height: px; border: 0px solid #fff; background: rgba(96, 87, 76, 0.1); border-radius: 0px 0px 0px 40px; margin: 0px 10px 10px 10px;"><div style="text-align: justify; font-size: 12px; line-height: 15px; font-family: georgia; color: #000;">&#10551; <b>nome forum + link:</b> (sotto code, grazie!)
    &#10551; <b>numero scelto:</b> 1 numero base
    &#10551; <b>numeri extra:</b> +1 se abbonato / +1 se affiliato / +1 se gemellato / +1 se sei tra i primi cinque iscritti
    &#10551; <b>avviso fine lottery:</b> tag/topic (sotto code, grazie!/preferirei no mp, ma se è l'unico modo va bene comunque lol
    &#10551; <b>promemoria per inserire il tesserino in home! fatto?</b>
    &#10551; <b>personaggio preferito?</b> se non conoscete la serie basterà dirmi "quella coi capelli rosa e gli occhi verdi" e la band di appartenenza, la vostra risposta mi servirà per farvi un adward personalizzato! <del>mi sono divertita a fare i tesserini e quindi niente</del>. Se non avete voglia di rispondere, il personaggio lo sceglierò io!
    </div></div>
    </div>

    </div>
    </div><p align="center">[size=0][font=georgia]code © ruru[/font][/size]</p>





    EMxEM3u
    CODICE
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    xNvE9RE
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    aKfYa8M
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    9wu4WXZ
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    yuBd9CA
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    « Buona fortuna! »



    code © ruru



    Edited by altäir - 30/4/2019, 17:21
  5. .

    maeve weaford
    › warrior › 18 › sheet

    « Staring up the road, Sick of the darkness and the cold, The chains are wearing thin, I'm fighting for us both, I built this wonderland Drenched in the colors of your skin »
    Maeve era furibonda, e vedere Cain reagire in modo così tranquillo era umiliante. Perché non gridava, così, a pieni polmoni, come stava facendo lei? Non era più facile urlarle in faccia che del suo regno non gliene importava nulla perché non apparteneva a quelle terre invece di tirare fuori la storia che ormai il suo destino era già scritto? Una scusa trita e ritrita, che poteva convincere chiunque ma non lei. Maeve, che sapeva cosa significava ribellarsi al suo destino, non si soffermò a studiare il palmo del giovane a lungo, perché sapeva che era una bugia che qualcuno gli aveva raccontato o che lui stesso continuava a dirsi. « La penso esattamente come te », fece, mentre Cain le dava le spalle diretto alla sua tenda, « Anche io credo che a Manaar sia andato di volta il cervello ». Aveva sempre riposto la fiducia nelle mani della dea della luce, e in quel momento non era da meno, solo che tutti, compresa lei, sacerdotessa della dea, si domandavano come fosse possibile che un tizio che non voleva avere nulla a che fare con il loro regno potesse essere il suo prescelto. Il futuro che aspettava Thyandul e gli altri regni non era roseo e Cain sembrava non essere toccato da questo. Il che la mandava in bestia. Sarebbe potuto morire anche lui nella guerra che re Greil stava cominciando, ma suo figlio, che si trovava davanti a lei e gli dava le spalle, non avrebbe fatto nulla. Perché il suo destino era già scritto, dove? Nel palmo della sua mano? La stessa mano che poteva scegliere contro chi puntare la spada? « Tu però sei ancora più stupido, perché ti nascondi dietro una scusa mediocre » fece qualche passo verso di lui, ma il ragazzo continuò imperterrito a camminare verso la tenda, deciso a far cadere il discorso. Andasse al diavolo. « Il tuo destino è già stato scritto? Ma per favore. Beh, questa potrebbe essere una possibilità per redimerti, e guardati, non stai facendo niente ». Si fermò sul posto, inutile inseguirlo. Era convinto dei suoi pensieri, era come parlare con un muro e Maeve continuava a sbatterci la testa. Cain stava mandando il suo popolo in guerra senza nessuno su cui contare e non se ne rendeva conto. Re Ethelbert aveva la sua età e l'erede al trono, giovane e coraggioso, non poteva più affrontare nessuna guerra. Rimaneva solo lei, che doveva fingersi qualcun'altro per non incorrere nell'ira della famiglia reale e dei nobili, ma nessuno dei soldati avrebbe dato retta a quella che sembrava un'umile cittadina di Xanturion. « Tu hai scelto il tuo destino, non viceversa ». Sospirò con rabbia, voltandosi verso il tronco in cui aveva conficcato Yeosin. Ripensandoci, non era stato un degno comportamento da parte della sacerdotessa di Manaar, come se la stesse dissacrando. Si ripromise di pregare una volta al tempio, l'indomani, mentre delle nuvole coprivano il sole, gettando ombra sull'accampamento. « Dimmi almeno che Thyandul non è la tua terra e, di conseguenza, te ne freghi », fece qualche passo indietro, « ma evidentemente preferisci rimanere a guardare mentre tutto crollerà a causa della follia di Greil, senza neanche cercare di opporti ». Si allontanò, richiamando le guardie a sé. Sentiva i loro passi pesanti qualche metro dietro di lei, e un pesante peso sul cuore. Lo avrebbe fatto lei, non importava che non riusciva a maneggiare Yeosin. Avrebbe combattuto in prima linea con la sua semplice spada d'acciaio, con o senza le sembianze di Dawn. Avrebbe protetto lei il suo regno, insieme ai soldati che sentivano di appartenere a quella terra. Non avevano bisogno di un eroe come lui.

    « Parlato » || - Pensato -

    ☆ code by ruru

  6. .
    regno di thyandul
    Città di Xanturion • Tempio della dea Manaar



    maeve
    weaford
    › warrior princess › sheet

    « Take a minute and revel in it and see how much we’re worth, I’ll fight and defend, I’ll see this out to the end. So follow me, to the ends of the earth »
    Anche all'interno del tempio di Manaar le tempie le pulsavano e la testa era affollata di pensieri che si affollavano sul misterioso ragazzo arrivato il giorno prima a Xanturion scortato da soldati. Aveva distrutto la tranquillità che regnava in città di colpo, la piazza gremiva non di persone serene, uscite di casa semplicemente per dare un'occhiata alle bancarelle della domenica mattina, bensì gente inferocita e desiderosa di vendetta contro l'intero regno di Erethos, rappresentato in quel momento da un tizio che dimostrava all'incirca l'età di Maeve e aveva già perso interesse in ogni cosa, era come se non avesse più speranza, come se essere giustiziato gli andasse bene. Non aveva messo in dubbio il mandato di re Ethelbert che, conoscendo suo padre, avrebbe preferito non vedere nessuno morire per suo ordine. Il giovane soldato sarebbe morto in una tiepida giornata di fine inverno e insieme alla primavera sarebbe sbocciata una nuova guerra. Sapeva dello scambio non giunto a buon fine tra suo padre e Greil, regnante di Erethos, e quello sarebbe stato solo l'inizio di uno sfiancante conflitto. La principessa strinse le mani congiunte in preghiera, portandole al petto in una disperata richiesta di aiuto. Voleva solo riuscire ad eliminare tutta la confusione e l'immagine del prigioniero che le tornava alla mente ogni due per tre, non pensare alla sua morte imminente. Il suo volto la tormentava da quando l'aveva visto in ginocchio nella sala del trono e quel suo sguardo carico d'odio era sicura di averlo già visto. Forse si stava confondendo con qualcuno che aveva visto in città durante una delle sue uscite, oppure un reale di qualche regno confinante, o un servo, o un ricercato, o un personaggio storico. Per giorni, Maeve aveva vagato nell'incertezza e in quel momento sperava solamente di trovare conforto nel dolce abbraccio di Manaar. In quanto sua sacerdotessa, la ragazza si recava spesso al tempio dedicato alla dea della luce e della creazione, e anche quella mattina, nonostante si preannunciasse una giornata pesante e tutt'altro che tranquilla, pregò affinché benedicesse la sua gente. La guerra era alle porte, inutile sperare in una prospera epoca di pace, ma si augurò che Manaar potesse, in qualche modo, alleggerire la situazione. La preghiera le portava sollievo, la incoraggiava, ed essere la sacerdotessa della dea - pratica che si portava avanti fin dai tempi antichi tra le donne della famiglia reale di Thyandul - la rincuorava anche nei tempi più bui, sapeva che nella fede avrebbe trovato un sostegno. Ripensò, inevitabilmente, all'imminente morte del ragazzo dai capelli blu che avrebbe avuto luogo quella mattina stessa: doveva dirigersi alla piazza principale per assistere all'esecuzione del prigioniero, i suoi genitori la stavano sicuramente aspettando, ma non se la sentiva di lasciare quel luogo. Era come se i problemi stessero tutti all'esterno del tempio, che una volta fuori avrebbe sentito il peso delle responsabilità e l'avvicinarsi di una guerra sanguinaria, mentre nel santuario si sentiva al sicuro, Manaar la faceva sentire al sicuro. Magari avesse potuto proteggere tutta Thyandul dal conflitto che incombeva minaccioso. La implorò silenziosamente, confusa e senza una via da seguire. D'un tratto, ebbe paura. Della guerra, di combattere, di morire. Lei, che aveva sempre sognato di condurre l'esercito in battaglia, venne accecata dal terrore. E se fosse morta? E se i suoi soldati fossero morti con lei? Sentiva di aver paura di morire, in quel momento, una paura folle. Dominic era caduto allo stesso modo, e lei ripagava il suo sacrificio morendo a sua volta? Perché voleva combattere, perché si era allenata tanto? Non voleva morire, non voleva che nessuno morisse, non voleva che suo fratello fosse morto, non voleva che il prigioniero misterioso morisse lontano dalla sua terra, non...
    Il tempo si fermò, e con esso il battito frenetico del cuore della principessa. Venne travolta dalla frenesia del campo di battaglia, sapeva dove si trovava, era un sogno che faceva spesso ma che non riusciva ad interpretare. La protagonista era lei stessa, che andava alla carica, mollava fendenti a destra e a manca, nella speranza di sopravvivere, e poi cadeva a terra, impotente. Gli uomini che la circondavano avevano la faccia oscurata da una sorta di foschia, perciò non aveva idea di chi fosse l'uomo che aveva alzato la lama su di lei, pronto ad ucciderla. Come previsto, arrivò un ragazzo in suo soccorso, che respinse il nemico con una facilità impressionante, ma non aveva mai saputo chi fosse. Quella visione però era chiara e nitida, e riuscì a scorgere le tonalità del suo vestiario e il colore dei suoi capelli. Erano blu cobalto. Lo sconosciuto impugnava la spada sacra del regno di Thyandul, Yeosin, un'arma che solo i prescelti della dea Manaar riuscivano ad utilizzare. Ciò significava solo una cosa: l'uomo davanti a lei non era altro che l'eroe di Thyandul, colui che avrebbe portato la pace e ristabilito l'equilibrio. Solo che non poteva essere proprio lui. Aveva portato caos, non era fedele neanche al suo regno di origine, chissà se sarebbe stato in grado di aiutare Thyandul. Perché non poteva essere lei? Perché non lo era stato Dominic? Guardò il ragazzo negli occhi, mentre le intimava di alzarsi con una voce che aveva già sentito. Si sentì una stupida: lo aveva già visto nei suoi sogni e non lo aveva riconosciuto nella prigione quando si erano trovati uno di fronte all'altra. La visione svanì di colpo e Maeve si sentì stordita, la testa che girava senza tregua. « Ma che diavolo... » sussurrò, passandosi una manica del vestito scuro che indossava sul viso: lacrime. Se le asciugò velocemente, puntando subito lo sguardo al trono della dea. Era il suo eroe, il suo prescelto. Doveva salvarlo, e in fretta. « Átaremma i ëa han ëa » cominciò a recitare la preghiera mentre si alzava in piedi, velocemente, prima di congedarsi, « na aire esselya. » fece un breve inchino prima di uscire e cominciare a correre verso la piazza principale e per la prima volta maledì l'ubicazione del tempio, così lontano dal centro di Xanturion. Sperò davvero non fosse troppo tardi per evitare che il prescelto morisse. Era una corsa contro il tempo, una corsa che la stava sfiancando, le gambe si muovevano per conto proprio e benedì il cielo quando notò un'enorme calca di persone in lontananza. Se la gente non si era ancora dispersa, significava che era ancora in tempo. Le strade erano vuote e silenziose, cosa che nella capitale di Thyandul accadeva solamente in occasione di eventi funesti. Un'esecuzione era uno di quelli: il popolo rimaneva in silenzio per onorare la morte del malcapitato, ma, trattandosi di un nemico del loro regno, sapeva che avrebbero gioito appena il priogioniero avrebbe esalato il suo ultimo respiro. Cominciò a mancarle il fiato e a farle male la milza, le piante dei piedi bruciavano, ma era l'eroe del regno. Doveva farlo per Thyandul. Thyandul sarebbe stato salvo. Avrebbe protetto il suo popolo. Manaar aveva mandato lei a salvarlo. Si fece spazio tra le persone che la salutavano con "Altezza, anche voi qui?" o le chiedevano perché fosse di fretta o perché non fosse al fianco dei regnanti ad assistere all'esecuzione. Maeve non ascoltò nessuno di loro, in mezzo a tutta quella gente le sembrò di annegare e non riuscire mai ad arrivare al patibolo, dove il boia aspettava trepidante l'ordine del re per far mancare la terra sotto i piedi al ragazzo. Ad un passo dal salire le scale, vide una guardia che cercò di agguantarla e lei si spostò di lato, evitandola per un soffio, salendo sulla struttura. Non riuscì a dire nulla a causa del fiatone, ma la sua presenza sul patibolo attirò l'attenzione di tutti i presenti, e poteva sentire lo sguardo del padre che la attraversava da parte a parte. L'orlo dell'abito era sporco e i capelli in disordine, sicuramente non sembrava una giovane erede al trono in grado di convincere la sua gente a revocare una pena di morte. « Fermatevi! » gridò, prima di dover riprendere nuovamente fiato. Il silenzio che aleggiava era molto più pesante di quello che anticipa un'impiccagione. « Per ordine di Manaar, fermatevi! » ripeté, e sembrò fare più effetto. « Manaar mi ha mostrato il futuro del nostro regno e quest'uomo » si girò verso di lui, che la guardava stranito. Probabilmente adesso credeva che era davvero la principessa. L'aveva salvato, ce l'aveva fatta. Thyandul sarebbe stato salvo grazie a lui. - Perché non grazie a me? -. Lui avrebbe protetto il popolo che Maeve tanto amava. - Perché non me? -. Manaar aveva mandato lei a salvarlo. - Perché Manaar non ha scelto me per salvarli? -. « avrà un ruolo cruciale. » si sforzò di dire ad alta voce, perché la delusione e la rabbia le stavano mangiando lo stomaco. Lo guardava e in lui vedeva un ragazzo poco collaborativo, al quale poco importava di ciò che stava succedendo. E lei doveva lasciare tutto quello che amava nelle sue mani? Deglutì. « Propongo... », « Maeve! » Re Ethelbert si alzò dalla sua sedia in modo rumoroso, la voce tuonante e un'espressione dura. Maeve deglutì di nuovo, ma non abbassò lo sguardo. Si stava mettendo contro tutti, lo sapeva bene, doveva apparire sicura e determinata. « Propongo di sottoporlo alla prova di Yeosin. La dea Manaar mi ha rivelato che lui sarà l'eroe di cui abbiamo bisogno, », « Maeve! », « se riuscirà a sollevare la spada lo terremo in vita » le faceva male la gola a forza di gridare e sovrastare la voce del padre, « e lui dovrà schierarsi con Thyandul e giurare fedeltà al suo re e alla sua dea! ». Il popolo era in disaccordo, sentiva i bisbiglii e immaginava ciò che stavano dicendo alle sue spalle. « E' questo il volere di Manaar. » dicendolo, si rese conto di quanto potesse spingersi in là per servirla: non era d'accordo con lei. Quel tizio era un nemico della sua patria, non meritava tale titolo, non gli avrebbe affidato l'avvenire del suo regno. C'erano persone più meritevoli, più ambiziose, pronte a sacrificarsi, ma la dea aveva scelto lui, un nemico. Si sentì tradita, e quasi la prima a non credere a ciò che la dea le aveva mostrato. Maeve non sarebbe mai riuscita a raggiungere i suoi obiettivi, quella ne era l'ennesima prova.

    • • •

    Yeosin era chiusa in una teca di vetro, all'interno di una sala del tempio, coperta di rovi e spine. Nessuno era riuscito a fare sua la leggendaria spada insieme al titolo di prescelto, e a quanto pare era giunto il momento. La gente lì radunata non era pronta all'evento, e forse neanche il resto del regno lo era. Neanche la principessa, la stessa sacerdotessa di Manaar. Lungo il tragitto, il re l'aveva presa in disparte, rimproverandola. Sapeva di essere stata impulsiva e che non era da lei. Sapeva anche che non poteva permettersi di interrompere una cerimonia in quel modo, a cuor leggero, ma la ragazza si sentì di rispondergli in un solo modo, ossia "Manaar mi ha inviata". Era la risposta che ci si aspettava da una sacerdotessa, ma non quella che Maeve avrebbe voluto pronunciare davvero. Lei avrebbe voluto gridare, a squarciagola. Dominic era stato un eroe, aveva salvato centinaia di persone compresa lei, Maeve stessa aveva a cuore il destino del suo popolo più di ogni altra cosa, come mai era uno sconosciuto ad impugnare Yeosin? La principessa non aveva mai ambito ad un riconoscimento del genere, ma in quel momento sembrava... sbagliato. Non sapevano nulla di quel tizio, se non che era parteggiava per Greil, il regnante senza cuore. Cosa doveva aspettarsi da una persona del genere? Prese un profondo respiro quando vide il ragazzo sollevare la sacra spada, mentre i rovi che circondavano la teca tornavano a fiorire di nuovo dopo anni. Voleva gridare, furiosa, invece recitò una preghiera, in silenzio, sperando che Manaar la perdonasse.

    • • •

    La principessa si diresse verso la cella in cui Cain - questo il nome del prigioniero - era stato rinchiuso qualche giorno prima scortata da qualche guardia, le loro scarpe e armature che facevano rumore sul pavimento era l'unico suono che si udiva in quel luogo freddo. Quando lo vide dietro le sbarre, lui non si girò neanche verso di lei. La sua vista incendiò nella principessa una rabbia che mai aveva provato nei confronti di qualcuno. Era un codardo. Non era stato lui a scegliere di essere l'eroe, ma anche Thyandul avrebbe preferito qualcun'altro al suo posto. In fondo, la ragazza sperava ancora che potesse cambiare idea una volta fatto inserire nel consiglio o averlo fatto arruolare nell'esercito, ma essendo indecisi sul da farsi suo padre aveva ordinato di lasciarlo in gattabuia finché non avrebbero preso una decisione ufficiale. Intanto, Maeve aveva ricevuto l'ordine di applicare un incantesimo sul ragazzo che gli avrebbe impedito di lasciare il regno e varcarne i confini, giusto per sicurezza. « Ehi generale » fece, stendendo il braccio destro verso Cain con la mano aperta e recitò a bassa voce la formula. Una flebile luce verde illuminò la figura del ragazzo, per poi scomparire dopo pochi attimi. « Adesso che ti ho lanciato questo incantesimo, non ti conviene trasgredire alcuna regola » sospirò Maeve, passandosi una mano tra i capelli castani; sapeva di star esagerando, ma mettergli un minimo di angoscia era la tecnica migliore, « Potrebbe rivelarsi fatale » Fece per andare via, ma si fermò davanti alle sbarre. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, di pensare al suo ruolo, che la sua amata gente contava su di lui, di proteggerli dalla guerra e aiutarli a ritrovare la pace. Ma non riuscì a dire nulla. Se ne andò, in silenzio, esattamente come era arrivata. In silenzio, e con un peso sul cuore.

    • • •

    Come era prevedibile, il giovane generale si era rifiutato di aiutarli. Le paure di Maeve erano diventate realtà, ed ora il prescelto di Manaar era un ragazzino irresponsabile e cocciuto. Non si era presentato al consiglio di guerra come gli era stato ordinato, al quale anche la principessa aveva partecipato, e aveva visto con i suoi stessi occhi che la sedia destinata al giovane era rimasta vuota. Era una chiara dimostrazione di quanto poco gli importasse del destino di Thyandul, che ora risiedeva anche nelle sue mani. Percorse a grandi falcate i lunghi corridoi del palazzo ed uscì dirigendosi verso l'accampamento dell'esercito: suo padre aveva fatto spostare Cain in una tenda come se fosse un comune soldato, ma a differenza di esso veniva scortato notte e giorno da una manciata di guardie. Era raro che si arrabbiasse così, solitamente era una persona pacata e ragionevole, ma l'atteggiamento del ragazzo la mandava su tutte le furie. Stava mettendo in gioco il destino del suo regno e non poteva accettare che uno sconosciuto potesse fare ciò che voleva mettendo a repentaglio il benessere dei suoi cittadini. Stava attraversando il giardino quando lo vide, di spalle, appoggiato ad un tronco, a prendersi cura della sua spada. Non si aspettava fosse di certo Yeosin, la quale era invece stata abbandonata in un angolo, vicino alla tenda di lui. Digrignò i denti, sollevando l'orlo del vestito con un gesto rabbioso, che la portò anche a portarlo un po' troppo su, ed affrettò il passo. « Cos'è, non sei venuto al consiglio perché dovevi farti un sonnellino? » gridò in lontananza, ma solo quando gli si parò davanti afferrandolo per il colletto della camicia, impedendo al ragazzo di reagire, si rese conto di quanto avesse bisogno di prenderlo a pugni. « Oppure perché non te ne frega niente di noi, eh? » finalmente poteva gridare, e non pregare in silenzio o esprimere pacatamente le sue opinioni. Adesso, quello che pensava glielo poteva urlare direttamente a due centimetri dalla sua faccia da schiaffi. « Volevi farci sapere che non te ne frega nulla? Benissimo, il messaggio ci è arrivato forte e chiaro! » la presa sui vestiti di Cain si faceva sempre più forte, e ormai le unghie le si erano conficcate nella carne. Faceva male, ma non più male di sapere in che guaio si erano andati a cacciare. « Capisco che la cosa ti abbia scombussolato, non vuoi combattere per un regno che non è il tuo, mi offrirei io al tuo posto per lottare per il bene della mia gente » disse tutto d'un fiato, lo sguardo carico d'ira. Lasciò andare la presa, alzandosi e allontanandosi dall'albero per dirigersi verso la tenda del ragazzo. « Ma indovina? » chiese, quasi ridendo, dando un calcio alla spada sacra facendola finire ai piedi di Cain. « Questa spada si lascia maneggiare solo dai prescelti che, nel nostro caso, è un tizio irresponsabile e senza spina dorsale » si avvicinò di nuovo e stavolta prese la spada, conficcando con fatica la lama nel tronco una spanna sopra la testa del ragazzo. Maeve si inginocchiò alla sua altezza, il respiro pesante e le labbra serrate. Voleva ancora prenderlo a pugni. « Mi farei carico delle tue responsabilità se potessi, ma pensi che sottostare agli ordini di Greil sia meglio che proteggere dei cittadini innocenti? » sibilò, « Tu potresti essere colui che porterà pace ed equilibrio, ma a giudicare da come ti comporti, sei solamente un codardo » si rialzò in piedi, delusa, arrabbiata, sentiva di non essere riuscita ad esternare tutta l'ira che aveva dentro. « Ci hanno appioppato un eroe vigliacco » e, pensò, che nella stessa frase queste due parole non potevano starci. Lui, il titolo di eroe di Thyandul, non se lo meritava.

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    Edited by altäir - 28/2/2019, 15:38
  7. .

    maeve
    weaford
    › warrior princess › sheet

    « Take a minute and revel in it and see how much we’re worth, I’ll fight and defend, I’ll see this out to the end. So follow me, to the ends of the earth »
    La prigione era un luogo buio e angusto, senza fonti di luce fatta eccezione per sporadiche torce affisse ai muri e qualche sottile finestra, giusto per ricordare ai prigionieri che, probabilmente, non avrebbero più provato la gioia di sentire il piacevole tepore del sole sulla loro pelle. Suo padre non sapeva che Maeve era a conoscenza della presenza di specifici criminali nelle segrete del castello e delle loro terribili fini, dato che il re aveva sempre cercato di tenerle nascosto il lato oscuro di essere un regnante, ossia occuparsi anche di decidere del destino di una persona. Osservò il ragazzo nella cella, e non sembrava turbato dal fatto che il suo avvenire era nelle mani di re Ethelbert. Se ne stava nell'ombra, solo in parte colpito da dei timidi raggi di sole. Lo sguardo che le rivolse era sprezzante, di rimando a quello della principessa. Lui rispose dopo qualche secondo, senza scomporsi. Era ovvio come non la riteneva degna di una spiegazione e non faceva nulla per nasconderlo. Quel tizio non le piaceva. Era arrivato lui, d'improvviso, e senza tanti giri di parole era venuta a sapere che il suo paese era ad un passo dalla guerra. Aveva paura, l'aveva vissuta, e senza Dominic non sapeva come affrontare un conflitto di tale portata. Il fuoco della determinazione bruciava prepotente in lei, almeno fino a quando non era comparso lui. Ora percepiva incertezza e rabbia con la stessa intensità della volontà che l'aveva spinta a decidere di voler combattere per il suo popolo. « A una sguattera forse no... » fece, con decisione e cercando di non far trasparire quanto la sua presenza le desse fastidio, « ... ma alla principessa sì. » Ovviamente non sembrava troppo sorpreso, ma non le importava. Voleva solo schiarirsi le idee, ma l'altro non voleva proprio collaborare. E la sua reazione era pure comprensibile - chi si sarebbe confessato subito al nemico? Tipi come lui andavano lavorati per bene. « Principessa, eh? » la schernì con un tono che le fece ribollire il sangue nelle vene, ma non lo mostrò. Aveva un certo talento nel nascondere ciò che provava in situazioni che mettevano a dura prova la sua enorme pazienza. « Cos'è, te lo devo ripetere? Non è un concetto tanto difficile da comprendere » fece di rimando Maeve incrociando le braccia al petto. Ripensò solo dopo che aveva indosso vestiti che una principessa non avrebbe mai indossato, ma continuò a reggere il gioco. In fondo, se non la riconosceva, la cosa andava anche a suo vantaggio. « Tu invece sai chi sono io, principessa? » la voce ferma del ragazzo la destabilizzò, e venne verso di lei con così tanta decisione che quasi temette che potesse uscire dalla cella senza tanti sforzi e bloccarla al muro. Nei suoi occhi bruciavano fiamme ardenti, e non dubitò del fatto che fosse in grado di dare inizio ad un conflitto. « Dubito fortemente, altrimenti non saresti qui. » non le diede tempo di parlare, che si coricò sul fieno messo lì a mo' di letto, facendole capire che non voleva più avere a che fare con lei. Di lui sapeva che era un nemico della sua patria, nient'altro, e solamente questo le bastava per disprezzarlo, ma non aveva paura di lui, quando invece secondo il ragazzo avrebbe fatto bene ad averne. Che diavolo aveva combinato? « Sei un mio nemico, mi basta questo ». Lo disse piano, ma nel silenzio delle segrete rimbombò come se lo avesse urlato in mezzo alla piazza principale di Xanturion. « Non ho paura di te e non ho paura di quel che potresti farmi, voglio solo tenere al sicuro il mio popolo », lo disse stringendo i pugni, mordendosi le labbra per non urlare, approfittando del fatto che lui non la stava più guardando. Si sentiva davvero inutile, forse poteva fare di più, ma cosa esattamente? Non ne riusciva a venire a capo, e tutto ciò che le balenava in mente erano azioni fin troppo irresponsabili. Una futura regina doveva ponderare ogni decisione. Poteva parlarne con suo padre, magari al consiglio, ma il re si sarebbe sicuramente rifiutato di farla partecipare. Doveva scoprire quando avrebbe indetto una seduta - in queste occasioni era necessario farla - e, ahimé, origliare, e agire di conseguenza. Maeve sapeva poco e niente in fin dei conti, suo padre e i suoi fedeli consiglieri erano sicuramente a conoscenza di altro. Doveva aiutare a tenere Thyandul al sicuro. La ragazza si passò una mano sul viso, sporcandosi ancora di più di fuliggine, posando poi di nuovo lo sguardo sullo sconosciuto in cella. Era sempre più convinta di averlo visto da qualche parte, anche di sfuggita, ma ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
    Le poche parole che si erano scambiati avevano attirato l'attenzione di qualcuno, perché udì dei passi farsi sempre più vicini e un "Ehi!" piuttosto sgarbato. Maeve sbuffò tra sé e sé, guardandosi velocemente intorno. Inutile, perché era ovvio che l'unica via per uscire era anche l'unica per entrare. Il ragazzo non si mosse a sentire le voci delle guardie, anzi, probabilmente portandola via gli avrebbero fatto un enorme favore. « Non finisce qui » ringhiò piano, prima di scattare in direzione dei due soldati. Questi sembrarono sorpresi di vederla, forse non aspettandosi che una ragazzina fosse riuscita ad entrare sotto i loro occhi. « Ferma lì, ragazzina! » le gridò uno dei due, proprio nel momento in cui Maeve faceva una capriola per evitarli e ritrovarseli alle spalle. Si rialzò con una spalla dolorante e qualche sassolino tra i capelli castani, evitò la lama della spada di una guardia e si mise a correre più veloce che poté lontano da lì. Sentiva le grida degli uomini in armatura dietro di lei, lenti e pesanti, e riuscì a seminarli nei meandri del giardino del castello. Mentre li ascoltava borbottare che non era una prigioniera quindi potevano anche non avvisare il re dell'inaspettata incursione, Maeve sgattaiolò silenziosamente negli appartamenti dei servitori, avendo cura di non incrociare nessuno. Quei stramaledetti occhi azzurri stracolmi d'odio non sarebbe riuscita a toglierseli dalla testa.

    • • •

    Re Ethelbert aspettò che la sala fosse vuota prima di tirare un sospiro profondo e stanco, rimanendo a guardare l'entrata alla sala del trono con sguardo assente. Una guerra. Un'altra. Greil di Erethos era un pazzo, lo sapeva. Era venuto a conoscenza dei suoi sotterfugi per spodestare Eldarion, ma nessuno era mai riuscito a confermare se fossero veritieri o meno. Ciò che era certo era la sua sete di potere, ed ora che il precedente re del paese vicino era spirato nulla gli impediva di perseguire le sue mire espansionistiche. Al contrario, Ethelbert odiava le guerre. Il modo in cui governava e il benessere del suo popolo ne erano la prova lampante, ma se Greil avesse attaccato per primo non poteva non proteggere Thyandul da ogni minaccia. Il problema era che Greil avrebbe sicuramente attaccato, dovevano trovare un accordo da proporgli e anche in fretta, onde evitare spargimenti di sangue. Ethelbert sapeva di essere un re forte, paziente, ma in queste situazioni si sentiva in gabbia. Nell'ultimo conflitto, risalente ad un paio di anni prima, l'esercito di Thyandul aveva subito ingenti perdite contro il regno di Egura. Veder tornare in città, seppur vittoriosi, migliaia di soldati stanchi e altrettanti cadaveri, tra cui quello di suo figlio, lo avevano smosso nel profondo, tanto che aveva pregato innumerevoli volte la dea Manaar di benedirli con un lungo e prospero periodo di pace, ma a quanto pare nulla di ciò era bastato. I suoi pensieri furono interrotti dal rumore del grande portone che si apriva, rivelando la figura di un uomo possente ma evidentemente segnato dal tempo.
    « Ho sentito adesso di Cain » fece subito l'uomo, e il re sospirò di nuovo. « Greil ci attaccherà » annunciò il re a Evin, il suo fedele consigliere, « e bisogna trovare un accordo ». Evin si toccò la barba scura e incolta, dello stesso colore dei capelli, spostando gli occhi nervosamente da una parte all'altra della stanza. Non era un tipo di grande parole, ma era evidente che la notizia l'avesse messo sull'allerta. « Abbiamo suo figlio, possiamo sfruttare lui » propose il consigliere, e il re sospirò per l'ennesima volta. Sospirava spesso, ultimamente. Era così stanco. « Avrei voluto evitare di fargli del male, non così presto almeno » borbottò il regnante, ma era conscio che Cain era l'unica merce di scambio che aveva, escludendo i territori di Thyandul. « Sapete qual è la priorità, Maestà » fece Evin, e sì, lo sapeva bene. « Il regno, lo so benissimo, e agirò per il bene della mia gente come ho sempre fatto ». Re Ethelbert era sempre stato leale al suo popolo, non avrebbe fatto nulla per recargli danno, ma vedere il figlio di Greil così giovane e a un passo dalla morte, gli ricordava i suoi figli. Sospirò, ancora, e in un solo respiro, ordinò ad Evin di riunire il consiglio. Non poteva permettersi di indugiare.

    • • •

    Il messaggero che aveva inviato a Meneldor era stato atteso da molti al castello, ma nessuno si sarebbe aspettato che sarebbe tornato morto. La pergamena indirizzata a Greil era sporca di sangue, quasi ormai illeggibile. Ethelbert, mentre si specchiava negli occhi vitrei dell'uomo, vide un futuro pieno di agonia davanti a sé. Aveva scritto al neo sovrano di Erethos che aveva catturato suo figlio e, se voleva rivederlo vivo, doveva ordinare alle truppe al confine di ritirarsi. Greil aveva declinato l'offerta non solo promettendogli un'estenuante guerra, ma anche facendolo assistere ad uno spettacolo tremendo, confermando l'ipotesi che di suo figlio poco gliene importava. Quindi non era una spia, se aveva dato la libertà di ucciderlo? O Cain aveva già riferito tutto ciò di cui il padre aveva bisogno? Cosa doveva fare con lui? Sentiva lo sguardo di Evin su di lui, e quella pressione non gli piaceva. Il suo regno era in pericolo, e avrebbe potuto sopportare ogni cosa tranne tutto ciò. « Domani Cain Noller verrà impiccato »

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  8. .
    regno di thyandul
    Città di Xanturion • Palazzo reale, sala del trono



    maeve
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    « Take a minute and revel in it and see how much we’re worth, I’ll fight and defend, I’ll see this out to the end. So follow me, to the ends of the earth »
    Forse allenarsi all'aperto, in pieno pomeriggio, con abiti da uomo raccattati nelle cucine, senza neanche sforzarsi di coprire il viso - assolutamente riconoscibile - non era stata una buona idea. Da anni si esercitava nel retro delle cucine, all'aperto, dove i servi e i camerieri potevano vederla e la salutavano anche: fino ad ora nessuno aveva fatto sapere nulla al re e alla regina del comportamento deplorevole della loro unica figlia, eppure rimaneva sempre un po' all'erta quando decideva di svagarsi un'oretta in compagnia della sua vecchia spada. Forse era il timore di essere scoperta proprio dai genitori che, chissà secondo quale piano astrale, avrebbero potuto passare da quelle parti per puro caso, o per una soffiata da parte di qualche famiglia nobile che avevano contro, tipo i Vanderbilt, che non vedevano l'ora di screditare in qualche modo la famiglia regnante di Thyandul. Niente di tutto ciò l'aveva mai fermata, anche se sapeva i rischi che correva e percepiva sempre un brivido lungo la schiena appena udiva qualche suono estraneo mentre si allenava di nascosto. Provò gli ennesimi affondi, sbuffando e legandosi i capelli di fretta. Sarebbe stato molto più comodo se li avesse avuti corti, ma no, tutte le altre principesse li avevano lunghi fino ai piedi, perché lei doveva essere da meno? Se li era tagliati con la spada appena Dominic era venuto a mancare, causando l'ira di sua madre, ed ora le erano ricresciuti fino a metà schiena. Fare la principessa seguendo le regole era... stancante, e avere una madre pressante che non faceva altro che bacchettarla e ricordarle che un giorno - non troppo lontano a dirla tutta - si sarebbe sposata e avrebbe donato un erede a Thyandul era un bonus di cui avrebbe preferito fare a meno. Non sopportava che questa potesse essere la sua massima aspirazione, lei voleva essere presente per il suo popolo, combattere per il suo regno e guidarlo al pari di qualsiasi altro regnante, guadagnarsi il titolo di regina. Non che non le piacesse fare la principessa: amava la sua gente, la sua terra, amava la sua famiglia, amava la musica che riecheggiava nelle sale del castello, le grandi librerie del palazzo, era nata sotto una buona stella, ma amava anche sporcarsi le mani di fango, impugnare una lancia, andare a cavallo, la comodità di indossare dei pantaloni da uomo, l'adrenalina che la assaliva appena stringeva l'elsa di una spada. Era una principessa e avrebbe tenuto fede ai suoi doveri, ma sentiva che voleva essere un altro tipo di principessa. La regina Violet non faceva altro che ripeterle che doveva prendere esempio dalle due principesse di Estra, il piccolo regno confinante, che incontravano spesso in occasione di ricevimenti e balli. In genere gli eventi mondani non la elettrizzavano, ma almeno Anneliese e Rochelle erano due amiche fidate e, essendo cresciute insieme giocando nei giardini del castello, si stimavano l'un l'altra e scherzavano tra di loro, senza la classica rivalità tra principesse che facevano a gara a chi aveva il vestito più bello e sposava l'erede al trono più ricco. Non le avevano mai fatto pesare il fatto di avere spesso i capelli disordinati, lasciavano correre qualche suo comportamento che non rientrava proprio nel bon ton di corte e ridevano quando la vedevano sdraiarsi sull'erba senza il pensiero di sporcare il vestito. Eppure, nonostante la mancanza di pregiudizi, non se l'era mai sentita di dire la verità a qualcuno all'infuori dei camerieri in cucina. Nessuno doveva saperlo, soprattutto la sua famiglia. Neanche Dominic avrebbe dovuto saperlo, quel segreto l'aveva portato sotto terra. « Gradite un boccone? » una voce gentile la fece sobbalzare e un delizioso profumo attirò la sua attenzione. Dorothy, una delle cameriere che si occupava della colazione dai lunghi capelli biondi, le allungava una grossa fetta di torta appena sfornata, ma la principessa scosse leggermente il capo. « Ti ringrazio Dorothy, ma ho già fatto colazione » rispose cordiale, roteando la lama con la mano e brandendola con entrambe le mani subito dopo. Le sembrava di fare un rumore assordante solamente fendendo l'aria, come se tutti potessero sentirla e scovarla, anche se sapeva che era solo colpa della leggera ma perenne agitazione che la pervadeva ogni volta che si allenava senza fingersi Dawn. Impersonare una popolana qualunque non era affatto male: nessuno le impediva di fare nulla, nessuno le diceva che sarebbe stato meglio starsene al sicuro nella propria dimora - era riuscita a sconfiggere Lance, il soldato novello più forte di tutto il campo, ed era riuscita a guadagnarsi il rispetto dei compagni - e nessuno le ricordava che ciò che faceva era sbagliato e non le si addiceva. Era un soldato tra tanti, ma sapeva che in futuro sarebbe stata a capo dell'esercito di Thyandul. Gli ultimi affondi li fece convinti e con un sorriso trionfante stampato in faccia, prima che un boato proveniente dall'altra parte del castello interrompesse il suo allenamento. Tentò di ignorare tutto quel baccano per quanto le fu possibile, ma dopo un paio di minuti non poté fare a meno di controllare cosa stesse accadendo: si preoccupò di rimanere nascosta dietro qualche barile, riuscendo comunque a sbirciare. Una folla numerosa si avvicinava all'entrata del castello, le guardie reali e molti soldati dell'esercito del re a guidare quella rumorosa comitiva, e notò che questi ultimi trascinavano un figuro ben poco accondiscendente ad entrare nel palazzo. La ragazza non riuscì chiaramente a distinguere i suoi tratti, anche se dal fisico più o meno piazzato poteva dire che si trattava di un uomo, il suo sguardo catturato dalla folla urlante: era gente di Xanturion, riconobbe qualche bottegaio che conosceva tra di essa, e protestavano contro, a quanto pare, l'individuo che le guardie tenevano ben legato. Maeve si schiacciò contro il muro quando i soldati e il tizio misterioso scomparirono alla sua vista, inghiotti dall'imponente portone all'ingresso, le sopracciglia aggrottate e l'espressione confusa. La prima cosa che le venne in mente fu una ribellione in atto, ma le pareva assurdo: Thyandul sotto la guida dei suoi genitori non aveva mai conosciuto grandi guerre o carestie, a meno che non fosse qualche nobile avverso alla famiglia reale a spronare il popolo alla rivolta. Non aveva visto nessuno di alto rango in mezzo a tutta quella gente, solo popolani e guardie, che avevano catturato qualcuno. Un prigioniero, che a quanto pare non stava simpatico a molti. Maeve si infilò all'interno delle cucine, evitando di scontrarsi con la servitù - anch'essa in subbuglio per ciò che era accaduto all'esterno - e dirigendosi di corsa verso la sala del trono. Quel tizio doveva per forza essere sottoposto al giudizio del re prima che gli venisse torto anche un solo capello, quindi avrebbe intercettato la folla in quella stanza, ovviamente senza dare nell'occhio. « Scusa, permesso, ehm... Oh, ciao Theodore! Attenzione, dovrei passare... » più si avvicinava al cuore del castello, più c'era gente che cercava di sbirciare cosa stava accadendo. Si udiva il frastuono perfino dalle dimore della servitù per le quali era sgattaiolata, certa che da quelle parti nessuno l'avrebbe vista. C'erano persone che gridavano, ma non riusciva a capire ciò che stavano dicendo. Sicuramente non si complimentavano con quello sconosciuto che avevano trascinato a Xanturion. A quanto pare, tutti lo conoscevano, tutti tranne la principessa: lei non aveva capito chi fosse, per questo cercava di avvicinarsi il più possibile, per cogliere anche solo un dettaglio che le avrebbe potuto ricordare qualcuno di sua conoscenza. A quanto pare si trattava di un prigioniero di guerra, ma cosa aveva fatto per attirare in quel modo l'odio del suo popolo? Una volta riuscita a sgusciare all'interno dell'enorme e luminosa sala del trono - non dopo essersi beccata un paio di gomitate nello stomaco da parte di tipi particolarmente infervorati - ebbe l'accortezza di nascondersi dietro una colonna alle spalle del trono, che era ancora vuoto, in modo da essere coperta da sguardi indiscreti. Né suo padre né sua madre erano nella stanza, eppure il suo cuore prese a battere davvero troppo veloce, forse avrebbe dovuto pensarci due volte prima di precipitarsi lì per vedere cosa stava succedendo, ma aveva bisogno di sapere e di capire. Si parlava di un nemico del suo paese dopotutto. Si sporse un poco, giusto per intravedere la capigliatura del prigioniero: era un uomo, come aveva giustamente dedotto poco prima, e un lungo mantello rosso gli cadeva fino ai piedi, coperti da pesanti stivali scuri. Sembrava un condottiero, anche se non aveva armi con sé: gli occhi verdi della ragazza si spostò sullo spadone che una guardia al fianco del ragazzo stringeva tra le mani, a quanto pare gli apparteneva e gliel'aveva confiscata. Non doveva essere così gracilino se riusciva a combattere con un'arma del genere. Assottigliò lo sguardo, cercando di intravedere qualcosa di più approfittando della confusione del momento, ma riuscì a cogliere solamente uno sprazzo di un blu vivace prima di schiacciarsi completamente sul marmo freddo della colonna nel momento in cui re Ethelbert fece il suo ingresso trionfante nella sala. Il portone sbatté fragorosamente sulle pareti e il chiasso cessò di colpo, mettendo a tacere tutti i presenti. Nel silenzio si riusciva a udire perfino il fruscio del mantello dell'uomo sul pavimento, e Maeve si rese conto che non stava nemmeno respirando. Suo padre si diresse al centro della sala e si sedette sul trono con una fretta ed un'agitazione che non gli appartenevano, e la ragazza non riusciva a capire quanto la situazione potesse essere grave. Il re di Thyandul era un uomo di grandi valori, ricorreva alle maniere forti solo se strettamente necessario, ed era sempre stato un gentiore presente ai limiti del possibile e comprensivo. Riusciva a percepire la sua rabbia a metri di distanza, senza neanche guardarlo in viso, e il suo stomaco si attorcigliò su sé stesso. Cosa stava succedendo? Chi diavolo era quel tizio misterioso? « Non mi sarei mai aspettato che la prima udienza della giornata fosse con il neo principe di Erethos » la voce bassa del sovrano rimbombò nell'immenso salone dopo vari istanti di quiete. Maeve riusciva a sentire come il padre stesse cercando disperatamente di mantenere la calma, la stessa sensazione che provava anche lei, solo che non era arrabbiata, bensì terrorizzata. Non era mai stata nella stessa stanza con uno dei suoi genitori vestita da garzone, e in più non ricollegava nessun volto al "principe di Erethos". Il precedente monarca di quella regione non aveva figli, e non era a conoscenza che l'uomo che lo aveva sostituito avesse qualche discendente. Non riusciva a capire cosa stesse accadendo alle sue spalle, nella sua testa e fuori da Xanturion. « Di grazia » cominciò il re, sospirando pesantemente, « a cosa dobbiamo la vostra visita a Thyandul? ». Lo sconosciuto non rispose, e nel silenzio tombale della sala del trono la principessa tentò di collegare i suoi molteplici pensieri: Erethos era una regione divisa in due, da una parte i ribelli, dall'altra il nuovo re che governava tutt'altro che mettendosi a disposizione del popolo, bensì servendo unicamente sé stesso e i suoi interessi. Sapeva anche che aveva iniziato ad attaccare i regni confinanti, avanzando pericolosamente verso est, dove avrebbe incontrato i confini di Thyandul. Sapeva che suo padre aveva già mandato il suo esercito a sventare qualsiasi minaccia, stroncando così ogni sua intenzione sul nascere. E poi, di cos'altro era a conoscenza? Che l'Erethos, a quanto pare, aveva un principe, e per chissà quale motivo si trovava al cospetto del re del regno nemico. Perché andare proprio a Thyandul, dove sapeva che non gli avrebbero riservato una calorosa accoglienza? « Oltre ad essere prepotente e assetato di potere, siete anche stupido ». A quella parola si alzarono delle voci, alcuni sogghignarono, ma la voce del ragazzo non si udì. Rimaneva zitto, e non sapeva se intenderlo come una forma di sottomissione o non voler parlare per paura di essere scoperto. Si trovava lì per caso, per attaccare di sorpresa, per incontrare qualcuno? La sua testa era un continuo via vai di ragionamenti senza capo né coda a cui cercava di dare un senso logico, al contrario del suo corpo che non riusciva neanche a muovere. Aveva le mani sudate, e se le sfregò velocemente sui pantaloni, mentre Ethelbert sembrava aver perso definitivamente la calma. « Anche muto, a quanto vedo » la piega che prese il suo tono non le piacque, era irrequieto e impaziente,
    « Una dote che forse dalle vostre parti viene apprezzata, ma non qui al mio cospetto! » Sua maestà batté il pugno sul bracciale del trono, e la principessa deglutì. Aveva le labbra secche, e desiderava sapeva quale fosse il volto di colui che, a quanto pare, era nemico della sua gente. Si sporse leggermente, con le gambe che le tremavano, e nell'immobilità della scena riuscì a dare un volto al neo principe di Erethos. Viso spigoloso, spalle larghe, sguardo accigliato e chioma ribelle di un blu brillante. Non era quello che si aspettava, e quando incrociò le sue iridi color cobalto capì il perché. Aveva già visto quel ragazzo da qualche parte, e la cosa non le portò affatto conforto. Non riuscì a togliergli gli occhi di dosso, studiandolo per capire dove avrebbe mai potuto incontrarlo, se inconsciamente ricordava il suo nome o di averci scambiato quattro chiacchiere. Non ricordava nulla di tutto ciò, ma era sicura di conoscerlo. « Non si tratta di un gioco, conosco a quali tattiche può ricorrere vostro padre, sputate il rospo! » la voce tuonante di re Ethelbert la riportò coi piedi per terra e la fanciulla si rifugiò di nuovo dietro la colonna, l'unico angolo sicuro in quel momento, la testa piena di dubbi e sul punto di scoppiare. Non si preoccupò neanche del fatto che la avesse vista in quello stato, voleva solamente capire come mai il suo viso non le era nuovo. Si passò le mani sul viso, certa che quel dettaglio fosse di cruciale importanza: non lo aveva mai incrociato nei corridoi del castello, neanche in città, di questo ne era sicura. Forse in guerra? Ma erano passati anni dall'ultima volta che aveva vestito i panni del soldato Melvyn. Eppure lui era un guerriero, dove poteva averlo visto se non sul campo di battaglia nel periodo in cui la principessa si presentava sotto il falso nome di un comune soldato? « Avete qualche spia nel mio regno? » domandò il re, senza ricevere però alcuna risposta. Attese alcuni istanti prima di sospirare tra sé e sé e passarsi una mano sul volto stanco.
    « Ammirevole, non sembrate tenere molto alla vostra vita nonostante vi troviate in territorio nemico », il trono scricchiolò quando l'uomo vi fece leva per alzarsi, scendendo le scale per avvicinarsi al prigioniero. « Proviamo a cambiare approccio ». A quelle parole, il sangue nelle vene dei presenti si raggelò, perfino in quelle di Maeve. « Vi offro tre alternative: porre fine a questo conflitto che sicuramente porterà ad una logorante guerra confidandomi i vostri piani, marcire nelle prigioni sperando che qualcuno riesca miracolosamente a salvarvi, o », la ragazza si morse il labbro, non pronta a sentire quella sentenza che mai aveva sentito pronunciare da suo padre, « essere condannato a morte ». Si udì qualche donna trasalire, ma nient'altro. La morte era qualcosa che Ethelbert cercava sempre di evitare, perché seguire la via della luce della dea Manaar era compito di ogni sovrano di Thyandul, ma a quanto pare, in quel caso, era necessaria. Maeve si sporse di nuovo per guardare la reazione del ragazzo: sembrava essere teso e al contempo indifferente a ciò che Sua Maestà gli stesse dicendo, e la principessa non si capacitò della reazione disinteressata del principe. Sarebbe uscita allo scoperto solo per afferrarlo per il colletto e urlargli che diavolo aveva intenzione di fare, perché la sua noncuranza le faceva ribollire il sangue nelle vene. Si stava parlando del suo paese, del suo popolo, si sentiva impotente, costretta a rimanere nell'ombra mentre davanti a lei aveva un nemico del regno. Capiva perfettamente lo stato d'animo del padre, che all'ennesima risposta non data perse le staffe.
    « Gettatelo nelle segrete » fece, fissando il prigioniero con astio, così come la principessa lo osservava in lontananza chiedendosi perché si comportasse in quel modo, perché aveva la sensazione di averlo già incontrato, perché dover iniziare una guerra dal nulla? Lo seguì con lo sguardo fino a quando non lo vide uscire, spinto in malo modo dalle guardie reali, per poi mimetizzarsi tra la folla urlante che stava lasciando la sala. Doveva raggiungere le segrete, doveva parlare con lui, doveva farlo parlare, doveva capire. Prese a guardarsi attorno spaesata, le persone che facevano pressione per uscire all'aria aperta, e al momento giusto - appena ebbe capito in che punto si trovava - si infilò di nuovo nelle abitazioni della servitù, che erano sempre la via più veloce per arrivare ovunque. Le prigioni si trovavano dalla parte opposta, sotto terra, e dovette scendere un abnorme numero di scalini prima di raggiungerle. Si trattava di un luogo freddo, vuoto, poco illuminato, l'antitesi di ciò che si poteva ammirare in superficie alla luce del sole. Delle guardie presenziavano l'entrata, preferiva non dare nell'occhio per entrare perciò si appostò in un angolo e aspettò il cambio della guardia per evitare qualsiasi controllo. Per tutto il tempo, da quando aveva lasciato la sala del trono, il fuoco della rabbia le ardeva in corpo, ansiosa di dare un senso a tutte le sue congetture. In fondo sapeva che il tipo non le avrebbe risposto, come aveva fatto fino a quel momento, sapeva anche che sarebbe stato difficile mantenere la sua solita risolutezza davanti ai silenzi del ragazzo, come sapeva che qualsiasi risposta - sempre se sarebbe riuscita ad ottenerne una - non le sarebbe bastata. Doveva proteggere la sua gente da qualsiasi minaccia, e quell'individuo, in quel determinato momento, non la faceva sentire tranquilla, e ad aumentare il suo nervosismo vi era anche il fatto che fosse un viso conosciuto. Sentiva che si trattava di un particolare da non sottovalutare, ma non riusciva a collegarsi a nessuno che aveva già visto in passato.
    Maeve arrivò alla cella dove il principe era stato rinchiuso, e non fece alcun rumore per farsi notare, bensì lo osservò da oltre le sbarre: manteneva lo stesso atteggiamento indifferente di poco fa, ma stavolta era evidente che fosse un po' nervoso. Anche al buio, il blu dei capelli e degli occhi risaltava come se fosse alla luce del sole, e non si spiegava come non riusciva a ricordarsi un volto tanto particolare e un carattere così irritante. Quando il ragazzo si rese conto di avere compagnia, non se la sentì di dirgli come si chiamava o altre presentazioni non necessarie - anche perché percepiva che non gliene fregava granché. Lo guardò dritto nelle iridi cerulee, le nocche che le facevano male per quanto forte stringeva i pugni, domandandosi che bisogno c'era di intaccare la pace del suo paese e minacciare il suo popolo. Avrebbe combattuto per esso, avrebbe rischiato la sua vita pur di proteggere il suo regno, si sentiva in dovere di interrogare quel tizio, capire almeno come mai si trovava lì. Perché si rifiutava di parlare? Perché era in territorio nemico? Perché non collaborava, forse voleva la guerra? Perché era così fastidiosamente menefreghista? « Perché? » chiese in un soffio, quasi non rendendosi conto di aver aperto bocca. « Perché stai facendo tutto ciò? »

    « Parlato » || - Pensato -

    ☆ code by ruru



    Edited by altäir - 5/3/2019, 07:45
  9. .
    Altayr • Noel • Abel ›
    I don't care about what you did, only care about what we do
    U
    n piano di Cain, di solito, era sinonimo di guai. Non troppo male, dato che infilarsi nei casini non era solo la sua specialità, ma anche quella di Cain, dei piccioncini - ossia Izar e Altayr... di tutti e quattro gli Elysian a dirla tutta. L'amore per la musica non era l'unica passione che avevano in comune. « E in cosa consisterebbe, sentiamo? » gli fece, fermandosi per un momento. Quando Cain diceva di avere qualcosa in mente, gli veniva spontaneo non fidarsi subito di lui: aveva sempre quello sguardo malizioso, quel sorrisetto che non prometteva nulla di nuovo. Eppure alla fine ci finiva sempre in mezzo, e si divertiva pure. « Guarda che è una cosa seria, io la voglio rivede- » si interruppe di colpo. Era arrivato un messaggio. Non se lo era immaginato. Il telefono gli aveva vibrato tra le mani, la notifica di un messaggio a coprire l'immagine di un cucciolo di labrador trovata su Internet e inserita immediatamente come sfondo. « Merda! » si fece scappare un urlo liberatorio, ma non bastava per scaricare l'adrenalina. Aveva aspettato quel messaggio come aspettava che arrivasse il weekend per suonare in qualche club, e quelle dodici ore gli erano sembrate lunghe quanto intere giornate. La notifica era ancora lì, un numero sconosciuto e un messaggio che non si leggeva per intero: Ciao Noel, sono Evie. Come sta... Quel sono Evie bastava, bastava eccome. Era lei, proprio lei. Evelya. Dio, era lei. Gli aveva scritto, era servito a qualcosa. Quindi gli interessava. Okay, no, andava troppo spedito come al suo solito. Quindi gli stava simpatico. Ecco, meglio. - Gli sto simpatico - si ripeté, mentre non sapeva che fare. Doveva rispondere, sì, ecco. Da quando era così impacciato con le ragazze? Non lo era mai stato da quel che ricordava. Aprì il messaggio alla velocità della luce dopo qualche secondo rimasto a fissare lo schermo, ma Cain fu più veloce di lui. Non realizzò subito che gli avesse strappato il cellulare dalle mani, e quando allungò le braccia verso di lui per riprenderselo il rosso numero due vide che aveva preso a scrivere qualcosa, ma l'amico gli impediva in tutti i modi di vedere cosa diavolo stesse facendo. « Cain, cazzo, ridammelo! » glielo gridò praticamente nell'orecchio, ma l'altro continuava a ridere, a ridere, a ridere. La sua risata gli dava fastidio. Che lui non avesse in mano il suo telefono gli dava fastidio. Che Cain stesse rispondendo a Evelya gli dava fastidio. « Cain! » gridò di nuovo, spingendolo in avanti, e in quel momento il batterista gli resistuì ciò che gli apparteneva, insieme ai suoi sogni infranti. Il messaggio completo di Evelya chiedeva se avevano prove anche quel giorno, ma ciò che lesse dopo gli fece accapponare la pelle. « A cuccia, dopo mi ringrazierai »
    « Ringraziarti? Ma vaffanculo! » ringhiò in risposta, vedendo le possibilità di un eventuale appuntamento sfumare come fumo. Cercò di liberarsi dalla morsa ferrea di Cain, perché in quel momento aveva solo voglia di tirargli qualcosa, ma anche usare una delle sue vecchie chitarre a mo' di mazza da baseball era una buona idea. Riuscì a scivolare via dalla presa del rosso quasi per miracolo - non era muscoloso e forzuto quanto lui - e si affrettò a scrivere un messaggio di scuse per Evelya.

    Scusa, un amico mi ha preso il telefono, spero non te la sia presa.
    Sono così contento che tu mi abbia riscritto!
    Come promesso non ho guardato il telefono neanche una volta e stanotte ho dormito beatamente, tu come stai? Questo pomeriggio prove!


    Inviò di getto, senza pensarci su neanche un attimo, e sperava vivamente che lo leggesse immediatamente, che anche lei fosse rimasta attaccata al cellulare tutto il tempo, ma dopo la fantasmagorica pensata di Cain non era affatto fiducioso. « Datti una sistemata, playboy. Andiamo a prenderceli. » Noel sbuffò appena l'amico aprì bocca, immensamente stufo delle sue trovate. « Io non ci parlo con te » disse, ma suonò più infantile del dovuto. Beh, il senso era quello. Si rificcò il cellulare in tasca stizzito e fece per andarsene, lasciando la macchina alle sapienti abili di quel coglione del batterista, ma si fermò prima di fare un passo fuori dal locale. « Che hai detto, scusa? » domandò, voltandosi verso di lui, confuso. Aveva sentito bene? Andiamo a prenderceli? No, aspetta. Un ghigno che conosceva bene si distese sulle labbra di Cain e senza bisogno di parole gli fece capire che sì, evidentemente non aveva ancora bisogno di un apparecchio uditivo. Era quello il piano di cui parlava? « E cosa vorresti fare, bel casanova? » chiese ancora, abbandonando temporaneamente l'idea di andarsene per sbollire la rabbia, che in quel momento venne soppiantata da una sana dose di curiosità. Cain era al corrente di qualcosa che Noel, invece, non sapeva, glielo si leggeva in faccia, e non vedeva l'ora di dirglielo.

    • • •

    Abel si avviò verso l'aula prove a passi lenti, affatto ansioso di tornarci per sentire i rimproveri di Azarel e il canto insicuro di Evelya. Tuttavia, ciò che pesava più di tutto era il silenzio di Raphael. Prima lo trovava rassicurante, non sentiva il bisogno di doverlo riempire, era un silenzio rispettoso, d'attesa, come a voler dire "tranquillo, che se non vuoi parlare non importa". Invece, ora lo trovava scomodo, forzato, greve. Lo faceva sentire colpevole, e non a suo agio come prima. Sorseggiò un po' di caffè, e alzando gli occhi dal bicchiere vide Raphael in fondo al corridoio, prossimo a sparire dietro la curva. Lì c'era un cestino, e riusciva sempre a finire il suo caffè per poi buttarlo proprio in quello. Lo conosceva bene. Ora era pari ad uno sconosciuto. Doveva fare qualcosa, e sapeva anche cosa, ma era difficile metterla in atto. Eppure, continuare non avrebbe giovato a nessuno dei due, e lui per primo voleva uscirne. Lo infastidiva solamente il pensiero della possibile risposta di Raphael, che, conoscendolo, avrebbe reagito come se non gliene fosse fregato nulla per un solo istante di quel che c'era stato tra loro e come si era evoluta la loro storia. Avrebbe fatto male vederlo scrollare le spalle e non arrabbiarsi, bensì lo avrebbe guardato con quello sguardo vuoto e stanco che gli riservava da settimane. Ma andava fatto, presto o tardi, e il moro non sembrava voler fare il primo passo. Forse stava aspettando proprio Abel, come quest'ultimo aspettava l'altro. Nessuno dei due voleva essere il primo a prendere coraggio, perché entrambi erano degli immensi codardi. « Raphael! » chiamò a gran voce, prima che lui svoltasse e sparisse alla vista. Lo aveva sentito, ne era sicuro, ma non si voltò, né esitò, né rallentò. Nessuna reazione. Era questo che lo innervosiva del modo di fare di Raphael. Nonostante si trattasse di lui, non aveva nessuna reazione. Rabbia, tristezza, rancore, nulla, come se non contasse niente. E ciò lo faceva imbestialire. La figura prominente e scura di Raphael venne soppiantata dalla visione di una ragazza dal viso rosso e di bassa statura, che si aggrappò alla manica della divisa del ragazzo come a voler chiedere aiuto. Evelya farfugliò qualcosa su un messaggio, una frase senza un vero e proprio senso che non era riuscito ad afferrare, e si domandò se la fanciulla avesse bisogno di una bombola di ossigeno mentre stava attento a non rovesciare il caffè per terra. La guardò, fintanto che riprendeva fiato e si tranquillizzava, ma risultò tutto vano quando lesse un messaggio che fece vibrare il telefono della ragazza. L'aria eccitata e nervosa che le pervadeva il viso sfiorì, lasciando spazio ad uno sguardo scettico e insoddisfatto. Rimase attaccata alla manica di Abel tutto il tempo, che quindi non aveva via di fuga. « Credo che sia per te. » Evelya gli mostrò lo schermo del telefono, sul quale troneggiava un messaggio in maiuscolo: ci mise qualche secondo a metterlo a fuoco - aveva lasciato gli occhiali sul pianoforte - e quando riuscì a leggerlo strabuzzò gli occhi. Lesse anche il messaggio sopra, che evidentemente aveva inviato Evie, e il destinatario sembrava essere un certo Noel. Doveva essere il cantante di ieri sera, visto che Evie menzionava le prove. Questo significava che quell'insolente risposta era stata inviata da lui? Impossibile, Noel aveva occhi solo per Evelya la sera precedente. Che fosse stato... il batterista? « Santo cielo » fece a bassa voce, passandosi una mano sulla fronte. Non poteva essere che lui, ed era estremamente irriverente e sfrontato. Leggere quelle parole era veramente imbarazzante, come se lo avesse messo in ridicolo davanti al mondo intero. Il messaggio che seguì non era più rassicurante, visto che citava il nome del loro istituto e la promessa di arrivare fin lì.
    « Ho combinato un guaio. » Lo sguardo di Abel si spostò dal telefono alla ragazza che lo teneva con la mano tremolante, ovviamente preoccupata. « Mh » fu la eloquente risposta dell'albino: in fondo, era risaputo che il suo talento fosse rincuorare e incoraggiare le persone che si appellavano a lui per un po' di conforto. « Non dicono sul serio. Torniamo in classe? » Il ragazzo annuì, ma l'incertezza dell'amica era percepibile dal tono della voce, forzatamente tranquillo. Neanche lui era tranquillo. Il commento precedente lo aveva infastidito, l'altro lo aveva messo sull'attenti, ma entrambi significavano che lo stava cercando. Cain. Questo pensiero gli attraversò la mente solamente in seguito, ed ogni passo verso la sala prove, dal quale già si sentiva la melodia perfetta di Raphael, era accompagnato dall'immagine del ragazzo dai capelli rossi che lo aveva imprigionato l'altra sera. Lo avrebbe rivisto? Intendeva davvero venire alla Ripley insieme all'altro ragazzo? Era da matti fare una cosa del genere, e trovarlo ad aspettarlo al cancello con Raphael alle calcagna non lo rassicurava. Non voleva rivederlo, non in quelle condizioni. Avrebbe preferito il chiasso di un pub, piuttosto, ma quello che li aspettava alla Ripley Saint Thomas non era affatto un bello scenario. Inoltre, due come loro non passavano inosservati: non potevano sfuggire neanche alle ragazze della sua scuola, sebbene fossero abituate a dei tipi più... raffinati, ecco. Un bel guaio, sì. I due entrarono in classe insieme, con Azarel che già gli sbraitava contro e il violinista che non li degnò della minima attenzione. Un'atmosfera ottima per iniziare le prove che lo avrebbero tenuto occupato per le prossime ore.
    « Gytrash, non ti muovi da lì fino a nuovo ordine. » l'intonazione del professore non gli piacque per niente, ed Abel osò sfidarlo in silenzioso gioco di sguardi. Preferì non proferire parola, per quanto suonare il piano, in quel momento, gli sembrava un'enorme e faticosa costrizione. Si sedette sullo sgabello davanti al grande pianoforte a coda, scorrendo gli occhi chiari sui tasti dello strumento, per poi fissarsi sullo spartito. Sospirò tra sé e sé, ogni distrazione che spariva mano a mano che leggeva le note sul foglio. Niente Cain, niente visita alla Ripley, niente di niente. Non sarebbe venuto nessuno. Era convinto che anche Evelya avesse i suoi stessi pensieri. Era agitata, la sentiva, e lo era anche lui. Sperava davvero che non venisse. O forse sì. - No. - Premette il primo tasto, cercando di essere delicato come proponeva lo spartito, e non risoluto come gli suggeriva la sua testa. Sentì l'occhiata pungente di Azarel su di sé, ma non gliene importava. Che guardasse pure, sicuramente quello sbruffone non aveva nulla da insegnargli su come suonare il pianoforte. Cain doveva sparire dalla sua testa, all'istante.

    • • •

    Noel ancora non aveva realizzato che al collo aveva una cravatta strettissima, una giacca blu scuro assolutamente abbottonata e nessuno strappo sui pantaloni. Si sentiva fuori posto in quella scuola per gente che di soldoni in tasca ne aveva un bel po', e a fare il confronto con l'istituto privato che aveva frequentato lui gli sembrava di non provenire affatto da una famiglia agiata. Era tutto così luminoso, grazie alle finestre enormi che trionfavano nei corridoi, e quadri di vecchi presidi, allievi meritevoli ed fastose esibizioni appese ai muri, il tutto completato da busti di marmo e lampadari di vetro. « Neanche la casa dei miei sogni sarebbe così sfarzosa » commentò, preoccupato di sporcare il pavimento o qualsiasi altra cosa toccasse. Dalle aule provenivano voci angeliche e suoni di svariati strumenti a ricordare che lì dentro due membri di una band punk-rock erano paragonabili a degli alieni. Il suo pensiero momentaneamente alla graziosa studentessa che aveva procurato loro le uniformi e cosa diamine ci avesse trovato in Cain, dato che erano l'una il contrario dell'altro. Un po' come lui e Evie. Evie. Aveva letto il messaggio, vero? Lo sperava vivamente, altrimenti il loro secondo incontro sarebbe stato un disastro, con lei convinta che il leader degli Elysian fosse non solo un maniaco, ma interessato al suo amico. « Se vedi una graziosa creatura dai capelli chiari dimmelo, e non parlo di... come si chiama? », « Evelya, rimbambito » fece, mentre seguiva l'esempio del batterista allentandosi la cravatta intorno al collo. Almeno ora respirava. I pochi ragazzi nei corridoi li guardavano da capo a piedi, indagatori, ma non gli rivolgevano una parola. Era ovvio che nessuno li avesse mai visti, e i loro capelli rossi e le iridi vivide, insieme alla benda all'occhio di Cain - non proprio "aristocratica" - li facevano risaltare tra la folla di gente perbene, gente a cui non appartenevano. Noel sentiva il bisogno di sbottonare la giacca, tirare su le maniche della camicia e aprirsi un po' di più il collo di quest'ultima, ma era già tanto se poteva allentare la cravatta. Dovevano far finta di essere degli studenti modello della Ripley, facendo il contrario si sarebbero fatti scoprire; senza contare che Noel aveva entrambe le braccia tatuate, mostrarle al mondo intero sarebbe stata davvero un'ottima idea per farsi beccare. Se gli chiedevano qualcosa, lui era un rispettabile organista, anche se non gli piaceva per niente, era un po' da sfigati a suo parere: si poteva mica mettere a confronto con l'adrenalina di una chitarra elettrica o la potenza di una batteria? Ovviamente no, a suo parere, ma in quell'istituto bisognava essere ricchi per entrare e ricchi e noiosi per rimanerci dentro. Non poteva permettersi di essere impulsivo, ne andava della sua riunione con Evelya. Doveva pensare ad Evelya. Era venuto fin lì per lei, aveva seguito quel matto di Cain per lei. Non doveva mandare a monte tutto quanto. « Dio, quanto se la tirano » fece al rosso numero due, dato che era davvero impossibile non notare la puzza sotto il naso che la maggior parte degli studenti della Ripley sfoggiava. Evelya era una magnifica eccezione. Le sue iridi sincere e le gote arrossate dall'imbarazzo si confrontavano con i volti dei giovani che li circondavano e non c'era paragone, ma lei era comunque leggiadra e graziosa, Noel invece spiccava come una margherita in un cespuglio di rose. « Scusate, ma... » una ragazza li fermò piazzandosi davanti a loro, gli occhi chiari e curiosi a scrutarli dietro le lenti spesse degli occhiali. « Siete dei nuovi studenti? » No. Non lo erano. Ma se le rispondevano così erano nei guai. Anche Cain non diceva mezza parola, e quel silenzio prolungato giocava a sfavore dei due ragazzi. « Sono un organista » disse la prima cosa che gli venne in mente, o meglio, l'unica che sapeva sulla sua falsa carriera studentesca alla Ripley. Non aveva neanche idea se si dovesse presentare col suo vero nome o meno. La ragazza, ovviamente, ridacchiò, e Noel si diede dello stupido. Almeno era risultato convincente. « Anche io lo sono! », « Che culo » sbuffò lui sottovoce, ma la fanciulla sembrò udirlo. « Come, scusa? », « Sono incredulo! » il rosso sfoggiò il sorriso più radioso che si potesse permettere in quel momento e alzò la voce in modo del tutto innaturale ed esagerato, « Ci vediamo a lezione allora » si dileguò trascinando Cain con sé prima che l'altra potesse appuntargli che non erano previste lezioni di organo in giornata perché mancava solamente quello. « Sono un organista, Dio » fece piano, passandosi una mano sul viso: voleva dimenticare l'intera scena, seduta stante, come avrebbe voluto farlo scordare a Cain, che rideva sotto i baffi. Lo avrebbe preso in giro per tutta la vita. « Non provare a dirlo agli altri, te la faccio pagare » mormorò avvicinandosi a Cain, perché anche Izar e Altayr si sarebbero uniti al coretto del batterista se lo avessero saputo. Nei corridoi risuonavano piacevoli melodie, ma come avrebbero trovato Evelya in mezzo a tutta quella gente? Il cuore di Noel accelerò al pensiero di incontrarla per una seconda volta, seppur sul momento gli parve quasi impossibile riuscire nell'impresa. Eppure, aveva varcato la soglia con il cuore pieno di speranza. Non doveva perdersi d'animo, lei era nel suo stesso edificio, forse a pochi metri da lui. « In corridoio non c'è traccia di Evelya e del tuo coso » fece a un certo punto, cercando qualcosa da calciare a terra come faceva sempre quando era impaziente o cominciava ad essere nervoso, « Controlliamo nelle aule ». Si avvicinò subito ad una di esse, buttando un occhio all'interno, ma era una classe vuota. La sua solita fortuna. Incitò Cain a proseguire mentre incrociava occhi di ragazze che non erano Evelya lungo la strada e oltre la finestrina delle porte delle aule, pregando che quella dopo fosse quella giusta o che la incontrassero una volta girato l'angolo. Neanche sentiva le risatine delle studentesse al loro passaggio o il pizzicore della protesi, finché una dolce melodia riempì il corridoio, le voci degli allievi sovrastate da una più dolce. - Fa che non sia l'ennesima delusione, per piacere - Non sapeva neanche a chi appellarsi mentre si dirigeva verso l'aula a grandi passi su invito di Cain: un sacco di ragazzi erano ammassati lì davanti in religioso silenzio, ammaliati dalla musica. La gomitata nello stomaco del compagno precedette qualsiasi tentativo di vedere chi ci fosse nell'aula, e Noel ne caricò una più forte che, però, non andò a buon fine. « Psst! Ti presento il mio nuovo ragazzo » Il leader degli Elysian si dimenticò di ogni cosa, il suo nome, ciò che aveva studiato quella mattina, come si respirava. Ogni cosa. Era davanti a lui, Evelya. « Cazzo, Cain, è vera? » chiese, non aspettandosi una risposta. Aveva una voce così gentile, dolce, ti accarezzava ad ogni parola, e quella canzone era così... lei. Le calzava a pennello, era sua. Si lasciò cullare dalla melodia, che di così angeliche non ne aveva mai sentite. Il suo mondo non aveva niente a che fare con ciò che stava ascoltando, con pianoforti, armonie e robe simili. Si trattava comunque di uno spettacolo per le orecchie e per gli occhi, e Noel stette ad ascoltare in silenzio, facendosi spazio a poco a poco per arrivare in prima fila. Dio, era anche più bella della sera prima. A fine esecuzione nessuno fece una mossa, ma a Noel uscì spontaneo un "wow", che ovviamente non si prese la briga di bisbigliare, bensì lo esclamò affinché tutti potessero sentire. I tre musicisti e l'insegnate si voltarono verso di lui, e fu lì, finalmente, che incontrò gli occhi chiari di Evie. Tutta la storia dell'infiltrazione aveva finalmente acquistato un senso. E non solo l'infiltrazione. Sembrava fosse tutto - tutto - giusto, bastava sorriderle e guardarla negli occhi. Alzò un pollice in sua direzione, a dimostrare che aveva più che gradito il numero, e piantando i piedi a terra per evitare di marciare verso di lei e dirle quanto avesse aspettato un suo messaggio, che avrebbe voluto fare un giro della scuola se le andava, o anche del quartiere, o direttamente uscire insieme quel pomeriggio - - Ah, no, cavolo, le prove! - . Sbuffò tra sé e sé, mentre il professore, un tipo alto e per niente appariscente, cominciava a dare i primi giudizi riguardo la loro performance. Parole al vento per Noel, che aveva già mosso i primi passi verso la cantante del trio senza neanche pensare che, in fin dei conti, quella era un'ora di lezione, che forse Evie non voleva più vederlo dopo aver letto il messaggio di quel cafone di Cain, che era semplicemente inopportuno e non era il momento giusto per domandarle se le andava una merendina ai distributori in corridoio, ma era Noel. Agiva senza pensare, e non si smentì nemmeno in quella situazione. « Evie! » non aveva mai distolto lo sguardo da lei, e da vicina era uno schianto, « Canti da Dio! » Lo pensava davvero e, a dirla tutta, non pensava mica che fosse dotata di quel talento. Vederla sotto quella luce era stato magico e disarmante. « Senti, mi dispiace per quel messaggio, Cain è un coglione » tentò di spiegare brevemente, ma si rese conto troppo tardi che non si trovava in compagnia del suo solito gruppo di amici e doveva moderare il lessico, « Un imbroglione » si corresse alla velocità della luce, « e questo pomeriggio abbiamo le prove, quindi ti andrebbe di andare al bar per un caffè insieme? » Evelya non rispondeva, rosso come un pomodoro. Il bar era troppo affollato per lei? Non si sentiva a suo agio in mezzo alla gente? Non le stava simpatico il barista?
    « Anche le macchinette vanno bene, nessun problema, forse costano anche meno, basta che sto con te » disse tutto d'un fiato prima di venire interrotto da uno dei membri. « Fuori di qui » la sua voce era profonda e per nulla amichevole e lo guardava dall'alto in basso, conscio del fatto che il leader degli Elysian non aveva mai incrociato quel ragazzo alto e dai capelli scuri e lunghissimi per i corridoi. Noel sostenne lo sguardo poco benevolo del tizio, ma indugiò qualche istante prima di allontanarsi. « Fammi sapere, il mio numero ce l'hai » le sussurrò, scostandosi da lei e avvicinandosi alla porta dove lo aspettava un Cain con gli occhi a cuore. Si guardò intorno per scoprire che ciò che l'amico aveva puntato era nientemeno che il ragazzo scontroso che accompagnava Evelya la scorsa notte. La porta si chiuse dietro di lui con un tonfo, l'espressione infastidita del professore in fondo alla sala fu l'ultima cosa che vide. Si voltò verso Cain, mentre la folla si dissolveva e alcuni lanciavano occhiate maligne ai due rossi. Non gliene fregava niente. « Ho un appuntamento con Evie » annunciò più eccitato che mai, mormorando un "forse", « Alle macchinette. O al bar. Non lo so. Non mi guardare così, so che non è il massimo, ma ce l'ho fatta! » gridò alla fine, perché non riusciva a contenere la gioia. Peccato per i suoi amichetti scontrosi e il professore bisbetico, altrimenti si sarebbe fatto quattro chiacchiere anche con loro. « Ci facciamo un altro giro o devi aspettare il tuo coso? » domandò, in cerca di qualcosa da fare in attesa della fine dell'ora. Vagare ancora per i corridoi e beccarsi le occhiate stupite degli studenti sembrava essere il massimo dell'intrattenimento in quella scuola per ricconi. Il cellulare gli vibrò in tasca e stava per urlare pensando che Evie gli avesse già risposto, invece si trovò un messaggio di Izar, incazzato come una iena. « Eh, no, tu ci vieni alle prove, brutto cafone » esclamò, scrivendo ciò che aveva appena detto e inviandolo senza pensarci due volte. Per quelle prove saltava un pomeriggio di studio e un appuntamento con Evie - soprattutto - e non era ammissibile che qualcuno mancava.

    • • •

    Era andata bene, tutto sommato, nonostante il nervosismo. Sì, perché ripensare alla sera prima lo rendeva nervoso, così come avere Raphael a pochi metri da lui e sembrare due sconosciuti e anche la voce stizzita di Azrael. Abel guardò subito il fidanzato alla fine dell'esecuzione, ma quello sembrava fare di tutto per evitarlo. Sbuffò in contemporanea a un tizio che se ne stava sulla porta che esclamò "wow", inopportuno. Sollevò un sopracciglio, girando pagina per cominciare a guardare il prossimo spartito, ma i rumori dei passi lo fecero girare: lo stesso ragazzo di prima aveva varcato la soglia per avvicinarsi a Evie, che aveva le guance dello stesso colore dei suoi capelli. A guardarlo meglio, gli era familiare. Non era il cantante per cui la sua amica aveva perso la testa? Era veramente arrivato fin lì, infiltrandosi a scuola? Gli venne spontaneo pensare al rosso della chioma di Cain, e scosse la testa appena l'idea gli sfiorò la mente. Si faceva schifo da solo. Doveva eliminarlo definitivamente e dimenticarlo, in fondo erano perfetti sconosciuti. Ci avrebbe messo poco a rimuoverlo dalla sua mente. « Ehi » l'albino si alzò dalla sua postazione, la voce bassa ma ferma, però Raphael fu più svelto e deciso di lui. Lo invitò scortesemente ad uscire dall'aula, com'era giusto che fosse: trovava quel ragazzo fastidioso e irritante. Si imbatté nelle iridi scure del violinista per un istante, prima che lui distogliesse lo sguardo. Il niente più totale. Aggrottò le sopracciglia, stanco di quella situazione, scortando il confusionario giovane fino all'uscita, ma desiderò non averlo fatto. Davanti a lui, c'erano un paio di occhi ricolmi di gioia e impetuosità, così diversi da quelli inespressivi di Raphael. Quelli di Cain trasmettevano qualcosa che mai aveva provato, ed era meglio non provare. La sua espressione si inasprì, che ci faceva lì? Cosa era venuto a fare? « Vattene » bisbigliò, anche se sentiva la lingua attorcigliarsi e lo stomaco bruciare. Perché proprio lui, perché proprio in quel momento? Perché non quando aveva chiuso definitivamente con Raphael e aver fatto pace con sé stesso? Perché non aspettare? Non voleva, non voleva niente di tutto ciò. Sbatté la porta dopo aver indugiato anche troppo a lungo, convinto che più il rumore fosse forte più l'altro potesse convincersi che Abel non voleva più vederlo.

    • • •

    « Il corvetto è di cattivo umore, eh? » Altayr si sbilanciò sulla sedia, osservando i movimenti stizziti di Izar dall'altra parte della classe, finito in coppia con Noah. « A me sembra sempre il solito » rispose Kevin, chino sul quaderno a svolgere l'esercizio da bravo secchioncello. Altayr fece spallucce, non convinta, mentre scrutava il viso accigliato dell'amico. Era risaputo che Kevin, suo amico d'infanzia, e Izar, amico da sempre e crush da altrettanto tempo, non andassero per niente d'accordo. Lei se n'era fatta una ragione, consapevole che più metri li dividevano meglio era, ma questo non le aveva mai impedito di andare d'accordo con entrambi. Eppure, Izar, una volta consegnato il compito, si guardò bene dall'incrociare lo sguardo della ragazza. « Izar! » lo chiamò, ma sembrò sordo al suo richiamo, tanto che subito dopo uscì dalla classe senza risponderle. Udì Kevin soffiare infastidito e si voltò verso di lui per cercare di capire cosa succedeva. « Lascialo perdere, non merita la tua attenzione » fece roteare la penna tra le dita, ma la ragazza non l'aveva presa così alla leggera. Prese il foglio su cui Kevin stava scrivendo formule al di là delle sue conoscenza basilari della chimica e si alzò dalla sedia di scatto. « Tu devi farti i cazzi tuoi » sibilò a poca distanza dal suo viso, l'amico che la guardava chiedendosi cosa avesse detto di sbagliato. Dal suo punto di vista nulla, si odiavano, ma per Altayr il bassista degli Elysian era tutto, inutile dire che non doveva considerarlo. Aveva perso la testa per lui già da un pezzo. Avanzò poi verso la cattedra consegnando il compito al professore, che la guardò sfinito mentre lei afferrava lo zaino, pieno - o vuoto, dipende - di pochi libri. « E' da finire, Windstorm » gli fece notare l'insegnante, ma lei aveva già imboccato la porta, « La prossima volta, magari » la giovane gli sorrise con fare palesemente sarcastico mentre chiudeva la porta dell'aula, non curandosi dei rimproveri del professore. Erano abituati ai suoi comportamenti, come la ragazza era abituata ai richiami da parte della scuola. Promise a sé stessa di non fare più un'uscita del genere fino alla fine dell'anno - se tutto andava bene sarebbe stato l'ultimo - e corse lungo il corridoio alla ricerca della persona per cui stava rischiando una lettera a casa. Il primo posto che le venne in mente fu il bar, ma era completamente vuoto. « Hai visto Izar? » salutò Hailee, la ragazza che lavorava al bancone, che le rispose solo dopo essersi messa in bocca un lecca lecca, « No, neanche l'ombra ». Altayr si morse il labbro, le dita a contare gli spicci nella tasca della giacca della divisa. « Dammi due sandwiches, intanto », « Li mangi tutti e due tu? » risero entrambe, perché sapevano che Altayr ne sarebbe stata capace. Mise la busta nello zaino insieme a qualche fazzoletto preso di fretta e si ritrovò in un battibaleno in corridoio a pensare a dove poteva cercarlo. Finì anche nel bagno dei maschi, chiedendo a un tizio particolarmente imbarazzato se avesse visto il suo amico. Niente da fare, doveva salire al secondo piano dell'edificio. Le balenò subito in mente la biblioteca, ma a quell'ora era chiusa, quindi era rimasta l'infermeria, oppure... L'infermeria. Fece gli scalini che portavano al piano superiore a due a due e aprì piano la porta dell'infermeria. Izar se ne stava lì, sul lettino, e le dava le spalle. Non volle rompere il silenzio, quindi sgattaiolò nella stanza tentando di fare meno rumore possibile. Non sapeva se il ragazzo stava dormendo oppure no, ma in quella stanza il tempo sembrava essersi fermato: forse era la luce che inondava l'ambiente, l'assenza di qualsiasi rumore o ancora il pulviscolo che si aggirava per la sala, o forse era solo una sua impressione. In fondo era solamente una semplice e squallida infermeria. Si avvicinò a Izar preoccupandosi di camminare quasi in punta di piedi, e posò lo zaino sul lettino di fianco al suo e si sedette su quello. Erano soli e il suo cuore faceva fin troppo rumore per i suoi gusti, che quasi temette che Izar si potesse svegliare - sempre se stava davvero dormendo. Le balenò in testa una scena alla Bella Addormentata, e ridacchiò tra sé e sé, lei nei panni del principe azzurro e il moro dormiente su un misero lettino. Poteva solo sognare di baciarlo, dato le ragazze che gli andavano dietro e lui talmente ingenuo da non accorgersene, senza contare le canzoni che scriveva per chissà chi. Quella mattina era nervoso a causa di una ragazza che lei non conosceva? Un misto di rabbia e gelosia si impossessò improvvisamente di lei, insieme alle parole che Kevin aveva pronunciato poco prima. Non meritava le sue attenzioni perché era già innamorato di un'altra? Doveva forse rifiutare il suo invito al concerto? Ma perché aveva scelto lei, quindi, se era cotto di una ragazza che non aveva mai visto? Tutta quella situazione non le piaceva, e pensare per un singolo istante che potesse essere lei la fortunata - oh, quante volte lo aveva fatto - la faceva sentire egoista e prepotente. Come se davvero potesse innamorarsi di lei. « Se ti do fastidio me ne vado » fece appena notò un movimento del ragazzo. La verità era che non avrebbe mai voluto lasciarlo solo. « Ma sono io, quindi starò qui a romperti le palle » sghignazzò, aspettando un po' prima di scendere dal lettino. Gli diede qualche secondo per abituarsi alla sua presenza, per poi avvicinarsi al suo giaciglio, sempre guardando la sua schiena. Ora che sapeva che era sveglio, poteva tastare una certa tensione nell'aria, e non voleva far finta di non essersene accorta e piombargli davanti al viso come spesso faceva. Scelse di saltare ogni formalità, chiedere come stava le sembrava superfluo e inutile. Era nervoso, e probabilmente quella domanda lo avrebbe reso ancora più irritabile. Voleva farlo stare un po' meglio, non peggiorare la situazione. « Ti va di andare alla sala giochi, come ai vecchi tempi? » aprì bocca dopo svariati minuti di silenzio, e non le parve una brutta idea. Si trovava poco distante dalla scuola, bisognava solo fare una deviazione sulla strada per tornare a casa; ce l'aveva portata per la prima volta proprio lui, appena il locale aveva aperto, e ci erano tornati spesso. Si divertivano sempre un mondo lì dentro, e se la giornata non era partita col piede giusto bastava passarci un paio d'ore e tutto era risolto. Un toccasana. « E' da mesi che non mettiamo piede lì dentro » aspettò la risposta dell'altro, che tardava ad arrivare. Era impossibile che non avesse voglia di andare nel paradiso degli arcade, ci avevano passato interi pomeriggi - e mattine, a dire il vero. « Se mi batti ad air hockey » ed era una bella sfida, quella, perché se la cavava alla grande a quel gioco, « ti darò una risposta » sapeva che Izar avrebbe inteso. Gli aveva detto che doveva pensarci, che gli avrebbe fatto sapere più avanti, ma la verità era che sarebbe andata fino in capo al mondo con lui. Gli One Last Night, una delle loro band preferite di sempre, erano un bonus. Orgogliosa com'era, tuttavia, non avrebbe volutamente perso giusto per dirgli di sì. « O che ne so, decidi tu in alternativa. Dai, su, che ne vale la pena, sai anche tu che è il posto migliore per scaricare i nervi » fece, sedendosi sulla parte libera del lettino e facendolo sobbalzare. « Se vinco io... » Beh, avrebbe ottenuto ciò che voleva se Izar avesse vinto, quindi cosa avrebbe potuto chiedere? Un bacio? Davvero intelligente da parte sua. « Non lo so, ci penso » disse, senza dar troppo peso all'inconveniente, e si sporse verso di lui ghignando, facendo finta di non accorgersi di aver accorciato la distanza tra i loro visi. Fino ad allora era stata brava a nasconderlo, perché tradirsi proprio in quel momento arrossendo o balbettando? « Ci stai, Al'Nair? »

    « Altayr » || « Noel » || « Abel »
    ‹ altayr c. windstorm (19) / noel h. moore (21) / abel c. gytrash (18) ›

    ☆ code by ruru ☆ noel's render done by bae

  10. .

    Si avvisa che questa è una sorte di vetrina, se così vogliamo chiamarla, ma metto ugualmente i codici a disposizione di tutti. Se vuoi prelevare qualcosa, leggi il regolamento codici, poi avvisa qui e compila il modulo specificando quale codice in particolare vorresti. Appena possibile ti invierò tutto via mp. Grazie mille, much love ♥




    name
    surname
    › race › age › sheet

    « Staring up the road, Sick of the darkness and the cold, The chains are wearing thin, I'm fighting for us both, I built this wonderland »
    Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Mauris mattis pharetra magna at aliquam. Suspendisse vel finibus risus, at cursus turpis. Pellentesque ut placerat mauris. Proin sit amet suscipit nisl. Donec tincidunt aliquet rutrum. Cras ante mi, lacinia eget libero quis, aliquet convallis ex. Ut finibus sagittis tempus. Sed vel maximus mauris, non ultrices ante. Morbi non nunc finibus, malesuada sem at, condimentum libero. Etiam ac hendrerit mi. Aenean vulputate, sem a mollis gravida, odio libero feugiat nibh, eget aliquam purus lorem nec diam. Donec tincidunt commodo lacus, eget sagittis augue blandit sed. Donec bibendum massa purus, vitae elementum mauris pharetra sed. Proin id auctor diam, eu finibus metus. Vestibulum vitae iaculis nisl, nec tempus augue. Cras vitae tortor ac justo egestas imperdiet sed a felis. Fusce sem ipsum, venenatis ac maximus eget, elementum ut nibh. Nulla id sollicitudin lectus, ac rhoncus lacus. Duis dui ipsum, finibus a egestas quis, tempus sed tellus. Nulla quis porta quam. Phasellus sodales sodales lacus et luctus. Proin vulputate pulvinar quam non euismod. Etiam sollicitudin erat rhoncus ultricies ullamcorper. Proin at velit fringilla, aliquam eros et, lobortis justo. Aenean elementum nec ipsum eget ornare. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Mauris mattis pharetra magna at aliquam. Suspendisse vel finibus risus, at cursus turpis. Pellentesque ut placerat mauris. Proin sit amet suscipit nisl. Donec tincidunt aliquet rutrum. Cras ante mi, lacinia eget libero quis, aliquet convallis ex. Ut finibus sagittis tempus. Sed vel maximus mauris, non ultrices ante. Morbi non nunc finibus, malesuada sem at, condimentum libero. Etiam ac hendrerit mi. Aenean vulputate, sem a mollis gravida, odio libero feugiat nibh, eget aliquam purus lorem nec diam. Donec tincidunt commodo lacus, eget sagittis augue blandit sed. Donec bibendum massa purus, vitae elementum mauris pharetra sed. Proin id auctor diam, eu finibus metus. Vestibulum vitae iaculis nisl, nec tempus augue. Cras vitae tortor ac justo egestas imperdiet sed a felis. Fusce sem ipsum, venenatis ac maximus eget, elementum ut nibh. Nulla id sollicitudin lectus, ac rhoncus lacus. Duis dui ipsum, finibus a egestas quis, tempus sed tellus. Nulla quis porta quam. Phasellus sodales sodales lacus et luctus. Proin vulputate pulvinar quam non euismod. Etiam sollicitudin erat rhoncus ultricies ullamcorper. Proin at velit fringilla, aliquam eros et, lobortis justo. Aenean elementum nec ipsum eget ornare.

    « Parlato » || - Pensato -

    ☆ code by ruru



    Edited by altäir - 22/4/2020, 12:47
  11. .
    Altayr • Noel • Abel ›
    I don't care about what you did, only care about what we do
    N
    oel sosteneva di non saperci fare con le ragazze, ma la verità era che non pensava troppo a mettersi in mostra o a cosa dire per impressionare chi aveva davanti: solitamente gli bastava un sorriso e una battuta delle sue per guadagnarsi il numero di qualcuna. Non che quella di rimediare un pomeriggio in compagnia fosse sua intenzione, ma le donne, doveva ammetterlo, gli piacevano e un drink non si negava a nessuna, anche se non erano mai state la sua priorità. Se c'era qualcuna che le interessava le dedicava qualche attenzione in più, altrimenti dare fiato alla bocca gli piaceva abbastanza da restare a chiacchierare con chiunque per ore. Quella sera, beh, la biondina lo aveva letteralmente rapito. O meglio, per come erano andate le cose era stato lui a rapirla, ma solo guardandola in viso era certo di poter mettere il suo stesso cuore in mano alla ragazza e dirle senza esitazioni di farne quel che voleva, che tanto era suo. Ecco un'altra caratteristica di Noel che suo fratello Julian proprio non sopportava: l'eccessiva impulsività, non pensare neanche un secondo a quel che stava per dire o fare. La regola valeva anche per le emozioni, che il rosso esternava senza farsi problemi. Se lo avesse visto in quel momento, si sarebbe di sicuro beccato uno scappellotto da parte di Julian. E avrebbe fatto pure male. Mica come il sorriso spontaneo della giovane, che il massimo che poteva fargli era mozzargli il fiato. E infatti. « Merito di tutte le prove che facciamo, a forza di suonare quasi tutti i pomeriggi insieme ho rischiato di non passare un paio di esami » ridacchiò, perché da quando aveva superato per la rotta della cuffia il test d'ingresso a causa dello scarso studio dato dalle prove estenuanti e continue degli Elysian aveva messo la testa a posto, e ancora riusciva a mantenere una media abbastanza alta da riuscire a prendere le borse di studio che gli permettevano di condurre la vita da studente squattrinato. Sì, perché le borse di studio le utilizzava per affitto, bollette, cibo e manutenzione di quel catorcio di macchina che si ritrovava, e i pochi soldi che guadagnava dai live li metteva da parte. Magari sarebbero serviti per vestiti, viaggi, serate tra amici, benzina, regali, che ne sapeva. Che, a proposito, il compleanno di suo nipote si stava avvicinando. Ecco, come non detto, aveva abbastanza soldi da parte o anche quest'anno se la sarebbe cavata con una magliettina comprata dai cinesi su cui scritto "Do' retta solo allo zio"? « Non vorrei approfittarne, ma mio fratello è un vostro grande fan. Posso chiederti un autografo per lui? » Il ragazzo le sorrise e annuì, alla ricerca di una penna nelle tasche dei pantaloni. Evelya - che bel nome, accidenti - lo salvò, allungandogli il necessario. Il rosso tracciò sul foglio immacolato una serie di scarabocchi che lui osava definire come "calligrafia", ma ridava solo alla scrittura disordinata e frettolosa di un medico. Quasi si dispiacque a sapere che l'autografo era per il fratello della biondina e non per lei, così tanto che fu sul punto di non nominarlo. Sbadato. E sbandato. Quella tipa lo aveva mandato fuori di testa, doveva riappropriarsi di sé stesso.
    - Autocontrollo, non è difficile - si disse, ma esitò a chiudere il tappo della penna. L'avrebbe rivista, vero? Sarebbe tornata al Black Dog? Perché a vederla così non sembrava il tipo che girava per club dopo la scuola, e a quanto aveva capito non ne aveva neanche il permesso. C'era solo una cosa da fare, e Noel prese a scrivere in fretta il suo numero di cellulare sotto la sua firma, senza chiedersi se a lei interessasse o meno. Lo sperava, perché spettava a lei farsi sentire. Le diede indietro il quaderno con un sorrisetto furbo che tentò di nascondere, e fece scivolare la penna in un secondo momento sul foglio che lei stava ancora ammirando. Capì che lei si rese conto che quello fosse il suo numero di telefono quando sgranò gli occhi, cambiando espressione. « Questo è... Noel, sei sicuro? » Il ragazzo annuì convinto, e quando fu sul punto di risponderle non riuscì a soffocare una risata. Una malintenzionata? Lei? Seriamente? « Hai lo sguardo più puro e innocente che abbia mai visto, perfino mio nipote di tre anni è più subdolo di te » continuò a ridere, perché quella era proprio una delle battute più belle che avesse sentito. « Fatti sentire, così ti faccio sapere la prossima volta che ci esibiamo qui » aggiunse poi, appoggiandosi allo stipite della porta e guardandola negli occhi. Era davvero minuta, fragile, piccola, ma nel suo sguardo leggeva curiosità e gratitudine. La sua Wendy. Al massimo, lui poteva essere paragonato a Capitan Uncino, in confronto. Non si assomigliavano affatto, cosa poteva convincerla a scrivergli? Sperava che la sua simpatia bastasse, altrimenti non sapeva dove cercarla. Incrociò le braccia al petto, non sapendo dove metterle, per poi ricordare che quello era un gesto di chiusura nei confronti dell'altro secondo il linguaggio del corpo. L'aveva letto su Facebook tempo fa, e per evitare fraintendimenti le mise subito in tasca, ma gli sembrò di trasmettere lo stesso messaggio. Macché chiuso verso l'altro, nel suo caso era tutto il contrario. Se Evelya avesse saputo interpretare il linguaggio del corpo sarebbe stata la fine, ma sembrava più concentrata sul foglio del quaderno che altro. Meglio così, anche se avrebbe voluto incrociare le sue iridi chiare. Si avvicinò un poco a lei, giusto per ottenere la sua attenzione, e sorrise - per l'ennesima volta quella sera - quando la biondina gli disse che sì, lo avrebbe contattato. Ignorò volutamente il "se potrò scriverti", perché gli sembrava di toccare il cielo con un dito. « Fai con comodo, non starò mica tutto il tempo attaccato al cellulare in attesa di un tuo messaggio » Noel le fece l'occhiolino, come a farle intendere che invece sì, sarebbe andata a finire proprio così. Già si vedeva a controllare lo schermo del telefono ogni dieci secondi circa, imprecando contro suo fratello e i suoi amici ogni qualvolta avrebbero fatto vibrare il suo cellulare con un sms indesiderato. A meno che non si trattassero di notifiche di nuovi video di cuccioli di labrador, quelle le avrebbe sicuramente apprezzate. Il rosso si accorse dell'improvvisa preoccupazione che segnò il volto di Evelya da un momento all'altro, e lui alzò un sopracciglio in una muta richiesta di spiegazioni. Non sembrava andasse tutto bene. Non è che era arrivato il famoso tizio da cui non dovevano farsi beccare? Avevano un coprifuoco, forse, oppure locali come il Black Dog erano posti da non frequentare. E chi li biasimava? I due giovani erano su tutt'altro piano rispetto alla gente chiusa in quel posto scuro e rumoroso, si vedeva lontano un miglio che erano cresciuti a pane e soldi. Non come lui, non come loro. Doveva essere sincero, un po' li invidiava, ma se non avevano mai provato l'adrenalina che solo un concerto coi contro fiocchi può far provare, allora la loro che vita era? « Se prendete la terza a destra, laggiù », e indicò con il dito la traversa in questione, avvicinandosi ad Evelya di proposito, « vi troverete sulla strada principale, abbastanza lontano da questo posto » Almeno chiunque dovesse venire a prenderli non avrebbe sospettato che Evie - quanto gli piaceva quel soprannome! - e Abel avessero messo piede nel club, e non si sarebbero ritrovati nei guai. Non più di tanto, almeno. Anche i suoi genitori gli avevano imposto un coprifuoco tempo addietro, ma lui non lo aveva mai rispettato, e la cosa lo fece ridere sotto i baffi. Rivedere lui, almeno cinque anni più giovane, fregarsene altamente delle regole e delle punizioni, in contrasto con il viso preoccupato dei due scolaretti non aveva prezzo. « Spero vada tutto bene » sospirò sottovoce, ma notò che la ragazza lo aveva sentito e le sorrise di rimando. Era davvero un incanto. Ad infrangere il coprifuoco potevano succedere anche cose belle. Come lei. « Ti faccio sapere per il prossimo concerto allora » le fece un altro occhiolino e regalandole un fugace buffetto sulla guancia, nulla di troppo spinto ma neanche distaccato, sperando che a lei il contatto fisico non dispiacesse. Ridacchiò del colore delle gote di lei, quasi all'altezza del rosso dei suoi capelli, e la lasciò andare, infilando entrambe le mani in tasca. « Spero di rivederti presto » disse, facendo un passo indietro per tornare dentro, ma senza volerlo davvero. Come poteva lasciarsela sfuggire? Gli avrebbe scritto? Guardò i due allontanarsi di tutta fretta, per poi sparire alla curva che lui aveva loro indicato poco prima. Si augurò che non accadesse loro nulla, e sospirò chiudendosi la porta alle spalle dopo aver intimato al batterista di rientrare. « A quando il prossimo concerto qui? Domani? » fece a Cain con una pacca sulla spalla, ridacchiando, sapendo che anche lui voleva rivedere il ragazzo dai capelli argentati. « Andato anche tu, eh? » continuò a ridere, tranquillizzando il rosso numero due sul fatto che avrebbe recuperato anche il numero dell'albino. Sempre se Evelya si fosse decisa a contattarlo. Mentre c'era lei aveva dimenticato anche il dolore alla gamba, che dopo i concerti gli faceva vedere le stelle. Magia.

    • • •

    Quando l'intera band si presentò per accompagnare i due malcapitati studenti nel backstage, Abel non si era ancora ripreso dal baciamano. Davvero l'aveva fatto? Era audace, fin troppo. Aveva provato a togliere la mano, ma la presa del ragazzo era ferrea e non gli aveva lasciato scampo. Si chiamava Cain, e chiacchierava troppo per i suoi gusti. Chi lo conosceva - anche solo di nome - sapeva che sopportava ben poco chi aveva la tendenza a dar fiato alla bocca per pronunciare più di dieci parole messe in fila. - Cain - Il suo era un nome forte, non come Abel, che quasi scivolava sulla lingua. Gli piaceva. « Sul serio, volete piantarla? » riuscì infine a dire, perché Azarel si faceva sempre più vicino, come Abel ed Evie lo erano ad una punizione coi fiocchi e la strigliata più pesante della loro esistenza. Il backstage era un posto angusto e stretto, ma sempre più illuminato della sala dove gli Elysian si erano esibiti. Nel frattempo avevano fatto la comparsa gli altri due membri, la chitarrista che aveva subito preso in simpatia Evelya - era quasi impossibile non cedere ai suoi teneri occhioni - e il bassista, dai capelli scuri, che se ne stava ad osservare la scena senza battere ciglio. Tra tutti, quest'ultimo gli sembrava l'anima a lui più affine, ma, come tutti gli altri, sfacciato nei modi e nel vestire. Cosa ci faceva in mezzo a quella gente? Non era il suo ambiente, e a dire il vero si sentiva a disagio. Era evidente come lui e la biondina non facessero parte del loro mondo, e questo lo portò a non guardare in faccia né Cain né gli altri mentre parlavano tra loro per trovare una soluzione e farli uscire dal locale senza che qualcuno li vedesse. Il batterista continuava a tenergli la mano, un gesto confortante e invadente allo stesso tempo. Voleva uscire di lì, il prima possibile. Le voci delle persone presenti gli davano fastidio, così come le urla dei fan dietro la porta. Digrignò i denti, stringendo le mani a pugno, fino a quando udì Cain parlare, l'unica voce udibile su tutte le altre. « E dai, non tenermi il muso. Ci vedo poco da quest'occhio, non l'ho detto per prenderti in giro. » fece, e lo trascinò verso chissà dove, così come fece il leader con Evelya. Abel boccheggiò, le sopracciglia si rilassarono per un attimo, togliendogli l'espressione accigliata. Sua madre diceva sempre che gli sarebbero venute le rughe prima del previsto, dato il cipiglio perennemente imbronciato che sfoggiava, indipendentemente dalla situazione. « Non importa » fece, distogliendo lo sguardo finché era ancora a torso nudo. Non ce la faceva, era... accattivante, ecco. Una boccata d'aria fresca lo investì quando Noel - forse si chiamava così, non aveva ben capito - aprì la porta sul retro, una scappatoia che li avrebbe portati lontani da lì e da tutti i guai che ne conseguivano. « Sarei molto molto contento se tu tornassi ad ascoltarci. » esordì all'improvviso Cain, e l'albino notò come si fosse rimesso la maglietta. Almeno adesso riusciva a guardarlo in faccia, anche se era talmente bello e l'altro talmente imbarazzato che era tentato di puntare lo sguardo altrove. « Non è il mio genere, non me ne intendo » bofonchiò, anche se non aveva espressamente rifiutato. Era un forse, o almeno nella sua lingua. Il suo interlocutore avrebbe potuto benissimo intenderlo come un secco no, ma non aveva voglia di starsi a spiegare. Voleva andarsene, ma d'altra parte... Non si sarebbe scordato di quei occhi verdi, vero? Avrebbe voluto osservarli ancora un po', giusto per esserne sicuro. Non era il tipo da colpo di fulmine, e il giovane Gytrash era ancora convinto che non lo fosse, ma sfuggire al fascino del rosso era difficile. E gli stava così vicino. Oh, diamine, aveva Raphael. D'un tratto, il viso del fidanzato gli tornò alla mente, e fece un passo indietro per allontanarsi da Cain. Che stupido. Se la loro relazione andava male non significava che poteva interessarsi del primo ragazzo carino che incontrava. « Magari la prossima volta ti tengo il posto in prima fila, così puoi vedermi da vicino senza rimetterci il collo. » il commento del batterista gli fece alzare gli occhi, conscio di essere arrossito vergognosamente. « Non ce ne sarà bisogno » disse di rimando l'albino, secco, tagliente, fulminandolo con lo sguardo, come se l'altro fosse in torto. Beh, non lo era. Diamine, si era accorto che era rimasto a guardarlo per tutta la durata del live. Era stato davvero così ovvio? Era davvero alla ricerca di qualcun'altro, che non fosse Raphael? Era da interpretare come un brutto segno il fatto che si sentisse attratto da un altro e, nonostante chiacchierasse molto, volesse rivederlo di nuovo, anche solo di sfuggita? Forse sì, ma finire una relazione per un terzo elemento... era un brutto colpo. Ma sembrava impossibile tornare come erano all'inizio, quando Raphael in un momento in cui erano solo loro due lo avvicinava per accarezzargli la testa o stringergli la mano. Ad Abel erano sempre piaciuti quei piccoli gesti nascosti, che condividevano solo loro due. Adesso era tutto diverso, il moro non reagiva alla presenza dell'altro. Esserci o no era la stessa cosa. Era diventato tutto così freddo, quando la mano di Raphael, un tempo, era l'unica cosa a dargli calore. « Evie, dai » la chiamò per distrarsi da quei pensieri fastidiosi, che in presenza di Cain erano del tutto inopportuni. Il cantante, nel frattempo, ci stava provando spudoratamente con la biondina, e non poté che regalargli un'occhiataccia per intimargli silenziosamente di darsi una mossa. Si sarebbero rivisti, basta con le moine, non sarebbe stato lui a sorbirsi gli strilli di Azarel e delle loro famiglie. Distolse lo sguardo, non sapendo più dove guardare perché c'era lui. Vestito, okay, ma sempre lui. Bello e intraprendente come due secondi prima. Sospirò quando capì che il leader avrebbe lasciato andare la sua amica, e in quel momento avrebbe potuto anche accettare la stretta di mano che il batterista gli offriva. Alzò un sopracciglio, ma alla fine cedette, allungando una mano per poi ritrovarsi, inaspettatamente, tra le braccia di lui. Cain lo tenne per la nuca quando capì che voleva assolutamente liberarsi, e il cuore saltò un battito quando le sue labbra si poggiarono sulla chioma chiara di Abel. Stava morendo. O stava sognando. Tutto in una sola sera. Era troppo per lui. « Che diavolo?! » sbraitò appena si divisero, passandosi volontariamente una mano sul viso per coprire il rossore che, ne era certo, si era propagato sulle guance senza alcun ritegno. Ne era quasi felice, ma allo stesso tempo perché l'aveva fatto? Non si conoscevano, non poteva provare nulla per lui. O magari voleva solo prenderlo in giro. Sì, era esattamente così. Non doveva farsi così tante seghe mentali. Appena avrebbe girato l'angolo, Cain si sarebbe messo a ridere della sua reazione insieme al compagno. Non salutò, prendendo Evelya per la manica e trascinandola verso la via che Noel gli aveva indicato. Le sentiva, le sue risate di scherno, in contrasto con il tocco fermo ma comunque delicato. Non voleva fargli del male, ma non doveva cascarci. Non poteva perdere la testa così facilmente per un batterista completamente tatuato. - Contegno Abel - si disse l'essere più coerente che fosse mai esistito, mentre lo stomaco gli si stringeva al ripensare al bacio leggero tra i capelli. Come non detto.

    • • •

    « Che gentiluomo » commentò ridendo la ragazza quando Izar disse che aveva sbagliato perché doveva vegliare su di lei durante il concerto. Lei non ne aveva bisogno, e sapeva che il ragazzo non lo faceva sul serio, ma sentirglielo dire faceva quasi effetto. Lo diceva solo per sfidarla, lo sapeva: era abituata, si stuzzicavano così da anni. Non che che la guardasse davvero. « Senza di te non saprei proprio come fare » lo disse intenzionalmente con tono sarcastico, in modo da riderci su, ma era la verità. Senza Izar, la band non sarebbe stata la stessa cosa. La scuola, il lavoro, tutto. Era giunta al punto di non ritorno ormai, quello in cui ogni cosa, ogni evento, ogni attività senza il ragazzo non avrebbe avuto senso. O lo avrebbero avuto, ma sarebbe comunque mancato qualcosa. Tirò un sospiro, con l'intenzione di ritornare sul palco - i fan in sala scalpitavano - ma non fece in tempo a muovere un solo passo che sentir scorrere le dita del ragazzo sulla sua fronte la sorprese, costringendola ad alzare lo sguardo per capire le sue intenzioni. E pregare di non essere arrossita. « Stai bene con i capelli sciolti, ma non muori di caldo? » La chitarrista accennò un sorriso, per poi spostare una ciocca fastidiosa che le sostava sulla spalla. « Nah » fece, alzando di poco le spalle. Non aveva un elastico a portata di mano, e poi mancava poco che se ne andassero tutti: poteva mantenere la sua immagine ancora per un po'. E, ancora, Izar aveva detto che stava bene coi capelli sciolti. Una ragione in più per aspettare a legarseli in una comoda coda di cavallo. « Guarda, iniziano già ad arricciarsi. » Il moro sfoderò un sorrisetto furbo, mentre la mano si muoveva verso la tempia, senza mai smettere di toccare la pelle. Fu difficile nascondere un brivido che le attraversò la schiena nel mentre continuando a guardarlo negli occhi, di un verde che ogni volta la ipnotizzava. Ci si sarebbe immersa, in quelle iridi. Quanto avrebbe voluto che guardassero davvero solo lei, e non vi si posassero solo pochi secondi giusto per vedere se erano in sincronia durante un concerto. « Arricciati o no, sono figa ugualmente » alzò entrambe le sopracciglia un paio di volte, offrendogli uno sguardo sarcasticamente sensuale, seguito da una risata rumorosa che il frastuono del pubblico coprì. Seguì Izar nello stanzino dove avevano lasciato le magliette da vendere, vicino allo spogliatoio in cui il ragazzo si chiuse per togliere le lenti. Per fortuna lei aveva la vista di un'aquila, perché a vedere il ragazzo imprecare ogni volta che doveva mettersele non le faceva affatto desiderare di mettere gli occhiali. C'erano quattro scatoloni per terra, uno per ogni membro della band, riempito di maglie di colori e stampe differenti. Il suo era sempre il più leggero, perciò prese delle maglie dallo scatolone di Noel, sempre troppo pieno perché Cain e Izar si divertivano a riempirglielo per svuotare il proprio. I rossi del gruppo ancora non arrivavano, perciò con il bassista decise di smistare il merchandising in due scatole, in modo da uscire per tempo e non far aspettare i fan. Con lo scatolone tra le braccia, Altayr si diresse verso l'uscita per il palco, ma venne bloccata a pochi metri da essa proprio da Izar, che la osservava come se dovesse annunciarle qualcosa di catastrofico. La ragazza lo invitò a parlare senza aprire bocca, sorridendogli confusa. « Tutto okay? » mormorò, ma lui non la sentì a causa del baccano oltre la porta. Sembrava agitato, molto agitato. Che stava succedendo? Nella sua mente si agitavano le peggiori ipotesi, tra cui la possibilità di una cotta per una delle bimbe che lei proprio non sopportava. Questa era la peggiore delle ipotesi. Anzi, la peggiore era che gli chiedesse consiglio su come avvicinare una delle bimbe. Cominciò a pregare silenziosamente quando il ragazzo prese un grosso respiro per parlare, perché se si trattava veramente di quello un pugno non glielo avrebbe negato nessuno. No, neanche tutto l'amore che provava per lui l'avrebbe frenata. « Vieni con me al concerto degli Our Last Night? » per la ragazza fu difficile nascondere la sorpresa iniziale, e ancora più difficile metabolizzare la proposta dopo. Un concerto. Loro due? No, impossibile. Si sarebbero accodati anche Cain e Noel, giusto? Non poteva essere un... « Sarebbe un... appuntamento. » Stava sognando. « Aspetta, quindi... », « Noi due da soli. » la anticipò, e sentiva il cuore esploderle di gioia. Oh cielo, glielo aveva chiesto davvero. Era ciò che aspettava da tempo, e non era la solita passeggiata dopo scuola, o sistemare gli strumenti dopo le prove. Spesso erano solo loro due, ma le aveva mai chiesto di uscire? Era la prima volta. Se non fosse stato per la scatola gli sarebbe saltata al collo. No, cioè, doveva mantenere un contegno. Lei non stava mica aspettando un momento del genere. Doveva nascondere la sua cotta madornale ancora per un po', non era sicuro che fosse ricambiato. Per niente. Ma le aveva chiesto di andare al concerto insieme, degli Our Last Night per giunta, una delle loro band preferite, poteva avere qualche possibilità. « Ci devo pensare su » ridacchiò dopo qualche secondo, giusto per trattenersi dall'accettare subito. Le piaceva tenerlo un po' sulle spine. « Non fare quella faccia, ti farò sapere » aggiunse poi, la risata che si faceva più forte, perché l'espressione stupita di Izar era davvero sensazionale. Quanto poteva amarlo? « Grazie dell'invito » disse ancora prima di superarlo e andare sul palco. Lo pronunciò gentilmente, senza sarcasmo com'era solita fare. Un ringraziamento vero e proprio. Se doveva andare a perdere la voce per il troppo cantare sotto il palco, Izar era la persona giusta. La persona giusta per lei sotto tutti i punti di vista.

    • • • Il giorno dopo

    Era rincasato tardi, aveva dormito poco, si era scordato di bere il caffè prima di uscire di casa e la melodia che gli aveva assegnato Azarel quella mattina faceva venire sonno. Una combo micidiale per la concentrazione di Abel, che faticava a tenere gli occhi aperti. Sua madre era stata comprensiva con lui, non gli era stata riservata nessuna eclatante lamentela, ma non poteva dire lo stesso di Evelya. L'albino si era sorbito solo le grida di Azarel, mentre lei, probabilmente, anche quelle della famiglia. Che strazio. « E' un si bemolle quello, Gytrash » lo rimproverò il professore, e Abel tolse le dita dai tasti del pianoforte, certo di non aver mai suonato così male come in quel momento. Non ne poteva più. Abbassò lo sguardo e sbuffò, mentre il professore diceva qualcosa alla cantante del loro trio, e si alzò dallo sgabello. « Vado a prendermi un caffè » anticipò il professore prima che potesse chiedergli qualcosa, avanzando verso la porta della sala con le mani in tasca a contare gli spiccioli, « Così magari il si bemolle non lo sbaglio più » Nei corridoi dell'istituto Ripley Saint Thomas, illuminati a giorno dalle grandi finestre, il silenzio veniva costantemente rotto dagli strumenti e dalle voci degli studenti, e quella mattina non era diverso. Lo era per Abel, che solitamente si cullava in quelle piacevoli melodie, quel giorno invece desiderava solo che tutti facessero silenzio. Aveva bisogno di un caffè, e alla svelta, sperando che non lo rendesse ancora più nervoso. Girò l'angolo alla fine del corridoio, dove in una rientranza vi erano addossate tutti distributori di merendine e bevande. Solo una cosa lo disturbò più dei suoni che provenivano dalle aule, ossia la presenza di Raphael davanti alla macchinetta del caffè. L'albino corrugò le sopracciglia, fermandosi a qualche metro da lui invece di fare la fila. Il moro non sollevò neanche lo sguardo, anzi, lo ignorò volutamente, il suono della macchina a fare da sottofondo a quello scomodo incontro. All'inizio non era così. Raphael era gentile, molto riservato, ma pur sempre premuroso. Non gli era mai piaciuto far sapere nulla sul suo conto, e neppure sulle sue relazioni. Il loro era un rapporto quasi segreto, data la natura introversa di entrambi, ma all'inizio non era male. Affatto. Stavano bene. Raphael non lo costringeva a fare niente che non volesse, non lo faceva parlare più del dovuto, rispettava i suoi spazi e i suoi silenzi. E nel mentre gli teneva stretta la mano. Era cauto, ma premuroso. Ora invece vedeva solo un Raphael cinico, indifferente, annoiato. All'inizio si amavano. Ora non sapeva come definire la loro relazione. Cos'erano? Fidanzati era una definizione in cui non rientravano, non più. Cos'era successo? Non lo aveva ben capito neanche lui. Avevano cominciato ad allontanarsi pian piano, ad annoiarsi, a prediligere altro invece che passare del tempo assieme. La loro relazione aveva cominciato a deteriorarsi da... da non lo sapeva, non c'era un momento ben preciso in cui collocare la rottura del rapporto. Si erano lasciati sfuggire l'un l'altro, ed ora acchiapparsi era diventato difficile. Impossibile, dato che nessuno dei due voleva saperne. E non avevano ancora avuto il coraggio di lasciarsi definitivamente. Codardi, entrambi. Raphael afferrò il bicchiere del caffè - lo prendeva sempre decaffeinato, e Abel gli aveva sempre rinfacciato la cosa - con movimenti lenti, come suo solito, e quando alzò lo sguardo per andarsene lo degnò di un'occhiata cupa e fredda. Non vi lesse neanche l'ombra di un'emozione, che fosse anche solamente negativa. Nulla. Abel avanzò, inserì i soldi nella macchinetta e premette varie volte sul tasto dello zucchero prima di selezionare il caffè. Una volta lo prendevano insieme, ora neanche si guardavano in faccia. Non come Cain, che più che guardarlo in faccia sembrava voler conoscere ogni singolo dettaglio su di lui.
    - Cain, che non rivedrò più - perché le possibilità erano davvero poche. E il rosso si sarebbe dimenticato di Abel molto presto, mentre i suoi occhi verde smeraldo erano difficili da cancellare.

    • • •

    Per fortuna la sua macchina aveva ceduto a pochi metri dal meccanico in cui lavorava Cain, altrimenti Noel poteva anche definirsi fottuto e mandare tutto a puttane. Aveva già chiamato Jack, suo compagno dell'università, pregandolo di prendere appunti anche per lui quella mattina, per poi buttare giù tutti i santi del calendario perché non poteva saltare lezioni a pochi giorni dall'esame. Eh, ma la sua macchina sapeva quando dargli problemi, sempre nei momenti meno opportuni. Fortuna volle che Cain lavorasse quella mattina, e appena lo vide lo accolse con un sorriso che gli intimava, sempre amichevolmente, di smetterla di rompergli i coglioni e decidersi a cambiare macchina. La verità era che era affezionato a quel vecchio catorcio: era riuscito a comprarsela da solo, con i suoi risparmi, ma spendeva più per ripararla che altro. Per fortuna Cain era un amico, anche se si sarebbe aspettato che prima o poi, per vendetta, gli avrebbe fatto pagare un conto salatissimo. Mentre il rosso numero due se ne stava a controllare il veicolo, Noel tirò fuori il cellulare per l'ennesima volta dalla scorsa serata, senza però trovare la notifica che cercava. Sbuffò sonoramente, rimettendo il telefono in tasca con un gesto stizzito. « Evelya ancora non mi ha scritto » si lamentò ad alta voce, staccandosi dal muro su cui si era appoggiato e girando attorno alla macchina. Nessun messaggio, nessuna chiamata, nessuna richiesta di amicizia, niente di niente. Il nulla. Forse non le era piaciuto. IN verità pensava fosse un maniaco, o qualcosa del genere. « Voglio rivederla, che palle » aggiunse, calciando una lattina vuota, e si accorse che neanche Cain era troppo contento della notizia. In fondo, doveva reperire anche il numero del ragazzo che l'altro aveva adocchiato la scorsa sera, quindi ci perdevano in due. « E se non mi scrive? Cain, cazzo » si piegò sulle ginocchia, incapace di stare fermo per due secondi agitato com'era, e batté una mano sul cofano del catorcio che si ritrovava come macchina, usandolo come sfogo momentaneo. « Non so neanche che scuola frequenta, non ho riconosciuto la divisa » continuò, perché era davvero sicuro che la biondina potesse scrivergli una volta a casa, la sera stessa, invece aveva dovuto ricredersi. Forse non aveva intenzione di scrivergli e basta. Tragedia. « Cain, so che anche tu vuoi rivedere il tizio » lo scrollò per le spalle, piazzandoglisi davanti, il tono quasi infastidito,
    « e se andassimo a prenderli a scuola? » Brutta, bruttissima scelta. Impulsiva e poco ragionata. Come ogni santissima decisione che prendeva Noel. « E ho pure fame, dannazione » sbraitò, rivolgendo lo sguardo al cielo. Quando era nervoso non c'era santo che teneva. E in quel momento sarebbe bastato un semplice trillo a zittirlo.

    • • •

    « Ehy, Noah » Altayr appoggiò la borsa di tutta fretta sul banco, chiamando subito il secchione della classe in prima fila con il quaderno di matematica alla mano. « Ti prego, ti prego, ti prego, gli esercizi » si inginocchiò di fronte a lui aprendo il libro davanti a lui, mostrandogli le pagine bianche e tutta la sua disperazione. La risposta negativa di lui non tardò ad arrivare, secca, facendo più male di un pugnale in pieno petto. « E che cazzo, perché? » gli rispose lei, alzandosi dalla posizione genuflessa in cui stava e alzando la voce. Matematica era alla terza ora, e aveva davvero bisogno di copiare i compiti da qualcuno. Né Kevin né Izar erano ancora arrivati, quindi Noah era la sua unica salvezza. L'albino non rispose e in quel momento entrò in classe il professore di chimica, perciò la ragazza si sbrigò a prendere posto. Notò che nel frattempo Izar era arrivato, e lo salutò con un cenno della mano e una linguaccia, per poi intercettare lo sguardo di Kevin, seduto dietro di lui. Gli sorrise, per poi nascondersi dietro la montagna di astucci per sfuggire al solito giro d'interrogazioni - per il quale ovviamente non aveva toccato libro - ma l'insegnante non si era svegliato con la luna storta fortunatamente. Affidò loro un lavoro di gruppo, e Altayr pregò di capitare con qualcuno che aveva capito cosa dovessero fare, perché ogni parola che usciva dalla bocca di Mr. Powell era arabo. Lei di formule e numeri non aveva mai capito nulla e non era determinata a farlo, giusto il minimo per passare l'anno. Quando udì il cognome di Izar affiancato da Aldebaran, segno che il bassista degli Elysian e Noah avrebbero dovuto lavorare insieme, la ragazza sospirò, accasciandosi sul banco come se avesse definitivamente perso la possibilità di cominciare bene la giornata.
    « Marshall, con Windstorm. Tienila d'occhio » Kevin si voltò a guardarla, sorridente, mentre Altayr fece una smorfia in direzione del professore. « Come se non facessi mai niente » disse quando il ragazzo la raggiunse, « Non ti ho mai visto particolarmente impegnata durante chimica », « Vaffanculo anche a te » risero insieme, mentre Kevin si beccò una spallata piuttosto forte per essere una ragazza. Kevin era il suo amico d'infanzia, andavano d'accordo e si volevano un gran bene, ma in quel momento desiderava che il suo compagno fosse un altro. Si sporse leggermente da un lato mentre Kevin continuava a parlare per vedere cosa stesse facendo Izar. Si impegnò a non farsi notare, visto che lui e Kevin si odiavano a morte, e sembrò riuscirci. Il moro però non si voltò in sua direzione, quindi dopo un po' lasciò perdere anche se le riusciva difficile concentrarsi. « Fai tu, vero? » fece, e Kevin sospirò. Se lo aspettava, evidentemente. « Io non ho capito nulla » e rise, appoggiando i gomiti sul banco, come se il lavoro non la riguardasse davvero. La verità era che era troppo impegnata a pensare ad altro. A qualcuno in particolare, e al concerto che li aspettava. All'appuntamento, pardon. Perché di quello si trattava.

    « Altayr » || « Noel » || « Abel »
    ‹ altayr c. windstorm (19) / noel h. moore (21) / abel c. gytrash (18) ›

    ☆ code by ruru ☆ noel's render done by bae

  12. .
    Altayr • Noel • Abel ›
    I don't care about what you did, only care about what we do
    L
    ì per lì, impegnata a squadrare con uno sguardo assassino il pubblico davanti al bassista, Altayr ebbe un momentaneo vuoto su quale fosse la prima canzone della scaletta. Noel la guardò un paio di volte, una per darle il via, l'altra per chiederle silenziosamente perché diavolo non fosse ancora partita. Davanti ai fan, ignorare Izar si faceva sempre più complicato. Forse perché la sua cotta si faceva sempre più ovvia. Lui non doveva saperlo, i fan non dovevano saperlo - già si immaginava un suo orribile primo piano, scelto accuratamente per l'occasione, in cima a tutte le fan pages sugli Elysian, che recitava "chitarrista si imbambola troppe volte a guardare il collega, se ne accorgono tutti tranne il diretto interessato". Che visione orribile. I due rossi della band, beh, se ne erano già resi conto da un pezzo, Cain molto prima di Noel, così come i suoi amici a scuola. Tutti, tranne lui, ed era un bene da molti punti di vista. Cercò per la terza volta gli occhi del leader, che si voltò di nuovo verso di lei per indirizzarle un'occhiata esasperata, e lei rise piano in risposta, girandosi poi in direzione di Izar, dato che l'intro del pezzo spettava a loro. Le prime note di A Love Like War rimbombarono nel locale poco illuminato, e il pubblico la riconobbe all'istante, cominciando a saltare sul posto e portando le mani in alto, e appena la voce di Noel si aggiunse alla melodia, la chitarrista si perse in un caos di voci di cui non si sarebbe mai stancata. Sì, poteva mettere da parte anche le bimbe per qualche ora. Sorrise inconsciamente verso la marea di gente che si era raggruppata davanti al palco, il pezzo già entrato nel vivo, e fu ancora più felice nel vedere come i ragazzi si guardassero tra loro, come se le incomprensioni di prima non ci fossero mai state e nessuno avesse mandato a quel paese qualcun'altro. Sapeva che il loro era un legame solido, seppur non lo dessero a vedere, ma il fatto che riuscissero ad intendersi anche solo con uno sguardo nascondeva una gran bella chimica. Adorava essere in quella band, per i componenti, per non doversi nascondere e per tutta l'energia che sprigionavano. Avevano cominciato col botto, senza dubbio. Indirizzò un occhiolino a Cain quando incontrò gli occhi verdi di lui, e il ragazzo rispose con una risata che in mezzo a tutto quel casino non si riusciva sicuramente a sentire. D'altra parte era difficile non lanciare un'occhiata fugace a Izar, dall'altra parte del palco, ma quando si unì al canto di Noel con il coro, quella era la scusa perfetta. Alzò lo sguardo su di lui, e vederlo più sereno di prima gli fece scappare un sorriso che si sbrigò a mascherare abbassando lo sguardo, concentrandosi una volta per tutte sull'esibizione. Basta distrazioni, anche se avercene una a pochi metri di distanza non aiutava. Il secondo ritornello fu seguito dall'assolo di chitarra, che Altayr attendeva fin da quando il bassista l'aveva sfidata nel ripostiglio. Sorrise quando fece scorrere il plettro sulle corde per le ultime note, alzando poi il braccio in un gesto liberatorio appena ebbe finito. Si guardò intorno, mentre il corpo fremeva per muoversi, saltare, carico di energia, quando la mancanza di una nota la fece voltare verso Izar, e sembrava essersene accorto anche lui. Scosse la testa in risposta, quando lui le chiese di far silenzio, e con la mano destra gli fece segno che ne avrebbero parlato dopo. Chi doveva stare attento alle bimbe? Il basso non superava in forza la batteria, ma era la colonna portante di una melodia, e i membri della band, per tutte le prove e le canzoni scritte insieme, sapevano a memoria anche lo spartito altrui. Il moro non l'avrebbe fatta franca. Il boato della folla sottostante le arrivò alle orecchie neanche fosse stato il piacevole canto di un uccellino. Nei pochi secondi di pausa tra un brano e l'altro, Altayr si avvicinò al bordo del palco e battendo un cinque ad un ragazzo che lo reclamava da due minuti buoni. Sorrise allo sconosciuto, come era suo solito, ma la ragazza si immobilizzò quando udì la voce di Noel al microfono, e la canzone non era ancora partita. Si girò di scatto, il cantante a guardare un punto preciso al di là del palco, e la giovane tentò di seguire il suo sguardo. Non riuscì a individuare a primo colpo ciò che aveva attirato l'attenzione del rosso, perciò tornò in posizione eretta e scoccò un'occhiataccia a Noel, perché ora i fan sembravano confusi quanto i ragazzi sullo stage. In pochi passi ritornò al suo posto, il plettro già posizionato sopra le corde per cominciare a suonare mentre la batteria di Cain scandiva le note iniziali del brano seguente. Alla prossima pausa si sarebbe dovuta assolutamente sistemare i capelli con un elastico, quel locale buio e poco arieggiato e il continuo movimento l'avrebbero condotta alla sua fine. Lost in Stereo era una delle sue canzoni preferite del gruppo, a dirla tutta, il che contrastava con il fatto che l'avesse scritta Izar. Parlava di una ragazza, un'altra ragazza, cosa che le piaceva ben poco, ma era fantastico suonarla. Mettendo da parte i dissapori - solo momentaneamente, perché ancora ricordava il tuffo al cuore la prima volta che l'aveva ascoltata - imbracciò la chitarra e sfregò il plettro contro le corde dello strumento, la canzone che subito cominciò con una scarica di adrenalina e le luci che quasi li accecavano. Noel si rese conto che toccava a lui quando fu troppo tardi, questione d'istanti, ma Izar riuscì a coprirlo magnificamente. Il rosso mise subito su uno dei suoi sorrisi smaglianti, di quelli in grado di confondere le donne, e ci riuscì benissimo. Altayr gli indirizzò un'occhiata scettica, come a volergli chiedere che diavolo stesse combinando, e vide chiaramente il cantante incrociare il suo sguardo per poi distoglierlo come niente fosse.
    - Non far finta di niente, si vede lontano un miglio che hai visto qualcosa - pensò tra sé e sé, guardando la folla nei pochi attimi di respiro che le erano concessi durante l'esecuzione. Più che qualcosa era qualcuno, anche se non riusciva a individuare il nuovo oggetto del desiderio del loro leader. « She's dancing alone, I'm ready to go, but she's so... » La voce graffiante di Noel fece crescere l'entusiasmo del pubblico, la canzone era ormai agli sgoccioli, e sapere a memoria quella canzone faceva quasi male. Numerose volte aveva tentato di indovinare l'identità della ragazza descritta nella canzone, ma immaginare Izar guardare qualcun'altra la mandava in bestia. « She's out of control, so beautiful » Lei è così bella, lo ripeteva centinaia di volte nel corso del brano. - Oh, e vattene a cagare -.

    • • •

    Non riusciva a distogliere lo sguardo, neanche quella ragazza fosse una vera e propria calamita. A volte ci riusciva, sorrideva a destra e manca e stringeva le mani della gente sotto il palco, ma poi tornava a concentrarsi su di lei, una testolina bionda in mezzo ad una folla a cui era ovvio non sentisse di appartenere. Seppur coperta da molte persone, era chiaro che non indossasse nulla che richiamasse ad una serata in un pub ad ascoltare una rock-band. La fanciulla senza nome sembrava il tipo che preferiva assistere ad un concerto di archi, fiati e percussioni, piuttosto che trovarsi in mezzo a tutto quel caos. Comprensibile, dato che lui un'esibizione di musica classica non sarebbe riuscita a sopportarla, cosa che invece era sicuramente più affine alla ragazza dagli occhi chiari e magnetici. Nel guardarla, quasi si dimenticò che la canzone era iniziata, e tornò coi piedi per terra solo dopo aver sentito la voce di Izar al microfono, afferrando il suo e riprendendo il controllo di sé stesso. Controllo era una parola grossa per Noel, che non poneva mai un freno al suo istinto. Contro la sua volontà, le iridi ametista viaggiavano sulla folla per soffermarsi qualche secondo in più sempre sullo stesso punto, dove stava la biondina, circondata da altre ragazze che tentavano di attirare l'attenzione e non facevano altro che urtarsi tra loro, anche se un tizio dai capelli chiarissimi cercava di farsi spazio come poteva. Ad esibirsi non era un quartetto d'archi, nei pub funzionava così, e la coppia di giovani in giacca e cravatta non era ci era abituata, era evidente. Sapeva che Lost in Stereo era stata scritta da Izar per la ragazza per cui aveva una cotta da secoli - non era stupido, e i due che suonavano alle sue spalle erano diventati imbarazzanti e gli occhi a forma di cuore non riuscivano proprio a nasconderli - eppure la cantò come se fosse stata effettivamente sua, come se stesse cantando per qualcuno. E quel qualcuno in mezzo alla folla era lei. Doveva beccarla alla fine del live, questione di priorità. Doveva sapere il suo nome, e avere la certezza di incontrarla di nuovo, e vederla da vicina. Perché se da lontano gli faceva quell'effetto, cazzo, era messo male. La batteria di Cain segnò la fine del pezzo, e il cantante si passò una mano tra i capelli, accorgendosi di star già sudando. Salutò un paio di ragazze sotto il palco poco prima di far segno di prepararsi per il terzo brano, nessuna pausa. Con la coda dell'occhio, vide Altayr imprecare mentre tentava di legarsi i capelli in una comoda coda di cavallo, ma la ragazza vi rinunciò non dopo avergli rivolto un vistoso dito medio e un insulto che non arrivò alle sue orecchie. Con le dita intorno all'asta del microfono, la voce di Noel venne subito seguita dalla chitarra dell'unica ragazza degli Elysian, poi si aggiunsero basso e batteria, preannunciando una melodia tutt'altro che soave e delicata. Sorrise quando vide i fan riconoscere all'istante la canzone, unendosi al canto in men che non si dica. Viveva per momenti del genere, e non vi aveva ancora fatto l'abitudine seppur avessero girato tutti i pub della regione per farsi un nome. Sul palco era spigliato e assolutamente a suo agio, ma ogni volta che le voci del pubblico sovrastavano la sua gli si attorcigliava lo stomaco. E la stessa sensazione era riuscito a provarla nell'incrociare un singolo sguardo, al diavolo, non erano solo i boati della gente ad emozionarlo in quel momento. Magari avrebbe fatto meglio a concentrarsi sulle parole della canzone invece di continuare a cercare la sconosciuta tra la folla, e gli sguardi indagatori dei suoi compagni non facevano altro che sottolinearlo. Anche loro avevano capito che c'era qualcosa che non andava, inevitabile. A The Reckless and the Brave, un inno al coraggio e all'audacia di prendere in mano la propria vita, seguirono altre canzoni, tutte segnate dalla sua voce graffiante e i suoni decisi degli strumenti, per non parlare della partecipazione del pubblico, non poteva chiedere dei fan migliori. In un momento di pausa prima del brano finale, Noel afferrò il bordo della maglietta scura che aveva addosso, tirandolo su fino ad asciugarsi la fronte sudata non curandosi minimamente di stare sopra ad un palco illuminato a giorno di fronte ad un sacco di gente. « Vado a prendere la chitarra » annunciò mentre Izar lo superò per dirigersi ai piedi dello stage, in mezzo alla folla, al contrario di Altayr che lo fermò con una spallata decisa. « Mi sei sembrato un po' perso » gli fece, e a Noel scappò un mezzo sorriso, « Se l'avessi vista avrebbe rapito anche te » sostenne, raggirandola per sgattaiolare dietro le quinte alla ricerca della sua chitarra acustica, con la quale avrebbe eseguito l'ultima canzone della serata. Dallo sguardo della castana, capì che lei non l'aveva notata tra la folla, ed era un peccato: non sapeva cosa si fosse persa, ma da una parte se era stato solamente lui a vederla si sentiva meglio. Che poi, cielo, come si poteva non accorgersi di lei, bella com'era? « Non partire subito Noel, non partire » si disse a bassa voce, ripetendo una frase che il fratello gli aveva ripetuto chissà quante volte nel corso degli anni. Sapeva di essere istintivo, di fra fin troppa retta alle sue emozioni invece di ragionarci su, ma era più forte di lui, dannazione. Al suo rientro sul palco, i fan lo accolsero con un ulteriore applauso, seguito poi da un sospiro da parte del pubblico femminile quando si sistemò sulla sedia al centro della scena. Il contrasto tra i pezzi suonati fino a qualche istante prima che istigavano alla rivoluzione, che parlavano di amori andati male, di ribellione e di impertinenza e il brano che doveva cantare fu immediato: le prime note furono gradevoli e dolci, così come la sua voce non fu né graffiante né audace come suo solito. Doveva cantare per la sua Wendy, in fondo. Una Wendy senza volto, scomparsa anni prima. « Wendy, run away with me, I know I sound crazy, don't you see what you do to me? » quella canzone non aveva più alcun significato particolare, e nel pronunciare il nome della ragazza in questione, ossia Wendy, non compariva più alcun volto. Era una bella canzone, ciò che cantava lo pensava davvero, ma quel pezzo apparteneva anche ad altre persone, ora, che riconoscevano la loro storia in quelle parole. Non era più una canzone per una ragazza, era una canzone per tante, molteplici storie. Non aveva troppo significato per lui, ma lo aveva per tante altre persone. « I wanna be your lost boy, your last chance, a better reality » fece l'enorme sbaglio di incontrare di nuovo lo sguardo della biondina, così diverso da quello della Wendy della canzone, che per un attimo dedicare una propria canzone ad una sconosciuta non gli sembrò un'idea così malvagia. Niente da fare, era partito. L'ultima strofa la cantò guardando solamente lei, sebbene avesse provato a non farlo, e le note finali vennero accolte con un boato improvviso. Noel si alzò, posando la chitarra in tutta fretta nel backstage, e distribuì saluti a chiunque fosse a portata di mano, preparandosi a scendere per fare qualche foto - in fondo gliele chiedevano sempre - e perché no, magari sarebbe riuscito a scoprire il nome della fanciulla dagli occhi splendenti. A dirla tutta, la folla un po' lo spaventava, e sentiva il bisogno di sedersi ancora un po': per la sua protesi tutto quel movimento non era il massimo, e la fatica cominciava a manifestarsi. Si sentì chiamare a gran voce da Cain - riusciva anche a superare gli schiamazzi delle ragazzine - e si voltò verso di lui appena ebbe finito di fare un autografo su una t-shirt. Accanto a lui vi era un ragazzo dalla chioma chiarissima, bianca, addirittura, e lo sguardo degno di chi stava per compiere un omicidio. Il batterista glielo mostrò neanche fosse merce al mercato, con un sorriso trionfale, e lo chiamò addirittura "principessa". La sua principessa. « Pensavo che l'alcol lo reggessi di più » lo apostrofò, facendo riferimento alla bottiglia di birra vuota al bordo del palco, che era certo che se la fosse bevuta lui. Sapeva che fosse miope, ma non credeva che avrebbe scambiato un maschio per una fanciulla. Si scusò velocemente con il malcapitato, e la sua attenzione passò ai gruppi sfegatati di ragazze che lo stavano circondando per chiedergli foto e firme, ovviamente strillando. Fece segno ad una di loro di passargli il telefono per il primo selfie, e nel ridarglielo non poté fare a meno di cercare tra la folla la testolina bionda che aveva fissato per tutto il concerto, senza però trovarla. Forse era andata via, e il pensiero lo rattristò un poco. Se si fosse dato una mossa avrebbe potuto rintracciarla finché rimaneva dentro il locale. Una delle giovani gli porse il braccio scoperto e un pennarello indelebile, e lui lo afferrò con un sorriso a mascherare la fretta. Doveva spicciarsi. « Qual'era dei due che continuavi a guardare? » Cain lo fece girare di nuovo per il suo tono di voce udibile a chilometri di distanza, e il leader spalancò gli occhi quando incontrò le iridi dorate che aveva rincorso per l'intera serata. Era lì. Impaurita, confusa, ma era lei, era lei. « Spero la bionda, perché questo qui lo voglio io » esclamò il rosso numero due, sorridendo in direzione dell'albino, mentre Noel stava ancora fissando la ragazza, impossibilitato a distogliere lo sguardo. « Tienitelo pure » fece di rimando, e una gomitata in mezzo alla schiena lo fece tornare con i piedi per terra. Giusto, le fan stavano ancora aspettando lì, cavolo. Quella era la prima e unica volta in cui desiderava che fossero meno numerose e appiccicose, perché di solito adorava passare del tempo con loro. « Datemi un cellulare, selfie di gruppo » tese la mano e prese il primo cellulare che gli capitò tra le dita, sollevandolo in alto e scattando una miriade di foto, uno dopo l'altra, a raffica. Muoversi, muoversi. Le liquidò con qualche parola di cortesia, promettendo che si sarebbe fermato dopo insieme a loro, e quando vide Altayr venire in suo aiuto si convinse che il karma lo amava davvero. Tirò un sospiro di sollievo quando vide che Cain era riuscito a non farsi sfuggire i due giovani - una in particolare - e sorrise subito in direzione della giovane. Da vicino era, letteralmente, una meraviglia. Era esile, la carnagione chiara come i capelli, prima legati in un'acconciatura ordinata, e gli occhi - oh Dio, gli occhi. Languidi, grandi, brillanti, di un magnifico oro che mai aveva visto. Il karma lo amava davvero. « Tutto a posto? Sembri spaventata » le fece, ed in un certo senso le dava ragione: il batterista degli Elysian non era il più delicato tra gli uomini, e quella sera c'era davvero un sacco di gente per i loro standard.
    « Non sei abituata a tutto 'sto caos, vero? » continuò sorridendo, guardandola negli occhi. Non riusciva a distogliere lo sguardo. Il nome, doveva chiederle il nome, assolutamente. E magari anche il numero di telefono. « Io sono Noel, e tu sei bellissima » gli scappò, senza neanche volerlo, ancora con la testa tra le nuvole, ma si ricompose subito prima che potesse combinare qualche disastro. Anzi, no, lo aveva già fatto, troppo tardi. « Volevo dire, tu sei? Come ti chiami? » disse subito, con il suo solito sorriso che, bene o male, riuscì a nascondere la figuraccia di poco prima. Oh, beh, non che prima avesse detto una bugia.

    • • •

    Era tutto più o meno fantastico fino a quando non si sentì trascinare via da Evelya: il concerto era stato grandioso - strano, per quel genere di musica - se non fosse stata per la folla che lo attorniava, una massa di ragazzine in calore - - Santo iddio - - e i bellinfusti che non facevano altro che spingerlo da ogni parte. E poi c'era il batterista. Non era sicuro che stesse guardando proprio lui in mezzo a tutte quelle persone urlanti, ma se lo stava facendo... Forse se lo stava immaginando. Fatto stava che la fine del live se l'era immaginata molto più tranquilla: dopo l'ultima canzone, Abel si era sentito afferrare per il braccio e trascinato con molta delicatezza - certo, come no - vicino al palco, e gli ci volle qualche istante per capire chi diavolo si fosse permesso. « Noel, la tua principessa è qui! » Abel sbatté le palpebre un paio di volte, per poi realizzare ciò che gli era appena stato detto. « Principessa chi, scusa? » ringhiò, pronto a sfogare la sua rabbia contro il pazzo di turno, girandosi di scatto per delineare il profilo del volto che aveva osservato da lontano fino a quel momento. Era uno scherzo. L'altro si voltò a sua volta, e fu sicuro che il cuore smise di battere per qualche secondo. Era una visione, le iridi smeraldine a inghiottirlo senza che lui potesse far nulla, e si trovava fin troppo vicino al suo petto nudo. Dalla distanza era tutta un'altra storia, non pensava che sarebbe finito tra le sue braccia prima che la serata potesse dirsi conclusa. Attorno a lui si levarono strilli e lamenti, ancora più forti di prima e fastidiosi, e Abel tentò subito di liberarsi mentre sul viso del rosso si faceva strada un'espressione di palese sorpresa, che si tramutò presto nel mezzo sorrisetto che gli aveva visto esibire fino a pochi istanti prima. « Cioè, un principe » si corresse, troppo tardi. Tutto quel casino e la vicinanza con l'affascinante batterista era fin troppo da sopportare, e in quel momento avrebbe voluto solo un attimo di pace. Gli stava andando in pappa il cervello, maledizione. « Lasciami andare » sibilò, cercando di sfuggire ancora alla presa ferrea del rosso, senza però riuscirci. Per tutta risposta, lui lo avvicinò ancora di più a sé, e l'attenzione di Abel ricadde inevitabilmente sull'enorme tatuaggio che gli ricopriva metà del busto. - Cazzo - si disse mentalmente, ripetendo quella parola come un mantra, mentre seguiva le linee intricate e scure dell'inchiostro. La voce profonda del batterista gli fece ricordare di voler scappare da lì al più presto - giusto, perché se ne era quasi dimenticato -, e l'albino indurì di riflesso lo sguardo. « Ti ho detto di... », « Da vicino sei anche meglio » lo interruppe, e sebbene non fosse davvero il tipo da farsi abbindolare con queste stronzate, il ragazzo lo osservò per qualche istante senza riuscire a dire nulla. Lo aveva davvero notato tra il pubblico. Non era stata una sua impressione. « Senti, bellinfusto » disse, perché non doveva perdere la sua credibilità. Che gli stava succedendo quella sera? Era tutta colpa di quel batterista da strapazzo e terribilmente attraente. Peccato lo avesse avvicinato in modo irruento, comportamento che non apprezzava affatto, e il suo presunto fan club stesse sbraitando per il disappunto alle sue spalle. « Voglio andarmene e non trovo più l'unica persona che conosco in questo dannato locale » per quanto quel tipo lo intrigasse, era davvero nervoso. Dov'era Evelya? Se non fossero tornati a casa in quell'esatto momento non voleva immaginare come le rispettive famiglie potessero reagire. Sua madre Sarah non era tanto intransigente quanto quella della sua amica, ma causare problemi ai loro genitori e ad Evelya era l'ultima cosa che voleva fare. « Quindi lasciami stare » Più facile a dirsi che a farsi, perché non era sicuro che lo stesse ascoltando, perché all'improvviso sembrò essere concentrato su qualcuno alle sue spalle. Abel non fece in tempo neppure a sbirciare per vedere di chi si trattasse o tentare un ultimo, disperato tentativo di liberarsi e fuggire da quel posto fin troppo caotico per i suoi gusti, che l'amica che aveva perso di vista pochi minuti fa lo affiancò, intimorita e rossa fino alla punta delle orecchie. Stava guardando l'altro tizio rosso, il cantante, di cui prima l'albino aveva ignorato le scuse. Il batterista parlò di nuovo, e stavolta fu davvero grato non guardasse verso di lui, perché era convinto che le guance si erano arrossate. Era sicuro di sé e sbruffone, ma non lo intimoriva, né avrebbe desiderato ucciderlo insieme alla massa di ragazzine incazzate lì dietro. Per il momento, preferiva solamente che gli levasse le mani di dosso, solo questo. E allontanarsi un po', perché la vicinanza, la voce profonda e il suo profumo lo stavano confondendo. Era un bel ragazzo, non c'era nulla da dire, e lui non era per niente affascinato, non era lui che non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi verdi che sembravano guardarlo dentro. Per niente. « Pensa a placare le bimbette qui dietro, invece di sequestrare persone a caso » sbuffò, il tono acido in netto contrasto con l'eccitazione che lo pervadeva per essere stato notato dal rosso. Succedeva sempre così, in fondo, era un maestro nel camuffare ciò che pensava. Chi lo conosceva da tempo, come Evie, poteva capire quando stava mentendo, ma agli sconosciuti appariva solo come un tizio scontroso e di poche ma taglienti parole. Dall'altra parte, il cantante era palesemente e completamente rapito dalla compagna, fatto che aveva notato anche durante il live, dato che i suoi occhi stavano sempre a cercarla tra la folla, per poi sostare su di lei qualche secondo in più. Non si era neppure degnato di nasconderlo. « Evie, bisogna andare » fece, posandole una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione, e nello stesso momento qualcuno gli strillò nelle orecchie e desiderò ardentemente di ripulire quel posto da cima a fondo, ma doveva avere pazienza. Sarebbero usciti. « Tua madre ti ha chiamato o mandato messaggi? » chiese, perché se lo aveva fatto era da preoccuparsi. Lui aveva lasciato il telefono in borsa, accanto al bancone all'ingresso, ma in caso di chiamate perse da parte di Sarah avrebbe sempre potuto richiamare. Parveen era ben più severa, e sia mai che avessero incontrato qualche compagno di scuola che avrebbe potuto riferire tutto ai piani alti. Non potevano rischiare così tanto per due bellocci. « Potresti lasciarmi... » si girò ancora verso il ragazzo che lo teneva prigioniero, per poi ricordarsi che era dannatamente vicino e le parole gli si bloccarono in gola. Cazzo, se era bello. « ... adesso? » riuscì a dirlo con un tono più risoluto di quel che immaginava, anche se il breve momento di silenzio tradiva un certo nervosismo. E come poteva non esserlo, con un orologio immaginario a battere i secondi, il caos che lo circondava e gli occhi verdi dell'altro a fissarlo?

    • • •

    Altayr, fino a quel momento, si era infilata in almeno una quindicina di selfie in tutto, e il motivo era molto semplice. Era una guastafeste, principalmente, ma le bimbe non facevano altro che dare baci sulla guancia a Izar mentre facevano le foto, gli si stringevano al petto, pretendevano che le abbracciasse, e non riusciva davvero a sopportarlo. Una foto andava bene, due anche, tre poteva passarci sopra. Arrivata a dieci, finiva anche la sua pazienza e la capacità di ignorare quello che stava succedendo. Essere innamorata di un bassista acclamato da molto pubblico femminile equivaleva a volersi fare del male. « Grazie per il sostegno! » esclamò, rivolgendosi ad una ragazza con fin troppo eyeliner e i nomi dei due rossi scritti su entrambe le braccia, mentre quello di Izar figurava in fronte. L'ennesima zoccoletta che si era strusciata sul petto del moro, cercando di baciarlo. « Aspetta, te ne manca uno » afferrò il pennarello di una tizia a caso, per poi porre la sua firma a caratteri cubitali sulla porzione di pelle che lo scollo della maglietta mostrava. Le bimbe mosse solo dai propri ormoni si dimenticavano apposta di lei, ma Altayr era sempre pronta a ricordare che c'era anche un quarto componente negli Elysian. « Grazie per il sostegno » ripeté volutamente sarcastica, voltandole le spalle e firmando la maglietta di un tipo dai capelli blu. Gli fece i complimenti per il colore, per poi notare lo schiamazzo vicino al palco, nei pressi di Noel e Cain. Stavano parlando con qualcuno, ma perché tanto casino? Il leader aveva un'espressione da ebete ineguagliabile - dove aveva il cellulare quando serviva? - e l'altro teneva tra le braccia due tipi che non conosceva, vestiti in maniera fin troppo formale per far parte dell'ambiente. Per quanto riuscì ad avvicinarsi, notò comunque quanto i due si sentissero fuori posto e scombussolati, e sicuramente la parlantina di Noel e gli sguardi provocanti di Cain non riuscivano a metterli a loro agio. Sbuffò, mettendosi in testa al gruppo e bloccando un gruppetto di ragazze partito all'attacco. « Fate un passo indietro, anche due, tre, quattro » gridò, facendo segno di allontanarsi, e incrociò per un secondo lo sguardo grato di Noel. Gli sorrise, ma solo perché non sapeva quante birre avrebbe chiesto in cambio. Sembrava piuttosto occupato con una dei due giovani, e ipotizzò che fosse quella per cui si era distratto per un'ora e qualcosa di live. Pregando che la sua pazienza potesse durare ancora un po' e non abbandonarla immediatamente per prendere a schiaffi qualcuno, la chitarrista annunciò che sarebbero tornati tra pochi secondi e di aspettarli, perché non aveva ancora capito cosa diamine stessero combinando quei due.

    La situazione non era delle più tragiche, ma i due sconosciuti non sembravano comunque passarsela bene: una sembrava stesse per scoppiare a piangere, l'altro era sull'orlo di una crisi di nervi. Tutti e due tipetti tranquilli, insomma. Da quel che aveva capito, Noel si era preso una sbandata per la biondina, così come Cain, e non si preoccupavano affatto di mascherarlo, senza domandarsi se la cosa avrebbe potuto mettere in imbarazzo i due giovani. « Sapevo foste stupidi, ma Cristo » imprecò, passandosi una mano sul viso, e incrociò lo sguardo senza speranza di Izar, fin troppo simile al suo. Sospirò, affiancando la fanciulla dagli occhi chiari e sorridendole. « Sono Altayr, piacere. Questi due non sanno cosa sia l'educazione, perdonateli », « Parla quella che è famosa per picchiare la gente quando le va » replicò Noel, e la castana si voltò verso di lui senza smettere di sorridere. « Se non ti cuci la bocca mi torna la voglia di fare a botte, e potrei prendere un tizio a caso per sfogarmi » fece, e il cantante gli fece la linguaccia per tutta risposta. Tornò a guardare la biondina, che rispondeva al nome di Evelya, e non poté fare a meno di studiarla: sembrava una bambola di porcellana, graziosa, fine, le labbra sottili e il corpo minuto, le iridi che splendevano come pietre preziose e i capelli biondi un po' fuori posto a incorniciarle il viso angelico. Tutt'altro tipo di ragazza, rispetto a quelle che si vedevano ai loro concerti, così diversa anche da lei. Noel aveva davvero buon gusto, non c'era che dire. L'altro era un concentrato di frustrazione e collera, ma non le sfuggì il leggero e perenno rossore sulle guance candide. Apprese che dovevano assolutamente andare via, e non aveva capito se dovevano farlo di nascosto o meno. Mentre Abel - non si era presentato, ma la biondina lo aveva chiamato così - continuava a combattere con il batterista, Noel e Altayr sospirarono all'uniscono, consci che farli uscire per l'ingresso principale sarebbe stata una follia, la gente era talmente tanta e il locale le racchiudeva a malapena. « La porta sul retro? » suggerì lui, e la ragazza si voltò di scatto verso il cantante degli Elysian. « Grande » sussurrò, perché davvero non era un'idea malvagia, se non l'unica. Fece segno ad Evelya di seguirla, quando il rosso numero uno la fermò trattenendola per un braccio. « Ti accompagno io! » esultò, e Altayr captò il messaggio. Alzò le mani, lasciando le due strane coppiette e dirigendosi verso Izar con gli angoli della bocca sollevati in un sorriso puramente ironico. « Dunque, com'erano i miei assoli? » domandò, piazzandosi di fronte al bassista con le braccia incrociate al petto,
    « Perché io avrei da ridire su qualche tuo pezzo » ridacchiò, rifilandogli una leggera gomitata, una scusa come un'altra per sentirlo un po' più vicino.

    • • •

    Il leader era letteralmente su di giri, e gli riusciva difficile tenere a freno la lingua. Aveva incontrato la ragazza, sul serio, e ora sapeva anche il suo nome. Evelya. E chi se lo dimenticava? Era comunque ovvio che appartenesse a tutt'altro mondo rispetto al suo, niente eccessi, niente sgarri. La sua nemesi. « Spero ti sia piaciuto il concerto stasera » disse, passandosi una mano tra i capelli e aprendo la porta, l'aria fresca della sera a investirli. Il ragazzo prese un respiro profondo, perché starsene al chiuso e al buio in un locale poco arieggiato era davvero infattibile. « Vieni a vederci quando vuoi, ci esibiamo spesso qua » Traduzione: "spero davvero di vederti il più presto possibile", perché lasciarla andare per non vederla più... No, voleva andare via con la sua Wendy.

    « Altayr » || « Noel » || « Abel »
    ‹ altayr c. windstorm (19) / noel h. moore (21) / abel c. gytrash (18) ›

    ☆ code by ruru ☆ noel's render done by bae



    Edited by altäir - 31/3/2017, 17:53
  13. .
    Altayr • Noel • Abel ›
    I don't care about what you did, only care about what we do
    L
    e piaceva, la primavera. Il sole non troppo forte, il venticello leggero ad accarezzarle il viso, i fiori dai mille colori che riempivano i balconi delle case e il negozio di sua madre, uno spettacolo per gli occhi. La primavera era rinascita dopo il freddo dell'inverno, che a dirla tutta sopportava ben poco. Lei era per i pomeriggi spesi a bighellonare per strada, lunghe passeggiate e pelle baciata dal sole. L'unica cosa che non cambiava, di stagione in stagione, era Izar, sempre accanto a lei, che camminassero fianco a fianco in primavera o si rintanassero in qualche negozio alla ricerca di un po' di calduccio in inverno. Era sempre lì. Le piaceva la primavera, il sole, il vento, i fiori, tutto quanto, ma Izar le superava tutte di gran lunga. Con lui era sempre primavera. Aveva passato l'intero pomeriggio in sua compagnia, quando in partenza si sarebbe dovuto trattare solo di un salto al fast food e una corsa in autobus per arrivare al Black Dog, il pub in cui avrebbero dovuto suonare. Il tutto si era invece trasformato in ore e ore di risate e battutine di scherno, come erano soliti fare a scuola, alle prove, ai concerti, in negozio. Ovunque. I due arrivarono al pub giusto un po' in ritardo, e a qualche passo dalla porta immaginò l'espressione che Noel avrebbe fatto quando li avrebbe visti arrivare. Erano abituati ai rimproveri, dato che temporeggiavano spesso prima di presentarsi alle prove. La ragazza non avrebbe saputo dire se fossero casualità o meno, ma da parte sua ci si metteva d'impegno per passare più tempo con lui. Altayr fece per sfilare le mani dalle tasche per aprire la porta, ma il bassista degli Elysian fu così gentile da farlo al posto suo. Gli sorrise appena in un silenzioso ringraziamento prima di mettere piede nel locale, grande abbastanza da ospitare ben più gente di quella che solitamente si presentava ai loro live. Accanto all'ingresso vi era il bancone, con qualche barman che aveva già iniziato il turno, qualche tavolino e uno spazio immenso che quella sera avrebbero occupato lei e i suoi compagni. I pub erano sempre luoghi poco illuminati - l'atmosfera che donavano era perfetta - e notò che sul palco era già presente la batteria e il microfono, insieme alle casse e alle luci sullo sfondo ancora spente. Dallo stage, i suoi occhi passarono alle persone che già si erano appostate lì davanti, peggio degli avvoltoi. Le bimbe, come le chiamavano loro, erano sempre le prime ad arrivare. In un certo senso avrebbero dovuto essere grati di averle dalla loro parte, in fondo i fan portavano al successo, ma quelle ragazzine erano insopportabili, con il loro commercio segreto di foto e notizie - che schifo - e le critiche che muovevano verso di lei perché "una band solo maschile sarebbe stata meglio". Invidiose. Le avrebbe sopportate ancora per poco, in vari ambiti era rinomata per la poca pazienza di cui era dotata. « Non ci credo, sono già qui » brontolò a bassa voce, certa che Izar potesse sentirlo, per poi notare che non vi fossero solo le bimbe, per fortuna. Qualche ragazzo incuriosito si era avvicinato al palco, e notò di come indossassero magliette con i loghi di diverse band che piacevano da matti anche a lei. Gente sana di mente, alleluia. La chitarrista riportò l'attenzione di fronte a sé, giusto in tempo per notare dei tizi venire loro incontro. Altayr indurì lo sguardo d'istinto, chiudendo a pugno le mani nascoste nelle tasche che aveva cucito nella gonna della divisa scolastica. Prima che lei o gli sconosciuti potessero fare qualsiasi mossa - quel sorrisetto che mostravano non le piaceva affatto -, il ragazzo accanto a lei le mise un braccio attorno alle spalle, e lei dovette mordersi il labbro per non urlare di gioia. Non doveva arrossire in una situazione del genere, che figura ci avrebbe fatto? Annuì al lamentarsi di lui, dandogli ragione, per poi scoccare un'occhiata per nulla rassicurante ai tizi che si erano lasciati dietro. Se la sarebbe potuta cavare da sola, lo sapeva, ma avere Izar al suo fianco era rassicurante, come se davvero non potesse succederle nulla, seppur lei sapesse il fatto suo. Alzò lo sguardo verso l'alto senza farsi notare, sorridendo sotto i baffi senza ringraziarlo, convinta che lui avesse comunque avesse ben inteso il suo momentaneo silenzio. « Noel sarà occupato a inondarci di telefonate, in questo momento » rise, perché sapeva quanto ci tenesse il cantante degli Elysion a fare qualche prova prima di un concerto. Al contrario, non ci teneva troppo a prendere in mano il cellulare per vedere quante chiamate perse da parte del leader ci fossero. L'aveva infilato in una tasca della cartella e tolto la suoneria per un motivo, in fin dei conti. Si recarono a passo svelto nel backstage, che si rivelò essere uno stanzino dove già due persone stavano strette, figurarsi quattro. « 'Sera » salutò lei pigramente, e come risposta ottenne solo il silenzio, e alzando lo sguardo capì il perché: Noel stava puntando a loro due, le iridi che letteralmente bruciavano dall'irritazione. « Questa non ve la faccio passare, mocciosetti » ringhiò lui, e le arrivò all'orecchio anche la risatina di Cain, il batterista, che se ne stava appoggiato al muro alle spalle del leader. « Che vuoi? Abbiamo fatto in tempo, no? » Izar scattò subito sulla difensiva, come c'era da aspettarsi: lui e Noel erano peggio di cane e gatto, come facessero a stare nella stessa stanza per più di dieci minuti era un mistero, chissà com'era possibile farli addirittura esibire sul palco per almeno un paio d'ore. « Ha ragione » intervenne lei in suo sostegno, perché andiamo, si erano distrutti di prove. E lei voleva passare del tempo con Izar, più ci stava insieme meglio era. Solo che questo nessuno doveva saperlo. Intanto, il leader avanzò verso di loro, gli scarponi a battere rumorosamente sul legno del pavimento, le labbra serrate e lo sguardo duro. A vederlo così, nessuno avrebbe detto che passava il suo tempo libero a guardare video di cagnolini su Facebook, o che fosse un diligente studente di medicina. « E la prossima scusa quale sarà? Vi abbiamo degnati della nostra presenza, siatene grati? » sbottò il rosso, senza preoccuparsi di abbassare i toni. I due si guardarono negli occhi per diversi secondi, Altayr a fare da divisorio, quando si intromise Cain con una delle sue battutine che fece scaldare all'istante le guance dell'unica ragazza del gruppo. Lei abbassò lo sguardo, non sapendo dove altro focalizzare l'attenzione. E' vero, il braccio di Izar le aveva circondato le spalle fino a quel momento, e dovette trattenersi dall'afferrargli subito la mano per rimetterla dov'era quando il moro la tolse, fulmineo. L'incontro non poteva non cominciare senza una bella figuraccia, le pareva logico. « Il ripostiglio molto intimo potresti usarlo tu, magari ci ritrovi la maglietta » fece di rimando, un mezzo sorriso ad attraversargli le labbra, sperando con tutto il cuore che il rossore se ne fosse andato. Arrossiva ad una velocità e con una facilità impressionanti, in contrasto con il suo orgoglio inattaccabile e il carattere battagliero. Bella merda, già. Dalle labbra di Izar uscì un'espressione poco carina prima che si voltasse per andare a cambiarsi proprio nel ripostiglio suggerito da Cain, e la chitarrista annuì con fare grave e teatrale per rimarcare e appoggiare pienamente il concetto. Subito dopo, gli rivolse un dito medio caldamente meritato, in contrasto col sorriso angelico che indossava in quel momento, e seguì a ruota il bassista nello sgabuzzino che all'occorrenza poteva diventare un ottimo spogliatoio. L'unico, a dire la verità. Altayr chiuse la porta, sistemandosi dalla parte opposta a quella del ragazzo e buttando in un angolo la cartella, che nei giorni dei live riempiva di vestiti e cosmetici invece che di libri scolastici. Nel momento in cui si tolse la divisa scolastica - composta da maglioncino scuro, camicia e gonna a quadri - la ragazza tirò un sospiro di sollievo, scoprendo il corpo decorato da evidenti tatuaggi. A scuola non poteva mostrarli, così sia lei che Izar dovevano andare a scuola con il cardigan addosso anche nei periodi più caldi, e tutto ciò equivaleva ad un suicidio. In teoria anche i piercing erano vietati, ma per fortuna le ciocche più lunghe dei capelli coprivano l'infinità di orecchini che aveva ai lobi. Su quel palco sentiva di essere sé stessa, senza doversi nascondere, nessuno che la criticasse perché aveva già cinque tatuaggi alla sua giovane età. Tolse dalla borsa un top scuro e dei jeans strappati e stretti, anch'essi neri, e si impegnò nel non sbirciare alle sue spalle in direzione del ragazzo, sperando che lo stesso stesse facendo lui. Oh, beh, anche se fosse la luce della lampadina faceva davvero cagare, era impossibile vedere più di un palmo dal proprio naso, confidava in lei. Era da anni che si cambiavano nella stessa stanza, eppure solo da qualche mese sentiva le farfalle nello stomaco nel farlo. Accese la torcia del telefono per riuscire a trovare l'eyeliner e l'unico specchietto che possedeva nella cartella, e quando riuscì nell'impresa il sacro rituale della perfetta eyeliner wing ebbe inizio. « C'è più gente del solito » fece Izar, rompendo il silenzio, e la ragazza gli rispose quando ebbe finito il primo occhio. « Pensa se riuscissimo a riempire tutto lo spazio disponibile » disse, come se si trattasse di un sogno irrealizzabile, « una figata » aggiunse sottovoce, continuando a truccarsi: il secondo occhio era sempre più difficile, perché doveva venire identico al primo. A sentir nominare le bimbe, fu certa di aver fatto tremare lievemente la mano, ma a guardarsi allo specchio non le sembrò aver combinato alcun disastro. Il moro si divertiva come un matto a parlarne in sua presenza, sapendo quanto le dessero fastidio. Ma doveva sopportarle, per la loro scalata verso il successo, come amava dire Noel: più facile a dirsi che a farsi. « Stai attento tu, piuttosto » ghignò, avvitando l'eyeliner e buttandolo nella cartella con noncuranza, voltandosi finalmente verso il ragazzo, interamente vestito, ed esibendo un sorrisetto spavaldo. Si avvicinò a lui, i tacchi degli stivaletti che indossava a battere sul parquet fatiscente. « Non sono io che mi dimentico le note per strada » il tono di voce che utilizzò era intenzionalmente serio, ma sul finale le scappò una risatina appena sommessa, che si sbrigò a nascondere con una linguaccia. Tra loro funzionava così, frecciatine, sfide e risate. Che poi lei lo facesse con un intento che andava oltre la semplice amicizia era un'altra storia. Altayr uscì prima del ragazzo dall'improvvisato spogliatoio, lanciandogli un'ultima occhiata nella poca luce dello stanzino, per poi tornare nel backstage dove Noel stava ancora imprecando sottovoce, mentre Cain stava seriamente valutando di presentarsi a petto nudo. « Buon Dio, non siamo in uno strip club! » contestò Izar, e lei se la rise, incrociando le braccia al petto. Se lo poteva permettere, doveva riconoscerlo: Cain era un tipo muscoloso, nulla da dire, e aveva la parte destra del petto totalmente inchiostrata, un vistoso tatuaggio scuro a contrastare con il colore chiaro della pelle. Ci aveva messo un sacco ad ultimarlo, ma ne era valsa decisamente la pena. « Sei proprio un esibizionista, Skriker » gli disse lei, ormai abituata alla vista dei suoi muscoli. Li metteva in mostra ogni volta che ne aveva l'occasione, in fin dei conti. Spostò lo sguardo su Izar quando il rosso gli fece toccare gli addominali, unendosi alla risata di quest'ultimo quando il bassista si allontanò più veloce di un lampo. Gli occhi verdi di lei si persero nei tratti intricati dei tatuaggi che aveva sulle braccia, che aveva rimirato tante volte, nascosti di norma sotto la divisa, per poi risalire al collo, la mascella, le labbra, gli occhi. Diamine, era bello sul serio, e diamine, era impossibile non notarlo. La fetta di fan che anche lui era riuscito ad ottenere ne erano la prova, per non parlare di alcune ragazze che gli facevano il filo a scuola o le clienti che passavano dal negozio solo per salutarlo. Non poter alzare la voce per mettere in chiaro che Izar non dovevano neppure azzardarsi a toccarlo era davvero una tortura. Da parte sua, si limitava a sguardi provocatori, minacce silenziose e mani serrate a pugno nascoste nelle maniche del maglione. Non poteva far altro che desiderarlo da lontano e perdersi nelle sue iridi chiare, che sempre le facevano perdere un battito. Il batterista si avvicinò anche a lei, proponendole di toccare i suoi muscoli, facendole distogliere lo sguardo da Izar. « Vivo anche senza provare un'esperienza simile » gli fece, tenendolo a distanza con un sorriso fintamente esasperato, e subito tra di loro intervenne Noel. « Rosso numero due, piantala, i tuoi muscoli possiamo tranquillamente ammirarli da lontano » esclamò il rosso numero uno, come lui stesso soleva appellarsi, e sapeva tanto di sarcasmo velato, come a dire "certo che li vediamo, sei un maledetto pompato". La verità era che Noel non aveva chissà quanti muscoli, e l'invidia la sapeva nascondere male sotto forma di commenti non richiesti. « Mi hai detto di attirare l'attenzione, cos'altro devo fare? Mettermi in mutande? » intervenne Cain con un tono tra il divertito e l'imbronciato, e Altayr sollevò spontaneamente un sopracciglio. « Vuoi dire che non è stata una sua iniziativa? » domandò, mentre Noel sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. « E' stata una sua iniziativa! », « Peccato che stasera non ho quelle in pizzo », « Hai delle mutande in pizzo?! », « Ehi, non farmi immaginare cose strane, che poi vomito » i quattro se ne stavano in cerchio, l'uno ad urlare contro l'altro, in una conversazione che aveva quasi del ridicolo. Da parte sua, Altayr sperava vivamente che Cain stesse scherzando, perché il più delle volte non lo faceva anche se era bravo a farlo sembrare. « Se si spoglia la chitarrista facciamo sold-out, altroché » La ragazza incrociò lo sguardo del rosso, palesemente ammiccante, e lo fissò per qualche istante quasi sdegnata, per poi soffocare una risatina. « Premettendo che Madre Natura è stata clemente con me, non vorrei abbassarmi ai tuoi livelli » replicò con un mezzo sorrisetto, quando la voce di Izar sovrastò quelle di entrambi, e sentì le farfalle cominciare a volare nello stomaco. Brutto segno. Riuscì in parte a coprire l'imbarazzo improvviso - perché, poi? - con un sorriso gentile che avrebbe voluto rivolgere a Izar, ma che invece indirizzò al pavimento. Era certa che Cain l'avesse vista, e anche quello la metteva in agitazione. Rialzò il viso quando udì i passi del moro accanto a lei, mentre usciva allo scoperto sul palco per collegare gli strumenti agli amplificatori. Lo guardò allontanarsi, la schiena scura sparire dietro i pannelli dietro ai cui stava il pubblico che li attendeva da un po'. Sospirò, sgranchendosi le dita, mentre Cain fece segno al leader di darsi una mossa. « Vado a sistemare le luci » annunciò quello, un tremolio di eccitazione nella voce, « Non ti emozionare troppo » lo rimproverò amichevolmente, e quando lo guardò negli occhi li vide scintillare, letteralmente. Quelli erano gli occhi di un uomo che amava fare il suo lavoro, con tutto il cuore, e che avrebbe messo tutto sé stesso in ogni performance, in ogni prova, in ogni nota. « Non sono emozionato » rispose col sorriso sulle labbra, e Altayr rise tra sé e sé, mollandogli poi una sonora pacca sulla spalla come incoraggiamento. Gli Elysian erano pronti ormai, e prima di salire sul palco fece un respiro profondo, mentre stringeva le dita attorno al manico della sua adorata chitarra. Sentiva l'adrenalina pomparle nelle vene, un'eccitazione fuori dal comune dominarla, perché la loro musica era esattamente questo. Quando uscì dal backstage dedicò alla folla un saluto frettoloso, collegando subito la chitarra all'amplificatore, e avvicinandosi poi a Izar per accordare gli strumenti. « Tira la corda del La » gli indicò, controllandosi per non sporgersi verso di lui. Non doveva osare così tanto, per lei, per lui e per il pubblico di fronte a loro. E se non voleva rischiare un infarto entro fine serata, sì, doveva starci attenta. Si allontanò dal bassista mentre Cain faceva la sua entrata trionfale, accompagnato da fischi di approvazione e boati. La fanciulla sfilò dalla tasca dei pantaloni il plettro, per poi suonare qualche nota casuale, giusto per controllare, ancora una volta, che fosse tutto a posto. Quello, per il loro standard, era un locale gigantesco. Dovevano mettercela tutta per riempirlo interamente, e non poteva di certo farlo mentre continuava a farsi distrarre da Izar. Ogni cazzo di assolo avrebbe fatto rabbrividire l'intera platea, lo promise a sé stessa, pronta a cominciare quando Noel si impossessò del microfono.

    • • •

    Abel era un tipo prettamente casalingo: scuola, casa, scuola, casa. La sua routine era sempre stata questa nel corso degli anni, e ultimamente si stavano aggiungendo fin troppe cene fuori casa. L'insegnante che seguiva il trio composto da lui, Evelya e Raphael li faceva rimanere a provare fino a tardi, e lui ne aveva esplicitamente le scatole piene. Voleva tornare a casa, rifugiarsi in camera sua nel rassicurante silenzio in cui riusciva a trovare conforto e a crogiolarsi nella rassicurante logica dei libri che leggeva e di cui la sua stanza era strapiena. Non ne voleva sapere di esibizioni, di concerti, perché Azarel - il professore - era riuscito a fargli passare la voglia. Quegli ultimi mesi erano stato un inferno. « Abel, è questo qui! » l'albino sentì gridare Evelya diversi metri davanti a lui, e la raggiunse tenendo la schiena gobba e le mani in tasca in un atteggiamento palesemente arrendevole e irritato a livelli mai visti. Almeno avevano trovato quello stramaledetto pub, in cui il fratello della cantante li aveva invitati per mettere qualcosa sotto i denti almeno a cena. I due entrarono, e fu come scoprire l'esistenza di un universo parallelo al loro. Abel ed Evelya, con le loro uniformi scolastiche scure e raffinate, stonavano tra quella marea di gente chiassosa e ricoperta di tatuaggi, e il ragazzo non volle nemmeno saperne di ambientarsi. Mugolò un "andiamo via" che l'altra non udì, e si rassegnò a seguirla verso un tavolo libero che il fratello di lei indicò loro. Erano tutti biondi in famiglia, da quanto sapeva, e non fu difficile riconoscerlo. Sembrava possedere un'aura angelica non indifferente, come se non appartenesse a quel posto neanche lontanamente. « Vedrai che si mangia bene. Mi dispiace solo aver scelto la serata dei live » fece lei mentre si sedeva, e Abel strisciò rumorosamente la sedia sul pavimento.
    « Odio tutto 'sto casino » disse, sostenendo la tempia con l'indice e il medio, il gomito appoggiato sulla superficie lucida del tavolino. Il ragazzo non aveva mai smesso di studiare quel luogo e la gente che vi era rifugiata, come se stesse cercando un appiglio, uno qualsiasi, per sfuggire a quel chiasso infernale. La sua unica speranza era Evelya, peccato che sembrava volesse rimanere, al contrario suo. Che fregatura. Il tempo di un panino e via, libertà. Abel sospirò sonoramente, leggendo le scritte sulle maglie di alcuni ragazzi che recitavano Elysian. Era una pubblicità? Una serie tv? Non l'aveva mai sentito nominare. Alzò lo sguardo per guardare in fondo al pub, dove troneggiava un palco illuminato e un sacco di gente piantata lì davanti. Poi, la biondina che aveva di fronte a sé aveva nominato un concerto... forse era un cantante, o una band. Ancora peggio di quel che immaginava: ecco spiegata la causa di tutta quella marea di persone. « Giornata sfortunata » sbuffò, in attesa del fratello di Evelya per ordinare una cena veloce. Era da quella mattina che non toccava cibo, ma a dirla tutta non aveva molta fame. Solo tanta fretta. Quello scellerato di Azarel non aveva fatto altro che bacchettarli in privato, facendoli rimanere più del previsto a scuola per esercitarsi in vista di un concerto importante, ma fosse stato per lui avrebbe volentieri presto il violino di Raphael per fargli volare qualche dente, e rompergli i brutti occhialetti dietro cui si nascondevano le iridi azzurrissime e severe. Che poi, per di più, passare del tempo insieme a Raphael non gli migliorava affatto l'umore: era da mesi che si trovavano in un periodo burrascoso, e vederlo per dodici ore al giorno non era molto piacevole. All'arrivo del fratello della ragazza cominciarono a prendere le ordinazioni, ma lui aveva lo sguardo perso nel vuoto, e sembrava stesse guardando proprio il palco illuminato di fronte a loro. « Conosci il gruppo? » gli chiese lei, una domanda fin troppo innocente per ricevere una risposta imbarazzata. Lui se ne andò - non aveva ancora capito come si chiamava, d'altronde - e i due giovani si scambiarono un'occhiata alquanto confusa. A detta sua era una reazione... forse esagerata, ecco, un po' strana, ma Evelya lo conosceva molto meglio di lui, e non se la sentiva di giudicare. Accantonò la questione "fratello strambo", coprendosi il viso con un gesto esasperato quando la folla cominciò ad urlare. Oh, diamine, non potevano aspettare che se andasse? Fischi e urla arrivarono fino alle sue orecchie, e si ritrovò ad implorare pietà silenziosamente, gli occhi chiusi e i pugni stretti. « Li ammazzo tutti » sibilò, spazientito, sollevando una sola palpebra per vedere cosa stesse succedendo intorno a lui, cosa tanto esaltava la gente. Sul palco era uscito un ragazzo dai capelli scuri che imbracciava un basso, e a ruota lo seguì una fanciulla dai capelli scuri, entrambi tatuati e vestiti di nero. Era tutt'altro mondo rispetto al loro, musicisti classici, non era adatto a lui, affatto. Le urla si fecero più sentite quando un terzo figuro apparve alle spalle degli altri due, salutando tutti molto sentitamente, e Abel si tirò un po' su con la schiena per capire che diamine avesse addosso. Niente. Non indossava nessuna maglietta. Di cosa si facevano i componenti di una band prima di un concerto, per convincersi ad uscire mezzi nudi? « Indecente » commentò, non rimettendosi però curvo con il busto, come stava poco prima. C'era da ammettere che era una bella visione, il ragazzo alla batteria, e di andare in giro a torso nudo poteva benissimo permetterselo. Aveva i capelli rossi, un po' spettinati, ma da così lontano non riusciva a distinguere nient'altro, a parte il tatuaggio enorme sulla parte destra del corpo. Sospirò profondamente, passandosi con nonchalance una mano sulla guancia. Okay, non era calda, aveva tutto sotto controllo. Tutto sotto controllo. E allora perché non riusciva a distogliere lo sguardo da quel tipo? Forse perché era bello un bel po', già, e tutta l'energia che sprigionava - riusciva a vederlo sorridere perfino da lì - gli aveva fatto dimenticare di star aspettando la sua cena. Strinse le palpebre, tornando sulla terra tutto d'un tratto, e guardò di sottecchi Evelya, anche lei rapita dai ragazzi in nero come l'albino poco prima. Sobbalzò sulla sedia quando tutte le ragazze presenti iniziarono ad urlare, come se le grida fino a quel momento non avessero raggiunto il massimo. Si voltò di scatto, quasi ringhiando, per vedere chi, stavolta, aveva provocato un simile crescendo: un ragazzo, sempre dai capelli rossi, che si diresse davanti a tutti, al centro del palco, anche lui sorridendo a destra e manca. Indossava una maglietta scura, un po' scolorita, e aveva arrotolato le maniche fino a mostrare le spalle, esibendo il braccio destro completamente tatuato, mentre il sinistro, evidentemente, era ancora in fase di lavorazione. Il suo sguardo si mosse, senza volere, di nuovo sul batterista, che impugnava le bacchette, facendole roteare tra le dita e pronto a cominciare. Non pensava di poter interessarsi ad altro oltre alla musica classica, ma era improvvisamente curioso di vedere cosa fossero capaci di fare. A distrarlo fu l'arrivo della cena, e anche la biondina sembrò cadere dalle nuvole. Non ringraziò, rimanendo in silenzio, e impegnandosi nel non alzare gli occhi, perché tanto sapeva che sarebbero tornati su di lui. Diede qualche morso all'hamburger che aveva ordinato, mentre gli strumenti cominciavano a suonare. Gli dedicò solo un'occhiata, solamente una, ma bastò a fargli perdere l'interesse sul cibo che aveva davanti a sé. La voce del cantante non era male, la musica non era il suo genere, ma doveva riconoscere che non erano male. Il pop-punk era troppo rumore, confusione, non faceva per lui. Tuttavia, le sue orecchie sanguinavano più per le grida dei ragazzi che per la musica in sé e per sé, mentre le iridi chiarissime di Abel erano ancora puntate sul rosso sullo sfondo. Per l'ennesima volta da quando aveva messo piede al Black Dog, l'albino sospirò, mettendo in bocca un altro pezzo di carne che poco gli andava. « Se ti vuoi avvicinare ti accompagno » disse tutto d'un tratto - o meglio, gridò - in direzione di Evelya, consapevole che quello fosse un desiderio strettamente personale ed egoista. Doveva trovare un pretesto per mascherarlo, tutto qua. Sperava solo che la fanciulla avesse voluto farlo sul serio, altrimenti addio ad ogni possibilità di vederlo da più vicino. « Finisci dopo di mangiare » alzò lo sguardo al soffitto, alzandosi dalla sedia controvoglia, ben mascherando la curiosità che nutriva verso quel gruppo - e un membro in particolare. Prese poi Evie per il braccio, per evitare di perdersela tra la folla, riuscendo a guadagnarsi uno spazietto in mezzo a tutte quelle persone, seppur rimanessero tra le ultime file, ma si vedeva bene. Lì il baccano era ancora peggio, ma era ad un live di una rock band o quel che era e lui aveva deciso di sua iniziativa di alzarsi e fare finta di essere un fan sfegatato, non poteva lamentarsi - anche se comunque si riservava il diritto di farlo, perché tra tutto quel casino non lo avrebbe sentito nessuno in ogni caso. « Ma chi me l'ha fatto fare? » gridò, mentre un tizio lo spintonava, ma la risposta era semplice: lui stesso. Idiota. Eppure, quando incontrò gli occhi verdi del batterista dai capelli rossi gli sembrò che ne fosse valsa decisamente la pena. Rimase inchiodato ai movimenti di lui per quel che gli sembrarono ore, quando invece si trattava di poco più di due minuti, il tempo di far finire la canzone. Era... bello, sul serio, cazzo. No. Il pubblico esplose in un boato, e Abel desiderò ardentemente di possedere abbastanza muscoli da dare un pugno a tutti, uno per uno, anche se quella situazione era prettamente colpa sua. « Che te ne pare? » chiese a Evie col solito tono scorbutico, avvicinandosi in modo da riuscire a sentire cosa stesse dicendo. Perché, ecco, a lui forse il pop-punk cominciava ad interessare. « Ah, e il tizio rosso sembra stia guardando noi » no, non il suo rosso, l'altro. E ci rimase un po' male, a dirla tutta, tanto che distolse subito lo sguardo.

    • • •

    Nell'impugnare il microfono, nel vedere come tutti stessero aspettando lui, calcando il palco, a Noel parve di essere a casa, di essere nato per dare spettacolo. Salutò i fan con un sorriso smagliante e un giro di highfives alla prima fila, per poi indietreggiare per cercare gli occhi verdi di Altayr. I due si scambiarono un'occhiata complice, e vide la ragazza impugnare la chitarra, pronta a partire con la prima canzone della scaletta. Avrebbero iniziato col botto, e infatti la gente riconobbe la canzone fin dai primi accordi. Sorrise tra sé e sé, e sentì le arrabbiature e il nervosismo di poco fa scomparire, lasciando spazio a pura e semplice adrenalina. Si inumidì le labbra prima di iniziare a cantare, e in quel momento si sentì vivo, una fiamma ardente, semplicemente sé stesso. Era quello il suo mondo, e vedere come un sacco di gente fosse venuta ad assistere gli riscaldò il cuore, letteralmente. Fu in un momento di stacco, tra una canzone e l'altra, che notò un paio di testoline chiare tra la folla, due che non sembravano appartenere a quel mondo fatto di inchiostro e musica ad altissimo volume. Un ragazzo dai capelli bianchi -tinta, forse? Ammirevole -, che appena si accorse di lui guardò subito da un'altra parte, e una fanciulla, dalle incredibili iridi dorate. Era la prima volta che ne vedeva di così splendenti, e non stava scherzando. « Wow » mormorò vicino al microfono, e questa sua disattenzione comportò l'essere sentito dall'intera platea. Altayr lo fece tornare coi piedi per terra con una gomitata, e lui annuì in risposta, aspettando la batteria per cominciare a cantare la seconda canzone che, tra parentesi, aveva scritto Izar. E lui la considerava un gran bel pezzo, niente male per quella testolina calda. E niente male neanche lo sguardo dolce di quella ragazza tra il pubblico, che continuava a cercare, e ogni volta che lo trovava era costretto ad abbandonarlo, per non dare troppo nell'occhio. Ma era così bella, era la prima volta che veniva ad un loro concerto, altrimenti l'avrebbe riconosciuta immediatamente.

    « Altayr » || « Noel » || « Abel »
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    Edited by altäir - 6/3/2017, 16:18
  14. .


    La voce flebile e arrendevole di Evelya gli arrivò all'orecchio come se fosse lontana chilometri, come se fosse già partita, quando invece la stringeva tra le braccia. Era lì, e finché l'avrebbe stretta non sarebbe scappata. Il ragazzo prese un profondo respiro, aveva davvero bisogno d'aria, e scosse la testa alla domanda dell'Angelo, mordendosi la lingua. Si stava lentamente rendendo conto di ciò che aveva appena detto, e fu come se il mondo gli crollasse addosso, ancora più pesante di prima. Che aveva fatto? Evelya se ne sarebbe andata - no, no, non poteva andarsene -, e se non lo avesse corrisposto sarebbe andato tutto in malora. Magari era troppo presto, e lui troppo espansivo, e la situazione troppo drammatica. Era tutto quanto troppo. Non voleva rendere tutto più difficile, ma diamine, neanche lui si spiegava come non fosse riuscito a cucirsi la sua stramaledetta bocca. Ah, giusto, non lo faceva mai. E ovviamente non si era reso conto che potesse essere il momento sbagliato per confessarle i suoi sentimenti, certo che no. Evelya non rispondeva, e il rosso non poté far altro che stringerla più forte a sé. Non poteva accettare che tutto questo presto gli sarebbe stato negato, non poteva partire davvero. Non per compiacere qualcun'altro, doveva pensare anche a sé stessa. A Nimit era felice, aveva costruito la sua vita, perché proprio doveva finire tutto? Gli parve di sentirla piangere, e fece risalire una mano fino alla sua nuca, le dita ad intrecciarsi coi capelli chiari di lei. L'aveva distrutta, come se lasciarsi la nuova vita alle spalle non fosse già abbastanza difficile per lei. « Vorrei non averti mai incontrato » mormorò tra le lacrime, e Noel sorrise mesto. « Io invece fingerei di essere un dottore e non un semplice apprendista milioni e milioni di volte » fece lui di rimando, ed era vero, maledettamente vero. Perché non riusciva ad immaginarsi senza di lei. Probabilmente l'avrebbe notata in mezzo anche a centinaia di persone, e si sarebbe presentato e sarebbero finiti comunque così. Evie non avrebbe comunque avuto scampo. Si sarebbe innamorato di lei e sarebbe finita male in ogni caso. L'Angelo si ritrasse dalla sua stretta, e lui la lasciò libera senza contestare, anche se avrebbe voluto rimanere in quell'abbraccio tiepido ancora un po', quell'abbraccio che era diventato un rifugio per entrambi. La guardò in viso e, sì, stava piangendo, ma tentò di porvi rimedio asciugandosi le lacrime che correvano lungo le guance. Era bellissima e disperata allo stesso tempo, e Noel sentì un tuffo al cuore quando la sentì parlare. « Se non mi fossi innamorata di te ora non soffrirei così » Non si fosse... cosa? Il ragazzo schiuse le labbra, certo di aver capito fischi per fiaschi. « e invece ho complicato tutto » Un attimo. Aveva complicato le cose perché era innamorata di lui, giusto? Non era affatto sicuro di aver interpretato il discorso nella giusta maniera, ma non riuscì affatto a gioire del lieto evento. - sempre se aveva capito bene, che anche quello era da mettere in dubbio. Non ci credeva, perché non poteva essere vero. Davvero gli piaceva? E davvero non si sarebbero più rivisti? « No, no » bisbigliò, lentamente e tristemente, l'espressione sconvolta ancora puntata sulla ragazza di fronte a lui. Non era capace neppure di formulare un discorso di senso compiuto, in quel momento. Sarebbe potuta finire bene. Avrebbero potuto continuare a vivere normalmente, insieme, nella tranquilla Nimit ancora per un mese per poi ripromettersi di vedersi ancora. Avrebbe potuto portarla fuori a cena, regalarle rose rosse ogni volta che aveva qualche spicciolo in tasca, invitarla a dormire a casa sua senza problemi di sorta e baciarla quando ne aveva voglia. Sarebbe potuta finire bene, se solo la famiglia di lei non fosse intervenuta, portandogliela via. Nessuna certezza di rivedersi, nessuna promessa. Evelya parlò di nuovo, e lui la capiva, eccome se la capiva. Erano questione da nobili che lui conosceva bene, questione di onore e legami di sangue indistruttibili. Che, in quel caso, avrebbe volentieri spezzato. E non per suo capriccio, ma perché Evelya era scappata da quel posto, non poteva tornarci. Non quando sapeva che la situazione non era cambiata e lei avrebbe desiderato di nuovo la libertà. Temeva che succedesse, anzi, purtroppo ne era quasi del tutto sicuro. Era raro che le famiglie di alto rango cambiassero improvvisamente idea per l'amore di un figlio, anche se sperava che gli Angeli fossero più clementi dei Demoni che conosceva. « Farò tesoro dei nostri momenti insieme » a quella frase fu come se qualcuno gli desse un pugno allo stomaco, perché era destinato a diventare nient'altro che un ricordo nella mente di Evelya. Un bel ricordo, magari, ma non era presente. « Quella piuma non ricrescerà mai, quindi non credo che ti dimenticherò facilmente » Noel trattenne il respiro, guardando la piuma che lei gli aveva dato e facendo attenzione a non rovinarla. Era bella, candida, probabilmente la più lunga della sua ala, ma si trattava di un regalo d'addio, e tutto avrebbe collegato ad un dono della ragazza di cui era innamorato tranne quel momento straziante. « Evie, per favore » fece con ben poca sicurezza nella voce, cosa nuova anche per lui, e si fermò quando vide che Evelya stava sorridendo. O almeno ci provava, e fu certo di non aver mai visto niente di più triste e bello, così come era sicuro che il suo cuore si era appena spezzato a metà. Vederla in quello stato era un vero e proprio supplizio. « Tutto ciò che ho fatto è stato per te, non mi devi niente » disse subito, tentando di suonare meno affranto di quel che era. Perché, sul serio, si sentiva come se avesse perso ogni cosa. Non aveva possibilità di farla rimanere? Non voleva mettersi in mezzo, ma se ne andava la felicità e il benessere di Evelya doveva pur fare qualcosa. « Non voglio costringerti a rimanere » sospirò, perché se fosse dipeso da lui e non si fosse accorto di quanto Evie si stesse impegnando per mantenere la distanza da lui avrebbe impedito con ogni mezzo la sua partenza. Per la prima volta, si sarebbe dovuto affidare alle parole, che negli anni non erano mai state sue fidate alleate. « E non voglio che tu lo faccia per me, ma almeno per te stessa » suonava al pari di una disperata supplica, lo sapeva benissimo, ma come poteva restare a guardare? Allungò lentamente la mano libera in direzione di quella della biondina, stringendola in una presa pigra e poco invadente. « Sei letteralmente sbocciata, e non devi nemmeno tener conto delle aspettative di nessuno » Lo sapeva, perché era a conoscenza del suo passato per quanto poco ne parlasse e aveva ammirato la sua lenta trasformazione giorno dopo giorno. « Per quanto io voglia stare con te, per favore, mettiti al primo posto. Non voglio che tutto ciò che sei riuscito a costruire qui risulti vano, capisci? » mano a mano, stava riuscendo ad utilizzare un tono sempre più controllato, anche se gli riusciva alquanto difficile. Perché avrebbe voluto urlare, tirare pugni ad un muro, e perché no, anche a Zachary, e la gamba continuava a fargli inspiegabilmente male. Ma soprattutto, non avrebbe mai voluto lasciar andare quella mano. « Né tu né io potremmo sopportare un addio »

    « Parlato » || "Pensato"

    « Noel Hamal Moore »
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    Chiaki

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